Da un omaggio agli attori della Compagnia Pelzet e Domeniconi, per le recite dell’estate 1833 a Pistoja, tolgo la seguente epigrafe : a più splendida onoranza di maddalena pelzet tragica maravigliosa comica inarrivabile singolare commovitrice d’affetti per portamento e nobile gesto commendevole ; in matilde bentivoglio gelosa amante ; nella gismonda di contrarie passioni pittrice : nell’ester d’engaddi fedele e magnanima con bello esempio insegnò alle spose anteporre l’onore alla vita un ammiratore di tanto merito pubbliche gratulazioni e festivi applausi affettuosissimo porge DI GIUSEPPE MATTEI Quand’io pendo dal tuo labbro gentile, e il suon de'detti tuoi mi scende al core, sia che del vizio alla licenza vile ti faccian scudo la virtù, l’onore, sia che di fida sposa e figlia umile, o di tenera madre immenso amore t’infiammi il petto, o che cangiando stile arda tu d’ira e di crudel furore ; in estasi dolcissima rapito oltre l’usato il mio pensier veloce al Ciel s’estolle, e dopo averti udito muto io resto, nè so dir se potria bearmi il cor, più della tua, la voce di Melpomene stessa e di Talia.
Invocato Giove, Minerva, Diana ed Apollo, si passa alla descrizione de’ mali di Tebe in tal guisa: Giace dal morbo afflitto il popol tutto, Ne so donde io m’impetri O soccorso o consiglio, Già de li frutti suoi ricca e cortese La terra or nulla rende, Nè resister possendo Cadon da morte oppresse Le femmine dolenti Ne l’angosce del parto, Come spessa d’augel veloce torma Fende l’aria volando. […] Non so adunque come il calabro avvocato Mattei affermi nella mentovata dissertazione (alla pagina 210) che i nostri antichi traevano da quelle miniere (de’ tragici Greci) solo il piombo, e lasciavano l’oro .
Io non so com’Ella ne pensi.
Oltre a ciò non so come vi possa inspirare tanta fiducia un Letterato terris jactatus, & alto vi superum, intento a corteggiare una potentissima Nazione, la quale per altro ricchissima di vere glorie non cura per risplendere nelle armi nella polizia, e nelle Lettere, di vanti immaginarj, presunti, o stiracchiati a forza di congetture apologetiche.
[9] Lo squallido aspetto della natura ne’ paesi più vicini al polo per lo più coperti di neve, che ora si solleva in montagne altissime, ora s’apre in abissi profondi; i frequenti impetuosi volcani, che fra perpetui ghiacci veggonsi con mirabil contrasto apparire; foreste immense d’alberi folti e grandissimi credute dagli abitanti antiche egualmente che il mondo; venti fierissimi venuti da mari sempre agghiacciati, i quali, sbuccando dalle lunghe gole delle montagne, e pei gran boschi scorrendo, sembrano cogli orrendi loro muggiti di voler ischiantare i cardini della terra; lunghe e profonde caverne e laghi vastissimi, che tagliano inegualmente la superficie dei campi; i brillanti fenomeni dell’aurora boreale per la maggior obliquità de’ raggi solari frequentissimi in quei climi; notti lunghissime, e quasi perpetue; tutte insomma le circostanze per un non so che di straordinario e di terribile che nell’animo imprimono, e per la maggior ottusità d’ingegno che suppongono negli abitanti a motivo di non potervisi applicare la coltura convenevole, richiamandoli il clima a ripararsi contro ai primi bisogni, doveano necessariamente disporre alla credulità le rozze menti de’ popoli settentrionali. […] So che alcuni eruditi non si sgomentano del confronto ad onta dell’ignoranza in cui si trovano di quella favella divina, e so che fra gli altri il Varchi 67 e il Quadrio 68 si sono lasciati dal pedantismo e dalla farraginosa erudizione addormentar l’animo a segno d’asserire che l’esametro degli antichi era privo d’armonia paragonato coll’italiano d’undici sillabe.
Altro adunque io non so fare che piagnere? […] Così lo trafiggerò nella parte più sensibile del cuore; osserverò i suoi sguardi, se cangia di calore, se palpita; so quello che dovrò far io.
Io che ho ammirato sinceramente, e sinceramente ammiro altri artisti maschi e femine del nostro teatro di prosa per la loro maniera schietta di porgere senza avviluppamenti accademici, non so, mi trovo inceppato a parlare della verità di questa piccola fata. […] Sono intontonita esattamente, e non so se sia effetto di chinino !
Molto meno dee egli appoggiarsi nell’abbondanza de’ difetti de’ tragici latini e nella scarsezza di sublimità; perchè dalle ultime favole moderne risalendo sino ai cori di Bacco in Icaria, non so quante tragedie potrebbero ostentarsi come perfette, grandiloquenti e prive di ogni taccia.
«O figlia già so il tuo affetto per quest’arbuscello» «Sac.
Io non so per qual gotica stranezza di gusto i critici pedanti rendono problematiche le verità più manifeste. […] Non so quanto i Francesi si possano chiamar contenti di codesta specie d’indovinello, paradosso, o garbuglio.
Ci vuole quel certo non so che di convenzionale, senza del quale l’attore copia « la gretta natura. » O proprio sarebbe tempo, che critici ed attori non invadessero il campo altrui, e noi attori specialmente lasciassimo a chi ne ha il cómpito di fare e creare i personaggi.
