Non sappiamo se la triste e volgare stupidità gli abbia procacciato dolori ; ma dal Costetti sappiamo che sino a quando durò la società di lui coll’ Alberti, l’ impresa dei Fiorentini fece ottimi affari.
E l’altra non meno attendibile, sebbene il Bartoli non abbia troppe tenerezze per lui, di Antonio Piazza, il quale dopo di averla acerbamente giudicata nella Giulietta (1771), dicendo : …… ha una lettera di raccomandazione nel volto che dovunque presentasi non le manca mai un accoglimento umanissimo.
Quel comico, per sè stesso persona dabbene ed onesta, era stato ammestrato non so da chi (forse con di lui cecità), ne'gesti, ne'passi marcati del Gratarol per modo, che quantunque io non abbia giammai avuta la menoma inurbana mira di porre il Gratarol in sulla scena, devo dire con mio dolore : il Gratarol si è posto, e fu posto in iscena nella mia commedia : Le Droghe d’amore.
Fui attore studioso, ma mediocre ; l’esecuzione tradiva spesso il concetto, quantunque all’estero e particolarmente a Parigi e a Londra, abbia avuto encomj esagerati dal pubblico e da tutta la stampa.
Quando poi le ho vedute in Firenze io stesso rappresentare, non posso bastantemente esprimere quanto siasi accresciuto il mio giubbilo, e quanta compiacenza mi abbia recato il vederle con tanta esattezza, con tanta verità e spirito rappresentate.
Dovè dunque concepirsi di tal modo, che le macchine per appagare la vista, l’armonia per dilettar l’udito, il ballo per destare quella grata ammirazione che ci tiene piacevolmente sospesi, e gli armonici, graziosi, agili e leggiadri movimenti di un bel corpo, cospirassero concordemente colla poesia anima del tutto, non già qualunque o simile a quella che si adopera in alcune feste, ma bensì drammatica e attiva , ad oggetto di formare un tutto e un’azione bene ordinata e cantata dal principio sino al fine , e (per dirlo colle parole del più erudito filosofo e dell’uomo di gusto più squisito che abbia a’ nostri giorni ragionato dell’opera in musica, dico del conte Algarotti) di rimettere sul teatro moderno Melpomene accompagnata da tutta quella pompa che a’ tempi di Sofocle e di Euripide solea farle corteggio . […] Credo però che questo nostro pregevole letterato abbia voluto biasimare l’ abuso del canto , e l’effeminatezza de’ musici castrati inettissimi a sostenere con decoro gli eroi della storia. […] Sulzer taccia a torto di puerilità il più grand’uomo che abbia illustrato il teatro musicale, non ha poi torto allorchè afferma, che l’opera merita d’essere riformata; e tengo anch’io per fermo (nè ciò pregiudicherà punto alla gloria del gran poeta Romano) che il melodramma non ha tuttavia la sua vera e perfetta forma.
Fu allora che il Conte Carlo Gozzi, già forte estimatore dell’ingegno di lui, pensò di venirgli in ajuto, esordendo come autore la sera del 25 gennajo 1761 con la fiaba L'amore delle tre Melarance, « caricata parodia buffonesca sull’opere dei signori Chiari e Goldoni, che correvano in quel tempo ch'ella comparve. » Fu preceduta da un prologo in versi « Satiretta contro a' Poeti, che opprimevano la Truppa Comica all’improvviso del Sacco », e « nella bassezza de'dialoghi e della condotta e de'caratteri, palesemente con artifizio avviliti, l’autore pretese porre scherzevolmente in ridicolo Il Campiello, Le massere, Le baruffe Chiozzotte, e molte plebee e trivialissime opere del signor Goldoni. » Che Dio l’abbia in gloria ! […] Fiorilli, V.), che è il miglior comico che io mi abbia mai sentito. » E così, di trionfo in trionfo andò innanzi il fortunato capocomico artista, ultimo grande avanzo della commedia improvvisa, fino all’anno 1782, in cui la Compagnia, descritta dal Gozzi al principio de'suoi servizi, come quella che « aveva un credito universale, quanto a'costumi famigliari, differentissimo da quello che in generale hanno quasi tutte le nostre Comiche Compagnie », e di cui (Mem. […] Sarà vero che molto in sua vita egli abbia guadagnato e molto speso : ma è vero non meno che l’arte comica in Italia non arricchisce nemmeno chi l’esercita colla più grande fortuna.
In contraccambio ha ella il vantaggio di sembrarci più verosimile e più conforme alla natura, dal che ne viene in conseguenza che sebbene la declamazion recitata abbia minor azione sopra i sensi, è bensì più acconcia a produrre in noi la persuasione, e pertanto ha molto maggior influenza sullo spirito. […] Io non so più dove m’abbia il capo. […] Egli è un peccato che nell’ordire i piani non sia stato abbastanza felice, che non dipinga i caratteri colla costanza che si richiederebbe, che gli scioglimenti siano freddi e per lo più inverosimili, e che il desiderio di ridurre il melodramma ad un certo sistema adottato da lui, il quale consisteva nell’intrecciar insiem nell’azione la poesia, il ballo, la musica e la decorazione, l’abbia talvolta fatto cadere in istravaganze. […] Ha inoltre il pregio incontrastabile della novità, essendo egli stato (per quanto a me pare) il primo che, cambiando il sistema di cotesto spettacolo, abbia renduta drammatica un’ode puramente descrittiva qual è quella dell’inglese Dryden intitolata Gli effetti della musica a le cui sorgenti ha l’autore italiano largamente bevuto. […] Vorrei che fosse di mezzo carattere (lo che in sostanza vuol dire che non abbia alcuno) che facesse piangere e ridere allo stesso tempo, che il giocoso entrasse in una lega che mai non ha avuta col patetico, che ad un’aria appassionata tenesse dietro una di trambusto, e che aprisse campo di mostrar la sua abilità alla virtuosa Pelosini, che spicca nel tenero e virtuoso Gnaccharelli, che sostiene la parte di buffo per eccellenza.
Infine egli è concesso a due persone non inimiche il dissentire in qualche punto, il disputare ancora, senzache l’usata armonia ne abbia a soffrire. […] Non credo però, che la Storia de’ Teatri vi abbia dato motivo di pensare, che io pretenda destinare i Drammi solo alla lettura de’ Savj, come pare che vogliate insinuare, scappando fuori con quel lectori se credere malunt bene intempestivo. […] Egli è costretto a mettere a profitto qualche passo, che abbia alcuna apparente somiglianza con quel che egli vorrebbe provare, sebbene in sostanza dica tutt’altra cosa. […] Ora un uomo, che non abbia perduto il senno per qualche impegno intrapreso, da tal Commediaccia, e da altre simili scritte da’ trapassati da non molto stravaganti Poetastri Ibañez e Sedano, conchiuderà contro il gusto generale della Nazione Spagnuola? […] 312.), che abbia Racine purgato l’amore di quanto contiene di grossiero e d’illecito, presentando sulle Scene il solo amore onesto e gentile”.
