Fu poi, nello stesso ruolo, con Carolina Internari, poi, prima attrice assoluta, col Meneghino Moncalvo, col quale recitò, dopo la Carolina Santoni che l’aveva creata, la parte della protagonista nella Maria Giovanna.
Ebbe, giovinetto, molta facilità nello scrivere, e serbo di lui manoscritto un buon volgarizzamento della Lelia di Giorgio Sand.
Nè gli studi scientifici gl’impedirono mai, nonostante la sua piccola statura poco teatrale, di farsi applaudire come caratterista e promiscuo, sia per la diligenza scrupolosa nello studio de' caratteri, sia per l’ingegno pronto nella loro interpretazione, sia per una certa vivacità, soverchia forse tal volta, di recitazione.
Il Costetti ne lo fa uscire il '43, sostituito da Pietro Boccomini, ma è questo errore evidente, giacchè lo vediamo per l’anno '41-'42 primo attore assoluto della Compagnia Giardini, Woller e Belatti, dalla quale passò poi nello stesso ruolo in quelle di Corrado Vergnano, e di Angelo Rosa con cui stette lungo tempo.
Finito il servizio militare, era di seconda categoria, passò primo attore giovine in Compagnia di Luigi Pezzana con Ceresa primo attore, Adele Marchi prima attrice, e la Duse prima attrice giovine ; poi, nello stesso ruolo, in quelle di Bellotti-Bon, di Pasta, Nazionale, della Marini, di Marchetti e la Giagnoni, passando finalmente primo attore e capocomico in società, prima con Pasta e Garzes, poi con Talli.
) crede di poter rilevare esser questa l’Angelica Alberigi o Alberghini, che nello stesso tempo circa (15 gennaio 1583) scriveva da Bologna al Duca : « Essendo desiderosa la nostra Compagnia far comedie questo carnevale in Mantova, la suplicamo resti servita di far che solo la nostra possa recitare comedie, poichè habbiamo da Filippo musico di S.
Ornato di bella presenza, di sana educazione, di non comune ingegno, risolse di formar compagnia egli stesso ; e tanto perseverò nello studio dell’arte, che in capo a pochi anni divenne un buon primo amoroso.
[3.3] L’andare dipoi de’ nostri attori, gli atteggiamenti loro, il portamento della vita, i moti della persona non discordano punto dalla poca grazia, che e’ mostrano nel pronunziare e nello esprimersi. […] Pensano in contrario che tutta la scienza stia nello isquartar la voce, in un saltellar continuo di nota in nota, non in isceglier quello che vi ha di migliore, ma in eseguire ciò che vi ha di più straordinario e difficile. […] D’Alembert nello ingegnosissimo discorso da lui composto sopra la libertà della musica.
Il 5 settembre del 1739 Alessandro Ciavarelli esordì alla Commedia italiana colla maschera di Scapino nello Scenario italiano, La Cameriera, già rappresentato il 1616 allo stesso teatro sotto il titolo di Arlecchino, marito della moglie del suo padrone, ovvero la Cameriera nobile ; e tanto vi piacque, dice il D’Origny, per la energia, l’intelligenza e la precisione, che non si fu punto in forse di accettarlo in società.
Entrata l’ ’86 in arte come amorosa, fu scritturata l’ ’87 da Enrico Dominici come prima attrice giovine, per passar poi nello stesso ruolo con Giovanni Emanuel, col quale stette il triennio ’88-’89-’90, e al quale, maestro de’più egregi, deve gran parte del suo valore artistico.
Infatti il 20 maggio del '52, alle nove di sera, ei si slanciò per di dietro su di un soldato della guardia che andava a braccietto di un amico : lo separò con violenza, lo percosse con pugni nello stomaco, e tratta la spada, glie l’appuntò al petto, provocandolo e sfidandolo.
) riferisce un brano, inserito nello Spettatore napolitano del 1844.
