Il conte di Chesterfield pronunziò un eccellente discorso contro il bill, che però passò in legge.
E per la pastorale infatti abbiamo nuova testimonianza nel seguente sonetto che le indirizzò il conte Ridolfo Campeggi, quand’ella recitò in Bologna l’ Aminta del Tasso : Alla Signora Celia Comica Confidente, Silvia nell’ Aminta rappresentando Donna, s’io miro gli occhi, o il crine in onde, La bella fronte, e le serene ciglia, In sè (dico al mio cor) con meraviglia Le bellezze del Ciel Celia nasconde.
Nè soltanto si mostrò valorosa nelle parti serie, ma anche in quelle di serva, ch'ella sostenne sotto il nome di Fioretta, e nella danza, esercitate con rara maestria, a testimonianza del conte Gio.
E pare che il Marchese Decio fosse lo spauracchio de'Comici, se dobbiam credere a una nuova raccomandazione in nome del serenissimo senza nome del raccomandato nè dello scrivente, ma che concerne certo la faccenda Sacco, al Conte Francesco Dragoni Governator di Bersello à Modena, intestata A Lei Sola, e che comincia : Ella havrà riguardo a non lasciar cader il negotio, nè la confidenza sul Sig.
Nella lettera al conte Giuseppe Alcaini che prelude ai Motti della prima edizione (Venezia, 1787) egli dice : « Nella mia vecchiezza, fatta più grave dalle disgrazie che l’accompagnano, ho il conforto di sentirmi per le vie commiserato, e di udire universalmente esagerato il dispiacere dello scioglimento della nostra Compagnia comica (quella del Sacco) un tempo tanto favorita da quest’ inclita Metropoli di concorso alla nostra Commedia improvvisa dell’Arte ».
Il dottissimo conte della Torre Gaetani ne distingue con più esattezza le parti che ne sopravvanzano, ed il sito. […] Riuscì al prelodato conte Cesare Gaetani nel 1756 di scoprire nella parte opposta in faccia al levante quest’altre lettere belle ed intere, ΒΑΣΙΛΙΣΣΑΣ ΦΙΛΙΣΤΙΔΟΣ (Reginae Philistidis) che non improbabilmente potrebbe credersi una regina che dominò in Siracusa, e forse a suo tempo si eresse il teatro1.
Giunsero a Fano le prime voci dei moti di Lombardia e del Veneto, si formò segretamente una compagnia di volontari organizzata dal conte Annibale di Montevecchio, figlio di quel Giulio che fu amico del Foscolo, e i fratelli Rossi, fra i quali era mio padre, scapparono da Fano per recarsi a Vicenza. […] Maestro Andrea del Ghiacciajo del Monte Bianco, Don Ambrogio della Celeste, Conte Sirchi del Duello, Marechal del Figlio di Giboyer, Papà Martin della Gerla di Papà Martin, Filiberto del Curioso Accidente, Geronte del Burbero benefico, Risoor di Patria, Palchetti della Vita Nuova, Gaspero di Moglie e buoi de' Paesi tuoi, Papà Remigio di Claudia, Bernardino di Oro e Orpello, Croci del Gerente responsabile, Lamberto della Famiglia, Pietro Branca di Spiritismo, Don Marzio della Bottega del Caffè, Simonaza di Convincere, Commuovere, Persuadere, L'Abate Costantino e Rabagas….
L’Italia conta i cardinali Bibiena, Delfino, Pallavicino, i nobili Bentivoglio, Ariosto, Tasso, Machiavelli, Salviati, Secco, Conti, Maffei, Rota, Costanzo, il Gaetano duca di Sermoneta, Ann bale Marchese, il conte Panzuti, e cento altri magnati, militari di distinzione, vescovi e gran magistrati intenti a promuovere gli avanzamenti della teatral poesia.
Del Buonarrotti il giovane e de’ di lui drammi leggasi quanto ne dice il conte Mazzucchelli, a cui si può aggiugnere il giudizio, che della Tancia portò il Nisieli in questa guisa: Ridicolosa, accomodata e ingegnosissima invenzione mi par quella dell’ autor della Tancia commedia, ove per cori all’usanza delle antichissime commedie de’ Greci, inventò alcuni intermedj nel fine d’ogni atto, i quali contengono fragnolatori, uccellatori, pescatori, e mietitori, tutte persone opportunissime alla scena, e convenevolissime al subjetto rusticano.
Sfogliando una serie di manifesti della Compagnia Fabbrichesi ne ho tratto le parti ch’egli sosteneva : Rotemberg nell’ Onor vince amore d’Iffland – Falklaud nella Coscienza – Il Presidente Monsenico nel Berretto nero – Merfort nel Pittore per amore – L’ Abate de l’Epée nella commedia omonima – Il Conte nel Portafoglio di Kotzebue – Giacobbe nel Giuseppe in Egitto – Valman negli Eredi dal tedesco della Waisen-Thurn, prima attrice al Teatro Imperiale di Vienna – Lord Suffold nel Benefattore e l’Orfana di Nota. – E altre ne cita Luigi Borghi in una sua Dissertazione in difesa dell’Arte Comica, al De Marini dedicata, nella quale sono parole di entusiasmo per l’artista gigante.
Le dedicatorie che precedon l’opere sue a stampa ci dànno indicazioni precise di data : L’Amor giusto, Egloga pastorale in napolitana e toscana lingua, fu stampato il 1605 da Pandolfo Malatesta a Milano, e dedicato al Conte Antonio Litta con lettera in data del 3 agosto.
Conte di Aranda.