Ma non resta, per tutto questo, che molto ancora egli non ci abbia a metter del suo. […] Può riuscir noioso, egli è vero, il sentir replicar sempre così appuntino la medesima cosa; ed egli par ragionevole che si abbia a lasciare un po’ di campo aperto alla scienza, alla fantasia e all’affetto del cantore: ma dall’altra parte troppo difficilmente incontra, sia per ignoranza, sia per disordinata voglia di piacere, ch’egli sappia o pur voglia starsene legato al soggetto, e non ne esca fuori scordatosi di ogni decoro e di ogni verità.
Carlo Denina nella Parte I del Discorso sulla Letteratura abbia senza appoggio asserito che Gneo Nevio venne dalla Magna Grecia come Andronico. […] Il signor Denina par che abbia scritte le ultime sue cose in fretta, fermandosi sul primo pensiere senza esaminarlo, come può comprovarsi con varie osservazioni sull’indicato Discorso, e sul Proseguimento delle Rivoluzioni d’Italia.
Non sarà mai detto che Pilla abbia la peggio !
Con altra lettera in risposta alle ordinazioni del medico, avverte non poter prendere il latte sino a Bologna, per dove sarebbe partito pochi giorni dopo ; e domanda se debba prenderlo cotto o naturale, e s’abbia da mescolargli altro, e quanto n’avrà da prendere e per quanti giorni ; e quanto sangue stimerà bene si faccia levare, e cosa debba prendere prima della cavata di sangue.
Italia Vitaliani non ha avuto prima d’ora la fortuna che meritava. « Se Italia Vitaliani volesse, – scriveva alcun tempo fa Alberto Manzi — vedrebbe i pubblici entusiasti di lei, come sempre, quando ha voluto, li ha veduti : se sinceramente volesse, tornerebbe ad essere, come anni or sono, la Vitalianina adorata…. » E oggi pare abbia voluto e voglia davvero, dacchè i pubblici nostri e quelli di Spagna e d’America s’inchinano ammirati all’astro di prima grandezza.
É verseggiata in ottava-rima; ma é tragedia composta con arte e giudizio, qual si conveniva a que’ tempi luminosi; e non so donde si abbia ricavato il compilator del parnasso spagnuolo la rara scoverta che la tragedia del Carretto fosse stata una spezie di Dialogo allegorico153. […] Crederò io che l’anonimo abbia lette le commedie dell’Ariosto, del Bentivoglio, del Caro, del Varchi ec.? […] Né si può negare che l’influenza del clima abbia una gran forza su gl’ingegni, le indoli, e i costumi delle nazioni, da che fra gli antichi il divino vecchio Ippocrate con un dottissimo libro, e fra’ moderni il celebre autor dello Spirito delle Leggi, egregiamente ce ’l pruovano, e la storia, i viaggi, la pratica del mondo, e l’esperienza ce ne assicurano. […] Se dopo il mio soggiorno di sedici anni nella capitale delle Gallie, io non fossi per cento e cento pruove persuasissimo di questa irrefragabile verità, conosciuta da tutti gli uomini dotti e assennati di Europa, basterebbero a convincermene le produzioni de la Harpe, e de’ sedicenti filosofi della Senna, a’ quali, salvo appena due o tre, iddio par che abbia voluto, per farli cadere nel disprezzo, torre quel gran dono fatto all’uomo, cioé quella libertà di fare buon uso della facoltà di pensare: «Evanuerunt (si può dir coll’Apostolo Rom. […] Ma quantunque io non abbia in questa risposta a M. de la Harpe profferito pressoché cosa alcuna su’francesi, che convalidata non sia coll’autorità de i loro grandi uomini, pure e la ragione e la civiltà richiede, ch’io qui dichiari, non esser mai stata intenzion mia di far oltraggio a una nazione così rispettabile come la francese che io amo e venero, ma sì bene a que’ suoi indiscreti e impertinenti critici e pedanti, che senza cognizion di causa «et de gayeté de cœur» vanno insultando in generale all’onor delle nazioni ch’essi non conoscono.
Al quale inconveniente grandissimo si troverà soltanto il rimedio nella discrezione del compositore medesimo, il quale dalla bocca del poeta voglia udire le intenzioni sue, voglia intendersela con esso lui prima di metter nota in carta, lo consulti dipoi sopra quanto avrà scritto, ne abbia quella dipendenza che avea il Lulli dal Quinault, il Vinci dal Metastasio, quale giustamente la prescrive la disciplina del teatro. […] Il maggior disordine, giudicano i veri maestri, che abbia radice nella trovata e nella condotta del soggetto stesso dell’aria. Rade volte si cerca che l’andamento della melodia abbia del naturale, o risponda al sentimento delle parole che ha da vestire.
Che già niun legislatore non si metterà a dar nuove leggi in uno stato sconvolto, se prima i magistrati non vengano rimessi in autorità; né si accosterà un capitano al nemico, se non abbia prima dal suo esercito sbandita la licenza e il disordine.
Leone Allacei nella Diatriba de Georgiis presso la Bliblioteca Greca di Alberto Fabrizio mentova Giorgio Cortazio Cretese, il quale nel corrotto greco idioma scrisse in verso una tragedia intitolata Erofila elegante per quanto comporta l’odierno linguaggio delle Grecia serva, e l’unica che abbia meritato ne’ bassi tempi di esser letta e pregiata a.
La commedia era ancor più deplorabile, altro non essendo che una farsa grossolana ristucchevole per chiunque abbia fior di gusto, di buon costume e di politezza.
La commedia è ancor più deplorabile, altro non essendo che una farsa grossolana ristucchevole per chiunque abbia fior di gusto, di buon costume e di politezza.
I servi e le figliuole di codesto Greco Don-Quijote cercano rimuoverlo dal proposito, temendo che si abbia a rompere il collo, o che ne divenga matto del tutto. […] Quello di Prassagora la riprende di essere uscita sì di buon’ora senza che gliene abbia fatto motto. […] Santia risponde di no, e stima che le abbia dette per ispaventarlo; ma egli è bravo, non conosce timore. […] Vuol sapere, se dee fargli cangiar costume e renderlo malizioso scaltro disleale malvagio, affinchè abbia miglior fortuna e più ricchezza del padre. […] Anzi Blessidemo nettamente dice allo stesso Cremilo che a lui non piace di vederlo tutto ad un tratto divenuto ricco; ed ha timore che egli abbia rubato a qualche nume la ricchezza.
Si leggano due tragedie, l’una delle quali abbia il protagonista di carattere sublime, l’altra di mezzano, e se ne vedrà tosto la falsità. […] Come si accorgerà egli, se il poeta o il pittore abbia o no osservate le leggi della drammatica, della prospettiva ecc.; se il maestro di cappella abbia adoperata una musica teatrale? Se l’inventore de’ balli abbia ideata una danza confacente alla favola drammatica? […] Veggiamo in breve, come s’abbia egli governare intorno a questi tre punti. […] Il danzatore se ha un ballo prediletto, lo menerà in iscena, abbia pure tanto che fare col dramma, quanto la luna co’ granchi.
