Io partirò il 2 agosto per Firenze, e di là raggiungerò la Compagnia a Viterbo, se le forze me lo permettono.
le de Medici, il Roncio et Io suso un palco fatto a posta per S.
Io noto nelle sue espressioni certo studio non molto occulto di mostrarsi spiritoso.» […] Io ne conosco le seguenti: il Collaterale, in cui ad onta di qualche circostanza poco verisimile, da taluni si commenda quanto ogni buona commedia del mentovato Dancourt a cagione di più d’una situazione comica, della condotta facile ed ingegnosa, di alcune scene nuove e piacevoli, e del dialogo vivace e naturale; il Viaggio interrotto; il Presuntuoso; i Tre Mariti; la picciola Città; i Provinciali in Parigi; M. […] «Io preferisco (dicesi nel libro l’Anno 2440) quest’Italiani a’ vostri insipidi commedianti Francesi, perchè questi stranieri rappresentano più naturalmente, e perciò con maggior grazia, e perchè servono il pubblico con più attenzione» . […] Il signor Clement nelle sue Osservazioni critiche sul poema della Declamazione teatrale di Dorat scrive ancora: «Io vorrei coperti di ridicolo i nostri attori ossessi, i quali caricano tutto, e non sanno parlare se non per convulsioni, e fanno patire chi gli ascolta per gli strani loro sforzi di voce e pel dilaceramento del loro petto.» […] Io gl’intesi profferire gouufre per goufre, forse per esprimere colla pronunzia il significato di questa voce.
Io ragiono senza la folle pretensione di certuni di proporre il proprio avviso per norma dell’altrui pensare. Io m’ingannerò talvolta (e chi non s’inganna!
Io per sopportare questo humoraccio faccio quanto posso, ma credo che non durerò. […] Io lo voglio dire, se ben aveva pensato di tacerlo. […] Io replico a V.
Io dunque diressi quelle notizie ad instruirne chi non le sapeva; e se Voi con questi altri gl’ignoravate, rimanete incluso nella lista de’ poco instruiti, che se poi ad arte fingete di esserlo tradite l’onestà.
Io veggo però un altro possibile incomparabilmente più comune, e naturale, cioè, che il Nasarre ignorasse o dissimulasse la barbarie della Penisola verso il principio del XVI secolo (alla quale non mai derogheranno nè tre nè quattro scrittori che altri potesse citare), e spacciasse un fatto passato solo dentro del suo cervello, cioè che ne fosse sbucciato un autore spagnuolo che, usando nelle insipide sue commedié un latino barbaro e un pessimo italiano, calato fosse ad insegnare a scrivere commedie ai maestri de’ Nebrissensi e de’ Barbosi, agl’ Italiani, che, come bene osserva l’A. di questa eccellente Storia teatrale, già possedevano le comiche produzioni de’ Trissini, degli Ariosti, de’ Machiavelli, de’ Bentivogli.
DEL CRIVELLATO (66) Fiamma gentil che dolcemente incendi L’alme, che non san far da te riparo, Ahimè, che troppo rigida t’estendi Mentre sfavilli nel bel lume chiaro Invisibil ne’ petti nostri scendi, Nudrita da pensier soave, & caro, Io per te sola incenerirmi sento Ardendo, & son del’arder mio contento.
Io ho sempre seco lei fatto uso della verità, e non potrei mai ingannarla ; ciò che le ho sempre detto, lo replico.
Io non credo, come parve ad altri, che la Zingara e la Pazzia fosser commedie dovute alla penna e alla fantasia dell’Isabella e della Vittoria : dicendo il Settimanni che fu recitato la Pazzia commedia d’Isabella commediante, e più giù, co’ medesimi intermedi che erano stati alla Zingara della Vittoria, certo egli volle alludere, piuttosto che a commedie scritte dalle attrici, a commedie che erano di esse il caval di battaglia. […] Essi si fermano ad ascoltare, et ella comincia a dire : « Io mi ricordo l’anno non me lo ricordo, che un Arpicordo pose d’accordo una Pavaniglia Spagnola con una gagliarda di Santin da Parma, per la qual cosa poi, le lasagne, i maccheroni, e la polenta si uestirono a bruno, non potendo comportare, che la gatta fusa fusse amica delle belle fanciulle d’Algieri : pure come piacque al Califfo d’Egitto fu concluso, che domattina sarete tutti duo messi in berlina. » Seguitando poi di dire cose simili da pazza, essi la vogliono pigliare, & ella se ne fugge per strada, & essi la seguono. […] Io mi ricordo hauerne ueduti di quelli che ad una mala noua si sono impalliditi nel uiso, come se qualche gran sinistro ueramente gli fosse acaduto. […] Io mi ingegno poi quanto piu posso, di uestire i recitanti fra loro differentissimi. et questo aiuta assai, si allo accrescere uaghezza con la uarieta loro, et si anco a facilitare l’ inteligenza della fauola. […] Io non credo, che sia possibile assegnar piu particolar regole di quelle che assegnate ci hauete sopra le cose pastorali : però tornando oue ci togliemmo, ueniamo al atto di mandar fuori il prologo delle comedie.
