XXIII
Venère, Cupido e le Grazie
L’origine di Venere è narrata dagli Antichi in due modi. Omero dice che▶ questa Dea è figlia di Giove e di Dione, ninfa della stirpe dei Titani, nata dall’Oceano e da Teti. Esiodo poi lasciò scritto ◀che▶ Venere nacque dalla schiuma del mare. Questa più strana e prodigiosa origine, creduta a preferenza della prima ◀che▶ era più semplice e naturale, fece dare a questa Dea il greco nome di Afrodite, ◀che▶ significa appunto nata dalla schiuma. Alcuni dei più fantastici mitologi e poeti aggiungono, ◀che▶ le acque del mare furono fecondate dal sangue di Urano mutilato da Saturno ; e ◀che▶ da questa fecondazione delle acque marine nacque Afrodite, ossia Venere, raggiante di celeste bellezza. Con questo strano mito voleva significarsi ◀che▶ la Bellezza è figlia del Cielo, e ◀che▶ nel globo terraqueo manifestasi più ◀che▶ altrove sul mare. Ma ambedue queste origini così diverse son talmente confuse e amalgamate nei poeti posteriori, ◀che▶ attribuiscono e l’una e l’altra indifferentemente e congiuntamente a Venere, come se fosse possibile il nascere in due modi e l’avere due diverse madri. Il solo punto di contatto fra queste due opinioni, e ◀che▶ serve di transizione dall’una all’altra è questo, ◀che▶ essendo Dione una Dea marina, e Venere sua figlia nata nel mare, e comparsa per la prima volta nel mondo alla superficie delle onde spumanti, fu detto figuratamente ◀che▶ era nata dalle onde del mare per dire ◀che▶ era uscita da quelle. Quindi alludendo a questa origine la rappresentarono nel primo fior dell’età e della bellezza, affatto nuda e senz’alcun ornamento, in una conchiglia marina spinta a gara dagli zeffiri sulla superficie del mare182. I poeti aggiungono ◀che▶ andò a fermarsi in Cipro, ed ivi ebbe il maggior culto e il titolo di Ciprigna. In molti altri luoghi fu poi venerata, in Citera, in Pafo, in Idalio, in Àmatunta, in Gnido, ed ebbe da questi luoghi del suo culto i titoli di Citerèa, Pafia, Idalia ecc., tanto frequenti nei poeti classici latini e greci ; e quelli specialmente di Ciprigna e di Citerèa anche negl’italiani e nello stesso Dante183.
Del nome di Venere ◀che▶ le fu dato dai Latini, ed è divenuto tanto
comune nelle lingue affini, Cicerone dà
questa etimologia e
significazione : Venus, quia venit ad omnia, perchè cioè la bellezza
s’avviene in tutte le cose184. Il Monti ancor giovanissimo intuonò un
Cantico adorno di graziose immagini e forme poetiche alla Bellezza
dell’Universo, ove, con amplificazione per enumerazion delle parti, fa la
rassegna delle più grandi bellezzè ◀che▶ son da ammirarsi nelle opere della creazione ; ed
Ugo Foscolo ha detto : « Venere simboleggia la Bellezza dell’ Universo. »
Da Venere, considerata come Dea della bellezza, son derivate le parole venustà ed avvenenza 185.
Il nome di Dionèa dato a Venere perchè creduta figlia di Dione è comunissimo nelle lingue dotte, ma poco nell’italiana. Dante però rammenta Dione come madre di Venere, e per figura poetica adopra il nome della madre per quello della figlia, volendo indicare nel Canto xxii del Paradiso il pianeta di Venere.
Venere era considerata in principio come Dea dell’Amore, e poi le fu aggiunto per questo particolare attributo un figlio chiamato Eros dai Greci e Cupido dai Latini186 ; ed inoltre un corteo di tre figlie col nome a tutte comune di Càriti in greco e di Grazie in latino, e con un altro proprio e particolare a ciascuna di esse, cioè Aglaia, Talìa ed Eufrosine. Così venne a significarsi ◀che▶ la Bellezza, l’Amore e le Grazie avevano strettissima parentela, e ◀che▶ le Grazie erano il necessario complemento della Bellezza e dell’Amore. Anzi i filosofi più sapienti aggiunsero ◀che▶ le Grazie dovevano intervenire in tutte le consuetudini del civile consorzio ; ed uno di loro disse concisamente e con molta efficacia a un suo discepolo, ingegnoso sì ma zotico anzichè no : sacrifica alle Grazie.
