Nell’altra tragedia del signor Moratin lo stile si vede migliorato di molto, e lo sceneggiamento é più conseguente; ma presenta un’eroina violata da un moro, la quale forse dispiacerà alla delicatezza del nostro secolo; dacché gli odierni teatri culti esigono una rigorosissima decenza. […] Non increscerà a qualche lettore, che si aggiunga qui un’idea dell’edificio e struttura di questi teatri diversi da’ nostrali. […] Corràl de la Crux, Corràl del Principe, Corràl de los Caños del Peral, chiamansi i teatri pubblici di Madrid, de’ quali l’ultimo chiuso da molti anni, fu rifatto nel 1767 in nuova forma senza tavolato per la scena, essendo destinato ai balli in maschera, oggi pur anco aboliti. […] Al presente i teatri, ritengono il nome di corràles, tutto che siano edifici chiusi, e appartengono al corpo politico che rappresenta la villa.
Vuole altresì con fondamento che il nominarsi versi recitati pe’ teatri non sempre additi un’azione drammatica. […] Per altro non può negarsi quel che osserva il medesimo Tiraboschi, cioè che siffatti Misteri, ed i versi cantati su’ teatri dagl’istrioni e giocolieri a que’ tempi, non meritino rigorosamente nome di vere azioni teatrali. […] Egli dovrebbe sapere, quanto tardi si fece el postrer duelo en España, di cui ogni dì risuonano gli stessi teatri di quella penisola; dovrebbe sapere ancora che sino al XVI secolo per estirpare le bizzarrie della Cavalleria convenne al celebre Miguèl Cervantes prendere il partito di coprirla di ridicolo; ma ciò a parte. […] V. le Reflessioni istoriche e critiche del Riccoboni sopra i differenti teatri di Europa.
I tedeschi pensarono a formarsi un’opera nazionale; ma per debolezza delle penne che vi s’impiegarono, riusciron si male, che spaventati dalle critiche degl’intelligenti, tralasciarono di comporne; e così l’opera italiana, e la commedia francese furono i soli spettacoli ricevuti ne’ teatri de’ sovrani. […] E siffatti mostri d’incoerenze, ne’ quali le laidi rappresentavano da Maria Vergine, e una mima elevando la sfera sacramentale, cantava il Tantum ergo, dodici anni addietro riempivano i teatri di Madrid, e si videro proibiti dall’avvedutezza del governo e criticati da pochi giudiziosi nazionali con un rincrescimento pressoché generale.
Nel settentrione son frequenti gli spettacoli, si aprono nuovi teatri, come in Stokolm, si riforma il teatro nazionale da per tutto, e vi si procura di osservar le regole, e correggere la buffoneria grossolana; ma Klopstock, Lessing e Weiss non sono ancora seguitati da’ nuovi poeti drammatici degni di nominarsi. […] In oltre la necessità di soddisfar l’occhio, e l’amor natural del maraviglioso introdusse ne’ teatri e fa sussistere le decorazioni; ma un ingegno illuminato dal Dio del buon gusto, qual’é il Metastasio, ha saputo profonderle nella Nitteti, destinata pel teatro del ritiro di Madrid, ricorrendo al tesoro della natura, doveché i poeti musicali francesi le hanno cercate nel miracoloso e nelle trasformazioni istrioniche; e i nostri poetastri incapaci di vagliar il grano e separarne le paglie, di distinguer un francese dall’altro, e l’Ifigenia dai Silfi e dalle Barbe turchine, van dietro ai loro errori.
… Il successo della novità fu enorme, e n’ebbe il Sacco gran vantaggio con danno degli altri teatri, sì che il Gozzi continuò nell’impresa felicemente. […] Sul cadere dell’ 88 egli morì sopra una nave nel tragitto da Genova a Marsiglia ; ed ecco come la Gazzetta Urbana Veneta del 19 novembre 1788, n. 93 dà l’annunzio del triste caso : Quest’uomo famoso che ammirare si fece sino a'confini d’Europa : che fu chiamato fuori d’Italia, dove non intendesi la nostra lingua : che volar fece il suo nome appresso tutte le nazioni dove conoscesi e pregiasi la comic’ arte : che nelle nostre parti rese col suo valore angusti al concorso i maggiori teatri, è morto indigente nel suo tragitto da Genova a Marsiglia e il suo cadavere soggiacque al comune destino de'passeggieri marittimi, d’essere gettato in mare.
Il signor Gotsched chiama questi drammi precursori dell’opera italiana , perchè non seppe quante feste, serenate, cantate, pastorali e commedie su’ teatri d’Italia comparvero sin dal XV secolo, e nel XVI, prima che l’Alemagna conoscesse i drammi cantanti dell’Ayrer.
Recitando egli a Pistoia l’estate del ’33 in società con Ferdinando Pelzet, fu pubblicato un opuscoletto di versi e prose, da cui trascelgo la seguente epigrafe, un po’ duretta se vogliamo, in onore di lui : i circhi, i ludi, i teatri in età feroci l’abbondanza della forza esaurivano in tempi codardi il sibaritico ozio molcevano in secoli emergenti dall’orror delle tenebre vita di contradizione mostravano oggi sono riepilogo di tutti gli errori dei tempi allora, ed ora a quei che si porgeano spettacolo del popolo plausi secondo natura de’tempi sinceri ma come noi, l’età future non danneranno dell’età volte la manifestazione di falsa vita, quando sapranno che prorompevamo in solenni encomii per te O LUIGI DOMENICONI che coll’eloquente gesto, colla parola informata da tutte gradazioni del sentimento incomparabilmente a mostrarci l’uomo emulo de’ più celebri scrittori svolgevi l’idee eterne del vero Lo spirito analitico, la coscienza ch’egli metteva in una parte, sapeva mettere anche nelle cose del capocomicato.
