Viva l’amico, Benchè infedele, e se accusarmi il mondo Vuol pur di qualche errore, M’accusi di pietà, non di rigore. […] Noi vogliamo credere a questo acuto osservatore, il quale trovò spessissimo mancare di eleganza e di stile poetico fin anco la Gerusalemme; ma non vorremmo che prendesse per eleganza anche lo stile contorto ed oscuro in cui taluno sì spesso cade; vorremmo poi che il mondo che si trasporta e si riempie di dolcezza leggendo o ascoltando i drammi di Metastasio, fusse rapito ugualmente alle Cantate dell’elegante Bettinelli e dell’armonico Frugoni in vece di averle obbliate; vorremmo per soscriverci all’autorevole sua decisione che questo mondo culto e sensibile si commovesse più spesso ai drammi sì bene scritti del valoroso Zeno, e non già soltanto allora ch’egli canta alla maniera Metastasiana: Guarda pure, o questo o quello E’ tua prole, è sangue mio: Tu nol sai, ma il so ben io, Nè a te, perfido, il dirò.
. – Tiberio Fiorilli ha tanto fatto che gli è riuscito avere una lettera di chacet dal Re per cavare la sua douna dal Refugio e l’ ha messa, d’ordine però della medesima lettera, in uno dei conventi di Chalot ; ma perchè è un poco lontana per lui, che li cominciano a pesare le gambe, è andato a trovare la Granduchessa alla quale disse un mondo di bene di detta donna, e perchè lei medesima l’ aveva vista quando era al Refugio, e che la Superiora del luogo le aveva detto molto bene della medesima, li promesse di farla cavare dal Convento di Chalot, e farla mettere in uno di Parigi ; non so come li riuscirà, perchè il Re non ne vorrà essere importunato ogni tre giorni, e perchè dice per tutto Parigi che è il suo figlio che l’ ha fatta levare e rinserrare, e che ha scritto al Granduca contro di lui, e va facendo leggere la lettera di V. […] Il Refugio è una casa contigua allo spedale della pietà dirimpetto al giardino dei semplici vicino ai Gobelini4, questa è governata dalla medesima superiora della Pietà, ma è separata perchè queste donne troppo pratiche del mondo non conversino con le figlie, ma è la medesima casa. […] più diforme di quelo che mi sia acorto de avere provato deboleza per quella giovine di che ella mi accenna e vorei ridurele al non essere quello ch’ è fatto, ma non mi posso pentire di quello che io facio non esendo nè in ofesa di Dio, nè in scandolo de gli homini, e se la povera infelice è ridotta a ri sentire le angustie d’ una carcere per me è giusto per legie divina et homana io cerchi di solevarla chon il farla trasportare in uno altro convento dove sia esente dalla penuria in che si trova, e Sua Maestà ch’è un Prencipe nelle relacione incorotto non mi averebe conceduta la gratia se non avesse conosciuta per giusta la mia dimanda ; questa atione in facia de Dio e del mondo è da cristiano e da homo onorato, ciò non ripug(n)ando per pensiero ad una vita civile e da galantomo avendole io distinata una certa somma di denaro per maritarla.
Disseminatevi una competente dose del più bel gorgheggio del mondo. […] Vive ancora tra noi la memoria del dramma intitolato La Divisione del mondo, e d’altre opere musicali per lo vastissimo accompagnamento di macchine e per la magnificenza onde furono colà decorate. […] Allori e palme Tutto il mondo vassallo a lui raccolga. […] Disseminatevi una competente dose del più bel gorgheggio del mondo. […] [Sez.IV.3.0.6] Ma la sorgente più feconda per lui sarà il commercio del mondo, teatro d’ogni passione e d’ogni carattere.
Ebbe dunque tutta la ragione del mondo il sig. […] Il di lui Prologo decantato (in cui declama in 106 pagine contro l’imbecille Racine, l’ignorante Voltaire e tutti i Francesi e gl’ Italiani che non dicano che il teatro della sua nazione sia il primo del mondo, ed egli il Principe de’ Letterati del secolo XVIII) serve di scudo a una Collezione di commedie Spagnuole di figuron, di capa y espada, ed heroicas.
Mancano dunque i Cinesi di arte e di gusto nel dramma che pur seppero inventare sì di buon’ ora; e con tanto agio non mai appresero a scerre dalla serie degli eventi un’ azione verisimile e grande, atta a produrre l’illusione che sola può trasportare gli ascoltatori in un mondo apparente per insegnar loro a ben condursi nel veroa L’ultima opera del riputato Guglielmo Robertson sulla Conoscenza che gli antichi ebbero del l’India, ci presenta nel l’Appendice la notizia di un altro dramma orientale scritto intoruo a cento anni prima del l’era Cristiana.
Niccolini ne dettò una breve e forbita necrologia, della quale ecco il principio : Paolo Belli-Blanes, fiorentino, mancato di vita ne’ 15 ottobre 1823, ha delle sue virtù e del suo ingegno lasciato negli amici il desiderio, e nel mondo la fama.
Il ’55 a Vercelli mette su uno spettacolo, I briganti calabresi, pel quale s’ingolfa in un mondo di spese : ma lo spettacolo fa furore, un forte guadagno è assicurato ; ed eccoti l’arena di legno, terminato appena lo spettacolo, tutta in fiamme, ecco ogni cosa letteralmente distrutta.
Pare che a Modena si fosse sparsa, molti anni prima, la notizia della sua morte, poichè abbiamo un brano di lettera del 1° gennaio 1735 in quell’Archivio di Stato, così concepito : « Il povero Riccoboni, che avevamo mandato all’altro mondo, vive sempre, e sempre bravo modenese. » Molte sono le opere di teatro ch'egli scrisse, ma tutte ohimè giacenti nell’ oblìo.
