Qui questi giovani non soffrirono di stare colle mani in mano mentre altrove si levavano ancora le armi ; un gruppo si recò in Ancona a pettinare gli Austriaci, ed un altro andò a Roma ove Garibaldi e Rosselli suonavano a martello. […] Caduta nel sangue la Repubblica Romana, mio padre ritornò a casa, ma ormai non era più tempo di riprendere in mano il De Amicitia, e la vita a Fano era diventata per lui impossibile, essendo spiato notte e giorno dai Barbacani e Caccialepre, chiuso l’adito ad ogni impiego, sospettato di eresia e scomunicato.
Scrisse, per quanto io so, tre sole commedie interamente, cioè: il Notajo o le Sorelle rimasta inedita; la Marchesa Castracani eccellente pittura della vanità plebea che aspira a sollevarsi dal fango e vi ricade con accrescimento di ridicolezza, impressa senza saputa dell’autore e imbrattata con aggiunzioni d’altra mano; ed il Politico rimasta inedita, che io vidi solo accennata a soggetto, come sono tante altre sue favole, il Saturno, il Metafisico, i Mal’ occhi, il Dottorato, il Salasso, l’Amicizia &c. […] Tali sono l’erudito sacerdote Giovanni Tucci autore di due commedie inedite la Ragione, ed il Dovere: Don Gioacchino Landolfi che scrisse Don Tiberio Burlato, il Cassettino, e la Contessa Sperciasepe: Don Giuseppe Sigismondo che ha prodotto Donna Beatrice Fischetti, ovvero i Figliastri impressa dopo il 1770, il Fantasma che è il Tamburro Notturno del 1773, l’Alchimista, ed il Matrimonio per procura del 1777, nelle quali regna un ridicolo di parole che spesso si vorrebbe che non derivasse da idee di schifezze o di oscenità: il degno scrittore della Storia Civile e Politica del Regno di Napoli Carlo Pecchia compose l’Ippolito uscita nel 1770, nella quale si ammira una mano maestra nel rilevare il mal costume e le massime perniciose che nascono dall’educazione; ma le tinte tragiche mescolate alle grazie comiche ne rendono ambiguo il genere. […] La mano del buon pittore si vede nella Locandiera, nelle Donne Puntigliose, nella Vedova Scaltra, nel Moliere, nelle Donne Curiose, nella Serva amorosa, nella Figlia obediente, ne’ Puntigli domestici, nel Filosofo Inglese, nel Feudatario, nell’Avventuriere onorato, nel Ciarlone imprudente &c.
Adunque gl’Italiani possono ben dire colle pruove alla mano di CINQUE DRAMMI, che nel SECOLO XIV. cercarono di ricondurre in Europa la Drammatica imitando gli Antichi; il che non tentò verun’ altra moderna nazione prima della Italiana.
Che poi seguitasse la Compagnia di quei comici in questo senso, cioè che intervenisse in varie città d’Italia alle recite della sua Merope, è cosa assai nota, e della quale ho in mano le testimonianze e le prove.
Abbiamo due censure ; l’ecclesiastica è in mano di certo abate Somaj, che è il più somaro ed il più incomodo di tutti i revisori.
Bisogna vederlo fra un atto e l’altro, e magari fra una scena e l’altra, in quel suo camerino, ingombro di giubbe di ogni specie, di spadini lucenti, di parrucche, vicino alla sua tavola di truccatura, sulla quale, accanto ai barattoli del minio, del bianco, della terra d’ombra scintillano anelli antichi enormi, e orologi istoriati e tabacchiere e ciondoli svariati, e al disopra della quale alla parete di fronte, accanto a un grande specchio vigila in bella e nitida incisione il ritratto di Lui, di Goldoni, in compagnia d’incisioni minori di suoi personaggi, di maschere, di mode del suo tempo ; bisogna vederlo, dico, col suo libricciuolo in mano di una commedia del Maestro, non mai tentata a' nostri tempi, per esempio, L'uomo prudente, o L'uomo di mondo, che studia, analizza, notomizza per la riduzione, pei tagli sapienti, per le trasposizioni di scene, di frasi, di parole !
Tanto può dunque in voi una soave, ma traditrice parola, una mentita belleza, un modo lusinghiero, un atto astuto, un’arte di Circe, una frode amorosa, una rete incantata, un feminil inganno, un laccio dannoso, un ciglio bugiardo, un animo finto, un cuor simulato, una fede mendace, un ghigno fraudolente, una breve stilla di pianto, un sospir tronco, un leggiero toccar di mano, un molle bacio, pieno d’insidie, una grata ma perfida accoglienza, uno sdegno lieve artificioso, una repulsa pietosamente cruda, una pace piena di guerra, e finalmente un vaso colmo di menzogne e di tradimenti ? […] HIELLE piange la madre Fvggendo il lume, à le spelonche tratti S’eran gli Augei notturni ; E già suegliata vscìa la Rondinella A’bei raggi diurni ; Quando più ch’altra bella Hielle sorgendo, la uermiglia Aurora Vide, che uiolette, e rose, e gigli Da la sua chioma inannellata, e bionda, E da l’eburneo seno Spargèa del Ciel ne le contrade eterne ; E col piè vago d’animata neue Di fior premendo l’ingemmato suolo Seguitò fin che giunse Là doue scaturia da vn viuo sasso Liquefatto vn bel vetro, che se n’gìa Con lento e queto passo L’herbe irrigando ; iui si pose, ed iui Pensosa al volto fè colonna, e letto Del braccio e de la mano ; e fisò i lumi A terra. […] Et se una Donna [per gratia di essempio] haurà pigliato per uezzo di mettersi la mano su ’l fianco ; o un giouane di appostarla su la spada ; non deue ne l’ una, ne l’ altro, star sempre, ne molto spesso, in quel modo ; ma finito quel ragionamento, che cotal atto richiede, rimouersi da quello, et trouarne un piu proprio al parlamento che segue, et quando altro gesto appropriato non troui ; o che atteggiar non gl’ occorre ; lasci andar come io dissi et le braccia, et le mani, oue gl’inchina la natura, sciolti et isnodati, senza tenerle solleuate, od aggroppate, come se co stecchi fossero attaccati al corpo. seruando pero sempre ne gl’ atti maggiore o minor grauità, secondo che lo stato richiede del personaggio che si rappresenta. et cosi anco nel suono delle parole, hora aroganti et hora placide, hor con timidezza, et hor con ardire esplicate ; facendo i punti al lor loco, sempre imitando Et osseruando il naturale, di quelle qualita di persone che si rappresentano : et sopra tutte le cose fuggire come la mala uentura, un certo modo di recitare dirò pedantesco, per non saperle io trouar piu proprio nome, simile al repetere che fanno nelle scole i fanciulli, quando dinanzi al lor pedagogo rendono di stomana. fuggir dico quel suono del recitare, che par una cantilena imparata alla mente, Et sforzarsi sopra tutte le cose [mutando le uoci, Et accompagnandoui i gesti, secondo i propositi] far che quanto si dice, sia con efficacia esplicato, Et che non paia altro che un familiar ragionamento, che improuisamente occorra. […] Habbiano ogn’ un d’ essi un bastone, altri mondo altri fronzuto in mano, et se sarà piu strauagante, sarà piu a proposito. in capo le capillature, o finte, o naturali ; altri aricciati et altri stesi, et culti. ad alcuno, si può cinger le tempie d’ alloro, o d’ hedera, per uariare, et con questi modi, o simili, si potrà dire che honoreuolmente sia nel suo grado uestita : Variando i pastori l’ uno da l’ altro, ne i colori, et qualità delle pelli diuerse, nella carnagione, et nella portatura del capo, et simile altre cose che insegnar non si possono, se non in fatti, e con il proprio giudicio. […] Anzi nò, per che se il poeta u’ introducesse [come sarebbe per essempio] una maga bisognarà uestirla secondo la sua intentione. o se u’ introdurà un bifolco, con l’ habito rozzo, Et Villanesco, bisognarà figurarlo. ma se ui sarranno, come sarebbe, pastorelle ; il modo del uestir delle nimphe, le potrà ben dar la norma : senza manto, uariandolo dal piu sontuoso al meno, et senza darle altro in mano, che un bastone pastorale.