Di un altro putto Etrusco che vuolsi trovato sin dall’anno 1587 vicino al Lago Trasimene e poi rubato dal Museo del Conte Graziani Perugino e ricuperato dopo molti anni, favellarono il p.
Laonde alla mancanza del concorso nel loro teatro pensarono i commedianti di riparare colle accennate imitazioni delle commedie spagnuole, e con altre ancora più difettose, come il Conte di Saldagna, Bernardo del Carpio, Pietro Abailardo ecc.
Serbo una vaga, pallida idea di quegli artisti, tranne più quà, più là, di Cesare Rossi, grandissimo nella parte di Cesare ; ma una assai chiara ne serbo di Luigi Bellotti-Bon, del quale una intera scena mi si confisse nel cervello, e colla scena l’impressione profonda che n’ebbe il pubblico : ….. la scena VIII dell’ atto I, in cui il Conte Carlo insegna al figlio Paolo il modo di salutar da cavallo una signora.
Chi la vide rappresentare L'Alexina, La Fiera, La Lusinghiera, e La Vedova in solitudine del Nota ; La Sposa sagace, le due Pamele, Gl’Innamorati, le tre Zelinde del Goldoni ; La bella Fattora, traduzione del conte Piosasco ; le due Chiare di Rosenberg, La figlia della terra d’esilio, L'Orfanello suissera, drammi scritti a posta per lei dal fratello Luigi, non potè a meno di riconoscere e di applaudire in lei quei tratti di grande attrice, che caratterizzano il vero genio.
Altro che el Conte Ugolino !
Non può riprendersi che Romolo venga dipinto come innammorato a differenza de’ suoi soldati che altro non cercano se non che una donna; ma al Conte di Calepio sembra incredibile il di lui amore, perchè nato tra’ continui disprezzi di Ersilia. […] Ma il Conte di Calepio critico non volgare oppone non senza apparenza di ragione, che essendo Zaira uccisa appunto quando abbracciando la religione de’ suoi maggiori è disposta a rinunziare alla felicità che attendeva dalle sue nozze, sembra che la di lei morte non possa concepirsi come castìgo della sua passione. […] Questo disegno non può abbastanza lodarsi; ma il Conte di Calepio stima che Voltaire non ebbe questo disegno prima di comporla, giacchè ne prese il titolo da Alzira e non da Gusmano. […] Nell’una e nelle altre egli pretende giustificare le nere calunnie da lui seminate contro del conte Luigi Avogadro di Brescia, del principe d’Altamura napoletano, del marchese di Pescara, del pontefice Giulio II e di tutta la nazione Italiana. […] Eccolo in un bivio tragico, ed eccolo ridotto per di lei decoro ad un silenzio che lo fa soggiacere alla pena di morte dovuta ad un reo di stato; e questo silenzio diventa nobile al pari di quello del Conte di Essex.
Questo argomento ben maneggiato dal conte Alfieri alla sua foggia, e tentato da altri anche in Francia1, spinse il conte Pepoli a ritoccare la sua che avea prodotta in Napoli e in Venezia. […] Non ripeterò quanto allora osservai su questa del conte Pepoli. […] Dopo varie buone tragedie italiane e francesi di Giunio Bruto, il conte Alfieri ha maneggiato quest’argomento senza amori, e con nuovo interesse ed energia. […] L’erudito conte della Torre Cesare Gaetani nato nel 1718 nell’età di anni 78 in cui si trova non ha tuttavia tolto congedo dalle muse sceniche. […] In una lettera del sig. conte scrittami a’ 26 di ottobre del 1796 condiscendendo cortesemente alla mia richiesta mi rimise una nota degli altri suoi Oratorii e di altre produzioni sceniche.
Massimamente sotto il governo di Cristina sorella di Lodovico XIII re di Francia e vedova di Vittorio Amadeo Duca di Savoia, che a quei tempi regolava come tutrice i popoli di Savoia e del Piemonte, e che molto si compiaceva di siffatti divertimenti insiem col Conte Filippo d’Agliè non men celebre pel suo buon gusto nelle decorazioni teatrali che per politiche disavventure77, Meritano particolar menzione per allegoria opportuna e per vaghezza di ritrovato il cielo di cristallo, e le Glorie di Firenze rappresentate colla solita magnificenza di quella corte nelle nozze di Cosimo de’ Medici con Maddalena d’Austria, e per quella di Torino il Vascello della felicità, e l’Arionne che furono veduti al palazzo reale nel Carnovale del 1628, celebrandosi la nascita di Madama di Francia. […] bene, bene Mi cavasti di pene [9] Gli amori introdotti sempre come principale costitutivo dei drammi non solo erano ricercali, falsi e puerili, ma in siffatta guisa indecenti che sembravano rappresentaci a bella posta sulle scene per giustificar il rimprovero che diè il Conte Fulvio Testi ai poeti italiani di quel tempo: «Fatto è vil per lascivia il Tosco inchiostro.» […] Questi sono que’ d’Andrea Salvadori, il quale meglio d’ogni altro seppe dopo il Rinuccini far versi accomodati alla musica, alcuni del Conte Prospero Bonarelli, dell’Adimari, del Moniglia, il Trionfo d’Amore di Girolamo Preti, e pochi altri.
