I Francesi in questi ultimi tempi hanno avuto varii scrittori di tragedie cittadine ora più ora meno ingegnose e composte più spesso in prosa che in versi. […] Manca ancora a’ Francesi l’arte d’inseguire col sale comico e colla sferza del ridicolo questa vanità ed ingordigia de’ capi di famiglie che astringono le donzelle a seppellirsi per conservare a’ maschi intere le patrie ricchezze. […] Le passioni vi sono vive ma meno tragiche e più proprie della commedia nobile, o come dicono i Francesi, du haut comique, sebbene se ne vorrebbero correggere diversi eccessi.
Si vorrebbe ancora ravvisare in que’ primi Romani che prese a dipignere rassomiglianza minore co’ più moderni cortigiani Francesi. […] Sono, è vero, tali figure ammesse an cora nelle poesie de’ Greci e degl’Italiani; ma da’ Francesi drammatici usate con troppa frequenza, e di rado variate colla mescolanza di altre formole poetiche non disdicevoli alla scena, per la qual cosa partoriscono rincrescimento. […] Non so quanto i Francesi possano chiamarsi contenti di codesta specie d’indovinello, paradosso, o garbuglio. […] Ma il carattere di Erode dipinto con bastante forza e verità, ed alcune situazioni che interessano, e l’intrepidezza di Marianne condotta a morire, mostrano che Tristano meritò in certo modo gli applausi che riscosse da’ Francesi di quel tempo. […] Lampillas, Andres e tutti gli apologisti spagnuoli loro confratelli doveano contare ancor questa favola del Quinault tra quelle che i Francesi trassero da’ loro compatriotti.
Di tutte le traduzioni ed imitazioni di essa fatte da’ Francesi riferite dal nostro autore, quella di M. […] Pare dunque che il Trissino (il quale non so perchè e donde venga dal Voltaire ed indi da altri di lui compatriotti appellato Arcivescovo) abbia servito di lume e scorta a’ primi Francesi che si esercitarono nel genere tragico. […] Per mezzo delle più celebri tragedie Italiane del XVI secolo, tutte secondo Aristotile e il Greco teatro composte, può dirsi allor sorta e giunta al colmo la tragica letteratura, imitata poi da Francesi e Spagnuoli con molto maggior minutezza e povertà, che non aveano i nostri mostrata nell’imitazione de’ Greci. […] Parlando il sig. di Voltaire del mal gusto de’ Francesi del secolo XVI dice: Pour les Français, quels étaient leurs livres & leurs spectacles favoris?
I medesimi Francesi non ignorarono che l’azione ed i principali colpi di teatro della prima si tolsero da una commedia italianaa. […] Bisogna però mostrare ingenuità maggiore di codesti Francesi eruditi, e confessare che Moliere abbelliva le altrui invenzioni, accomodandole così acconciamente al suo tempo ed alla propria nazione, che, quando non lavorava con fretta, gli originali sparivano sempre a fronte delle sue copie. […] Riconobbero i Francesi nella di lui Commedia senza commedia recitata nel 1655 gran fertilità d’ingegno. […] Da teologo controversista divenne poeta comico non ispregevole, e conservò tra’ Francesi il gusto della vera commedia. […] Sette anni dopo la morte di Moliere si unirono le due compagnie Francesi nel Palazzo di Guenègaud, ed il teatro di Borgogna rimase alla sola Compagnia Italiana sino al 1697, quando d’ordine sovrano rimase chiuso.
Andò egli con due suoi Compagni, ma non incontrò molto applauso, dappoichè i Francesi non intendendo la frase Napolitana, nè le scempiezze del Pulcinella, ch’è parte goffa, altro diletto non aveano, se non quel che nascea dagli atteggiamenti ridicoli di Michelagnolo ; e per altro, egli non era grazioso, se non allora quando faceva scena co’suoi Compagni Napolitani, poichè i Comici Francesi non si adattavano al nostro modo di rappresentare all’Improviso, nè capivano la di lui intenzione, onde egli penava a muovere le risate.
L’amore, perché sia tragico, dee esser forte, disperato, funesto, dominante: se é subalterno, mediocre, episodico, allora é ciò che i Francesi chiamano galanterie famigliare192. […] Bisogna però confessare ingenuamente, che Molière abbelliva a meraviglia le altrui invenzioni, e dava loro un brio e un abbigliamento così proprio de’ Francesi e del suo tempo, che gli originali sparivano a fronte delle copie, quando lavorava senza fretta. […] L’opera francese all’incontro tira dal fondo dell’immaginazione un ammasso di miracoli e stravaganze, più mostruoso di quello che i Francesi riprendono nel teatro spagnuolo. […] S’egli sarà ascoltato, un giorno i Francesi ravveduti imiteranno l’opera italiana, o non avranno più teatro lirico. […] Euripide e Archippo aveano trattato per gli Greci questo soggetto, che Plauto poi fece conoscere ai Romani, e Molière ai Francesi.
Germano con tutte le stravaganze e buffonerie, e con quelle ariette nazionali dette Vaudevilles così care a’ Francesi. […] Le Maçon di Sèverin cadde affatto; ed i Francesi dissero, che da tale opera appare che l’autore conosceva meglio l’arte di muratore che l’arte drammatica. […] I motteggi che vi campeggiano, consistono per Io più in una lotta di concetti e di scherzi mordaci sulla parola, de’ quali i Francesi de’ Dipartimenti comprendono a stento tutta l’acutezza, mentre i Parigini che l’assaporano pienamente, escono dallo spettacolo canticchiando le strofette ascoltate che bentosto si adottano e passano in moda. […] Lo spirito di rappresentazione che anima i Francesi, i grandi modelli nazionali che riempiono le loro scene, il gusto di cui credonsi con privilegio esclusivo in possesso, non basta ad obbligarli a volgere un solo sguardo alla meschinità de’ loro pubblici teatri. […] Al fine i Francesi contro l’avviso de’ critici indicati vanno riducendosi sotto il vessillo della verità e del senno prendendo ad imitar gli uomini anche nella scena musicale.
Diasi agli eccellenti comici Francesi venuti dopo di lui il bel vanto di essersi segnalati ogregiamente nella bella commedia che dipigne i caratteri correnti; ma si riserbi al Porta il trionfo nella commedia di viluppo. […] Or tale è l’arte che serpeggia nella Trappolaria, nell’Olimpia, nella Tabernaria ed in altre del Porta e questo dilettevole genere comico dopo di alcune prime commedie del Moliere e del Bugiardo del Cornelio, fu da Francesi totalmente negletto. […] Chi oserà dare il titolo in tutti i sensi sconvenevole di pasticci drammatici, che solo appartiensi agl’Inglesi, agli Spagnuoli ed agli Alemanni, ed anche a’ Francesi prima di Corneille e Moliere?
Comunque riesca l’uno e l’altro, sempre là dove giunga il nome Spagnuolo, sonerà grande e famoso, e sempre e Russi, e Francesi, e Inglesi, e Alemanni verranno a vagheggiare l’Italia, come la Madre delle Belle Arti, e dell’Ospitalità. […] di credere Francesi, e non Spagnuoli, i Provenzali?