Più m’importa la mia Eulalia, Che quanta roba è al mondo. […] A Plauto (si dice) staria molto bene lo essere rubato, per tenere il moccicone le cose sue senza una chiave, senza una custodia al mondo. […] Macro congedando gli spettatori mostra lo scopo morale della favola: Voi che avete moglier giovane e bella, Da lui pigliate esempio, e non ne siate Gelosi più, che certo fate peggio; Perchè il più delle volte è temeraria La gelosia che vi presenta cose Che ’n effetto non sono; e non è doglia Nè miseria di lei peggiore al mondo. […] Non sono io quella, che per esser vostra moglie non mi sono curata di abbandonar la mia madre, nè di andar dispersa dalla mia patria, nè divenir favola del mondo? […] Nel quinto intermedio Roma stessa comparisce scapigliata, incatenata innanzi a un carro trionfale occupato da Alarico, Genserico, Ricimero, Totila, Narsete e dal duca Borbone generale di Carlo V, i quali cantano una canzonetta, che dice Quella che il mondo vinse, abbiamo vinto, alla quale succede il lamento di Roma in due ottave, che conchiudono, Già vinsi il mondo, or servo a gente vile, Come fortuna va cangiando stile.
[6] La cagione degli accennati difetti viene in parte dalla natura stessa del canto, poiché quanto più di attenzione si mette nel far dei trilli e dei passaggi tanto meno rimane per accompagnarli coi segni confaccentisi; ma in gran parte consiste ancora nella inesperienza dei cantori, nel poco studio che ci mettono su tali cose, e nelle false idee che si formano del loro mestiero, non sapendo, o non volendo sapere, che l’anima degli affetti consiste nella maniera di esprimerli, e che poco giova ad intenerirci la più bella poesia del mondo quando accompagnata non venga dall’azion convenevole. […] Così l’amore di Prassitele, il Giove di Fidia, la Venere di Tiziano, il carattere di Augusto nel Cinna, l’anima di Regolo nel Metastasio, altro non furono che un aggregato di proprietà atte a produrre in noi un determinato genere di sensazioni, le quali proprietà sparse prima nel mondo morale o nel fisico, e raccolte poi dagli artefici sotto ad un determinato concetto, costituirono quel tutto che viene decorato col nome di bello. […] Volgo è nelle cose musicali quella razza di sapienti accigliati e malinconici che stampano su tutti gli oggetti l’impronta del loro carattere, e che fatti per abitar piuttosto il mondo di Saturno che il nostro si stimerebbono rei di lesa gravità letteraria, permettendo che la mano incantatrice delle Grazie venisse talvolta a vezzeggiarli. […] [55] Che se a questa classe voglionsi aggiugnerc gli ippocriti di sentimento, quelli cioè che affettano di provar diletto nella musica per ciò solo che stimano esser proprio d’uomo, di gusto il provarlo: se noveriamo anche i molti che, invasati dallo spirito di partito, commendano non ciò che credono esser buono, ma quello soltanto che ha ottenuta la lor protezione; se vorremo separare i non pochi che essendo idolatri di un solo gusto e di un solo stile circoscrivono l’idea del genio nella esecuzione di quello, e rassomigliano a quel capo dei selvaggi, il quale stimando esser le sue campagne il confine del mondo, e se stesso l’unico sovrano dell’universo, esce ogni mattina dalla sua capanna per additar al sole la carriera che dee percorrere in quel giorno; si vedrà che alla fine dei conti quel gran pubblico signorile e rispettabile si risolve in un numero assai limitato di uditori che capaci siano di giudicare direttamente. […] Non vogliono riflettere che la più bella musica del mondo diventa insipida qualora le manchi la determinata misura del tempo e del movimento, che troppo è difficile conservar l’uno e l’altro nelle carte musicali prive dell’aiuto del cantore e della viva voce del maestro, che in quasi tutte l’arie antiche abbiamo perduta la vera maniera d’eseguirle, onde rare volte avviene che il movimento non venga alterato o per eccesso o per difetto, e che il gusto del cantore che s’abbandona a se medesimo nell’atto di ripeterle non può a meno di non travvisarle a segno che più non si riconosca la loro origine.
E allora, o tu fai dell’interno del tuo teatro un settizonio o una torre, e senza un bisogno al mondo allontani di troppo gli spettatori degli ordini superiori dal punto di veduta che si prende nel palchetto di mezzo del primo ordine, ovvero pochissimi torneranno gli ordini dei palchetti, e perdi inutilmente dello spazio.
Ebbe dunque tutta la ragione del mondo il sig.
Euripide l’anno primo dell’olimpiade LXXV, cioè 479 anni innanzi alla venuta del Redentore, e 224 della fondazione di Roma, nacque in Salamina, ove per la famosa spedizione, che preparavasi da Serse contra la Grecia, si erano ritirati i suoi genitori Mnesarco e Clitona, i quali gli diedero il nome di Euripide per la celebre vittoria dagli Ateniesi di loro compatriotti riportata sopra i Persiani presso alla bocca dell’Euripo in quel medesimo giorno ch’egli uscì alla luce del mondo.
Quel bagagliume non la riguarda ; lei sente che il momento umano, della situazione e del carattere, non deve essere alterato da impeti vanitosi che non hanno nè la ragione nè il sentimento dell’arte ; lei sente che i prontuari, le tradizioni, le pratiche di quel mondo artificiale non hanno il potente alito di vita della creatura fatta ad imagine e similitudine ; lei sente che l’applauso del pubblico, dal mormorio di approvazione al grido entusiastico, deve prorompere spontaneo, non deve essere strappato con le tenaglie arroventate del mestiere ; e per quanto non abbia dato finora delle interpretazioni complete, nel tono generale della recitazione della Tina Di Lorenzo si vede questo che è la pura bellezza dell’arte della scena ; vivere una creatura, non fare una parte con tutti gli annessi e connessi del macchinario, e si scorge nella dizione, dalla piana a quella che si eleva nel vario erompere di una passione, nel vario avvicendarsi di una situazione ; e si scorge nel modo di concludere la frase, senza finali di maniera ; e si scorge nello sprezzo, costante, tenace, di quelle note stridenti, le quali anche a volte, rarissime, innocenti, riuscirebbero all’effetto dell’applauso plateale …… Dal terzo articolo : « quello che non c’è.
