Guardami, caro padre, io quella sono, Che a profferir di padre il dolce nome Primiera appresi, quella a cui tu prima Figlia dicesti; guardami, son io. […] Che parlo? […] Ilio superbo, Or più non fia che a le nemiche genti Inaccessibil rocca Asia ti appelli, Che già di Greche squadre un nuvol denso Ti copre e cinge, e desolata e doma E vinta giaci, e de le altere torri Già la corona in cenere conversa Nereggiano de’ muri i sassi informi D’orride strisce di fuligin tinti. […] Il duol m’oppresse, Caddi abbattuta, mille volte e mille Elena detestando e il suo rattore, E le adultere nozze, e di un avverso Genio persecutor l’odio potente, Che l’avito terren m’invidia e fura. […] Ah tu morrai, E di tuo padre il nome, Che tanti ne salvò, ti fia funesto.
Che idee! […] Che farà la misera madre? […] thalamis Troja prælucet novis, ed il nostro Drammatico nella Didone, Va pure, affretta il piede, Che al talamo reale ardon le tede. […] Che se poi non avesse finora fatto abbastanza per meritarlo, egli farà di più, congiungerà Peloro all’Italia, cacciando in fuga i mari che si frappongono, muterà tutto l’orbe, darà nuovo corso all’ Istro e al Tanai &c. […] Che languidezza!
Che poi il dottissimo P.
Che poi seguitasse la Compagnia di quei comici in questo senso, cioè che intervenisse in varie città d’Italia alle recite della sua Merope, è cosa assai nota, e della quale ho in mano le testimonianze e le prove.
Che roba !
Che cosa vorrà il suo seruitor dal mio patrone cosi allo scuro, che non ne habbiamo anchora tredici del Mese ?
Che vuol dir mai festa teatrale di ballo serio? […] Che riconoscenza poi mirabilmente condotta per tutte le circostanze nell’atto IV e di qual tragica catastrofe produttrice! […] Che spettacolo Edipo acciecato! […] Che mai ragioni, o mia Regina? […] Ah tu morrai, E di tuo padre il nome Che tanti ne salvò, ti fia funesto.
Che i Greci, massimamente i primitivi, considerassero i loro musici e i loro poeti come rivestiti d’un carattere legislativo si vede da ciò che le loro prime leggi, le prime politiche istituzioni, furono tutte promulgate in versi accompagnati dalla musica. […] Che ne dice dopo tutto ciò il baldanzoso ed erudito Minosse degli altrui libri? […] Che vuol dire adunque che un siffatto accoppiamento non opera presso di noi il menomo di quei prodigiosi effetti che operava presso gli antichi Greci? […] Che vuol dire questa incoerenza? […] Che così realmente accadda in pratica è una verità di fatto, e solo può darsi ad intendere il contrario a qualche tartaro Kalmuko che non abbia la menomissima idea delle rappresentazioni musicali.
Che idee! […] Che farà la misera madre? […] thalamis Troja praelucet novis , ed il nostro drammatico nella Didone, Va pure, affretta il piede, Che al talamo reale ardon le tede. […] Che se poi non avesse finora fatto abbastanza per meritarlo, egli farà di più, congiungerà Peloro all’Italia, caciando in fuga i mari che si frappongono, muterà tutto l’orbe, darà nuovo corso all’Istro e al Tanai ecc. […] Che languidezza, che gelo, che noja!
Che sieno però state composte prima che l’Etruria fosse soggiogata da’ Romani, siccome pretenderebbe dare a credere Dempsteroa, è cosa incerta, nè apparisce dal passo di Varrone.
Che il Milton abbia conosciuto l’Adamo dell’Andreini pare fuor di dubbio ; ma dal leggere un’ opera e magari seguirne poi le traccie, più qua allargandone il disegno, più là attenuandone le tinte, al riceverne la prima ispirazione ci corre : forse l’ha avuta da una rappresentazione della Scena tragica d’Adamo e d’Eva estratta dalli primi tre capi della Sacra Genesi, et ridotta a significato morale da Troilo Lancetta Benacense ? […] Che che ne fosse, Giovanni Battista Andreini era un uomo di spirito e di lettere ; e sono d’ avviso che s’ egli avesse vissuto cinquant’ anni prima avrebbe calcata la strada degli altri, ed avremmo di lui qualche buona commedia ; ma egli era autore e comico : quindi non poteva scrivere che come gli autori del suo tempo scrivevano, e come lo consigliava il suo interesse. » Anche qui, come si vede chiaro, c’ è un po’ l’ odore di codino. Che la cassetta entrasse per qualche cosa io credo : ma non veramente ch’ egli scrivesse come gli autori del suo tempo.