Marta, Maddalena Marta Non so s’ arretri il passo, o s’ io l’ avanzi, miserabile avanzo di doglia inusitata. […] Io so che molti professori del ben parlare troueranno molti luoghi dove ne men’ io debbo dir bene, si come anche mi accorgo, che quelli, che non sanno parlar bene non conosceranno s’ io dica bene, o male ; onde anderanno sempre dicendo peggio, si che da questi non desiderarei altra sodisfatione se non che si dichiarassero di non saper ciò ch’ io mi habbia detto.
Le cagioni della morte del De Vecchi sono chiaramente spiegate, nella dedicatoria al Marchese Ottavio di Scandiano delle Lettere facete e morali, in cui egli dice : Un’ altra cagione (pur di momento) mi ha persuaso a raccomandarli questo puoco Volume, et è stato lo raccordarmi, ch’ io stesso fui caramente raccomandato alla protettione dell’ Illustrissima Sua Casa nel tempo, che riscaldandomi gli ardori della gioventù, mi rendevano tal’ hora bisognoso di un saluo ricouero per fuggir non so s’io debba dir lo sdegno, o pur il costume della Giustitia, la quale con il mezo dell’autorità, et bontà della felice memoria dell’ Illustrissimo Sig. […] Io lo so ; ma, perchè non voglio nulla del vostro, per questo parlo con soverchia libertà.
Icilio Polese nell’Arte drammatica del 18 gennajo '73 narrava di lui il seguente aneddoto : « Sandro rappresentava non so dove, nè quando, nè con chi Filippo di Alfieri.
Non so se ciò dica l’autore come storico o come poeta. […] Non so però perchè non si è cercato di trattare in soli tre atti il contrasto dell’amor filiale e della vendetta nel cuor di Marzio, colla funesta vittoria del primo che cagiona la di lui morte. […] Non so per qual ragione non aggiunse anche per Affrica, giacchè da una loa composta dal Sig. […] Don Pedro de la Huerta, in non so qual sua operetta ultimamente mandata a stampare in Madrid, abbia trattato il Signorelli con tutta l’animosità e l’asprezza fraterna.
Da questi lacci in cui M’implica il tuo parlar (cedasi al vero) Disciogliermi non so. […] S’immaginar nol so? […] 98 [21] Io non so se vagliato che fosse e sceverato il grano che si ritrova nelle opere di Samuele Clark e di Niewentit, che passano per le più profonde in questo argomento99, si potesse ricavare di più di quello, che con tanta scioltezza e precisione dice qui il poeta cesareo. […] Non so dove s’apprenda Tal arte a porre in uso. […] Tutto ciò non so quanto sembrerebbe conforme ai costumi nazionali in Pecchino; quanto a me credo, che chiunque abbia fior di senno riporrà queste esimili licenze accanto al quadro di quel pittore, il quale dipignendo Gesù Cristo che predicava al popolo, lo fece accompagnar da paggi vestiti alla spagnuola, o insiem con quei versi del portoghese Camoens, dove Venere e Bacco vengono in soccorso di un re del Capo di Comorino travagliato dalle armi di Vasco di Gama.
Ciò gli fa meritevolmente ridicoli agli occhi degli stranieri: non so se questi giudichino con piena cognizione di causa, ma so che almeno non cadono in simili inedie così frequentemente».
Non so adunque, perché Lope de Vega, che mori nel 1635, al pari della censura d’Italia, per non aver osservato le regole, temeva quella della Francia, la quale avea allora un teatro tanto sregolato, quanto lo spagnuolo e ’l cinese, e inferiore di gran lunga a’ componimenti di Lope per invenzione, ingegno, nobiltà, e decenza. […] Io non so per qual gotica stranezza di gusto i critici pedanti rendono problematiche le verità più manifeste.
Non so per quale gotica stranezza di gusto i Critici pedanti rendono problematiche le verità più manifeste. […] Non so quanto i Francesi possano chiamarsi contenti di codesta specie d’indovinello, paradosso, o garbuglio.
Nel loro gestire apparisce certo non so che di originale e di facile che mi diletta, e diletterebbe ognuno se non venisse sfigurato dal loro dialogo insipido e dall’intreccio assurdo”. […] Non so se il sig.
Insiste sempre codesto traduttor de’ Salmi e autore de’ Paradossi e di Giobbe Giurisconsulto nel mettere (nè so per qual capriccio) per oggetto principale de’ drammi Greci il ballo; e noi sempre attenendoci alla storia lo considereremo come accessorio al pari delle decorazioni.
Io ho inteso che i nomi hanno in loro un non so che di fortunato e d’infelice ; per me questo di Lauinia non mi piace ; poichè Lauinia, quella cantata da Virgilio originò incendio al Latio, la morte a Turno, e trauagli a Enea : oltre che se voi pigliate la seconda sillaba di questo nome che è Vi, e la fate prima, componete un nome che dice Vilania.
non so.» […] Il primo ad introdurlo sembra essere stato il cantore Baldassarre Ferri perugino, come si può argomentare dalla prefazione d’una raccolta di poesie a lui dedicata, ove nello stile ampolloso di quei secolo si dice, parlando di non so quale cantilena: «Che il popolo sopraffatto da vostri sovrumani concenti, guardandovi qual novello portentoso Orfeo della età nostra, vi sentì replicar più volte sulle nostre scene rimbombanti coi vostri applausi ed inaffiata coi torrenti dell’armonia vostra dolcissima.» […] La malignità farà vedere un non so qual tuono d’ironia che indicherà la segreta compiacenza che ha del danno altrui. […] Il sentirla non costa niente, non è effetto del sapere né dell’ingegno, ma da una non so quale disposizione che sebbene dal cielo sia stata data a pochissimi, per tutto il mondo crede di possederla.