Riappare a Venezia nel carnevale del 1522, e lo vediamo recitare il 2 febbraio una tragedia in casa Grimani alla presenza del vescovo d’Ivrea, il 9 detto una commedia nel Convento dei Crocicchieri, e il 12, nello stesso luogo, la Mandragola.
Nulla sappiamo degli attori, se non che di una servetta strasburghese e di un arlecchino, il suo amante, intorno ai quali i alla famiglia Bassi è nello stesso Casanova la descrizione di un’orgia schifosa al segno da far arrossire il più spregiudicato uomo del mondo.
La esuberanza dei suoi mezzi fisici, con l’invidiabile suo organo vocale, credo che in luogo di giovargli gli furono dannosi, poichè, se avesse dovuto combattere qualche lieve imperfezione, si sarebbe maggiormente addentrato nello studio dei segreti, che dirò psicologici, dell’arte, e ne avrebbe ottenuto uno splendido effetto.
L’occhio pareva perdersi talvolta nello spazio vagamente, indefinitamente ; tal volta invece, pareva ch’ ella guardasse innanzi a sè e sopra di sè, come in aspettazione di qualcosa di alto, che non sapeva ben definire, ma di cui presentiva l’arrivo. […] Ma i grandi pregi della Duse non furon mai in un discorso accarezzato, miniato, scivolato, precipitato con finale a effetti, non nel dondolio delle braccia, non nello strascichio della persona. […] E a questo sentimento di modestia Eleonora Duse deve la perseveranza nello studio, che, arrotondando e perfezionando la sua natura d’artista, la collocò sul piedistallo di gloria, in cui oggi si trova : natura d’artista che traspariva tutta, anche fuor di scena, ne’ gesti, nelle parole, negli scritti. […] Insomma, una grande pace nello spirito – un gran sorriso – per Lei – la piccina mia – e un benessere assoluto del mio fisico, che cominciava a tarlarsi alla radice. – Ecco tutto. […] E noi, grandissimi fin qui, nello slancio, nella spontaneità, nella esuberanza del sentimento, rimarremo almeno grandi poi nella virtuosità dell’espressione ?
È nello stesso elenco una Giuseppa Dafilisi, errore forse di stampa e forse moglie o figlia di Bartolommeo.
Dopo gli anni, che chiameremo di noviziato, ma che furono anni di vita artisticamente vissuta, nei quali la prima attrice giovane colla intelligenza svegliata, colla voce insinuante, colla dizione limpida e piana, era diventata l’idolo del pubblico, passò prima attrice assoluta nella Compagnia di Cesare Rossi, osteggiata dai più, che vedevano in lei nelle grazie del viso, la eterna ingenua, ma accompagnata dall’incoraggiamento dei pochi, che vedevan nella gagliardìa della sua mente, e della sua volontà, nello sviluppo ognor crescente delle sue attitudini, una giovane forza che sarebbe arrivata in breve agli alti gradi dell’arte.
Esordì a Torino e subito fu riconosciuto attore di rari pregi ; talchè, addentratosi ognor più nello studio, riuscì in breve il più valoroso artista del suo tempo a giudizio d’uomini competenti, quali Francesco Gritti, che afferma « nelle parti dignitose e gravi, e ne' caratteri spiranti grandezza e pieni di fuoco, lui rendersi certamente impareggiabile » e Carlo Gozzi che lo chiama « il miglior comico che abbia oggi l’Italia, » e Francesco Bartoli che gli dedica nelle sue Notizie più pagine dell’usata iperbolica magniloquenza. « Una magistrale intelligenza – dice – una bella voce sonora, un personale nobile e grandioso, un’ anima sensibile ed una espressiva naturale ma sostenuta, formano in lui que'tratti armonici e varj, co'quali sa egli così ben piacere e dilettare a segno di strappare dalle mani e dalle labbra degli uditori i più sonori applausi. » Nel Padre di famiglia di Diderot, nel Gustavo Wasa di Piron, nella Principessa filosofa e nel Moro dal corpo bianco di Carlo Gozzi, nel Radamisto di Crebillon, nel Filottete (di De la Harpe ?) […] Nel 3° volume del Teatro applaudito sono per quella stagione e su quell’attore le seguenti parole : « Fu sempre eguale a sè stesso, e sempre grande tanto nel tragico, quanto nel comico, specialmente colla parte del Re nell’Adelasia in Italia, con quella di Benetto nello Sposo veneziano rapito, e coll’altra di protagonista nel Ladislao ».