Egli però attese a rendere più degne di compassione Sabina e Camilla, per la qual cosa, secondo il Conte di Calepio, i primi tre atti riescono appassionatissimi, e gli ultimi due freddi ed inutili. […] Trasse Tommaso Cornelio il suo Conte di Essex dalla commedia spagnuola del Coello o di Filippo IV Dar la vida por su Dama; ma rendendola più regolare ne peggiorò il carattere dell’Essex. […] Chi ne bramasse qualche saggio, consulti l’edizione del teatro di Pietro Cornelio pubblicato colle osservazioni del Voltaire, ed anche l’eccellente Paragone della Poesia tragica del più volte lodato conte Pietro da Calepio.
Si dee anche considerare, che l’intelletto dell’uomo non avendo se non se una misura fissa e molto stretta di quello che si può sapere, perde da una parte quanto acquistai dall’altra; e perciò dice assai bene il dottissimo conte Lorenzo Magalotti «che il capitale del sapere sia stato appresso a poco sempre l’istesso in tutti i tempi, e che la differenza sia consista nell’essersi in un secolo saputo più di una cosa in uno più di un’altra, come quel magazzino che oggi é pieno di spezierie, domani di tele, quell’altro di lana, e va discorrendo; ma di tutte quelle mercanzie non ve n’é mai più di quello che importano i corpi e il credito di quella casa di negozio, che lo tiene in affitto… Bisogna poi ricordarsi, che quello che noi sappiamo adesso, si sapeva tremil’anni fa, e ch’é della Filosofia, come delle mode, che non sono mode, perché comincino a usare adesso, ma perché é un pezzo che non erano usate».
L’erudito e gentil Cavaliere il Signor Conte Catanti possiede tre commedie originali Cinesi impresse nella China, le quali nel 1779 si compiacque d’inviarmi da Pisa a Napoli sulla speranza che avessero potuto quì tradursi e pubblicarsi colla mia assistenza.
Le commedie sono : la Rhodiana, l’Anconitana, la Piovana, la Vaccaria, la Moschetta e la Fiorina ; se bene il Calmo nella dedica della Rodiana che fa al Conte Ottaviano Vimercati, affermi questa commedia esser sua, così dicendo : e dia la colpa a’ maligni, che mi rubarono la Commedia Rhodiana, la quale fu recitata in Vinezia del 1540, e poi nella Città di Trevigi sotto il felice Reggimento del clarissimo M.
.), ridotto della metà, è una pagina bianca, poi, pagine 3 e 4, la seguente lettera di dedica : AL MAGNANIMO Monsieur, Monsieur HENRY de BOURBON, premier burgeois de Paris, chef de tuts les Messieurs de Lyon, Conte de Mommeillan, Chastellan du fort de Santa Caterina, Gouverneur de la Bressa, Pretentor del Marquisat de Saluces, Armiral de la mer de Marseille, maistre de la moitié du pont d’Auignon, & bon amis du maistre de l’autra moitié, Conseiller Souuerain au Conseil de guerra contre les Plamontois, Gratieusissimo courreur de bague, Cappitaine general de France et de Nauarre, Despensier liberal de canonades, Terreur de Sauoyard, Spauente de Spagnols, Colonel des soldats, qui sont en Sauoye, Secretaire Secret du plus secret Cabinet de Madama MARIA DI MEDICI, Reina du Louure, Grand Thresorier des Comediens Italiens.
L'agosto del '55 egli era a Genova, come si rileva dalla lettera inviata a Modena al Conte Cimicelli (V.
Del rimanente nell’Ajace io non vedo nella contesa di Menelao e poi di Agamennone con Teucro e spezialmente in quella di Ulisse, tante villanie obbrobriose quante nel Paragone della Poesia Tragica ne rimprovera a Sofocle il conte Pietro di Calepio critico per altro assai saggio. […] Piacemi che il soprallodato conte Pietro da Calepio osservi che sia figura lirica l’apostrofe di Filottete al proprio arco ed al fragore del mare che sentiva stando nel l’antro di Lenno.
Fu il secondo una festa fatta rappresentare dal conte de Ureñas nella propria casa ospiziando il re Ferdinando che passava a Castiglia per isposare la regina Isabellaa, e non già in occasione delle nozze de’ Cattolici re , come asserì il Lampillas.
Fu il secondo una festa fatta rappresentare dal conte de Ureñas nella propria casa ospiziando il re Ferdinando che passava a Castiglia per isposare la regina Isabella71, e non già in occasione delle nozze de’ Cattolici re, come afferma il Lampillas.
r conte Residente fece obligare in scrittura al servitio del S.
Per un momento, se bene il Bartoli chiami l’Eularia giovinetta nel 1652, ho pensato che quella potesse essere figliuola di questa, e che la madre di cui chiedeva la vicenda Flaminio (Marco Napolioni) per sua figlia, fosse appunto l’Eularia : ma ecco un’ altra lettera al Duca di Modena dello Zio Tomaso, con data di Ivrea, 13 gennaio del 1643, comunicatami dal Conte Malaguzzi dell’Archivio di Modena, che comincia così : Feci dire nell’ anno passato a Bernardino Coris, Comico, chiamato Silvio, che non s’obbligasse a Compagnia, poichè desiderano il ritorno di lui e di Florinda sua moglie per recitare in comedia………………… ………………………… Non sarebber questi per avventura il padre e la madre, nel cui nome, assieme alla Lessandrina (una sorella minore), l’Orsola saluta il Duca di Mantova ?
