., dopo gl’ impegni assunti col Gran Duca, ma comici isolati no ; chè sarebbe un distruggere la Compagnia ch' egli con tanta pazienza e con tanto amore tiene insieme da circa sei anni (le lettere han la data del '18). […] Et per vita sua la prego a dirmi, come potevo io dire, tu hai da andare, tu hai da restare, tu che sei primo diventar secondo, et fra huomini dove è libertà et compagnia persuadere per accettabile la superiorità et la suggezzione ?
Tali i due Tempii, de’ quali il primo semplice, grave, solido contiene sei colonne, ed altrettante dalla parte opposta, e si allontana dalla maniera Dorica Greca e dall’ordine Toscano de’ tempi posteriori; ed il secondo più picciolo che dinota essere stato da’ Toscani eretto posteriormente, quando già essi appreso aveano a congiungere alla solidità il gusto di ornare.
., scelgo il principio e la fine del sermone di Giuseppe Barbieri, Il Teatro, a lei dedicato, che è men facile a trovarsi : …………… Pochi nel genial comico ludo surgono ad alta meta insigni attori ; e Tu forse nel tragico lamento unica sei, che l’anime distempri d’ineffabil dolcezza ; e ben Tu fosti a miracol mostrar, di Ciel venuta, soavissima Venere del pianto.
Tutto ciò che non è Catone in essa è mediocre; e la sua mediocrità deriva da due sorgenti, cioè da una languida e inutile congiura di due furbi che si esprimono e pensano bassamente, e da un tessuto d’insipidi e freddi amori subalterni di sei personaggi de’ dieci che sono nella favola. […] L’atto poi termina all’inglese, cioè con una poetica comparazione, compresa nell’ originale in sei versi, di una corrente imbrattata dal fango per le piogge, che poi si affina e per via diviene limpida come specchio, Riflettendo ogni fior che a riva cresce, E nuovo ciel nel suo bel sen ne mostra. […] In prima è questa una risposta particolare ad una censura generale fatta agli amori subalterni, non di Marzia e Giuba soltanto, ma di sei personaggi. […] Ami tanto la vita, e sei Romano?
Questo scrittore nato nel 1549 sotto l’Imperadore Carlo Quinto sei anni prima che cominciasse a regnar Filippo II, in un prologo ad otto sue commedie ci fa sapere che essendo egli fanciullo componevasi il teatro di Madrid di quattro o sei tavole poste sopra quattro assi in quadro alte dal suolo quattro palmi. […] Altre sei delle sue favole volle denominar tragedie, cioè el Duque de Viseo, Roma abrasada, el Castigo sin venganza, la Bella Aurora, la Sangre inocente, el Marido mas firme. […] Esse o non esistono, e se ne ignora perciò la natura, o non sono certamente tragedie rigorose più delle sei del Vega, e delle altre favole eroiche di tanti altri, e delle commedie del Castro pubblicate in Valenza nel 1621a. […] Al contrario Lope pressato dalle critiche di Manuel Villegas, di Miguèl Cervantes, di Leonardo d’Argensola, di Antonio Lopez, e di altri moltissimi nazionali contemporanei, i quali mormoravano delle mostruosità delle di lui favole, ed obbligato dall’Accademia a giustificarsi, il fece col suo discorso in versi El Arte Nuevo de hacer comedias en este tiempo, nel quale in vece di fare riflessi oni piene del sugo di Aristotile e di Orazio , confessò di averne scosso ogni giogo, e diede precetti adattati alle proprie commedie, affermando che per non udire i clamori di Plauto e di Terenzio, mentre le componeva, tenevagli chiusi con sei chiavi. […] Noi lo trascrivemmo nel 1777 nella nostra storia in un volume, indi stimammo meglio di ometterlo quando la distendemmo in sei tomi, potendosi leggere nella Biblioteca Ispana moderna, e ci basta il dire che tale epigramma annunzia uno scrittore buono a tutt’altro che a calzare il coturno nella prima giovanezza.
E sei libbre di ciocolatte ? […] Nell’edizione prima di Torino del 1793 e 1794 s’impressero in sei volumi, e si reimpressero nel 1794 in Firenze. […] Ma il teatro di Argentina appartiene al XVIII, e si eresse dal marchese Girolamo Teodoli con sei ordini di palchetti. […] Ah voi tacendo Sento dir, tu mi sei madre, Nè colui mi generò. […] Chi sei ?
Certamente nè Ariosto invano da Voi preso di mira, essendo per le vostre saette invulnerabile, nè Machiavelli, nè Bibbiena, nè intorno a dugento settanta Poeti Comici di nome in più di sei a settecento Commedie pensarono a profanare e presentare sulla Scena Comica Monsignori ed Eminentissimi, come avviene nelle Commedie Spagnuole. […] Altro io non vedo in tutti i sei Volumetti del Saggio Apologetico, se non che da premesse particolari dedotte conseguenze universali. […] Non v’ha che de’ Terenzj, Signor Abate, i quali sanno scrivere solo sei Commedie da non perire giammai.
È il Napoli-Signorelli preteso scrittore antispagnuolo, che con dispendio se gli ha fatti venire dalle Spagne per rendere loro giustizia; e se gli apologisti ne faranno per ventura menzione nelle ristampe de’ loro libri, non ne saranno obbligati che alla Storia de’ Teatri in sei volumi, ed alle Addizioni che vi feci nel 1798. […] Per te, per te… tu la cagion tu sei D’ogni tormento mio! […] Deh piaccia al ciel, cugina, che tu vegga Dal sincero amor mio rassicurata La tua felicità, giacchè vi prende Tanta parte il mio cuor, ch’esser non voglio Felice io stessa, se non sei tu lieta.