Non so se ciò dica l’autore come storico o come poeta. […] Non so però perchè non si è procurato di trattare in soli tre atti il contrasto dell’amor filiale, e del desiderio di vendicarsi nel cuor di Marzio, colla vittoria del primo che ne cagiona la morte. […] Questo semplice giudizio portato sulla versione della Rachele non è stato punto alterato dopo che seppi che Don Pedro de la Huerta, in non so quale sua operetta che avea trasmessa per istamparsi a Madrid, abbia trattato l’autore della Storia critica de’ Teatri con tutta l’animosità e l’asprezza fraterna. […] Non so per qual ragione non aggiunse anche per Affrica, giacchè da una loa composta dall’istesso Huerta in Oràn mentre dimorava in quel presidio, vi si rappresentò la Rachele dagli uffiziali della guarnigione.
Adunque senza tener conto veruno della rigidezza affettata di alcuni sedicenti coltivatori de’ severi studii, i quali sdegnano tutto ciò che non è algebra, nè delle meschine rimostranze di qualche bonzo o fachiro, nè delle insolenze di alcuni immaginarii ministri di non so qual filosofia arcana, e molto meno apprezzando le ciance insidiose smaltite fra i bicchieri delle tavole grandi da certi ridevoli pedantacci che ostentano per unico lor vanto l’essersi procacciati varii diplomi accademici, noi avremo sempre in pregio così amena filosofia in azione, di cui gli additati impostori ignorano il valore e la prestanza.
Noi di buon grado le notiamo, come proseguiremo in ogni occorrenza, perchè si avveggano una volta coloro, a’ quali incresce il nostro rispetto verso la dotta antichità, che noi in quest’opera collo spirito d’imparzialità che ne governa, e con giusto sforzo (non so se felice) intendiamo di cogliere dagli scrittori di ogni tempo il più bel fiore per inspirare il buon gusto, e di osservarne anche i difetti che potrebbero guastarlo: differenti in ciò totalmente da certi pedanti moderni che si fanno gloria di esagerare tutti i difetti degli antichi, e di negligentarne le bellezze. […] Il suocero di Euripide non so come si sviluppa e si distriga dalle donne che lo custodiscono, e strappata dalle braccia di una di esse una bambina tenta fuggire. […] Questo è l’unico che sia passabile, ma non so dire dove egli sia. […] Zitto che non so che d’intorno rombami. […] Ma io (dice l’altro) non sono uomo molto dabbene, ignoro colla musica ogni bell’ arte, appena so leggere.
La bella Donna mia Già sì cortese e pia, Non so perché, So ben che mai Non volge a me Quei dolci reti: Ed io pur vivo e spiro! […] Non so, che alcun metafisico abbia data una spiegazion convenevole a questo fenomeno, ne io sono da tanto che speri di poterlo fare: abbiano, ciò nonostante, le seguenti conghietture il peso che meritano.
… Altro dunque io non so fare che piangere? […] Io ignoro quanti siensi approfittati del di lui consiglio se non per poetar bene, almeno per cianciar male; non so poi se possa esservi uomo dotato di ugual malignità e stupidezza che adottar possa i di lui sentimenti.
. – Tiberio Fiorilli ha tanto fatto che gli è riuscito avere una lettera di chacet dal Re per cavare la sua douna dal Refugio e l’ ha messa, d’ordine però della medesima lettera, in uno dei conventi di Chalot ; ma perchè è un poco lontana per lui, che li cominciano a pesare le gambe, è andato a trovare la Granduchessa alla quale disse un mondo di bene di detta donna, e perchè lei medesima l’ aveva vista quando era al Refugio, e che la Superiora del luogo le aveva detto molto bene della medesima, li promesse di farla cavare dal Convento di Chalot, e farla mettere in uno di Parigi ; non so come li riuscirà, perchè il Re non ne vorrà essere importunato ogni tre giorni, e perchè dice per tutto Parigi che è il suo figlio che l’ ha fatta levare e rinserrare, e che ha scritto al Granduca contro di lui, e va facendo leggere la lettera di V. […] Rispondo alla sua morale et amorevolisima letera delli 6 caduto e ne(l)la ringratio quanto so e posso di que’ sensi con i quali ella m’esprime il core nei trati della penna, ma mi duole al somo che la malidicenza m’ abia dipinto in lontananza ( ?)
O Figlia, già so il tuo affetto per quest’albuscello.”
Non so se quindi derivi quella spezie di decadenza che si osserva nelle belle arti; ma egli é manifesto, che oggi abbondano più i pretesi calcolatori, i pseudoletterati, i sofisti, i gazzettieri, che i grandi artisti263.
Sino alla divisione del Romano Impero, per quanto io so, non si trova nominato veruno scrittore drammatico.
Adunque senza tener conto veruno della rigidezza affettata di alcuni sedicenti coltivatori de’ severi studii, i quali sdegnano tutto ciò che non è algebra, nè delle meschine rimostranze di qualche bonzo o fakir, nè delle insolenze di alcuni immaginarj ministri di non so qual filosofia arcana, e molto meno apprezzando le ciancie insidiose smaltite fra i bicchieri delle gran tavole da certi ridevoli pedanti che ostentano per unico lor vanto l’ essersi procacciati varii diplomi accademici, noi avremo sempre in pregio così amena filosofia in azione, di cui gli additati impostori ignorano il valore e la prestanza.