[11] Nè contento di questo il Galilei tanto vi si affaticò coll’ingegno, che trovò nuova maniera di cantar melodìe ad una voce sola, poiché sebbene avanti a lui scusasse di farle coll’accompagnamento degli strumenti, esse altro non erano che volgari cantilene intuonate da gente idiota senz’arte o grazia: nel qual modo pose sotto le note quello squarcio sublime e patetico di Dante, ove parla del Conte Ugolino, che incomincia «La bocca sollevò dal fiero pasto», e in seguito le lamentazioni di Geremia, che grande applauso trovarono allora presso agl’intendenti. […] Angelo Grillo scrisse a sua richiesta i Pietosi affetti, e il Conte di Vernio compose l’intermezzo mentovato di sopra. né tralasciò di concorrer anch’egli poetando al medesimo fine, di che può far testimonianza la seguente canzonetta, ch’io qui ho voluto trascrivere dalle carte musicali dove si trova, a fine di render più noto a’ suoi nazionali codesto valentuomo ignorato in oggi dai poeti e dai musici, ma che merita un luogo distinto fra gli uni e fra gli altri: «Udite, udite, amanti, Udite, o fere erranti, O Cielo! […] [18] Dopo la dipartenza per Roma del Conte di Vernio, ove poi divenne maestro di Camera a’ servigi del papa Clemente Ottavo, la letteraria adunanza si trasferì alla casa di Jacopo Corsi altro gentiluomo fiorentino, non meno fautore delle belle arti, né meno intelligente nella musica massimamente teorica.
Saurin nella tragedia di Blanche et Guiscard, e in Italia dal conte Calini nella Zelinda, dal conte Manzoli in Bianca ed Errico, e da don Ignazio Gajone nell’Arsinoe. […] Il lodato autore della gazzetta letteraria così scrisse nel mese di luglio 1765: «L’art dramatique est encore bien plus tombé chez les Anglais que parmi nous; on ne voit plus guère paraître sur leur scène que des farces satiriques où de plates imitations de nos comédies et de nos contes, composées sans génie et écrites sans esprit».
In Italia calca gloriosamente le orme del gran Ginevrino il conte Alessandro Pepoli nella sua Pandora favola lirica divisa in cinque scene, in cui intervengono Pandora, Prometeo, Epimeteo. […] L’anno 1782 (ed è questo un altro fatto che smentisce solennemente il gazzettiere Colpo d’occhio) il Sovrano di Parma, continuando nell’intento di promuovere d’ogni maniera i progressi della drammatica, fe rappresentare splendidamente nel suo teatro Alessandro e Timoteo scritto con eleganza e forza poetica dal sig. conte Castone della Torre Rezzonico e posto in musica dal celebre Giuseppe Sarti. […] Il sig. conte Pepoli che lo segue e ne adora le vestigia, ha pubblicato nel 1789 il suo Meleagro accompagnato da una lettera sul melodramma serio ad un uomo ragionevole, il quale nè anche parmi che abbia presentate sulle scene le nuove vesti delle antiche furie, de’ numi infernali, delle ombre e delle parche, corteggio perpetuo delle tragedie musicali mitologiche.
Però non ostanti i suoi talenti poetici, nonostante la dovuta stima ch’esige il Signor de’ Calsabigi per lo studio posto nelle cose teatrali di cui ci porge egli eccellenti saggi non meno nella citata dissertazione che nella sua lettera al Conte Vittorio Alfieri; bisogna pur accordare esser egli uno de’ principali corruttori del moderno musicale teatro. […] [20] Purgatezza di lingua, venustà di stile, colorito poetico, varietà e delicatezza d’immagini espresse con ottimo gusto, sono le doti che caratterizzano l’Alessandro e Timoteo del Conte Gastone della Torre di Rezzonico rappresentato anni fa nel regio ducale teatro di Parma Pochi, o per dir meglio, nessuno fra i drammi musicali moderni è scritto con uguale vaghezza. […] Eppure non sembra che il pubblico la intenda così se giudicar dobbiamo dalla fredda accoglienza che ha fatta al dramma del Conte Rezzonico. […] Aggiungasi che il protagonista il cui nome dovrebbe eccitare l’idea dell’eroismo, non m’offre nel dramma del Conte Rezzonico veruna di quelle qualità che risvegliano l’interesse.
Commento Saggio sopra l’opera in musica, in Opere del conte Algarotti, Tomo II, Livorno, Coltellini, 1764, pp. 251-390. […] Alexander Pope, Epistola IV, a Riccardo Boyle, conte di Burlington, Dell’uso delle ricchezze.
Mairet compose altre due tragedie non molto inferiori alla Sofonisba, le quali si rappresentarono nel 1630, cioè la Cleopatra favola ben condotta, ed il Grande ed ultimo Solimano regolare, ed interessante, in cui l’autore afferma di essersi prefisso di vestire alla francese il Solimano del conte Prospero Bonarelli 1. […] Pare che i Francesi non tarderanno a ridursi sotto il vessillo della verità e del senno prendendo ad imitar gli uomini ancor nella scena musicale; ed intanto alcuni Italiani, caporione de’ quali si era dichiarato il fu Ranieri di Calsabigi, che sedusse anche il conte Pepoli, incapaci di riescir nell’opera di Zeno, e di Metastasio, si sono ingegnati, senza effetto per altro, di alienarne la propria nazione predicando coll’esempio, e colle parole a favore delle furie danzatrici.
Di un altro Putto Etrusco che vuolsi trovato fin dall’anno 1587 vicino al Lago Trasimene, e poi rubato dal museo del conte Graziani perugino, e ricuperato dopo molti anni, favellarono il p.