Ma dove sei ? […] Degno Nò, più non sei di questa mano. […] V’intervengono sei personaggi, oltre del Popolo Romano che anche parla. […] Rotto è del cor l’ambizioso smalto, Padre tu sei. […] A me, no, non fosti, nè sei padre………….
Talvolta gli cadono dalla penna alcune che si direbbe essere state lavorate colla morbidezza metastasiana, come, per esempio, questa: «Dove sei tu Robusta gioventù? […] Voi tacendo Sento dir: tu mi sei madre, Nè colui mi generò.»
Per te, per te ... tu la cagion tu sei D’ogni tormento mio! […] Deh piaccia al ciel, cugina, che tu vegga Dal sincero amor mio rassicurata La tua felicità, giacchè vi prende Tanta parte il mio cuor, ch’esser non voglio Felice io stessa, se non sei tu lieta.
Corrono altri sei anni dalla seconda alla terza giornata, in cui si tratta della dichiarazione che fa Semiramide di esser donna, della cessione dello scettro a Ninia dichiarandosene innamorata, e della morte che ne riceve.
Non empiono questo gran vuoto i soli ignorati o negletti sei dialoghi di Rosvita monaca di Gandersheim, intitolati Commedie, che appartengono al secolo X.
Nell’atto II della sua Donna di Contado così favella un nobile sciocco che ha timore delle sferzate comiche: ”Si contentavano prima gli autori drammatici di trarre i loro personaggi ridicoli dal ceto de’ servi; ma questi baroncelli oggidì cercano i loro buffoni fra’ gentiluomini e cavalieri; di modo che io da sei anni vò differendo di prenderne il titolo per timore di esser posto in iscena, e di farvi una figura ridicola”.
“Si contentavano prima gli autori drammatici di trarre i loro personaggi ridicoli dal ceto de’ servi; ma questi baroncelli oggidì cercano i loro buffoni fra’ gentiluomini e cavalieri; di modo che io da sei anni vo’ differendo di prenderne il titolo per timore di esser posto in iscena e di farvi una figura ridicola”.
Vedo un uomo dell’altezza di quasi sei piedi, grasso e grosso proporzionatamente, che traversa la sala con canna d’India alla mano e cappello tondo all’inglese.
(Lire Cento anticipate per l’opera completa) Prezzo dell’opera finita pei non sottoscrittori Lire Duecento È completo il primo volume in due parti, che comprende 35 fascicoli (lettere A-K) Abbiamo annunziato già questa pubblicazione ; ora che essa è avviata, essendone già a luce sei fascicoli, possiamo parlarne più di proposito, e dirne il bene che merita.
Io mi batto fuor nell’atto fino all’otto ; mi ci metto come un matto nè vo in letto finchè a lutto non fai motto ; tu mi batti, io ti ribatto, e in baratto di tua botta, io ti butto giù in un botto ; se sei dotto, io sono addatto ; niuno editto nè altro detto che sia indotto non adotto.
Questo scrittore nato nel 1549 sotto l’imperador Carlo Quinto sei anni prima che cominciasse a regnar Filippo II, in un prologo ad otto sue commedie ci fa sapere che essendo egli fanciullo componevasi il teatro di Madrid di quattro o sei tavole poste sopra quattro assi in quadro alti dal suolo quattro palmi. […] Altre sei delle sue favole volle denominar tragedie, cioè el Duque de Viseo, Roma abrasada, el Castigo sin venganza, la Bella Aurora, la Sangre inocente, el Marido mas firme. […] Esse o non esistono, e perciò se ne ignora la natura, o certamente non sono rigorose tragedie più delle sei del Vega, e delle altre favole eroiche di tanti altri, e delle commedie del Castro pubblicate in Valenza nel 162154. […] Al contrario Lope pressato dalle critiche di Manuel de Villegas, di Miguèl Cervantes, di Leonardo di Argensola, di Antonio Lopez e di altri moltissimi nazionali contemporanei, i quali mormoravano delle mostruosità delle di lui favole, ed obbligato dall’Accademia a giustificarsi il fece col mentovato discorso in versi el Arte Nuevo de hacer comedias en este tiempo, nel quale in vece di fare riflessioni piene del sugo di Aristotile e di Orazio, confessò di averne scosso ogni giogo, e diede precetti adattati alle proprie commedie, affermando che per non udire i clamori di Plauto e di Terenzio, mentre le componeva, tenevagli chiusi con sei chiavi.
Osserva però il Bayle che Lucilio mentova la legge Licinia stabilita l’anno 656; dunque egli visse cinque o sei anni di più. […] Le sei commedie che ne abbiamo leggonsi da’ fanciulli (o da quei che sono tali a dispetto degli anni) con una specie d’ indifferenza propria di quell’età: dagli uomini maturi con istupore e diletto: e con entusiasmo da’ vecchi instruiti. […] Si avvedrà che schiavo, Che in lacci sei, che ti dibatti invano, E del suo fasto diverrai lo scherno. […] E così far tu devi, Se saggio sei, nè rendere maggiori I mali e le molestie dell’amore, E alla meglio soffrir quelle che ha seco. […] Ma chi leggerà attentamente le sei da lui con tanta eleganza e delicatezza composte in Roma, crederà con somma difficoltà che avesse potuto scrivere commedie a centinaja, senza supporre che vissuto fosse sino all’ultima vecchiaja in Grecia, e che avesse trascurato di tornare in Roma dove le sue fatiche erano così bene premiate ed onorate.