Replicai che ciò non appariva dalle Opere del nostro Poeta, e soggiunsi, che sebbene avesse egli succiato qualche mele dagli Antichi, da’ Francesi, e dagl’Italiani, nulla poteva aver tratto da Calderòn. […] In oltre questo Filosofo mascherato comincia il suo discorso dal mostrare, che la semplicità amata da’ Greci, da’ Francesi, e da’ buoni Italiani, non si amò dalla Nazione Spagnuola, che si fondò nel viluppo romanzesco.
Conti, e da parecchi letterati Francesi che frequentavano la di lui casa.
Senza dubbio i drammi Cinesi, Spagnuoli e Inglesi contengono un’ arte men delicata, ma pel gusto di que’ popoli hanno un merito locale; i drammi poi de’ Greci e de’ Latini e de’ moderni Italiani e Francesi, come hanno acquistato dritto di cittadinanza nella maggior parte delle nazioni culte, non temono gl’ insulti degli anni, e posseggone una bellezza che si avvicina all’assoluta.
E alle lettere del Modena faccio seguire un brano di Giuseppe Costetti che tolgo da’ suoi lepidissimi Bozzetti di teatro (Bologna, Zanichelli, mdccclxxxi) : Del cinquanta, quando la rotta di Novara e i Francesi in Roma empivano di lagrime gli occhi d’Italia, la Compagnia Domeniconi correva i teatri della penisola.
Peccasi sovente da’ Francesi in tal fatto invece d’aiutare con gli affetti degli episodi quello dell’azione. […] De’ vantaggi ch’hanno li Francesi circa vari artifici toccanti l’ordine e la forma della tragica rappresentanza. […] Certo anche in questo non è lieve il vantaggio de’ Francesi. […] Hanno le loro indecenze sì gl’Italiani che li Francesi, ma con particolar differenza. […] Di vari metri usati dagli Italiani in tragedia, e de’ tragici versi de’ Francesi.
Adunque la prima ìstruzione che ebbero i Francesi di un dramma in cui venissero osservate le regole delle tre unità, debbono riconoscerla dalla Sofonisba del Trissino. […] Piacemi che egli a nome de’ Francesi si mostri grato a quella ingegnosa nazione e che ripeta quel che altre volte ed assai prima di lui osservarono i Francesi stessi, gli Spagnuoli e gl’Italiani; ma è giusto forse che per confessare un debito voglia negarne un altro? […] Potè almeno obbliar del tutto il Rapin il famoso combattimento de’ tredici Italiani con tredici Francesi che rimasero vinti ed uccisi con tanta gloria del valore italiano? […] È dunque (dicasi un’ altra volta con pace del Linguet) il Torrismondo una delle produzioni italiane che diedero a’ Francesi le prime idee delle bellezze teatrali. […] Non doveva sovvenirsi di ciò che fecero gl’Italiani un secolo e mezzo prima di Cornelio introduttor delle regole tra’ Francesi?
Non disconvengono i Francesi; e M. de Voltaire in un passo da me recato nell’aumentar la Storia de’ Teatri, narra la magnifica rappresentazione fattasene in Vicenza nel 1514. […] a quello de’ buoni Francesi? […] Libro di Pausania: addio antica Alope di Cherilo, addio famose Ifigenie di Euripide: addio Medee, Ajaci, Ecube, poichè tutte le loro storie trovansi conservate con bronzi, con marmi, con legni, e con pitture nelle rispettive Patrie, e poi ripetute da’ Poeti antichissimi, onde i Tragici trassero gli argomenti delle favole che ne idearono, di che vedasi il citato Pausania: addio insomma diremo a tutte le Tragedie Greche, Latine, Italiane, Francesi, Inglesi, Spagnuole, e Alemanne.
La nazione posta un movimento applaudi al disegno di una riforma, ma molti ne disapprovavano il mezzo scelto, cioè l’esempio de’ Francesi. «Il nostro gusto e i nostri costumo (osservavasi nelle Lettere sulla moderna Letteratura pubblicate dal 1759 sino al 1763) rassomigliano più agl’Inglesi che a’ Francesi; nelle nostre tragedie amiamo di vedere e pensare più che non si pensa, e non si vede nella timida tragedia francese; il grande, il terribile, il malinconico fanno sopra di noi più impressione del tenero e dell’appassionato, e in generale noi preferiampo le cose difficili e complicate a quelle che si veggono con una occhiata.» […] Egli vedeva ugualmente gli errori tanto di chi contento della regolarità de’ Francesi non sentiva il gelo e la languidezza di una servile imitazione, quanto di chi trasportato dall’entusiasmo di Shakespear senza possederne l’ingegno, ne contraffaceva piuttosto le mostruosità che le bellezze, il patetico, il sublime.
La nazione posta in movimento applaudi al disegno di una riforma, ma se ne disapprovava il mezzo scelto, cioè l’esempio de’ Francesi. “Il nostro gusto e i nostri costumi (osservavasi nelle Lettere sulla moderna letteratura pubblicate dal 1759 sino al 1763) rassomigliano più agl’ Inglesi che a’ Francesi: nelle nostre tragedie amiamo di vedere e pensare più che non si pensa e non si vede nella timida tragedia francese: il grande, il terribile, il malinconico fanno sopra di noi più impressione del tenero e dell’appassionato, e in generale noi preferiamo le cose difficili e complicate a quelle che si veggono con una occhiata”. […] Egli vedeva ugualmente gli errori tanto di chi contento della regolarità de’ Francesi non sentiva il gelo e la languidezza di una servile imitazione, quanto di chi trasportato dall’entusiasmo di Shakespear senza possederne l’ingegno, ne contraffaceva piuttosto le mostruosità che le bellezze, il patetico, il sublime.
Fu dunque la sua una sempljce asserzione, che ci lascia nella nostra opinione sostenuta da’ nominati Francesi.
Que’ medesimi valent’uomini che avevano principalmente contribuito a rimetter in trono la vera poesia, applaudirono alle spiritose e sensate produzioni sceniche de’ Francesi, e stimolati dal bell’esempio, ambirono di farle rifiorire ancor fra noi. […] Nel medesimo tempo che Martelli, emulando i Francesi, riusciva più secondo il gusto moderno, e arricchiva le nostre scene, il dotto GianVincenzo Gravina calabrese, uno de’ gran promotori del buon gusto e dell’erudizione, pose tutto il suo studio a contraffare i greci e scrisse in tre mesi cinque tragedie, il Palamede, l’Andromeda, il Servio Tullio, l’Appio Claudio, e ’l Papiniano. […] Ma si fa che i medesimi Francesi ne fecero una sanguinosa critica. Un anonimo arriva fino a rimproverare al Voltaire qualche errore di lingua e di rima; lo chiama copiatore e traduttor della Merope del Maffei; e asserisce che ne peggiorarla maggior parte, e se ne allontana con isvantaggio, come fece nell’atto V che non piacque a’ Francesi. […] E se egli confessa che il pubblico ha ricevuta con applauso, e si legge con piacere, quella di Voltaire dovea avvederli, che senza la Merope del Maffei, senza quella povertà italiana copiata da Voltaire, i Francesi fra tante di loro buone tragedie non conterebbero ancora una Merope degna di nominarsi.