Io finora non ho potuto vederle; ma il dotto Montiano ci fa sapere che nella prima si trasgrediscono le regole dell’unità: nella seconda si pecca contra il verisimile: nella terza son due l’azioni principali; e nell’ultima é fantastico il carattere del protagonista. […] Io son d’avviso che gli autos mettono capo nelle farse religiose, ne’ misteri, vangeli, nelle passioni, vite di santi e simili cose recitate per la penisola nelle chiese, donde furono escluse nella fine dei XV secolo per decreto del concilio di sopra riferito.
Io non so più dove m’abbia il capo. […] Io toccherò i principali difetti dell’opera buffa riducendoli ad una spezie di teoria. […] Io ho divisato non per tanto d’aprire a questo settembre uno spettacolo, e voglio che sia nuovo perché il pubblico è ormai ristucco delle anticaglie di Metastasio, di cui (sebbene sia il primo drammatico del mondo) vuolsi fare quell’uso che si fa nelle case dei vasellami d’argento e delle gioie di gran valore, le quali si cavano fuori in una occasione straordinaria, mentre il restante dell’anno s’adoperano altre masserizie più triviali. […] Io ho da pagar somme tanto considerabili ai virtuosi, ai ballerini, al maestro di cappella, ai suonatori, ho da far tante spese negli abiti, nelle decorazioni, nei lumi, nell’affito del teatro e in altre cose che poco o nulla mi rimane per voi. […] «Io vi credo abbastanza istrutto ne’ principi dell’arte drammatico-musicale; nulladimeno siccome trattasi del mio guadagno o della mia perdita, così mi permetterete che vi dia alcuni suggerimenti dai quali non vi dovrete dipartire.
Io intanto nell’Edizione della Storia de’ Teatri non volli far uso del passo del Sig.
Io m’appello a tutte le dame di tutte le corti più galanti, se si può con miglior dignità ed amabilità in una nobile e gentile conversazione, dir sedete come lo dice la nostra Marchionni ; con quale vivacità di colorito sa ella moltiplicare e compartire le tinte in una scena di gelosia !
Io non volli accettare altro che col patto di fare almeno le farse in italiano ; e andai ma…. non sapevo parlare veneziano !
Quand’era a’ Fiorentini di Napoli, nel ’65, Alessandro Dumas figlio, recatosi dopo la rappresentazione della Signora dalle Camelie, sul palcoscenico, disse alla Cazzola : « Io mi inginocchio dinanzi a voi. […] Io lo so ; ma, perchè non voglio nulla del vostro, per questo parlo con soverchia libertà. […] Io basto a tutto.
Consorte infida Io di Filippo, di Filippo il figlio Oso amar, io? […] Io dico solo, che gli oggetti della Botanica sono permanenti, e si possono facilmente indicare e determinare. […] Io passerò a questa disamina donde tali idee potrem raccogliere, che gioveranno ancor più a determinare praticamente il bello naturale ed artificiale dell’espressione. […] Io chiamo questa disposizione, che nell’organizzazione interna ed esterna consiste, spontaneità. […] Io chiamo questi caratteri speciali.
Io son contento (dice Catone) egli ha fatto il suo dovere; Porzio, quando io morrò fa che la di lui urna sia posta accanto alla mia. […] Io sono stato corrivo, vorrei che tu fossi più accorto; vorrei che tu trattassi gli uomini come essi meritano, come hanno trattato me, come ti tratteranno, amico . . . […] Io non vo morire. […] Io non sapeva dove mi avessi la testa.
Io sono però d’avviso che essi appena ne trassero i nudi argomenti, che poi vestirono alla loro foggia.
No, no, teco io vivrò: tu mi nutristi, Io curerò di te finchè avrò fiato, Oimè! […] Non debbesi adunque l’espressione d’Ifigenia tradurre letteralmente per la stessa misura di versi, ma sì bene per Io medesimo lamento, come ben fece il Dolce, Madre, misera madre. […] Io fuor di me già sono, Comincio a delirar. […] Io che raccolte Le sparse trecce e in vago giro avvinte Entro bende notturne, il mar mirando, Al geniale talamo mi appresso, Arme arme, ascolto in marzial tumulto Per la Frigia città gridar repente: Cessate, o Greci? […] Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi il seno e del mio sangue Io ti nutrii?..