Le più nuove fantasie, i più gran ghiribizzi del mondo, trabiccoli, centinamenti, tritumi, trafori, ogni cosa è messo da loro in opera, purché abbia dello strano.
E nella Storia filosofica e politica degli stabilimenti degli Europei in America così si dice nel libro XIX: Quando Errico VIII volle equipaggiare una flotta, fu obbligato a noleggiare i vascelli di Hamburg, di Lubeck, di Dantzich, e soprattutto di Genova, e di Venezia, le quali solamente sapevano allora costruire e condurre armate navali, fornivano destri piloti ed esperti ammiragli, e davano al l’Europa un Cabotto, e un Verazzani, uomini divini, per li quali il mondo è divenuto si grande.
E nella Storia filosofica e politica degli stabilimenti degli Europei in America così si dice nel libro XIX: Quando Errico VIII volle equipaggiare una flotta, fu obbligato a noleggiare i vascelli di Hamburg, di Lubeck, di Dantzich, e sopratutto di Genova e di Venezia, le quali solamente sapeano allora costruire e condurre armate navali, fornivano destri piloti ed esperti ammiragli, e davano all’Europa un Colombo, un Vespucci, un Cabotto, e un Verazzani, uomini divini, per li quali il mondo è divenuto sì grande.
Sua ventura ha ciascun dal di che nasce, disse ’l Petrarca ; s’ella non ha ajuto bisognerà che tosto il mondo lasce.
Quando un artista a quasi sessant’anni affronta per la prima volta il personaggio di Coriolano, e a oltre sessanta quello di Jago, e a settanta infonde lo spirito a nuovi personaggi con la sua bocca forte, e a settantacinque pensa attraversar l’oceano per sostener le fatiche dell’artista in ben trenta rappresentazioni e nelle più importanti opere del suo repertorio, noi siamo certi di poter chiedere alla sua fibra titanica una nuova e gagliarda manifestazione del genio nel giorno primo di gennajo del 1909 : solennissimo giorno, nel quale il vecchio e il nuovo mondo si uniranno in un amplesso fraterno di arte a dargli gloria.
Un altro de’ più pregevoli frammenti di Menandro parmi quello recato da Plutarco nell’opuscolo de Consolatione ad Apollonium, che noi consultata la traduzione del Silandro così rechiamo in italiano: Se quando al dì la madre tua ti espose Con questa legge tu fra noi venisti, Che a tuo piacer girar dovesse il mondo: Se tal felicità propizio un nume A te promise, a gran ragion ti sdegni: Poichè la fe che ti giurò non serba.
Quando al tempo antico io fui scacciato dal Regno da Gioue mio figliuolo, me n’andai vn gran pezzo ramingo pe ’l mondo, & il primo luogo, che mi paresse sicuro per habitarui, fù alle sponde del fiume, che hora si chiama Reno ; Quiui feci fabricare una Città, e conosciuto il paese per fertile, & abondante, la chiamai Felsina, quasi felix sinus, cioè luogo felice ; e perche gli abitatori di quella mi chiamauano Rè, io che sapevo d’essere stato scacciato dal Regno, rispondeuo Re nò, Re nò ; e di qui il fiume, che passa per la città di Felsina, fù dipoi sempre nominato Reno.
Le argomentazioni di Algarotti, se da un lato riprendono i termini del dibattito primo-settecentesco, dall’altro però si avvalgono della conoscenza diretta del mondo teatrale contemporaneo, che ha un ruolo centrale non solo in questa, ma anche nelle redazioni successive. […] Anche l’aggiunta, alla fine del trattato, di un paragrafo dedicato alla costruzione dei teatri e a problemi logistici, mostra la volontà di riformare nella sua interezza il mondo dello spettacolo operistico, a partire dal rapporto tra testo, musica, canto, ballo cui è dedicato un ampio spazio, fino alla soluzione dei problemi logistici e organizzativi.
I filosofi paghi di signoreggiare fra le altissime teorie del mondo delle astrazioni appena si degnano di scendere all’esame di alcune quistioni, dallo scioglimento delle quali risulta la perfezione delle arti di gusto: come se l’innocente e sicuro diletto che può ritrarsi da esse, sia un troppo picciolo frutto per l’uomo, la di cui vita è sì breve, e i piaceri sì scarsi, ocome se fosse un miglior uso de’ propri talenti, l’applicarli all’investigazione di certi oggetti, i quali la natura ha bastevolmente mostrato di non voler che si cerchino, o togliendoci affatto la possibilità di conoscerli, o rendendoci inutile la cognizione di essi dopo che si sono saputi. […] Il numero delle sue vocali è uguale a quello delle più belle lingue del mondo la greca, e la latina, e sebbene non le adegui nel numero de’ suoni adoperati nel profferirle, tuttavia è assai ricca anche in questi, distinguendo molto bene il suono che corrisponde all’“a” semplice, da quello che corrisponde all’“a” con aspirazione, l’“i” breve dall’“j” disteso, l’“e” e l’“o” aperto, ch’equivalgono all’eta, all’omega de’ Greci dall’“e”, ed “o” chiuso, che rassomigliano all’“e” breve, e all’omicron. né minore si è la varietà di proferire le lettere consonanti, poiché, secondo le osservazioni del Buonmattei 11, da venti soli caratteri che s’annoverano nel toscano alfabeto, si ricavano nella pronunzia più di trentaquattro elementi.
Perinto città della Tracia poscia conosciuta sotto il nome di Eraclea, e si vicina a Bizanzio che l’una e l’ altra si reputarono come una città sola, a’ tempi di Filippo il Macedone ebbe un teatro di marmo di tale magnificenza che passava per una delle maraviglie del mondo.
Solo al bacio tuo possente Si rinnovella il mondo !