Creatore della Nazione Russa, ammiratore delle arti e delle scienze degl’Inglesi, degli Olandesi, de’ Francesi fu Pietro il Grande, inoltre, amava la magnificenza e le feste, nè si dilettava di sceniche rappresentazioni.
Ma in nessun’altra forma portò ella mai la naturalezza e la verità ad un più alto segno, nè mai fu più lepida e sagace che nel carattere di quella donna che i Francesi esprimono interamente col termine prude e che noi indichiamo a metà con gli aggettivi schifiltosa, schizzinosa, smancerosa, leziosa, smorfiosa, ecc.
Ma il carattere di Erode dipinto con bastante forza e verità, e alcune situazioni che interessano, e l’intrepidezza di Marianne condotta a morire, mostrano che Tristano meritò in certo modo gli applausi che riscosse da’ Francesi di quel tempo. […] Pare che i Francesi non tarderanno a ridursi sotto il vessillo della verità e del senno prendendo ad imitar gli uomini ancor nella scena musicale; ed intanto alcuni Italiani, caporione de’ quali si era dichiarato il fu Ranieri di Calsabigi, che sedusse anche il conte Pepoli, incapaci di riescir nell’opera di Zeno, e di Metastasio, si sono ingegnati, senza effetto per altro, di alienarne la propria nazione predicando coll’esempio, e colle parole a favore delle furie danzatrici. […] Al contrario se il poeta spagnuolo non ebbe contezza della Marianna italiana del Dolce prodotta cento anni prima, è assai più verisimile che egli anzi tolto avesse quest’argomento da’ Francesi, e che si fosse approfittato o della Marianne di Hardy, rappresentata in Parigi nel 1610, o di quella di Tristan, che fece recitare e stampare la sua prima della favola del Calderòn.
Adunque la prima istruzione che ebbero i Francesi di un dramma in cui venissero osservate le regole delle tre unità, debbono riconoscerla dalla Sofonisba del Trissino. […] Piacemi ch’egli a nome de’ Francesi si mostri grato a quella colta e ingegnosa nazione, e che ripeta quel che altre volte ed assai prima di lui osservarono i Francesi stessi, gli Spagnuoli e gl’ Italiani; ma è giusto che per confessare un debito voglia negarne un altro? […] Potè almeno obbliar del tutto il Rapin il famoso combattimento de’ tredici Italiani con tredici Francesi che rimasero vinti ed uccisi con tanta gloria del valore Italiano? […] E’ dunque (dicasi un’ altra volta con pace del Linguet) il Torrismondo una delle produzioni Italiane che diedero a’ Francesi le prime idee delle bellezze teatrali. […] Non dovea sovvenirsi di ciò che fecero gl’ Italiani un secolo e mezzo prima di Cornelio introduttor delle regole tra’ Francesi?
Se il Goldoni che ha mostrato a’ Francesi coll’ ultime sue favole la vera guisa onde scuotere e gettar via il fosco corrotto de’ Sedaine e de’ Diderot, se l’Albergati, il Pepoli e qualche altro, scrittori non ignobili di vere commedie, lasciano pur vuoto il seggio di Moliere, a quanti ed a quanti comici della Senna non son essi superiori?
Colla lettura di molti libri Francesi e Spagnoli, non che Italiani [bello quel non che], ha saputo egli trovare una fonte di gustosi concetti, di massime dilettevoli ed istruttive, di sentenze dall’universale approvate, e d’apologhi semi-Esopiani argutissimi e faceti.
Dal Petrarca, dallo Zeno, e da’ Francesi trasse del mele; ma chi nol fa? […] Anche l’Attilio Regolo (afferma lo stesso erudito esgesuita) venne da’ Francesi. […] Pregiansi meritamente i Francesi di dottissimi scrittori teorici di musica e particolarmente di Mersenio, Burette, D’ Alembert &c.; pure qual altro nome de’ loro moderni maestri musici ha sormontate le Alpi fuorchè quello del difficile Rameau (Nota V)? […] Non debbo lasciar di avvertire che la Serva Padrona colla musica di questo insigne maestro servì di scuola a’ Francesi in questo genere.
Che se gergone rassomiglia anche al jargon de’ Francesi, quale in ciò è la mia colpa? […] Chi la bramasse ancor più distesa, potrà attendere gl’ immensi volumi di storia teatrale preparati da una intera compagnia di letterati Francesi.
Le bellezze dello stile nelle particolarità narrate, che i Francesi chiamano beautez de detail, sono tante nella seconda scena dell’atto II, che pur dovrebbe copiarsi tutta. […] Si è veduto come ben per tempo e più volte s’impresse e si tradusse in Francia, prima che quivi si conoscessero Lope de Vega, Castro e Calderon; il che sempre più manifesta il torto del Linguet nel pretendere che le prime bellezze teatrali avessero i Francesi imparate dagli Spagnuoli. […] All’ Ebreo Leone di Somma che dovea inventar gli abiti, raccomanda che sieno convenienti a’ personaggi Assiri; diligenza che si vede trascurata nel grottesco vestito eroico degli attori tragici Francesi, ed in quello pure stravagante de’ cantori dell’opera in musica.
Non è che i Francesi non avessero anche avanti notizia di qualche spezie di rappresentazioni musicali, poiché senza risalire fino a’ provenzali, che furono i primi a introdurle in Italia, sappiamo ancora che erano conosciute fin dai tempi di Francesco I, il quale fece venir da Firenze parecchi uomini celebri in questo genere, annoverandosi tra loro corte il più distinto un certo Messer Alberto chiamato dall’Aretino in una lettera scrittagli nel 6 di luglio del 1538: «lume dell’arte, che l’ha fatto sì caro alla sua Maestà e al mondo». Furono poi maggiormente promosse sotto la regenza di Caterina de’ Medici, la quale chiamò musici e suonatori italiani per rallegrare con balli, mascherate e festini la corte, ove gran nome s’acquistò il Baltassarini conosciuto dai Francesi col nome di Beaujoieux colle sue leggiadrissime invenzioni, onde ottenne l’impiego di cameriere della regina, e in seguito di Arrigo Terzo. né dee tralasciarsi Ottavio Rinuccini inventore del dramma in Italia, il quale allorché accompagnò la regina Maria de’ Medici, di cui ne fu perdutamente innamorato, col titolo di gentiluomo, il gusto delle cose musicali grandemente promosse.
Io trovo che i Cinesi, gl’Indiani, i Greci, i Latini, gl’Italiani, gli Spagnuoli, e i Francesi stessi, prima del Moliere dipinsero i nobili ridicoli. […] È questa l’esagerata gelosia Italiana che corre di bocca in bocca tra’ Francesi? […] I Francesi stessi e la conobbero e la pregiarono e ne favellarono con senno e buon gusto, ancor prima di conoscere i drammatici spagnuoli. […] Ogni parola è una bellezza per chi l’analizza, nè l’analizza chi non ha il cuore fatto per ciò che i Francesi chiamano sentimento. […] Che, se per dare a conoscere il teatro de’ Francesi, dimenticato Moliere e Racine, se ne fondasse un giudizio diffinitivo su Jodelle ed Hardy, o su i cartelloni delle Fiere Parigine?