Realista nella ricerca, nello studio ; realista alla ribalta, nel risultato.
Sacco-Vitalba Angela), e recitò ammirato nelle favole di Carlo Gozzi, dalle cui Memorie inutili riferisco il brano che riguarda la parte ch' ebbe Vitalba nello scandalo Gratarol, riproducendolo al vivo in Le Droghe d’amore, dal quale si ha un chiaro cenno delle sue qualità fisiche e morali.
Egli il quale non aveva che un fine nella vita : lo studio ; e un fine nello studio : l’arte ;…. che, vittima di una modestia fuor di misura, il più bello e il più fatale degli ornamenti umani, avea l’animo delicato a segno da accoglier ogni dolorosa sensazione che la superbia e ignoranza e invidia gli venivan man mano generando, egli, dico, inconscio della sua forza, si ritrasse alla fine dalla battaglia, più rassegnato che sfiduciato.
Ma se creazioni tipiche nello stretto senso della parola non vi furono (nella recitazione del Papadopoli non era celato lo studio, ma, al dire di più contemporanei non era studio affatto), tutti i suoi personaggi acquistaron tale apparenza di realtà, che non era possibile il desiderar di più.
Milano, Classici, M DCCCXXX), in cui dà ragguaglio della Fulvia, pastorale dell’abate Giovanni Bravi, della quale tutti i letterati dicevan mirabilia, giudicandola superiore all’Aminta nello stile, al Pastor Fido nello spirito, e impeditane la stampa dai Revisori « per certi baci ed amplessi forse un po' troppo teneri. » Fra le tante curiosità bibliografiche del teatro italiano, è da notare un rarissimo libretto di M.
Il suo capolavoro però è una semplice commediola in due atti, Niente di male ; un giojello ancor luccicante nello scrigno dell’arte nostrana.
Fu nello stesso ruolo, il 1820, col Fabbrichesi, il quale, quando condusse il ’24 la Compagnia a Trieste, l’assunse al grado di prima donna assoluta.
Cesarea nello Stato di Milano, e di altri, eran già stati eretti in sala conveniente palcoscenico e palchetti ; quando, al momento di partire, gli fu ingiunto di aspettar l’ordine del Marchese Decio Fontanella, che probabilmente lo avrebbe fatto andare a Vicenza anzichè a Pavia.
Ella, consapevole del suo valore, irrigidita nello sforzo costante di una meta prefissa, e di cui, per molti anni, ha forse creduto di avere smarrito la limpida visione, assorta perennemente nella ricerca di una perfettibilità, che è il tormento e la forza dei grandi artisti, Italia Vitaliani non sa trovare quelle parole ambigue che dicono e non dicono, quelle frasi rivolute entro cui il pensiero guizza e si smarrisce con agilità serpentina : no, quando una persona, sia pure un personaggio, la secca, essa lo dimostra ; quando un lavoro, sottoposto al suo giudizio, le spiace, essa lo dice, senza perifrasi nè pietose tergiversazioni ; quando è di cattivo umore non sa trovare una maschera di giocondità da collocarsi sul viso ; che se poi ella, o per la naturale bontà dell’animo o per altre considerazioni, cerca di nascondere il suo pensiero o velare le sue impressioni, esiste allora una tale antitesi fra il suono della parola forzatamente benigna e l’impaziente lampeggiare degl’ immensi occhi grigi, che si comprende subito come la più lieve finzione le riesca fastidiosa.