L’anno 1601 si rappresentò ivi l’Euridice del Rinuccini, e poi di mano in mano altri drammi comparvero con poche volte interrotta cronologica serie fin quasi a’ nostri tempi.
Ora su tali fondamenti conchiuse il Signorelli, che Lope o dovea essere il più sfacciato de’ Viventi (il che niuno ha detto mai), o dovea discolparsi colla verità alla mano. […] Ma che egli potesse asserire altrettanto di quelle del Secco, del Pino, del Contile, del Bentivoglio, dell’Oddi, del suo amico Annibal Caro, e di un gran numero di Toscani, se non si curarono delle ciance della sua Dedicatoria, nè di smentirlo i contemporanei, lo smentiranno senza esitare i Posteri co i fatti alla mano, colle evidenze, colle ragioni sode, e non con istrepitose declamazioni, e con vane stiracchiate congetture.
Del libretto [1.1] Messa nel teatro la debita disciplina, conviene ordinatamente procedere alle differenti parti che forman l’opera, per mettervi quella mano emendatrice di cui ha bisogno ciascuna.
Quando si corre al galoppo, e si vuol salutare una dama che s’incontra distesa nella sua calèche, non si fa, come vidi fare a lei, un semplice movimento col capo e col frustino, ma bisogna voltarsi con grazia verso di quella, portar la mano destra alla punta del cappello, velocemente alzarlo, velocemente rimetterlo, spronare di fianco, e là….
Lepido Mnestere; e quando egli ballava, se sventuratamente qualche spettatore facesse il più picciolo strepito, se ’l faceva recare innanzi e di propria mano lo flagellava174. […] Cadde colla Grecia stessa la sua bella commedia per rinascere indi nel Lazio per mano di un Affricano. […] L’ antichissima festa de’ Tabernacoli, in cui gli Ebrei divisi in cori cantavano inni al Creatore, tenendo in mano folti rami di palma, di cedro o di altro, conteneva alcuna parte di que’ semi che altrove diedero l’origine alla poesia drammatica; ma pur non si vede che tra gli Ebrei l’avessero prodotta.
II) : Voi che fate professione di parlare in pubblico, raccordatevi d’aver pronto l’occhio, la mano, il piede, anzi tutta la persona, non meno che habbiate la lingua, poichè il concetto, senza il gesto, è appunto un corpo senza lo spirito, havertendo che non si vuol gesticolare in quel modo che molti sogliono fare, e ch’io molte volte ho veduti, che se girano gli occhi pajono spiritati, se muovono il piede sembrano ballerini, se le braccia barbagiani che volano, e se voltano il capo, scolari di Zan della Vigna ; però il capo, le braccia, i piedi, gl’occhi si deono muovere a tempo, con modo, con ordine e con misura, havertendo ancora che non è poco vitio adoprar sempre un sol braccio, o una sola mano, ma che si dee hor l’ una, hor l’altra et hora tutte due muovere, come più comporta il discorso che si recita. Lo stare avviluppato nel ferrajolo a chi fà parte di moroso non piace, però bisogna hor sotto mano, hor sopra tutte due le spalle, et hora in un modo, et hora in un altro andarlo accomodando, mentre camina, o passeggi…..
Ma la dipintura nell’atto V di Canace sul letto funesto col bambino allato e col pugnale alla mano dono di Eolo suo padre, e le di lei parole nel l’atto di trafiggersi sperando di sopravvivere nella memoria di Macareo, e l’espressioni indirizzate al figliuolino, banno una verità, un patetico, un interesse sì vivo che penetra ne’ cuori e potentemente commuove e perturba. […] timida mano, Timidissimo cor che pure agogni? […] oimè, son queste Piaghe de la tua mano? […] Semiramide all’intenderlo si accende si una rabbia tremenda, ed in conseguenza nel l’atto III minaccia di trarre a Dirce di propria mano il cuore. […] Si vuol riflettere che il Tasso medesimo non era appieno contento della sua tragedia, e vi andava facendo di mano in mano giunte e correzioni, che poi spedì a Bergamo in due fogli a Licino.
L’uditorio dunque non può godere di sì interessante situazione, nè esser commosso quanto nel teatro greco e nella Merope del Maffei per affrettar col desiderio la venuta del vecchio che impedisca l’esecrando sacrificio di un figlio per mano della stessa madre che pensa a vendicarlo. […] Tutta l’azione però è fondata sull’apparizione dell’ombra del re Nino intento a vendicarsi di Semiramide per mano di Ninia suo figliuolo che ignoto a se stesso vive sotto il nome di Arsace. […] come sa egli che la reina muore per mano di Ninia? […] Anche i fanciulli sanno notare la mano con sei dita in una figura di Raffaello; ma il tragico del suo pennello, l’espressione inimitabile, la maestosa semplicità, la correzione del disegno, la verità del colorito, la vaghezza del chiaroscuro, non si sentono da chi non conosce l’arte. […] Diede da prima all’azione un lieto fine, facendo che la donna da lui chiamata Bianca disperata offeriva la mano a Cappello a cui era stata destinata sposa a condizione che salvasse la vita all’amante, e che Capello salvandolo ne ricusasse generosamente la mano.