Io trovo che i Cinesi, gl’ Indiani, i Greci, i Latini, gl’ Italiani, gli Spagnuoli e i Francesi stessi, prima del Moliere, dipinsero i nobili ridicoli109. […] È questa l’esagerata gelosia Italiana che corre di bocca in bocca tra’ Francesi? […] I Francesi stessi e la conobbero e la pregiarono e ne ragionarono con senno e buongusto, ancor prima di conoscere i drammatici Spagnuoli. […] Gl’ Inganni (tradotta poi nel seguente secolo dal principe de’ comici Francesi, ed imitata nel nostro dal Napoletano Niccolò Amenta) si recitò con sommo applauso in Milano alla presenza di Filippo II allora principe delle Asturie nel 1547, e s’impresse nel 1562. […] Ogni parola è una bellezza per chi l’analizza, nè l’ analizza chi non ha il cuore fatto per ciò che i Francesi chiamano sentimento.
Egli seppe meglio mostrare a’ Francesi i suoi talenti facendo valere la somma sua arte pantomimica di maniera che poco o nulla gli nocque il patrio linguaggio.
In fatti niuno de’ Francesi ha mai sognato attribuire alla Opera Italiana le mostruosità, che voi fantasticate, nè quelle riconosciute da’ più dotti Critici Spagnuoli nel loro Teatro. Anzi i più chiari ragionatori della Senna confessano, che “le Tragedie-Opere Italiane vagliono più delle Francesi: che Metastasio è sicuramente un Poeta superiore a’ loro Poeti Lirici (cioè Musicali) senza eccettuarne Quinault: che gl’Italiani danno alle loro Opere più unità de’ Francesi: che le parole sono più proprie per la Musica, e la Musica per le parole” &c. […] Non è dunque la perfezione, che non può darsi in tutte le parti della rappresentazione: ma quella tacita Convenzione, la quale ne’ Cinesi e negli altri Popoli nominati si distende a moltissimi capi; laddove ne’ Greci, ne’ Francesi, e negl’Italiani è ristretta a un numero assai minore.
Le sue languide tragedie, per avviso de’ medesimi Francesi, sono scritte in istile assai basso ed ineguale, senza arte, senza azione, senza maneggio di teatro.
Le sue languide tragedie, per avviso de’ medesimi Francesi, sono scritte in istile assai basso e ineguale, senza arte, senza azione, senza maneggio di teatro9.
Intendo etiandio per Dotti certi brillanti Avvocati Veneziani, Lombardi, Romani, e Napoletani, e Francesi, e Spagnuoli, e Alemanni, certi Giurisprudenti disinvolti, i quali, senza rinunziare alla gioconda Società, senza intanarsi, fortificano la Scienza Legale co’ più sodi e depurati principj del Natural Diritto. […] Primieramente nelle prime decine di anni fiorirono moltissimi Drammatici, i quali, aspirando ad avvicinarsi agli Antichi non meno che a’ Francesi, diedero alle Scene Italiche un gran numero di composizioni regolarissime e giudiziose, e talvolta eccellenti: leggete il Martelli, il Zanotti, il Conti, il Baruffaldi, il Gravina, il Maffei, il Granelli, il Pansuti, il Caracci, il Marchesi &c. […] Queste delicatezze di passione, che i Francesi esprimono con la voce sentiment, non furono rare in quella Corte; ma per la questione non occorre di più esemplificare.
Non si trovava la via da accordare col nostro canto le orecchie dei Francesi, ed era da essi loro rigettata l’oltramontana melodia, come vi fu altre volte aborrita la oltremontana reggenza. Quando ecco fu udito in Francia lo stile naturale ed elegante insieme della Serva padrona con quelle sue arie tanto espressive, con que’ suoi graziosi duetti; e la miglior parte de’ Francesi prese partito a favore della musica italiana.
Sa egli però che di tali ornamenti non sempre proprj della scena molti se ne hanno non solo nel Caraccio, ma in altri celebri Italiani del XVI e in cento Francesi, e nell’istesso P.
Essi le usano soltanto ne’ balli come i Francesi, e ne’ travestimenti di ladro.
Ma assai si è detto onde si conoscano le sue prerogative per la musica, e l’ingiustizia altresì con cui parlano di essa alcuni scrittori francesi, tra quali il gesuita Bouhours colla leggerezza sua solita nel giudicare non ebbe difficoltà di dire: «Che è una lingua affatto giochevole, che altro non intende che di far ridere coi suoi diminutivi», e notisi, che molti di quelli ch’ei nomina non si trovano frale parole toscane: «Che le continue terminazioni in vocale fanno una musica molto sgradevole», quando le principali bellezze della musica italiana nascono appunto da queste: «Che la lingua italiana non può esprimere la natura, e ch’essa non può dare alle cose l’aria, e vaghezza lor propria, e convenevole: Che le metafore continue, e le allegorie sono le delizie degl’Italiani, e degli Spagnuoli ancora: Che le loro lingue portano sempre le cose a qualche estremo: Che la maggior parte delle parole italiane, e spagnuole è piena d’oscurità, di confusione, e di gonfiezza», come se la gonfiezza, e l’oscurità fossero un vizio delle parole, e non degli autori: «Che i Chinesi e quasi tutti i popoli dell’Asia cantano, i tedeschi ragliano, gli Spagnuoli declamano, gli Inglesi fischiano, gli Italiani sospirano, né ci ha propriamente che i Francesi, i quali parlino». […] Un intiero volume potrebbe scriversi contro a sì leggiera asserzione, nel quale si proverebbe ad evidenza: Che la pronunzia gutturale della nostra lingua si riduce a tre sole lettere delle ventiquattro, che compongono l’alfabeto, cioè “x”, “g” e “iota”; che il loro suono, quando vien proferito da bocca castigliana la sola depositaria fra noi del bello e colto parlare, è meno aspro, e men rozzo di quello, che sia la pronunzia del popolo più colto d’Italia cioè del fiorentino nel pronunziare in “ca”, dov’essi fanno assai più sentire la gorgia; che la frequenza di esse lettere non è tale, che non possa agevolmente schivarsi, ove si voglia comporre per il canto; che appena la terza parte delle parole spagnuole finisce in consonante, e per ben due terzi in vocale; che esse consonanti finali sono le più dolci, e soavi dell’alfabeto, per esempio “s, d, l, n, r”, ove la pronunzia niuno trova, o pochissimo intoppo; che le consonanti più ruvide, e meno musicali tanto adoperate dai Latini, dai Francesi e dai popoli settentrionali, come sarebbero “f, p, t, c, b, k, g, m, ll, rr” sono affatto sbandite in fine delle nostre parole; che niun vocabolo termina con due consonanti in seguito, come avviene agl’Inglesi, Tedeschi, Francesi e Latini; che però siffatte terminazioni rendono la notra lingua maestosa, e sonora senza renderla per questo men bella, come le frequenti desinenze in “-as, -es, -os” non toglievano alla lingua greca l’esser dolce, e soavissima; che quasi tutti i vantaggi insomma, che sono stati da me osservati nella lingua italiana circa la netezza de’ suoni, gli accenti, e la prosodia si trovano appuntino nella spagnuola, come si dovrebbe da un filosofico, e imparziale confronto, se l’opportunità il richiedesse.