E dall’Archivio di Milano (Presidenza Melzi, – Polizia, Carta 19), il conte Paglicci-Brozzi mi manda questa nota e questo sonetto : Ieri sera al teatro della Scala si riprodusse il Cincinnato, e non furono tralasciate le espressioni proibite dal Presidente Lucini : al terzo atto fu gettato dal loggione il sonetto del quale unisco copia.
re Conte, contro sua uolonta, ricorre al Innata bontà del A.
Rilevasi dalle cose esposte che non ebbe torto il giudizioso conte di Calepio in censurar nel Catone le figure troppo poetiche che ne guastano qualche volta la gravità e verità dello stile, la peripezia malamente sospesa con intempestive scene di persone subalterne, i freddi intrighi d’amore, e più altri difetti dell’arte rappresentativa. […] Si è replicata per molti anni con applauso Sigismonda e Tancredi tragedia ricavata da una novella del romanzo di GilBlàs, la quale in Francia s’imitò dal Saurin con la sua Bianca e Guiscardo, ed in Italia dal conte Calini colla Zelinda, dal conte Manzoli con Bianca ed Errico e dal sig.
Cornelio il suo Conte d’Essex dalla commedia spagnuola del Coello Dar la vida por su Dama; ma rendendola più regolare ne peggiorò il carattere dell’Essex. […] Chi ne bramasse qualche saggio, consulti l’edizione del teatro di Cornelio pubblicata colle osservazioni di Voltaire, ed anche l’ eccellente Paragone della poesia tragica del più volte lodato conte Pietro di Calepio.
Conte Girolamo Dal Pozzo, che colle sue opere rinfresca in Verona sua patria la memoria del Sanmichele.
Alle censure fatte dal Signore di Voltaire contro all’Edipo Tiranno di Sofocle in alcune lettere che trovansi nel primo volume del suo Teatro dopo l’Oedipe, rispose il Conte di Calepio con una bell’ apologia; e ultimente sin anche il Sig.
Il Conte di Calepio, parlando del decoro, osserva in questa tragedia dell’ Ercole Eteo, che con giudizio vien mitigato da Seneca il discorso che secondo Sofocle fa al figliuolo per obbligarlo ad esser parricida e divenire consorte della concubina paterna.
Rilevasi dall’esposte cose che non ebbe torto il giudizioso Conte di Calepio in censurar nel Catone le figure troppo poetiche che ne guastano talvolta la gravità, e verità dello stile, la peripezia malamente sospesa con intempestive scene di persone subalterne, i freddi intrighi d’amore, e più altri difetti che offendono l’arte rappresentativa. […] Si replicò per più anni con applauso Sigismonda e Tancredi tragedia ricavata da una novella del romanzo di Gil Blàs, la quale in Francia s’imitò dal Saurin con la sua Bianca e Guiscardo, ed in Italia dal conte Calini colla Zelinda, dal conte Manzoli con Bianca ed Errico, e dal sig, Ignazio Gajone coll’Arsinoe.
Di lui vedi l’Eritreo nella Pinacoteca, il conte Mazzucchelli t.
Qui le Sceniche Muse al cenno pronte Di verde serto ornarla ; e all’Indo e al Moro Le virtù di Giuseppa andar più conte.
Ma di altra opera importantissima dovrem parlare qui, a mia notizia non mai pubblicata per le stampe, posseduta manoscritta (e assai probabilmente autografa) dal conte Paglicci-Brozzi, addetto all’Archivio di Stato di Milano, e solerte raccoglitore di cose teatrali, il quale con abnegazione più unica che rara volle mandarmela in esame, concedendomi di pubblicare quanto fosse stato necessario al maggiore e migliore sviluppo di questo dizionario.
Il Byron nel suo diario, alla data del 6 gennaio 1821, a Ravenna, scrive : Parlato col conte Pietro Guiccioli del comico italiano Vestri, che è ora a Roma.
Gli Abbagli felici del conte Prospero Bonarelli della Rovere si pubblicò in Macerata nel 1642, e non è commedia da confondersi colle buffonesche accette al solo volgo. […] Laonde alla mancanza del concorso nel lor teatro pensarono i commedianti di riparare colle accennate imitazioni delle commedie Spagnuole, e con altre ancor più difettose, come il Conte di Saldagna, Bernardo del Carpio, Pietro Abailardo ec. […] Ciò è storia nota in Europa; e il celebre Giorgio Luigi Le Clerc conte di Buffon riconobbe in Ispagna non meno che in Italia lo stesso tollerato abuso.
Degno di maggior nota è il Capitan Frangimonte, nella « Regina Statista d’Inghilterra, et il Conte di Esex, Vita, successi, e morte, di Nicolò Biancolelli (V.) » annunziato nella scena sesta dell’atto primo col nome di Capitan Scarabombar done. Fuorchè nel primo discorso di detta scena, che ha il peccato d’origine, questo Frangimonte, Capitano della Guardia, diviene un semplice mortale, millantatore, fanfarone talvolta con Picariglio il servo del Conte, ma semplice e ossequioso sempre con la Regina. […] Nello Spedale, comedia del signor Conte Prospero Bonarelli Della Rovere (Macerata, Grisei, m. dc. xxxxvi) il bravo si chiama Termodonte ; del quale trovo assai notevole l’entrata in compagnia di Sandron suo parassito, a cui narra l’origin sua.
Gli Abbagli felici del conte Prospero Bonarelli della Rovere si pubblicò in Macerata nel 1642, e non è commedia da confondersi colle buffonesche accette al solo volgo.