[1.9ED] Io confesso che cotest’abito del tuo corpo, che altri poteva muovere a scherno, moveva me a compassione per uomo di età sì avanzata e di struttura sì poco adatta a soffrir gl’incomodi del viaggio fra le nausee e gli scotimenti del mare; ma, poiché ti sei dato a spiare il mio interno, io te l’apro ben volentieri acciocché tu scopra senz’alcun velo l’avidità che ho di saper chi tu sia. […] Ma che hai tu fatto in tanti secoli che sei vissuto? [1.28ED] Ti sei tu dato a comporre nuovi libri? […] [1.44ED] Vengo sino ad inventarmi un miracolo per lodarli. [1.45ED] Ma perché ti sei posta tu la parrucca se cotesta, a’ tempi che dici tuoi, non usavasi? […] [5.165] Di sei sillabe ancor ve n’ha per lo più sdruccioli e qualche fiata ancor tronchi. [5.166ED] Esempio del primo può essere: Ma già più languide Le stelle girano.
E volete che Metastasio, grande sopra tutti i Calderoni possibili, svolgesse nove gran Volumi di Favole Calderoniche, e sei altri di Autos, per trovarvi qualche verso imitabile?
Se ne contano sei così intitolati: 1 Giuoco di carnovale, 2 i Sette Padroni, 3 il Turco, nel quale il Soldano viene a Norimberga per pacificare i Cristiani, a cui un legato del Pontefice partecipa di aver commissione di caricarlo ben bene di villanie, 4 il Villano ed il Capro, il 5 tratta di tre persone che si sono salvate in una casa, ed il 6 contiene una dipintura della vita di due persone maritate.
Se ne contano sei così intitolati: I Giuoco di Carnovale, II i sette Padroni, III il Turco, nel quale il Soldano viene a Norimberga per pacificare i Cristiani, a cui un Legato del pontefice partecipa di aver commissione di caricarlo ben bene di villanie, IV il Villano ed il Capro, il V tratta di tre persone che si son salvate in una casa, ed il VI contiene una dipintura della vita di due persone maritate.
Dì che sei mia. […] Dì che sei mia. […] Sino all’anno 1664 non n’erano usciti che tre tomi, i quali poi crebbero a nove oltre a sei altri impressi in Madrid nel 1717, che contengono settantadue autos sacramentales. […] E che insegna quest’intrigo degl’Impegni in sei ore? […] Essa è tanto regolare quanto gl’Impegni in sei ore del Calderòn; ma è più semplice, meno caricata di accidenti, e non meno dilettevole.
Aggiugne che anche i meno affezzionati alle commedie saben (sanno) ciò che ignora il Signorelli, e questo saben si ripete ben sei volte; contro i quali sei saben io avea preparati sessantasei no saben verificati in ogni sorta di Huertisti, ma la di lui morte mi reca il vantaggio di risparmiar la spesa d’imprimerli.
Tali i due Tempj, de’ quali il primo semplice, grave, e solido contiene sei colonne in facciata, ed altrettante dalla parte opposta, e si allontana dalla maniera dorica greca, e dall’ordine toscano de’ tempi posteriori, ed il secondo tempio più picciolo, che dinota di essere stato da’ Toscani eretto posteriormente, quando già essi sapevano congiungere colla solidità il gusto di ornare.
Blanes, tu sei che a nuova vita spingi Eroe che giacque in muto avel sepolto E nudo spirto di tue membra cingi (Cincinnato).
li sei (3ª rima).
Uom però sei, La ragion ti convinca. […] «Quella cetra ah pur tu sei, Che addolcì gli affanni miei, Che d’ogni alma a suo talento D’ogni cor la via s’aprì.» […] Nulla di più comune ne’ suoi componimenti quando il sentir i personaggi, allorché danno un consiglio o sono agitati da qualche passione, trattenersi tranquillamente a paragonar se medesimi alla nave, al fiore, al ruscello, alla tortora, allungandone la comparazione per sei e otto, alle volte per dieci e dodici versi. […] Qual son io tu sei costante, E conservi il bel costume D’esser fido a i lauri ancor.» […] Io giurerei, Che fra pochi non sei tenaci ancora Dell’antica onestà.
Osserva però Pietro Bayle che Lucilio mentova la legge Licinia stabilita l’anno 656; dunque egli visse cinque o sei anni di più. […] Le sei commedie che ne abbiamo leggonsi da fanciulli (o da quei che sono tali a dispetto degli anni) con una specie d’indifferenza propria di quell’età: dagli uomini maturi con istupore e diletto: e con entusiasmo da’ vecchi istruiti che conservano le tracce del gusto. […] Si aviedrà che schiavo, Che in lacci sei, che ti dibatti invano, E del suo fasto diverrai lo scherno. […] E così far tu devi, Se saggio sei, nè rendere maggiori I mali e le molestie dell’amore, E alla meglio soffrir quelle che ha seco. […] Ma chi leggerà attentamente le sei da lui con tanta eleganza e delicatezza composte in Roma, crederà con somma difficoltà che avesse potuto scriver commedie a centinaja senza supporre che vivuto fosse sino all’ultima vecchiaja fra’ Greci, è che avesse trascurato di tornare in Roma, dove le sue fatiche erano così bene premiate ed onorate, ed a qual altro oggetto avrebbe egli recate nella latina lingua tante greche ricchezze?
Egli è per quattro volte, per più di sei, per più di sette, mi farai dire; e non si vede se non acqua, acqua, acqua. […] Questa commedia in prosa è accompagnata da sei corte canzonette. […] Trovansi parimente impresse tralle sei degli Accademici Intronati di Siena uscite nel 1611. […] Anima mia (dice nell’atto II Gisippo che crede morta la sua bella Giulietta) tu sei pure in luogo da poter chiaramente vedere la costanza dell’animo mio, la grandezza del mio dolore, e il desiderio di venir dove tu sei. […] L’autore l’accompagnò con sei intermedj.