Così seppero felicemente innestarlo i Francesi come si vede nell’Orlando di Quinaut, dove il ballo de’ pastori è a meraviglia legato coll’azione, e quello dei piaceri nel palazzo d’Armida, e quello delle Baccanti nella Lavinia, e quello dei lottatori nei funerali di Castore, e in più altri drammi. […] [21] È probabile che gl’Italiani traessero la prima idea di cotali rappresentazioni dalle azioni mute dei Francesi, presso ai quali erano in uso anche prima. […] I balli, che in allora avevano voga presso ai Francesi, erano quelli detti della corte antica, ne’ quali fra gli altri compositori si distinse particolarmente Benserade. […] [27] L’Italia frattanto non potendo uguagliare non che superare i Francesi, in cotal genere di gentilezza, contentavasi d’imitarli frammettendo balletti d’ogni maniera e graziosi intermezzi all’opere in musica tratti per lo più da argomenti buffi o mitologici. […] I Francesi disposti ognora a perfezionare l’invenzioni altrui, e adatti per educazione e per istudio alla scienza del ballo, si prevalsero tosto della scoperta rendendola in tal guisa propria di loro che parve affatto francese all’altre nazioni.
Nè anche si erano i Francesi disfatti de’ misteri muti.
[17] Ma non tutti i poeti del nostro tempo si sono rivolti alla imitazion dei Francesi: molti ancora vi sono che vollero piuttosto seguitar Metastasio nella sua luminosa carriera somiglianti a que’ satelliti che s’accerchiano intorno all’orbita del pianeta maggiore. […] Non vorrei nemmeno che l’argomento fosse tratto dalla storia; esso diverrebbe troppo serio, né sarebbe buono per altro che per comporre secondo le leggi di Aristotile, le quali nulla han che fare coll’opera: mi piacerebbe bensì che ci entrassero dentro dei cangiamenti di scena e delle macchine in quantità secondo il gusto de’ Francesi. Oh quei Francesi hanno sfiorato il bello in tutte le cose! […] Si dice che v’abbia con i suoi precetti comunicata cotal malattia contagiosa un maestro dell’arte, chiamato Orazio, e che i Greci e i Francesi v’abbiano fornito l’esempio.
Essi le usano soltanto ne’ balli come i Francesi, e ne’ travestimenti di ladro.
Ne uscirono per l’Italia ed oltramonti molte edizioni e traduzioni Francesi ed Inglesi.
Gl’ Italiani del XVI secolo aveano trasportati i greci argomenti con troppo scrupolosa osservanza delle antiche vestigia, ed i Francesi del XVII secolo fecero un passo di più maneggiandoli in guisa che si adattassero al popolo ed al tempo in cui si ripetono. […] Ne corse ben presto la fama oltre le Alpi ed i Francesi stessi l’accolsero con sinceri encomj39. […] Chi poi non sa ripetere colle parole di Voltaire che i Francesi schivi non soffrirebbero nel lor teatro Ismene che parla della febbre di Merope? […] I Francesi stessi ve ne riconobbero di molti. […] Perchè poi non apprese almeno dal Voltaire che la Grange ed altri Francesi ed Inglesi trattarono questo argomento con tali sconcezze che le loro tragedie rimasero nascendo sepolte?
Le bellezze dello stile nelle particolarità narrate, che i Francesi chiamano beautez de detail, sono tante nella seconda scena dell’atto II, che pur dovrebbe questa tutta ripetersì. […] Si è veduto come ben per tempo e più volte s’impresse e sì tradusse in Francia, prima che quivi si conoscessero Lope de Vega, Castro e Calderon; il che sempre più manifesta il torto del Linguet nel pretendere che le prime bellezze teatrali avessero i Francesi imparate dagli Spagnuoli.
Girolamo Gigli Sanese ingegnoso e brillante letterato sin da’ primi anni del secolo consacrò qualche ozio alla poesia comica, insegnando in qual maniera potevano recarsi in italiano le comiche bellezze de’ migliori Francesi, e nel 1704 pubblicò in Venezia i Litiganti, ossia il Giudice impazzito franca ed elegante versione de’ Plaideurs di Racine, e nel 1711 impresse in Roma in tre atti il suo Don Pilone imitata anzi che tradotta dal Tartuffe di Moliere. […] Questo buon pittore della natura, come a ragion veduta l’ appellò Voltaire, prima di fare assaporar agl’ istrioni la commedia di carattere da Macchiavelli sì di buon ora mostrata sulle scene di Firenze, servì al bisogno ed al mal gusto corrente: entrò poi nel camin dritto sulle orme di Moliere: deviò in seguito alquanto alterando ma con felice errore il genere: e terminò di scrivere pel teatro additando a Francesi stessi la smarrita via della bella commedia di Moliere.
L’ardire e la franchezza, colla quale i Francesi (parlo per sinecdoche) soglion discorrere, giudicare e scrivere della letteratura forestiera, ch’essi poco o nulla conoscono, è un dono particolare, che la natura ha conceduto loro solamente.
Queste non sono, e lo giuro, di quelle storiette e cantafavole che molti Francesi sogliono per natural malignità, e per porger grata pastura alla loro nazione, inventare e spargere nel descrivere i loro Viaggi d’Italia, di Spagna &c.
I Francesi del XVII fecero un passo di più maneggiandoli in guisa che si adattassero al popolo ed al tempo in cui gli ripetevano. […] Ne corse ben presto la fama oltre le Alpi, ed i Francesi stessi l’accolsero con sinceri encomii(a). […] Dall’altra parte chi non sa ripetere colle parole del Voltaire che i Francesi schivi non soffrirebbero sul lor teatro Ismene che parla della febbre di Merope ? […] I Francesi stessi ne rilevarono di molti. […] Non saranno tragedie Francesi, Inglesi, Spagnuole e Alemanne le nostre tragedie Ugolino, Giovanna I, Piccinino ec.
Non aveano ancora i Francesi, non che altro, la Sofonisba di Mairet e la Medea di Cornelio, quando i nostri produssero più di cinquanta tragedie ricche di molti pregi. […] Lo stesso suo amore con Despina contribuisce ad accrescere la compassione della catastrofe, a differenza della galanteria che illanguidisce tante tragedie Francesi.
Grandissimo fu il colpo ch’ella fece in virtù dell’imperio che sugli animi del pubblico ha il vero; e il Menagio ebbe a dire esser venuto il tempo di abbatter quegl’idoli dinanzi a’ quali avevano i Francesi sino allora abbruciato l’incenso.
E questi come mai sono stati sconosciuti a’ Greci, a’ Latini, agl’Italiani, a’ Francesi ec, ed apparsi solo verso la fine del secolo XVIII come silfi al Mattei?