[35] «Ma perché incolpare la musica, che adesso non operi tanto, se i miracoli gli ha già fatti, cioè, se ha già umanizzata gran parte di mondo.» […] Non più i principi d’una morale dolce e sublime qual è quella insegnataci dalla religione cristiana, non l’abolimento dell’anarchia feodale, non lo stabilimento di governi più regolari, non la saviezza e la forza delle leggi che imbrigliarono l’impetuosità dell’interesse personale, non la comunicazione fra tutte le parti del globo procurata per mezzo della navigazione, non lo scambievole commercio fra il vecchio e il nuovo continente, non le ricchezze e il lusso che indi ne derivarono, non lo spirito di società il quale avvicinando l’uno all’altro i due sessi ne tempera la ferocia e ne ringentilisce lo spirito, non più il progresso della filosofia e dei lumi sono a’ nostri tempi le cagioni che hanno “umanizzata gran parte del mondo”, ma la musica fu la meravigliosa operatrice di cosìffatti prodigi. […] I Greci ebbero ancor essi i loro “guastamestieri” corruttori del buon gusto ecc,… e lo stesso è seguito e segue ancora fra noi; ma da tutto questo si deve forse arguire che non esiste più una buona musica, o si deve piuttosto confessare per nostra confusione che finché durerà il mondo vi sarà sempre il male accanto al bene, e vi saranno sempre autori mediocri e cattivi in tutte le arti e in tutte le sciente accanto a’ buoni? […] Nulladimeno siccome nel mondo di quaggiù l’aspettazione degli uomini resta sovente delusa, così sarà bene il disaminare se per disavventura siamo ora in questo caso. […] Allora avrà diritto di trarre il mondo letterario nel suo sentimento, quando vedremo da lui rischiarato l’abbuiamento dei codici ch’egli suppone tutti scorretti, e rettificati i pregiudizi de’ traduttori e de’ commentatori ch’egli crede tutti inesperti.
Ciò si vede eziandio dal costume introdotto in que’ tempi assai frequente nelle carte musicali che ne rimangono, di nominar solamente il musico senza far menzion del poeta, come s’egli neppur fosse stato al mondo. […] Campagne verdeggianti, amenissimi giardini, vaste vedute in lontananza di mari gonfi di flutti, procelle, tuoni e folgori che precipitavano dal cielo di nereggianti nubi artifiziosamente ingombrato, i soggiorni dilettosi de’ campi Elisi, gli orrori del Tartaro accresciuti dagli spaventevoli lamenti degl’infelici tormentati, boschi ed alberi nati all’improvviso, i tronchi de’ quali aprendosi i saltellanti Satiri partorivano, e Fauni, e Napee, e Sileni in nuove e disusate foggie vestiti, fiumi che con limpidissime acque scorrendo, lasciavano vedere le Ninfe che per entro guizzavano, insomma quanto v’ha di più bello nel mondo fisico, quante vaghezze somministra la favola tutto fu per ornarle leggiadramente inventato60.
Arlecchino disapprovava tutto : se volete cibar bene il vostro ammalato dategli quattro cervelline di donna, che non vi è cosa più leggiera al mondo.
Adelvolto condotto via dice fra se (quasi andasse a chiudersi alla Trappa) addio mondo, addio consorte, non respiro che morte. […] Se ad altro ella non aspira che ad imbrattarsi di sangue, non è la cosa più polita, ma in fine non è la più funesta del mondo. […] Questa illusione della sua fantasia è ben lunga, occupando tutta la scena; e non finirebbe mai, se non passasse ad un pensiero eterogeneo che la fa discendere dall’immaginazione alla realità del basso mondo. Ella dice: Tu non ci sei (nel mondo), e va bene ciò; ma che luogo può avere in tali suoi pensieri quel che si legge ne’ seguenti sette versi? […] In essa gl’interessati all’impresa facevano finir così la prima scena ottimamente, Tutto perdei, per me non v’è più mondo.
Argomento pel mondo cristiano sì importante attrasse anche in Francia una prodigioso folla di spettatori; ma il prevosto di Parigi stimò bene di proibir quelle rappresentazioni, scorgendovi una certa profanazione delle cose più sacrosante della religione.
Perinto città della Tracia poscia conosciuta sotto il nome di Eraclea in modo a Bizanzio vicina che si reputarono entrambe come una città sola, a’ tempi di Filippo il Macedone ebbe un teatro di marmo di tale magnificenza che passava per una delle maraviglie del mondo.
Questi partiti produssero sanguinose fazioni nella città dominatrice del mondo.
Il di lui Prologo decantato (in cui declama in 106 pagine contro l’ imbecille Racine , l’ ignorante Voltaire e tutti i Francesi e gl’Italiani che non dican o che il teatro della sua nazione sia il primo del mondo, ed egli il Principe de’ letterati de’ suoi giorni) serve di scudo a una Collezione di commedie spagnuole di figuron, di capa y espada ed heroicas.
Questi partiti produssero sanguinose fazioni nella città dominatrice del mondo.
Più m’importa la mia Eulalia, Che quanta roba è al mondo. […] A Plauto (si dice) staria molto bene lo essere rubato, per tenere il moccicone le cose sue senza una chiave, senza una custodia al mondo. […] Macro congedando gli spettatori mostra lo scopo morale dalla favola: Voi che avete moglier giovane e bella, Da lui pigliate esempio, e non ne siate Gelosi più, che certo fate peggio; Perchè il più delle volte è temeraria La gelosia che vi presenta cose Che’ n effetto non sono; e non è doglia Nè miseria di lei peggiore al mondo. […] Non sono io quella, che per esser vostra moglie non mi sono curato di abbandonar la mia madre nè di andar dispersa dalla mia patria, nè divenir favola del mondo?
Lo spettatore, che vede da lontano unirsi la terra col cielo, crede che colà siano posti i limiti del mondo, ma a misura ch’egli avanza il passo, l’illusione sparisce, e più non vi si trova il confine. […] Si cangia la scena, e comparisce Satanasso in trono con gran forcone in mano invece di scettro, avanti al quale Asmodeo presenta Epulone, intuonando certi versi i più ridicoli del mondo.