Pare che il Signor Apologista abbia voluto serbare per le ultime fortune il più debole, il più inefficace de’ suoi argomenti.
Parmi nondimeno, che questo dottissimo uomo non sempre abbia ragione quando é portato a credere, che le rappresentazioni de’ sacri misteri ed altre pie farse, fatte nel XIII e XIV secolo, fossero state quasi tutte mute, cioé che in quelle gli attori si componessero negli atteggiamenti propri de’ personaggi, cui rappresentavano, ma non venissero tra loro a dialogo.
Contro di questa verità par che abbia l’erudito abate Carlo Denina opinato, allorchè affermò a, che dalla schiera de’ commedianti sogliono per l’ordinario uscir fuori i migliori poeti drammatici .
Ma io protesto che lungi dall’esser mai montato in superbia per si rare qualità, io le ho sempre considerate effetti della mia buona stella, piuttostochè del mio merito ; e se alcuna cosa ha potuto lusingar l’animo mio in tali congiunture, ciò non fu che il piacere di sentirmi applaudito dopo l’inimitabile signor Domenico, il quale ha portato si alta l’eccellenza della goffaggine nel carattere di arlecchino, che chiunque l’abbia visto recitare, troverà sempre alcun che da osservare ne’ più famosi arlecchini del suo tempo.
Polizia di Milano fanno credere che egli abbia introdotto, o restaurata in Modena la massoneria come incaricato dai comitati superiori di quella setta.
O sia che servitore in Venezia tu ti accinga al servizio di due padroni, o sia che barbiere in Gheldria, tu abbia la lingua più affilata del rasoio, o sia che scudiere in Benevento tu t’involga nel concistoro delle streghe, sempre spontaneo, sempre spiritoso, sempre giocondo, tu semini la gioia, tu ecciti gli applausi, tu desti l’ammirazione.
Con questo corredo di preparazione ho ripreso, per poco, lo studio dei versi e poi le prove lentamente, tentando di dar vita a quella figura che sapevo e che…. il pubblico solo ora può dire in quanta parte di vero abbia reso.
Ho paura però ch’egli travedendo abbia presi per folgori tremende i razzi da feste, e che non abbia letti bene que’ passi che adduce; perchè que’ grand’uomini ch’egli cita, so che riprendono la qualità del canto, e non il canto scenico per se stesso. […] Il Signor Lampillas non ignorerà, che prima che un nuovo genere abbia, come dice nella Poetica Aristotile, la sua natura, vi vogliono molte e molte osservazioni successive; e colui, cui tocca infine giugnere al punto fortunato, forma epoca in suo genere, e ne fissa il gusto. […] Egli schiverà l’assalto con dire: = Io non asserisco, che di tali cose non abbia bisogno, ma bensì dell’indulgenza dello spettatore =. […] Io vi vorrei un poco allato di alcuno, che abbia tali materie bene esaminate, quando si rappresentasse il migliore Dramma colla maggiore proprietà.
Il raziocinio poi dell’Apologista non può reggere, primieramente, perchè un Popolo che reciti Tragedie non molto buone, si dirà che coltivi male questo genere, ma non già che non abbia Tragedie.
Sembra che non interrottamente abbia in essi dominato ognora lo spirito religioso primitivo, da che fino a questi tempi la commedia si considera da alcuni cinesi, come antico rito del patrio culto.
Io son sempre per la prima ipotesi, aggiungendo l’altra che col nome di teatro e con quel della Compagnia a cui appartenne, abbia fatto per un volume di versi un nome di guerra.
Ed è il Cantù che lo chiama Domenico Giuseppe ; e Domenico Giuseppe è chiamato nel ritratto di Ferdinand che qui riproduciamo, mentre lo Jal non sa del secondo nome capacitarsi, non avendo mai trovato il Biancolelli, in quanti documenti abbia veduti, firmato se non col primo.
Secondo poi il Sand, Tabarino sarebbe stato lo Zanni della Compagnia che si recò in Francia il '70, condotta da Alberto Ganassa ; ma non ci dice, al solito, a qual fonte abbia attinta la notizia.
[8] Inoltre la giusta misura e proporzione delle parole, che più acconci e le rende a ricever il valor delle note, a fissar con esattezza il tempo, e a seguitar il movimento, unita all’intervallo così proporzionato, che trovasi ne’ versi italiani tra parola e parola, tra sillaba e sillaba, tra vocale e vocale, tra articolazione ed articolazione, e alla felice mescolanza delle medesime fanno sì che la poesia italiana, ove maneggiata venga a dovere, abbia una certa evidenza d’armonia maravigliosa. […] Ne’ versi fatti per musica cercasi non tsnto la forza determini quanto la relazione che hanno essi col canto: per lo che voglionsi parole composte di vocali chiare ed aperte, vuolsi un tal collocamento d’accenti, che affretti o rallenti in proporzione il movimento senza che abbia a inceppare in articolazioni troppo difficili, o in suoni confusi, dal che ne risulti sintassi più facile, e, a così dir, più scorrevole, che metta ne’ suoni una opportuna distanza tra il piano, e il forte, e tra le variazioni, e le pause della voce. […] Nel far questa nota non mi sfugge quanto larga materia di riso abbia io preparato a’ zerbini, e a’ saccenti italiani; ma non mi sfugge altresì, che i saccenti, e i zerbini d’Italia sono, come quelli di tutti gli altri paesi, la più ridicolosa genia, che passeggi orgogliosamente sulla faccia della terra. […] Che avrò per compagno nella derisione, siccome lo ho nel sentimento, un autore, il quale per esser moderno, e filosofo, e (quello che più importa) francese, spero, che m’abbia a servire di scudo, contro a codesti feroci proseliti della moda.
Mirate dal punto che discopre i loro progressi nelle scienze e nelle arti, sembra che un’ aurea pace abbia fornito tutto l’agio a’ filosofi, ed agli artisti tranquilli pergir tant’oltre. […] In quest’atto Orfeo implora il ritorno di Euridice tra’ vivi, Proserpina intercede per lui, e Plutone gliela concede a condizione, che non abbia a volgersi indietro per mirarla in tutta la via infernale. […] Andres abbia a cadere a porlo in confronto colla Celestina spagnuola pretta novella in dialogo, la quale non fu mai azione drammatica, non mai si rappresentò, non è fatta per rappresentarsi, non si era nel XV secolo ancora composta, perchè il primo di lei autore Cotta non ne compose se non che un atto solo de’ ventuno ch’ n’ebbe poi nel secolo XVI?
Mirate dal punto che discopre i loro progressi nelle scienze e nelle arti, sembra che un’ aurea pace abbia fornito tutto l’agio a’ filosofi ed agli artefici tranquilli per gir tant’ oltre. […] In quest’atto Orfeo implora il ritorno di Euridice tra’ vivi; Proserpina intercede per lui; e Plutone gliela concede a condizione, che non abbia a volgersi indietro per mirarla per tutta la via infernale. […] Andres abbia a mettersi in confronto colla Celestina pretta novella in dialogo, e non azione drammatica, che mai non si rappresentò, che non è fatta per rappresentarsi, e che nel XV non si era ancora composta, perchè il primo autore Cotta non ne fece che un atto de’ ventuno che poi n’ebbe nel XVI secolo?