Ed è forse nuova cosa che l’oscenità sia proscritta da’ teatri colti ? […] Uno de’famosi teatri Italiani è il Reale di Torino edificato nel 1740 dal conte Benedetto Alfieri. […] L’antico teatro di Marcello che in parte sussiste ancora, nulla, al dir degl’intelligenti, ha influito alla costruzione de’moderni teatri Romani. […] Esistono eziandio in Napoli altri piccioli teatri addetti generalmente all’ozio della minuta gente. […] I perturbatori delle società, i facinorosi, i bacchettoni sempre occultamentel velenosi, non si educano ne’ teatri.
[1.3] Non istette lungo tempo l’opera a uscire dai palagi e dalle corti per mostrarsi al pubblico ne’ teatri da prezzo, dove la bellezza e novità della cosa facea correre in frotta la gente.
Gli spettacoli destinati al ristoro della società dopo la fatica, furono un bisogno conosciuto dalla nuova città più tardi di quello di assicurare contro gli attentati domestici e stranieri la propria sussistenza per mezzo della religione, della polizia e delle armi, Perciò quando l’Etruria sfoggiava contante arti e con voluttuosi spettacoli, e quando la Grecia produceva copiosamente filosofi poeti e oratori insigni e risplendeva pe’ suoi teatri, Roma innalzava il Campidoglio, edificava templi, strade, aquidotti, prendeva dall’aratro i dittatori, agguerriva la gioventù; batteva i Fidenati e i Vei, scacciava i Galli, trionfava de’ Sanniti, preparava i materiali per fabbricar le catene all’Etruria, alla Grecia, e ad una gran parte del nostro emisfero.
Oggi che l’ arte è giunta a tanta eccellenza, che ci fa vedere ciò che appena l’occhio può credere, e si fa con tanta sollecitudine e destrezza, che sembra farsi per arte magica ; io queste belle stravaganze non escluderei da’ teatri, essendo fatte usuali e tanto comuni che fanno stupire lo stesso stupore : anzi l’arte supplitrice della Natura, tante ne va di giorno in giorno inventando, che per tante stravaganze può dirsi l’Arte della Natura più bella. E a pag. 53, al proposito dell’allestimento scenico dei grandi teatri di Venezia, dice : La Serenissima e bellissima città di Venezia…. ha invitato tutto il mondo in quella patria, ad ammirarne gli stupori. […] Or vada meravigliandosi qualche antiquario, come avesse saputo Sofocle dare il modo di far volare sopra un carro di Dragoni pennuti Medea, quando su i teatri dell’Adria si sono veduti volare gli Eserciti !!!
Il lettore può senza scrupolo cavare una conseguenza intorno al gusto generale del secolo dal seguente squarcio di un monologo tratto da un dramma che fu con sommo applauso rappresentato in pressoché tutti i teatri d’Italia, il quale divenne lavoro pregiatissimo d’un rinomato poeta. […] Ma dall’altra parte i disordini forse maggiori che nascevano dal sostituir invece loro giovinastri venali e sfacciati, ai quali, dopo aver avvilito il proprio sesso coi femminili abbigliamenti, non era troppo difficile il passaggio ad avvilir la natura eziandio; la influenza grande nella società, e maggiore in teatro, che i nostri sistemi di governo permettono alle donne, dal che nasce, che essendo elleno la parte più numerosa e la più pregiata degli spettacoli, cui vuolsi ad ogni modo compiacere, amano di vedere chi rappresenti al vivo in sul teatro i donneschi diritti; l’amore, il quale per cagioni che non sono di questo luogo, è divenuto il carattere dominante del moderno teatro e che non può debitamente esprimersi, né convien che si esprima da altri oggetti, che da quelli fatti dal ciclo per ispirarlo; la ristrettezza de’ nostri teatri picciolissimi a paragon degli antichi, dove la distanza che passa tra gli attori e gli spettatori è tale, che i personaggi non possono agevolmente prendersi in iscambio, e dove troppo è difficile il mantener l’illusione; altre cause insomma facili a scoprirsi dal lettore filosofo costrinsero alla perfine i saggi regolatori delle cose pubbliche ad ammetter le donne sulle scene. […] In Firenze levarono grido le due Lulle Giulia, e Vittoria assoldate dalla corte colla Caccici figliuola di Giulio Caccini uno degl’inventori del melodramma, e altrove le Lulle, la Sofonisba, la Camilluccia, la Moretti, la Laodamia del Muti, le Valeri, le Campane, le Adriane con altre che furono con indicibil plauso sentite in diversi teatri d’Italia.
Pryne gli perseguitò col suo Histriomastix, mettendo alla vista le mostruosità e le indecenze de’ teatri inglesi.
Dionigi Diderot filosofo di molto nome morto nel 1787 vide il suo Padre di famiglia nel 1761 rappresentato in Parigi con felice successo ed applaudito eziandio su’ teatri stranieri, principalmente perchè sin dalla prima scena il pubblico s’interessa per Sofia e per Saint-Albin, la cui passione è toccata con ottimi colori.
Questa, sì, questa sarà la lancia e lo scudo, di cui armato andrò a sfidare i teatri tutti del mondo.
Io dico, riepilogando, che le sue commedie, rappresentate ne’ vari teatri d’Italia, ebber dovunque accoglienze di risa e di applausi, e ch’egli superò tutti i recitatori del suo tempo.
Io non ho che un augurio : che l’opera così bene incominciata sia condotta a termine felicemente con gioconda attività, poichè allora Ella avrà regalato alla Storia del teatro d’Italia un’opera da consultarsi come nessun’altra Nazione ancora possiede, e per la quale in ogni tempo chiunque si occupi di ricerche di teatri Le sarà riconoscente.
Il Giornaletto dei teatri di Venezia del 1821 cita un Vincenzo Fracanzani il quale partito da Firenze sua patria, immaginò in Lombardia un nuovo ridicolo personaggio, cui diede il nome di Stenterello, che quantunque in lui non male accolto dal pubblico, tuttavia non fu da altri poi ricopiato.
Appassionato del teatro, recitò commedie tra' dilettanti della città, mostrando subito le più chiare attitudini alla scena, tanto che, occorrendo ad Antonio Sacco un Innamorato, egli ne assunse il ruolo col mezzo del soprintendente i teatri di Bologna, la primavera del 1767.