Pare dunque che il Trissino (il quale non so perchè e donde venga dal Voltaire ed indi da altri di lui compatriotti appellato Arcivescovo) abbia servito di lume e scorta a’ primi Francesi che si esercitarono nel genere tragico.
Il suocero di Euripide non so come si sviluppa e si distriga dalle donne che lo custodiscono, e strappata dalle braccia di una di esse una bambina tenta di fuggire. […] Questo è l’unico che sia passabile; ma non so dire ove ei sia. […] Zitto, che non so che d’intorno rombami. […] Ma io (dice l’altro) non sono uomo molto dabbene, ignoro colla musica ogni bell’ arte, appena so leggere. […] Insiste sempre questo noto traduttor de’ Salmi e autor de’Paradossi e di Giobbe Giureconsulto nel mettere (nè so per qual capriccio) per oggetto principale de’ drammi Greci il ballo, e noi sempre attenendoci alla storia lo considereremo come accessorio al pari delle decorazioni.
Io non so come varj nazionali ed a voce ed in iscritto poterono di tali feste attribuir l’invenzione al Calderon47, quando non s’ ignora che tante Lope ne compose48. […] Lo stile è fluido e armonioso, benchè non sempre proprio per la drammatica poesia; ma il piano, i caratteri, l’ economia, tutt’altro in fine abbonda di gran difetti; nè so in che mai avesse il Cervantes fondati i suoi esagerati encomj. […] Non so in prima con qual fronte possa tacciarsi di colpevole negligenza uno straniero che si è industriato almeno di rinvenir qualche orma di ciò che dell’intutto si è veramente negletto da’ nazionali.
Tiraboschi, l’erudito Bettinelli, e tutti gl’Italiani, che anche col pensiero fossero indiziati di essere Anti-Spagnuoli, contuttociò spiacemi, che il Signor Lampillas vada alzando l’intonazione, perchè ripeto, strascinerà tutti gli altri ad accordarvisi, e poi si querelerà della poca urbanità e che so io.
Vn fiol che sia nassù, vist al present, ha manco tempo, che non ha so par.
La tragedia è verseggiata in ottava rima ed ha qualche debolezza e varj difetti, ma non è però indegna di esser chiamata tragedia; nè so donde si ricavasse il compilatore del Parnasso Spagnuolo la rara scoverta che questa Sofonisba fosse stata una spezie di dialogo allegorico 82. […] Pietro Aretino, la cui penna in un tempo non di tenebre ma di luce si rendette, non so perchè, fin anche a’ più gran principi formidabile, uomo ad onta della sua mercenaria maldicenza, di qualche talento, sì, ma di volgare erudizione, di poca dottrina e di niuno onore, contribuì non poco alle glorie della tragedia Italiana. […] Io non so come non vedesse egli quel che tanti altri, anche suoi compatriotti, osservarono, cioè che l’epoca de’ duelli, delle giostre, de’ beni della lancia è appunto un ritratto, appena da piccioli lineamenti alterato, de’ primi tempi eroici degli Ercoli, de’ Tesei e degli Achilli puntigliosi. […] Un’ immagine anche bene espressa è la seguente: Parve di morte empirsi, e restò chiusa Sua vita io non so dove, e fu simile Nel viso ai morti, e per buon spazio tacque.
È opinione avverata dalla esperienza e confessata dagli oltramontani eziandio, che il ridente cielo dell’Italia comunichi a gli strumenti una non so qual dilicatezza, che non si ritrova sotto gli altri climi di Europa. […] Non so per tanto con qual ragione un riflessivo e interessante scrittore91 abbia chiamata vana e inutile quella gloria che ritraggono gl’Italiani dal vedere che la loro lingua, musica, e poesia sono superiori a quelle degli oltramontani.
Io so che rigorosamente parlando v’hanno due modi, il maggiore e il minore: e contuttociò un pezzo di musica d’un genere grande rimane tanto sfigurato, ove si voglia trasportarlo ad un’altro genere quanto resterebbe un opera di gusto trasferita da una in un’altra lingua. […] Nella medesima guisa l’uso che si fa dei verbi ansiliari essere e avere mettendoli avanti a tutti i tempi della voce passiva dei verbi, e a molti della voce attiva induce non so qual imbarazzo nella sintassi che nuoce alla trasposizione, al numero, e all’armonia, perché mentre l’italiano si vede costretto a dire in tre parole “io aveva fatto”, gli antichi si sbrigavano con una sola “feceram”; e mentre costoro aggiungendo, o soltanto cangiando l’ultima lettera facevano divenir passiva la voce attiva come in “amor, amabar”: egli non può far un passo senza chiamar in aiuto un’altro verbo dicendo “sono amato, era amato”.
Ed io mel so, Sig. […] Ho paura però ch’egli travedendo abbia presi per folgori tremende i razzi da feste, e che non abbia letti bene que’ passi che adduce; perchè que’ grand’uomini ch’egli cita, so che riprendono la qualità del canto, e non il canto scenico per se stesso.
Diderot) rappresentano con più franchezza de’ francesi… Nel loro gestire apparisce un certo non so che d’originale e facile che mi diletta, e diletterebbe ognuno, se non venisse sfigurato dal loro dialogo insipido e dall’intreccio assurdo». […] Non so se il signor Eximeno sia stato testimonio oculare dell’atteggiamento de’ commedianti francesi; ma lo fu certamente il bolognese Pier Jacopo Martelli, il quale ne ragiona con conoscimento nel suo Dialogo sopra la tragedia Antica e Moderna.