Dovè dunque concepirsi di tal modo, che le macchine per appagare la vista, l’armonia per dilettare l’ udito, il ballo per destare quella grata ammirazione che ci tiene piacevolmente sospesi agli armonici, graziosi, agili e leggiadri movimenti di un bel corpo, cospirassero concordemente colla poesia anima del tutto, non già qualunque o simile a quella che si adopera in alcune feste, ma bensì drammatica e attiva, ad oggetto di formare un tutto e un’ azione bene ordinata, e cantata dal principio sino al fine, e (per dirlo colle parole del più erudito filosofo e dell’ uomo del più squisito gusto che abbia a’ nostri dì ragionato dell’opera in musica, cioè del conte Algarotti) di rimettere sul teatro moderno Melpomene accompagnata da tutta quella pompa che a’ tempi di Sofocle e di Euripide solea farle corteggio.
Ciò (dice Pietro Baile) viene riferito da Balsac sul testimonio di Camden in una lettera de’ 25 di giugno 1634 scritta al conte di Execester.
Il conte di Chesterfield fece in quest’occasione un discorso notabile, sostenendo che bisognava governare il teatro colle leggi stabilite, senza metter nuove catene alla libertà.
Dovè dunque concepirsi di tal modo, che le macchine per appagare la vista, l’armonia per dilettar l’udito, il ballo per destare quella grata ammirazione che ci tiene piacevolmente sospesi, e gli armonici, graziosi, agili e leggiadri movimenti di un bel corpo, cospirassero concordemente colla poesia anima del tutto, non già qualunque o simile a quella che si adopera in alcune feste, ma bensì drammatica e attiva , ad oggetto di formare un tutto e un’azione bene ordinata e cantata dal principio sino al fine , e (per dirlo colle parole del più erudito filosofo e dell’uomo di gusto più squisito che abbia a’ nostri giorni ragionato dell’opera in musica, dico del conte Algarotti) di rimettere sul teatro moderno Melpomene accompagnata da tutta quella pompa che a’ tempi di Sofocle e di Euripide solea farle corteggio .
Riccoboni nella II parte dell’Istoria del Teatro Italiano, il Marchese Gorini Corio nel suo Teatro Tragico e Comico, e ’l Conte di Calepio nel Paragone della Poesia Tragica d’ Italia con quella di Francia, diedero il piano e la critica di questa tragedia del Trissino.
Errico d’Aragona, marchese di Villena, ch’era una serenata, o favola allegorica, nella quale intervengono la giustizia, la pace, la verità, e la misericordia; e l’altro del poeta Giovanni de la Encina, che il conte de Uregnas fece rappresentare in casa sua, ospiziando il re Ferdinando che passava a Castiglia per isposar la regina Isabella.
Huerta, rammento agl’imparziali, che tali furono le insolenze del volgo, che prima il Governo di Madrid, indi il riputato conte di Aranda già Presidente di Castiglia cercarono di rimediarvi.
Curiosa e interessante opera cotesta degli Scenarj (Venezia, Pulciani, 1611), ch'egli chiamò Il Teatro delle Favole rappresentative, ovvero La Ricreazione comica, boschereccia, e tragica, divisa in cinquanta giornate, e volle dedicata al Conte Ferdinando Riario.
Il suo raro merito invece di renderlo «il caposcuola, e il Marini della moderna licenza», come a torto il chiama il Conte Algarotti 90, il fece anzi comparire uno de’ più rinomati cantori del suo tempo. […] L’uno si è il signor conte Benvenuto di San Raffaele regio direttore degli studi a Torino, il quale in due belle lettere sull’arte del suono inserite nella raccolti degli opuscoli di Milano 92 così si esprime, esponendo lo stato della musica, allorché Tartini cominciò a spuntare qual astro novello sul cielo della Italia: «Dominava ancora tra gli scrittori quel barbaro gusto delle fughe, de’ canoni, e di tutti insomma i più avvilupati intrecci d’un ispido contrappunto.
A ciò il più volte lodato Conte di Aranda, attuale Ambasciadore del Cattolico Monarca presso il Cristianissimo, tolse al Teatro Spagnuolo le bandine proprie de’ Pupi, e vi sostituì diverse Mutazioni di Scene, pregevoli lavori di abili Pittori Spagnuoli di Prospettiva. […] Se dite, che non sono necessarie, siete smentito da’ fatti antichi e moderni, dalle cure di Eschilo, e dalle insinuazioni di Aristotele, e poi dalle disposizioni del Conte di Aranda.
Nel di lui Conte di Cominge, che non é stato mai rappresentato in Parigi, si vede un ben espresso contrasto di passione e di religione, molto calore e molta sensibilità animata da somma energia. […] Il signor Palissot parlando del Conte di Cominge, di Eufemia, e di Fayel, drammi funebri del poeta d’Arnaud, dice: «M.
Il celebre Conte Algarotti ne schizzò un breve Saggio, nel quale col solito suo spirito e leggiadria di stile olezzante de’ più bei fiori della propria e della peregrina favella si trovano scritte riflessioni assai belle, che lo fanno vedere quell’uomo di gusto ch’egli era in così fatte materie.
Gozzi (Conte Gasparo) p.
Ciò è storia nota in Europa ed il celebre Giorgio Luigi le Clerc conte di Buffon riconobbe in Ispagna non meno che in Italia lo stesso mal tollerato abuso.
Probabilmente, morta o ritiratasi dalle scene la Ponti, entrò essa in suo luogo nella nuova Compagnia de’ Confidenti, pur diretta dallo Scala, e le notizie sicure di lei muovono appunto dal 1615, quando quell’ accolta di commedianti, ridottasi sotto il patronato di Don Giovanni De’ Medici, ebbe per oltre un ventennio vita prospera e celebrata. » Recitata in Bologna La pazzia di Lavinia, noto scenario dello Scala (La pazzia d’Isabella, scritto per l’Andreini), il conte Ridolfo Campeggi dettò il seguente sonetto : Fot. di Cesare Spighi.