Gli odierni abitatori di quelle contrade hanno tuttora lo stesso pendio verso l’ilarità, lo che ha dato luogo in Francia ad un proverbio che corre comunemente: «Che il Provenzale sdegnato minaccia un suo nimico con una canzonetta, come l’Italiano con una stilettata». […] Più non vò discovrir qual donna sia; Che per le proprietà sue conosciute, Chi non merta salute Non speri mai d’aver sua compagnia.» […] Volgi pietosi gli occhi All’infelice Delo, Che a te sospira, a te piega i ginocchi, A te dimanda aita, e piagne, e plora: Muovi lampi, e saetta A far di te vendetta Contro il mostro crudel che la divora.» […] [38] Che che ne sia di ciò, cotali spettacoli altro non furono appunto che abbozzi, né alcuno di essi ci dà l’idea d’un dramma eroico cantato dal principio fino alla fine. […] Che da molte nazioni fosse conosciuto l’uso della rima non può negarsi se non da chi voglia negare che il sole è sull’orizzonte nel mezzo giorno.
[7] Che che sia di ciò, quantunque siffatto ritrovato incontrasse qualche contraddizione dalla parte d’alcuni, nullameno i più celebri musici d’Italia Anselmo Parmigiano, Fisifo da Caserta, Prosdocimo Bendemaldo, Marchetto di Padova con più altri l’abbracciarono avidamente, onde gran incremento ne prese l’arte del contrappunto. […] L’Angelo Custode è il difensore, e quasi era sul punto d’ottener la liberazione, allorché giugne San Lazzaro, il quale informandosi del giudizio, si volta dicendo: «Che! Messer Padre Eterno,35 Voi tu dunque salvare Di Belzebutte un germe, un mascalzone, Spilorcio, e crapulone, Che va per le cucine Le pentole fiutando, e del Profeta Se qualchedun gli parla, o della legge, La pancia Ei si tasteggia, e poi risponde: Che legge?
Che se con Suida voglia attribuirsi l’invenzione della vera maschera, non ad Eschilo tragico, ma a Cherilo l’Ateniese ch’egli chiama comico; non perciò potrà negarsi, che la maschera allora si ammettesse ugualmente nella tragedia e nella commedia; e i tragici con somma sciocchezza avrebbero ne’ loro drammi adottata una invenzione destinata a far ridere.
Che se con Suida voglia attribuirsi l’invenzione della vera maschera, non ad Eschilo tragico, ma al Cherilo Ateniese ch’ei chiama comico, non perciò potrà negarsi, che la maschera allora si ammettesse ugualmente nella tragedia che nella commedia; e i tragici con somma sciocchezza avrebbero ne’ loro drammi adottata un’ invenzione destinata a far ridere.
Che che sia di tutto ciò Ronsardo attribuisce al suo amico Stefano Jodelle la gloria di aver composte le prime tragedie e commedie francesi.
Qui la Partenopea vivace Fronda, Che alta ventura al Tosco Giglio unio, Goda placida sempre aura seconda, E il Giglio eccelso….
Che questa domanda quì ripetuta ci stia, come dicesi, a pigione; e che vi abbia del gran tratto dal fare al contraffare. […] Che io non imiterei mai il Lampillas, che con una fiducia senza pari e con tutta la serietà ci assicura della bontà di tal Tragedia . . . […] Che se poi dovesse esaminarsi quali di queste tre principali azioni sia la più degna e propria per una Tragedia, io subito sceglierei l’ultima della morte di Adulze, personaggio veramente tragico, e più di ogni altro interessante (salva la Religione che ci attacca ad Isabella), il qual personaggio ci fa mirare come cosa già dimenticata la morte dell’Eroina Cristiana, e quella di Alboacen.