Non mi conosci affè, Gente a vedere eroi po-poco avvezza; Io son colui che taglia, buca e spezza. […] Mi fece Natura Nel viso Narciso E Marte in bravur: Pa-pa-ri è il valore alla bellezza: Io son colui, che taglia, buca e spezza. […] «Io del cannone al suon Solo risponderò bun - ban - bun - bon».
Io veggo nelle sue espressioni certo studio non molto occulto di mostrarsi spiritoso, (Nota VII) ond’è che la sua maniera degenera alcuna volta in affettazione, e fa perdere di vista i personaggi palesando il poeta. […] “Io preferisco (dicesi nel libro l’Anno 2440) quest’Italiani a’ vostri insipidi commedianti Francesi, perchè questi stranieri rappresentano più naturalmente e perciò con maggior grazia, e perchè servono il pubblico con più attenzione”. […] Dorat scrive ancora: “Io avrei coperti di ridicolo i nostri attori ossessi, i quali caricano tutto, e non sanno parlare se non per convulsioni, e fanno patir chi gli ascolta per gli strani loro sforzi di voce e pel dilaceramento del loro petto”.
Io veggo (dice già ubbriaco) girar la terra, il mare e il cielo; veggo il trono di Giove e seco tutta la folla degli Dei. […] Condiscese il filosofo, ed il pantomimo prese ad esprimere l’avventura di Venere e di Marte scoperti dal Sole e accusati da Vulcano, le insidie di questo zoppo assumicato marito, la rete che annodava gli amanti, i numi presenti allo spettacolo, il rossore di Venere che si raccomandava a Marte, e quanto altro apparteneva a questa favola; ma con tale perspicuità, con tanta leggiadria, che Demetrio attonito e rapito proruppe in queste voci: Io ti ascolto, attore insigne, non che ti veggo.
Io ho unita la Spagna all’Italia per la rinnovazione di questa usanza infame. […] Io nel fior degli anni miei ascoltai cantare per le chiese di Napoli el tiple (il soprano) Pepito castrato Spagnuolo, prima che mi recassi in Ispagna e poi il rividi, ed ascoltai in Madrid per più anni in compagnia di Narciso, di Pellegrino ed altri più oscuri castrati tutti Spagnuoli.
Io veggio (dice già ubbriaco) girar la terra, il mare e ’l cielo; veggio il trono di Giove e seco tutta la folla degli dei. […] Condiscese il filosofo, ed il pantomimo prese ad esprimere l’avventura di Venere e di Marte scoperti dal Sole e accusati da Vulcano, le insidie di questo zoppo affumicato marito, la rete che annodava gli amanti, i numi presenti allo spettacolo, il rossore di Venere che si raccomandava a Marte, e quanto altro apparteneva a questa favola, ma con tale perspicuità, con tanta leggiadria, che Demetrio attonito e rapito proruppe in queste voci: Io ti ascolto, attore insigne, non che ti veggo.
Io metto qui in fondo le due lettere dei coniugi Antonazzoni, le quali, con quelle degli Andreini e dei Cecchini (V.), dànno un’idea abbastanza chiara della vita dell’arte d’allora. […] Io, Sigre, intendendo con mio estremo disgusto questo, e sapendo che per essere io il minimo di compagnia, et egli il principale, a me haverebbe toccato l’uscio, perciò pensavo a’ casi miei havendo moglie in casa, debiti in quantità, e sorella in Monistero, anzi sopra le spalle, e tanto più ero necessitato a pensarci, quanto che mi riducevo a mente il periglio che passai di rimaner in asso quattr’anni sono, quando finimmo il carnevale a Lucca, che V.
Io dico, riepilogando, che le sue commedie, rappresentate ne’ vari teatri d’Italia, ebber dovunque accoglienze di risa e di applausi, e ch’egli superò tutti i recitatori del suo tempo.
Io non ho che un augurio : che l’opera così bene incominciata sia condotta a termine felicemente con gioconda attività, poichè allora Ella avrà regalato alla Storia del teatro d’Italia un’opera da consultarsi come nessun’altra Nazione ancora possiede, e per la quale in ogni tempo chiunque si occupi di ricerche di teatri Le sarà riconoscente.
Io non debbo dissimulare questo neo della tragedia del Tilesio; ma non è giusto poi lo spregiarla tanto, come al tri ha fatto, per questo episodio. […] Io vado . . . addio. […] Io invito le anime tenere a vedere il quadro di Alvida moribonda e di Torrismondo addolorato. […] Io non sono cieco ammiratore di questa buona tragedia di tal modo che non mi avvegga di varie cose che oggidì nuocerebbero alla rappresentazione. […] Io troppo vissi, ahi lasso!