Cornelio Cetego, e secondo Varrone, anche più tardi, montò sul teatro sei anni appresso di Livio Andronico, e a tal segno fiorì nella poesia comica, che gli antichi romani lo posponevano solo a Cecilio Stazio e ad Accio Plauto, e di molto lo preferivano a Terenzio. […] Ebbero in tal tempo gran nome nella comica poesia Cecilio, Terenzio, Afranio, Turpilio, Attilio, Trabea, Luscio, Titino, Aquilio, Ostilio, Pomponio il Bolognese, Dorsenno, e molti altri, de’ quali, oltre le sei commedie di Terenzio, ci rimangono vari frammenti. […] Ma coloro che leggeranno con riflessione quelle sei, ch’é compose in Roma sì delicatamente, stenteranno a credere che avesse potuto scrivere commedie a centinaia, senza supporre che fosse vissuto fino all’ultima vecchiaia in grecia, e che non si fosse curato di tornare in Roma, ove le sue fatiche erano sì ben premiate ed onorate. […] Bella in Euripide é la narrazione dell’incendio e della morte del re e della figliuola, e serve a fare trionfar Medea per la ben riuscita vendetta; ma forse non men bellamente Seneca se ne’ disbriga in quattro o sei versi, scorrendo più rapidamente alla gran vendetta su i figliuoli per trafiggere il cuor del padre nella parte più delicata. […] Il solo squarcio che convenga direttamente all’argomento, si chiude negli ultimi sei versi del ragionamento d’Ippolito, «sed dux malorum foemina etc.
Rollin dicono, Euripide dovette morire il secondo anno dell’olimpiade XCII, e non nella XCIII; perciocchè Aristofane nelle sue Rane, le quali furono certamente rappresentate nell’olimpiade XCII, parla di Euripide come di un uomo ch’ era già morto; e Sofocle, per quanto ci assicurano parecchi autori, sopravisse di sei anni ad Euripide, e morì nonagenario nel quarto anno dell’ Olimpiade XCIII.
Altri anche con assai verisimiglianza sostiene, che fosse nel tenimento di Francavilla, ove oggi vedesi Rodia, che ne ha conservato il nome, e che trovasi a sei miglia ugualmente distante dalle montuose città d’Oira e di Ceglie, e diciassette in circa da Brindisi.
Morto il Garzes, diventò socia dello stesso Pasta, con cui stette sei anni ; dopo di che, ritiratosi il Pasta dalle scene, si unì in società con Flavio Andò (’97) col quale si trova tuttavia.
Eccovela : studiate prima a memoria le parole, poi pensate a quale classe sociale appartiene il personaggio : mettete dentro a quel personaggio tutto il vostro cuore e la vostra mente : sentite la sua passione come la sentireste voi stessi se vi trovaste nel suo caso : provate cinque, sei, sette volte quella parte alla mattina come pensate di farla alla sera…. e la creazione è fatta.
Gli attori però sono tutti Americani, e tra essi intorno a cinque o sei lustri indietro (per quel che mi narrò in Madrid un negoziante di Cadice che vi avea passata una parte della vita) spiccava una bella e giovane attrice figliuola di una Peruviana e di un Italiano chiamata Mariquita del Carmen, e conosciuta pel soprannome di Perrachola.
Non sei tu quel che cento volte e cento Dal plauso universal vide distinta La sua virtù ?
E coi Confidenti lo troviamo ancor nel ’18 a Venezia, di dove Don Giovanni De Medici scriveva al Duca di Mantova con data del 30 marzo, ricusandogli Mezzettino e Scappino (richiesti a istanza di Lelio e Florinda), sui quali egli dice fondata la Compagnia dei Confidenti, che mise assieme per suo gusto da circa sei anni, e che andava conservando sempre con ogni suo potere, tenendogli uniti et obligati (a me) come particolari servitori.
Il prestigio volgar che vi circonda, me non accieca…. e in mio poter tu sei !
Egli è per quattro volte, per più di sei, per più di sette, mi farai dire; e non si vede se non acqua, acqua, acqua! […] Questa commedia in prosa è accompagnata da sei corte canzonette. […] Trovansi parimente impresse tralle sei degli Accademici Intronati di Siena uscite nel 1611. […] Anima mia (dice nell’atto II Gisippo che crede morta la sua bella Giulietta) tu sei pure in luogo da poter chiaramente veder la costanza dell’animo mio, la grandezza del mio dolore, e il desiderio di venir dove tu se. […] L’autore l’accompagnò con sei intermedii.
Or sei morto, mio figlio, or che il pianto mi cade; Scacciam la debolezza sin colla crudeltade .. […] Lo sceneggiamento all’antica lasciandosi spesso il teatro vuoto, qualche scena oziosa, un sogno di Demodice di sei tori e una giovenca tanto conforme al fatto di lei e de’ sei campioni, i poco utili ed all’ azione mal connessi episodj dell’amicizia di Eurindo e Critolao, del conflitto di costui col leone, degli amori di Lagisca ed Eurindo, offrono all’occhiuta critica materia da esercitarsi. […] Se ne riprende il personaggio di Ansedisio di nota malvagità come poco necessario e lasciato impunito: qualche discorso secreto che si ode dall’uditorio e non da’ personaggi che stanno sulla scena: e la mancanza del tempo richiesto perchè giunga Beatrice co’ sei compagni dal fondo della torre, non essendo passati dalla chiamata alla venuta che sei versi soli recitati da Amabilia. […] Non si vogliono però obbliare le tragedie latine composte nel presente secolo per lo più da’ gesuiti, cioè: l’ Ermenegildo di Marcantonio Ducci impresso in Roma nel 1707; Stanislao Kostka di Giovanni Lascari quivi pur pubblicata del 1709; Maurizio Imperadore, e Artavasdo Principe dell’ Impero di monsignor Gian Lorenzo Lucchesini da Lucca, il quale altre due ne scrisse ancora in italiano, il Maurizio, e Clodoaldo Principe di Danimarca; le sei tragedie latine del dotto Carpani stampate in Roma nel 1745; e l’Epaminonda di Giovanni Spinelli di Napoli de’ Principi di San Giorgio uscita verso il 1749, e poi tradotta ed impressa anche in italiano.