Che se poi il Signor Abate sia pur fermo nella determinazione di sconfiggermi, il modo più proprio di conseguirlo si è mostrare a dirittura la mia mala scelta, il mio mal gusto nella citata scena, palesandone la mancanza di verità e di patetico. […] “Che giova ne le fata dar di cozzo?”
Ah vindice io sperai Che venir tu dovessi: un nume avverso Di te mi rende un’ ombra, un sogno, un nulla.
Che fossero tragedie non ne ha mai dubitato nè dubiterà uom sano avvezzo a leggere prima di giudicar per preoccupazione apologetica.
Che fossero tragedie, non ne ha mai dubitato, nè dubiterà uom sano ed avvezzo a leggere prima di giudicar per preoccupazione apologetica.
Che vivezza di dialogo, che realismo sincero, non accattato, non forzato !
Che son ?
Che non valesse la Carolina Tessari è innegabile ; ma come fu trattata dall’ Impresa ?
Che confusione poteva nascere tra due attori, di cui uno recitava in Italia e l’altro in Francia ?
Che contrasto interessante per lo spettatore fa quell’aspetto franco e amichevole di Tito, e quella confusione di Sesto lacerato da’ rimorsi. […] Che per industria pervennero a formarsi un’idioma il più atto e pieghevole alla delicatezza dell’armonia226? […] Che amabili martir, Un’alma allor si fa, Un’alma allor si fa, Un’alma che non ha Che un sol desio.»
Che sia opera in musica. […] Che s’intenda per opera in musica. […] Che più? […] Che direbbe quel largo? […] Che fa l’inesperto compositore?
Che riconoscenza poi mirabilmente condotta per tutte le circostanze nel l’atto quarto, e di qual veramente tragica catastrofe produttrice! […] Che spettacolo Edipo accecato!
Che il Sig.
Che se l’esser primo nelle arti reca qualche gloria, e questa non può negarsi all’Italia per la serie de’ fatti narrati e finora non contraddetti da pruove istoriche, sarà il ridirlo delitto per lo storico, oltraggio pel rimanente dell’Europa?
Che se l’esser primo nelle arti reca qualche gloria, e questa non può negarsi all’Italia per la serie de’ fatti narrati e finora non contraddetti da pruove istoriche, sarà il ridirlo un delitto dello Storico, un’ oltraggio al rimanente dell’Europa?
Che commedia se fa doman de sera ?
Che se il personaggio non si risolve, ma rimane nelle sue dubbiezze, come talvolta addiviene, allora l’aria dovrà essere come una cscita, una scappata del sentimento, cioè quella riflessione ultima, in cui l’anima si trattiene per isfogar in quel momento il suo dolore, o qualsivoglia altra affezione. […] Muove la destra e il piede Finge, s’avanza, e cede Finché il momento arriva Che vincitor lo fa.» […] [29] Che se pochi autori hanno osservate ne’ loro scritti siffatte distinzioni, se si leggono arie, recitativi, e duetti lavorati su principi diversi, ciò altro non prova se non che pochi autori hanno penetrato nello spirito dell’arte loro, e che appunto veggonsi tanti drammi noiosi e languidi perché non sono stati scritti secondo le regole, che prescrive una critica filosofica. […] [39] Che seppur qualche lentezza, o qualche momento ozioso, dove la musica non campeggi, si mischia ne’ drammi tratti dal vero, ciò prova soltanto che non tutte le situazioni sono egualmente suscettibili del medesimo grado di passione, che la musica dee talvolta piegarsi all’uopo della poesia in attenzione ai molti sagrifizi, che fa questa in grazia di quella, e che si ricchieggono degli intervalli, ne’ quali il poeta abbia luogo d’intrecciar fra loro gli avvenimenti, e l’uditore, e il musico di respirare, per così dire, dalla troppo viva commozione, che desterebbesi da una melodia continua.
Ben è la veritade, Che costui che col guardo il mondo aterra, Brau’a credenza, e mai non fu a la guerra. […] Che cosa ! […] Che faccia boldoni del Sangue di Venere ? […] Che uno di questi tali dichi, che la Regina di N. muora per lui, questo puol derivare da una pazza opinione fondata su la benignità di uno sguardo ricevuto forsi anche a caso da quella Maestà.