Né si può negare che l’influenza del clima abbia una gran forza su gl’ingegni, le indoli, e i costumi delle nazioni, da che fra gli antichi il divino vecchio Ippocrate con un dottissimo libro, e fra’ moderni il celebre autor dello Spirito delle Leggi, egregiamente ce ’l pruovano, e la storia, i viaggi, la pratica del mondo, e l’esperienza ce ne assicurano. […] La sotte vanité nous est particulière: Les Espagnols sont vains, mais, d’une autre manière; Leur orgueil me semble, en un mot, Beaucoup plus fou, mais pas si sot Or giacché i francesi, secondo il compilator del Mercurio, «sono più riflessivi degl’Italiani e de’ Greci», mi direbbe egli, perché i suoi nazionali hanno inondato e infettato il mondo con un diluvio di scritti irreligiosi ed empi, di triste e puerili declamazioni filosofiche di rime sciapite e noiose, di libri frivoli, oziosi, inutili e distruttivi del vero sapere, del buon gusto, e delle buone lettere, i quali appena nati, passarono, e svanirono, e dentro d’una totale obblivione restarono ingoiati?
La scena III dell’atto II é piena di dipinture naturali del gran mondo di Parigi; e bene artificiosa é la VII dell’abboccamento di Valerio con Cleone. […] Valerio temendo di parer singolare per troppa bontà, asserisce che tutto il mondo é malvagio, ed Aristo distrugge quest’opinione ingiuriosa: Tout le monde est méchant?
Per cosa del mondo non gli può entrare in capo ch’egli ha da essere subordinato, e che il maggior effetto della musica ne viene dallo esser ministra e ausiliaria della poesia.
[7] S’avverta innoltre al discorso che fa Ercole a Plutone; si rifletta al coro che nella Proserpina ringrazia gli dei per la sconfitta de’ giganti; si leggano i versi dove si fa per ordine di dio la creazione del mondo; si paragonino poi codesti squarci e molti di più che potrebbero in mezzo recarsi coll’ode sulla presa di Namur, dove Boeleau ha voluto far pompa di lirica grandiosità, indi si giudichi, se sia o no più facile il criticar un grand’uomo che l’uguagliarlo.
Lasciate correre: già sapete in qual mondo oggi siamo: vi sono alcuni saputelli, che vogliono saper più de’ Saccentoni, nè si accomodano più a certa Filosofia di un tempo, in cui le voci bastavano a dar corpo alle ombre.
Questi vi diranno, che sebbene l’Uomo sia nel genere degli animali, è nondimeno composto di un’ Anima immortale, e di un Corpo a lei strettamente congiunto; e che per la prima vanta una Ragione che lo costituisce superiore agli esseri, che ne son privi1, e pel secondo, benchè soggetto a tutte le leggi e forze dell’Universo e di ogni sua parte, si trova dotato di una elasticità e attività di fibbre, e di nervi, che lo rende atto a signoreggiare sul rimanente del mondo animale, minerale, e vegetabile.
Diceva però colla maggior naturalezza del mondo, che il primo atto era tutto suo ed era eccellente, il secondo in cui Palaprat avea inserite alcune scene burlesche, era mediocre, il terzo che tutto apparteneva all’amico, era detestabile.
Come entrano questi dentro a una città, subito col tamburo si fa sapere che i Signori Comici tali sono arrivati, andando la Signora vestita da uomo con la spada in mano a fare la rassegna, e s’invita il popolo a una comedia, o tragedia, o pastorale in palazzo, o all’osteria del Pellegrino, ove la plebe desiosa di cose nuove, e curiosa per sua natura subito s’affretta occupare la stanza, e si passa per mezzo di gazzette dentro alla sala preparata ; e qui si trova un palco posticcio : una Scena dipinta col carbone senza un giudizio al mondo ; s’ode un concerto antecedente d’Asini, e Galauroni (garavloni) ; si sente un prologo da Cerretano, un tono goffo, come quello di fra Stoppino ; atti rincrescevoli come il mal’anno ; intermedij da mille forche ; un Magnifico (pag. 180) che non vale un bezzo ; un zanni, che pare un’oca ; un Gratiano, che caca le parole, una ruffiana insulsa e scioccherella ; un innamorato che stroppia le braccia a tutti quando favella ; uno spagnolo, che non sa proferire se non mi vida, e mi corazon ; un Pedante che scarta nelle parole toscane a ogni tratto ; un Burattino (pagg. 181, 183), che non sa far altro gesto, che quello del berettino, che si mette in capo ; una Signora sopra tutto orca nel dire, morta nel favellare, addormentata nel gestire, ch’ha perpetua inimicizia con le grazie, e tiene con la bellezza diferenza capitale.
Scelgo il morir, ma palesando al mondo L’amor tuo, la tua fe. […] Nel Laberinto del Mondo l’Innocenza rappresentata dalla Graziosa, che corrisponde alle nostre Servette e Buffe, in presenza di Theos che è Gesù Cristo venuto su di una nave a redimere il mondo, dice del mare, … por mi cuenta he hallado Que no es grazioso el mar aunque salado; Mas fuera dicha suma Que el chocolate hiciera tanta espuma. […] È una ipotesi troppo inverisimile e ridevole per accreditar le situazioni che seguono, che un Idumeo signore di una parte della Palestina nel tempo che contendevano Ottaviano e Marcantonio dell’impero del mondo, concepisca il disegno di farsi padrone di Roma. […] Ma in questa si vuole osservare che il poeta per sostenere il sentimento opposto introduce un fratello che non è la persona più scaltra del mondo nè la più atta a vegliare su gli andamenti della sorella; ed oltre a ciò essa è da riporsi tralle favole di cattivo esempio che danno peso appo i volgari alle massime perverse del libertinaggioa.
Per cosa del mondo non si leverebbe dal capo ai maestri l’usanza di premettere a qualunque aria la sua piccola sinfonia o concertino. […] Alle volte due campioni incolleriti saranno sul punto di battersi, ma la musica gli tratterà un quarto d’ora colla mano sull’elsa minacciandosi colla più bella melodia del mondo. […] Il sentirla non costa niente, non è effetto del sapere né dell’ingegno, ma da una non so quale disposizione che sebbene dal cielo sia stata data a pochissimi, per tutto il mondo crede di possederla.