Il loro studio consiste nel verificar appuntino le date, nel sapere il numero e i titoli delle produzioni d’un autore, per quanti mesi ei le ritenne chiuse nello scrigno, quanti manoscritti se ne facessero, in qual anno e da quale stampatore vedessero la pubblica luce, quante edizioni siano state fatte finora. […] Ei solo, penetrando più addentro nello spirito delle regole, sa fino a qual punto debbano esse incatenar il genio, e quando questo possa legittimamente spezzarne i legami: sa stabilir i confini tra l’autorità e la ragione, tra l’arbitrario e l’intrinseco: sa perdonar i difetti in grazia delle virtù, e misurar il pregio delle virtù per l’effetto, che ne producono. […] Leggendo i molti e celebri autori che mi hanno preceduto nello scriver della letteratura, ho avuto ocularmente occasione di confermarmi in un sentimento, che avea da lungo tempo adottato, ed è che la storia non meno letteraria che politica delle nazioni altro non sia che un vasto mare d’errori, ove a tratto a tratto galleggiano sparse alla ventura alcune verità isolate.
Non è adunque da maravigliarsi che i vizi d’un sì cattivo esemplare si propagassero ai melodrammi francesi, e che questi sprovveduti d’ogni poetico pregio cadessero nello stesso avvilimento in cui erano caduti in Italia. […] Una cognizione più intima del teatro gli fece avvertire che l’aria, essendo quasi l’epifonema o l’epilogo della passione, non dovea collocarsi sul principio, o tra mezzo ad una scena, giacché non procedendo la natura per salti, ma bensì colla opportuna graduazione ne’ suoi movimenti, non è verosimile che sull’incominciare d’un dialogo si vedesse di già il personaggio nel colmo della passione per rientrar poi immediatamente nello stile pacato che esige il recitativo. Lo che era incorrere nello stesso errore in cui incorrerebbe un retorico, il quale dasse principio ad un discorso colla perorazione, facendo in seguito succeder l’esordio.
Finalmente, dopo inaudite difficoltà, la Compagnia, e questa volta sotto la direzione di Lelio, si decide di tornare in Francia, ove, a Parigi e a Fontainebleau, gli affari vanno a gonfie vele, e Lelio e Florinda, la moglie, festeggiatissimi, ricevono regali in danaro, vestiti e gioielli ; e ove pubblica per le stampe del Delavigne (1622) le nuove commedie La Sultana, La Ferinda, L’Amor nello specchio, I due Leli simili e La Centaura. […] Allora vien subito « sollevata da terra con ingegno sotterraneo alquanto in alto » sostenuta dai lati da due Angioli : e nello stesso tempo la scena si muta in asprissimo deserto. […] A un dato punto si apre un antro, ove è immensità di luce, poi in essa luce un Crocifisso, davanti al quale Maddalena s’inginocchia e prega ; poi presoselo fra le braccia « e a capo chino rimirandolo, al suon d’un flebil Miserere passeggiato il teatro per un poco, parte ; e qui al suon di trombe s’apre la Gloria, dove si vedono molti Angeli, Maddalena altamente nello stil musical recitativo lodando. […] Debbe insieme chi legge operar, che l’ intelletto comandi alla memoria che dispensa il Tesoro de’ premeditati concetti nello spacioso campo delle continue occasioni, che la Comedia porge, in quel modo, ch’ egli possa pretender di mieter applauso, et non di raccoglier odio, come fanno certi, che trattano con un servo sciocco, od una femina vile, con quelle forme di dottrine, che solo vanno adoperate con huomini saggi, et di eminente conditione.
E nello stesso anno a Vienna si accordaron per grazia speciale cinquantotto fiorini al Magnifico che recitò a un pranzo di Corte ; nel quale il Trautmann non è alieno dal riconoscere il Pasquati. […] Anticamente il Pantalone o Magnifico ebbe anche tal volta barba intera e lunghi capelli bianchi, come si vede nello stesso Pantalone di Martinelli, e in quelli di Trausnitz (V.