E tu sei la verità? […] Otto villani, che ballano al suono d’una bizzarra sinfonia di zucche, la scacciano da sé parimenti: «Vanne pur, vattene via, Non entrar in questa cricca, Se chi dice il ver s’impicca Non sei buona compagnia.
Questo che fu compilato nel regno di Sisenando, il quale avendo cacciato Svintila dal trono nel 631, dominò sei anni, conteneva la pratica, lo stile tenuto nel giudicare ne’ secoli appunto ne’ quali l’ apologista suppone in osservanza il già dimenticato Breviario di Alarico; e di tali fatti può assicurarsi negli storici Spagnuoli, ed anche nel Compendio della Storia di Spagna del P. […] Lo sfidatore dee dire al chiamato, sei un traditore, e ’l disfidato rispondere, tu ne menti; e questa disfida dee farsi per corte e alla presenza del re.
Per esempio questa leggiadrissima arietta del Metastasio: «Placido zeffiretto, Se trovi il caro oggetto, Digli, che sei sospiro, Ma non gli dir di chi. Limpido ruscelletto, Se ti rincontri in lei Dille, che pianto sei, Ma non le dir qual ciglio Crescer ti fe’ così.» […] Il solo episodio d’Aristeo, e quello delle lodi della vita rusticana nelle Georgiche interessano più che i sei libri de natura rerum.
A CHI AMA la poesia rappresentativa Discorso premesso al l’edizione Napoletana in sei volumi.
Perdere è poco L’oggetto del tuo foco: Ciò che pianger tu dei È che mi perdi, e l’idol mio tu sei.
Perdere è poco L’oggetto del tuo foco: Ciò che pianger tu dei È che mi perdi, e l’idol mio tu sei!
Die: Di che sei mia. […] Sino all’anno 1664 non n’erano usciti che tre tomi, che poi crebbero a nove oltre a sei altri impressi in Madrid nel 1717, che contengono settantadue auti sacramentali. […] E che insegna quest’intrigo degl’ Impegni in sei ore? […] Essa è tanto regolare quanto gl’ Impegni in sei ore di Calderòn; ma è più semplice, meno caricata di accidenti, e non meno dilettevole. […] Non dee però dissimularsi che nè gl’ Impegni in sei ore, nè la Confusione d’un Giardino ho veduto rappresentar mai in Madrid nella mia lunga dimora.
Non è improbabile che gli atti di questa tragedia sieno sei, e che il quinto termini dopo la tenera scena del l’ultimo addio della madre e d’Ifigenia, colle parole che questa dice alle fanciulle perchè cantino in onore di Diana nella sua disgrazia. […] Ah pensa Chi t’ascolta, ove sei. […] A che sei tu d’Ettore figlio, io sposa?
Questo volume che fu compilato nel regno di Sisenando, il quale avendo cacciato Svintila dal trono nel 631, dominò sei anni, conteneva la pratica, lo stile tenuto nel giudicare ne’ secoli appunto, ne’ quali l’apologista suppone in osservanza il già dimenticato Breviario di Alarico; e di tali fatti può assicurarsi negli storici Spagnuoli, ed anche nel Compendio della Storia di Spagna del p. […] Lo sfidatore dee dire al chiamato, sei un traditore; e il disfidato rispondere, tu ne menti; e questa disfida dee farsi per corte nella presenza del re.
Non empiono questo gran voto nè le musiche e i balli e i travestimenti usati da’ Cherici nelle feste solenni dal VII sino al X secolo, nelle quali con istrana mescolanza di pagane reliquie e di cerimonie Cristiane danzando esponevano le favole delle divinità gentilia; nè gl’ignorati o negletti sei dialoghi di Roswita monaca di Gandersheim intitolati Commedie, che appartengono al X secolob.
Qualor cortese in aprir gli occhi sei, le belle labra ove hanno Amore, e Gioco più caro seggio, e scopri a poco a poco perle, qual non han gl’Indi, o i Nabatei.
Ma il suo riposo non durò che sei anni.
Chi sei?
Cinque o sei anni dopo che Livio ebbe introdotta la poesia teatrale in Roma, cioè verso l’anno 519, Gneo Nevio poeta nato nella Campania vi fe udire i suoi drammi tragici e comicia. […] Ella e vaga e vezzosa, e tu non sei conosciuto dal ruffiano Dordalo. […] Anzi non io (Tossilo dice); ma qualche altro che possa fingersi forestiere; cosa non difficile, non essendo scorsi che sei mesi dalla venuta del Ruffiano da Megara in questa città. […] Quello della Rudia che oggi ne conserva il nome, trovasi sei miglia distante dalle montuose città di Oira e Ceglie, e diciassette in circa da Brindisi.
