Patetico delle belle arti, quell’artifizio ch’esse adoperano per muovere i nostri affetti. […] Ma già dell’estetico delle belle arti, e del piacere proprio di quello, lungamente ci siamo trattenuti. […] Ella è una delle belle arti, e si divide in alta e bassa. […] Tuttavolta, a precisamente parlare, la sola danza bassa appartiene alle belle arti. […] Ora, se egli non salutò né pur da lungi le annoverate arti, come potrà erigersi in lor direttore?
Lasciato il maggior figlio Alessandro a studiar belle arti all’Accademia di Firenze, si scritturò nella Compagnia di Bon e Berlaffa, conducendo seco il figlio minore Tommaso ; poi, sempre con lui, in quella di Gustavo Modena ('43-'44), a fianco del quale egli sosteneva Achimelech nel Saul, Lusignano nella Zaira, Andrea nella Pamela nubile, ecc., oltre a tutte le parti di primo attore assoluto in quelle opere di varia indole, in cui Modena non avesse parte.
Mirandole nel punto di vista che discopre i molti loro progressi nelle scienze e nelle arti, sembrerà che un aurea pace abbia dovuto fornir tutto l’agio agli artefici e filosofi tranquilli per gire tant’oltre. E se si osservino dal punto che ne manifesta le politiche turbolenze e le guerre tollerate nel tempo stesso, si temerà pel destino delle arti, supponendole esiliate, oppresse, o annichilite. […] Arse l’Italia d’un grand’incendio di guerra in diversi suoi paesi nel secolo XV, ma le contese de’ pisani co’ fiorentini, de’ veneziani co’ duchi di Milano, degli angioini cogli aragonesi, non impedirono l’alto favore, la generosa protezione, e la magnanima liberalità e munificenza de’ nostri principi, ministri, generali, e grandi verso le lettere, scienze ed arti tutte, e verso i coltivatori di esse133, non la fervida e quasi generale applicazione di ogni uomo di lettera ad apprender profondatamente le due più famose lingue de’ dotti, non l’universale entusiasmo di quanti a quel tempo eruditi viveano, di andare da per tutto, anche in lontane regioni ricercando e disotterrando i codici greci e latini134, non l’ardente premura di moltiplicarli colle copie, confrontarli, correggerli, interpretarli, tradurli, comentarli, non il raccorre da ogni banda diplomi, medaglie, cammei, iscrizioni, statue ed altri antichi monumenti, non lo stabilimento di varie accademie, non la fondazione dì altre università, non l’istituzione di nuove cattedre, non l’aprimento di pubbliche biblioteche e di teatri, non la rapida e maravigliosa moltiplicazione delle stamperie per le città e sin anco per le più ignote contrade d’Italia, non il promovimento dello studio della platonica filosofia per mezzo di Giorgio Gemisto Pletone, e singolarmente di Marsiglio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola in Firenze, e del cardinal Bessarione in Roma, non il risorgimento dell’epopea italiana e i progressi dell’arte drammatica, non il felice coltivamento dell’eloquenza e della poesia latina, e di ogni altro genere di erudizione, precipuamente per le cure, l’ingegno e ’l buon gusto del degretario e vonsigliere de’ nostri re aragonesi Giovanni Pontano135, e del precettore di Leone X Agnolo Poliziano, e del nostro Regnicolo Giulio Pomponio Leto, non impedirono in somma l’acquisto e ’l dilatamento delle piacevoli ed utili cognizioni letterarie e scientifiche, né l’attività e ’l progresso dello spirito umano136. […] Dove siete andati, felici tempi, in cui ogni principe, ogni del bel paese, Ch’Appennin parte, e ’l mar circonda, e l’Alpe, si faceva gloria di esser mecenate delle lettere, e di conoscere, amare, onorar, premiare, incoraggiar e proteggere con grandezza d’animo e buon senno le arti tutte e gli artefici?
[4] Degnate non per tanto onorare dell’autorevol vostro suffragio codesto tenue saggio del mio zelo per gli studi voi, che siete solito d’accogliere con tanta benignità tutto ciò, che spetta l’avanzamento delle arti, e delle lettere; voi, che in una città maestra della religione e della politica sostenete con tanto decoro i diritti di un monarca cognito all’universo non meno per la sua pietà nella prima che per la sua prudenza nella seconda; voi, che collocato ih carica sì luminosa rarissimo esempio avete dato a’ vostri pari di sensibilità spargendo lagrime, e fiori sulla tomba d’un amico illustre; voi, finalmente, che nelle vostre sensate, profonde e per’ogni verso filosofiche riflessioni intorno alle opere di Mengs avete fatto vedere che il talento di regolare gli affari non è incompatibile con quello di conoscere le più intime sorgenti del bello, e che il più’gran genio del nostro secolo nella pittura era ben degno d’avere per illustratore de’ suoi pensieri, e confidente uno degli spiriti più elevati della Spagna nella penetrazione e sagacità dell’ingegno come nella squisitezza del gusto.
[1] Abbiamo finora osservati i fondamenti del brillante edifizio che potrebbero le belle arti inalzare al piacere non meno che alla gloria d’una nazione. […] La prima delle accennate osservazioni è diretta a far vedere di qual perfezione sarebber capaci fra noi le arti pantomimiche avendo mezzi più efficaci che non avevano essi per ben riuscirvi. […] Così tanto i Greci che i Latini si videro astretti a sciogliere quella rigida alleanza delle tre arti distribuendo in diverse persone le moltiplici incombenze che dianzi erano affidate ad una sola. […] Giova fermarsi alquanto su questo curioso punto di storia per maggior istruzione dei lettori; tanto più che pochissimo o nulla si trova raccolto dagli scrittori delle arti italiane intorno alla prima introduzione del ballo e le sue vicende in quésta nazione. […] La gloria di condurla a tal segno era riserbata ad una nazione tenuta fin allora comunemente più abile nel promuovere l’erudizione e le scienze che nel coltivare l’arti di leggiadria e di gusto.
[1] La universale ignoranza che oppresse l’Italia dopo la venuta de’ barbari, comechè danni gravissimi recasse a tutte le arti e le scienze, di niuna fece peggior governo che della musica. […] Da tanti errori le belle arti ritraevano gran vantaggio per la loro perfezione, e progressi: merito assai tristo per una religione, l’oggetto della quale debbe esser quello d’assicurar all’uomo la felicità della vita presente, e della futura, e non di regolare lo scalpello dello scultore, o di porger materia alle bizzarro fantasie d’un bello spirito. […] Ove gli dei lasciando ai filosofi la cura d’ammaestrar gli uomini nella morale, si prendevano soltanto il pensiero di divertirli, inventando i balli, i suoni, i versi e la maniera di coltamente parlare, la poesia, la musica, il ballo, l’eloquenza, e tutte le belle arti dovevano riguardarsi come oggetti celesti da pregiarsi sopra qualunque cosa terrena. […] Ove le passioni avevano in cielo la loro difesa, e le arti il loro modello, ben si vede qual entusiasmo dovea accendersi in terra per coltivar queste, e ingentilir quelle favoreggiato poi dagli usi politici, e ravvivato dalla possente influenza della bellezza, principio comune delle une e delle altre. […] Così gli spettacoli, le belle arti, la politica e la religione erano talmente legati fra loro, e, per così dire, innestati, che non poteva alcuno di tali oggetti cangiarsi senza che tutti gli altri non se ne risentissero.
Occupati non per tanto gl’Italiani nel provvedere agli sconcerti cagionati dalla guerra, dalla politica, e dalla natura non pensavano a coltivar le arti più gentili, e molto meno la musica. […] L’allegrezza dunque e l’amore, gemelli figli della fisica sensibilità, dovettero essere le primitive cagioni della unione di codeste arti gentili. […] [19] Nel secolo XV cominciò a rosseggiar sull’orizzonte italiano l’aurora del miglior gusto nella musica, il novello raggio della quale si spiccò da un popolo che faceva profession di distruggere le arti e le scienze, come gli altri facevano di coltivarle. […] [26] Il rinascimento della poesia teatrale e la perfezione ove giunsero le arti del disegno furono un’altra epoca dell’incremento che prese la musica italiana. […] Fohi il primo, o tra i primi Imperatori della China fu musico e poeta, e inventò molte cose in queste due arti.