Zanotti detto Ottavio, celebre commediante nella sua parte di Primo Innamorato ch' haveva essercitato ne' primi teatri di Europa, e particolarmente in Francia ove quel Re lo haveva graziato d’ un’ annua provisione di ducento doppie sua vita durante, che li furono sempre puntualmente sborsate.
Il signor Gottsched chiama questi drammi precursori dell’opera italiana, per non aver saputo quante feste, serenate, ed altre cose cantate ne’ teatri hanno preceduto almeno d’un secolo e mezzo ai drammi cantanti alemani.
Ma perchè difficilmente possono le cose sacre presentarsi ne’ pubblici teatri senza inconvenienti e senza certa profanazione, convenne al Prevosto di Parigi proibir tali rappresentazioni.
Ma perchè difficilmente possono le cose sacre presentarsi ne’ pubblici teatri senza inconvenienti e senza certa profanazione, convenne al Prevosto di Parigi proibir tali rappresentazioni.
Venuta la rivoluzione del’48-49, accusato di avere in qualche sua recita a Padova alluso con motteggi all’eroica resistenza di Venezia, bloccata dall’Austria, trovò chiuse le porte di quei teatri che altra volta l’avean accolto con tanto entusiasmo ; il favore del pubblico finito.
A volte si è piaciuta d’ingaggiar battaglia col pubblico, esumando lavori ardui che a niuna artista bastò l’animo di rendere accettabili ; e la battaglia fu vinta ; e la Moglie di Claudio di Dumas passeggiò, e passeggia trionfale sulle scene dei teatri italiani e forastieri. […] Nè il grande successo ella ottenne a Parigi soltanto dinnanzi al grande pubblico de’ teatri con lavoro francese, ma, e il più grande forse, dinnanzi a un pubblico tutto d’artisti e con lavoro italiano.
Egli sembra in verità che i nostri teatri sieno fatti più per un’ accademia di ballo, che per la rappresentazione dell’opera.
Dionigi Diderot filosofo di molto nome morto nel 1787, vide il suo Padre di famiglia nel 1761 rappresentato in Parigi con felice successo, ed applaudito eziandio su’ teatri stranieri, principalmente perchè sin dalla prima scena il pubblico s’interessa per Sofia, e per Saint-Albin, la cui passione è ritratta con ottimi colori.
Avanti che la religione cristiana succedesse per divino consiglio agli errori del gentilesimo, il fior della musica antica si ritrovava o negli inni, che cantavansi a’ falsi numi ne’ loro templi, o nelle drammatiche rappresentazioni, che si facevano nei teatri. […] De’ templi non vi può esser alcun dubbio circa la superstizione, e nemmeno lo sarà dei teatri per chiunque versato nella lettura degli antichi sappia ch’essi erano altrettante scuole, ove correva il popolo per imparare la loro religione, e la loro morale. […] Giudicandosi poscia cotai luoghi men degni, si celebrarono dentro alle stesse chiese in teatri a bella posta inalzati, e s’accompagnarono spesso colla danza, col canto, e col suono nelle gran solennità, o nelle nozze, o ingressi de’ principi.
Piron, tragedia scritta con molta vivacità, contiene varie situazioni assai sorprendenti e interessanti, per le quali ha con ragione ricevuti tanti applausi su vari teatri, e passerà alla posterità tralle buone tragedie francesi. […] Le avventure delle persone eroiche chiamano sempre l’attenzione delle nazioni intere; dove che negli avvenimenti de’ cittadini prendono parte solo i particolari; quindi é che la tragedia detta cittadina, sì cara ai francesi di questi ultimi tempi, riesce meglio su’ piccioli teatri delle società private che sui pubblici. […] Per l’opera comica hanno lavorato Le-Sage, morto nel 1747, Pannard morto nel 1760, Fuselier, Collé, Piron, Orneval, Carolet, etc. fino al 1745, quando tale spettacolo fu proibito ne’ teatri delle fiere.
Delle canzoni natalizie chiamate villancicos quì non è luogo di parlare, non essendosi essi introdotti ne’ teatri.
Egli è certo, che i Romani molto tardi ebbero teatri stabili, e che le favole drammatiche in tempo de’ Ludi si rappresentavano nel Foro dove con statue e pitture che dagli amici, ed anche dalla Grecia soleano gli Edili Curuli, cui apparteneva la cura degli spettacoli, farsi prestare, ornavano il luogo in modo di scena.
Allora, tra la sensazione emanante dal personaggio rappresentato, e quella puramente estetica prodotta dalla vista della interprete, esiste una compenetrazione armoniosa, e non si rompe il fascino, per cui Tina Di Lorenzo, sin dal suo primo apparire, si conquistò i pubblici di tutti i teatri di Italia, perchè cioè dava piacere a vederla.
Non per questo si deve incorrere nel rischio dell’inverosimiglianza utilizzando toni elevati e enfatici, che, utilizzati nella declamazione degli antichi, trovavano giustificazione nella vastità dei loro teatri. […] I primi teatri furono dunque i templi, e i sacerdoti i primi declamatori, ed anzi i maestri della prima declamazione. […] Non è per questo che su’ teatri d’Italia non sieno comparsi a quando a quando degli attori capaci di provare quel che può la natura, priva dell’arte che la sviluppi e la governi. […] La lettura e il confronto di tutti quelli scrittori, che ne hanno più o meno trattato finora, e le osservazioni e la pratica de’ teatri, che ho potuto esaminare e raccogliere, mi hanno animato a scrivere ad uso degli italiani. […] [13.3] Ma per quanto si ponessero vasti i teatri, e tumultuanti gli ascoltatori, non erano né questi né quelli pur sempre tali.
Seco m’aggiunsi, e giovenetta mostra Fei ne’ teatri, ch’or tanto deprime Non ben saldo parer d’animi foschi ; Non già così chi ’l nobil capo inostra De la Romana chiostra Lodato eroe tra le famiglie prime De’ Greci, e dei Latin come dei Toschi Saggio cultor, e ’n un Testor amante ; S’egli ad ogn’altro avante Poggia per gran saper, che dicon questi Aristarchi bugiardi ogn’or molesti ?