Non trovandosi la menoma forza in veruna delle pruove particolari addotte dall’autore sarebbe inutile il cercarla nella riunione di esse; giacché la validità integrale d’un ragionamento non altronde risulta che dalla validità parziale delle ragioni che Io compongono. […] Io le lessi, e le disaminai fin d’allora con quell’attenzione che basta per trovarle deboli e inconcludenti. […] «Io finisco il mio canto. […] Io vado a sedere sovra un seggio elevato, e ber la cervogia gioiosamente con le Dee della morte. […] Io muoio con un sorriso.»
Io vado… addio. […] Io non so come non vedesse egli quel che tanti altri anche suoi compatriotti osservarono, cioè che l’epoca de i duelli, delle giostre, de’ beni della lancia, è appunto un ritratto appena da piccioli lineamenti alterato, de’ primi tempi eroici degli Ercoli, de’ Tesei, e degli Achilli puntigliosi. […] Io invito l’anime tenere a vedere il quadro di Alvida moribonda e di Torrismondo addolorato. […] Io non sono cieco ammiratore di questa buona tragedia di tal modo che non mi avvegga di varie cose che oggidì nuocerebbero alla rappresentazione. […] Ed egli: Non mancherà chi darà vita al regno… Io troppo vissi, ahi lasso!
Io discordo da questo erudito spagnuolo. […] Io mi volgo piangendo a Dio (dice Zaira) ma, o Fatima, ben tosto les traits de ce que j’aime Se montrent dans mon ame entre le ciel et moi. […] Io voglio Anche di più : forzar ti vò ad amarmi. […] Io t’amo (risponde) ciò dee bastarti. […] Io non diverrò mai spergiura, dice Bianca.
Io nato Son di cui non dovea: ho un letto offeso Cui d’innalzar anco un pensier fugace Era scelleratezza: il giorno ho tolto A chi mi diè la vita. […] Io sventurato io nacqui Da chi l’esserne nato Ora è mia colpa.
Io ne ho veduta, pochi anni fa, sul teatro spagnuolo in un Intermezzo l’azione principale e la difesa del Pecoraio fatta da Patelin, e la contesa dell’avvocato e del cliente che lì vale delle di lui istruzioni per non pagarlo.
Io non ho veduto che uno scherzo del Grazioso Gabriele Cinita in Madrid, il quale solo, in tre picciole scene buffonesche che chiamava atti, rappresentava un’ azione mimica. […] Io lor custode L’eseguisco così? […] Io sfido chichessia a trovare in natura un personaggio più di Sesto idoneo ad eccitare il tragico terrore e la compassione.
Io sto dietro al Conte di S. […] Madama suddetta le rispose : Sua Altezza ne parli al Re ; che lei rispose : Io non ne voglio parlare a Sua Maestà se non ce lo vuole lo mandi via lui. […] Io averei molto a dire de le sue disubete[n]ce e pocho rispeto che mi à senpre portato, basta a dirle che se lui non partiva sarebe morto in prigone per le sue infamità.
Io credo ora di far cosa grata ai lettori, mettendo qui lo scenario di Carlo Goldoni Il figlio d’ Arlecchino perduto e ritrovato che il Bertinazzi rappresentò a Parigi il 13 giugno 1758, e che io traduco dall’ Histoire anecdotique et raisonnée du Théâtre italien, par Des Boulmiers (Paris, Lacombe, m.dcc.lxix). […] Arlecchino appare, mentre questi si lascia andare al furore, e gli chiede suo figlio, e tanto l’importuna, che Celio, al colmo dell’ira, vuol batterlo ; Arlecchino lo respinge a colpi di testa. « Io ti ferirò – egli dice – colle armi che tu m’hai fatto.
Io dettava allora le appendici drammatiche sul Fieramosca, e il 5 luglio dell’ ’82, a proposito della rappresentazione di Frou-Frou, della quale era ancor vivo nel popolo fiorentino l’entusiasmo suscitato dalla Bernhardt, pubblicavo : Da un gran pezzo in qua non m’era accaduto di notare sul nostro teatro di prosa certi sgattajolamenti nervosi, certi contorcimenti serpentini, certi sfiaccolamenti veri, sentiti. […] Io che ho ammirato sinceramente, e sinceramente ammiro altri artisti maschi e femine del nostro teatro di prosa per la loro maniera schietta di porgere senza avviluppamenti accademici, non so, mi trovo inceppato a parlare della verità di questa piccola fata.
Lo ringraziai e lo pregai di dirci il suo nome : « Io sono Francesco Voller, comico, » mi rispose. « Ed io ho una lettera di sua madre da consegnarle ; » e glie la diedi.