[19] Lo scopo delle arti imitative non è di rappresentar la natura semplicemente qual è, ma di rappresentarla abbellita. […] [20] La musica non differisce punto dalle altre arti rappresentative. […] [21] Al motivo d’abbellare e d’aggrandir la natura che ha comune la musica con tutte l’arti rappresentative, s’aggiungono ancora dei peculiari a lei sola. […] [52] Ecco l’universale ma puerile sofisma, il quale ridotto in massima dalla ignoranza e avvalorato da uno spezioso pregiudizio, è quello che cagiona l’esterminio di tutte le belle arti. E quando mai, replicherò io a codesti fautori della irragionevolezza, e quando mai fu costituito il popolo per giudice competente del gusto ove si tratta di arti o di lettere?
Ecco, signori, le obiezioni che mi permetto di farvi : esse mi paiono fondate su l’amore del vero che deve sempre essere la base delle arti….
Or quando gli uomini trovansi quasi in una mutua guerra, quando poca é la sicurezza personale e pressoché nulla la libertà, quando gli spiriti gemono commossi dal timore e depressi dall’avvilimento, come coltivar le scienze e le arti, polir i costumi, e richiamar il gusto fuggiasco o rimpiattato? […] La coltura estrema degenera nera in lusso eccessivo, il quale diventa padre della mollezzza e poltroneria, e allora col trascurarsi le arti migliori ed utili, depravasi il gusto e rientrasi nella barbarie.
Chi poi freddo ragionatore e insipido sofista tutto riduce rigorosamente al vero per ostentar filosofia, distrugge tutte le arti dell’immaginazione. La probabilità o verisimiglianza è la verità reale delle arti fantastiche, diceva un giudizioso Inglese presso l’ Algarotti nel Saggio sopra la Pittura. Una copia esatta del vero (osserva egregiamente l’immortal Metastasio nel capitolo IV dell’Estratto della Poetica d’ Aristotile) renderebbe ridicolo lo scultore, il pittore ed il poeta, essendo essi obbligati ad imitare, non a copiare il vero in maniera che non perdano di vista ne’ loro lavori la materia propria delle rispettive loro arti.
« Fu Diana – aggiunge il Bartoli – creduta una bellezza, ma le arti del sesso formavano in lei un incanto, che fu poi scoperto fallace. » Ahimè !
Ivi educata più specialmente alle belle arti, mostrò particolari attitudini alla musica, al recitare, e all’arte del bulino, che essa prediligeva.
Non so se quindi derivi quella spezie di decadenza che si osserva nelle belle arti; ma egli é manifesto, che oggi abbondano più i pretesi calcolatori, i pseudoletterati, i sofisti, i gazzettieri, che i grandi artisti263. […] Ma ciò, a dirla ingenuamente, é una spezie di tradimento fatto alla nazione, il quale presso di essa ritarda l’avanzamento delle arti. […] L’istesso é già principiato ad avvenire a’ sedicenti filosofi francesi della nostra età, uomini per lo più di poco ingegno, di cuore freddo e di gusto depravato, che col loro pretesto spirito filosofico, e con quella loro ventosa loquacità, «quae animos juvenum ad magna surgentes (come disse Petronio) veluti pestilentiali quodam sidere afflavit» tarpano le ali alla fantasia, mettono a soqquadro le belle arti, e deprimono i gran modelli; uomini (parlo sempre per sineddoche) scostumati e sciaurati, nemici della ragione e della verità; uomini mezzanamente instruiti e superlativamente fanatici che per mostrare la loro esistenza, cospirano a distrugger tutto, e alla soddisfazione interna di essere ragionevoli antipongono la vanità di comparire straordinari e spiritosi alla moda; uomini anche in mezzo al loro vantato scetticismo dogmaticamente decisivi che presumono di essere i precettori del genere umano, e che vorrebbero a lor talento governare il mondo; uomini perversamente pensanti che disonorano il cristianesimo, la patria, l’umanità e la filosofìa tutto a un tratto; uomini solidamente audaci e feroci che quando possono scoccare qualche velenoso strale contro l’Italia, la religione, il sacerdozio e ’l principato, se la godono e trionfano e si ringalluzzano; uomini fieramente superbi e boriosi che quando veggonsi tassati nelle loro stravaganze e bestemmie, arruffano il ceffo con rabbia cagnesca, s’inferociscono, s’inviperiscono, s’imbestialiscono; uomini naturalmente maligni e astiosi che con cinica declamazione calunniano alla dirotta, sapendo che il volgo e i più, non la verità, ma l’opinione risguardano; uomini in somma che sono un composto d’ignoranza, di presunzione, di orgoglio, d’impostura, di malvagità, di demenza, e di suprema temerità, e a’ quali può anche a buona equità appropriarsi tutto ciò che il dottor del Genti nelle due epistole a’ romani e agli efesi scrisse de’ filosofi idolatri.
Chi poi freddo ragionatore, e insipido sofista tutto riduce rigorosamente al vero per ostentar filosofia, distrugge tutte le arti dell’immaginazione. La probabilità e verisimiglianza è la verità reale delle arti fantastiche , diceva un giudizioso Inglese presso l’Algarotti nel Saggio sopra la Pittura. Una copia esatta del vero, osserva egregiamente l’immortal Metastasio nel capitolo IV dell’Estratto della Poetica d’Aristotile, renderebbe ridicolo lo scrittore, il pittore, ed il poeta, essendo essi obbligati ad imitare non a copiare il vero, in maniera che non perdano di vista ne’ loro lavori la materia propria delle rispettive loro arti.
Perciò gli antichi, i quali sapevano più oltre di noi nella cognizione dell’uomo, stimarono esser la favola tanto necessaria alla poesia quanto l’anima al corpo, all’opposito d’alcuni moderni che, volendo tutte le belle arti al preteso vero d’una certa loro astratta filosofia ridurre, mostrano di non intendersi molto né dell’una né dell’altra65. […] Per quanto adunque s’affaticassero que’ valent’uomini della non mai abbastanza lodata camerata di Firenze, non valsero a sradicare in ogni sua parte i difetti della musica, che troppo alte aveano gettate le radici, né poterono dar alla unione di essa colla poesia quell’aria di verosimiglianza e di naturalezza che avea presso a’ Greci acquistata, dove la relazione più intima fra queste due arti dopo lungo uso di molti secoli rendeva più familiare, e per ciò più naturale il costume d’udir cantar sul teatro gli eroi e l’eroine. […] L’architettura si lasciò parimenti vedere in tutto il suo lume ne’ sontuosi portici e ne’ vasti teatri degni della romana grandezza, per riempire i quali vi voleva tutto lo sfoggio delle arti congiunte. […] Tutto il romanzo non è che una scuola, dove gli uomini di mondo possono imparare le arti più studiate e più fine, onde gabbar le fanciulle ben educate.
Giacque colla mole dell’istesso Impero sotto i barbari del settentrione, ogni coltura, e sparvero le arti involte in un caliginoso nembo almeno di dieci secoli di barbarie. […] Dove risorsero le arti, la drammatica, la coltura?
Il di lui figliuolo Maometto II che suol dipingersi con nerissimi colori, é commendabile per la rara moderazione che dimostrò nel soffrire che ’l padre riprendesse l’imperio; e lasciando da banda le tante sue vittorie e conquiste, era dotato di magnanimità e prudenza, e possedeva varie lingue, amava le arti, e coltivava l’astronomia.