Si tiene anche per sicuro comunemente ch’ei fosse il primo a ritrovare la gamma, ovvero sia quella tavola, o scala, sulla quale s’impara a dar il lor nome, e a intuonar con giustezza i gradi della ottava per le sei note di musica “ut, re, mi, fa, sol, la” seguitando le diverse combinazioni in cui esse note possono collocarsi: ciò che s’appella propriamente solfeggiare; ma per testimonianza del medesimo Guido un siffatto metodo era stato di già inventato a’ suoi tempi26. […] Similmente fra noi le persone di chiesa s’applicarono a siffatto esercizio, come sappiamo di molti, tra quali vanno attorno stampate le sei commedie sacre di Rosvita canonichessa di Gandersheim scritte prima del mille: si sa parimenti da un antico storico citato dal Muratori, che vi si usò dal clero recitar in pubblico i ludi, come fanno in oggi gli attori, e (ciò che dilegua affatto ogni dubbio) nel decretale di Gregorio nono si asserisce espressamente che i preti diaconi e suddiaconi comparivano mascherati in chiesa a divertir il popolo con simili spettacoli29 autorizzati qualche volta colla presenza del Vescovo.
Ma il vero stile della declamazion musicale si riconobbe più distintamente nelle opere di Giambattista Lulli, fiorentino, il quale, passando in Francia nella piccola età di sei o sette anni, e apparando ivi l’arte di suonar il violino e di comporre per musica divenne portato dal grandissimo ingegno onde avealo fornita la natura, il corifeo della Francia. […] Tu sei sicura di quella di tutte l’anime oneste.
Queste due pastorali furono tradotte in Francia cinque o sei volte infelicemente, sia per debolezza delle penne che vi s’impiegarono, sia perché la prosa francese é incapace di render competentemente la poesia italiana. […] Della Sofonisba del Trissino havvi anche una moderna traduzione francese fatta, cinque o sei anni sono, da M.
Indarno la storia ci somministra esempi maravigliosi della possanza della musica presso ai Greci; indarno la filosofia, disaminando la relazione che hanno i movimenti dell’armonia col nostro fisico temperamento, stabilisce sistemi e ne ritrae le conseguenze; la sperienza, quello scoglio fatale contro a cui si spezzano tutte le teorie, ci fa vedere che il superbo e dispendioso spettacolo dell’opera altro non è se non, un diporto di gente oziosa che non sa come buttar via il tempo e che compra al prezzo di quattro o cinque paoli la noia di cinque o sei ore. […] La prima di esse misure esprime quattro tempi, la seconda sei, la terza altri sei, e la quarta nove.
L’Azione di questa Sofonisba è grande, è eroica, come la richiede Teofrasto: i Caratteri sono gravi e tragici, secondochè consiglia Aristotile: le Passioni forti, perturbate, superiori alla mediocrità, come si pretendono nella Tragedia da tutti gl’Intelligenti: non havvi mescolanza veruna di tragico col comico, come si trova almeno in sei o sette delle quindici Tragedie Spagnuole.
Vi si eseguirono quattro balli differenti il primo della Fama con sei cigni, il secondo delle Muse con Apollo, il terzo di nani e ciclopi, il quarto di varie deità e vi comparve la Notte su di un carro di stelle tirato da quattro cavalli, e si cangiò più volte la scena rappresentando successivamente un tempio, il Parnasso, la fucina di Vulcano e i Campi Elisi.
Gottsched unì a’ suoi tutti questi componimenti, e gli publicò in sei volumi.
Gottsched unì a’ suoi tutti questi componimenti, e gli pubblicò in sei volumi.
Gli atti di questa tragedia a me sembrano sei, dovendo finire il V colla scena VIII e col coro che par mancante, e ’l VI atto comincerebbe dalla IX scena. […] Ah pensa Chi t’ascolta, ove sei: scopron que’ detti Le tempeste del cuore, De la mente i deliri. […] A che sei tu d’Ettore figlio, io sposa?
Chi sei? […] Vetturia nel Marzio dice : Ad una madre Tu ridona il sostegno, e con la patria, Se puoi, lo riconcilia; ma rammenta, Che di Roma sei padre. […] Allorchè feci imprimere la mia Storia de’ Teatri in un volume nel 1777, corsi nell’errore di chiamarlo Tommaso, e lo corressi nel 1790 col farla imprimere in sei volumi.
L’accoppiare quelle due virtù, tra se opposte, brevità e chiarezza, quanto sia difficile nelle composizioni (e massimamente ne’ drammi musicali che non possono adottare per loro uso nel canto serio più di sei in sette mila parole radicali tra le quarantaquattro mila noverate da Anton-Maria Salvini nella lingua italiana) ce l’insegna Orazio allorché dice nell’Arte poetica: ……… brevis esse laboro, Obscurus fio. […] Cratino compose sei libri de Menandri furtis;Terenzio fu chiamato dimidiate Menander; Molière trasse molti soggetti e pensieri da comici italiani e spagnuoli, come di sopra é stato accennato; e così anche de’ loro predecessori fecero Sofocle, Euripide, Racine, Voltaire ec.
Bella in Euripide è la narrazione dell’ incendio e della morte di Creonte e della figliuola, che serve a far trionfare Medea per la ben riuscita vendetta; ma forse non men bellamente Seneca se ne disbriga in quattro o sei versi, scorrendo più rapidamente alla tremenda strage de’ figliuoli per trafiggere nella più tenera parte il cuor del padre. […] Il solo squarcio che convenga direttamente all’argomento si racchiude ne’ sei ultimi versi del ragionamento d’ Ippolito, Sed dux malorum fœmina; e quel che veramente caratterizza questo personaggio è la risposta data con impeto e vivacità a ciò che dice la Nutrice: Nut.
Ecco l’origine di quel regno che di mano in mano sono venuti formando sulle scene i cantanti; imperocché accomodandosi questi ad un sistema che proccurava loro l’occasione di sfoggiare nel canto più raffinato ch’esigono le arie coll’agilità della voce senza trovarsi, a così dir, rinserrati fra le angustie del recitativo, costrinsero il compositore ed il poeta a strozzar il melodramma riducendolo a cinque o sei pezzi staccati, dove si fa pruova non d’illusione, né di teatrale interesse, ma d’una sorprendente volubilità ed artifizio di gola. […] Chi sei mangia fra’ denti, chi lo canta ridendo. […] Ora dalla storia d’Atene sappiamo che le pubbliche deliberazioni non potevano decidersi senza il concorso di sei mille cittadini; dunque il teatro doveva capire questo numero almeno.