Così gli antichi mitologi aprirono un vastissimo campo alla immaginazione dei poeti ed alla fantasia dei pittori e degli scultori. Ma se a quasi tutte le Divinità pagane ed allo stesso Giove furono attribuiti difetti e vizii, a Venere più ◀che▶ mai. Cominciarono a dire ◀che▶ questa Dea, per la sua singolare e impareggiabil bellezza, era ambita in isposa da tutti gli Dei ; e questo è naturale e probabilissimo, e non sta di certo a disdoro di Venere ; ma poi vi aggiunsero ◀che▶ per voler di Giove suo padre fu data in moglie al più brutto, e ◀che▶ per di più era zoppo e tutto affumicato e fuligginoso per l’esercizio della sua professione di fabbro. Giove così volle premiar Vulcano di averlo aiutato efficacemente nella battaglia di Flegra fabbricandogli i fulmini con cui atterrò e vinse i Giganti. Venere non si oppose e obbedì ; ma questo matrimonio così male assortito fu causa di coniugali discordie e di scandali. Con questo vennero a significare quanto sian condannabili i matrimonii fatti per forza ed a contraggenio ; ma però si estesero tanto ad inventare aneddoti scandalosi su questo tema, ◀che▶ spesso deturpano le più belle poesie dei classici antichi. Perciò Ugo Foscolo nel suo Carme sui Sepolcri parlando del Petrarca, ◀che▶ nelle sue poesie per Madonna Laura aveva sempre adoperato un linguaggio casto e verecondo, lo encomia meritamente e lo chiama con bella perifrasi
« …….quel dolce di Calliope labbro« Che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma,« D’un velo candidissimo adornando,« Rendea nel grembo a Venere celeste. »
Infatti gli antichi mitologi di più sana mente avean dovuto immaginare un’altra Venere ◀che▶ presiedesse all’Amor puro e casto, e la chiamaron Venere Urania, ossia Celeste, come accenna Ugo Foscolo.
Quando Vulcano sposò Venere le regalò un bel cinto, ◀che▶ elegantemente con voce greca e latina chiamasi il cèsto. Era desso di tal ricco e mirabil lavoro ◀che▶ facea risaltar la bellezza e vi aggiungeva un fáscino irresistibile. E le donne antiche e le moderne ne capiron bene il significato, ◀che▶ cioè l’arte nell’abbigliamento favorisce la venustà, o almeno nasconde in parte i danni dell’età. Servivasi Venere del cèsto per le solenni occasioni ; e non mancò di adornarsene quando si presentò a Paride ◀che▶ doveva decidere chi fosse la più bella tra le Dee.
Oltre Cupido, Imene e le tre Grazie si annovera tra i figli di Venere anche Enea. Cupido era creduto figlio di Venere e di Marte ; Imene e le tre Grazie di Venere e di Bacco ; ed Enea di Venere e di Anchise principe troiano.
Cupido è rappresentato come un fanciulletto, grazioso in apparenza benchè maligno in effetto, colle ali d’oro, e d’oro l’arco, gli strali e la faretra ; e si aggiunge dai poeti ch’egli è cieco o bendato ; e questi son tutti simboli dell’Amore facili a spiegarsi, ed a cui si fanno interminabili allusioni in verso e in prosa.
Parve strano ai mitologi ed ai poeti meno antichi ◀che▶ Cupido si occupasse sempre a saettar colle sue freccie uomini e donne, Dei e Dee, senza pensar mai a scegliersi una sposa per sè ; e inventarono una complicatissima favola, una specie di romanzetto all’uso di quelli delle Fate del medio evo, o delle Mille e una notti, e conclusero ◀che▶ dopo mille prove a cui Cupido, nascondendo l’esser suo, sottopose la curiosità e la fiducia della sua eletta, sposò finalmente e rese felice col più invidiabile degli imenei la bella e vivacissima Psiche.
Psiche è parola greca ◀che▶ in italiano vuol dire anima 187. Cupido ◀che▶ sposa Psiche significa ◀che▶ l’amore è un sentimento dell’anima : ecco in due parole la spiegazione del mito. E quella graziosissima particolarità del mitologico racconto, ◀che▶ Cupido si rendeva invisibile a Psiche facendole soltanto sentire la sua voce, esprime filosoficamente, ◀che▶ questa e tutte le altre affezioni dell’anima, o vogliam dir le passioni di qualunque genere, non sono ◀che▶ modificazioni dell’animo stesso, ed è impossibile ◀che▶ abbiano realmente forme corporee, nella guisa stessa ◀che▶ non sono esseri di per sè esistenti le febbri, i dolori, gli starnuti, gli sbadigli, ecc., ma soltanto modificazioni più o meno morbose o moleste del nostro corpo.