Fece le sue prime prove sceniche ne’ teatri accademici di Firenze, e riuscì attrice pregiata.
Allor questa s’ascolta con un profondo silenzio, poi con istrepitose e fanatiche esclamazioni di “bravo evviva” accompagnate di battimenti di mano replicate cento volte; indi si torna all’antico dissipamento che ti par quasi di sentire come si lagnava Orazio dei teatri di Roma, il vento che rimuggia per entro alle boscaglie del Gargano o i fremiti del mar di Toscana109, Gian Jacopo Rousseau nella sua celebre lettera sulla musica francese vorrebbe far l’onore agl’Italiani di non credere che così avvenga ne’ loro teatri, ed attribuisce simili effetti che si veggono costantemente in Parigi, all’indole soporifera e monotona della musica francese. […] Avrebbe veduto che la musica più bella che si canti nelle lingue viventi, né il più bravo poeta dramatico-lirico della Europa, né l’ampiezza e magnificenza de’ teatri, né lo studio perfezionato della prospettiva bastano nel paese delle belle arti a destare in un popolo che cerca solo il piacer passaggiero di poche ore quelle commozioni vive e profonde, quel pathos che pur dovrebbe essere il gran fine di tutte le arti rappresentative. […] 120 Indi ne ricava poi la cagione per cui l’arte musicale, che tanta influenza aveva dianzi avuta sulla pubblica educazione, si trovasse allora ridotta a servire di mero insignificante diletto sui teatri.
Dopo ciò e simili altri esempi chi fonderà il giudizio delle opere teatrali sugli applausi popolari e sulla lor durata ne’ pubblici teatri? […] Un certo M. de Leyre passato in Italia, non ricordandosi più di ciò che si faceva in Francia, scrivea da Parma in Parigi, che simili cose rappresentate ne’ teatri dell’Arlecchino, alimentavano l’ignoranza e gli errori popolari.
Questo fu il primo prologo ; e così entrato nelle Commedie, e con mio Padre vivendo tra’ Commedianti, conobbi l’arte non essere così facile come molti che, non la praticando se non con gli occhi, la credono ; poi che vi sono persone di così poca pratica, che giudicano esse mestiero d’ogni ignorantello il farsi vedere sopra i teatri, parlare in pubblico, e ad una infinità di popolo dare più che mediocre satisfazione.
Al degna almeno di essere ascoltata del Platen, va attribuito un significato in contrapposto alle produzioni straniere e italiane inascoltabili, ond’ eran invasi i nostri teatri.
Dopo che io ebbi queste cose ragionate nella Storia de’ teatri del 1777, le vidi con ugual mio piacere da due Spagnuoli accolte diversamente; avendole (siccome avviene di un umore stesso, che nella serpe divien veleno e nell’ape si converte in mele) l’uno impugnate, l’altro trascritte.
Il tempo delle grandi affluenze ai teatri, e quindi delle grandi paghe degli attori e dei profusi cavalierati, incominciò dopo la liberazione d’ Italia, e specialmente dopo i trionfi della Ristori in Europa, e dopo la morte di Gustavo Modena nel 1861.
No, della gloria il palpito non è figlio dell’or, nè quel desio ch'erge al Genio teatri e templi a Dio.
Il marchese Scipione Maffei Veronese chiaro per dottrina e per erudizione trasse dalle greche favole il più interessante argomento tragico, e compose la Merope, che dopo la prima di Modena del 1713 ha avuto più di 60 edizioni, è stata recata in tante lingue straniere, si rappresentò in Venezia in un solo carnovale più di quaranta volte, e comparve sopra gli altri teatri d’Italia sempre con applauso, ammirazione e diletto. […] Il non esser esse però accomodate al bisogno de’ pubblici teatri, fece che ne fossero escluse, e che si rappresentassero solo nel collegio di San Luigi di Bologna nel 1732 e ne’ due seguenti anni, e si ripetessero in teatri privati dalla nobiltà Bolognese. […] Ci tratterremo noi a dare una compiuta analisi di sì nota tragedia enunciata in tanti giornali buoni e cattivi, recitata in tanti teatri ed impressa tre volte in due anni? […] Simili desiderj antiveduti mi spinsero, qualunque io mi sia, a formar de’ teatri una storia generale ma ragionata, che desse a un argomento sì trito l’utile novità degli esami sentiti e non fatti sull’altrui fede e come diceva Elvezio sur parole, copiando p.e. e trascrivendo alla cieca qualche articolo dell’Enciclopedia secondo la moda de’ nostri conosciuti plagiarj di mestiere.
Arse l’Italia d’un grand’incendio di guerra in diversi suoi paesi nel secolo XV, ma le contese de’ pisani co’ fiorentini, de’ veneziani co’ duchi di Milano, degli angioini cogli aragonesi, non impedirono l’alto favore, la generosa protezione, e la magnanima liberalità e munificenza de’ nostri principi, ministri, generali, e grandi verso le lettere, scienze ed arti tutte, e verso i coltivatori di esse133, non la fervida e quasi generale applicazione di ogni uomo di lettera ad apprender profondatamente le due più famose lingue de’ dotti, non l’universale entusiasmo di quanti a quel tempo eruditi viveano, di andare da per tutto, anche in lontane regioni ricercando e disotterrando i codici greci e latini134, non l’ardente premura di moltiplicarli colle copie, confrontarli, correggerli, interpretarli, tradurli, comentarli, non il raccorre da ogni banda diplomi, medaglie, cammei, iscrizioni, statue ed altri antichi monumenti, non lo stabilimento di varie accademie, non la fondazione dì altre università, non l’istituzione di nuove cattedre, non l’aprimento di pubbliche biblioteche e di teatri, non la rapida e maravigliosa moltiplicazione delle stamperie per le città e sin anco per le più ignote contrade d’Italia, non il promovimento dello studio della platonica filosofia per mezzo di Giorgio Gemisto Pletone, e singolarmente di Marsiglio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola in Firenze, e del cardinal Bessarione in Roma, non il risorgimento dell’epopea italiana e i progressi dell’arte drammatica, non il felice coltivamento dell’eloquenza e della poesia latina, e di ogni altro genere di erudizione, precipuamente per le cure, l’ingegno e ’l buon gusto del degretario e vonsigliere de’ nostri re aragonesi Giovanni Pontano135, e del precettore di Leone X Agnolo Poliziano, e del nostro Regnicolo Giulio Pomponio Leto, non impedirono in somma l’acquisto e ’l dilatamento delle piacevoli ed utili cognizioni letterarie e scientifiche, né l’attività e ’l progresso dello spirito umano136.