Non è maraviglia che abbia scarabocchiato un libercolo picciolissimo in tutti i sensi, per provare che in Italia la poesia non è uscita ancora dalla fanciullezza; non consistendo la sua grand’opera che in pagine 104 in picciolo ottavo, delle quali (sebbene protesti di voler fare un libro picciolo) ne impiega ben quaranta solo in esagerate lodi della sua innamorata, cioè di Shakespear. […] Il far capire le bellezze dello stile e la grandezza de’ pensieri e l’energia dell’espressioni, non è mestiere di chi debba andar mendicando notizie e traduzioni di Shakespear da taluno che forse ne sa quanto lui; ma è riserbato a colui, che oltre di possederne l’idioma originale abbia mostrato di capire tutta l’ arduità ed i misteri della poesia rappresentativa con altro che con favole sceniche senza stile e senza lingua, le quali veggano p. e.
Niun attore io credo abbia avuto come lui una vita di palcoscenico piena di movimento, passando dall’amoroso al brillante, dal brillante al primo attore, alternando tal volta l’officio di comico e anche di capocomico, con quello di pittore scenografo, magari di macchinista ; tal volta escogitando con allegri compagni di sventura nuovi mezzi di difesa dalla miseria, come fiere o altro, recandosi da questo a quel posto oggi in barroccino, domani a piedi. […] E la duttilità dell’ingegno egli ha mostrato fino a qui, e mostrerà pur sempre, passando maestrevolmente dalla vasta tragedia shakspeariana alla inguantata commedia di Dumas figlio ; dal fosco dramma nordico dell’Ibsen, dello Strindberg, del Hauptmann alla saltellante comicità del Goldoni ; dall’aurea scoltura della terzina dantesca alle mute contrazioni spasmodiche di Al Telefono ; imperocchè non una parte lo alletti più di un’altra ; e, purchè l’opera sia elevata e umana, egli abbia provato e provi egual godimento intellettuale recitando la tragedia o la commedia : Shakspeare o Beaumarchais.
Conveniente, che nell’adattare ai personaggi i rispettivi gesti abbia sempre in vista l’indole della passione, i caratteri, il tempo, il luogo, e le circostanze171. […] [35] Non negherò già che la mimica, considerata in quanto è un linguaggio muto d’azione, non abbia in se stessa, come l’osservai sul principio del presente capitolo, una grande energia per generare l’interesse e l’illusione. […] È bensì da stupire ch’ei non conosca la difficoltà d’eseguire ciò che promette, oppur conoscendolo, abbia il coraggio d’accingersi a così malagevole impresa. […] Eppure ancora dopo la mia esposizione chi è quel lettore che abbia capito rappresentarsi in questo ballo le Feste d’Imeneo? […] Ciò è tanto vero, che la battaglia di Fingal collo spirito, benché rappresenti il più fiero e magnifico quadro che abbia mai prodotto l’epica poesia, diventerebbe nonostante sconcio e ridicolo trasferito che fosse alla drammatica.
Non iscrivo ciò davvero per riabilitare Anzampamber ; ma è certo che mi pare strano che a lungo o di sfuggita, per quante ricerche io abbia fatte, non si trovi nulla su pe’giornali riguardante il tipo con tanta garbata comicità descritto dal Costetti.
È davvero a dolersi che in nessuna delle biblioteche pubbliche o private d’Italia e di fuori abbia rinvenuto il libretto, che già Fr.
Ne'Contratti rotti, negl’Influssi di Saturno, nella Vedova Indiana, ed in altre commedie dell’arte, dove egli abbia un assoluto maneggio vedesi pure il Zannoni porre in opera tutto il suo ingegno, ed infaticabilmente adoprarsi con lode nell’esecuzione dello studiato suo personaggio…. ecc.
Noi recammo nell’opera delle Sicilie uno squarcio del comico Filemone il maggiore tratto dalla commedia del Soldato da noi tradotto, e quì fia bene riferirlo, perchè non s’abbia a rintracciare altrove. […] Speriamo che nuova luce sul teatro di Ansano abbia ad apportare l’eruditissimo Sacerdote Uomobuono de’ Bucachi che stà tessendo la storia della sua patria.
A quel sua già favorita attrice, il Maffei, forse punto sul vivo, diede in ismanie, tanto che il Martelli nella sua lettera di pentimento, scrisse : …. tolga Dio, che io abbia nè meno per ombra avuta questa intenzione.
Chi abbia come me veduto e sentito nella Cameriera astuta del Castelvecchio le finezze d’espressione, d’intonazione, di dizione della Daria Cutini-Mancini, benchè già fuor dell’arte, può ben essersi fatta una idea chiara e della importanza di quel ruolo, e del valore di chi lo rappresentava, e degli schietti entusiasmi del pubblico.
Queste smancerie e turbolenze ispirarono allora a Paolo Costa dei versi di questa specie : Mal abbia l’istrion che con orrendo artificio sonar fa la parola che il latrato dei cani, il rugghio, il fremito dei rabidi leoni e delle strigi le querimonie imita…… Per la qual cosa il Domeniconi, dolente, si recò dal Costa e gli disse che sua non era la colpa, ma del pubblico : e che glie lo avrebbe provato il domani.
E’ vero, che il Signor Lampillas nota altri miei pregiudizj intorno al Rueda, e a Naarro di Torres, e a Nasarre; ma del primo ho già parlato, e circa i secondi stimo, che quella parte della Storia de’ Teatri, che di loro favella, non sia stata punto crollata per quanto in più pagine abbia ammonticato per conseguirlo il mio spregiudicato Maestro Apologista. […] Più di una fiata mi rinfaccia il Signor Lampillas, che io abbia più a disteso parlato del Teatro Greco, Latino, e Francese, che non dello Spagnuolo.
Mirandole nel punto di vista che discopre i molti loro progressi nelle scienze e nelle arti, sembrerà che un aurea pace abbia dovuto fornir tutto l’agio agli artefici e filosofi tranquilli per gire tant’oltre. […] Di questa poi fece una traduzione italiana Modello Polentone, e pubblicolla in Trento nel 1472 col titolo di Catinia da Catinio protagonista della favola, la quale, secondo che pensa Apostolo Zeno145, é la più antica commedia in prosa volgare, che si abbia alle stampe.