Io non so come varii nazionali a voce ed in iscritto poterono di tali feste attribuir l’invenzione al Calderòn a, quando non s’ignora che tante Lope ne compose a. […] Lo stile è fluido e armonioso, benchè non sempre proprio per la poesia drammatica; ma il piano, i caratteri, l’economia, tutt’altro in fine abbonda di grandi e molti difetti; nè so in che mai Cervantes avesse fondati i suoi esagerati encomii. […] Non so in prima con qual fronte possa tacciarsi di colpevole negligenza uno straniero che si è industriato, come io ho fatto, di rinvenir qualche orma almeno di ciò che dell’in tutto si è realmente negletto da’ nazionali.
Tu nol sai; ma il so ben io, Nè a te, perfido il dirò.
Ma non so come l’Alamanni poteva tradurre una Tragedia Greca per noi perduta forse da due mila anni.
r Fulvio per qual si fosse sua ragion di stato, m’era contrario, ch’io non so, nè posso imaginarmene la cagione, se non è per interesse di mia moglie, e mia sorella ; e vedendo essere impossibile di poter per qualsivoglia strada rimovere questa sua mala volontà, mi disposi ricorrere dal sig.
Parti, allontanati, nè mai più ardire d’entrar nella reggia; non so come in questo punto non so recidere quel capo che nutrì pensieri cotanto audaci. […] Nol so, risponde il conte. […] Non so se nell’auto riferito Calderon si propose ancora in grazia del sublime e del maraviglioso di mentovar l’uso del cioccolate prima della venuta d Cristo; almeno non costa che gli Angeli avessero fatto uso ancora di questa pozione Messicana.
Indi, invocata Minerva, Diana, ed Apollo, si passa a descrivere i mali di Tebe: Giace dal morbo afflitto il popol tutto, Né so dond’io m’impetri O soccorso, o consiglio. […] Non so dunque, come il signor Mattei affermi nella sopraccitata dissertazione pag. 210, che «i nostri antichi traevano da quelle miniere (de’ tragici Greci) solo il piombo, e lasciavano l’oro». […] Si osserva in oltre che ne’ greci i cantici per l’ordinario non han luogo, so non conosciuta perfettamente la sventura; ma in questo squarcio che si é voluto convertire in terzetto, si va cercando ancora l’autore della morte, …………………… Quo jaces Fato?
Nel loro gestire apparisce certo non so che di originale e di facile che mi diletta, e diletterebbe ognuno se non venisse sfigurato dal loro dialogo insipido, e dall’intreccio assurdo» . […] Non so se il sign.
Non so se in questo giudizio i leggitori sereni troveranno parzialità, ingiustia, o difetto di lettura o d’ intendimento; so però che il critico illuminato che ve ne scorgesse, dovrebbe avvertirne il pubblico con buone ragioni esposte con urbanità e moderazione, e non già con decisioni enfaticamente profferite in qualche prefazione e alla guisa degli oracoli, nelle quali sempre trovasi il mistero e di rado il gusto, o la verità, o la giustizia128.
Io non so per qual destino ne vengano escludi l’endecasillabo e ‘l novenario, non men degni degli altri, sì perché non mancano d’armonia e perché meglio ancora che la maggior parte degli annoverati possono servire a’ particolari affetti. […] Se dura un gran dolore, E che, so non si muore Sia facile a soffrir. […] Io non so ad altri che ne paia; ma quanto è a me, le cadenze son pure la più sazievol cosa ch’io mi possa udire. […] Ma quando io pur si potesse, in tal compendio sarebbe forse bene accolto nel fine dell’opera, perché richiamerebbe alla memoria la già terminata azione; ma posto all’apertura del dramma io non so quale applauso sarebbe in dritto d’esigere. […] Le pitture particolarmente del divin Raffaello vanno tant’oltre in questo genere, ch’io non so chi vi sia che gliene possa contendere il primato.
Anche il Brown, inglese, nella sua dissertazione sull’unione della musica e della poesia, citando la storia del teatro italiano di Lelio Riccoboni, parla di non so qual dramma fatto rappresentare dal Senato di Venezia fin dall’anno 1574 per divertimento d’Arrigo Terzo re di Francia 54. […] Non so quanto solidi saranno essi riputati dagli altri; quanto a me non vi so trovare maggior fermezza di quella che un logico troverebbe nel seguente argomento: Il topo, il gallo, l’anguilla, e l’elefante mangiano, dormono, si muovono, e si riproducono dunque il topo, il gallo, l’elefante, e l’anguilla appartengono alla medesima spezie.
Pietro Aretino, la cui penna in un tempo non di tenebre ma di luce, si rendette, non so perchè, fin anche a’ più gran principi formidabile, uomo, ad onta della sua mercenaria maldicenza, di qualche talento, sì, ma di volgare erudizione, di poca dottrina e di niuno onore, contribuì non poco alle glorie della tragedia italiana. […] Io non so come non vedesse egli quel che tanti altri anche suoi compatriotti osservarono, cioè che l’epoca de i duelli, delle giostre, de’ beni della lancia, è appunto un ritratto appena da piccioli lineamenti alterato, de’ primi tempi eroici degli Ercoli, de’ Tesei, e degli Achilli puntigliosi. […] Un’ immagine anche bene espressa è la seguente: Parve di morte empirsi, e restò chiusa Sua vita io non so dove, e fu simile Nel viso ai morti, e per buon spazio tacque Feritosi al fine Simandio gli toglie dal petto il pugnale, Dicendo, ah Nino!