Alcestide moribonda, e poi senza vita, i suoi figli, il marito, il Coro, formano un quadro così compassionevole che farà cader la penna dalla mano a chi oggi voglia esercitarsi nella poesia tragica. […] Fedra Dive di Linna, a presedere elette A l’esercizio de’ corsieri ardenti, Deh perchè non poss’io con questa mano Generoso destrier domare al corso? […] Etra madre di Teseo sta col l’offerta in mano a piè del l’altare in mezzo a’ Sacerdoti: il tempio è pieno di donne che portano rami di olivo: Adrasto red’ Argo resta nel vestibolo colla testa velata circondato da’ figliuolini delle Argive in atto supplichevole. […] Ercole furioso sino al l’atto III tratta della giusta vendetta presa da Ercole contro il tiranno Lico oppressore degli Eraclidi: negli ultimi due atti cambia di oggetto, ed una Furia chiamata da Iride viene a turbare la ragione di Ercole a segno che questi di propria mano saetta i figliuoli. […] i posponeva Eschilo di lunga mano agli altri due, e fra questi affermava non potersi di leggieri decidere qual di essi fosse meglio riescito ne’ due differenti sentieri che corsero.
L’ uditorio dunque non può godere di sì interessante situazione, nè esser commosso quanto nel teatro greco e nella Merope del Maffei, per affrettar col desiderio la venuta del vecchio che impedisca l’ esecrando sacrificio di un figlio per mano della stessa madre che pensa vendicarlo. […] Tutta l’azione però è fondata sull’apparizione dell’ombra del re Nino intento a vendicarsi di Semiramide per mano di Ninia suo figliuolo che ignoto a se stesso vive sotto il nome di Arsace. […] come sa egli che la reina muore per mano di Ninia? […] Anche i fanciulli sanno notare la mano con sei dita in una figura di Raffaele, ma il tragico del suo pennello, l’espressione inimitabile, la maestosa semplicità, la correzione del disegno, la verità del colorito, la vaghezza del chiaroscuro, non si sentono da chi non conosce l’arte. […] Palissot, non tutti ravvisarono in lui la mancanza di gusto, e que’ difetti che gli furono poscia rimproverati, e singolarmente la versificazione dura e ampollosa, le massime sparse a piena mano e senza scelta, le frequenti declamazioni sostituite alla passione.
Il codice è tutto della stessa mano ; e credo non ci sia da sollevar dubbi sull’autenticità dell’autografo. […] Come entrano questi dentro a una città, subito col tamburo si fa sapere che i Signori Comici tali sono arrivati, andando la Signora vestita da uomo con la spada in mano a fare la rassegna, e s’invita il popolo a una comedia, o tragedia, o pastorale in palazzo, o all’osteria del Pellegrino, ove la plebe desiosa di cose nuove, e curiosa per sua natura subito s’affretta occupare la stanza, e si passa per mezzo di gazzette dentro alla sala preparata ; e qui si trova un palco posticcio : una Scena dipinta col carbone senza un giudizio al mondo ; s’ode un concerto antecedente d’Asini, e Galauroni (garavloni) ; si sente un prologo da Cerretano, un tono goffo, come quello di fra Stoppino ; atti rincrescevoli come il mal’anno ; intermedij da mille forche ; un Magnifico (pag. 180) che non vale un bezzo ; un zanni, che pare un’oca ; un Gratiano, che caca le parole, una ruffiana insulsa e scioccherella ; un innamorato che stroppia le braccia a tutti quando favella ; uno spagnolo, che non sa proferire se non mi vida, e mi corazon ; un Pedante che scarta nelle parole toscane a ogni tratto ; un Burattino (pagg. 181, 183), che non sa far altro gesto, che quello del berettino, che si mette in capo ; una Signora sopra tutto orca nel dire, morta nel favellare, addormentata nel gestire, ch’ha perpetua inimicizia con le grazie, e tiene con la bellezza diferenza capitale.
Il genio che l’inclinava allo studio ed alla poesia, gli tolse di mano la cazzuola, e lo trasportò al teatro colla protezione di Shakespear.
Il genio che l’inclinava allo studio ed alla poesia, gli tolse di mano la cazzuola, e lo trasportò al teatro colla protezione del Shakespear.
Ora ascolti il terrore umiliante di un’ambiziosa regina, la quale in faccia allo stesso santuario ch’essa meditava di profanare, sente aggravarsi sul suo capo la mano vendicatrice dell’onnipotente, a’ cui cenni la morte e la natura non che i turbini e le tempeste s’affrettano ad ubbidire; ora ti si appresenta uno spettacolo degno dei numi, cioè il dolore sublime d’un eroe che si vede accusato dal proprio padre in presenza del re, in vista di tutta la corte, e sugli occhi dell’oggetto che adora, di un delitto, del quale il solo reo è lo stesso accusatore. In quella sgorga il virtuoso pianto d’un principe modello de’ regnanti, che obbligato a condannar un amico trovato deliquente si lagna cogli dei perché, lasciandogli il suo cuore, gli abbiano fatto il dono d’un impero; in questa ti laceran l’anima i trasporti misti di rabbia e di pietà, coi quali si esprime una vedova costretta a scegliere uno di questi due mezzi, o di dar la mano di sposo ad un suo odiatissimo nimico, o di vedersi uccider sotto gli occhi l’unico suo figliuolo. […] L’uditore, che sa lo scambievole amore tra Farnaspe ed Emirena promessi sposi sotto gli auspizi del padre che sa gli ostacoli che frappone alla loro unione il conquistatore Adriano; che ha veduta la disgrazia di Farnaspe caduto in mano dei Romani e incatenato da loro per esser creduto l’autore di un incendio eccitato da Osroa nel palazzo imperiale a fine di bruciarvi dentro l’imperatore, che si è trovato presente al tenerissimo rincontro degli amanti in così lagrimevole occasione, e che legge nell’anima di Emirena lo smanioso dolore onde vien giustamente lacerata; non s’aspetterà, cred’io, di doverne ascoltare in mezzo ai sentimenti tragici che ispira una situazione cotanto feconda, delle lunghe dispute sull’accortezza, delle donne paragonata con quella dei cortigiani. […] Ove la ricognizione non ha luogo, voi siete sicuro, che lo scioglimento si prepara o perché il personaggio, trovandosi alle strette, si vuol uccidere di propria mano, onde chi sta presente, e non ha il coraggio di vedere sgorgar il sangue, si placa subitamente per levarsi d’impaccio, o perché in un tradimento ordito da un fellone, oppure in un popolare tumulto eccitatosi nella guisa che vuole il poeta il creduto reo si mette dalla banda del padre, o del sovrano che il condannava, col qual atto eroico disingannato alla perfine il barbaro re gli concede il desiderato perdono, o perché l’amata e il vago stanchi delle opposizioni e bramosi di sbrigarsi pur una volta dalla faccenda si cedono scambievolmente al fortunato rivale. […] In tuo soccorso Pronta sempre la mano Del pescator, ch’or ti salvò dall’onde, Credimi, non avrai.