Io consento nella sua spiegazione di quell’ extenuata gerens veteris vestigia pænæ : e se non fosse il gerens che mi mette ancora un po' di dubbio, oserei chiamarla certa.
Io compiango i dottori e i bibliografi che non sentissero la monotonia dell’endecasillabo pareado perpetuamente in tutto un dramma. […] Torna Dulcidio con fiaccola accesa, ed Olvia spira mentendo con dire che ella amava Giugurta , quando Io spettatore non ignora che ella amava Aluro. […] Io stessa , aggiugne, gli affronterò. […] Io rispettando l’ingegnosa sua nazione lascio tutte siffatte filastrocche a i di lui sforzi per rapirle all’irreparabile dimenticanza. […] Io non poteva ignorare il nome di chi per più anni mi onorò della sua amicizia, e volle prima di pubblicarla udir sulla sua tragedia il mio qualunque avviso.
Io mi volgo piangendo a Dio (dice Zaira) ma, o Fatima, ben tosto les traits de ce que j’ aime Se montrent dans mon ame entre le ciel & moi. […] Io non conosco un altro dramma francese che più felicemente ne’ tre ultimi atti vada al suo fine senza deviare e progressivamente aumentando l’interesse senza bisogno di veruno episodio e ricco delle sole tragiche situazioni che presenta l’argomento. […] Io voglio Anche di più: forzar ti vo’ ad amarmi. […] Io sdegno di ripetere gli eccessi, le atrocità, i sacrilegj commessivi, potendo vedersi nella storia del cardinal Bembo e nel Verdizzotti.
I motteggi che vi campeggiano, consistono per Io più in una lotta di concetti e di scherzi mordaci sulla parola, de’ quali i Francesi de’ Dipartimenti comprendono a stento tutta l’acutezza, mentre i Parigini che l’assaporano pienamente, escono dallo spettacolo canticchiando le strofette ascoltate che bentosto si adottano e passano in moda. […] Io parlo del sig.
Io non so per qual gotica stranezza di gusto i critici pedanti rendono problematiche le verità più manifeste. […] Io già non parlo dell’amore energico, furioso, terribile che ben conviene alla vera tragedia; parlo . . . degli amori proprj dell’idilio e della commedia anzichè della tragedia”.
„Io amo mio figlio (gli dice) e voglio esserne amato. […] Io credendo A questi maldicenti novellieri Venni a rimproverar l’onesto amico. […] Io su di te comando, Tu non già su di me, s’io penso giusto. […] Io la città sol vidi, Gli usi e gli abitator poco conobbi. […] Io spero Che se ti compro, Lucrida sarai Ancor per la mia casa.
Io (risponde Epidico) che ho vedute tutte le strade piene di soldati. […] Eugenio Io l’ho perduta ! […] Io lor custode L’eseguisco così ? […] Io non venni a dire il moi nome, son cavalier, vi basti. […] Io ut.
Io converrei &c.
Io ho vedute ripetersi quasi sempre le medesime sarsuole composte per lo più da Ramòn La Cruz, cioè las Segadoras (mietritrici) de Vallegas, las Foncarraleras, la Magestad en la Aldea, el Puerto de Flandes, e qualche altra, cui danno il titolo di folla.
Le sublimi e vive dipinture, e le grandiose e robuste immagini d’Omero faceano dire al celebre Statuario Francese Bouchardon: sempre che ho letto Omero, ho creduto aver venti piedi di altezza; e una volta servirono anche di scusa a un bravo Disegnatore, che essendo stato ripreso di aver fatto una figura di Capitano d’esercito alquanto smisurata, rispose: Io avea letto pur dianzi Omero, e tutto pareami più grande dell’ordinario.
Io sono d’avviso (dice il P.
Io non so come varj nazionali ed a voce ed in iscritto poterono di tali feste attribuir l’invenzione al Calderon47, quando non s’ ignora che tante Lope ne compose48. […] Io sono di avviso che ne abbiano risvegliata l’idea le mute rappresentazioni delle più solenni festività sacre qual è quella del Corpus Domini. […] Io però in diciotto anni che dimorai in quella corte ben posso attestare di averne vedute diverse. […] Io riconosco nella locuzione usata dal Perez purezza, eleganza e naturalezza; ma trovo con pace del sig.
Io sono stato corrivo, vorrei che tu fossi più accorto; vorrei che tu trattassi gli uomini come essi meritano, come hanno trattato me, come ti tratteranno, amico… Approfittati del mio consiglio, e ricordati di questa lezione. […] Io non vò morire. […] Io non sapeva dove mi avessi la testa.