È vero che in Roma ed in Costantinopoli arsero le fazioni de’ Verdi e de’ Turchini nel circo e ne’ teatri; ma è vero ancora che i pantomimi influirono negl’interessi e nell’origine degli odii de’ Guelfi e de’ Ghibellini quanto v’influì la discordìa de’ Tebani Eteocle e Polinice.
È vero che in Roma e in Constantinopoli arsero le fazioni de’ Verdi e de’ Turchini nel circo e ne’ teatri; ma è vero ancora, che i pantomimi influirono negl’ interessi e nell’origine degli odii de’ Guelfi e de’ Ghibellini quanto v’influì la discordia de’ Tebani Eteocle e Polinice.
Vide ancora la famosa città di Venezia eretti nel medesimo secolo teatri semicircolari ideati su gli antichi modelli, e costruiti da’ più chiari ingegneri il Sansovino e ’l Palladio, i quali perchè furono di legno, già più non sussistono. […] Essendo così grande il numero d’ogni sorte di drammatici componimenti rappresentati in tante città Italiane, vi si videro alle occorrenze eretti moltissimi teatri. Le accademie degl’ Infocati, degl’ Immobili e de’ Sorgenti in Firenze, e quelle de’ Rozzi e degl’ Intronati in Siena, ebbero i loro teatri. […] Ma di questi ultimi teatri non sapremmo dire in quali parti avessero seguiti gli antichi, ed in quali altre se ne fossero allontanati.
L’opera riserbata fin’allora a festeggiar le nozze de’ principi o a comparire nelle pubbliche allegrezze in mezzo alle corti e nei sontuosi palagi, cominciò anche a lasciarsi vedere nei teatri prezzolati, dove regolata da impressari scarsi di sostanze e cupidi del guadagno più non si potè mantenere col dispendio che esigevan le decorazioni e le appariscenze proprie degli argomenti favolosi.
Il dramma originale del Tellez ha trionfato per più di cento anni su tanti teatri, e si riproduce da’ ballerini pantomimi; ad onta del re di Napoli che esce col candeliere alla mano ai gridi d’Isabella vituperata e ingannata da uno sconosciuto, di tante amorose avventure di don Giovanni Tenorio, de i di lui duelli, della statua che parla e camina, che va a cena, che invita il Tenorio a cenare, che gli stringe la mano e l’uccide, e dello spettacolo dell’inferno aperto e dell’anima di Don Giovanni tormentata. […] Ma è inutile di più trattenersi su gli auti sacramentali banditi al fine per sempre da teatri spagnuoli. […] Sebbene per le passioni generali e per l’intreccio si è veduto con piacere anche ne’ teatri italiani, tutta volta fuori delle Spagne è impossibile ritenere i tratti originali della dipintura degli zingani Andaluzzi che acquistano ancor grazia maggiore nella rappresentazione che ne fanno i nazionali. […] Ma nè queste nè quelle del Virues sono mai state rappresentate ne’ teatri di Madrid negli anni che io vi dimorai.
Il dramma originale del frate ha trionfato per più di cento anni su tanti teatri, e si riproduce da’ ballerini pantomimi, ad onta del re di Napoli che esce col candeliere alla mano a i gridi d’ Isabella vituperata e ingannata da uno sconosciuto, di tante amorose avventure di Don Giovanni, de i di lui duelli, della statua che parla e camina, che va a cena, che invita Don Giovanni a cenare, che gli stringe la mano e l’uccide. […] Ma è inutile di più trattenersi su gli auti sacramentali banditi per sempre da’ teatri Spagnuoli. […] Sebbene per le passioni generali e per l’intreccio si è veduta con piacere anche ne’ teatri italiani, tuttavolta fuori delle Spagne è impossibile il ritenere scrivendo i tratti originali della dipintura degli zingani Andaluzzi che acquistano ancor grazia maggiore nella rappresentazione che ne fanno i nazionali. […] Ma nè queste nè quelle del Virues sono mai state rappresentate ne’ teatri di Madrid mentre io vi dimorai.
Perciò quando l’Etruria sfoggiava con tante arti, e spettacoli voluttuosi, e quando la Grecia produceva in copia filosofi, poeti, e oratori egregii, e risplendeva pe’ suoi teatri, Roma innalzava il Campidoglio, edificava tempi, strade, acquidotti, prendeva dall’aratro i dittatori, agguerriva la gioventù, batteva i fidenati e i veii, scacciava i galli, trionfava de’ sanniti, preparava i materiali per fabbricar le catene all’Etruria, alla Grecia, e quasi alla metà del nostro emisfero63. […] Il carattere di Megara si allontana dal gusto greco, e prende l’aspetto di certo eroismo più propio de’ costumi romani, il quale a poco a poco si é stabilito ne’ teatri moderni, e ne forma il sublime: Patrem abstulisti, regna, germanos, larem Patrium. […] é vero che Roma e Costantinopoli arsero per le fazioni de’ verdi e de’ turchini nel circo e ne’ teatri; ma é vero ancora, che i pantomimi hanno influito negl’interessi de’ guelfi e de’ ghibellini quanto la discordia di Eteocle e Polinice.