Che risposta recherò al mio re? […] Che pretendi, Numantino? […] Che utile cambiamento è quello d’ introdurre una cassa capace di un cadavere intero da portarsi sugli omeri de’ Greci alla guisa de’ becchini, invece di lasciarvi l’urna antica che conteneva le ceneri di un estinto, e che poteva portarsi in mano, come rilevasi da Aulo Gellio nel parlar di Polo e dall’istesso Sofocle18? Che miglioramento è quest’ altro di far che nasca in iscena e si proponga da Cillenio il pensiero di fingere l’arca che ha da contenere un peso proporzionato ad un corpo morto, quando Sofocle provvidamente suppone questi preparativi già fatti prima di capitare Oreste coll’ ajo in Micene? […] Vetturia nel Marzio dice, Ad una madre Tu ridona il sostegno, e con la patria, Se puoi, lo riconcilia; ma rammenta, Che di Roma sei padre.
Che anco ne’ tempi di decadenza gareggiò sotto il IV. […] Che seppe per amore e zelo della Religione sacrificare eroicamente un milione di Vassalli?
Che cessando la peste la gente riprenda il vigore, ben s’intende; ma le navi sono anch’esse soggette al contagio? […] Saben VI finalmente: “Che il sombrero chambergo non è in Ispagna più antico della Guardia Chamberga che l’usava in tempo di Carlo II”.
Che diremo della signora Amalia Bettini ? […] Che pparlate !
Che che sia di ciò, Virgilio, Calfurnio rinnovarono in Italia colle loro Ecloghe i Teocriti e i Bioni.
Ella così conchiude: Per me non v’è conforto Per te non v’è tormento, Che qual tu pur ti se’ perfido e crudo, E forza, oimè!
Ella così conchiude: Per me non v’è conforto, Per te non v’è tormento, Che qual tu pur ti se’ perfido e crudo, E’ forza, oimè, ch’io t’ami; Io t’amo, e se per altro Non t’è caro il mio amor, caro ti sia Perchè il mio amor sarà la morte mia.
Che della gratia, etc.
Che poi sieno state composte avanti che l’Etruria fosse soggettata a’ romani, siccome pre pretenderebbe dare a credere il Dempstero nel libro III cap. 35 dell’Etruria Regale, é cosa incerta che non apparisce dal passo di Varrone; e l’avveduto e sagace abbate Tiraboschi oppone saviamente, che ancor sotto il dominio romano potevano gli Etruschi poetare nella loro lingua materna. […] Che idee! […] XIX, Va pure, affretta il piede, Che al talamo reale ardon le tede. […] Che se poi non avesse finora fatto abbastanza per meritarlo, egli congiungerà Peloro all’Italia, «cacciando in fuga i mari che si frappongono, egli muterà tutto l’Orbe, darà nuovo corso all’Isiro e al Tanai ec.» […] Che languidezza, che gelo, che noia!
Che pianto è questo tuo? […] Che mi rileva errar per gli ermi boschi che contiene cinque stanze colla rigorosa legge del metro regolare.
Che pianto è questo tuo? […] Dovè parimente cantarsi la canzone di Selvaggio nell’atto I, Che mi rileva errar per gli ermi boschi, che contiene cinque stanze colla rigorosa legge del metro regolare.
Che mi promette l’inventore d’un ballo teatrale? […] Che mi promette l’esecutore del ballo? […] Che l’idioma de’ gesti deva essere scarso nella natura apparisce da ciò che accompagnandosi ogni concetto mentale dell’uomo espresso al di fuori con due segni il gesto cioè, e la voce; ciascuno d’essi segni dee perder molto della sua influenzi a misura che prevale e si perfeziona quell’altro; dimodochè ove l’arte della parola è molto in uso, ed ovunque sia stata ad un cetto grado di raffinamento condotta, ivi l’espressione del gesto è più rara e meno efficace, come all’opposto dove il costume o le circostanze o la necessità diminuiscono il vicendevol commercio della voce, il linguaggio de’ gesti diviene più comune e più energico, siccome accade ne’ fanciulli, ne’ muti presso alle nazioni selvaggie, e in quegli stati altresì della politica società dove l’educazione o il rispetto, la convenienza o il timore impongono freno all’ardente e talvolta troppo pericoloso desiderio di spiegar con parole i propri sentimenti. […] Che voglia preferire i divertimenti men vivi e più difficili ad un altro più piccante e più facile? Che si procacci con una riflessione faticosa quel godimento ch’è sicura di conseguire in maggior dose in mezzo alla disattenzione e alla spensieratezza?