La seconda fu un carro di Venere bellissimo sopra il quale essa sedeva con una facella sulla mano nuda; il carro era tirato da due colombe, che certo parevano vive, e sopra esse cavalcavano due amorini con le loro facelle accese in mano, e gli archi, e turcassi alle spalle. […] La quarta fu un carro di Giunone pur tutto pieno di fuoco, ed essa in cima con una corona in testa, ed uno scettro in mano sedendo sopra una nube, e da essa tutto il carro circondato con infinite bocche di venti. […] [44] Questo complesso di cause che producono quasi sempre il loro effetto, siccome rende ragione del trasporto che mostra il pubblico per la pantomima, così ne porge fondati motivi di credere che ovunque sarà coltivata quest’arte torrà infallibilmente la mano alla tragedia, alla commedia, al canto, e ad ogni altro spettacolo che abbisogni di più dilicatezza a comporsi, e di maggiore finezza a comprendersi. […] Il monarca impugnava in mano un grosso bastone di legno. […] All’opposto il governo republicano veniva rappresentato con una contraddanza in tondo viva ed allegra, dove ciascuno dei danzatori intrecciando la sua mano con quella del compagno, e cambiando di luogo ad ogni mossa, sottentrava al suo antecessore senza che apparisse veruna distinzione tra le figure.
Questi riprende l’amico come uomo poco onesto ed ingordo per essersi approfittato della disgrazia di Lesbonico comperando la di lui casa, e dandogli, giusta la sua espressione, la spada in mano perchè si togliesse la vita. […] Partito Sagaristione e Tossilo esce Saturione padre della finta schiava, e la prende per mano. […] Contiene una beffe fatta a quel vanaglorioso da un fervo per torgli di mano una fanciulla amata da un giovane Ateniese. […] Disegna adunque il vecchio di proporre a’ nemici la permuta del proprio figlio per Filocrate; e per trattarla concede al creduto Tindaro l’andare in Elide, stimandosi abbastanza sicuro avendo in mano, com’ egli crede, un pegno importante nella persona di Filocrate. […] Nello alzarsi non dia la mano a alcuno.
Andres osa collocare in questo secolo ancora, e mettere in confronto dell’Orfeo vero dramma compiuto e rappresentato, la Celestina, dialogo, come confessa lo stesso Nasarre, lunghissimo e incapace di rappresentarsi, di cui il primo autore Rodrigo Cotta appena scrisse un atto solo de’ ventuno che n’ebbe poi nel seguente secolo per altra mano.
ma habiano richiami, et perchè potrebbe essere che alcuno havesse qualche pretensione irragionevole li rendo motivo a ciò sappia come contenersi, et in particolare nell’interesse della borsa a non vi metter la mano, e sopra a tutto a tenerci lontano da Milano, perchè quella cità è la ruina de comici.
Venezia e Padova erano ormai città sue ; il pubblico non diceva più di andare a sentir la Compagnia Duse ; ma a far visita all’amico Duse ; e anche sapendo che tutti i salmi finivan in gloria, e che la mano avrebbe dovuto correre al borsellino, pareva che gli mancasse qualcosa se non vedeva fuor del sipario il suo Giacometto.
Già io adoro i paesi di mare…… Il 19 luglio ’84 dalla montagna (Brozzo – Ivrea) : …… Da quest’altezza…. modesta e pur considerevole (900 metri) – da questo profumo – l’odore puro, direi immacolato della montagna, da questo verde che riposa l’occhio irritato dalla luce del gas della città – da quest’aria che rimette a nuovo i polmoni affaticati – e calma le febbri sorde che dà il contatto con la città…. mi sento rinascere – buona – senza pretesa – con poche vesti, con pochi quattrini – con molte idee – con molto senso di pietà e di perdono – verso tutto quello che ci turba e ci profana…… Il 23 luglio dell’ ’86 da Varazze : …… eccomi qua – con una mano scrivendo, e con l’altra dando giocattoli a una bella piccina – di cui non sono la mamma che a certe ore, mentre per il più della giornata, io faccio il possibile per essere bambina…. creatura di pochi anni e di molto sorriso, come lei. […] Forse un crescente amor del perfetto le vince la mano, e ne appare talvolta la ricercatezza ?
A tutti gli altri ci provegga il maestro, scrivendo per loro ogni cosa, guidandogli a mano in ogni mutazione, in ogni passo.
Tale opera comprende anche un catalogo di tragedie e commedie pubblicate per le stampe dal 1500 al 1600 ; e per comporla egli dovè far capo sempre al famoso raccoglitore e amico dei comici Gueullette, come si rileva dalle sue lettere, nelle quali ora domanda, per dar l’ultima mano al suo lavoro, Le livre sans nom, ora l’Arliquiniana, ora la Bibliothèque des théatres.
Questi riprende l’amico come uomo poco onesto ed ingordo per essersi approfittato della disgrazia di Lesbonico comperando la di lui casa, e dandogli, secondo la di lui espressione, la spada in mano perchè si togliesse la vita. […] Partito Sagaristione e Tossilo, esce Saturione padre della finta schiava, e la prende per mano. […] Contiene una beffa fatta a quel vanaglorioso da un servo per torgli di mano una fanciulla amata da un giovane Ateniese. […] Disegna dunque il vecchio di proporre a’ nemici la permuta del proprio figlio per Filocrate; e per trattarla concede al creduto Tindaro l’andare in Elide, stimandosi abbastanza sicuro avendo in mano al suo credere un pegno importante nella persona di Filocrate. […] Osservatore non sempre esatto delle regole dell’illusione teatrale, è non per tanto sempre vago, semplice, ingegnoso, piacevole e faceto, versando a piena mano ad ogni passo sali e lepidezze capaci di fecondar largamente l’immaginazione di chi voglìa coltivare un genere di commedia inferiore alla nobile.
L’azione della prima pastorale è semplice e senza veruna agnizione, dell’altra è ravviluppata con un riconoscimento interessante: eccita l’Aminta la compassione, il Pastor fido giugne a quel grado di terrore che ci agita nel Cresfonte al pericolo del giovane vicino ed essere uccìso per mano della madre: l’Aminta senza storia precedente e senza colpi di scena c’interessa a meraviglia col solo affetto, il Pastor fido riesce artificioso per la tessitura e per un disegno più vasto e più teatrale. […] Gli si perdonino i suoi difetti, per non guastar sì bell’opera ponendovi mano Roma e Atene vorrebbero averne una pari.
L’azione della prima pastorale è semplice, e senza veruna agnizione; dell’altra è ravviluppata con un riconoscimento interessante: eccita l’Aminta la compassione; il Pastor fido giugne a quel grado di terrore che ci agita nel Cresfonte al pericolo del giovane vicino ad esser ucciso per mano della madre: l’Aminta senza storia precedente e senza colpi di scena c’interessa a maraviglia col solo affetto; il Pastor fido riesce artificioso per la tessitura e per un disegno più vasto e più teatrale. […] Gli si perdonino i suoi difetti, per non guastar sì bell’ opera ponendovi mano.
Pietro arricchir voglia in brieve il nostro paese di graziose ben condotte commedie, alle quali so di essersi per pura inclinazione determinato, ed ammirar ci faccia egregiamente, eseguiti que’ principi, e con nobile gara imitati que’ colpi di mano maestra, ch’egli con tanto sonno e avvedutezza va discoprendo ne’ drammi altrui, e tratto tratto additando.