Ogni popolo ha un gusto particolare, ed è stravagante il pretendere che il proprio gusto abbia ad essere norma a tutti gli altri! […] «Or dunque, Libano amato, ricorro a te, trova queste venti mine, usa del tuo ingegno, ingannami, aggirami; inganna mia moglie ed il fattore Saurea; fà di tutto, purchè mio figlio abbia questo danajo, mi chiamerò di ogni cosa contento.» […] Di questa commedia, che dalla compiuta somiglianza di due gemelli Siracusani prende le grazie, le scene equivoche, il groppo e lo scioglimento, non credo che sievi nazione moderna che non abbia traduzioni o almeno imitazioni. […] Questa mensogna creduta dal vecccio è quasi distrutta nel nascere dall’arrivo di un creditore; ma il servo per giustificare il debito finge che il figliuolo abbia comperata la casa di un altro vecchio vicino. […] Strano sembrami che il noto Carlo Denina nella parte I del Discorso sulla Letteratura abbia senza appoggio asserito che Gneo Nevio venne dalla Magna Grecia come Andronico .
Dai modi insinuanti, dalla parola convincente, dall’indole dolcissima, esercitava su’novizj e su’ provetti un fascino ineffabile : non uno de’ vissuti con lui o sotto di lui che non ne abbia ricordato e non ne ricordi tuttavia con profondo rammarico la bontà e la valentia.
Che il Milton abbia conosciuto l’Adamo dell’Andreini pare fuor di dubbio ; ma dal leggere un’ opera e magari seguirne poi le traccie, più qua allargandone il disegno, più là attenuandone le tinte, al riceverne la prima ispirazione ci corre : forse l’ha avuta da una rappresentazione della Scena tragica d’Adamo e d’Eva estratta dalli primi tre capi della Sacra Genesi, et ridotta a significato morale da Troilo Lancetta Benacense ? […] Ma tornando all’Andreini e alla sua Maddalena, dove a me pare ch’egli abbia raggiunto relativamente al suo tempo il bello dell’ arte comica, è nella scena quinta dell’atto secondo, quando la vecchia Marta tenta la conversione di Maddalena. […] Al tremoto di Morte ch’edificio mortal ritto se n’stia, non v’ è ch’ abbia tal sorte : chi ’l crede è frenesia.
Ogni popolo ha un gusto particolare ed è stravagante il pretendere ch’egli abbia ad essere una norma universale. […] Ma non ardirei per questo di asserire consoverchia franchezza (come seguendo il Bayle fassi da alcuni, i quali mirano gli oggetti da un lato solo) che in ciò il Francese abbia superato il suo modello. […] Vanne dunque in casa, previeni la giovane, instruiscila di quanto dee dire, di chi si abbia a chiamar figlia, da chi debba favoleggiare di essere stata rapita, in qual guisa figurarsi nata lungi da Atene, come piangere al ricordarsi della patria e de’ parenti. […] Di questa commedia, che dalla compiuta somiglianza di due gemelli Siracusani prende le grazie, le scene equivoche, il groppo e lo scioglimento, non credo che siavi nazione moderna che non abbia traduzioni o almeno imitazioni. […] Questa menzogna creduta dal vecchio è quasi distrutta nel nascere dall’arrivo di un creditore; ma il servo per giustificare il debito finge che il figliuolo abbia comperata la casa di un altro vecchio vicino.
I poeticominciarono a conoscere che si potevano interessare gli animi a preferenza degli occhi, e s’avvidero i musici che la possanza dell’arte loro avvegnaché ne abbia per fondamento gli accordi e le leggi armoniche, era nondimeno riposta principalmente nella melodia. […] La superiorità nell’arte sua e la facilità di piegarsi a’ diversi gusti di entrambe nazioni italiana e francese procacciò al Corelli un nome immortale in tutta Europa, quantunque un numero assai discretto di produzioni ci abbia egli lasciate memore della massima di Zeussi: «Dipingo adagio perché dipingo per tutti i secoli». […] Non so per tanto con qual ragione un riflessivo e interessante scrittore91 abbia chiamata vana e inutile quella gloria che ritraggono gl’Italiani dal vedere che la loro lingua, musica, e poesia sono superiori a quelle degli oltramontani. […] L’altro è il famoso Benedetto Marcello patrizio veneto, genio fra i più grandi che abbia nel nostro secolo posseduti l’Italia, e che nella sua immortale composizione de’ salmi gareggia col Palestina se non lo supera.
I servi e le figliuole di questo Greco Don-Chisciotte cercano rimoverlo dal proposito, temendo che si abbia a rompere il collo, o che ne divenga matto del tutto. […] Santia risponde di no, e stima che le abbia dette per ispaventarlo; ma egli è bravo, non conosce timore. […] Con questi principj materni non è maraviglia che il figliuolo sia cresciuto con inclinazione al lusso, alla vanità, ai cavalli, alle carrette, ed abbia fatto caricar di debiti il padre. […] Vuol sapere, se dee fargli cangiar costume, e renderlo malizioso, scaltro, disleale, malvagio, affinchè abbia miglior fortuna e più ricchezza del padre. […] Anzi Blessidemo nettamente dice allo stesso Cremilo, che a lui non piace di vederlo tutto a un tratto divenuto ricco, ed ha timore ch’egli abbia rubato a qualche nume.
Se i compositori che vennero dopo il Rinuccini avesser tenuto dietro alle pedate di quel grande ingegno, e con pari filosofia disaminato la relazione che ha il maraviglioso col melodramma, avrebbono facilmente potuto, dando la convenevol regolarità ed aggiustatezza alle lor favolose invenzioni, crear un nuovo sistema di poesia drammatica che aggradasse alla immaginazione senza dispiacer al buon senso, come fece dappoi in Francia il Quinaut, il solo tra tutti i poeti drammatici che abbia saputo maneggiar bene il maraviglioso. […] [2] Di siffatto disordine tre ne furono le vere cagioni: la prima, la natura stessa del maraviglioso, il quale, ove non abbia per fondamento una credenza pubblicamente stabilita dalla religione e dalla storia, non può far a meno che non degeneri in assurdità, perocché l’immaginazione lasciata a se stessa senza la scorta dei sensi o della ragione più non riconosce alcun termine dove fermarsi. […] Dai surriferiti inventori del melodramma fino a più della metà del Seicento non si trova un solo maestro che abbia promosso d’un passo la espression musicale.
Ma il primo che abbia osato pubblicare in Ispagna una commedia senza stravaganze, fu l’autore di una buona Poetica Spagnuola Ignazio Luzàn. […] Ella amava un giovanetto della sua età che era andato in Madrid, e per dissiparne la ripugnanza, le danno a credere con false lettere che egli abbia colà preso moglie. […] Sebbene io l’abbia tradotta interamente in prosa, come feci altresì della precedente, pure ne addurrò quì lo squarcio che ne pubblicai in versi nel 1790 nel sesto volume di quest’opera: Vada (dice della figliuola l’irato don Martino) vada da me lontana, viva infelice, sappia a quante disgrazie la soggetta il pessimo suo procedere.