Cinque o sei anni dopo che Livio ebbe introdotta la poesia teatrale in Roma, cioè verso l’anno 519, Gneo Nevio poeta nato nella Campania vi fe udire i suoi drammi tragici e comici. […] Ella è vaga, è vezzosa, e tu non sei conosciuto dal ruffiano Dordalo. […] Anzi non io (Tossilo dice) ma qualche altro che possa fingersi forestiere, cosa non difficile, non essendo scorsi che sei mesi dalla venuta del ruffiano da Megara in questa città.
Vedi la sua Nota al I tomo della mia Storia de’ Teatri in sei volumi del l’edizione Napolitana.
Chi sei? […] Non è improbabile che gli atti di questa tragedia sieno sei, e che il quinto termini dopo la tenera scena dell’ultimo addio della madre e d’Ifigenia, colle parole che questa dice alle fanciulle perchè cantino in onore di Diana nella sua disgrazia. […] Ah pensa Chi ti ascolta, ove sei: scopron que’ detti Le tempeste del cuore, De la mente i delirj. […] A che sei tu d’Ettore figlio, io sposa?
Ma forse non men bellamente Seneca se ne disbriga in quattro o sei versi, scorrendo più rapidamente alla tremenda strage de’ figliuoli per trafigere nella più tenera parte il cuor del padre. […] Il solo squarcio che convenga direttamente all’argomento, si racchiude ne’ sei ultimi versi del ragionamento d’Ippolito, Sed dux malorum foemina ; e quel che veramente caratterizza questo personaggio, è la risposta data con impeto e vivacità a ciò che dice la Nutrice: Nut.
Vi si eseguirono quattro balli differenti, il primo della Fama con sei cigni, il secondo delle Muse con Apollo, il terzo di nani e Ciclopi, il quarto di alcune deità; e vi comparve la Notte su di un carro di stelle tirato da quattro cavalli; e si cangiò più volte la scena rappresentando successivamente un tempio, il Parnasso, la fucina di Vulcano ed i Campi Elisii. […] Ha sei ordini di palchetti; ma (dice l’autore dell’ opera del Teatro) de’ comodi interni, e dell’abbellimento esteriore, non vi è occasione di poterne fare neppure un cenno.
La sua opera più importante relativa al teatro è Il primo libro d’architettura, pubblicato in edizione bilingue a Parigi nel 1545, con il privilegio del Re e diviso in Primo libro di geometria e Il secondo libro di perspettiva, che comprende a sua volta un Trattato sopra le scene composto da sei capitoli dedicati all’allestimento scenico.
Fu non per tanto giustissima l’osservazione d’un giornalista a cui né questo titolo, né lo stile impetuoso e sovente mordace debbono sminuire il pregio d’aver veduto chiaro in molte cose, che di quarantaquattromila e più voci radicali che formano la lingua italiana, solo sei o settemila in circa fossero quelle ch’entrar potessero nella musica69.
Carlo Bertinazzi godè, in grazia del suo nome e dell’indole sua, dell’affetto e del rispetto di ragguardevoli personaggi ; e vediamo i sei figliuoli avuti dal suo matrimonio con Susanna Foulquier di Nantes, attrice e più danzatrice della Commedia Italiana, sorella della celebre Catinon, tenuti a battesimo, chi dall’Intendente degli ordini del Re, chi dall’Intendente di Palazzo, chi dal Ricevitor generale delle Finanze, ecc.
Scrisse il Carretto tre altre commedie, una delle quali s’intitolava I sei Contenti; ma esse non videro la luce, per esserne forse gli eredi stati distolti da tanti altri drammi di maggior pregio che dipoi apparvero. […] Da poi ch’ella fu morta, il re sospeso Stette per breve spazio muto e mesto Da la pietate, e da l’orror confuso Il suo dolor premea nel cor profondo; Poi disse: Alvida, tu sei morta, io vivo Senza l’anima? […] Tu che figlia di dea ti chiami e sei, E dea sembri negli atti e nel sembiante, Se la tua gloria gira al par del Sole, A che cerchi oscurarla?
Voltaire che in simili opere spendeva talora pochi giorni, si occupò a perfezionarlo intorno a sei anni. […] Anche i fanciulli sanno notare la mano con sei dita in una figura di Raffaele, ma il tragico del suo pennello, l’espressione inimitabile, la maestosa semplicità, la correzione del disegno, la verità del colorito, la vaghezza del chiaroscuro, non si sentono da chi non conosce l’arte.
Nella bellissima prima scena quando nasce l’amor dì Silvia dal racconto del pericolo di Aminta, ella non mostra gl’interni movimenti se non col pianto che le soprabbonda, e il poeta fa che Dafne gli vada disviluppando: Tu sei pietosa, tu!