I filosofi paghi di signoreggiare fra le altissime teorie del mondo delle astrazioni appena si degnano di scendere all’esame di alcune quistioni, dallo scioglimento delle quali risulta la perfezione delle arti di gusto: come se l’innocente e sicuro diletto che può ritrarsi da esse, sia un troppo picciolo frutto per l’uomo, la di cui vita è sì breve, e i piaceri sì scarsi, ocome se fosse un miglior uso de’ propri talenti, l’applicarli all’investigazione di certi oggetti, i quali la natura ha bastevolmente mostrato di non voler che si cerchino, o togliendoci affatto la possibilità di conoscerli, o rendendoci inutile la cognizione di essi dopo che si sono saputi. […] Ma dico bensì che la lingua che avrà il vantaggio della trasposizione farà in uguali circostanze progressi più sensibili nelle belle arti ora per la facilità maggiore d’accomodar le parole al sentimento, onde nasce l’evidenza dello stile: ora per la maggior attitudine a dipignere cagionata dal diverso giro, che può darsi alla frase, e dalla varietà, che da esso ne risulta, onde si sfugge la monotonia, e il troppo regolare andamento; ora schivando la cacofonia nel rincontro sgradevole delle vocali, o l’asprezza in quello delle consonanti inevitabili spesse fiate nelle lingue, che hanno sintassi sempre uniforme: ora questo medesimo accozzamento a bello studio cercando, come lo richiede la sostenutezza e gravità dell’oggetto: ora facendo opportuna scelta di quei suoni, che più alla mimetica armonia convengono: ora per la sospensione, che fa nascer nello spirito lo sviluppo successivo d’un pensiero, di cui non si sa il risultato sino alla fine del periodo. […] [20] Un’altra ragione potrebbe addursi per ultimo, ed è che essendosi vedute di buon ora in Italia signorie grandi, e possenti, come quella di Genova, Pisa, Firenze, Vinegia, Roma, Milano e Napoli, dove la magnificenza, il lusso, le arti, e il commercio contribuivano non meno ad ingentilir l’ozio che a fomentarlo, la tendenza al piacere, che da tai radici germoglia, e della quale la storia italiana ci somministra esempi sorprendenti, s’introdusse per entro a tutte le facoltà del gusto, che hanno per immediato strumento la parola. Le donne inoltre, dalle quali ogni civile socievolezza dipende, avendo per cagioni che non sono di questo luogo acquistata una influenza su i moderni costumi che mai non ebbero appresso gli antichi, giovarono al medesimo fine eziandio ora per l’agio, e morbidezza di vivere, che ispira il loro commercio, onde s’addolcì la guerresca ferocia di que’ secoli barbari: ora per l’innato piacere che le trasporta verso gli oggetti che parlano alla immaginazione ed al cuore: ora per lo studio di molte posto nelle belle lettere, e nelle arti più gentili, dal che nacque il desiderio d’imitarle ne’ letterati avidi di procacciarsi con questo mezzo la loro grazia, o la loro protezione, massimamente nel Cinquecento, secolo illustre quanto fosse altro mai per le donne italiane: ora per le fiamme che svegliano esse nei petti degli uomini, onde questi rivolgonsi poi a cantare la bellezza, e gli amori, piegando alla soavità lo stile, e la poesia. […] Felici le arti e le lettere se di tal rimprovero potessero incolparsi soltanto i passati secoli, senza che nulla avessimo a rammaricarci pel nostro!
Somigliante alla curva che descrivono nella immensità dello spazio i pianeti d’intorno al corpo che serve ad essi di centro, la carriera delle arti ha un origine, un accrescimento ed una decadenza inalterabile e certa, come lo sono le rivoluzioni degli astri. […] Dal quale principio si ricavano alcune conseguenze, che possono a mio giudizio servire a spiegar lo scadimento presso di noi delle belle arti in generale, e più immediatamente di quelle che contribuiscono a formar il melodramma. […] E siccome il privilegio di promuovere e di giudicare degli spettacoli è intieramente dato al popolo se non (come si dovrebbe) a persone distinte per sapere, prudenza e buon senso, così hanno essi degenerato in quell’assurdità e stravaganza che si osserva: quindi lo scadimento del moderno teatro e il niun effetto che fa sopra di noi l’unione di tutte le belle arti benché cospiranti ad un fine. […] Avrebbe veduto che la musica più bella che si canti nelle lingue viventi, né il più bravo poeta dramatico-lirico della Europa, né l’ampiezza e magnificenza de’ teatri, né lo studio perfezionato della prospettiva bastano nel paese delle belle arti a destare in un popolo che cerca solo il piacer passaggiero di poche ore quelle commozioni vive e profonde, quel pathos che pur dovrebbe essere il gran fine di tutte le arti rappresentative. […] Come la musica risorse fra noi ne’ più barbari secoli, nei quali gli spiriti non ancor digrossati erano incapaci d’abbracciare l’ampiezza d’un sistema, o di conoscere la fecondità d’un principio, così non facevano distinzione alcuna tra le arti di bisogno e quelle di puro diletto.
Che l’Etruria fosse fiorita prima della Grecia, e che a questa dato avesse molte arti e scienze, viene quasi ad evidenza provato con autorità e ragioni dal ch. […] Non è cosa rara, nè strana, il sentire oggigiorno più che mai così rid colose scempiaggini in Parigi, ove fra tante arti e scienze siede e trionfa coll’ ignoranza, presunzione e vanità, la ciarlataneria letteraria.
Adunque con giusta ragione il coronato filosofo di Sans-souci parlando dello stato delle arti del Brandeburgo al finir del secolo XVII ed al cominciar del XVIII ebbe a direa: «Gli spettacoli alemanni erano allora poco degni d’esser veduti.
Adunque con giusta ragione il coronato Filosofo di Sans-souci parlando dello stato delle arti del Brandeburgo al finir del passato secolo e al cominciar del presente ebbe a dire124: “Gli spettacoli Alemanni erano allora poco degni di esser veduti.
Colpa è di loro la niuna rassomiglianza che ravvisa lo spettatore fra la natura che doveva imitarsi, e le belle arti che promettono d’imitarla. […] Colpa è di loro la mancanza d’illusione e di verosimile che vi trasparisce, e che rende sconnessa, grottesca e ridicola la più bella invenzione dell’umano spirito. né giusto sarebbe incolpare le arti pei difetti degli artefici. […] [26] Supposti gli accennati principi tanto più sicuri quanto che sono ricavati non da’ capricci dell’usanza né dalla particolare opinione di un qualche scrittore di musica, ma dai fonti inesauribili di quel vero comune a tutte le arti d’imitazione, qual’è la maniera osservata dagli odierni compositori nel lavorare le arie? […] Ma quando le arti hanno presa la lor consistenza, quando le idee della bellezza nei rispettivi generi è bastevolmente fissata, quando la moltiplicità de’ confronti ha messo al crogiuolo del tempo e del giudizio pubblico le opinioni, gli errori, le verità, e le produzioni degli artefici, allora una licenza illimitata produce l’effetto contrario. […] Tale è il destino di tutte le arti, e tale è presentemente quello della musica.
Capo IV Teatro Italiano nel Secolo XVIII Que’ pochi eruditi che con sommo cordoglio e indignazione verso la fine del passato secolo vedevano la depravazione dell’eloquenza poetica e oratoria nel seno della madre delle arti, ebbero finalmente la buona ventura di far tanti proseliti e allievi del vero gusto, che nel 1690 poterono instituire in Roma un’accademia sotto il semplice nome d’Arcadia, e seminarne di mano in mano per l’altre città d’Italia varie colonie. […] Dee però esser trattata da dotti, giudiziali e discreti uomini, affinché serva ad aguzzare e affinar l’ingegno, a porre nel suo maggior lustro la verità, e a perfezionare le belle arti. […] La sfera delle belle idee in materia di belle arti e essendo molto stretta fecondo che c’insegna Platone, di leggieri l’ingegno umano dà in un pensar fantastico e stravagante quando vuol di quella uscir fuori; é perciò reputasi cosa lodevole e necessaria le imitar i migliori tratti di que’ sagri Ingegni che nelle loro opere seguitando più dappresso la bella natura, han saputo contenersi nella sfera del bello. […] Ella dee, come tutte le arti, la sua origine al bisogno, e quello bisogno fu il piacere. […] Siccome Argo fu già in Grecia la scuola della musica, così in Italia ne’ tempi de’ romani, e dopo il risorgimento delle arti, lo é stata Napoli, che perciò a ragione viene esaltata, come fede e fonte della scienza musica, e de’ talenti armonici, da due celebri suoi poeti, il cavalier Marino nell’Adone cant.