I numi stessi erano creduti musici e ballerini, e niente v’era di più comune quanto il vedere le loro imagini o sculte o dipinte con in mano qualche strumento musicale, di cui veniva ad essi attribuita l’invenzione. […] Anche Giove il padre degli dei si vedeva in qualche tempio d’Atene colla lira in mano. […] Dipingiamo il Padre Eterno col flauto in bocca, o col violino in mano? […] I due canoni che prescrive il Signor Manfredini per applicar rettamente la stessa musica a varie parole, cioè che i versi sieno d’una stessa misura, e che il sentimento delle parole sia lo stesso, sono piuttosto regole di ciò che dovrebbe esser che di ciò, ch’è infatti, imperocché ad eccezione d’alcuni pochi maestri la maggior parte dei moderni lavora delle musiche applicabili a cento sentimenti diversi, come io l’ho fatto demostrativamente vedere colle pruove alla mano in otto pagine dell’ultimo capitolo del secondo tomo, adducendo inoltre le carte musicali che lo confermano205, quantunque né di queste né di quelle l’incomprensibile benignità dell’estrattista abbia creduto opportuno di farne menzione. […] Se però tutti questi sembrano pochi al Signor Manfredini, chi scrive gli promette di slungare in altra occasione il catalogo, e di fargli toccare con mano che la maggior parte de’ moderni maestri mettono i ritornelli e passaggi dove non ci andavano, coprono la voce colla troppo affluenza degli strumenti, hanno ecc. ecc.
La stessa mano della Medea sembraci che abbia colorito l’Ippolito, benchè lo stile ne sia più ornato e talvolta più del bisogno verboso specialmente nell’atto primo. […] Se gli svelle dalle radici, e la mano non si sazia di lacerare fin anche le loro sedi, e temendo (dove giugne il delirio del poeta!) […] I caratteri sono quali esser debbono, e le passioni non sono tradite dall’affettazione, benchè non mostrino di essere animate con que’ colori della natura che nella Troade e nella Medea enunciano la mano esperta di un buon pittore.
Maddalena entra « di cilicio vestita, a piè nudo, scapigliata, cinta di nodosa e grossa fune, nella sinistra mano una testa di morte portando ; » lamenta la vita disordinata, invoca i martirj tutti della Passione di Gesù, e finalmente, affranta dal dolore, si sviene. […] Io qui son su’ l fiorire, di giovinezza in ramo, ond’ è ben vano che nel fior spicchi il frutto in un la mano.
E. ogni felicità con la sottoscrizione di propria mano affermerà quanto di sopra è scritto, di Lucca il dì 8 settembre 1616.
Per rimuovere dalla sua nazione un rimprovero così umiliante fatto da uno scrittore il più capace di giudicare di quanti fossero allor tra i viventi, s’ingegnò Angelini Buontempi, perugino, nella sua Storia della musica 81 di far vedere che i musici e i compositori italiani che fiorivano in Roma allorché si pubblicò ivi la Musurgia, niuna mano aveano avuta in quell’opera, cosicché gli errori giustamente ripresi nel Kirchero a lui doveano imputarsi, non già all’Italia. […] [22] Dallo stato svantaggioso in cui si trovava la musica e la poesia, presero occasione i cantanti di uscir di mano a’ poeti e ai compositori, e di rapirsi il primato in teatro, rivolgendo a sé l’attenzione del pubblico .
Presolo dunque di nuovo per mano, lo purgò delle variazioni fattevi da mano aliena, ne soppresse ciò che apparteneva alla musica, ne variò il viluppo, diede all’azione più moto ed interesse, e più forza e verità a’ caratteri.
In essa Dorante ingannato dagli abiti di Lisetta la prende per Lucilia, e la rimprovera per averla sorpresa nell’atto che Dami le bacia la mano. […] Rosalina e Floricour, ovvero i Capricci, commedia di tre atti in versi rappresentata in Parigi nel 1787, manifesta una mano di un giovane che potrebbe andar oltre.
[6] Egli è vero che negli autori anche più celebri si trovano spesso delle sentenze morali, che paiono scompagnate dall’uno e dall’altro, e già veggo alcuno farmisi incontro con alla mano il Saggio sopra l’uomo del Pope, e con qualche altra poesia inglese, o francese tutta di moralità e d’istruzione composta: ma esaminando bene cotai componimenti, si troverà, che le sentenze loro o si risolvono ultimamente in qualche movimento di passione, o in qualche immagine, o che altrimenti annoiano tosto. […] Didone colpita dalla improvvisa novella ondeggia fra un tumulto d’affetti, di pensieri, e di dubbi, se deggia con mano armata inseguir Enea che fugge, o darsi in braccio a Jarba suo rivale, o piuttosto procacciarsi da disperata la morte. […] Non solo s’udirà sortir dalla orchestra più minaccioso il fragore della tempesta, che il decoratore avrà sul teatro maestrevolmente dipinta, non solo gli strumenti renderanno più spaventevole l’ingresso della grotta di Polifemo, ovvero i flutti d’un mare agitato, ma più dilettevole, e più grato apparirà coi suoni d’una bella sinfonia il solitario boschetto sacro al riposo, e alla felicità degli amanti: scorrerà più vivace, e più fresco il ruscello, dove Licida s’addormenta diverrà più vermiglia l’aurora, che presiede alle tenerezze di Mandane, e d’Arbace, e la volta de’ cieli pennelleggiata dalla mano d’Aiaccioli, o di Bibbiena parrà fregiarsi d’un azzuro più bello, e comparir più ridente dopo i suoni dolcissimi d’un Tartini.
Gli insetti della letteratura, coloro cioè che ronzan dintorno alle più fangose paludi del Parnaso, sono appunto i soli che ardiscano a metter mano in una spezie di poesia la più scabrosa, la più dilicata, la più diffìcile di quante possa offrire la ragione poetica. […] Mi confermo nella mia opinione osservando la felicità con cui ha egli trasferita nella italiana favella una scena dell’Ecuba di Euripide, la quale ci fa vivamente desiderare di veder dalla stessa mano in simil foggia vestito non solo quel poeta ma tutti gli altri drammatici antichi. […] I ridicoli loro più evidenti e più caricati che è lo stesso che dire più acconci a piegarsi sotto la mano di chi vuol imitarli.
La stessa mano della Medea sembraci che abbia colorito l’Ippolito, benché lo stile ne sia più ornato, e talvolta più del bisogno verboso, specialmente nell’atto I. […] Se gli svelle dalle radici, e la mano non è sazia di lacerare fin anche le loro sedi, e temendo (dove giunge il delirio del poeta!) […] I caratteri sono quali esser debbono, e le passioni non sono tradite dall’affettazione, benchè non mostrino di essere animate da que’ medesimi colori della natura che nella Troade e nella Medea enunciano la mano esperta di un valente pittore.