Io qui son su’ l fiorire, di giovinezza in ramo, ond’ è ben vano che nel fior spicchi il frutto in un la mano. […] Io so che molti professori del ben parlare troueranno molti luoghi dove ne men’ io debbo dir bene, si come anche mi accorgo, che quelli, che non sanno parlar bene non conosceranno s’ io dica bene, o male ; onde anderanno sempre dicendo peggio, si che da questi non desiderarei altra sodisfatione se non che si dichiarassero di non saper ciò ch’ io mi habbia detto.
Altri il vero nasconda Io no ; povere fasce i primi segni Dier d’infelicitate in quelle parti, Che poi seguimmi in ogni estran paese ; Così Penia mi prese Allevatrice infausta, e mi percosse Ne’ miei primi vagiti ; indi si scosse Torbida stella ; era morir pur meglio, Ch’esser altrui d’alta miseria speglio.
Io credo, per esempio, si debba senz'altro riconoscere il Pasquati nel Pantalone del documento Romano riferito dall’Ademollo ne'suoi Teatri di Roma, che è un Processo dell’archivio del Governatore pel 1565, nel quale, accanto a cotesto Pantalone, figura Soldino : quel Soldino che noi vediamo del 1570 a Vienna congiunto a un Julio, a cui furon pagati l’ 8 aprile dodici talleri, e che molto probabilmente è il nostro Pasquati.
Io ho inteso che i nomi hanno in loro un non so che di fortunato e d’infelice ; per me questo di Lauinia non mi piace ; poichè Lauinia, quella cantata da Virgilio originò incendio al Latio, la morte a Turno, e trauagli a Enea : oltre che se voi pigliate la seconda sillaba di questo nome che è Vi, e la fate prima, componete un nome che dice Vilania.
Io ho quella di Luigi Forti colla data del 22 gennajo 1822, tutta riempita di mano del Vestri e da lui firmata.
[27] Io conosco per cotali similitudini proferite con quella brevità ed energia un uomo dallo sdegno fortemente compreso. […] Io prendo in questo luogo la parola “maraviglioso” come la prende il Marmontel, vale a dire, per una serie di fatti che accadono senza l’intervento delle leggi fisiche dell’universo per la mediazione improvvisa di una qualche potenza superiore alla umana spezie. […] Io convengo coll’illustre autore che non ogni argomento di storia è proprio dell’opera, siccome non è improprio ogni soggetto favoloso.
Io porto ferma opinione che un’aria patetica cantata sul teatro da una bella voce col solo accompagnamento d’un’arpa e d’un flauto farebbe sull’udienza una impressione vieppiù profonda che non è quella delle arie più rinomate che si sentono in oggi eseguite con tutto il brillante sfoggio dell’armonia. […] [30] Io son ben lontano dal volere che l’ordin metodico delle parole serva esattamente di regola al compositore, voglio anzi ch’ei raggiri il suo pensiero, e a così dir, l’analizzi per entro alle differenti modulazioni che le somministra il suo tono dominante senza la quale licenza non è facile, che l’espressione musicale ottenga il suo intento siccome quella, la quale non apportando in ciascun suono individuale se non se una sensazione troppo rapida e fugace, non può avere il suo effetto in un solo istante; perlochè volendo imprimer nella memoria traccie distinte e durevoli della sua possanza, ha bisogno d’esser condotta per più modulazioni differenti. […] Io mi sento lacerar.» […] Io medesimo benché alieno dal mestiero e poco iniziato in siffatte materie mi sono maravigliato spessissimo della profonda e totale ignoranza in cui vive la maggior parte di essi di quei principi dell’arte propria, per comprenderne i quali basta una mente avvezza a ragionare che abbia avuto qualche consorzio colla filosofia.
Io nato Son di cui non dovea: ho un letto offeso, Cui d’innalzar anco un pensier fugace Era sceleratezza: il giorno ho tolto A chi mi dié la vita. […] Io fuor di me già sono, Comincio a delirar. […] Io che raccolte Le sparse trecce e in vago gito avvinte Entro bende notturne, il mar mirando, Al geniale talamo m’appresso, Arme arme, ascolto in marzial tumulto Per la frigia città gridar repente; Cessate, o greci? […] Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi ’l seno, e del mio sangue Io ti nutrii?
Io auguro ad ogni nazione questa bell’ epoca teatrale.
Io credo il pubblico ; il quale, o genialità o realità, dee volere soprattutto dell’arte pura.