Questo Frinico di Melanta fu il poeta che rappresentando la mentovata tragedia preso da non so qual timore ovvero orrore naturale non potè proseguire, ed il popolo lo fe ritirare dalla scena49. […] Invocata poi Minerva, Diana ed Apollo, si passa alla descrizione de’ mali di Tebe: Giace dal morbo afflitto il popol tutto, Nè so donde io m’impetri O soccorso o consiglio. […] Non so adunque come l’anzilodato Signor Mattei affermi nella citata dissertazione alla pagina 210, che i nostri antichi traevano da quelle miniere (de’ tragici Greci) solo il piombo, e lasciavano l’oro. […] Non sono dunque tante le azioni in poco tempo accumulate, quante, non so per quale utilità, volle numerarne il critico Fiorentino.
Non so per quale stranezza od uso sin dal XVI secolo tanto abbondassero gli eunuchi nella penisola di Spagna; ma una bolla di Sisto V ci convince che non erano pochi, e che arrogavansi il diritto di contrarre matrimonj colle donne, siccome gli uomini fanno89. […] Quanto poi al Rosa (aggiugne il lodato Baldinucci che ciò racconta) non è chi possa mai dir tanto, che basti, dico della parte ch’ei fece di Pascariello; e Francesco Maria Agli negoziante Bolognese in età di sessant’anni portava a maraviglia quella del Dottor Graziano, e durò più anni a venire a posta da Bologna a Firenze lasciando i negozj per tre mesi, solamente per fine di trovarsi a recitare con Salvadore, e faceva con esso scene tali, che le risa che alzavansi fra gli ascoltanti senza intermissione, o riposo, e per lungo spazio imponevano silenzio talora all’uno talora all’altro; ed io che in que’ tempi mi trovai col Rosa, ed ascoltai alcuna di quelle commedie, so che verissima cosa fu, che non mancò alcuno, che per soverchio di violenza delle medesime risa fu a pericolo di crepare.
Vi so dire però, che la mina sventata produce strepito senza far danno.
A’ ventuno poi del medesimo mese del seguente anno vi si rappresentò la favola di Cefalo divisa in cinque atti e scritta in ottava rima dall’illustre guerriero e letterato Niccolò da Correggio (che non so perchè vien detto da Saverio Bettinelli Reggiano, essendo nato in Ferrara l’anno 1450, ove erasi recata Beatrice da Este sua madre); ed indi a’ ventisei dello stesso mese l’Anfitrione tradotto in terzarima da Pandolfo Collenuccio da Pesaro, il quale a richiesta parimente di Ercole I compose la sua commedia, o a dir meglio, azione sacra intitolata Joseph impressa poi in Venezia nel 1543 corretta da Gennaro Gisanelli.
A’ ventuno poi del medesimo mese del seguente anno vi si rappresentò la favola di Cefalo divisa in cinque atti e scritta in ottava rima dall’ illustre guerriero e letterato Niccolò da Correggio (che non so perchè vien detto dal Bettinelli Reggiano); ed indi a’ ventisei dello stesso mese l’Anfitrione tradotto in terza rima da Pandolfo Collenuccio da Pesaro, il quale a richiesta parimente di Ercole I compose la sua commedia, o a dir meglio azione sacra, intitolata Joseph impressa poi in Venezia nel 1543, e nel 1555, e nel 1564 corretta da Gennaro Gisanelli.
Nella prima, per esempio, venuto Carlino a scoprire che il Curato di Saint-Méry avea ricusato di seppellire un parrocchiano, perchè comico, scrive argutamente al Ganganelli : io non mi so spiegare come possa conciliarsi la protezione della Corte con questa severità della Chiesa.
Avuto sentore in arte del ritiro di Gaetano Nardelli, non so dire da quali e quante proposte ella fu assediata ; proposte che non furon poi accettate, perchè ella si risolse per la R.
Il sacerdote Giovanni Tucci scrisse due commedie la Ragione ed il Dovere, da me vedute rappresentare in case particolari nella mia fanciullezza ; ma non so che siensi pubblicate per le stampe. […] ed Orgando Nella mia figlia io trovo Un non so qual timore, dal che pare che nascer non potessero le tetre espressioni de’ confidenti, Minaccia il ciel turbato, S’ammanta a nero il giorno, Mormora il tuono intorno. […] Le dice al fine Non ti smarrir, son tua, voglio esser tua… Non so morire ? […] Non so però se lo spettatore avvezzo alle furbesche trame comiche di que’ due vili, presti loro o non presti fede, e se possa commuoversi col padre. […] Non so se quindi solo derivi quella rincrescevole decadenza che non può negarsi che si osservi nelle belle arti ; certo agli occhi oggi salta meno l’abbondanza de’ grandi artisti che de’ calcolatori, degl’invidi sofisti, de’ falsi-letterati e gazzettieri senza biscotto.
Il nostro insigne poeta così ne parla: …… Che fuor che titoli E vanti e fumi, ostentazioni e favole, Ci so veder poco altro di magnifico. […] Anch’io so simile. […] Io non approverò mai le scene simili alla quinta del V atto di Cittina: Io non so che trispigio sia dentro a questa camera terrena; io sento la lettiera fare un rimenio, un tentennare che pare che qualche spirito la dimeni, ecc.
Che fuor che titoli E vanti e fumi, ostentazioni e favole, Ci so veder poco altro di magnifico. […] Anch’io so similemente cotesto far. […] Io non approverò mai le scene simili alla quinta del V atto di Cittina: Io non so che trispigio sia dentro a questa camera terrena; io sento la lettiera fare un rimenio, un tentennare che pare che qualche spirito la dimeni ecc.