Intanto la scena romana spiegava tutto il lusso, il fasto, e la magnificenza conveniente a un popolo arricchito delle spoglie di tanto mondo. […] Apre l’atto II Seneca, che pur viene, non si sa perché, e si mette a moralizzare sulle diverse età del mondo, ravvisando nella sua i vizi di ciascuna: Collecta vitia per tot aetates diu In nos redundant. […] Quelli partiti produssero sanguinose fazioni nella dominatrice del mondo; e Nerone che se ne compiaceva, assisteva nel teatro di nascosto per goderne, e come vedeva attaccata la mischia, soleva anch’egli gittar pietre contro a quelli del partito contrario, e una volta ruppe il capo a un pretore; e in qual’altra guerra avrebbe fatte le sue prove quest’imperador istrione?
Anfitrione gl’ insinua d’implorar da Giove il termine delle sue fatiche; ed egli risponde, che farà de’ voti di Giove e di se più degni; cioè che il cielo, l’etere e la terra serbino concordi il luogo che ottennero nell’uscir dal caos: che gli astri non sieno turbati nel loro corso: che il mondo goda una perenne pace: che tutto il ferro s’impieghi negl’ innocenti lavori villeschi, e mai non si converta in armi; voti nobili e proprii di un cuor magnanimo. […] Apre l’ atto secondo Seneca che pur viene non si sa perchè, e si mette a moralizzare sulle diverse età del mondo, ravvisando in quella in cui egli vive i vizii di ciascheduna, Collecta vitia per tot ætates diu In nos redundant.
Avete inteso mai, che altr’uomo al mondo Abbia sofferto un più villano oltraggio? […] Poter del mondo! […] Già la scena spiegava tutto il lusso, il fasto e la magnificenza conveniente a un popolo arricchito delle spoglie di tanto mondo.
Diceva però con la maggior naturalezza del mondo, che il primo atto era tutto suo ed era eccellente, il secondo in cui Palaprat avea inscrite alcune scene burlesche, era mediocre, il terzo che tutto apparteneva all’amico, era detestabile .
Ma è naturale bensì, che Artabano compreso da smoderato desiderio di regnare, al quale ha le sue mire indirizzate, si spieghi col figlio in tali termini: «È l’innocenza, Arbace, Un pregio che consiste Nel credulo consenso Di chi l’ammira, e se le togli questo In nulla si risolve: Il giusto è solo Chi sa fingerlo meglio, e chi nasconde Con più destro artificio i sensi sui Nel teatro del mondo agli occhi altrui.» […] Se non vi si vedrà sbuccar all’improvviso una furia, né si vedrà volar per l’aria una sfinge, un castello, che comparisce e poi si dilegua: se un sole non si prenderà il divertimento di ballar tra le nugole, con altre somiglianti strambezze solite ad usarsi nelle opere francesi, non è per questo, che non abbia in essi un gran luogo la prospettiva, rappresentando ameni giardini, mari tempestosi, combattimenti terrestri e navali, boscaglie, dirupi, tutto insomma il maestoso teatro della natura considerata nel mondo fisico: spettacolo assai più vario, più dilettevole e più fecondo di quello, che sia l’universo ideale fabbricato nel cervello de’ mitologi e de’ poeti. né ci è pericolo altresì che illanguidisca la musicale espressione, purché l’autore secondo le regole stabilite di sopra scelga nelle storie argomenti pieni d’affetto d’interesse sfuggendo le particolarità, che nulla significano: anzi il dover rappresentare gli umani eventi, che il musico ha tante volte veduti, o de’ quali almeno può formarsi una giusta idea, gli sarà di un aiuto grandissimo a vieppiù internarsi nella passione, e a penetrare più addentro nell’animo dell’uditore, come il dover dipingere eziandio gli oggetti naturali, che sono sotto gli occhi di tutti, gli darà più mossa e coraggio a destramente imitarli.
[25] Fin qui è vero della musica, e lo dovrebbe essere parimenti della poesia: ma se da ciò che dovrebbe e potrebbe essere vogliamo argomentare a quello che è, resteremo sorpresi nel vedere che non havvi al mondo cosa più sguaiata, più bislacca, più senza gusto di questa. […] Io ho divisato non per tanto d’aprire a questo settembre uno spettacolo, e voglio che sia nuovo perché il pubblico è ormai ristucco delle anticaglie di Metastasio, di cui (sebbene sia il primo drammatico del mondo) vuolsi fare quell’uso che si fa nelle case dei vasellami d’argento e delle gioie di gran valore, le quali si cavano fuori in una occasione straordinaria, mentre il restante dell’anno s’adoperano altre masserizie più triviali.
Ed egli risponde, che farà de’ voti di Giove e di se più degni, cioè che il cielo, l’etere e la terra serbino concordi il luogo che ottennero nell’uscir dal caos: che gli astri non sieno turbati nel loro corso: che il mondo goda una perenne pace: che tutto il ferro s’impieghi negl’innocenti lavori villeschi e mai non si converta in armi; voti nobili e proprii di un cuor magnanimo. […] Apre l’atto II Seneca che purviene non si sa perchè, e si mette a moralizzare sulle diverse età del mondo, ravvisando in quella, in cui egli vive, i vizii di ciascheduna, Collecta vitia per tot aetates diu In nos redundant.
Di grazia quale ingegnoso artificio lodevole può campeggiare in una favola che si agevola d’ogni modo il sentiero aggruppando in due ore di rappresentazione la storia di mezzo secolo, e presentando in quattro spanne di teatro tutto il globo terraqueo, ed anche il mondo mitologico e l’inferno e il paradiso? […] La maraviglia accompagna talora gli accidenti umani; ma il miracoloso appartiene al mondo fantastico.