Io non mi presento inanzi al tuo altare con sì umili sentimenti. […] Io chieggo prima da te che, trasportando nel falso le sembianze del vero, tu mi seduca e m’inganni; che porti l’inganno e la seduzione al maggior grado possibile; che mi facci pigliar un inconsistente aggregato di suoni pei veri gemiti d’un mio simile, e che mi costringa a correre, come un altro Enea, per abbracciar il fantasma di Creusa invece del suo corpo. […] Io non posso trattenermi a dir tutto ciò che mi somministrerebbe un argomento così fecondo, il quale non potrebbe trattarsi a dovere senza lo scioglimento di molte questioni preliminari. […] Io non posso diffinire in che consistesse questo suono medio, ignorandosi da noi la vera maniera del pronunziare de’ Greci e de’ Latini, e non essendoci altro mezzo di far capire all’anima una sensazione che la sensazione stessa, ma ch’esso fosse conosciuto dagli Antichi non cel lascia dubitare Marziano Cappella, il quale (in Nuptiis Philol.
Io sfido il leggitore più acuto e lo spettatore più sagace a sapermi dire dopo averlo letto o veduto cosa significhi il seguente ballo di cui ne soggiungo in appresso la descrizione, il quale passando dai teatri di Francia in quelli d’Italia viene dai facoltativi considerato come il modello dei balletti chiamati di mezzo carattere. […] Io stesso non lo compresi allora, né avrei giammai potuto comprenderlo se procurata non m’avessi in particolar modo la spiegazione. […] Io non voglio far da casista coll’Elvezio esaminando lo strano significato che da egli alla parola virtù; ciò sarebbe lo stesso che citare le controversie del Bellarmino argomentando contro ad un bonzo del Giappone. […] Io non dico se bene o male s’avvisasse Licurgo così pensando, giacché non sarebbe questo il luogo d’entrare in siffatra ricerca, ma dico che tale fu realmente lo spirito di quella sua legge non compreso per niente dall’Elvezio.
Io ti allevai allorchè perdesti la madre, poco dopo del tuo nascere.
Io aspetto e invito un qualche altero ed elevato ingegno che imitando nobilmente, e non da servo, il nostro gran poeta imperiale, e migliorando, ove ne bisogni, il giudizioso sistema dell’opera italiana, dissipi questo nembo apportatore di manifesta decadenza.
Io per altro penso, che la poesia e la musica sieno nate gemelle.
mo honorò hieri con la presenza sua la commedia della Flaminia, per essere sua vicina, con tutto che fosse invitato a quell’altra, che fu una pastorale bellissima, per quanto si dice, et si vidde Io a convertire in vacca, Giove e Giunone parlarono insieme : venne poi e spari la nebbia, Mercurio col sono adormentò Argo, et poi gli tagliò la testa, una Furia infernale fece venire in furia quella vacca, et infine fu di nuovo convertita in nimpha, et il padre ch’era un fiume, venne ancor lui, versando acqua, a fare la sua parte, et in un istante medesimo i pastori fecero le loro nozze et eccetera.
Io ho seguitato fino a pochi mesi addietro a spendere e spandere per decorare le produzioni con una esattezza di costumi e con uno sfarzo ignoto fino ai nostri giorni ; e qual è la città che me ne ha tenuto conto ?
Io l’ho chiamato Sacco, attenendomi alla lettera che il Croce riferisce, sottoscritta Antonio Sacco capo comico.
Io auguro ad ogni nazione questa bell’ epoca teatrale.
Io colla mia debolezza mediterò, ridurrò a metodo le osservazioni della poesia teatrale e della pronunciazione; Voi mi animerete col l’assiduità ed attenzione, ed eseguirete a suo tempo componendo e rappresentando con mira di sorpassare le mie speranze ed i miei voti, e di erudirvi ne’ greci esemplari, per corrispondere coll’evento felice alle paterne provvide cure de’ grandi Cittadini che vi governano.
Io non vedo come da questa ottava si possa trar la prova che il Graziano parlava proprio il pretto bolognese : tanto più poi che sappiamo dal Cecchini (L’Amico Tradito.
Io che conosco i nobiliss.
Io sono Al di 15 di dicembre S. […] Io non so ad altri che ne paia; ma quanto è a me, le cadenze son pure la più sazievol cosa ch’io mi possa udire. […] Io non intendo come un simil compendio possa essere eseguito in una sinfonia d’apertura. […] [Sez.III.3.3.7] Io però ho molto migliore opinione della nazion mia. […] Io me ne richiamo all’esperienza che può farne ciascuno.
«Io preferisco (si dice nell’ Anno 2440 di Voltaire) quest’italiani a’ vostri insipidi commedianti francesi, perché essi rappresentano più naturalmente, e per conseguenza con maggior grazia, e perché servono il pubblico con più attenzione». […] «Io avrei (scrive M.
Io mi terrò fortunato se da miei errori altri prenderà occasione d’illustrar con penna più maestrevole codesto bell’argomento, non men degno delle ricerche d’un filosofo che delle premure d’un uomo di gusto.