Non ne troviamo nel VII, VIII e IX secolo, ne’ quali sparì dal cospetto degli uomini pressochè interamente ogni vestigio di politica, di giurisprudenza, di arti e letteratura Romana, e s’introdussero nuovi governi, nuove leggi, nuovi costumi, nuove vesti, nuovi nomi di uomini e di paesi, e nuove lingue, cangiamenti maravigliosi che non poterono accadere senza l’esterminio quasi totale degli antichi abitatori. […] Giacque colla mole dell’istesso Impero sotto i barbari del settentrione ogni coltura, e sparvero le arti involte in un caliginoso nembo almeno di dieci secoli di barbarie. […] Dove risorsero le arti, la drammatica, la coltura? […] Sotto un colpo istesso Roma cadéo con le bell’ arti insieme.
Sinone racconta a Calcante e a Pirro, sortiti dal cavallo, come l’arti sue riuscirono quasi a vuoto per la opposizione di Enea; mostrando quanto sia necessario, innanzi ad ogni altra cosa, spegner costui, come il più forte guerriero che, dopo la morte di Ettore, vanti Troia.
Creatore della Nazione Russa, ammiratore delle arti e delle scienze degl’Inglesi, degli Olandesi, de’ Francesi fu Pietro il Grande, inoltre, amava la magnificenza e le feste, nè si dilettava di sceniche rappresentazioni.
Ora quando trovansi gli uomini in una mutua guerra, quando poca è la sicurezza personale e pressochè nulla la libertà, quando gli spiriti gemono agitati dal timore e depressi dall’avvilimento, come mai coltivar le scienze e le arti, polire i costumi e le maniere, e richiamare il gusto? […] Altri maestri di canto, di gramatica, di aritmetica e di tutte le sette arti liberali, vi chiamò dall’Italia ad insegnare, mosso probabilmente da Paolo Diacono e da Paolino II di Aquileja, due uomini de’ più dotti del suo tempo. […] L’ estrema coltura degenera in lusso eccessivo, il quale diventa padre della mollezza e poltroneria, ed allora trascuransi le arti, si deprava il gusto e si rientra nella barbarie5. […] Al commercio fiorente si dovettero i mezzi di scuotere il giogo de’ signori e di stabilire un governo libero ed eguale che agli abitanti assicurasse la proprietà de’ beni, accrescesse la popolazione e incoraggisse le arti.
Quella tragedia é degna dell’ingegno del gran Torquato, e non già un «parto debole e imperfetto d’un ingegno stravolto» come senza punto leggerla volle bestemmiare un non so qual Carlencas, meschino compilatore d’un saggio stomachevole sulla storia delle belle lettere, scienze ed arti. […] Ma una nazione, per la quale risorsero in Europa le arti, le scienze, il gusto la politezza, e l’istessa libertà, meritava un poco più di diligenza dal nuovo maestro di poetica francese. […] Pare dunque che ’l Trissino, il quale non so perché, e donde venga dal signor di Voltaire, ed indi da altri di lui compatrioti, appellato Arcivescovo, abbia servito di modello a’ primi francesi che si esercitarono nel genere tragico, diciamolo qui di rimbecco e per incidenza a risposta e mortificazione di tanti ignoranti e boriosi critici francesi che a lor bel piacere sono andati e vanno, tutto giorno disprezzando e malmenando in generale con somma ingratitudine e malignità la nostra nazione e le cose nostre: Ogni uomo dotto sa, che per opera degl’italiani a poco a poco diradaronsi in Francia le densissime tenebre dell’ignoranza, dileguossi la stupenda barbarie gaulese, e forse non che il primo crepuscolo di luce letteraria, ma il buon gusto nelle belle arti, e scienze tutte. […] » In verità bisogna essere un Welche, un ostrogoto, un candidato degli odierni gaulesi, come Monzù De la Harpe, per insultare con sì feroce stolidezza e calunniare con sì stupida insolenza la più ingegnosa e benemerita nazione europea, che pel suo pensar sodo, gentile e perspicace si é sempremai contraddistinta in ogni genere di arti e di scienze, e possiede capi d’opere da non portar invidia a qualsivoglia popolo antico e moderno, e ch’é stata anche dopo la distruzione dell’imperio romano il primo e gran deposito de i lumi della ragione, donde, come da un centro comune, sono partiti que’ raggi di viva luce lanciati dall’ingegno, che han risvegliato gli spiriti degli abitanti del rimanente dell’Europa. […] Chi ne bandisce il vero per aprir campo vasto al capriccio e alla fregolata fantasia, ama i sogni, e non comprende la bellezza delle dipinture naturali: Chi freddo ragionatore e insipido sofista tutto riduce rigorosamente al vero per ostentar filosofia, distrugge tutte le arti d’immaginazione.
Mirate dal punto che discopre i loro progressi nelle scienze e nelle arti, sembra che un’ aurea pace abbia fornito tutto l’agio a’ filosofi, ed agli artisti tranquilli pergir tant’oltre. Viste poi dal punto che tutte manifesta le politiche e militari turbolenze che l’agitarono, si temerà pel destino delle arti e delle scienze. […] Arse l’Italia nel XV secolo di un alto incendio di guerra in più luoghi; ma le contese de’ Pisani co’ Fiorentini, de’ Veneziani co’ duchi di Milano, degli Angioini cogli Aragonesi, non impedirono l’avanzamento degli studii e delle arti, nè il favore e la munificenza di tanti principi e ministri verso i coltivatori di esse.
Mirate dal punto che discopre i loro progressi nelle scienze e nelle arti, sembra che un’ aurea pace abbia fornito tutto l’agio a’ filosofi ed agli artefici tranquilli per gir tant’ oltre. Viste poi dal punto che tutte manifesta le loro politiche e militari turbolenze, si temerà pel destino delle arti e delle scienze. […] Arse l’Italia nel XV secolo di un alto incendio di guerra in più luoghi: ma le contese de’ Pisani co’ Fiorentini, de’ Veneziani co’ duchi di Milano, degli Angioini cogli Aragonesi, non impedirono l’avanzamento degli studj e delle arti, nè il favore e la munificenza di tanti principi e ministri verso i coltivatori di esse (Nota XIII).
I Romani per liberarsi da una pestilenza non seppero trovare altro espediente onde placare lo sdegno degli dei, che quello di chiamare dalla Toscana gli istrioni che introducessero le rappresentazioni, come da noi in simile circostanza si farebbe un pubblico voto di digiunare per l’avvenire un giorno dell’anno; laonde non è da meravigliarsi che i più sensati autori ne facessero un così gran conto delle arti drammatiche. […] [26] La ricchezza parlando delle arti d’imitazione e di sentimento può renderle più dotte, più variate, più estese, ma non è una conseguenza che debba renderle più patetiche e più commoventi. […] I Greci ebbero ancor essi i loro “guastamestieri” corruttori del buon gusto ecc,… e lo stesso è seguito e segue ancora fra noi; ma da tutto questo si deve forse arguire che non esiste più una buona musica, o si deve piuttosto confessare per nostra confusione che finché durerà il mondo vi sarà sempre il male accanto al bene, e vi saranno sempre autori mediocri e cattivi in tutte le arti e in tutte le sciente accanto a’ buoni? […] Ma quest’idea metafisica di novità lodevole in se stessa anzi necessaria all’uomo è in tutto differente dall’altra che vien condannata allorché si parla delle arti di sensibilità e d’imaginazione. […] Non segue forse lo stesso nelle altre arti rappresentative?
È da qui che bisogna partire per risalire agli albori delle arti imitative che, differenziandosi nella scelta dei mezzi, gradualmente assunsero connotazioni individuali. […] Salfi si rifà poi alle teorie esposte nel Laocoonte di Lessing a proposito della classificazione delle arti in spaziali, ossia le arti figurative, che rappresentano i corpi nello spazio, e temporali, ossia la poesia, che rappresenta azioni nel tempo. […] Or se di tutti i mezzi che le arti maneggiano, i più pronti, i più facili ed i più propri e spontanei sono quelli che impiega la declamazione, la quale del linguaggio, della voce e del gesto propriamente si vale, noi dobbiam dire che la declamazione fosse stata la prima a nascere ed ha spiegarsi fra le altre arti sorelle. […] In generale si può dire, che oramai non vi ha scrittore insigne di belle arti che della declamazione più o meno non ragioni. […] In tutti i monumenti più insigni delle belle arti si osserva questo accordo e questo disegno; ma non sempre e sì facilmente nella declamazione.