Che cessando la peste la gente riprenda vigore, ben s’intende; ma le navi sono anch’esse soggette al contagio?
Che i Greci ricevuto avessero dagli Etruschi diverse cerimonie ed istituzioni religiose, apertamente è asserito da Platone nel lib.
Che cos’è la Supplica ?
Che dire di questa prediletta figlia di Melpomene e di Talìa ? […] Che smacco !
Che non istudiano i campi di architettura che adornano molti quadri di Paolo, co’ quali ben si può dire ch’egli ha reso teatrali gli avvenimenti della storia?
I Popoli ammirar l’arte, e l’ingegno, Che mille metamorfosi poteo Rappresentar, cangiando opre, e disegno.
Una parentesi : Che i Gonzaga fossero appassionatissimi pel teatro è fuor di dubbio ; ma è anche certo che la loro grande passione non andava discompagnata dall’ambizione di avere in tal materia la supremazia ; nè da questa lettera, giacente nell’Archivio di Modena, della quale non è riuscito ad alcuno finora trovar conferma nelle carte dell’Archivio Mantovano, nè dalle prigionie patite dal Parrino e da tanti, alla liberazion de'quali s’occuparon patrizj e potentati in vano, nè dalla cacciata da Mantova degli stessi Gelosi il '79, ci sarebbe certo da dirli stinchi di santo.
Che quantità e varietà di note in questi quattro versi !
Che carattere detestabile è quello mai di Don Felix de Toledo esposto in Teatro da Calderon! […] Che buono esempio può dare al Teatro la Commedia di Moreto, Na puede ser guardar una muger?
Che se voi l’affermaste a dirittura colla usata franchezza, sareste smentito da tutte le parole del mio Libro. […] Che se in qualche Villaggio, o Castello, o al più in alcuna Città del terzo, e quarto ordine i meno abili e i più poveri Commedianti vanno recitando alcuna arlecchinata per divertire que’ paesi men colti, sarà questa una pruova, che la Nazione Italiana si delizia nelle buffonate dell’Arlecchino?
Che savia lezione di politica e di commercio! […] Che pensare di que’ commediografi, i quali vi dicono in qualche prefazione, che si sono veduti confusi dopo di avere scritti due de’ tre atti d’una commedia, per non saper di che trattar nel terzo?
Che se le parole vi fossero introdotte non già dal XIII, come a noi sembra, ma dal XV, in cui si compose indubitatamente il dramma del Dati, nell’imprimersi che si fece nel declinar del secolo XVI il libro degli statuti della Compagnia, non avrebbe in essi dovuto esprimersi questa varietà essenziale, cioè che le rappresentazioni da mute che furono nel XIII, passarono poscia ad animarsi con parole? […] Che se volesse il Sig.
Che vi ha di lugubre? […] Per dissipar tal nebbia, e mostrar chiaro Che per natura non è l’uom proclive Alla malvagità, prender potete Per giudice e ascoltar come un oracolo Il popolo raccolto in un teatro.
Che si deve amare chi non ama.
Che si direbbe d’un cotale che, camminando lentamente per via, si mettesse ad un tratto a spiccar salti e cavriuole? […] Il primo ad introdurlo sembra essere stato il cantore Baldassarre Ferri perugino, come si può argomentare dalla prefazione d’una raccolta di poesie a lui dedicata, ove nello stile ampolloso di quei secolo si dice, parlando di non so quale cantilena: «Che il popolo sopraffatto da vostri sovrumani concenti, guardandovi qual novello portentoso Orfeo della età nostra, vi sentì replicar più volte sulle nostre scene rimbombanti coi vostri applausi ed inaffiata coi torrenti dell’armonia vostra dolcissima.» […] [35] Che diremo del poco riguardo che si ha da maestri dozzinali per le convenienze della poesia? […] [37] Che si dovrà pensare eziandio dello strapazzar che fanno miseramente l’espressione fermandosi soltanto nelle parole individuali che si trovano per accidente nella composizione, e tralasciando, anzi sfigurando con questo mezzo il sentimento generale dell’aria?