Ma morto il padre, il desiderio di calcar le scene lo vinse, e a sedici anni fece le sue prime prove col celebre Taddei, scritturandosi poi col Pellizza, secondo amoroso, poi, nello stesso ruolo col Domeniconi, sotto il fratello Tommaso primo attor giovine. […] Ma quando Salvini era Salvini, sia che, Sansone, si pigliasse di un tratto su le spalle il padre, e con quel fardello non lieve (il padre era Giustino Pesaro) salisse a corsa l’erta non facile, sia che, Armando, gemesse infantilmente a'piedi di Margherita, il pubblico era afferrato, soggiogato : io lo ricordo in una intera stagione (agosto 1868 al Politeama fiorentino) ; e ricordo la sua grandezza inalterata nel Sansone, nella Suonatrice d’arpa, nella Francesca da Rimini, nel Torquato Tasso, nel Giosuè il Guardacoste, nella Zaira, nell’ Amleto, nel Sofocle, nella Pamela nubile, nel Gladiatore, nell’Oreste, nella Missione di donna, nella Virginia, nella Vita color di rosa, nella Morte Civile, nel Sullivan, nell’ Otello, nello Scacco matto, nel Re Lear, in Giulietta e Romeo (del Ventignano), nel Milton, nella Colpa vendica la colpa !
— Comedia (Venezia, Alessi, 1556), per la quale fu dettato un proemio dal Padre Sisto Medici, domenicano, allora insegnante teologia nello studio di Padova.
Il Gollinetti confessò il suo torto, riacquistò il suo credito di buon attore, senza usurparsi quello di Autore…… Nel 1748-49 passò in Varsavia colla Compagnia italiana, e nello schizzo apparso a Stuttgart, nel 1750, è detto di lui che era un uomo alto e ben tagliato.
Torno a dire che ragionevolmente fate della sua persona buon giudicio : mouendoui a ciò, potrebbe essere la forza delle stelle che forsi nel uostro natale, nello stesso modo all’uno et all’altro concorsero. […] E di Amante fattami messaggera d’Amore, termini la pretensione delle mie speranze nello affaticarmi per l’altrui contento, et nel consumarmi per le altrui delicie ?
Al presente sono esse così minute che non hanno luogo a fare una impressione durevole, né servono ad altro che a snervare, a così dire, la forza del suono spezzandolo in parti troppo deboli perché troppo leccate, nella stessa guisa che l’eccedente uso dei diminutivi nello stile rende molle di soperchio e stemperata la poesia132. […] Qualunque eroe, qualunque eroina si trovi nello stesso caso verrà dagli stromenti dipinta nella guisa medesima. […] Havvi un altro esempio dell’accennato difetto nello stesso recitativo allorché in quelle parole: «Se vè clemenza in Cielo perché non cade un fulmine, e risolve La Reggia in fumo, e Ricimero in polve?» […] Non s’insegna loro la fisica propria del mestiere che consisterebbe nello studio dell’acustica, ossia nello esame di quei rapporti che la risonanza dei corpi sonori ha colla macchina umana, e in particolare col nostro orecchio, quantunque sia fuor d’ogni dubbio che tali notizie gioverebber moltissimo alla perfezione e maggior finezza dell’arte. […] Come il lusso, che manifesta una ricchezza apparente nello stato politico, annunzia da lontano agli osservatori sagaci il languore e la povertà della maggior parte degli individui.
Ed é tale l’esattezza che si esige nell’imitazione de’ caratteri, o il timore di abbassarsi rappresentando una parte inferiore, che ciascuno nel dramma sostiene il medesimo carattere che lo distingue nello stato.
E per farsi un’idea della stima in cui era tenuto Domenico Biancolelli a Parigi, e della specie de’suoi ammiratori, protettori e amici, basti vedere nello Jal (op. cit.
Nel V si veggono benchè in iscorcio i vaneggiamenti de’ due amanti, la sorpresa di Rinaldo al raffigurare nello scudo incantato la propria mollezza, la deliberazione che egli fa di partire, l’arrivo e gli sforzi di Armida per trattenerlo, il di lei svenimento, la partenza de’ guerrieri, i pianti e la disperazione della maga. […] Da una banda la storia ci dimostra che Lulli riconosceva la superiorità del Quinault nel verseggiare e nello scerre e disporre i suoi piani.