[3] Ma nella carriera delle arti e delle scienze gli errori stessi conducono talvolta alla verità. […] Se v’ha cosa mirabile nelle belle arti questa è il vedere in qual guisa la spiacevolezza medesima delle dissonanze contribuisca all’armonia. […] [18] Dopo la dipartenza per Roma del Conte di Vernio, ove poi divenne maestro di Camera a’ servigi del papa Clemente Ottavo, la letteraria adunanza si trasferì alla casa di Jacopo Corsi altro gentiluomo fiorentino, non meno fautore delle belle arti, né meno intelligente nella musica massimamente teorica. […] Che l’essenza di ciò che si chiama bello nella musica e nelle arti liberali è riposta nella felice contemperazione del vario e dell’uniforme.
Ora quando trovansi gli uomini in una mutua guerra, quando poca è la sicurezza personale e presso che nulla la libertà, quando gli spiriti gemono agitati dal timore e depressi dall’avvilimento, come mai coltivar le scienze e le arti, polire i costumi e le maniere, e richiamare il gusto? […] Altri maestri di canto, di gramatica, di aritmetica, e di tutte le sette arti liberali, vi chiamò dall’Italia ad insegnare, mosso probabilmente da Paolo Diacono e da Paolino II di Aquileja, due uomini de’ più dotti del suo tempo. […] L’estrema coltura degenera in lusso eccessivo, il quale diventa padre della mollezza e poltroneria; ed allora trascuransi le arti, si deprava il gusto, e si rientra nella barbariea. […] Al commercio fiorente si dovettero i mezzi di scuotere il giogo de’ signori, e di stabilire un governo libero ed eguale, che agli abitanti assicurasse la proprietà de’ beni, accrescesse la popolazione e incoraggisse le arti.
Il periodo che precede, e quello che segue le grandi rivoluzioni di uno stato, fan tacere ugualmente e rimpiattar le arti. […] Con giusta ragione adunque il filosofo di Sans-souci, parlando dello stato delle arti nel Brandeburgo verso la fine del passato secolo e ’l principio del presente, dicea183: «Gli spettacoli alemani erano allora poco degni d’osservazione.
Non ne troviamo nel VII, VIII e IX secolo, ne’ quali sparì dal cospetto degli uomini pressochè interamente ogni vestigio di politica, di giurisprudenza, di arti e di letteratura Romana, e s’introdussero nuovi governi, nuove leggi, nuovi costumi, nuove vesti, nuovi nomi di uomini e di paesi e nuove lingue, cangiamenti meravigliosi che non poterono accadere senza l’esterminio quasi totale degli antichi abitatori. […] Ottimamente ad altro proposito cantò Pope nel IV canto del suo Saggio di Critica, secondo il volgarizzamento di Gasparo Gozzi: Sotto un colpo istesso Roma cadeo con le belle arti insieme.
Gimma nella sua Italia letterata pag. 479) da Giambatista della Porta fertile ed elevato ingegno, pregio delle scienze e delle arti, onore dell’Italia non che del Regno, pure fassene quì menzione, perchè parecchi individui di essa col loro capo vissero nel XVII, e furono aggregati nell’Accademia de’ Lincei instituita in Roma l’ anno 1603 dallo scienziato principe Federigo Cesi Duca di Acquasparta, il quale con raro immortale esempio (secondo l’eruditissimo ab.
Per coltura inventò e fece fiorir negli estesi suoi domini tante arti di comodo e di lusso. […] Roma guerriera, favoriva poco le arti che potevano ammollire il valore, e la drammatica fu negletta. […] Cresciuta poi la sua potenza, le ricchezze apportatrici dell’ozio e del riposo rendevano più necessarie le arti di pace. […] Quando l’onor le alimenta, le arti prendono il volo e si elevano fino all’altezza che può comportare un Clima. […] Non é cosa rara il sentire oggigiorno più che mai così ridicolose castronerie in Parigi, ove fra tante arti e scienze siede e trionfa coll’ignoranza, presunzione e vanità, la ciarlataneria letteraria.
Con qualche passo di più forse l’ultimo di essi l’avrebbe condotta a quel grado di prefezione, in cui le arti, come ben dice Aristotile, si posano ed hanno la loro natura. […] Favella poi col coro dei diversi ritrovati e di tante arti insegnate agli uomini, i quali prima, poco differenti da’ tronchi, viveano come le belve rintanati negli antri.
Tal cosa sarebbe certamente un assurdo, se si dovesse prender al naturale, ma così non è nel dramma musicale, il quale, siccome avviene a tutti gli altri lavori delle arti imitative, non ha tanto per oggetto il vero quanto la rappresentazione del vero, né si vuole da esso, che esprima la natura nuda e semplice qual è, ma che l’abbellisca, e la foggi al suo modo. […] Mal s’applicherebbe la più possente e la più energica delle arti d’imitazione ad un discorso freddo e insignificante. […] A misura però che il linguaggio si stende, che le arti si moltiplicano, e che la coltura delle lettere vi si aumenta, lo stile delle figure e de’ segni s’indebolisce, s’introduce l’uso de’ termini astratti, la filosofia, riducendo l’espressioni al significato lor naturale, va poco a poco ammorzando l’entusiasmo, la poesia, e la eloquenza divengono più polite, e più regolari, ma conseguentemerite meno espressive: appunto come i grani d’oro assottigliati, e ridotti in foglia dagli artefici, i quali, come dice l’Abbate Terrason, perdono in solidità tutto ciò che acquistano in estensione. […] Nullameno considerando, che il duetto lavorato a dovere è il capo d’opera della musica imitativa, e che produce sul teatro un effetto grandissimo: riflettendo, che l’agitazion d’animo veemente, che ne’ personaggi si suppone, basta a rendere se non certa almeno possibile la simultanea confusione di parole, e d’accenti in qualche momento d’interesse, la quale possibilità basta a giustificar il poeta nella sua imitazione: ripensando, che lo sbandir dal dramma siffatti pezzi sia lo stesso, che chiuder una sorgente feconda di diletto alle anime gentili; il critico illuminato sarà costretto a commendarne l’uso non che a permetterlo, avvisandosi, che nelle belle arti l’astratta ragione debbe sottoporsi al gusto come questo si sottopone all’entusiasmo, e al vero genio. […] L’opera non è, o non dovrebbe essere, che un prestigio continuato dell’anima, a formare il quale tutte le belle arti concorrono, prendendo ciascuna a dilettare or l’uno l’altro dei sensi.
E tal credenza radicò più che mai, quando l’una di queste arti tornata alla imitazione degli antichi nostri autori ed arricchitasi l’altra di nuovi ornamenti, condotte si stimarono assai vicine alla perfezione.
E perchè poi la delicatezza delle arti viene colle filosofie, questo genere di poesia non tocca l’eccellenza se non quando la nazione giunta sia ad uno stato florido, e quando i vizj dell’uomo colto e del lusso, i quali sono sì complicati, e sì bene nascondono sotto ingannevoli apparenze la propria enormità o ridicolezza, apprestano al poeta drammatico una materia moltiforme e delicata, che sfugge al tatto che non è molto fine.
Dal verbo μιμὲομαι imitor, ricavasi la voce Mimo; e quello che appartiene a tutte le arti d’immaginazione, non che alla poesia drammatica, siccome bene avvertì Giulio Cesare Scaligeroa, divenne poi nome particolare di un picciol dramma, e quindi di una specie di attori. […] A misura che le arti imitatrici si perfezzionavano, il ballo si prestava alle leggi del buon senso, e da una capricciosa saltazione senza perchè, si volse ad imitare azioni vivaci e più simili al vero, e lo spettacolo ne fu più desiderato.