Il dramma in musica all’opposto, come parto ancora recente nato sotto il cielo dell’Italia, giacciuto lunga stagione nell’avvilimento, ne rivestito dal suo splendore se non al nostro secolo, non ha avuto per anco di qua dai monti un grande ingegno, il quale prendendolo a disaminare nella interna sua costituzione ne abbia indicati i veri principi, fissate le regole, stabilito il sistema, e dataci, a così dire, l’arte poetica. […] Nientedimeno senza derogar al merito d’un libro, ch’io credo il migliore di quanti siano usciti fin’ora alla luce massimamente nella parte didascalica, parmi che i pensieri dell’autore intorno alla parte poetica del dramma non abbiano né la giustezza né la profondità che campeggiano in altri luoghi: mi sembra, che abbia poco felicemente indagati i distintivi fra l’opera e la tragedia, e che non venga dato gran luogo alla critica e molto meno alla storia, ond’è che molto ei ci lascia a desiderare si nell’una che nell’altra.
Le lagrime di questo popolaccio dinotano ch’egli abbia cuore, e dove egli piange, è certo che vi è il patetico. […] Non pare che questo Critico, che vale assai più del vostro Rapin, abbia a dirittura voluto contrapporsi alla censura ingiusta fatta contro del Tasso?
Il primo che abbia osato pubblicare in Ispagna una commedia senza stravaganze fu l’autore di una buona Poetica Spagnuola Ignazio Luzàn. […] Ella amava un giovanetto suo uguale che era andato in Madrid, e per vincerla le vien dato a credere con false lettere ch’egli abbia colà preso moglie.
Non increscerà che quì si trascriva il coro dell’atto I del Ciclope del Martirano da noi tradotto, perchè non abbia a cercarsi altrove: Itene al fonte, o capre, ite agli ascosi Folti recessi de le ombrose selve.
L’azione non è una; il tempo basterebbe per un lungo poema epico; ed il protagonista Ezzelino pare che abbia un compagno in Alberico.
Sembra che non interrottamente abbia in essi dominato lo spirito religioso primitivo, da che sino a questi tempi la commedia si considera da alcuni Cinesi come antico rito del patrio culto.
Non crediate, o signore, che per vanagloria io vi abbia esagerato i vantaggi di cui godo nella mia professione : ma son comico, mi fo conoscere ad un autore, ed ho bisogno di lui.
Esordì a Torino e subito fu riconosciuto attore di rari pregi ; talchè, addentratosi ognor più nello studio, riuscì in breve il più valoroso artista del suo tempo a giudizio d’uomini competenti, quali Francesco Gritti, che afferma « nelle parti dignitose e gravi, e ne' caratteri spiranti grandezza e pieni di fuoco, lui rendersi certamente impareggiabile » e Carlo Gozzi che lo chiama « il miglior comico che abbia oggi l’Italia, » e Francesco Bartoli che gli dedica nelle sue Notizie più pagine dell’usata iperbolica magniloquenza. « Una magistrale intelligenza – dice – una bella voce sonora, un personale nobile e grandioso, un’ anima sensibile ed una espressiva naturale ma sostenuta, formano in lui que'tratti armonici e varj, co'quali sa egli così ben piacere e dilettare a segno di strappare dalle mani e dalle labbra degli uditori i più sonori applausi. » Nel Padre di famiglia di Diderot, nel Gustavo Wasa di Piron, nella Principessa filosofa e nel Moro dal corpo bianco di Carlo Gozzi, nel Radamisto di Crebillon, nel Filottete (di De la Harpe ?)
il seguente sonetto che riferisco dal Bartoli : No, che non sa qual su gli umani affetti abbia possanza amor, chi te non vede co i vezzi a lato, e i teneri amoretti mover d’Alcide in sulle scene il piede.
Per simili riflessioni a noi sembra questa Tullia una delle nostre tragedie più difettose, benchè il Gravina l’abbia noverata tralle migliori del cinquecento. […] L’altra cosa che non seppe veder questo critico Francese, è che i costumi dell’età in cui s’immagina che abbia dominato nella Gozia questo Torrismondo, riescono per gli moderni più verisimili degli antichi. […] Non al combattimento de’ trenta Brettoni con trenta Inglesi, nel quale Beaumanoir gridava, or si vedrà chi di noi abbia più belle dame? […] Ecco quello che a me sembra che abbia di eccellente. […] Certo niuno che l’abbia letta, che comprenda il vero merito d’un componimento tragico e che non abbia un interesse contrario alla verità101.
simili riflessioni a noi sembra questa tragedia del Martelli una delle nostre più difettose, benchè il Gravina l’abbia numerata tralle migliori del cinquencento. […] L’altra cosa che non seppe veder questo critico francese, è che i costumi del l’età in cui s’immagina che abbia dominato nella Gozia questo Torrismondo, riescono pe’ moderni più verisimili di quelli degli antichi. […] Non al combattimento de’ trenta Brettoni con trenta Inglesi, nel quale Beaumanoir gridava, or si vedrà chi di noi abbia più bella dama ? […] Ecco quello che a me sembra che abbia di eccellente. […] Certo niuno che l’abbia letto, che comprenda in che sia posto il vero merito di un componimento tragico, e che non serbi in seno un interesse contrario alla verità.
Diseghe, che no l’abbia tanta pena, Perchè el palesa quel, che el ga in tel cuor, E alfin el perderà cervello, e polpe, Volendose sforzar a far da volpe.
Se non vi si vedrà sbuccar all’improvviso una furia, né si vedrà volar per l’aria una sfinge, un castello, che comparisce e poi si dilegua: se un sole non si prenderà il divertimento di ballar tra le nugole, con altre somiglianti strambezze solite ad usarsi nelle opere francesi, non è per questo, che non abbia in essi un gran luogo la prospettiva, rappresentando ameni giardini, mari tempestosi, combattimenti terrestri e navali, boscaglie, dirupi, tutto insomma il maestoso teatro della natura considerata nel mondo fisico: spettacolo assai più vario, più dilettevole e più fecondo di quello, che sia l’universo ideale fabbricato nel cervello de’ mitologi e de’ poeti. né ci è pericolo altresì che illanguidisca la musicale espressione, purché l’autore secondo le regole stabilite di sopra scelga nelle storie argomenti pieni d’affetto d’interesse sfuggendo le particolarità, che nulla significano: anzi il dover rappresentare gli umani eventi, che il musico ha tante volte veduti, o de’ quali almeno può formarsi una giusta idea, gli sarà di un aiuto grandissimo a vieppiù internarsi nella passione, e a penetrare più addentro nell’animo dell’uditore, come il dover dipingere eziandio gli oggetti naturali, che sono sotto gli occhi di tutti, gli darà più mossa e coraggio a destramente imitarli. […] [39] Che seppur qualche lentezza, o qualche momento ozioso, dove la musica non campeggi, si mischia ne’ drammi tratti dal vero, ciò prova soltanto che non tutte le situazioni sono egualmente suscettibili del medesimo grado di passione, che la musica dee talvolta piegarsi all’uopo della poesia in attenzione ai molti sagrifizi, che fa questa in grazia di quella, e che si ricchieggono degli intervalli, ne’ quali il poeta abbia luogo d’intrecciar fra loro gli avvenimenti, e l’uditore, e il musico di respirare, per così dire, dalla troppo viva commozione, che desterebbesi da una melodia continua. […] Si dee schivar in quello il lungo raggiramento: si può ammetter questo qualora la favola mescolata di storica narrazione, e per lungo corso de’ secoli fino a noi tramandata, abbia acquistato una spezie di credibilità, che la spogli dell’inverosimile ributtante. […] Non dee star attaccato alla unità di scena, ma non dee trascurarla a segno, che ad ogni scena vi sia un cangiamento, o che gli spettatori vengano trasportati ad un tratto da Pechino a Madrid, o dall’Erebo all’Olimpo: «In vitium ducit vitii fuga…» [41] Insomma il poeta drammatico abbia pur fisso nell’animo, che il buon senso vuol essere da per tutto rispettato, e che gli squarci più vaghi d’immaginazione, e d’affetto non difendono un autore dalla censura quando va contro ai dettami della ragione.