S’impresse questa senza saputa dell’autore imbrattata di aggiunzioni di altra mano ; ma si è recitata molte volte con applauso grande per la grazia che vi regna e pe’contrasti de’ben dipinti caratteri. […] Ella è una Romana ambiziosa che più non isperando di conseguire colla mano di Tito l’imperio, si prevale della debolezza di un suo amante per tramar la rovina dell’imperadore ; e l’ondeggiamento delle di lei mire comunica all’azione un continuo patetico movimento. […] Ebbe poi notizie diverse da quelle che Adelvolto gli avea recate, e portatosi in provincia trovò Elfrida più bella ancora che non si diceva, ed uccise di propria mano il favorito in una caccia e sposò Elfrida. […] Elfrida è già sulla carriera delle Camille ; chiama barbaro il sovrano, urta, dissipa le guardie, si scaglia verso Adelvolto, e gli strappa di mano la spada. […] Edgardo risponde che nol permetterà Orgando ; e le offre il trono e la mano.
L’uomo stesso, opera la più mirabile della mano del Creatore, non vuolsi considerare soltanto come una delle parti figurate e distese nello spazio, o come pianta che vegeti, o animale che senta.
Incredibili erano, per conseguenza di tanto ardore e di tanta avidità per gli spettacoli, gli applausi, le ricchezze, le corone, e gli onori che a piena mano versavano gli Ateniesi su i poeti che n’erano l’anima e su gli attori che n’erano gli organi.
Non è maraviglia che nella medesima brochure o scartabello che sia, cancelli con una mano quel che coll’ altra dipigne; e nell’atto che dichiara gl’ Italiani fanciulli in poesia, affermi che abbondino di eccellentissimi poeti lirici in ogni genere, non avendo ancora imparato che l’entusiasmo, la mente più che divina, il sommo ingegno, la grandezza dello stile, doti da Orazio richieste nel vero poeta, convengono singolarmente alla poesia lirica.
Quando sento di possedere il quadro e le singole parti, allora comincio le prove ; e man mano che queste si svolgono, mi rendo conto degli errori nei quali posso essere caduto, vedo con maggior precisione in qual giusta luce debba essere posto ciascun personaggio.
La nitidezza però (aggiugne) e l’ultima mano nel limare i loro parti sembra di esser loro mancata, nè tanto per loro colpa, quanto del tempo in cui fiorirono. […] I letterati più accreditati, gli Erasmi, gli Scaligeri, gli Einsii, terminano la vita con Terenzio alla mano. […] Egli: non mai Mi è paruto, come or, misero e grave Peso la povertade; ho visto adesso In questo vicinato una donzella Misera, che facea tristo lamento Per la sua madre morta, che giaceva Ad essa dirimpetto, e niuno amico Aveva, o conoscente, o di suo sangue, Che desse mano al funerale, in fuora Di una sol vecchierella: io mi sentii Muovere a compassione. […] Leggansi in quest’altro passo tradotto dalla medesima mano le di lui espressioni dopo essere stato in casa di Taide, donde esce pieno di giubilo e dolcezza: Evvi alcun qui dappresso?
Tu sei morto, Amlet, non ti resta che mezz’ora di vita; la punta del ferro che tieni in mano, è avvelenata, e… mi ha morto; io ne avea una simile, e tu sei morto… Tua madre ha bevuta la morte nel vino… non posso più… il re… il re è il malvagio autore di tante stragi. […] Non è meraviglia che nella medesima brochure o scartabello che sia, cancelli con una mano quel che con l’altra dipigne; e nell’atto che dichiara gl’Italiani fanciulli in poesia , affermi che abbondino di eccellentissimi poeti lirici in ogni genere; non avendo ancora imparato che l’ entusiasmo, la mente più che divina, il sommo ingegno, la grandezza dello stile, doti da Orazio richieste nel vero poeta, convengono singolarmente alla poesia lirica.
I forestieri acclama, E i patriotti poi sprezza e i congiunti: Fasto e ricchezza in povertate ostenta: Con scarsa mano, o con maligno oggetto, Spinto da vanità, non da virtute, Grazie l’uom versa e doni.
L’uomo stesso poi, opera la più mirabile della mano del Creatore, non vuolsi considerare soltanto come una delle parti figurate e distese nello spazio, o come pianta che vegeti o animale che senta.
I lor giuochi, siccome ricavasi dalla Cronica Bolognese, erano d’ogni fatta, e ridicoli e serj, e d’industria e di mano, e di scena e di medicina eziandio.
L’uscio ch’io tocco appena, mi sento aprir pian piano, poi cheta indi mi mena una invisibil mano : io con tremante passo lieto guidar mi lasso.
Ma Aminia di lui minor fratello, che nella pugna di Salamina avea perduta una mano, alzando il mantello scoperse il braccio monco, intenerì i giudici, ed il colpevole ottenne il perdono.
Laonde Eubulo cittadino potente e adulatore del popolo promulgò una strana legge, cioè che chiunque proponesse di trasportare ad uso di guerra il danajo teatrale, fosse reo di mortea Incredibili erano per conseguenza di tanto ardore e di tanta avidità per gli spettacoli, gli applausi le ricchezze, le corone e gli onori che a piena mano versavano gli Ateniesi sui poeti che n’erano l’anima e su gli attori che n’erano gli organi.
Volle allora il popolo che sottentrasse il maestro a rappresentar la stessa cosa, ed egli obedì, e giunto a quelle parole si compose in atto grave colla mano alla fronte in guisa di uomo che medita cose grandi, e caratterizzò più acconciamente la persona di Agamenonea.
Volle allora il popolo che sottentrasse il maestro a rappresentar la stessa cosa, ed egli obedì, e giunto a quelle parole si compose in atto grave colla mano alla fronte in guisa di uomo che medita cose grandi, e caratterizzò più aggiustatamente la persona di Agamennone147.
S. che l’ ho voluto molto ben vedere e toccar con mano.
Io feci aprirne la rappresentazione in una satirica, e in ciò pure credei seguire la mente di Sofocle, e lo toccherai tu con mano, se me ne ricorderò alcuni passi. […] [2.116ED] Arriva Teseo, ed è certo che arriva in istrada, mentre maravigliandosi di non avere l’usato festivo incontro della consorte, fa aprir le porte della sua reggia e vede la moglie morta con una lettera in mano; entra e sovra vi piange; e ciò è fuor di dubbio che avviene dentro alle stanze. […] [3.3ED] Qui, toccatami quasi di furto la mano, mi disse all’orecchio di ritrovarci alla cittadella che domina il porto e la città tutta, come anche parte della campagna, luogo non men delizioso che solitario e quasi fatto per parlare da quella cima di materie affatto geniali con piacere e con libertà. […] [4.56] Fatta questa prova che vi riuscirà quale io dico, fatene un’altra. [4.57ED] Pigliate una stanza del Tasso e datela in mano alla nostra imperita leggitrice. […] [5.16ED] Egli era il tenero Delfino, amor e speranza di questi popoli, che con la mano destinata allo scettro accennava d’inviar baci a chiunque disposto in due bande lo facea passar fra gli ossequi. [5.17ED] Entrato poscia nella stanza del re, compii tutti li voti del mio viaggio nella sua vista. [5.18ED] L’aria, il portamento ancora nel rizzarsi dal letto, lo contrassegnano per quel gran monarca che delle sue imprese ha pieno già l’universo.