In Firenze il grazioso Giambatista Fagiuoli ha composte e rappresentate su’ teatri accademici molte commedie ingegnoso e piacevoli. […] Quell’ultima per più di venti anni si é rappresentata continuamente ne’ privati e ne’ pubblici teatri, e circa dieci o dodici anni sono, si pubblicò sfigurata da’ tratti grossolani d’una penna dozzinale.
Han dato ad intendere al povero abate Conti che le femmine greche non andavano alla comedia, ed egli se l’è creduto, e su ciò fonda che noi dobbiamo far capital degli amori, perché i nostri teatri son pieni di donne, dove, essendo rimosse dal teatro antico, questa effeminata passione venia trascurata dai loro tragici. […] [1.116ED] Per vero dire arde anche in qualche angolo dell’Italia quest’avidità di avvenimenti intrecciati nella tragedia, de’ quali è nauseata la Lombardia dopo che ha gustato sui propri teatri le tragedie franzesi di una condotta facile, piana e naturale, siccome appunto son quelle de’ vostri poeti che son nostra scorta. [1.117ED] Or vatti a fidare del buon giudicio del popolo. […] [2.43ED] E qual utile verrebbe per ciò alla repubblica ed a’ costumi dalla tragedia, abborrendo allora il popolo da’ teatri come gli schiavi dalla galea? […] [4.10ED] Nessun fiume al mondo è più tormentato di questo, perché anche quivi fra verdure costrette a far di sé logge, portici, teatri e tutto ciò che di grande e di vago può inventare la prospettiva e l’architettura, è violentato a salire in altissimi getti, a discender per gradi da lunga altezza ed a comporre particolarmente una scala di spuma, come di latte, ordinatamente dirotta in cima, in mezzo ed a’ fianchi da’ successivi risalti dello stesso colore e beltà. […] [5.214ED] E pure si dovran per questo chiudere tutti i teatri che a simili rappresentazioni son destinati?
[30] Trovata in tal guisa la pratica e stabilita la teoria non è maraviglia che si propagasse subito cotesto genere di pantomima eroica nei teatri esteri, e per conseguenza in quelli d’Italia. […] Io sfido il leggitore più acuto e lo spettatore più sagace a sapermi dire dopo averlo letto o veduto cosa significhi il seguente ballo di cui ne soggiungo in appresso la descrizione, il quale passando dai teatri di Francia in quelli d’Italia viene dai facoltativi considerato come il modello dei balletti chiamati di mezzo carattere. […] Bisognerebbe conoscere assai poco il sistema dei teatri italiani per lusingarsi che possa altrimenti accadere.
Nè ciò era troppo ne’ teatri Greci, la cui grandezza non può ravvisarsi in niuno de’ moderni, benchè alquanti assai vasti se ne contino.
Il marchese Scipione Maffei veronese chiaro per dottrina ed erudizione trasse dalle greche favole l’argomento tragico più interessante, e compose la Merope che dopo la prima edizione di Modena del 1713 n’ebbe oltre a sessanta altre, si recò in tante lingue straniere, si rappresentò in Venezia in un solo carnevale più di quaranta volte, e comparve sopra gli altri teatri d’Italia sempre con applauso, ammirazione e diletto. […] Non essendo però le sue tragedie accomodate al bisogno de’pubblici teatri, fèce che ne fossero escluse, e che si rappresentassero solo nel Collegio di San Luigi di Bologna nel 1732, e ne’due seguenti anni, e si ripetessero in teatri privati dalla nobiltà bolognese. […] Ella rammenta i felici eventi sortiti in Grecia, i meno prosperi su i colli di Roma, benchè vi dimorasse lungamente, al che, dice : In maggiori teatri io fui men grande. […] Censura di poi il Pagano il Corradino del Caraccio chiamando episodico e freddo l’amore di Corradino e Beatrice, imbecille il re Carlo, la tragedia ripiena di lunghi episodii e di scene inutili e di espressioni che si risentono dell’ infelicità del secolo XVII, le quali cose trovansi esaminate nella Storia de’ teatri in sei tomi, e ripetute con accuratezza maggiore nella presente. […] Ci tratterremo noi a dare una compiuta analisi di sì nota tragedia enunciata in tanti giornali buoni e cattivi, recitata e ripetuta in tanti teatri, ed impressa tre volte in due anni ?
L’architettura si lasciò parimenti vedere in tutto il suo lume ne’ sontuosi portici e ne’ vasti teatri degni della romana grandezza, per riempire i quali vi voleva tutto lo sfoggio delle arti congiunte.
Non increscerà a chi legge, che per dare una idea de’ teatri francesi del tempo del Mairet, io accenni una parte di ciò che ne disse ne’ suoi Dialoghi il sig.
Il pudore poi richiesto ne’ moderni colti teatri vuol che si schivino gli amorazzi di Fulvia; come altresì le scene equivoche della natura di quella di Samia chiusa con Luscioa; poichè quivi il Dovizio imita anzi l’oscenità di qualche passo della Lisistrata di Aristofane, che la piacevolezza di Plauto. […] La freschezza e la vivacità del colorito di questa favola, se l’oscenità dell’argomento non la tenesse lontana da’ moderni teatri, potrebbe rendere accorti i forestieri di quanto abbiano gl’Italiani preceduto la nazione Francese nella bella commedia di carattere. […] Le più stimate sono: i Bernardi in versi sciolti che si produsse in Firenze nel 1563 e 1564, la Cofanaria parimente in versi sciolti recitata con gl’intermedii di Gio: Batista Cini nelle nozze di don Francesco de’ Medici e della regina Giovanna d’Austria stampata in Firenze nel 1561, ed il Furto scritta in prosa impressa nel 1560 e poi più volte ristampata, la quale vivente l’autore si era rappresentata dagl’Accademici Fiorentini nel 1544, e quindi raccolse gl’applausi più distinti in varii altri teatri italiani.