Non saprei dire se La Motte nel comporla avesse avuto presente qualche modello in tale argomento; so però che oltre al poema di Camoens si maneggiò in Lisbona dal Ferreira, ed in Castiglia dal Bermudez e da Mexia de la Cerda, benchè al cospetto della Inès francese spariscano tutte le altre. […] L’uditorio ravvisò non so che di ridicolo nel veleno presentato a Marianna in una coppa.
S. vuole aggiugnergliele ora, non so da che spirito mossa, oltre alla gran fatica ch’ella imprenderà a compire quattro canzonette colle circostanze richieste alle così fatte, le accrescerà bene il coro, ma le scemerà il decoro: e dico scemerà, e non leverà, per non dannare affatto l’uso di tutti quei poeti che alle loro il fanno ; e fra tali poeti si vuol ripore l’istesso Manfredi che il fece alla sua boschereccia.
S. vuole aggiugnergliele ora, non so da che spirito mossa, oltre alla gran fatica ch’ella imprenderà a comporre quattro canzonette colle circostanze richieste alle così fatte, le accrescerà bene il coro, ma le scemerà il decoro; e dico scemerà, e non leverà, per non dannare affatto l’uso di tutti quei poeti che alle loro il fanno; e fra tali poeti si vuol riporre l’ istesso Manfredi che il fece alla sua boschereccia.
Scrisse, per quanto io so, tre sole commedie interamente, cioè: il Notajo o le Sorelle rimasta inedita; la Marchesa Castracani eccellente pittura della vanità plebea che aspira a sollevarsi dal fango e vi ricade con accrescimento di ridicolezza, impressa senza saputa dell’autore e imbrattata con aggiunzioni d’altra mano; ed il Politico rimasta inedita, che io vidi solo accennata a soggetto, come sono tante altre sue favole, il Saturno, il Metafisico, i Mal’ occhi, il Dottorato, il Salasso, l’Amicizia &c.
Non so doue disegni d’andar il Re. […] L’esser e ’l non esser secondo alcuni star insieme non possono, il che io non affermo, perchè so ch’io son morta a i diletti e viva a i guai : ecco dunque ch’io son e non sono, e morta e viva.
Parti, allontanati, nè mai più ardire di entrar nella reggia; non so come in questo punto non fo recidere quel capo che nutrì pensieri cotanto audaci. […] Nol so , risponde il conte. […] Non so se nell’auto riferito Calderòn si propose ancora in grazia del sublime e del maraviglioso di mentovar l’uso del chocolate prima della venuta di Cristo; almeno non costa che gli Angeli avessero fatto uso ancora di questa pozione Messicana.
Sino alla divisione del Romano Impero, per quanto io so, non si trova nominato scrittore alcuno drammatico.
non so quel ch’io dica . . […] ed Orgando, Nella mia figlia io trovo Un non so qual timore. […] Non so morire? […] Non so però se lo spettatore avvezzo alle furbesche trame comiche di que’ due vili personaggi, presti loro, o non presti fede, e se possa commuoversi col padre. […] Non so se per tali operazioni basti il tempo che s’impiega in profferir quaranta parole.
Mi rivolgerei a quel sesso da cui non si dovrebbe aspettare che patrocinasse una simile causa, ma tra il quale gl’inconcepibili progressi della corruzione fanno pur nascere più di una spiritosa avvocata, pregandolo a concorrere per mezzo della influenza cui la natura, non so se per nostra fortuna o per nostra disgrazia, ha dato alle donne sopra di noi, a sradicar un costume il quale divenuto che fosse più generale renderebbe affatto inutile sulla terra l’impero delle loro attrattive, e persin la loro tanto da noi pregiata esistenza140. […] Qual somiglianza corre tra la sorpresa della smarrita Dircea allorché si confessa priva di senso non che di parole «Divenni stupida Nel colpo atroce: Non ho più lagrime, Non ho più voce; Non posso piangere, Non so parlar.»
Piacque al popolo ancor quest’altra novità, e ne nacque l’usanza di dividere la declamazione dall’azione, usanza che non so per qual singolarità di gusto serbossi poscia costantemente nel teatro latino. […] Non so se Difilo avesse intitolata la sua favola προτονος che significa rudens, non avendocene Plauto conservato il nome greco, nè altrove ricordandomi di averlo letto tralle favole di quel comico citate dagli antichi.
Non so dimenticarlo!
Debellato poi Desiderio, Carlo Magno nell’anno 801, e i di lui successori sino a Corrado il Salico, fecero varie aggiunte alle leggi Longobarde, e so ne venne a formare un Codice, che, secondochè ben dice un nostro dotto scrittore, non ostante il ritrovamento delle Pandette, ebbe il suo corso nell’Italia trasteverina per sino al 1183, delle quali cose vedasi il Conrigio, Lindebrogio, Montesquieu.
Noi vogliamo credere a questo acuto osservatore, il quale trovò spessissimo mancare di eleganza e di stile poetico fin anco la Gerusalemme; ma non vorremmo che prendesse per eleganza anche lo stile contorto ed oscuro in cui taluno sì spesso cade; vorremmo poi che il mondo che si trasporta e si riempie di dolcezza leggendo o ascoltando i drammi di Metastasio, fusse rapito ugualmente alle Cantate dell’elegante Bettinelli e dell’armonico Frugoni in vece di averle obbliate; vorremmo per soscriverci all’autorevole sua decisione che questo mondo culto e sensibile si commovesse più spesso ai drammi sì bene scritti del valoroso Zeno, e non già soltanto allora ch’egli canta alla maniera Metastasiana: Guarda pure, o questo o quello E’ tua prole, è sangue mio: Tu nol sai, ma il so ben io, Nè a te, perfido, il dirò.