Diasi agli eccellenti comici Francesi venuti dopo di lui il bel vanto di essersi segnalati egregiamente nella bella commedia che dipigne i caratteri correnti; ma si riserbi al Porta il trionfo nella commedia di viluppo. […] Quando con ardir felice il Rinuccini accoppiava al dramma una musica continuata e tirava l’attenzione dell’Europa con uno spettacolo che tutte raccoglieva le sparse delizie che parlano efficacemente a’ sensi; quando, dico, nacque l’Opera, l’Italia trovavasi ricca di opere immortali di pittura, scoltura ed architettura: gloriavasi de’ talenti e delle invenzioni di varii celebri pittori e machinisti che seguirono Girolamo Genga e il matematico e architetto Baltassarre Peruzzi: possedeva illustri pittori di quadratura, come Ferdinando da Bibiena, Angelo Michele Colonna Comasco scolare del Dentoni, Agostino Mitelli Bolognese, il cavalier d’Arpino architetto e pittore insigne: non vedeva fuori del suo recinto nè Noverri, nè Vestris, nè Hilverding, anzi inviava i suoi ballerini oltramonti, e i Francesi stessi scendevano dalle Alpi per apprendere la danza (Nota IV): i suoi Peri, Corsi, Monteverde, Soriano, Giovannelli erano allora quel che oggi sono i Piccinni, i Gluck, i Sacchini, i Paiselli. […] Egli seppe meglio far conoscere i suoi talenti a’ Francesi facendo valere la somma sua arte pantomimica di maniera che poco o nulla gli nocque il patrio linguaggio.
Ma senza pregiudicare alla sua erudizione, mi permetta di dirgli che egli ha indebolito codesto suo argomento, per avere ignorato forse che non solo i tre nominati poeti, ma tutti i Francesi non possono altrimenti scrivere in versi se non rimati. Si contenti in oltre che gli faccia sovvenire di poche altre cose se non le ignora; e primieramente che il Sancho è scritto in castigliano e non in francese, e che i Francesi rimano sempre per necessità, e non per elezione, perchè mancano del verso bianco che noi chiamiamo sciolto; di più che la poesia castigliana al pari dell’italiana, e dell’inglese ha il suo bel verso suelto, oltre di un endecasillabo coll’assonante ottimo per la scena nazionale. […] Rileva di più l’editore, che se i Francesi dividendo le favole in cinque atti hanno la libertà di abbandonar quattro volte la scena, l’autore della Rachele privandosi spontaneamente di sì comodo sussidio riduce a un atto la sua, perchè quantunque divisa in tre giornate, nè vi s’interrompe l’azione, nè da una giornata all’altra s’interpone tempo , la qual volontaria legge impostasi dal poeta, dà un singular merito à su obra . […] Di tutto ciò vedi Sicardo, Bernardo Tesoriere, gl’Istorici Inglesi e Francesi, il Muratori negli Annali d’Italia.
Che se gergone rassomiglia anche al jargon de’ Francesi, quale in ciò è la mia colpa?
Così terminò il secolo XVI glorioso in tante guise per l’Italia: cioè per aver fatta risorgere felicemente in aureo stile la greca tragedia, il teatro materiale degli antichi e la commedia de’ Latini; per l’invenzione di tanti nuovi tragici argomenti nazionali e tante nuove favole comiche ignote a’ Latini; per aver somministrati a’ Francesi tanti buoni componimenti scenici prima che conoscessero Lope de Vega e Guillèn de Castro; pel dramma pastorale ad un tempo stesso inventato e ridotto ad una superiorità inimitabile; finalmente per l’origine data al moderno melodramma comico ed eroico.
Il più antico monumento di cotal genere che abbiano i Francesi vien reputato un componimento cantato al re Clotario secondo in occasione d’una celebre vittoria riportata contro ai Sassoni. […] [24] Nè soltanto Fiaminghi e Francesi furono avidamente cercati dalle corti italiane, ma gli Spagnuoli eziandio, e gran riputazione acquistarono questi in Roma presso ai papi, e grande autorità presero nella Cappella Pontificia, i soprani della quale fino a’ tempi di Girolamo Rosini, perugino, erano stati tutti spagnuoli, secondo che rapporta l’italiano Andrea Bolsena nelle osservazioni per ben regolar il canto nella Cappella Pontificia45. […] Ma gli Spagnuoli, i Francesi e i Fiaminghi, che si veggono privi di testimonianza così autorevole, si consoleranno nella perdita loro ripensando a tanti altri illustri scrittori suoi nazionali, i quali hanno siffatta gloria tra essi e gl’Italiani meritevolmente divisa50. […] Il medesimo pubblico deciderà poi se meglio di me abbia esaminata la storia della musica e della poesia di quella età il Signor Abbate, il quale, prendendo ad illustrare in un grosso volume tutto ciò che appartiene agli arabi, e a far conoscere la loro letteratura, si contenta poi quando arriva alla musica (facoltà cui eglino coltivarono con tanto impegno, e che forma uno dei rami più curiosi e più illustri della loro gloria nelle arti di genio) di darci per ogni istruzione le due meschine notizie, che Alfarabi ed Albufaragio scrissero elementi di musica ed una raccolta di tuoni, e che gli Spagnuoli e i Francesi presero dagli Arabi alcuni strumenti musicali; fondando su questi validissimi e decisivi argomenti, il grandioso sistema della loro influenza sul resto dell’Europa, come se gli europei non avessero Trattati di musica anteriori a quell’epoca, e come se gli Spagnuoli e i francesi non avesser preso strumenti musicali dai Greci, dai Latini e dai settentrionali dal paro che dagli arabi.
Così terminò il secolo XVI glorioso in tante guise per l’Italia; cioè per aver fatta risorgere felicemente in aureo stile la greca tragedia, il teatro materiale degli antichi, e la commedia de’ Latini; per l’invenzione di tanti nuovi tragici argomenti nazionali, e tante nuove favole comiche ignote a’ Latini; per aver somministrati a’ Francesi tanti buoni componimenti scenici prima che conoscessero Lope de Vega, e Guillèn de Castro; pel dramma pastorale ad un tempo stesso inventato, e ridotto ad una superiorità inimitabile; finalmente per L’origine data al moderno melodramma comico ed eroico.
Ad esserne questo un requisito essenziale, ne seguirebbe, che per noi moderni non sieno tragedie quelle che ci rimangono del teatro greco, non potendosi avere in conto di nazionali nè da noi, nè dagli Spagnuoli, nè da’ Francesi, nè dalle altre nazioni settentrionali. […] Non saranno poi tragedie pe’ Francesi, Inglesi, Spagnuoli, e Alemanni quelle che parlassero di Ugolino, di Giovanna I, del Piccinino &c. […] I si maraviglia l’autore, che i Francesi non l’abbiano trattato, e si applaudisce della propria scelta, quasi che fosse stato il primo a recarlo in iscena, quando è noto che il Caraccio se ne valse sin dal cader del passato secolo, che il sig. […] Se così è, perchè si maraviglia che i Francesi non abbiano trattato un argomento incapace di riescire di giusta grandezza in teatro senza frammischiarvi episodii estrinseci e amori impertinenti? […] Non può negarsi all’Alfieri il vanto di tragico egregio al veder trattato con superiorità quest’argomento da molti abili Francesi maneggiato con poca fortuna.
Il di lui Prologo decantato (in cui declama in 106 pagine contro l’ imbecille Racine , l’ ignorante Voltaire e tutti i Francesi e gl’Italiani che non dican o che il teatro della sua nazione sia il primo del mondo, ed egli il Principe de’ letterati de’ suoi giorni) serve di scudo a una Collezione di commedie spagnuole di figuron, di capa y espada ed heroicas.