Nella bellissima prima scena quando nasce l’amor di Silvia dal racconto del pericolo di Aminta, ella non mostra gl’ interni movimenti se non col pianto che le soprabbonda, e il poeta fa che Dafne gli vada disviluppando: Tu sei pietosa, tu!
mo gran Duca di Toscana in Firenze ringraziandolo di raccomandazioni sollecitate dal Granduca pei Sovrani di Francia, intese ad ottenerle, chi sa, forse la Loro Augusta protezione nel suo prossimo parto ; quello che, non condotto a fine, doveva, sei mesi dopo, condur lei al sepolcro. […] Lasciando di parlar di quelli che apaiono in scena, di che si trattarà dimane, come ui ho detto, e darouui anco sopra essi il mio parere circa il loro accrescere o scemare riputatione a le comedie, dico, che gl’ intermedij di musica almeno, sono necessarij alle comedie, si per dar alquanto di refrigerio alle menti de gli spettatori ; et si anco per che il poeta [come ui cominciai a dir hieri] si serue di quello interuallo, nel dar proportione alla sua fauola. poscia che ogn’uno di questi intermedij, ben che breue, puo seruir per lo corso, di quattro, sei, et otto hore a tale che quantunque la comedia, per lunga che sia, non hà da durar mai piu che quattro hore ; spesso se le dà spatio di un giorno intiero, et anco alcuna uolta di mezzo un’ altro, et il non comparire personaggi in scena ; fa questo effetto con maggiore eficacia.
Non empiono questo gran vuoto nè le musiche, i balli e i travestimenti usati da’ Cherici nelle feste solenni dal VII sino al X secolo, nelle quali con istrana mescolanza di pagane reliquie e di cerimonie Cristiane danzando e cantando esponevano le favole delle gentili divinità188; nè gl’ ignorati o negletti sei dialoghi di Roswita monaca di Gandersheim intitolati commedie, che appartengono al decimo secolo189.
Oh come sciocca sei, se tu tel credi.
Chi sei? […] Vetturia nel Marzio dice, Ad una madre Tu ridona il sostegno, e con la patria, Se puoi, lo riconcilia; ma rammenta, Che di Roma sei padre.
Io credo, Signor Lampillas, che potremo per lo meglio affermare, che le favole del Malara fossero state Tragedie, come le sei del Vega.
Favole sceniche parmi, che appena in essa se ne trovino finora inserite cinque o sei.
Oh come sciocca sei, se tu tel credi.
Da poi ch’ella fu morta, il re sospeso Stette per breve spazio muto e mesto Da la pietate, e da l’orror confuso Il suo dolor premea nel cor profondo; Poi disse: Alvida, tu sei morta, io vivo Senza l’anima? […] Tu che figlia di dea ti chiami e sei E dea sembri negli atti e nel sembiante, Se la tua gloria gira al par del Sole A che cerchi oscurarla?
Voltaire che in simili opere spendeva talora pochi giorni, si occupò a perfezionare il Fanatismo intorno a sei anni. […] Anche i fanciulli sanno notare la mano con sei dita in una figura di Raffaello; ma il tragico del suo pennello, l’espressione inimitabile, la maestosa semplicità, la correzione del disegno, la verità del colorito, la vaghezza del chiaroscuro, non si sentono da chi non conosce l’arte.
Imperocché confondendosi spesso per cotal mezzo i suoni d’indole opposta, come sono il grave e l’acuto, non solo in due parti che cantassero ad una, ma anche in quattro, in sei, e in più insieme; sovente accadeva che la commozione che potea destarsi nell’animo da una serie di suoni, veniva incontanente distrutta da un’altra di contraria natura.
Ah voi tacendo, Sento dir, tu mi sei madre, Nè colui mi generò.
Febo ora dal mezzo del cielo piove empie faville Arde ora i più freddi monti l’adusto cane, Fermati: troppo sei da fervide vampe riarso, Non ponno i stanchi piedi più oltre gire.
Luigi Riccoboni aveva optato, nel suo Dell’arte rappresentativa, per la forma del poema in ottave, strutturato in sei capitoli. […] Il primo che abbia trattata veramente questa materia si è Luigi Riccoboni, che alla pratica cercò pure di unir la teorica, e scrisse e pubblicò con le stampe in italiano ed in francese diverse operette sull’argomento, e specialmente i sei capitoli su l’Arte rappresentativa, stampati in Londra sul 1728, e l’Arte del teatro. […] Noi diciamo: Tu non sei in tuono, tu sei fuori di tuono, come se dir volessimo: Tu non sei in consonanza ed in accordo, tu non rispondi a quella norma, alla quale dovresti rispondere. — Ma qual è questa norma generale che può determinare sicuramente il tuono che la voce ne’ vari incontri dee prendere? […] Gli scultori non danno più di sei piedi alla grandezza naturale d’un uomo; ma l’eroica la fanno montare da quel termine fino a dieci, oltre il quale termine comincia la statua a divenir colossale. […] A quanti di loro potrebbe farsi la stessa dimanda che fece a non so chi quel tal danzatore di cui parla Elvezio: Di qual paese sei tu?
Così il Metastasio: Se vedrai co’ primi albori D’occidente uscir l’aurora, Dimmi allora: Galatea non sei fedel. […] E che in fine se mentre la prima eseguirà cinque oscillazioni, l’altra n’eseguirà sei, questa darà la terza minore. […] Egli divise i trentasei figuranti, di cui quella truppa era composta, in sei classi, ciascuna di sei persone, tre delle quali erano uomini ed altrettante donne. […] E un’altra volta, mentre uno spilungone rappresentava Capaneo sotto le mura di Tebe, «Tu non dovrai (gridò il popolo) aver bisogno di scale, poiché sei più alto delle mura». […] [commento_Sez.II.1.2.13] • Galatea non sei fedel: P.
Dimmi che un empio sei, E allor ti crederò.»
A sei capi ponno quelle ridursi, come si trovano dalla pagina 299 fino alla 315 del primo Tomo della edizione di Parma nel capitolo duodecimo.
Privi per mancanza d’educazione e di studio d’ogni idea filosofica dell’arte propria, i ballerini non sanno distinguere ciò che vuole una danza artifiziosa da ciò che vorrebbe una facoltà imitativa, ma mischiano l’una coll’altra, e la confondono in guisa che tu sei costretto a non vedere che il danzatore colà dove non cercavi che il pantomimo.