Agamennone nella scena 5 domanda a Taltibio se abbia eseguiti i suoi ordini, quando pur vede Briseida ed Achille in quel luogo; ed il servo disubbidiente dice che gli ha enunciati, ma non è passato oltre per compassione, e canta un’ aria di un tronco che cede alla forza ma mostra colla resistenza il proprio dolore, sentenza che quando non fosse falsa, impertinente ed inutile per la musica, sarebbe sempre insipidamente lirica e metafisica. […] Se ciò in castigliano e in italiano significa che di questi partiti non si sono ancora aboliti i nomi, io vorrei che mi si rinfacciasse dove abbia io detto il contrario.
Bisogna che qualche maladetto incantatore nemico di tutti i Don Chisciotti di ogni specie abbia trasformato quell’Autore ed il suo Libro.
Sembra che non interrottamente abbia in essi dominato lo spirito religioso primitivo, da che fino a questi tempi la commedia si considera da alcuni Cinesi come antico rito del patrio culto.
Angelo sul monte, del quale dice il nomato Alberti descrivendo la Campagna di Roma, benchè io abbia veduto molti teatri et anfiteatri…. non però non ho mai veduto il simile a questo .
Io non conosco pastorale veruna de’ secoli XVI e XVII che più di questa abbia acconciamente dato luogo a diversi squarci musicali, ed a tante arie e strofe anacreontiche non cantate soltanto dal Coro in fine degli atti, ma in mezzo di essi da’ personaggi e soprattutto nell’atto V.
Io non conosco pastorale veruna de’ due precedenti secoli che più di questa abbia acconciamente dato luogo a molti squarci musicali, ed a tante arie o strofe anacreontiche non cantate soltanto dal coro in fine degli atti, ma in mezzo di essi da personaggi, e soprattutto nell’atto V.
Eran anche tra gli oggetti due ritratti del Belli a olio su tela, che per quante ricerche io abbia fatte, non mi fu dato rintracciare ; e figurava tra’suoi crediti un’obbligazione di Luigi Ve stri di L. 5754 in data 7 febbraio 1822.
Gigi Rasi è ancora il biondo Rasetto di venti anni fa e par quasi che il tempo non l’ abbia toccato con la sua cipria fatale. – La voce di lui ha acquistato in potenza e in vigorìa ; la dizione in perspicuità e sicurezza.
Questo poeta prodigioso nato nel 1474 a corre le prime palme in tutti i generi che maneggiò (che che abbia voluto gratuitamente asserire in iscapito delle di lui satire e commedie l’esgesuita sig. […] Sventuratamente il padrone di tale botte viene a riprenderla, per dubbio che pe’ debiti del marito della Lena non abbia a pericolare. […] Fazio gli dice che faccia conto che Massimo abbia già saputo il fatto, essendo iti a lui Camillo ed Abondio. […] Ed ecco che i lavacceci italiani hanno la fisonomia de’ Pourceaugnac francesi, nè è a noi mancato un pennello nazionale che abbia saputo ritrarli un secolo e mezzo prima del Moliere. […] Guardici però il cielo che ancor questo sproposito alcun dì non abbia a venire in moda!
Annotta nell’atto V, e Giugurta al solito va e viene liberamente dal campo Romano al Numantino senza che Megara abbia mai saputo prevedere simili visite nemiche. […] Giugurta si ritira nè per altro motivo se non perchè abbia Olvia tutto l’agio di dire a Terma una inutile bugia. […] L’autore nella morte e nel carattere di Rachele non ha alterata la storia (benchè in tanti altri fatti l’abbia senza necessità falsificata) perchè era persuaso che corregge meglio i costumi il gastigo del vizio ed il premio della virtù . […] Huerta ha pur tradotta (dicesi) la Zaira da me non veduta; e mi auguro che ne abbia tolte le improprietà meglio che non ha fatto nell’Agamennone di Sofocle. […] Questo semplice giudizio portato sulla versione della Rachele non è stato punto alterato dopo che seppi che Don Pedro de la Huerta, in non so quale sua operetta che avea trasmessa per istamparsi a Madrid, abbia trattato l’autore della Storia critica de’ Teatri con tutta l’animosità e l’asprezza fraterna.
Tanto più che l’Italia avrà fra poco il piacere di leggere le vicende dei due mentovati rami della drammatica esposte con molta erudizione e criterio nella Nuova Storia de Teatri che si va preparando in Napoli da un mio cortese e gentile amico, il Dottor Don Pietro Napoli-Signorelli, degnissimo segretario di quella Reale Accademia; della quale opera benché nulla abbia io veduto finora, ho però diritto di giudicarne anticipatamente e pel talento dell’autore di già conosciuto in altre sue stimabili produzioni, e per lo studio che attualmente vi pone nell’arricchirla di scelte ed opportune notizie. […] Del resto s’io rivolgo il pensiero alla severità della musica antica, non perciò pretendo di ristabilirla; voglio bensì che il musico conduca un medesimo soggetto per diverse modulazioni, purché queste rendano più interessante e più forte l’espressione, e che innanzi ad ogni altra cosa abbia egli in vista d’afferrare quella giusta ed adeguata misura, fuor della quale fuggono, e a così dir, si dileguano tutte le bellezze di quest’arte. […] L’articolo “il, la, lo”, che si premette a tutti i casi della declinazione di qualunque nome, le danno un certo andamento pesante e tardo; la desinenza costante d’ogni nome nella medesima lettera per tutti i casi della sua inflessione la rende troppo uniforme, e le toglie una cagione feconda di varietà e di precisione, essendo manifesto che più facile e pieghevole non meno pel genere eroico che pel lirico sarà quella lingua che col solo cangiar terminazione esprima in una parola il diverso caso della sua inflessione che non l’altra, la quale conservando sempre la terminazione medesima abbia bisogno di due parole per esprimerlo.
Ed è possibile che la storia non ci abbia detto nulla sul conto di un così rimarchevole personaggio ? […] Marino su quell’ intrico di retroscena, come è peccato che, per quante ricerche fatte, io non abbia potuto trovare il ritratto della Virginia fatto dall’Allori.