Psiche è rappresentata come una giovanetta delicatissima colle ali di farfalla, per alludere all’immortalità dell’anima, derivandone il concetto dalla crisalide ◀che▶ si trasforma in farfalla. Dante afferrò subito questa idea, e la espresse maravigliosamente in quella sublime terzina, ◀che▶ tutti sanno, o saper dovrebbero, a mente :
« Nati a formar l’angelica farfalla« Che vola alla giustizia senza schermi ? »
L’Amore malnato e maligno era rappresentato con una farfalla tra le dita e in atto di tormentarla coll’altra mano e strapparle le ali : significazione evidente degli strazii dell’anima prodotti dalle colpevoli passioni.
Imene o Imeneo, l’altro figlio di Venere era il Dio delle Nozze, o vogliam dire del Matrimonio ; ed anche in italiano si usa elegantemente il nome di imeneo per significar le nozze, ossia la celebrazione del matrimonio. Rappresentavasi come un giovane maggiore di qualche anno del suo fratello Cupido, con volto serio e riflessivo, perchè non v’è cosa più seria, e ◀che▶ dia più da pensare, del matrimonio ; con una face ardente nella destra, simbolo del mutuo affetto degli sposi ; e nella sinistra le auree catene a significare i vincoli e gli obblighi del matrimonio, catene, d’oro ma catene per sempre.
Sino al secolo passato non celebravasi un matrimonio tra persone ◀che▶ sapesser leggere, ◀che▶ subito un poeta qualunque non componesse un epitalamio 188, in cui v’era sempre Imene con le catene, per rima obbligata, a unire gli sposi. Da questa mitologica frivolezza non si è ancora ben purgato neppure il nostro secolo.
Le tre Grazie, di cui l’appellativo stesso spiega l’ufficio o attributo, erano rappresentate come giovanette gentili ed ingenue, nude e abbracciate amorevolmente tra loro, per indicar ◀che▶ le grazie debbono esser naturali e spontanee e ◀che▶ non hanno bisogno di stranieri o compri ornamenti ed aiuti. Qualche poeta le ricoprì d’un sottilissimo velo, per significare ◀che▶ debbono esser temperate e non affettate ; e perciò Ugo Foscolo nel suo delicatissimo poemetto intitolato Le Grazie, le ricuopre d’un candido velo in cui finge istoriato il mito di Psiche, per indicare ◀che▶ il candor dell’animo è il solo ornamento delle Grazie. Gli scultori però le rappresentano affatto nude ; e se ne vede in Siena un gruppo mirabile di greco scalpello.
Di Enea figlio di Venere e di Anchise dovremo parlare a lungo nella celebre guerra dei Greci contro la città di Troia, e nelle origini mitologiche del popolo romano.
Venere giovanetta uscita appena dalle onde del mare era rappresentata nuda e in una conchiglia marina, oppure, e specialmente in scultura, con un delfino ai piedi, come la Venere dei Medici ◀che▶ si ammira nella galleria degli Uffizi in Firenze. Ma quando era considerata come moglie e madre, dipingevasi splendidamente vestita con aurei ornamenti e col cinto donatole da Vulcano. Aveva quasi sempre presso di sè il fanciulletto Cupido e talvolta anche Imene e le Grazie. Le si dava ancora un elegantissimo carro tirato dalle colombe : il fiore a lei sacro era la rosa, l’albero il mirto. Si aggiogavano al carro di Venere le colombe, perchè sono affettuosissime e feconde ; e la favola aggiunge ◀che▶ erano sacre a questa Dea, perchè fu cangiata in colomba una Ninfa sua prediletta chiamata Peristeria, per un infantile vendetta di Cupido su questa Ninfa ◀che▶ aveva aiutato Venere a vincere una scommessa a chi coglieva più rose. La rosa erale sacra perchè per bellezza e fragranza è la regina dei fiori : il mirto perchè è una pianta ◀che▶ meglio vegeta intorno alle acque, dalle quali credevasi esser nata Venere. Inoltre ella produsse l’anemone trasformando in questo fiore il giovane Adone da lei favorito e protetto, e ◀che▶ fu ucciso nella caccia da un cinghiale.
A Venere fu dedicato il venerdì ; e di Venere ebbe il nome il più bello e rilucente dei pianeti primarii,
come con perifrasi mitologica lo contraddistinse Dante, alludendo agli attributi della Dea Venere.