Il re quasi appena asceso al trono tra i travagli e le spese della guerra volle dedicare questo monumento al gusto della musica e delle arti, e vi chiamò con molta spesa gli attori musici dall’Italia, e la compagnia de’ balli da Parigi. […] Le arti fioriscono sotto questo cielo senza premii ed incoraggimenti brillanti, senza le statue di Parigi, senza le pensioni di Pietroburgo, senza gli onori di Londra, senaz… anzi…
Dal verbo μιμέομαι imitor, ricavasi la voce Mimo; e quello che appartiene a tutte le arti d’ immaginazione, non che alla poesia drammatica, siccome bene avvertì Giulio Cesare Scaligero131, divenne poi nome particolare di un picciol dramma, e quindi di una specie di attori. […] A misura che le arti imitatrici si perfezzionavano, il ballo si prestava alle leggi del buon senso, e da una capricciosa saltazione senza perchè, si volse ad imitare azioni vivaci e più simili al vero, e lo spettacolo ne fu più desiderato.
Il re quasi appena asceso al trono tra i travagli e le spese della guerra volle dedicare questo monumento al gusto della musica e delle arti, e vi chiamò con molta spesa gli attori musici dall’Italia e la compagnia de’ balli da Parigi. […] Le arti fioriscono sotto questo cielo senza premj ed incoraggimenti brillanti, senza le statue di Parigi, senza le pensioni di Pietroburgo, senza gli onori di Londra, senza . . . anzi . . .
Ciò che in Italia nuocono alle belle arti le mignatte periodiche e gli scarabocchiatori di ciechi Colpi d’occhio, nuoce all’avanzamento del teatro spagnuolo la turba degli apologisti ed il Poetilla che tiranneggia i commedianti nazionali. […] La critica che tende alla perfezione delle arti, potrebbe suggerire che meglio forse risalterebbero gli effetti della pessima educazione di Pepita, se la di lei Zia si mostrasse meno pungente in ogni incontro, e D.
Non ne troviamo nel VII, VIII, e IX secolo, ne’ quali sparì dal cospetto degli uomini pressoché interamente ogni vestigio di politica, giurisprudenza, arti, e letteratura romana, e s’introdussero nuovi governi, nuove leggi, nuovi costumi, nuove vesti, nuovi nomi a uomini e di paesi, e nuove lingue, cangiamenti maravigliosi che non poterono accadere senza l’esterminio quali totale degli antichi abitatori.
Se di ciò e di altro fossero informati certi critici francesi, non disprezzerebbero al certo nelle materie filosofiche l’Italia, sempre madre feconda delle scienze e delle belle arti, e non si darebbero a credere che il loro paese sia il solo depositario de i gran lumi della ragione e della bella luce della verità.
I curiosi delle prime orme delle arti ne vedranno volentieri un succinto estratto.
I curiosi delle prime orme delle arti ne vedranno volentieri un succinto estratto.
A voi dunque mi volgo, abitatori eletti di questo suol diletto al ciel : tu pria, schiatta d’incliti padri, ordine illustre che hai per dritto di costume e sangue titolo di gentile ; e tu pietoso sesso leggiadro, a cui fan doppio omaggio i cori e l’arti che dal bello han nome.
Che se l’esser primo nelle arti reca qualche gloria, e questa non può negarsi all’Italia per la serie de’ fatti narrati e finora non contraddetti da pruove istoriche, sarà il ridirlo delitto per lo storico, oltraggio pel rimanente dell’Europa?
Che se l’esser primo nelle arti reca qualche gloria, e questa non può negarsi all’Italia per la serie de’ fatti narrati e finora non contraddetti da pruove istoriche, sarà il ridirlo un delitto dello Storico, un’ oltraggio al rimanente dell’Europa?
La pianta dell’aloè, che sta cent’anni a germogliare, altri cento a rinvigorirsi e un secolo poscia fino al suo dicadere è in generale l’emblema dell’origine, progressi, e annientamento delle arti del gusto e di coloro che le perfezionano. […] In tal caso le arti e le belle lettere sono come i vaghissimi colori dell’iride allorché si riguardano a traverso d’un prisma non ben dirozzato. […] Non potendo più applicarsi con frutto la più deliziosa fra le arti d’imitazione ai grandi oggetti della morale, della legislazione e della politica, come si faceva dai Greci, né trovandosi oggimai animata da quello spirito vivificante, che seppero in essa trasfondere i Danti, i Petrarca, i Tassi, gli Ariosti, e i Metastasi, si vede in oggi ridotta la meschinella a servir di patuito insignificante complimento per ogni più leggiera occasione di sposalizio, di monacazione, di laurea, di nascita, di accademia, e di che so io, senza che altre immagini per lo più ci appresenti fuor di quelle solite della fiaccola d’imeneo che rischiara il sentiero alle anime degli eroi, i quali attendono impazienti lassù nelle sfere il felice sviluppo del germe, o di quel cattivello d’Amore che spezza per la rabbia lo strale innanzi alle soglie che chiudono la bella fuggitiva, o di Temide che avvolta in rosea nuvoletta fa trecento volte per anno il viaggio dell’Olimpo fino al collegio dei dottori a fine di regalare la bilancia e la spada a saggio ed avvenente garzone, o della povera Nice, cui si danno dagli amanti più epiteti contradditori di pietosa e crudele, d’empia e benigna, di fera e di scoglio, di Medusa e di Aurora, d’angioletta o di tigre che non iscagliò contro a Giove il famoso Timone nel dialogo di Luciano. […] E sì poco barbaro vi sembra il despotismo, che non avete orrore d’inghirlandarlo colla corona immortale, che le belle arti non dovrebbon servare fuorché pei talenti superiori o per la benefattrice virtù?
Il Maire concesse un posto gratuito nel cimitero ; e tutte le arti prestarono l’opera loro gratuita per erigere un bel monumento che esiste ancora, e che io faccio conservare a mie spese.
Tanto è vero che nelle arti, dopo i primi lunghi rigiri, tornar conviene a ciò che vi ha di più semplice.
[5.5] La Cina ancora, antico nido delle arti e colonia, come alcuni vogliono, dell’Egitto, fornir ne potria di bellissime scene.
Nel Mincio di Mantova, giornale di scienze, lettere ed arti (sabato 1 marzo 1851, anno 1, Numero 1), redattore responsabile Alessandro Arrivabene, cugino dell’Adelia, apparve una poesia inedita di G.
Questa osservazione non si stende ai geni superiori nelle belle lettere, o nelle arti, essendo verissimo che un Michelagnolo, un Raffaello, un Ariosto e un Tasso bastano ad illustrar un secolo e una nazione al paro de’ più gran filosofi: né la Francia per esempio va meno superba per aver prodotto Corneille, o Moliere di quello che vada per aver avuto Mallebranche o Cartesio, come più hanno contribuito a propagar presso ai posteri la gloria della Grecia i poemi d’Omero che i libri d’Aristotile o le oziose metafìsiche dispute fra i discepoli d’Epicuro, e quei di Zenone. Ma siccome la eccellenza è in ogni genere riserbata a pochissimi, e la mediocrità nelle arti d’imaginazione e di sentimento si riduce nella comune stima pressoché al nulla, così il pubblico illuminato preferisce in generale il secolo dove si coltivano le scienze utili al secolo dove altro non si fa che parlare con eleganza.
Mai abbastanza non si ripete a costoro, che il tuono decisivo e inconsiderato é quello della fatuità, e che debbono apprendere; e sovvenirsene allorché son tentati di decidere, che questo Aristofane era un atenieso, il quale fioriva sul principio del IV secolo di Roma, tempo in cui i romani niuna cognizione aveano, non che dell’altre belle arti, della poesia teatrale, la quale pure da gran pezza coltivavasi in Italia dagli osci, e dagli etruschi, ed anche con più felice successo da i popoli della magna Grecia, e della Sicilia, che, come dice e mostra il dottissimo Tiraboschi, «in quasi tutte le parti della letteratura furon maestri ed esemplari agli altri greci» 35. […] E quanto più le arti imitatrici si perfezionavano, più il ballo imitava con buon senso, più si soggettava a una rappresentazione vivace e vera, più se ne desiderava lo spettacolo; e quindi uscì l’arte pantomimica portata dagli antichi all’eccellenza.
Tralle arti sceniche migliorate in Francia in questo periodo, conviene registrar la danza. […] I difetti dei grandi esemplari sono sempre fatali alle belle arti, perché accompagnati da molte bellezze e da virtù incomparabili; quindi é che le critiche fatte da uomini di molto sapere e di squisito discernimento giovano assai nella repubblica letteraria, perché formano il gusto, raffinano il giudicio, e producono altri buoni effetti.