Nel V si vedono benchè in iscorcio i vaneggiamenti de’ due amanti, la sorpresa di Rinaldo al raffigurare nello scudo incantato la propria mollezza, la sua deliberazione di partire, l’arrivo e gli sforzi d’Armida per trattenerlo, il suo svenimento, la partenza de’ guerrieri, i pianti disperati della maga. […] Da una banda la storia ci dimostra che Lulli riconosceva la superiorità di Quinault nel verseggiare e nello scerre e disporre i suoi piani22.
Morto Ataulfo si spendono tre altre non brevi scene nello svenimento di Placidia, nell’uccisione di Vernulfo, nelle insolenze di Rosmunda e nella di lei volontaria morte, cose che doveano soltanto accennarsi in pochi versi per non iscemare o distrarre l’ attenzione ad altri oggetti che al gran misfatto dell’uccisione di Ataulfo. […] L’erudito autore v’incastrò varj squarci di poeti antichi; ma vi si nota un dialogo elegiaco uniforme più che un’ azione tragica, e non poca durezza nello stile. […] La superiorità della Raquel moderna sopra l’antica consiste nella versificazione che non è senza dolcezza, nello stile eccetto ne’ passi dove degenera in gongoresco, e nella regolarità che però si trova ancora nelle riferite tragedie di Montiano, di Cadahalso, di Moratin, di Ayala, di Sedano ec. […] Colomès ha seguita l’Inès del La Motte nelle principali situazioni e nello scioglimento, benchè non lasci nobilmente di rendere giustizia alla bella produzione del Cesareo Poeta. […] Con più senno egli ad esempio del Francese si sarebbe dipartito dal Greco nello scioglimento, invece di adottarne la machina a’ nostri tempi non credibile.
(Verrà nello spettacolo sostenuta una parte ridicola di referendario dalla maschera dello Stenterello).
Essa accettò, il matrimonio accadde nel 1858, e Virginia Marini diventò nello stesso tempo attrice.
Si recò a quindici anni a Verona, per impararvi il mestiere di sartore ; ma innamoratosi del teatro, entrò in una piccola compagnia, in cui dalle ultime parti potè salir ben presto a quelle di prima importanza, quali di padre e di tiranno ; e con tal successo, che in capo a pochi anni lo vediam già nello stesso ruolo in Compagnia del vecchio Zanerini, di cui potè seguire, senza servilità, la vecchia scuola, e di Maddalena Battaglia (1795-96), destando a Venezia, al San Gio. […] Le cose procedevano floridamente, quando le agitazioni politiche del’ 31 nello Stato della Chiesa, e la rivoluzione di Bologna, ove Modena trovavasi la quaresima con la Compagnia, lo fecero risolvere ad abbandonar questa per correre a difender sui campi di Rimini la libertà d’ Italia contro gli austriaci.
Dopo l’invasione degli europei nel nuovo mondo, quando essi considerandolo come posto nello stato di natura, supposto d’aver diritto ad occuparlo e saccheggiarlo, senza por mente alla ragione degl’indigeni che ne avevano antecedentemente acquistata la proprietà, dopo, dico, l’epoca della desolazione di sì gran parte della terra, le razze africane, americane, ed europee, più o meno nere, bianche, ed olivastre, confuse, mescolate, e riprodotte con tante alterazioni, vi formano una popolazione assai più scarsa dell’antica, distrutta alla giornata da tante cause fisiche e morali, la quale partecipa delle antiche origini nel tempo stesso che tanto da esse si allontana.
L’illusione si diminuisce nello spettatore, se vede nell’attore troppi preparativi : per questa sovrabbondanza si dimentica talvolta delle convenzioni sociali e del tacito patto fra l’attore ed il pubblico sul limite stabilito a quella massima, che l’attore, tranne i personaggi co’quali trovasi in scena, deve credere non esservi altra persona che lo guardi e l’ascolti ; precetto che ha bisogno d’essere ben spiegato, perchè non del tutto vero, ed a cui contrasta il fatto.