[1.39ED] Ma lascia in pria ch’io mi sfoghi contra cotesti adoratori della tua Grecia, la quale a me non è dio, ma è bene una parte di mondo da cui riconosco la venuta delle bell’arti in Italia. […] [1.47ED] Tu mi dirai d’aver mutate le vesti perché il mondo pur le ha mutate e così, per non parer singolare, ci comparisci figura antica in questo moderno equipaggio. [1.48ED] Ma, comunque siasi, non trovi tu niente di buono e di ragionevole nel vestir nostro e nelle nostre parrucche? […] [1.59ED] Ma le vostre son pur piene di assassinamenti, d’incesti ed appariscono assai più scostumate di quelle che oggi sui palchi rappresentiamo. [1.60ED] Anzi, se il mondo è più scellerato, per questa stessa ragione gli dovrebbero piacer più le vostre. […] [4.10ED] Nessun fiume al mondo è più tormentato di questo, perché anche quivi fra verdure costrette a far di sé logge, portici, teatri e tutto ciò che di grande e di vago può inventare la prospettiva e l’architettura, è violentato a salire in altissimi getti, a discender per gradi da lunga altezza ed a comporre particolarmente una scala di spuma, come di latte, ordinatamente dirotta in cima, in mezzo ed a’ fianchi da’ successivi risalti dello stesso colore e beltà. […] dovendosi… comici: si colga l’intenso scambio che M. seppe intrattenere con il mondo del teatro e in particolare con l’esperienza degli attori.
[commento_Dedica.2] quattro parti del mondo: allude alle vittorie inglesi contro la Francia in Canada, nelle Indie e sui mari nel corso della guerra dei Sette anni.
Io sono l’anima di tuo padre destinata per certo tempo a vagar di notte, e condannata al fuoco durante il giorno, affinchè le fiamme purifichino le colpe che commisi nel mondo . . . . .
Talvolta, amareggiato nel fondo dell’anima, gli accadde di esclamare : Ho paura di non esserci che io solo al mondo di veramente onesto !
L’Uomo di mondo ed il Prodigo a soggetto entrambe, la Donna di garbo scritta interamente, ed il Servo de’ due Padroni argomento suggeritogli dall’eccellente arlecchino Antonio Sacchi, lasciarono intravedere il genio che per gradi si andava disviluppando.
Vorrebbe che tutto il mondo esistesle sol quanto bastasse ad ajutar la sua sterilità, e vorrebbe, dopo il latrocinio, annientarlo. […] Eximeno con facilità aver notizia che Bernardino Daniello fece imprimere la sua Poetica nel 1536, cioè ventisei anni prima che fosse conceputo Lope de Vega: che l’Arte Poetica del vescovo di Ugento e poi di Cotrone Antonio Minturno fu stampata nel 1564, cioè due anni dopo che il Vega venne al mondo; che quando nel 1570 si pubblicò la prima volta in Vienna la Poetica di Lodovico Castelvetro, Lope contava appena otto anni, cioè neppure era pervenuto a que’ dieci, in cui vantavasi di aver conosciuti i precetti degli antichi, Passè los libros que tratavan de esto Antes que hubiesse visto al sol diez veces Discurrir desde el aries à los peces.
Die: Scelgo il morir, ma palesando al mondo L’amor tuo, la tua fè. […] Nel Laberinto del Mondo l’Innocenza rappresentata dalla Graziosa, che corrisponde alle nostre Servette o Buffe, in presenza di Theos che è Gesù Cristo venuto su di una nave a redimere il mondo, dice del mare, . . . […] Ma in questa si vuole osservare che il poeta per sostenere il sentimento opposto introduce un fratello che non è la persona più scaltra del mondo, nè la più atta a vegliare sugli andamenti della sorella; ed oltre a ciò essa è da riporsi tralle favole di cattivo esempio, che danno peso appo i volgari alle massime perverse del libertinaggio116.
TAL fu nel mondo conosciuto l’antico stato degli spettacoli teatrali.
Lei nova meraviglia il mondo appella, Talia fra mille a dito la dimostra, per Lei l’ausonia scena or si rabbella, per Lei, Muse, va al ciel la gloria vostra.
Vorrebbe che tutto il mondo esistesse sol quanto bastasse ad ajutar la sua sterilità, e vorrebbe, dopo il latrocinio, annientarlo. […] Come domiciliato in Italia il signor Eximeno poteva agevolmente aver notizia che Bernardino Daniello fece imprimere la sua Poetica nel 1536, cioè ventisei anni prima che fosse conceputo Lope de Vega: che l’Arte Poetica del vescovo di Ugento e poi di Cotrone Antonio Minturno fu stampata nel 1564, cioè due anni dopo che il Vega venne al mondo: che quando nel 1560 si pubblicò la prima volta in Vienna la Poetica di Lodovico Castelvetro, Lope contava appena otto anni, cioè neppure era pervenuto a que’ dieci, nel qual tempo vantavasi di aver conosciuti i precetti degli antichi, Passè los libros que tratavan de esto Antes que hubiese visto al sol diez veces Discurrir desde el Aries à los Peces.
Un rompicollo perseguitato dalla Giustizia, incapace di amistà, senza rispetto di Leggi, nè di Religione, non solo ammesso da Leonora nella propria Casa, ma da lei cercato fino nella Locanda, come farebbe una donnicciuola di mondo.
Diciamo ciò per ausiliar colla verità certa filosofia che sempre ragiona prima di assicurarsi de’ fatti, e che in conseguenza si avvolge per un mondo fantastico e combatte in altri le proprie chimere.
Fralle altre cose cerca in tal guisa muoverla per l’ambizione e per la gloria: Ma tu, Semiramis, che in tutto il mondo Di gloria avanzi ogni famoso eroe….. […] Lo stesso Folengo, ad istanza del vicerè di Sicilia don Ferrante Gonzaga, compose in Palermo, ove erasi rifugiato, un’ azione drammatica intitolata la Pinta o la Palermita, intorno alla creazione del mondo e alla caduta di Adamo.
Egli ne ha composte varie, esatte e spiritosa, e piene di caratteri assai di moda nel gran mondo, avendo coloriti con somma vivacità gli uomini ben nati, falsi, doppi, e furbi infatti, e nobili, onesti, e virtuosi in parole.
Diciamo ciò per ausiliar colla verità certa orgogliosa filosofia dello spagnuolo Arteaga che sempre ragiona prima di assicurarsi de’ fatti, e che in conseguenza si avvolge per un mondo fantastico, e combatte in altri le proprie chimere.