Il pudore poi richiesto ne’ moderni colti teatri vuol che si schivino gli amorazzi di Fulvia; come altresì le scene equivoche della natura di quella di Samia chiusa con Luscio119; poichè quivi il Dovizio imita anzi l’oscenità di qualche passo della Lisistrata di Aristofane, che la piacevolezza di Plauto. […] La freschezza e la vivacità del colorito di questa favola, se l’oscenità dell’argomento non la tenesse lontana da’ moderni teatri, potrebbe rendere accorti i forestieri di quanto abbiano gl’ Italiani preceduto la nazione Francese nella bella commedia di carattere. […] Le più stimate sono: i Bernardi in versi sciolti che si produsse in Firenze nel 1563 e 1564; la Cofanaria parimente in versi sciolti recitata cogl’ intermedj di Giovanbatista Cini nelle nozze di Don Francesco de’ Medici e della regina Giovanna d’ Austria, e stampata in Firenze nel 1561; ed il Furto scritta in prosa impressa nel 1560, e poi più volte ristampata, la quale vivente l’ autore si era rappresentata dagli accademici Fiorentini nel 1544, ed appresso raccolse gli applausi più distinti in varj altri teatri Italiani.
», la quale, accettata la parte di Arianna, quantunque commediante di professione, l’ imparò in sei giorni e la eseguì in modo sorprendente, facendo scrivere al Marino : Florinda udisti, o Manto, là ne’ teatri de’ tuoi regi tetti, d’Arianna spiegar gli aspri martiri, e trar da mille cor mille sospiri.
Il 1820, in Compagnia di Andolfati era il Cavicchi Giovanni per le parti di caratterista, di cui dice laconicamente il Giornale dei teatri : non si può negare a questo attore un sufficiente talento ; conosce la comica ed è applaudito ; poi Cavicchi il giovine (unico per la maschera del Brighella).
Io non voglio omettere la nota I che nel 1789 si appose nel IV volume della Storia mia de’ teatri che appartiene a Carlo Vespasiano a. […] E questo è uno de’ tre enormissimi errori di lingua spagnuola e di critica e di storia rilevati nella Storia de’ teatri con tanto fasto e con ingiurie tabernarie del tremendissimo pedante la Huerta.
[27] Questa verità dura ma incontrastabile, questo grido universale del buon senso e della filosofia, questo pubblico lamento della ragione replicato da quanti non hanno interesse in negarlo riceverà una maggiore conferma volendo discendere all’esame d’un’aria, qualunque ella sia, che serva d’esempio se non di tutte almeno della maggior parte di quelle che si cantano in oggi sui teatri. […] Degni discepoli d’un tanto maestro tuttora si mostrano il Borghi, che rammorbidisce a meraviglia con una certa dolcezza e soavità la robustezza dello stile propria della sua scuola, e l’incomparabile Viotti, la cui maniera di suonare veloce, viva, di gran nettezza, e di ottimo gusto ha meritamente riscossi gli applausi dei più rinomati teatri.
Niuno di coloro ch’entrano ne’ teatri crede di andare a veri spettacoli; pure la gente vi si appassiona, e vi piange in virtù d’una anticipata supposizione con cui s’inganna la propria fantasia. […] E che dovendone prender due di mira, non l’ambizione, non l’invidia, non l’ira, non la libidine, ma volesse che lo scopo fosse di correggere la compassione e il timore, quali son le men peccanti […] Ben disse Angelo Ingegneri nel Proemio alla sua Tomiri, che questo sarebbe un voler “curare il freddo col freddo, e il caldo col caldo”, e ch’egli all’incontro aveva cercato nella sua Tragedia di preservar lo spettatore “da i danni che possono procedere dalla superbia, dall’ira, dall’ostinazione, e d’alcuna altra incontinenza”, e di far vedere come il cadere di Personaggi grandi da felicità in miseria “insegna a non far fondamento nelle umane prosperità, ed a moderare le troppo violente affezioni”» (Scipione Maffei, «Proemio alla Merope», in Id., De’ teatri antichi e moderni, a cura di Laura Sannia Nowé, Modena, Mucchi, 1988, pp. 78-79).
Convengo non essere improbabile, che sì bella commedia piacesse a’ Romani per tal modo, che se ne volessero ripetere il diletto nel medesimo giorno, come avviene di qualche aria eccellente ne’ nostri teatri musicali. […] Plinio nel libro XXXVI, c. 15 ci ha lasciate belle descrizioni de’ teatri di Scauro e di Curione.
Sappiamo dall’altra parte da Eliano accusatore di Aristofane, che Socrate non frequentava i teatri ed il Pireo, se non quando rappresentava e gareggiava Euripide il tragico più abborrito da Aristofane. […] In Grecia la vastità de’ teatri dava il comodo agli attori di agire in più luoghi contigui successivamente senza uscire dalla scena. […] Tali espressioni del Signor Mattei vengono contradette dalla storia, e debbono tenersi per semplici esagerazioni di uno zelo virtuoso che aspira al miglioramento de’ teatri moderni, i quali in fatti esser dovrebbero le vere scuole pubbliche della gioventù.
Varj colpi teatrali ed alcune situazioni che interessano, hanno contribuito a cattare applauso a questo dramma in uno de’ teatri di Venezia. […] Il migliore dei descritti teatri napoletani è quello che si costrusse nel sito detto Pontenuovo terminato nel 1791 intitolato san Ferdinando. […] Ad ottenere un continuato concorso altro non manca al teatro di san Ferdinando se non che fosse collocato men lontano dagli altri teatri e dal centro della città e dalle vicinanze della Reggia. […] Non mi spiace che in una breve strofetta da cantarsi si accenni che Adelvolto avea un pugnale ascoso, che gridò, Elfrida, se l’immerse nel seno, e spirò; imperocchè colla musica si fugge la noja di una narrazione finale; che ne’ moderni teatri musicali non suole ascoltarsi.
Se questo è tutto ciò che egli pensò aggiungere a quanto ne disse chi prima di lui parlò di teatri, ben poteva risparmiarsi la pena che si diede di distruggere ciò che ne scrissero gli antichi, e di edificare su di un fondo arenoso. […] Direi di no, perchè i teatri antichi potevano rappresentare in una medesima veduta più luoghi di tal modo che un personaggio posto a favellare in una banda della scena poteva essere coperto e non veduto da chi agiva in un’altra fino a che non venisse avanti nel pulpito.