Ma benché siffatta obiezione abbia più forza contro alla spezie di canto e di musica solita a sentirsi oggidì sui teatri che contro il canto e la musica in generale, e benché intendersi ciò debba soltanto delle arie e non dei recitativi, dove è indubitabile che possono aver il lor luogo i tratti più vibrati ed energici, come l’hanno pur qualche volta in quelli di Metastasio; egli è certo nonostante che l’accusa sarebbe men ragionevole ove la riflessione e la scienza del cantore sapessero colla proprietà dell’azione supplire al rapido e conciso linguaggio degli affetti. […] A conoscer poi quando la natura abbia forza per se sola a produrlo, basta osservare se i tratti che si mostrano in lei fissano tutta l’attenzione del nostro spirito in maniera che dopo averla veduta, e dopo ch’ella ha parlato, la nostra curiosità e il nostro desiderio richieggano ancora qualche cosa di più, oppure rimangano appieno soddisfatti. […] [45] Non negherò già che se il canto si prende in quanto è la maniera di modificare in mille guise la voce col maggior possibile artifizio e finezza, non abbia quest’arte ricevuto degli avvanzamenti prodigiosi in Italia. […] Dove all’aria stessa cioè alla stessa passione che conserva la tinta e il colore medesimo si dà tutte le volte che si torna da capo un tuono affatto diverso cambiando il tempo, il movimento e il ritmo, quantunque il cambiamento non abbia punto che fare col basso e coi violini? […] Chi crede abbia il torto fra noi?»
Ambivio Turpione e di Attilio Prenestino colla musica di un certo Flacco figlio di Claudio o di lui liberto, come vuole Madama Dacier, benchè non apparisca donde l’abbia ricavato. […] Panfilo sempre più si attrista, che se prima di esser nato il bambino poteva esitare intorno al riprendersi la moglie, e nel caso di riprenderla poteva esporre il bambino, e seppellire nell’obblìo l’accaduto, oggi però che è palese ch’ella abbia partorito, non dee riceverla, o nel riceverla dee riconoscere per suo un bambino che di lui non nacque: Etsi jamdudum fuerat ambiguum hoc mihi, Nunc non est, cum eam consequitur alienus puer. […] Ambivio Turpione, il quale tolse sopra di se il carico di fare il prologo per raccomandarla al popolo, L’istrione accreditato, colle parole dell’incomparabile autore, nel bellissimo prologo mette in vista gli antichi suoi meriti; e siccome per opera sua alcune favole di Cecilio alla prima rigettate si riprodussero, e col meglio conoscersi riceverono migliore accoglimento, così si lusinga che abbia in questa di Terenzio a rinnovarsi il passato esempio, fidando nella benignità e nel silenzio degli ascoltatori. […] Da chi preso abbia questo vestimento? […] Non vediamo però su qual ragionevol fondamento abbia l’autore delle Note della soprannominata edizione Romana di Terenzio del 1767 voluto opporsi alla solita divisione degli atti dell’Eunuco.
Dal che ben pare che l’esperienza ne insegni qualmente, per l’interior del teatro, a prescegliere si abbia il legno; quella materia cioè di che fannosi appunto gli strumenti da musica, siccome quella che è più atta di ogni altra, quando percossa dal suono, a concepir quella maniera di vibrazioni che meglio si confanno cogli organi dell’udito.
Se v’ha tra gli esteri chi abbia con proprietà espressa in altro linguaggio, senza alterar l’originale, l’energia dell’Inglese, secondo me debbe contarvisi il sig.
E poi dimorando egli da parecchi anni in Madrid, é meraviglia come sfornito di molti comodi letterari, abbia potuto venire a capo di formare una così bella, dotta e sensatissima opera.
Agamennone nella scena quinta domanda a Taltibio, se abbia eseguiti i suoi ordini, quando pur co’ suoi occhi vede in quel luogo Briseida ed Achille; ed il servo, contro l’indole de’ Taltibii, disubbidiente dice che gli ha enunciati, ma non è passato oltre per compassione, e canta un’ aria al suo re di un tronco che cede alla forza, ma mostra colla resistenza il proprio dolore , sentenza che quando non fosse falsa, impertinente, ed inutile per la musica, sarebbe sempre insipidamente lirica e metafisica.
L’eloquente Ferrarese Bartolommeo Riccio, insigne Gramatico della lingua Latina, il quale morì d’anni 79 nel 1569, è di sentimento nel libro I de Imitatione, che Seneca ne’ suoi Cori, non solo per l’ abbondanza e per la gravità delle sentenze ch’essi contengono, ma per aver saputo formarli a cantare di ciò che, come dice Orazio, proposito conducat & hæreat aptè, abbia superato tutti i tragici Greci.
Quel bagagliume non la riguarda ; lei sente che il momento umano, della situazione e del carattere, non deve essere alterato da impeti vanitosi che non hanno nè la ragione nè il sentimento dell’arte ; lei sente che i prontuari, le tradizioni, le pratiche di quel mondo artificiale non hanno il potente alito di vita della creatura fatta ad imagine e similitudine ; lei sente che l’applauso del pubblico, dal mormorio di approvazione al grido entusiastico, deve prorompere spontaneo, non deve essere strappato con le tenaglie arroventate del mestiere ; e per quanto non abbia dato finora delle interpretazioni complete, nel tono generale della recitazione della Tina Di Lorenzo si vede questo che è la pura bellezza dell’arte della scena ; vivere una creatura, non fare una parte con tutti gli annessi e connessi del macchinario, e si scorge nella dizione, dalla piana a quella che si eleva nel vario erompere di una passione, nel vario avvicendarsi di una situazione ; e si scorge nel modo di concludere la frase, senza finali di maniera ; e si scorge nello sprezzo, costante, tenace, di quelle note stridenti, le quali anche a volte, rarissime, innocenti, riuscirebbero all’effetto dell’applauso plateale …… Dal terzo articolo : « quello che non c’è.
Viene inoltre sottolineato come ciascuna parte abbia un carattere speciale, che deve trovare corrispondenza nella fisionomia dell’attore. […] Egli è il primo che abbia concepito e tentato quel tipo di versificazione che alla tragica si conviene. […] L’espressione può esser dunque più o meno forte, vivace e significante ogni qual volta abbia relazione più o men necessaria, evidente e diretta con l’idea o sentimento da cui procede. […] Essa cangia e si altera ad ogni istante, sicché pare che non abbia un abito proprio, ond’essere costantemente riconosciuta. […] Ma perché questo tipo abbia un termine più o men diffinito non dee allontanarsi dal tipo reale, se non quanto il comporti il possibile ed il probabile, che più giovi all’indole ed al fine dell’arte.
La sola volta è questa in cui Pier Maria Cecchini s’abbia una parola di lode concernente l’indole sua : ma è anche la volta in cui lo vediamo padrone assoluto della compagnia. […] » E a Cintio che gli consiglia di divenir quello che non fu mai, cioè huomo da bene, Frittellino risponde : io ho una cosa molto difficile : il far un esercizio che non si abbia mai imparato.