Conte Malaguzzi, direttore dell’Archivio di Stato in Modena, ricchissime d’interesse per la scena intima d’allora.
Secondando queste Reali mire il celebre Conte Campomanes, Autore del noto Giudizio imparziale, e di altre dotte produzioni, ha arricchita la Spagna dell’Opera preziosa sulla Industria Popolare.
Huerta, rammento agl’ imparziali, che tali furono le popolari insolenze, che prima il Governo di Madrid, indi il celebre conte di Aranda cercarono di rimediarvi.
Conte Marco Verità con alcune Annotazioni del sig.
Debbo però soggiugnere che al contrario alcuni Italiani, caporione de’ quali si era dichiarato il fu Ranieri Calsabigi che sedusse anche il conte Alessandro Pepoli, incapaci di riescir nell’opera di Zeno e di Metastasio predicarono coll’esempio e colle parole a favore delle furie danzatrici.
Stavan sotto il bel naso in un congionte due vaghe di rubin labbra lucenti, entro a cui perle preziose e conte, note non anco a l’iperboree genti, con ordin vago, alle dolcezze pronte, nel nido degli amori aghi pungenti, lascive si scorgean, pure e vivaci invitatrici a morsi, a scherzi, a baci.
Ottimamente ad altro proposito cantò Pope nel IV canto del suo Saggio di Critica volgarizzato dal celebre Conte Gasparo Gozzi: . . . . . . .
… Il delitto, che vediam confermato nell’oroscopo tolto come gli altri da un codice della Nazionale di Firenze, è stato messo la prima volta agli occhi del pubblico dal conte Paglicci Brozzi (Il Teatro a Milano nel secolo xviii ).
Il male è che Montiano taccia questa prima Tragedia come difettosa, slogata, irregolare, contro le quali imputazioni tutte le belle parole generali dell’Erudito Signor Francesco Zannotti, e del Conte Algarotti, e l’eloquenza Tulliana stessa non mai la scagioneranno.
Veggasi il Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, opera assai pregiata del conte Pietro di Calepio, cavalier Bergamasco, e ’l tomo I delle Osservazioni letterarie del marchese Maffei, ove si recano in mezzo moltissime locuzioni ricercate, strane, e difettose usate da Corneille e da altri tragici francesi; Egli é certo che l’arguzia é stata sempre il gusto dominante e ’l tentator tenebroso della nazione francese.
Dico nella prima scena, giacché non saprei convenire col conte Algarrotti, il quale è d’avviso che l’apertura esser debba una espressione o compendio di tutto il dramma. […] Il conte Algarotti ne cita un qualche esempio.
Tutti, gli antichi convennero in celebrar Cecilio Stazio conte il primo e ’l più eccellente di tutti i comici latini per la felicità della scelta e per l’ottima disposizione degli argomenti; il che rende; sensibile la perdita della di lui favole. […] Intorno ad Accio veggasi singolarmente il conte Mazzucchelli che con molta diligenza ne ha favellato nel tomo I degli Scrittori Italiani art.
Nel 2do Tomo d’una sua opera recenre alla pagina 307 mi rimprovera per aver io spacciato che Federico Secondo Imperatore apprendesse dal Conte di Provenza l’amore verso la poesia, e la protezione de’ poeti. […] In qual tomo, in qual capitolo, in qual pagina, in qual riga ho detto che Federico traesse l’amore verso la poesia, e la protezione dei poeti dal Conte di Tolosa?
«A provarlo (egli dice) si posson recare alcuni bei monumenti tratti dagli Statuti della Compagnia de’ Battuti di Trevigi eretta nel 1261, e pubblicati dal più volte lodato signor conte canonico Avogadro (nelle sue Memorie del beato Errico p.
Ciò (dice Pietro Bayle) si riferisce da Balsac sul testimonio di Camden in una lettera de’ 25 di Giugno 1634 scritta al conte di Execester.
Occupa (dice Apostolo Zeno) tra le più stimate pastorali il terzo luogo la Filli di Sciro del conte Guidubaldo Bonarelli che rapportiamo qui, benché fosse impressa ne’ primi anni del secolo seguente 1607 in Ferrara.
Ciò che mi spingeva a studiare l’opera di questo conte bergamasco, nato nel feudo di Calepio nel 1693, e autore di alcuni saggi critici che avevano ottenuto maggior fortuna al di là delle Alpi che non in patria, era un concorso di moventi di diversa natura. […] Tomaso Cornelio deprava il costume del Conte d’Essec col renderlo pazzo d’amore e farlo morire più per disperazione che per la grandezza dell’animo. […] Uno d’essi si è quello ch’egli fa dire alla regina Elisabetta nel Conte d’Essex: …………… Ô Reine, injuste reine! […] Tomaso Cornelio induce il conte d’Essex a dire: Mon bonheur semble avoir enchaîné la victoire102. […] Sulla penetrazione delle idee cartesiane in Italia si vedano almeno Eugenio Garin, «Cartesio e l’Italia», Giornale critico della filosofia italiana, IV, 1950, pp. 385-405, e Maurizio Torrini, «Cartesio e l’Italia: tentativo di un bilancio», in Descartes e l’eredità cartesiana nell’Europa sei-settecentesca, a cura di Maria Teresa Marcialis e Francesca Maria Crasta, Lecce, Conte, 2002, pp. 245-260.