E’ vero che quando le prime e le seconde parti coniurant amice, anche lo spettatore grossolano sente senza intendere un maggiore piacere: ma è vero altresì che la difficoltà e la rarità di tale accordo obbliga, per così dire, i teatri da guadagno a fidarsi più di quelle arti delle quali son giudici tutti, e queste poi sciolte da ceppi d’ogni relazione e convenienza, ostentano in piena libertà senza cura di luogo o di tempo tutte le loro meraviglie, e seducono il popolo col piacere che prestano dal desiderio del maggiore, di cui lo defraudano. […] Il Saggio, da discorso in parte tecnico relativo agli equilibri tra le arti, diventa molto di più un trattato sull’organizzazione teatrale e sulla funzione del teatro nella società contemporanea.
E che diverrebbe singolarmente delle belle arti?
Abbandonata o falsata la scuola del Modena, che pur teneva alcun che della scuola del Demarini, giacchè nelle arti non si rinnega mai il passato, si oscillò dapprima fra la verità e la forza, poi si trovò cosa comoda di scambiare il languore per verità ; tantochè oggi anche fra gli attori ben pagati non mancano taluni che fanno l’ arte a furia di vestiti e di perucche, impiastricciandosi il viso ; che non si sentono perchè non hanno fiato, che non si capiscono perchè si mangiano le parole ; e mostrano il gomito appena escono dal loro piccolo seminato.
Nè cotal senso di sovranità baldanzosa era difficile perdonargli, siccome quello derivato in lui dal piedistallo di gloria, in cui lo avevan posto per trenta e più anni monarchi e principi e uomini prestantissimi nelle arti, nelle scienze, nelle lettere, di ogni paese.
L’arti fioriscono presso la nostra ingegnosa nazione senza veruno di que’ premi e incoraggiamenti infiniti, che trovano gli artisti in Francia e in Inghilterra), sono stati seguiti da un gran numero di ottimi maestri che illustrano oggidì il settentrione. […] IV pag. 86, opere periodiche assai pregiate del signor abate Arnaud, membro illustre sì dell’Accademia Francese, come della stimabilissima Accademia delle Iscrizioni e Belle-Lettere, ed uno dei più fini e dotti critici e conoscitori delle belle arti che abbiasi oggidì l’Europa, non che la Francia.
E che diverrebbe singolarmente delle belle arti?
I musici, i poeti, i pittori, e gli scultori cercavano con ogni sforzo e industria delle lor arti renderla immortale. » Poi, venendo alle bellezze fisiche, dice : « Era di corpo bellissima, e di rado avviene che ad un bel corpo non sia bell’alma unita, essendo il bello e il buono un’istessa cosa.
In questa guisa favellano gli Scrittori Spagnuoli, che amano di migliorar le arti nella nazione, e che non sono Apologisti.
L’arti ha di Pallade, L’ali ha d’Amor Di Apollo, e d’Ercole. […] [20] È quistione fra i critici illuminati se possano degnamente trattarsi in poesia gli argomenti metafìsici, attesa la difficoltà che si ritrova nel combinare la precisione colla chiarezza, la catena delle idee cogli ornamenti dello stile, e la severità della ragione colle licenze del colorito poetico. né vi mancò un rinomato scrittor francese, che ha sentito molto avanti nella filosofia delle arti immaginative96, il quale condannasse Alessandro Pope per aver trascelto a soggetto delle sue lettere sopra l’uomo una materia cotanto specolativa ed astratta, parendo a lui che più gran senno avrebbe fatto il poeta inglese e meglio assai provveduto alla propria fama se mai non avesse gettata la falce a coglier tal messe97. […] Ma dall’altra parte egli è vero altresì che quanto è più difficile a dipinger bene l’anima combattuta di Regolo che il corpo ignudo d’Olimpia, la clemenza sublime di Tito che i colpi di Mandricardo, la situazione di Temistocle nella reggia di Serse che le pazzie del Signor d’Anglante per le campagne; quanto è più pregievole strappar dal cuore gli affetti che descrivere i palagi incantati, penetrare ne’ più intimi nascondigli dell’animo umano che crearsi un mondo fantastico nel globo della luna, far parlare ed agir la natura che scioglier pazzescamente la briglia alla immaginazione; quanto è più utile richiamar il bel sesso col mezzo d’una incantatrice eloquenza alla imitazione di Beroe e d’Aristea che il prostituire i più trillanti colori della toscana poesia dipingendo gli osceni atteggiamenti di Fiammetta, e di Alcina, l’intrecciar cogli eterni fiori della virtù il talamo coniugale di Zenobia, e di Dircea che l’avvilir la dignità d’un poema cogli infami racconti di Medea e di Argia, il rapir dal crine le sue rose alla voluttà per incoronare l’innocenza che il sacrificar questa ad ogni passo sull’altare della dissolutezza; quanto è più interessante un poeta che soddisfa nel medesimo tempo a più facoltà dell’uomo che un altro che non soddisfa se non a poche, uno che rinforza e riunisce i piaceri di tutte le belle arti che un altro che diletta col solo mezzo della poesia, uno che alle difficoltà del genere drammatico accoppia quelle che nascono dalla influenza della musica e della prospettiva sulla tragedia che un altro il quale ne schernisce ogni poetica legge, ne deride ogni esempio, e ne soverchia ogni regola, tanto più il paralello fra Metastasio ed Ariosto divien favorevole al primo. […] L’Italia non dee considerarlo soltanto come scrittore eccellente di melodrammi, nel qual genere non ha avuto l’eguale finora, ma gli è debitrice in parte eziandio di quella perfezione alla quale giunsero nella trascorsa età e nella presente le arti del canto e della composizione.
Sino a tanto che le arti sono rozze per ancora, l’amore della novità è vita di quelle; ond’hanno incremento, maturità e perfezione: ma giunte al sommo, quel principio medesimo che diede loro la vita è anche quello che dà loro la morte.
Come il gran segreto delle belle arti è quello di presentar gli oggetti in maniera che la fantasia non finisca dove finiscono i sensi, ma che resti pur sempre qualche cosa da immaginare allo spettatore allorché l’occhio più non vede e l’orecchio non sente, così il discostarsi talvolta dalle prospettive che corrono al punto di mezzo, che sono, per così dire, il termine della potenza visiva e della immaginativa, fu lo stesso che aprire una carriera immensa alla immaginazione industriosa e inquieta di coloro che guardano da lontano le scene.
Ma essa che è la speranza delle belle arti, rompa oramai que’ ceppi pedanteschi, e si avvezzi a studiare la natura, a consultare il proprio cuore, a ritrarre la società, a ridere sul viso degli orgogliosi pedagoghi ascoltando i consigli suggeriti dal buongusto. […] Con pratica e maestria si ritraggono le arti della cochetteria, o sia civetteria nella prima scena dell’atto quarto: Neque illæc ulli suo pede pedem homini premat, Cum surgat, neque in lectum inscendat proximum, Neque cum descendat, inde det cuique manum: Spectandum ne cui anulum det, neque roget 53. […] Le arti meretricie che adopera variamente coi tre innamorati in compagnia delle sue fantesche, le quali con felicità lla secondano, sono copiate al naturale dalo procedure di simili femmine che trafficano i loro vezzi.
Roma dedita alle armi favoriva poco le arti che potevano ammollire il valore, e trascurò la drammatica. […] Cresciuta poi la potenza Romana, le ricchezze apportatrici d’ozio e di riposo rendettero più necessarie le arti di pace. […] Quando l’onore le alimenta, le arti prendono il volo, e si elevano sino all’altezza che può comportare un clima.
Ma la magnificenza, la vastità, l’artificio ond’ è costrutto, per cui, mal grado di tante centinature, colonne isolate, agetti e risalti, parlando ancor sottovoce da una parte si sente distintamente dall’altra, tutto ciò, dico, farà sempre ammirar questo teatro come uno de’ più gloriosi monumenti dell’amor del grande e della protezione delle arti che ebbero i principi Farnesi. […] Si attese poscia a spiegare tutte le pompe delle arti del disegno e della musica nell’opera; ma vi si neglessero le vere bellezze, la regolarità e la sublimità della poesia, e si avvilì coll’ introduzione degli eunuchi, che, sebbene sin dal XVI secolo contraevano matrimonj in Ispagna, non aveano per anche profanate le scene.