Io non mi sono deciso né per l’una, né per l’altra opinione. […] [74] Io non ho parlato punto di tutti quanti i compositori, ma del maggior numero; pure confesso d’avere il torto. […] Io aveva detto, che «la musica, cioè non la musica in genere, ma la troppo sfarzosa e brillante, non sa accompagnarsi colla poesia senza opprimerla». […] [103] Io non mi sono contentato di dire che la nostra musica non ha un gusto fìsso.
Del Bono), ci ha dato anche Zan Muzzina in più sonetti, uno dei quali è il seguente : Io che passo si spesso, e pur non posso se ben batto da Betta un dì far botta, comporterò s’altrui l’accatta cotta, ch’ella me sol salassi fin su l’osso ?
Io ho esaminato di sopra i caratteri musicali della lingua italiana, ed holla per questa parte commendata moltissimo: ma il lettore avrà riflettuto che l’esame fatto è puramente relativo allo stato attuale delle altre lingue d’Europa, e che molto calerebbero di pregio la poesia e la lingua italiana se invece di paragonarle colle viventi si paragonasse colla poesia e la lingua de’ Greci.
Io parlo del sig.
Io che ho replicato presentemente, per quanto prevedo me ne asterrò per l’avvenire, sicuro della mia retta intenzione, e de’ fatti scenici che riferisco, contro de’ quali, per la conoscenza che tengo del vostro modo di disputare, son certo che voi non opporreste, che congetture cavillose, e passi particolari rubacchiati quà e là, o stiracchiati, o troncati.
«Io (gli dice) amo mio figlio e voglio esserne amato. […] Io credendo A tali maldicenti novellieri Venni a rimprovverar l’onesto amico. […] Io su di te comando, Tu non già su di me s’io penso giusto.
Orsù quando i sospiri Udirò delle piante, Io son contenta allor d’essere amante.
Orsù quando i sospiri Udirò de le piante, Io son contenta allor d’essere amante.
Io non saprei almeno ben difenderne alcune, in cui s’attribuiscono a persone ideali quegli avvenimenti straordinari per cui si son resi celebri fino a’ nostri giorni gli uomini più sepolti nelle tenebre dell’antichità. […] Io non saprei già da tutti i difetti assolverli. […] Io riduco al decoro anche l’egualità, tuttoché si soglia distinguere perocché, se dritto si mira, altro non è la mancanza di questa che una offesa di quello. […] Io per ciò non so come si potesse da Racine finger cotanto erudito nella galanteria amorosa senza guardare il carattere lasciatoci dagli antichi. […] Io siccome riconosco in essa delle pregevoli qualità; così non la ritrovo senza difetti: ma dubito che il mio giudizio non s’incontrerà con quello degli altri che sinadora l’han censurata.
Io stessa, aggiugne, gli affronterò. […] Io compiango i dottori e i bibliografi che non sentissero la monotonia dell’endecasillabo pareado perpetuamente in tutto un dramma.
Io non so per qual gotica stranezza di gusto i critici pedanti rendono problematiche le verità più manifeste.
Io già non parlo dell’amore energico, furioso, terribile che ben conviene alla vera tragedia; parlo… degli amori proprii dell’idilio e della commedia anzichè della tragedia.»
Io credo che a tali lagrimosi eventi punto non attese il Lampillas, e riposò placidamente sulle leggi di Alarico che suppose dal sesto secolo felicemente osservate in Ispagna pel tratto di alcuni secoli seguenti.
Io che mi risento più d’ogni altro degli abusi del nostro teatro di musica, più d’ogni altro vi son tenuto del coraggio col quale ne intraprendete la cura.
Io credo che a tali lagrimosi eventi punto non attese il Lampillas, e riposò placidamente sulle leggi di Alarico che suppose dal VI secolo felicemente osservate in Ispagna pel tratto di alcuni secoli seguenti.
Io paragonerei volentieri la storia dei secoli barbari all’orizzonte.
Io ho veduto un suo ritratto in carta con all’intorno questo moto profanato invece di epigrafe: «qui fecit mirabilia multa», e una medaglia eziandio dove si vede da una banda la testa incoronata d’alloro, e dall’altra un cigno moribondo sulle rive del Meandro colla cetra d’Arione che discende dal cielo.
Io fugge Dagli uomini, da’ numi, Da voi tutti, e da me.
Io avea nel fior degli anni miei inteso cantare per le chiese di Napoli el tiple (il soprano) Pepito castrato Spagnuolo, prima che andassi in Ispagna; e poi il rividi e l’ascoltai in Madrid per più anni in compagnia di Narciso ed altri più oscuri castrati tutti Spagnuoli.