Che se gergone rassomiglia anche al jargon de’ Francesi, quale in ciò è la mia colpa?
Che le antiche tragedie e commedie altro non erano che una specie di opera151?
Che tragico incomparabile non diverrebbe chi sapesse ben congiungere l’uno e l’altro studio!
Che anzi, erano già molti anni dacchè al teatro del Pavone era stata posta la lumiera con quattro grandi pavoni dorati, che poi furono tolti perchè dalla sua luce si pavoneggiavano quei soli quattro animali, quando io nel 1843, assistendo ad una rappresentazione della compagnia Reale di Torino, trovai il teatro Carignano senza lumiera, e in cosi fitta oscurità, ch’ io distingueva appena la fisonomia di chi mi stava vicino, mentre la luce concentrata tutta sopra gli attori li faceva sembrare figure magiche, e la commedia era ascoltata con religioso silenzio.
Che vena di comicità !
Che tra l’autore de I Promessi Sposi e il Salfi ci sia stato almeno un incontro è certificato da una lettera spedita dal Manzoni al Fauriel, datata 17 ottobre 1820, in cui egli porge i propri saluti a vari frequentatori del circolo della Condorcet, tra cui il Salfi61. […] Che se l’orecchio esercitato in questo genere di delicate sensazioni, le avverte e ne gode; perché non si debbono con la pronunciazione rilevarle opportunamente ed esprimerle? […] E dietro mi correa sull’aure Lungo un rimbombo di voci di pianto, Che mi fean pianger, tremare, ululare. […] [6.3] Che la mente, e per essa la percezione, come il cuore, e per esso la sensazione, agiti e commuova più o men fortemente alcune parti del corpo, nessuno può dubitarne. […] Quando ebbe detto ciò con gli occhi torti Riprese il teschio misero co’ denti, Che furo all’osso, come di un can, forti.
Che connessione ha l’una cosa coll’altra? […] «Che non ho io fatto per voi?
Che se le parole vi si fossero introdotte non già dal XIII come a noi sembra, ma dal XV, in cui si compose indubitatamente il dramma del Dati, nell’imprimersi che si fece nel declinar del secolo XVI il libro degli Statuti della Compagnia, non avrebbe in essi dovuto esprimersi questa varietà essenziale, cioè, che le rappresentazioni da mute che si furono nel XIII, passarono poscia ad animarsi con parole? […] Che se volesse il sig.
Che il giorno avanti era stata a Versailles dove Mad. […] Che aveva data una fanciulla cantatrice a Madama di Guisa ; che questa per fargli dispetto l’aveva licenziata, ma che lei l’ha obbligata a dargli 50 doppie che ha lei in mano e rimandargliene in carrozza….
Che se gergone rassomiglia anche al jargon de’ Francesi, quale in ciò è la mia colpa?
Che non piaccia a Civitavecchia è possibile : perchè il pubblico di Civitavecchia non avrebbe da esser asino ?
Che il Sacco fosse attore di grandissimo grido sì per le argute improvvisazioni, sì per la eleganza e rapidità dell’azione, è fuor di dubbio, chè troppi sono i testimonj e non sospetti come il Goldoni, che al Capitolo IV, T.
Che poi quella si cantasse tutta, come pretende il P.
Che se il cappello Chambergo di detta Guardia fu forse un poco più grande, ciò non vuol dire che fosse nuova invenzione e precedente soltanto a quello allacciato a tre punte venuto a coprire le teste spagnuole con Filippo V.
Che se alcuno stentasse a credermi, faranno invece mia sicura testimonianza due chiarissimi autori, cui niuno potrà rimproverare di aver voluto adombrar il vero, o recar onta alle glorie della loro patria. […] Prendendola poi in matrimonio mostrò di non aver letta la sentenza di Shakespear nella Cleopatra: «Che la donna è un piatto da presentarsi ai numi, purché il diavolo non vi faccia la salsa.»