Questi magistrati temettero senza dubbio riguardo a’ costumi de’ Francesi que’ tristi effetti che Platone presagiva a’ costumi de’ Greci, ove eglino permettessero che il disordine, la confusione, ed anche il solo cangiamento entrasse nella loro musica195. […] Poscia mi rivolgo al canto italiano, il quale giusta la definizione per me data innanzi della melodia, e giusta le osservazioni ch’io farò su d’esso trattando dell’analogia del canto colle lingue, debbe così differir dal nostro, come l’accento, le inflessioni, il meccanismo della lingua, e i costumi degli Italiani differiscono dalla prosodia, dai costumi, e dal genio de’ Francesi.
Questa scelta per gl’ Inglesi felice tale non sembra agli occhi de’ più giudiziosi Francesi, Italiani e Spagnuoli. […] Il titolo è Beggars’ Opera, cioè l’Opera del Mendico, e non già de’ Pezzenti, come la chiamarono alcuni eruditi Francesi ed il sig.
Mi permetta però di dirgli ch’egli ha indebolito codesto suo argomento, per avere ignorato che non i soli nominati gran poeti, ma tutti i Francesi fanno versi rimati. Dopo ciò si contenti che gli faccia sovvenire di poche cose se non le ignora: 1 che il Sancho è scritto in pretto castigliano e non in francese: 2 che non è elezione ne’ Francesi il rimar sempre, ma necessità, mancando essi del verso bianco da noi chiamato sciolto: 3 che anche la poesia castigliana ha come l’italiana e l’inglese il suo bel verso suelto: 4 che gli Spagnuoli hanno di più un endecasillabo coll’ assonante ottimo per la scena nazionale. […] Di tali cose vedi Sicardo, Bernardo Tesoriere, gli storici Inglesi e Francesi, il Muratori negli Annali.
Tali fantocci da’ volgari d’Italia nominati pupi, dagli Spagnuoli titeres e da’ Francesi marionnettes, dicevansi da’ Greci neurospasti a.
Non vedeva fuori del suo recinto nè Noverri, nè Vestris, nè Hilverding, anzi inviava i suoi ballerini oltramonti, e i Francesi stessi scendevano dalle Alpi per apprendere la danza a.
Tali fantocci da’ volgari d’Italia nominati pupi, dagli Spagnuoli titeres e da’ Francesi marionettes, dicevansi da’ Greci neurospasta 140.
Il significato proprio di sainete è condimento, che poi figuratamente si applica a un discorso o ad altro, e trattandosi di teatro equivale all’intermezzo degl’ Italiani o alla petite-piece de’ Francesi.
Dal Petrarca, dal Zeno e da’ Francesi trasse del mele ; ma chi nol fa ? […] Il calore della contesa che ebbe in Londra col Martinelli trasportò son già molti anni Carlo Francesco Badini esgesuita ad affermare nella Bilancia di Pandolfo Scornabecco, che Metastasio tolse varie favole da’ Francesi, senza avvertire quante e quante dagl’ Italiani ne trassero i Francesi. […] Anche l’Attilio Regolo (afferma l’ esgesuita) venne da’ Francesi. […] Pregiansi a ragione i Francesi de’ dottissimi scrittori teorici di musica, particolarmente di Mersenio, di Burette e di Alembert. […] I drammi poi de’ Greci e de’ Latini e de’ moderni Italiani e dei Francesi e di qualche Inglese Alemanno e Spagnuolo, avendo acquistato dritto di cittadinanza nella maggior parte delle nazioni culte, non temono gl’insulti degli anni, e posseggono una bellezza che si avvicina all’ assoluta.
Questa scelta per gl’Inglesi felice tale non sembra agli occhi de’ più giudiziosi Francesi, Italiani e Spagnuoli. […] Il titolo è Beggars’ Opera, cioè l’Opera del Mendico, e non già de’ Pezzenti, come la chiamarono alcuni Francesi, ed anche il sig.
Questo comico colore sempre piacevolissimo tante volte imitato da’ Francesi e dagli Spagnuoli, trovasi felicemente adoperato prima forse di ogni altro dal Boccaccio nella Novella del porco rubato a Calandrino, e da Giambatista della Porta in più di una commedia, e specialmente nell’Astrolago. […] Oggidì per iscreditarsi un uomo in una conversazione di persone ben nate, basterebbe che profferisse alcuna di queste inezie, che i Francesi chiamano turlupinades. […] Il di lui carattere con somma maestria e con cento grazie dipinto da Plauto, è stato mille volte copiato da Italiani, Spagnuoli, Francesi e Inglesi; e lo scioglimento di questa favola in molte commedie moderne si è ripetuto.
Questa bella favola ha un patetico proprio della commedia nobile: vi si piagne ma un pianto conveniente alle domestiche discordie delle famiglie cittadinesche, e non già quel pianto corrispondente agli atroci delitti o inventati da una fantasia alterata per disonorare l’umanità, o ricavati da’ più famosi e rari processi criminali, secondo la pratica degli ultimi strani drammatici Inglesi, Francesi e Alemanni. […] Ma sopra ogni altra cosa le pitture degl’ innamorati Fedria e Cherea sono così vere e leggiadre, che diventano una tacita satira di quasi tutti gl’ innamorati scenici moderni, i quali o sogliono essere sofistici e ghiribizzosi metafisici, come nelle commedie Spagnuole, o manierati belli-spiriti, come nelle Francesi, o fantastici trovatori di ardite metafore, di studiati epigrammi e di strani rettorici pensamenti, come nelle Italiane specialmente di una gran parte del XVII secolo. […] Dal che proviene la necessità assoluta di richiamarla alle limpidi sorgenti del sapere e delle bellezze letterarie, e di parlar piuttosto con sobrietà, gusto e dottrina degli antichi, che di scarabocchiar su materie non indegnamente altra volta maneggiate certi libri inutili tessuti di ritagli di Francesi e Italiani impudentemente saccheggiati e non citati se non per criticarli o motteggiarli astiosamente.
E ne sono sempre più maravigliato in leggendo poco dopo (nella pagina 218) che dalla Greca tragedia aveano i Francesi e gl’Italiani con felice successo preso ed unito insieme tutto il bello .
E ne sono sempre più maravigliato in leggendo poco dopo nella pagina 218, che dalla Greca tragedia aveano i Francesi e gl’ Italiani con felice successo preso ed unito insieme tutto il bello. […] Questo esame ben degno della dottrina, del discernimento e del buon gusto del celebre autore delle Belle Arti ridotte a un principio, compensa solo tutte le fanfaluche affastellate lungo la Senna contro gli antichi dal Perrault, La-Mothe, Terrasson e dal Marchese d’ Argens, il quale colla solita sua superficialità e baldanza asseriva che i poeti tragici Francesi tanto sovrastano agli antichi, quanto la Repubblica Romana del tempo di Giulio Cesare superava in potenza quella che era sotto il Consolato di Papirio Cursore. […] Casthilon moderno scrittore Francese in un libro, nel quale va cercando le cagioni fisiche e morali della diversità del genio delle nazioni, oltre di ostentare certo barbaro disprezzo per la lingua, la letteratura e le maniere de’ popoli che non sono Francesi, asserisce con magistrale superiorità che nelle mani di Sofocle e di Euripide la tragedia étoit à son berceau. Ma le ragioni che ne adduce danno a divedere di non essersi egli molto curato di provvedersi di lumi sufficienti per distinguere dalla specie di tragedia maneggiata da’ Greci le altre coltivate da’ Francesi.
oltramontani: i Francesi.