La nitidezza però (aggiugne) e l’ultima mano nel limare i loro parti sembra di esser loro mancata nè tanto per propria colpa, quanto pel tempo in cui fiorirono. […] I letterati più accreditati, gli Erasmi, gli Scaligeri, gli Einsii, terminano la vita con Terenzio alla mano. […] Abbiam di ciò stupore, e lui preghiamo A dirci la cagione: Egli non mai Mi è paruto, come or, misero e grave Peso la povertade; ho visto adesso In questo vicinato una donzella Misera, che facea tristo lamento Per la sua madre morta, che giaceva Ad essa dirimpetto, e niuno amico Aveva, o conoscente, o di suo sangue, Che desse mano al funerale, in fuora Di una sol vecchierella: io mi sentii Muovere a compassione. […] Leggansi in quest’altro passo tradotto dalla medesima mano le di lui esprescioni dopo essere stato in casa di Taide, donde esce pieno di giubilo e dolcezza: Evvi alcun quì dappresso?
Perciò mentre s’andava a prender le regole di vivere costumatamente da Socrate povero e dispregiato ateniese: mentre le leggi politiche si sforzavano di riparare colla saviezza loro ai danni cagionati dalla religione: mentre la filosofia s’opponeva con man vigorosa alla influenza de’ vizi protetti dal cielo; in questo mentre, io dico, si vedeva Giove padre degli dei dipinto ne’ pubblici templi della medesima città colla lira in mano, s’adoravano Castore e Polluce per aver i primi istituita la danza, veniva onorato Mercurio come inventore della eloquenza, e si dava a nove vergini deità la singolar incombenza di presiedere alle canzoni. […] Si cangia la scena, e comparisce Satanasso in trono con gran forcone in mano invece di scettro, avanti al quale Asmodeo presenta Epulone, intuonando certi versi i più ridicoli del mondo.
Ma già viene il Signor Lampillas colla mano armata di acute folgori, cioè de’ passi di alquanti eruditissimi Italiani, i quali, a suo credere, riprendono ancora il canto nell’Opera. […] Il gran nome, che questi famosi Cigni acquistarono per l’Europa, l’applauso generale che riscuotevano, arrestò verisimilmente il gran Poeta Cesareo dal tentare maggiori novità; e l’Opera non raccolse l’intero frutto di vedersi per la di lui mano condotta alla Greca verità.
Appresso di mano in mano molti gran letterati diedero il nome loro alla milizia di Melpomene dietro la scorta de’ greci corifei.
La VII é ancor più vivace e piena di sale comico, nella quale Dorante ingannato dagli abiti di Lisetta, la crede Lucilia, e la rimprovera per averla sorpresa nell’atto che Dami le baciava la mano. […] Lo scioglimento del Méchant avviene felicemente senza violenza, e senza sforzo per mezzo d’una lettera di propria mano di Cleone.
Perchè l’alma (dice Catone col libro di Platone alla mano e colla spada sguainata davanti) Ritirata in se stessa e impaurita Alla distruzion s’aombra e fugge? […] Intende lo stato de’ genitori, si rallegra pensando che è in sua mano il sollevarli, ma vuol presentarsi loro alla prima come un forestiere raccomandato da Carlotta.
Insta il Signor Lampillas, piena la mano di alcune autorità Italiane contro di essa, cioè dell’Ingegnieri, del Quadrio, e del Maffei.
Quanto più l’Eroe comparisce tutto pieno dell’amor della gloria, e virtuoso, e incapace di cedere alle insidie comunali donnesche, tanto più di arte manifesta il Poeta nel farne avvenire il cangiamento con verisimilitudine, per insegnarci a star sempre vigilanti; e le Grazie stesse par che gli abbiano porta la mano, e scelto il pennello per dipingere quel cumolo di piaceri col colorito di Tiziano, colla espressione di Raffaello, e colla grazia di Correggio.
Da Este Ercole I. alza un teatro di legno in Ferrare 304. pone mano alla traduzione de’ Menecmi 205.
Come tale egli è propriamente attore tragico e declamatore; e la sua declamazione ha una maniera particolare e propria ne’ mezzi ch’essa adopera per conseguire il suo fine; e noi andremo di mano in mano determinando tali mezzi, sicché ne rendano l’esercizio e più regolare e più sicuro. […] Gli occhi, la testa, il braccio, la mano possono agevolmente indicare qualunque obbietto, semplicemente indirizzandosi verso di esso. […] L’organo che dopo il vocale è più in azione nella pronuncia si è il braccio, e per esso la mano e le dita. […] Le stesse narici pendono verso la bocca, e gli angoli di questa verso il mento; la testa dechina dalla parte del cuore, e la mano si sforza appena di sostenerla. […] Così accade alcuna volta su la tastiera del piano forte alla mano del sonatore, che non è abbastanza esercitata e sicura.
Ma Trigeo dove ha trovati alla mano questi compagni? […] Quando egli discese giù, porse la mano ad Eschilo, lo bacio, e non volle aspirare al trono… Ora che sa che si contende pel primato, ha risoluto di confermare ad Eschilo la cessione in caso che rimanga vincitore; se poi egli perde, fa conto di combattere contro di Euripide. […] Essa non si avvilisce a svillaneggiare i calvi, non a far dipinture e balli osceni, non a introdurre un vecchio che va col bastone percotendo quanto incontra, non a farlo venire con fiaccole alla mano a guisa di una furia, ma se ne viene unicamente adorna di bellezze naturali. […] Gli Ateniesi provando sommo diletto nelle di lui commedie non contenti di applaudirlo in teatro, a piena mano gettavano fiori sul di lui capo, e menavanlo per la città tra festive acclamazioni; anzi con pubblico decreto gli diedero la corona del sacro olivo, che era il maggiore onore che far si potesse a un cittadino.
In essa Durante ingannato dagli abiti di Lisetta la prende per Lucilla, e la rimprovera per averla sorpresa nell’atto che Dami le bacia la mano. […] Rosalina e Floricourt, ovvero i Capricci commedia in tre atti ed in versi rappresentata in Parigi nel 1787, manifesta la mano di un giovane che potrebbe andar più oltre.
Perchè l’alma (dice Catone col libro di Platone alla mano e colla spada sguainata davanti) Ritirata in se stessa e impaurita Alla distruzion s’aombra e fugge? […] Intende lo stato de’ genitori; si rallegra pensando che è in sua mano il sollevarli; ma vuol presentarsi loro alla prima come un forestiere raccomandato da Carlotta.