Io non so se Timante sia stato il primo a copiare il viso di Agamennone nel quadro del sacrificio di Ifigenia; ma quel che è certo si è che i poeti e gli attori hanno ripetuto più volte la medesima espressione. […] A quanti di loro potrebbe farsi la stessa dimanda che fece a non so chi quel tal danzatore di cui parla Elvezio: Di qual paese sei tu? […] Si dice che Le Kain avesse risposto in tuono tragico all’inchiesta che gli si fece su la salute di non so chi. […] [13.10] Io so bene che in questo argomento sì dilicato e difficile è molto facile l’abusarne per la propinguità, che è fra l’uso e l’abuso. […] Io non so di quale attrice intendesse Dhannetaire, la quale nella Merope affettava un tuono di prima parte che affatto non conveniva al carattere semplice di Ismenia.
Piacque al popolo ancor quest’altra novità, e ne nacque l’usanza di dividere la declamazione dall’azione, usanza che non so per qual singolarità di gusto serbossi poscia costantemente nel teatro latino. […] Non so se Difilo avesse intitolata la sua favola προτονος che significa rudens, non avendone.
Attalchè, quando i cristiani divennero padroni de’ paesi dianzi posseduti dai gentili, si trovarono quasi affatto sprovveduti di musica, qualora non vogliamo con siffatto nome chiamare il canto de’ salmi, che poco differiva dalla pronunzia ordinaria, o quello degli inni, che eseguivasi a due cori da’ Terapeuti, spezie di monaci orientali, che da alcuni eruditi sono stati, non so se con tutta la ragione, confusi coi cristiani del primo secolo.
Io tento di fuggir ma non so dove… In quello un pianto, un gemito dolente Mi raddoppia il terror, odo, o udir parmi Il fatal nome risonar d’Amestri. […] non so quel ch’io dica… Non provo amor… Non creder no… Deh lascia, Te ne scongiuro per l’ultima volta, Lasciami il piè ritrarre. […] Io non so se io l’abbia conseguito nelle traduzioni di alcune tragedie greche e francesi, impresse in Milano ; almeno l’ho tentato. […] Ciò appunto ha fatto ultimamente non so qual cianciatore privo di occhi.
«Gli dei, dicea Platone, impietositi delle fatiche e delle pene inseparabili dall’umanità, fecero all’uomo il dono del canto e della poesia……» Or se l’opere di Metastasio piacciono, non che alla sua nazione, a’ forestieri, nonché ai dotti, al popolo, «il quale, come saviamente dice Anton Maria Salvini, sebbene imperito delle finezze delle arti, pure possiede in se il comune senno, e ’l dettame del naturale giudizio, e meglio de’ semidotti ascolta, e de’ dotti appassionati», non so comprendere, perché certi critici vanno assaggiandole colle ristrette misure dell’antica poesia greca, e con freddi raziocini».
Sovvenghiamoci di ciò che so n’è ragionato nel tomo precedente. […] Io tento di fuggir ma non so dove . .
Non so se in questo giudizio i leggitori sereni troveranno parzialità, ingiustizia o difetto di lettura o d’intelligenza.
Non sono dunque tante le azioni in poco tempo accumulate, quante non so per quale utilità, volle numerarne il critico Fiorentino.
Confesso che non so comprendere come da Cornelio si preponga la rappresentanza di sì torbide irresoluzioni a’ vantaggi che s’hanno dalla riconoscenza per ottenere il fine pocanzi espresso. […] Di vero io non so vedere alcuna necessità nell’Ezzelino del signor Baruffaldi che richiedesse Ansedisio, uomo d’iniquità ben nota, la quale riesce tanto più biasimevole quanto importuno al fin morale della poesia è il suo sopravvivere. […] Io per ciò non so come si potesse da Racine finger cotanto erudito nella galanteria amorosa senza guardare il carattere lasciatoci dagli antichi. […] [7.1.3] L’altra guisa, che consiste in una imitazione de’ versi alessandrini de’ Francesi, fu messa in opera da Pier Jacopo Martelli, che non è stato seguito se non in qualche tragedia che, per quanto so, non ha veduto la luce. […] La risposta di Calepio, del 10 settembre 1731, è positiva: «Circa la permissione richiestami di stampare il mio Critico paragone, non so che rispondervi se non che questo è opera donata a voi e però la rimetto alla vostra disposizione.
Non so se la conghiettura di questo erudito possa dirsi abbastanza fondata; dirò soltanto che l’usanza è tale da non ismentire la sua barbara origine.
Lo assicura Girolamo Ruscelli, testimonio di veduta, colle seguenti parole cavate dal primo volume della raccolta de’ migliori componimenti del teatro italiano ch’egli fece stampare nell’anno 1554, con alcune note infine, in una delle quali parlando della Calandra dice: «Onde a questi tempi in Francia sogliono rappresentare quelle loro farse mute ove solamente coi gesti senza una minima parola al mondo si fanno intendere con tanta gratia e con tanta sodisfatione degli spettatori, ch’io per me non so s’ho veduto giammai spettacolo che più mi diletti e molto mi meraviglio, che sin qui l’Italia, ove non si lascia indietro veruna sorte d’operatione valorosa, non abbia incominciata a riceverle e rappresentarne ancor ella ecc» 178.