Che muove a riso il vedere, che gli Attori Musicali “prendono a contraffare gravi persone, le quali trattano materie di Stato, ordiscono tradimenti, assalti, guerre, vanno alla morte, o piangono qualche gran disavventura, e pure cantano dolcemente, gorgheggiano, e con somma pace sciolgono un lunghissimo e soave trillo”. […] Ecco da ciò che voi presumete qual conseguenza ne scende: Che l’antico Canto degli Episodj, per essere meno figurato di quello de’ Cori, non era Canto.
Che se ciò nonostante alcun m’attribuisse intenzioni che non ho mai sognato d’avere: se dalla stessa mia ingenuità si prendesse argomento a interpretare malignamente le mie intenzioni, come dall’aver Cartesio inventato un nuovo genere di pruove fortissime a dimostrar l’esistenza d’Iddio, non mancò ch’il volesse far passare per ateista: se altro mezzo non v’ha di far ricreder costoro, che quello d’avvilir la mia penna con adulazioni vergognose, ovvero d’assoggettarmi ad uno spirito di partito ridicolo; in tal caso rimangano essi anticipatamente avvisati, che non ho scritto per loro, e che la mia divisa per cotal genia di lettori sarà sempre quel verso d’Orazio: «Odi profanum vulgus, et arceo.»
Che se i Greci più sensibili, e vivaci, e pieni d’inimitabile entusiasmo come Pindaro, di fiamme perenni come Saffo, di amorosa delicatezza e vivacità e di poetica leggiadria come Anacreonte, se questi, dico, gelano l’infocato Rapin, come ardirsi a mentovare i Poeti delle moderne lingue?
Che se tanto può attendersi dallo studio delle donne, quali vantaggi maggiori ne presentano le voci de’ castrati, perchè non abbiano a sbandirsi dalle scene italiche?
Amami, pensa a me; forse ristoro Troverò al mio dolore, immaginando Che una lagrima almen, qualche sospiro Potrò costare alla beltà che perdo!
Che le commedie d’allora fossero, in genere (scritte o improvvise), una poverissima cosa, portato naturale del tempo, bruttino anzichè no, sappiamo : che quelle commedie si reggessero e piacessero per la eccellenza dei comici, molti contemporanei, e di non sospetta autorità, lo affermano.
Che ci presenta di lugubre? […] Per dissipar tal nebbia, e mostrar chiaro Che per natura non è l’uom proclive Alla malvagità, prender potete Per giudice e ascoltar come un oracolo Il popolo raccolto in un teatro.
E ben fede ne fa la marca d’oro, Che la regnante Astrea spontanea diede, Marca a cui cede ogni più lenta fede, Se nell’orbe immortal chiude un tesoro.
Che della semplicicità de’ mezzi, della verità dei caratteri, della eleganza dello stile, della pittura del cuor umano e della forza ed evidenza delle passioni quando ha trovato il segreto di salire in Parnaso con minore fatica, e di essere incoronato d’un più facile benché men durevole alloro? […] Che avrebbe poi detto s’avesse saputo che si fanno persino pei cocchieri e pei cuochi, e che persin la moglie d’un facchino fu nella sua gravidanza complimentata da un sonettista con questo poetico augurio: E da te sortirà prole d’Eroi?
Che fare ?
Aggiungiamo la nostra traduzione Italiana: Dolce violenza e lusinghevol laccio Rapisce e annoda l’anima cattiva, Che ne sospira e geme e plora oppressa Sotto il giogo crudel che scuoter tenta. […] Che ab jetta, che ingrata, che steril cosa è un plagiario impudente!
Ne aggiungo la mia traduzione italiana: Dolce violenza e lusinghevot laccio Rapisce e annoda l’anima cattiva, Che ne sospira e geme e plora oppressa Sotto il giogo crudel che scuoter tenta; Non può, non lice, e la sua furia cresce; Serpe il dolce velen nel petto acceso; Fugge gli uomini, il dì fugge ed abborre; Erra solingo, e seco sol favella; Castro ne’ labbri, Castro in cuore, Castro Vede per tutto, e la consorte sdegna. […] Che abjetta, che ingrata, che steril cosa è un plagiario impudente!