Ma Trigeo dove ha trovati alla mano questi compagni? […] Quando egli discese giù, porse la mano ad Eschilo, lo baciò, e non volle aspirare al trono . . . . […] Essa non si avvilisce a svillaneggiare i calvi, non a far dipinture e balli osceni, non a introdurre un vecchio che va col bastone percotendo quanto incontra, non a venire con siaccole alla mano a guisa di una furia. ma se ne viene unicamente adorna di bellezze naturali. […] Io (replica la Povertà) vi farò toccare con mano, essere io sola la cagione di ogni bene, e non potersi commettere maggiore eccesso che procurare di arricchire i giusti . . . […] Gli Ateniesi provando sommo diletto nelle di lui commedie non contenti di applaudirlo in teatro, a piena mano gettavano fiori sul di lui capo, e menavanlo per la città tra sestive acclamazioni; anzi con pubblico decreto gli diedero la corona del sacro olivo, che era il maggior onore che far si potesse a un cittadino.
. : io me butai al partito di un mezzo termine e disse fatemene scritura ch’ io farò il tutto lui me fecce l’incluso policino nella guardiola de i sbiri e poi mi fecce rogare la pace per mano di notaro il quale uoleua intartenerme perche non uoleua dar quella al dottore per le ingiurie riceute qua el S.
“Tu sei morto, Amlet, non ti resta che mezz’ora di vita; la punta del ferro che tieni in mano è avvelenata, e . . ., mi ha morto; io ne avea una simile, e tu sei morto; tua madre ha bevuto la morte in quel vino . . . non posso più . . . il re . . . il re è il malvagio autore di tante stragi”.
E chi allora metterebbe più in confronto una ventunesima parte di una novella in dialogo come la Celestina (che ebbe nel secolo vegnente per altra mano il componimento e mai non si rappresentò nè per rappresentare si scrisse) a tanti per propria natura veri drammi Italiani rappresentati con plauso e per tali riconosciuti, cioè alla Catinia, al Cefalo, al Gaudio d’amore, alla Panfila, ai Menecmi, all’Anfitrione, alla Casina, alla Mostellaria, all’Amicizia, al Timone?
E chi allora metterebbe più in confronto una ventunesima parte di una novella in dialogo, che ebbe nel secolo vegnente per altra mano il compimento e mai non si rappresentò, a tanti per propria natura veri drammi Italiani, rappresentati con plauso e per tali riconosciuti, cioè alla Catinia, al Cefalo, al Gaudio d’amore, alla Panfila, ai Menecmi, all’Anfitrione, alla Casina, alla Mostellaria, all’Amicizia, al Timone?
Non era stata se non abbozzata dal primo autore (secondo il Pigna ne’ Romanzi) e pure si ravvisa in essa la diversità della seconda mano. […] È di sua mano. […] In tale stato correndo per le strade quasi fuor di se per lo dolore, scarmigliata, con un pugnale alla mano (con poca verisimiglianza però) imbatte nella giustizia che mena a morte Milziade suo fratello convinto per di lui confessione di latroneccio.
Non era stata se non abbozzata dal primo autore (secondo il Pigna ne’ Romanzi), e pure si ravvisa in essa la diversità della seconda mano. […] E’ di sua mano. […] In tale stato correndo per le strade quasi fuor di se per lo dolore, scarmigliata, con un pugnale alla mano, (veramente con un poco d’inverisimiglianza) imbatte nella giustizia che mena a morire Milziade suo fratello convinto, per di lui confessione, di latrocinio.
Il lettore da se giudicherà tra Racine ed Huerta, a qual de’ due meglio competano i gentili elogj d’ignoranza, d’ imbecillità, di meschinità, d’ incapacità, che quest’ultimo declamando profonde a larga mano sul tragico Francese.
Si continua l’intreccio: siegue la morte di Audalla: si prepara la rovina di Alboacen: si effettua l’uccisione di questo Re per mano di Aja di lui sorella.
Il leggitore imparziale da se giudicherà tra Racine ed Huerta a qual de’ due meglio competano i gentili elogii d’ignoranza, d’imbecillità, di meschinità, d’incapacità che lo spagnuolo declamatore temerario profonde a larga mano sul tragico francese; e meglio se ne assicurerà allorchè getterà lo sguardo su i componimenti drammatici del signor Vincenzo, che sembra una immonda arpia di Stinfalo che imbratta e corrompe le imbandite mense reali di Fineo.
Ciò allora adiviene quando i licenziosi costumi d’un secolo, rallentando tutte le molle del vigore negli uomini, ripongono in mano alle donne quel freno che la natura avea ad esse negato: quando una gioventù frivola e degradata sagrifica alle insidiose tiranne della loro libertà insiem col tempo che perde anche i talenti, di cui ne abusa: quando gli autori veggonsi costretti a mendicar la loro approvazione se vogliono farsi applaudire da un pubblico ignorante o avvilito: quando i capricci della moda, della quale seggono esse giudici inappellabili, mescolandosi nelle regole del bello, fanno perder il gusto delle cose semplici, perché non si cercano se non le stravaganti: quando ci è d’uopo impicciolire gli oggetti e le idee per proporzionarle agli sguardi delle saccenti che regolano imperiosamente i giudizi e la critica di tanti uomini più femmine di loro: quando bisogna per non recar dispiacere ad esse, travisar in ricciutelli parigini i sublimi allievi di Licurgo, o impiegar il pennello grandioso d’un Michelagnolo a dipignere i voluttuosi atteggiamenti di qualche Taide: in una parola quando i geni fatti per illustrar il suo secolo e per sovrastarlo sono malgrado loro sforzati a preferire lo stile d’un giorno, che nasce e muore, come gli insetti efimeri, alle bellezze maschie e vigorose altrettanto durevoli quanto la natura, ch’esprimono.
Ella è una Romana ambiziosa che più non isperando di conseguire colla mano di Tito l’imperio, si prevale della debolezza di un suo amante per tramare la rovina dell’imperadore; e l’ondeggiamento delle di lei mire comunica all’azione un continuo patetico movimento.
Una tal voce ben conviene al sesso delle donne, il quale, perché inerme, ottenne una voce molle e delicata, comoda alle lusinghe, a’ vezzi, alle preghiere, le sole armi di chi non ha in mano il dominio e la forza. […] Il che è sì vero, che tra tutte le altre facultà da noi annoverate non ce ne ha una che non sia stata ammessa, a solo oggetto di dar mano alla poesia: tutte, quale più verisimiglianza e quale più forza a questa aggiugnendo, sono destinate a soccorrerla e sostenerla. […] Gesto imitativo è quello che contraffà il moto o la figura d’una cosa; come qualora, parlando d’un orgoglioso personaggio, alziamo il capo, sporgiamo il petto in fuori, e passeggiamo con andatura misurata e grave, o quando si parli d’una guanciata e si scagli la mano, come se in effetti se ne volesse avventare una allora allora. […] Una tal voce ben conviene al sesso delle donne, il quale, perché inerme, ottenne una voce molle e delicata, comoda alle lusinghe, a’ vezzi, alle preghiere, le sole armi di chi non ha in mano il dominio e la forza. […] [Sez.VII.3.0.6] Al cimento medesimo, a cui si sarà messa la poesia, si metterà di mano in mano ciascuna delle arti compagne.