Tutto il paragrafo non è altro che un’illustrazione, un comento dell’accennato pensiero, anzi tanto è lontano della verità ch’io voglia negare alla nostra musica la capacità d’accompagnarsi coi detti generi poetici che in più luoghi delle mie Rivoluzioni ho parlato de’ sonetti del Petrarca posti in musica dal Villaers e dal Giusquino, del famoso canto del Dante dove parla del conte Ugolino modulato da Vicenzo Galilei, dei Pietosi affetti di Don Angelo Grillo vestiti armonicamente dal Caccini, dell’Oronta del Preti poema in ottava rima cui fecero la musica i più bravi compositori romani, e di cent’altre sorti di poesie. […] Dalla forza ed evidenza degli accennati motivi è venuta ai poeti la quasi necessità di slontanarsi dal piano stabilito da Metastasio riducendo il melodramma ad una serie di quadri con pochissima connessione fra loro come hanno fatto il Calsabigi, e il Conte Rezzonico; e così la tragedia musicale, che fra le mani dell’illustre poeta cesareo avea toccato la perfezione di Sofocle, e d’Euripide, è ritornata un’altra volta ai tempi di Eschilo.
Boully introduce nella sua favola un muto e sordo cui l’abate pone il nome di Teodoro, di cui si dice che otto anni prima era stato da un perfido suo zio e tutore trasportato in quella gran città da Tolosa, e colà vestito di rustici panni abbandonato, con far correre voce di esser morto, onde potè usurpare col braccio della magistratura i beni appartenenti al Conte di Haraucourt.
Vedi ciò che ne dissero il Giraldi nel suo trattato della Tragedia, ed il Conte di Calepio nell’Esame della Poesia Tragica.
Del rimanente nell’Ajace io non vedo nella contesa di Menelao e poi di Agamennone con Teucro, e spezialmente in quella di Ulisse, tante villanie obbrobriose quante nel Paragone della Poesia Tragica ne rimprovera a Sofocle il Conte Pietro di Calepio critico per altro assai saggio. […] Piacemi che il soprallodato Conte di Calepio osservi che sia figura lirica l’apostrofe di Filottete al proprio arco, ed al fragore del mare che sentiva stando nell’antro di Lenno.
Vedi ciò che ne dissero Giraldi nel trattato della Tragedia, ed il Conte Pietro da Calepio nell’Esame della Poesia Tragica.
Sarà lo stesso Salfi a curare la recensione del Conte di Carmagnola dalle colonne della Revue Encyclopédique 64. […] Nel 1820 il Manzoni, in difesa delle critiche mossegli al Conte di Carmagnola, scriveva la Lettre à Monsieur Chauvet sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie. […] Nella disperazione l’odio arriva a rivolgersi contro sé stessi, come avviene nel caso del Conte Ugolino, che si morde le mani a seguito dell’orrore commesso. […] Dante apre in questo modo la scena terribile del Conte Ugolino: La bocca sollevò dal fiero pasto Quel peccator, forbendola a’ capelli Del capo, ch’egli avea di retro guasto. […] [7.29] Ma, più che altrove, egli ha descritto lo sviluppo di questa orribile passione in persona del conte Ugolino.
Veggasi la Biblioteca Lusitana del Barbosa, il quale allega la Vita di esso Infante scritta dal conte di Vimioso, ed il Comento di Manuel Faria alle Rime del Camoens.
Veggasi la Biblioteca Lusitana del Barbosa, il quale allega la Vita di quell’Infante scritta dal conte di Vimioso, ed il Comento di Manuel Faria alle Rime del Camoens.
«Le intromesse (dic’egli scrivendo al Conte Ludovico Canossa, vescovo di Tricarico) furono tali.
Se si attenda alla felicissima dipintura de’ caratteri introdotti che non può migliorarsi, e all’ardita satira de’ licenziosi costumi allora dominanti, e a i sali e alle grazie dello stile; noi converremo di buon grado col celebre conte Algarotti che in essa ritrova la eleganza del dire di Terenzio, e la forza comica di Plauto.
Se si attenda alla felicissima dipintura de’ caratteri introdotti che non può migliorarsi, e all’ardita satira de’ licenziosi costumi allora dominanti, e a i sali e alle grazie dello stile, noi converremo di buon grado col celebre conte Algarotti che in essa ritrova la eleganza del dire di Terenzio e la forzæ comica di Plauto.
In ordine all’endecasillabo, con quanta grazia possa essere adoperato nelle arie, si vegga in questo esempio del Conte Magalotti In quel bacile, che chiamasi l’aia, Cómene un moggio, dolcissima Aglaia Cómene un moggio, e recalo a me. […] [Sez.II.1.2.18] E l’ottonario al novenario in questi del Conte Pegolotti: Su trinchiamo quel Falerno Quel di Lesbo, e quel di Nasso, Ch’abbondevole sempre ammasso. […] Sorta per iniziativa del già menzionato conte de’ Bardi, ebbe tra i suoi principali membri: Vincenzo Galilei (padre del grande astronomo), umanista e compositore, in particolare per liuto (Santa Maria a Monte, Firenze 1520 circa – Firenze 1591); Pietro Strozzi (seconda metà del XVI secolo), madrigalista, autore della musica della Mascarada degli accecati, su testo di Rinuccini, 1595 (è tra gli interlocutori del Dialogo della musica antica et della moderna di V. […] [commento_Sez.II.1.2.2] • del Conte Magalotti: vedi L.