Convengo in non credere improbabile che sì bella commedia per tal modo a’ Romani piacesse che in un medesimo giorno ripeter se ne volessero il diletto, come suole avvenire all’udirsi qualche aria eccellente ne’ teatri musicali moderni. […] Plinio nel libro XXXVI, c. 18 ci ha lasciate belle descrizioni de’ teatri di Scauro e di Curione, a.
Non essendomi permesso il nominar tutti, mi restringerò a due soli, che successivamente riempirono di stupore e di meraviglia i teatri.
Egli é solo da osservarsi nella tragedia del XVI secolo, che i soprallodati peregrini ingegni italiani, benché nel farla risorgere seguissero, e forse con cura anche soverchio superstiziosa e servile, l’orme de’ greci, non pertanto la spogliarono della musica che tra questi l’avea costantemente accompagnata; dappoiché essi altro allora non si prefissero se non di rimettere sui nostri teatri la forma del dramma de’ greci, non già il loro spettacolo con tutte le circostanze accidentali.
Sappiamo dall’altra parte da Eliano accusatore di Aristofane, che Socrate non frequentava i teatri ed il Pireo, se non quando rappresentava e gareggiava Euripide il tragico più abborrito da Aristofane. […] In Grecia la vastità de’ teatri dava il comodo agli attori di agire in più luoghi contigui successivamente senza uscire dalla scena; se non si voglia dire che i Greci non si fecero una legge intorno al luogo, lasciando alla discretezza dello spettatore di supporre il passaggio eseguito.
Tra gl’Italiani della stessa compagnia ne compose anche il lodato Riccoboni che si stimò il Roscio Italiano di que’ tempi pregiato sommamente da Pier Jacopo Martelli, dal marchese Scipione Maffei, e dall’abate Conti, non meno che da varii leterati Francesi che frequentavano la di lui casa, e scrisse della tragedia e della commedia con molta erudizione e giudizio; come pure la di lui moglie che componeva assai bene in italiano, intendeva il latino, ed alcun poco il greco, e sapeva a fondo la poesia drammatica, e tralle altre sue opere scrisse alcune commedie, ed una dissertazione sulla declamazione teatrale che ella stessa egregiamente eseguiva, e singolarmente allorchè rappresentò ne’ nostri teatri la parte di Merope nella tragedia del Maffei.
Il carattere di Megara si allontana dal gusto greco, e prende l’aspetto di certo eroismo più proprio de’ costumi Romani, il quale a poco a poco si è stabilito ne’ teatri moderni, e ne forma il sublime: Patrem abstulisti, regna, germanos, larem Patrium.
Nè ciò era difficile ne’ teatri Greci, la cui grandezza non può ravvisarsi in niuno de’ moderni, benchè alquanti assai vasti se ne contino. […] Qualche Francese ha confusi questi due Frinici; e noi ancora nella Storia de’ teatri del 1777 attribuimmo quest’ultima avventura del Frinico di Melanta all’ altro più famoso che fu figliuolo di Poliframmone.
«Mal venga (diceva il Frugoni in una lettera scritta a ragguardevole personaggio bolognese) ai drammi musicali ed a chi primiero li pose sopra i nostri teatri a far perdere il cervello ai poeti, a far guadagnare enormi somme ai castrati, a rovinar la poesia, ad effemminare la musica, guastare i costumi.
Il carattere di Megara si allontan dal gusto greco, e prende l’aspetto di certo eroismo più proprio de’ costumi Romani, il quale a poco a poco si è stabilito ne’ teatri moderni e no forma il sublime: Patrem abstulisti, regna, germanos, larem Patrium.
Esposta questa tragedia alle critiche talvolta giuste, spesso maligne de’ semidotti e de’ follicularj invidiosi, ha non per tanto sempre trionfato su i teatri per le interessanti situazioni ben prese e ben collocate di sì patetico argomento.
Sebbene pochi sieno quegli eruditi Spagnuoli che non abbiano poco o molto favellato del proprio teatro, tuttavolta se ne desiderava ancora una storia seguita prima che io l’abbozzassi nella generale de’ teatri pubblicata nel 1777, ed i buoni nazionali urbanamente me ne seppero grado26.
Et per fuggire questo diffetto, è neccessario a recitanti [et a quelli particolarmente che piu che esperti non sono] l’usarsi anco in tutte le proue, a questa uiuezza ch’ io dico, altrimente riescono poi sgarbatissimi nei pubblici teatri.
Maria Ordoñez già prima donna ne’ teatri di Madrid, morta alcuni mesi dopo, rappresentò non senza energia tanto la parte di Ormesinda quanto di Elvira nel Sancho.
Né ciò era difficile ne’ greci teatri, la cui grandezza pienamente non si ravvisa ne’ moderni, benché ci vantiamo del Teatro del Ritiro di Madrid, di quello di Torino, del famoso di Parma, e del veramente regio e magnifico Teatro di San Carlo di Napoli, il quale passerà alla memoria de’ posteri, come il più superbo e vago che si abbia la moderna Europa.
Maria Ignacia Ordoñes, già prima dama ne’ teatri di Madrid rappresentò non senza energia tanto la parte di Ormesinda nella tragedia del Moratin, quanto quella di Elvira nel Sancho Garcia, e morì pochi mesi dopo.
In una serie cronologica de’ drammi rappresentati sui pubblici teatri di Bologna dall’anno 1600 fino al 1737 fatta per opera de’ Soci filopatri si pretende sulla fede d’un manoscritto del celebre Ulisse Aldrobrandi, che fin dall’anno 1564 si cantasse nel palazzo della nobilissima Casa Bentivoglio un dramma intitolato l’Incostanza della fortuna.
Esposta questa tragedia alle critiche talvolta giuste spesso maligne de’ semidotti e de’ follicularii invidiosi, ha non pertanto sempre trionfato su i teatri per le situazioni interessanti ben prese e ben collocate di sì patetico argomento.