Dalla metà del passato secolo solamente cominciarono i Francesi, ma con tal felicità, che sono diventati i modelli, e la misura de’ voti degli altri Popoli.
Il di lui Prologo decantato (in cui declama in 106 pagine contro l’imbecille Racine, l’ignorante Voltaire e tutti i Francesi e gl’ Italiani che non dicano che il teatro della sua nazione sia il primo del mondo, ed egli il Principe de’ Letterati del secolo XVIII) serve di scudo a una Collezione di commedie Spagnuole di figuron, di capa y espada, ed heroicas.
Notisi ancora la mirabile sua strettezza e precisione nel dialogizzare quando lo richiede il bisogno, dote la quale contribuisce moltissimo alla bellezza di quelle scene non solo perché tende a schivare le lunghe dicerie dei tragici del Cinquecento, e gli ambiziosi ornamenti di moderni Francesi, ma perché risveglia maggiormente l’attenzione degli uditori, perché ravviva il loro interesse mettendo più di rapidità nelle circostanze, perché rende la musica più unita, e conseguentemente più energica, e perché la scena diventa più viva frammettendovisi molt’azione. […] Lo che il poeta cesareo ha mirabilmente ottenuto; Onde la quistione pende dubbiosa, e l’Italia potrà sempre contrapporre ai Francesi il suo Metastasio senza temerne il paragone. […] [39] Altri finalmente decideranno se il Metastasio abbia sempre cavato dal proprio fondaco o dall’altrui i suoi pregiatissimi drammi; se l’imitazione de’ Greci, Inglesi, Francesi e Italiani sia abbastanza nascosa, o troppo visibilmente marcata; s’abbia tolta l’arte d’intrecciar gli accidenti da Calderon, autore ch’aveva tra i suoi libri e che a ragione veniva da lui stimato moltissimo a confusione di tanti saccenti, i quali intieramente lo dispregiano senz’averlo neppur veduto.
Intorno a sì eccellente produzione di Euripide, al l’imitazione che ne fece Racine, alle antiche versioni e critichè, il giovane curioso potrebbe percorrere il tomo III della nostra operetta in tre volumi intitolata Delle migliori Tragedie Greche e Francesi nostre Traduzioni ed Analisi comparative. […] Chi amasse di veder tradotte le due tragedie di Euripide e di Racine con una analisi corrispondente, può vedere il tomo I dell’opera citata Delle migliori Tragedie Greche e Francesi nostre Traduzioni ed Analisi Comparative.
Si vuole avvertire che il Voltaire, il Bettinelli, gli Enciclopedisti, ed altri Francesi ed Italiani danno erroneamente a questo poeta il nome di Lopez, voce che in Ispagna esprime un cognome in numero plurale, come Ramirez, Rodriguez, Lopez, quasi de’ Ramiri, de’ Rodrighi, de’ Lopi. […] Quest’inganno verisimilmente passò dall’Eximeno all’Efemeridi letterarie di Roma, dove nel 1782 al numero LII si vide intrusa questa forestiera asserzione, che la nazione Spagnuola è stata la prima ad aver un teatro regolato, onde presero norma tutti gli altri; e dall’Efemeridi si comunicò al nominato Don Vicente Garcia de la Huerta, il quale trionfando su queste parole da lui tenute per irrefragabili, fondò l’introduzione del suo famoso Prologo, dove la moltitudine de’ madornali spropositi gareggia colla di lui impertinenza, e col cumolo di villanie che vomita contro gl’ Italiani e i Francesi, de’ quali il buon uomo perfettamente ignorava, non che il valor letterario, lo stesso linguaggio.
Gli spettacoli scenici ch’egli amò con predilezione, fiorirono sotto di lui a tal segno, che il Vega, il Calderon, il Solis, il Moreto si ’lessero e si tradussero da’ Francesi che cominciavano a sorgere, e dagl’ Italiani che andavano decadendo. […] Fu tradotta da’ Francesi col titolo les Engagemens du hazard. […] Interessante singolarmente è la scena della loro cena; e i discorsi del re e di Juan Pasqual sono ben degni degli elogj de’ giornalisti Francesi e di M.
Si vuole avvertire che il Voltaire, il Bettinelli, gli Enciclopedisti, ed altri Francesi ed Italiani danno erroneamente a questo poeta il nome di Lopez” voce che in Ispagna esprime un cognome in numero plurale, come Ramirez, Rodriguez, Fernandez, Lopez, de’ Rumiri, de’ Rodrighi, de’ Fernandi, de’ Lopi. […] Quest’inganno verisimilmente passò dall’Eximeno all’Efemeridi letterarie di Roma, dove nel 1782 al numero LII si vide intrusa questa forestiera arbitraria asserzione: che la nazione spagnuola è stata la prima ad aver un teatro regolato , onde presero norma tutti gli altri ; e dall’Efemeridi si comunicò a Vicente Garcia de la Huerta, il quale trionfando su queste parole da lui tenute per oracoli irrefragabili, fondò l’introduzione del suo famoso Prologo, dove la moltitudine de’ madornali spropositi gareggia colla di lui arroganza ed impertinenza, e col cumolo di villanie che vomita contro gl’Italiani e i Francesi, de’ quali il buon uomo perfettamente ignorava, non chel valor letterario, lo stesso linguaggio.
E se il Malara fu uno Scrittore, che probabilmente si accomodò al gusto generale introdotto nella Penisola, pare al Signor Apologista, che, dove di molti Greci, Latini, Italiani, Spagnuoli, Francesi, de’ quali abbiam pure più fide memorie, ed anche opere, io tralasciai di far menzione, per non potersene, a mio avviso, trarre molto vantaggio per la gioventù, dovessi poi consumare il tempo sulle favole del Malara che non esistono, nè si sa che cosa fossero?
Gli stessi Francesi, quando aveano un mal Teatro, ebbero un fecondo Hardy, il quale compose più di seicento Drammi, spendendo in ciascuno di essi tre o quattro giorni.
Non aveano ancora i Francesi, non che altro, la Sofonisba del Mairet e la Medea del Corneille, quando i nostri produssero più di cinquanta tragedie ricche di molti pregi.
Introdotto sul teatro equivale all’intermezzo degl’Italiani, e alla petite-pièce de’ Francesi.
Presso i Francesi ed i Germani era ben rara cosa il sapere scrivere sino al XIII e XIV secolo; gli atti si attestavano con testimoni, ed appena sotto Carlo VII in Francia nel 1454, si raccolsero in iscritto le costumanze francesi.
detto Scaramuccia, con una compagnia comica che molto piaceva a Sua Maestà e ai Francesi.
Questo comico colore sempre piacevolissimo tante volte imitato da Francesi e Spagnuoli, trovasi felicemente adoperato prima forse di ogni altro da Giovanni Boccaccio nella Novella del porco rubato a Calandrino, e da Giambattista della Porta in più di una commedia, e specialmente nell’Astrologo. […] Oggidi per iscreditarsi un uomo tra persone ben nate, basterebbe che proferisse alcuna di queste inezie che i Francesi chiamano turlupinades.