Di poi da qual fatto, da qual monumento, da quale Autore si deduce, che verisimilmente le Colonie Fenicie stabilite in Ispagna vi portarono l’amore delle scienze, e delle arti, e lo comunicarono agli Spagnuoli divenuti Fenici?
Dopo ciò si sfoga contro le arti di una mala femmina ingrata, che dopo averlo lusingato per averlo in Compagnia, gli fa fare delle parti non da paedre, e la moglie di lui, infelice, recita ogni 4 0 5 sere e nelle farse !
Ma essa che è la speranza delle belle arti, rompa oramai que’ ceppi pedanteschi, e si avvezzi a studiare la natura, a consultare il proprio cuore, a ritrarre la società, a ridere sul viso degli orgogliosi pedagoghi, ascoltando i consigli del buon gusto. […] L’ingordigia delle madri ruffiane delle figliuole, cui per una legge imperatoria si dispose che si tagliasse il naso, come anche il costume delle donne prostitute, le quali combattono sovente coll’amore e colla necessità di guadagnare; sono nella 3 scena dell’atto I e nella 1 del III delineate eccellentemente, Con pratica e maestria si ritraggono le arti della civetteria nella I scena dell’atto IV: Neque illaec ulli suo pede pedem homini premat: Cum surgat, atque in lectum inscendat proximum, Neque cum descendat, inde det cuique manum: Spectandum ne cui anulum det, neque rogeta. […] Le arti meretricie che adopera variamente coi tre innamorati in compagnie delle sue fantesche, le quali felicemente la secondano, son copiate al naturale dalle procedure di simili femmine che trafficano i loro vezzi.
Roma dedita alle armi favoriva poco le arti che potevano ammollire il valore, e trascurò la drammatica. […] Cornelio Scipione Nasica vietò che si terminasse, e fece vendere all’incanto tutti i materiali a tale oggetto da essi accumulatiaCresciuta poi la potenza Romana, le ricchezze apportatrici di ozio e di riposo rendettero più necessarie le arti di pace. […] Quando l’onore le alimenta, le arti prendono il volo, e si elevano sino all’altezza che può comportare un clima.
Il filosofar sulle arti reca utile alla gioventù e lode al ragionatore; ma col fantasticar fu di esse con osservazioni mal digerite, si distrugge e non si edifica. […] A’ leggitori non assiderati dalla lettura di tragedie cittadine e commedie piagnevoli oltramontane; a quelli che non hanno il sentimento irruginito dalla pedantesca passione di far acquisto di libri stampati nel XV secolo, fossero poi anche scempi e fanciulleschi; a quelli che sanno burlarsi di coloro che non vorrebbero che altri rilevasse mai le bellezze de’ componimenti quasi obbliati, per poterli saccheggiare a loro posta; a quelli in fine che non pongono la perfezione delle moderne produzioni nell’accumolare notizie anche insulse, purchè ricavate da scritti inediti, ma si bene nella copia delle vere bellezze delle opere ingegnose atte a fecondar le fervide fantasie de’ giovani onde dipende la speranza delle arti; a’ siffatti leggitori, dico, non increscerà di ammirar meco questa bellissima lettera degna del pennello maestrevole del Caro. […] Veramente una nazione, che fece risorgere in Europa tutte le belle arti e le scienze, il gusto, la politezza e la libertà stessa (come è provato) meritava un poco più di diligenza in quell’erudito maestro di Poetica Francese.
Il filosofar sulle arti reca utile alla gioventù e lode al ragionatore; ma col fantasticar su di esse con osservazioni mal digerite si distrugge e non si edifica. […] A’ leggitori non assiderati dalla lettura di tragedie cittadine e commedie piagnevoli oltramontane; a quelli che non hanno il sentimento irrugginito dalla pedantesca passione di far acquisto di libri stampati nel XV secolo, fossero poi anche scempj e fanciulleschi; a quelli che sanno burlarsi di coloro che non vorrebbero che altri rilevasse mai le bellezze de’ componimenti quasi obbliati, per poterli saccheggiare a loro posta; a quelli in fine che non pongono la perfezione delle moderne produzioni nell’accumulare notizie anche insulse, perchè ricavate da scritti inediti, ma sì bene nella copia delle vere bellezze delle opere ingegnose atte a fecondare le fervide fantasie della gioventù onde dipende la speranza delle arti; a siffatti delicati leggitori, dico, non increscerà di ammirar meco questa bellissima lettera degna del pennello maestrevole del Caro. […] Veramente una nazione che fece risorgere in Europa tutte le belle arti e le scienze, il gusto, la politezza e la libertà stessa, meritava un poco più di diligenza da questo scrittore.
Per te solo, o Pluto, tutte s’inventarono le arti e le astusie: per te solo uno taglia corami, uno e fabbro, un altro muratore, un altro ruba e fa buchi nelle case altrui: tu sei l’autore di tutti i beni e di tutti i mali. […] Noi (rispondono à Villani) cerchiamo di far del bene con isbandirti dalle nostre terre Io (replica la Povertà) vi farò toccare colle mani, essere io sola la cagione di ogni bene, e non potersi commettere eccesso maggiore che procurare di arricchire i giusti… Se Pluto torna a vedere, le ricchezze saranno divise ugualmente, e niuno più si curerà di provvedersi di dottrina, nè di esercitare le arti. […] L’egregio traduttore, per mostrare in un sol quadro tutte le tenere espressioni usate da i due rivali, ha omesso la maggior parte del dialogo, nel quale Agoracrito rimprovera a Cleone le arti onde ricava donare dalle città vendendo la patria, e l’ardire che ha di uguagliarsi a Temistocle ec.
Forse sono esse indebolite dalle arti cortigianesche che vi campeggiano aliene dalla ferocità de’ Goti non da molto tempo avvezzi alla coltura che raffina gli artifizj. […] Noi annojati delle cicalate sofistiche de’ piccioli entusiasti apologisti che sacrificano all’ amor di partito le arti e la verità, e turbano la tranquillità delle lettere con gli orrori e gl’ impeti de’ fazionarj, lasceremo per ora borbottare in pace quest’altro esgesuita, e ci contenteremo per suo meglio di augurargli miglior gusto e minor villania e spleen del di lui fratello.
Cornelio, e la descrizione delle arti degli ambasciadori nelle corti straniere: nel III l’ambasciata degnamente esposta da Celio: nel IV i gravi sentimenti di Furio che tenta di richiamar Tito nel camin dritto: nel V i forti rimorsi di Tito divenuto traditore, il tenero abboccamento di lui colla madre, gli eroici insieme e patetici sentimenti di Bruto. […] Non ha poco contribuito ad inspirar fra noi e diffondere per tanti paesi un nuovo ardore per la poesia tragica il generoso invito del Sovrano di Parma pel cui benefico genio Borbonico abbiam veduto in pro delle belli arti spuntar nuovamente i lieti giorni de’ Principi Farnesi. […] Dopo tanti contrarj avvisi di critici occulti o manifesti, invidi o sinceri, e di censori periodici o buoni che servono alla verità e alle arti, o perfidi che militano per chi gli assolda e mordono chi ricusa pagar lo scotto a simili pirati, come mai parlare delle tragedie del conte Alfieri senza farsi un nemico?
Egli fa nelle sue Opere serpeggiare il bellissimo cappio della Finzione, e del Vero; e in aspetto più gentilesco del Castelvetro, e non meno filosoficamente disviluppa le idee del Verisimile poetico, vero perno su cui si volge il Teatro, anzi la Poesia tutta, e le altre arti imitatrici.
Ciò che in Italia nuocono alle belle arti le combriccole de’ semidotti che si collegano contro del merito e degl’ingegni ben coltivati, e le mignatte periodiche e gli scarabbocchiatori di mestiere di ciechi colpi d’occhi e di articoli per giornali venduti, noceva a que’ di nelle Spagne ai progressi teatrali la turba inetta degli apologisti ed i colleghi di quel poetilla La Cruz che tiranneggiava i commedianti nazionali.