Io sono l’anima di tuo padre destinata per certo tempo a vagar di notte, e condannata al fuoco durante il giorno, affinchè le fiamme purifichino le colpe che commisi nel mondo… Se mai sentisti tenerezza per tuo padre… Aml.
Vò che ritorni al mondo, perchè i tragici che vi sono rimasti, sono ignoranti. […] Il coro oppone che la povertà riempie anzi il mondo di miserie. […] Un altro de’ più pregevoli frammenti di Menandro parmi quello recato da Plutarco De Consolatione ad Apollonium, che noi in tal guisa recheremo in Italiano, consultata la traduzione del Silandro: Se quando al dì la madre tua ti espose, Con questa legge tu fra noi venisti, Che a tuo piacer girar dovesse il mondo: Se tal felicità propizio un nume A te promise, a gran ragion ti sdegni, Poichè la fe che ti giurò, non serba.
Poter del mondo! […] Già la scena spiegava tutto il lusso, il fasto e la magnificenza conveniente a un popolo arrichito delle spoglie di tanto mondo.
Fralle altre cose cerca in tal guisa muoverla per l’ambizione e per la gloria: Ma tu, Semiramis, che in tutto il mondo Di gloria avanzi ogni famoso eroe ..... […] Lo stesso Folengo, ad istanza del Vicerè di Sicilia Don Ferrante Gonzaga, compose in Palermo, ove erasi rifugiato, un’ azione drammatica intitolata la Pinta, o la Palermita intorno alla creazione del mondo e alla caduta di Adamo.
Vo che ritorni al mondo, perchè i tragici che vi sono rimasti, sono ignoranti. […] Il Coro oppone che la povertà riempie anzi il mondo di miserie.
Occorre dunque formarsi un mondo ideale che, pur essendo modellato sul reale, trasformi il vero in verosimile. […] Ad imitazion del quale stimerei cosa espedientissima, che il pittore si dilettasse di vedere fare alle pugna, di osservare gli occhi de’ coltellatori, gli sforzi dei lottatori, i gesti degli istrioni, i vezzi e le lusinghe delle femmine di mondo, per farsi istrutto di tutti i particolari”. […] In questa maniera dalle tante osservazioni che fa l’artista sul vero si forma un mondo ideale, che mentre è verisimile, perché sul reale formato, è di questo assai più bello ed interessante; ed in questo mondo ideale dee pur cercare l’espressione, il suo tipo. […] Per la qual cosa il giusto e l’iniquo, il magnanimo e il perfido ecc., del mondo ideale è più giusto o più iniquo, è più magnanimo o perfido di chi sia tale nel mondo reale. […] Senza una tale istituzione, o si perde o men si acquista quella forza di animo, per cui l’attore apparisce qual debbe nel mondo civile e drammatico.
Dulcidio è il più savio sacerdote del mondo; egli ha persuasa Olvia, ha spedito un soldato a Giugurta senza saputa del generale, si è trattenuto sull’affare per cinque pagine, ed al fine si ricorda di domandare ad Olvia, se Megara sappia nulla del trattato.
Dulcidio è il più savio sacerdote del mondo; egli ha persuasa Olvia, ha spedito un soldato a Giugurta senza prevenirne il generale, si è sull’affare trattenuto per cinque pagine, ed al fine si ricorda di domandare ad Olvia, se Megara sappia nulla del trattato.
Tutto il mondo volea che il mio vicino Fosse d’Atene anzi di vita indegno, Per aver sovvertito e messo al fondo Il giovane Lesbonico.
Tutto il mondo volea che il mio vicino Fosse d’Atene anzi di vita indegno, Per aver sovvertito e messo al fondo Il giovane Lesbonico.
Quell’imperadore che si era macchiato di delitti e di atrocità, divenuto penitente implora da Dio di esserne punito in questo mondo, e non con pene eterne, e quindi soggiace a’più dolorosi colpi prima che il tiranno Foca lo faccia uccidere. […] Il parlar di Bruto da vero Romano astringe Cesare a dire : Io vorrei solo al mondo Esser Bruto, s’io Cesare non fossi.
Anzi, con il Bouhours, Calepio intrattiene un duro corpo a corpo, volto a delegittimare l’opinione, difesa negli Entretiens d’Ariste et d’Eugène, secondo cui il francese era al contempo la lingua più semplice e nobile al mondo, naturalmente ostile, a differenza dell’italiano, ai concetti e alle pointes (Paragone VI, 4): il bergamasco riporta così un gran numero di passi di Corneille, di Racine, di de La Fosse, di Deschamps, di Duché, di Crébillon, di Voltaire in cui vengono sistematicamente introdotte personificazioni, allegorie, segni, traslati, perifrasi ed epiteti per mostrare quanto sia comunemente diffuso, nelle prove d’oltralpe, un linguaggio costruito e innaturale che sarebbe più consono a un poema epico o a una lirica, piuttosto che a una tragedia. […] Toccò di passaggio questa materia il marchese Maffei nella prefazione del suo Teatro Italiano; adducendo alcune ragioni contro l’opinione favorevole a’ Francesi: ma perciocché trapassa egli lievemente ciò che di maggior dichiarazione ha mestiere, e perché non discende a certe prove particolari che sarebbono necessarie per appagare il mondo, e finalmente perché non credesi totalmente giusta qualche sua censura ho già creduto opera non vane il fare un esame diligente e disappassionato delle italiane e delle francesi tragedie per discuoprire i pregi ed i difetti di queste e di quelle. […] Per tale inganno desiderava monsieur Saint Evremond, come s’espresse nel giudizio sopra l’Attila di Cornelio, che questo poeta prendesse a comporre tragedia sopra Annibale e Scipione, non ad altro fine che per veder parlare in maniera conveniente due de’ più grand’uomini del mondo. […] [1.1.11] L’accenno di Calepio va in questo caso ai prodromi della filosofia cartesiana, ben radicata in tutto il mondo delle lettere francese sei-settecentesco: dalla ripresa, talvolta semplicistica, del Discours de la méthode di Cartesio procedeva una profonda messa in discussione delle auctoritates nella convinzione dell’indipendenza del giudizio da tutto ciò che non era la ragione individuale, correttamente esercitata.