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2. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Conclusione »

A me basterà di averne accennato quel tanto che s’è fatto insino a qui; non altro essendo stato l’intendimento mio, che di mostrar la relazione che hanno da avere tra loro le varie parti constitutive dell’opera in musica, perché ne riesca un tutto regolare ed armonico. E tanto pur dee bastare perché, col favore di qualche principe virtuoso, possa forse anche un giorno risalire nell’antico suo pregio una scenica rappresentazione che per più riguardi meriterebbe di aver luogo tra’ pensieri di coloro che sono preposti al governo delle cose. […] E perché portò già il caso che io dovessi distendere quest’ultimo in francese, in francese l’ho lasciato per essere quella lingua fatta oramai tanto comune, che non vi è in Europa uomo gentile che non la possegga quasi al pari della propria. Il primo dramma non è altra cosa che il secondo libro della Eneide messo in azione con qualche leggieri mutazioni solamente, perché ogni cosa, come è dovere, si riferisca ad Enea, che è il protagonista della favola.

3. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Osservazioni »

Ecco il perché ho creduto bene di rispondergli. […] Ecco il perché la novità degenera sì spesso in licenza nelle materie di gusto, e perché il rispetto per gli antichi e così commendabile, quando non si converte in fanatismo o in idolatria. […] Il giornalista risponde che non è vero, e perché? «Perché la musica può regnar sola, e perché i maestri sanno benissimo ch’ella è più efficace ed espressiva quando va congiunta colla poesia». […] Ma perché parlar di questa, e non della buona?

4. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Capitolo decimoquinto »

E ciò perché? […] Anche esprimendo i caratteri principali non può far a meno di non coincidere spesso e ripetere le cose medesime, perché le situazioni sono a un dipresso le stesse in tutti i drammi, e perché gli uomini posti ineguali circostanze sempre si spiegano nella guisa medesima. […] Incespo ad ogni passo, e se non bestemmio, si è perché sono un poeta dabbene. […] Lo è per il secondo a motivo della più facile esecuzione sì perché i tratti dell’oggetto rappresentato sono più spiccati e decisivi, come perché ritrova ovunque originali da poter agiatamente studiare. […] «Non vorrei che il dramma fosse intieramente serio, perché vi vorrebbono troppe spese, né tampoco buffo del tutto, perché si confonderebbe colle opere dozzinali.

5. (1715) Della tragedia antica e moderna

[1.44ED] Vengo sino ad inventarmi un miracolo per lodarli. [1.45ED] Ma perché ti sei posta tu la parrucca se cotesta, a’ tempi che dici tuoi, non usavasi? [1.46ED] Perché non vesti col pallio greco e perché non copri il tuo dorso con catenelle d’oro, siccome è fama che allora tu adoperassi? […] perché non esci! […] [4.198ED] Se lo somiglia, perché non emendasi? […] Martello, Del verso tragico, p. 182, laddove apprezza dell’alessandrino la lunghezza versale sia perché duttile allo scambio dialogico sia perché consente una giusta distanza tra le rime che, se troppo ravvicinate, snerverebbero il verso con la loro eccessiva frequenza.

6. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo quinto »

I cori che nelle tragedie italiane erano i soli destinati al canto, non giovavano molto ai progressi dell’arte, e perché comprendevano per lo più lunghe riflessioni morali incapaci di bella modulazione, e perché cantandosi a molte voci, erano più idonei a far risaltare la pienezza e varietà degli accordi che la soavità della melodia. […] Sii contenta          Ridir perché t’affanni,          Che tacciuto martir troppo tormenta. […] Le ragioni sono perché vi precede la sinfonia, perché il basso seguita tutte quante le note del cantore, perché si accompagna con altri stromenti, perché si fa il ritornello alla seconda parte, perché il metro è diverso da quello del recitativo, perché manifestamente è un canto, per tutte le condizioni insomma che le arie a dì nostri distinguono. né si veggono soltanto ne’ drammi del Rinuccini. […] S’a gli arcabugi, et alle collubrine         Set’uso a far gran core,         Perché temete poi schermi d’amore? […] Perché todo vince amor.

7. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Capitolo decimoquarto »

Farei arrossire i filosofi, che impiegando le loro ricerche in oggetti inutili, o facendo servire l’analisi alla destruzione di quelle verità, delle quali esser dovrebbero i principali sostenitori, passano poi di volo sopra un così orribile attentato che si sostiene unicamente perché autorizzato dal tempo e perché fiancheggiato dal despotismo del piacere. […] Dovrebbe egli interpretare colla evidenza del gesto ciò che la voce non esprime abbastanza, perché trovasi, a così dir, soffogata dall’affollamento delle idee. […] Perché dovrò con soverchia stitichezza rinunziare ai vezzi musicali e agli ornamenti che mi ricompensano dei sagrifizi che sono costretto a fare in grazia del canto? […] Si può far uso di qualche fregio nelle arie allegre e festevoli perché proprio è dell’allegrezza il diffondersi, e perché lo spirito non fissato immobilmente (come nelle altre passioni) sopra un solo oggetto, può far riflessione anche agli scherzi dell’arte. […] In primo luogo perché poche debbono essere l’inflessioni apprezzabili capaci d’entrare nel sistema armonico.

8. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Del libretto »

E perché essa pompa fosse come naturale alla tragedia, avvisarono appunto di risalire cogli argomenti delle loro composizioni sino a’ tempi eroici, o vogliam dire alla mitologia. […] Ma perché troppo nuda ed uniforme non si rimanesse la rappresentazione, s’introdussero tra un atto e l’altro, a ricreazion del popolo, gl’intermezzi e dipoi i balli, e venne l’opera a poco a poco pigliando la forma in cui la vediamo al dì d’oggi. […] I soggetti cavati dalla mitologia, atteso il gran numero di macchine e di apparimenti che richiedono, metter sogliono il poeta a troppo ristretti termini, perché egli possa in un determinato tempo tessere e sviluppare una favola come si conviene, perché egli abbia campo di far giocare i caratteri e le passioni di ciascun personaggio; che è pur necessario nell’opera, la quale non è altro in sostanza che una tragedia recitata per musica. […] E perché egli possa conseguire il fin suo, che è di muovere il cuore, dilettare gli occhi e gli orecchi senza contravvenire alla ragione, gli converrà prendere un’azione seguita in tempi o almeno in paesi da’ nostri molto remoti ed alieni, che dia luogo a più maniere di maraviglioso, ma sia ad un tempo semplicissima e notissima.

9. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo decimoterzo »

Perché frapporlo quando il differire sarebbe inopportuno attesa la natura della passione? Perché non entrar subito in materia senza far pompa d’armonia inutile? […] E questo perché? […] Insomma perché imparano la musica da pedanti e non da filosofi. […] La maniera naturale e facile appunto perché è tale, sembra riserbata alla debole comprensione del volgo.

10. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo primo »

Onde accusar il dramma musicale perché introduce i personaggi che cantano, è lo stesso che condannarlo perché si prevale nella imitazione de’ mezzi suoi invece di prevalersi degli altrui: è un non voler, che si trovino nella natura cose atte ad imitarsi col suono, e col canto: è in una parola accusar la musica perché è musica. […] In contraccambio la musica è più espressiva della poesia, perché imita i segni inarticolati che sono il linguaggio naturale, e per conseguenza il più energico, egli imita col mezzo de’ suoni, i quali, perché agiscono fisicamente sopra di noi, sono più atti a conseguire l’effetto loro che non sono i versi, i quali dipendendo dalla parola, che è un segno di convenzione, e parlando unicamente alle facoltà interne dell’uomo, hanno per esser gustati bisogno di più squisito, e dilicato sentimento. […] [23] Ecco il perché gli apotegmi amorosi riescono così insipidi sul teatro. […] Se riguardasi la musica, poca unità d’espressione vi può mettere il compositore, perché essa non si trova nell’argomento, poco interesse nella melodia, perché poco v’ha nell’azione, e perché la poesia non è che un tessuto di madrigali interrotti da stravaganze, la modulazione non è che un aggregato di motivi lavorati senza disegno. […] Perché tutto è anima, tutto immagine, tutto dilicatezza nel poeta mantovano. perché sa parlare alla fantasia idoleggiando ogni cosa, al cuore scegliendo i quadri più interessanti, all’orecchio lavorando i suoi versi con una varietà e dolcezza d’armonia, che incanta.

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