Che idea ammirabile ci dà ancora del gran Pompeo in questo verso, Il fuit le monde entier écrasé sous sa chute!
[1.29ED] Che se trecento in settant’anni ne hai scritti, quante migliaia ne avrai prodotti in sì lungo agio di età da pubblicarsi, ora massimamente che la facil troppo invenzion tedesca, parlo della stampa, ha facilitato cotanto il commercio dell’opere e degl’ingegni? […] [4.139ED] Tanto più che cotesti vostri poeti han per legge che il sentimento col verso sciolto frequentemente non termini, ma che anzi variamente esteso nasconda col suo periodo la cantilena uniforme che la costumanza suol dare a cotesti periodi misurati. [4.140ED] Che si deformi il verso con la diversa estensione del sentimento, per esprimere il quale non si può esprimere senza perturbazione il giro dell’armonia, quando almen vi resti la rima, che poi al dispetto di quello studiato interrompimento ci faccia conoscere il verso, non so biasimar l’artificio; perché così dassi pure non so che di men ordinato e di più naturale alla disposizione non uniforme della punteggiatura e de’ sensi. [4.141ED] Ma dato che il verso italiano sciolto non sia nemmen pronunziato o recitato secondo la costumanza, ma che si rompa o si diversifichi a misura de’ sentimenti, sosterrò sempre che nulla ha di verso. [4.142ED] Al più, al più i versi italiani sdruccioli sciolti potrebbero dirsi in qualche maniera pur versi, essendo che quelle tre ultime sillabe recano almen con se stesse una sostanziale armonia e una specie di metro nella costante determinazione del dattilo. [4.143ED] Ne’ versi tronchi pur anche ti vo’ accordare non so che di armonico innato; ma questi poi non si diran senza rima, se si rifletterà che terminando ciascheduno di essi in una delle cinque vocali, agevolmente l’orecchio vi truova le desinenze, quantunque casuali e lontane, calcarsegli sul timpano dall’accento sempre uniforme, dimodoché svegliano l’anima a considerarne la consonanza. [4.144ED] Ma ne’ versi piani che troverai tu di verso? […] [5.78ED] Compose in Germania musica e parole di un melodramma che fu la delizia e la maraviglia della corte di Prussia e la mia. [5.79ED] Che mi parean divini que’ versi così incorporati alle note! […] [5.196ED] Io dunque stimerei sempre meglio il permettere che i musici a loro talento cacciassero l’arie ove vogliono, che il farmi complice del lor mancamento col caricarle; e basta bene che non discordino nella tessitura musicale, della qual cosa lascia tutto il pensiero al mastro di cappella. [5.197ED] Che se poi l’impresario, il quale dee pagarti la tua fatica (non arrossire, che questa è l’unica sorta di poesia destinata a servir per mercede), vorrà che tu le carichi e tu le carica, e dona al cielo l’esercizio della tua eroica pazienza in isconto o dell’aver violato qualche tempio o di altro errore per te commesso. [5.198ED] Volesti la Poetica di Aristotile sul melodramma e già l’hai avuta; ne sei tu contento? […] [5.243ED] Che se tanto si loda il sonno perché i sensi della miserabile umanità legando li astrae e li rende per poche ore immuni dalle sventure, quanto sarà mai più pregevole un’arte che senza sospenderci l’uso del vivere come fa il sonno, detto per ciò fratel della morte, ci fa viver estatici in una quiete deliziosa e contenta, co’ sensi veglianti, ma lieti e veramente felici?
Che se s’ammise sotto il nome della tragedia ogni sorta di fatti illustri indistintamente, non aveva essa ricevuta ancora dalle regole la spezial forma. […] Che se Virgilio narra avere egli sposata Aricia, ciò però non fece secondo lui che dopo essere risorto sotto nome di Virbio. […] Che se Aristotele narra essersi composte da certi poeti del suo tempo molte di esse senza costumi, non vuolsi intendere se non che esse ne trascuravano assai l’uso ch’avrebbon potuto farne. […] Che più? […] Che più dunque tardate?