In fatti : nel luglio 1651 Tiberio Fiorilli era a Roma con la moglie Isabella : nello stesso mese e stesso anno vi erano Giovan Battista Fiorillo con la moglie Beatrice ; e tutti quattro, invitati dal Serenissimo di Mantova pel prossimo carnovale, risposero negativamente per averlo impegnato in Roma.
M. ritrat mi manda da voi la cortigiana, acciò le mandiate vn sacchetto di mente per il bastardo, da far l’amito al basto del mio patrone, & contrafarà nello studio del Pittore l’olio nell’rerinale, non va così ?
Guerriero, capitano, vittorioso nella pugna di Maratona per Atene sì gloriosa, mostra nello stile la grandezza, il brio militare e la fierezza de’ proprii sentimenti. […] La sua magnanimità sveglia nello spettatore una sublime idea del nobile suo carattere.
E infatti : che ci sarebbe stato a fare quell’Innamorato accanto a due sì grandi nello stesso ruolo : Orazio Padovano e Adriano Valerini ? […] Comunque sia, se le lacune nello stato di servizio artistico dello Scala sono troppe, è certo ch'egli così in Italia come fuori fu artista reputatissimo per lungo volgere d’anni, e gentiluomo de'più diletti a principi e a letterati.
Ma che il Martelli non parlasse del Canto assoluto, è manifesto, oltre dall’essere a lui notissimo che i Greci l’adoperavano propriamente, dall’avere nello stesso Dialogo dall’Apologista citato commendate varie Opere musicali di buoni Ingegni, e alcune composizioni di Musica, come quella della Regina di Polonia sulla Poesia del Capece. […] (se pure il Quadrio non vi somministrasse qualche scenica zacchera vecchia dimenticata MS. nello scrittojo di qualche novizio). […] Dunque la partorisce un altro principio, che se non istà nello spettacolo, forza è che trovisi nello Spettatore, il quale voglia con benignità chiudere gli occhi per ricavarne il suo piacere.
Assai più notabile fu una scena, in cui Mere-Sotte manifesta i suoi disegni di voler comandare nel temporale e nello spirituale.
Assai più notabile fu una scena, in cui Mére-Sotte manifesta i suoi disegni di voler comandare nel temporale e nello spirituale.
Essa prelude al suo articolo con queste parole : « il giovane attore che compose questa rappresentazione merita i nostri elogi e gl’ incoraggiamenti del Pubblico, il quale avvezzo ad applaudire a’ suoi non ordinarj talenti nell’ arte del declamare, potrà, s’ egli non si stanca d’ impiegarli eziandio nello scrivere, dovergli dei drammi, pei quali anche il Teatro italiano conti un autore fra’ suoi attori.
Nella I Partita si vieta nel tit. 13 leg. 10 di seppellir ne’ cimiteri colui che morisse nello steccato. […] Le leggi (egli dice nel libro XXVIII, c. 2) di Gondebaldo per li Borgognoni sembrano assai giudiziose, quelle di Rotari e degli altri principi Longobardi le sorpassano di molto; ma le leggi de’ Visigoti, di Recesvindo, di Chindesvindo, di Egica, sono puerili, goffe, idiote: esse non conseguiscono il fine delle leggi, sono piene di tinte rettoriche, vuote di senso, frivole nel fondo e gigantesche nello stile. […] Consultisi il Montesquieu nello Spirito delle leggi lib.
Vi muojono otto interlocutori, e nello scioglimento veggonsi sulla scena cinque cadaveri; tal che lepidamente un erudito Spagnuolo soleva dire, che in vece di una tragica azione sembrava rappresentazione di una peste.
Nel Friuli ancora nello stesso anno 1304 si rappresentarono dal Clero e dal Capitolo la Creazione di Adamo ed Eva, l’Annunziazione, ed il Parto di Maria Vergineb.
Ed è tale l’esattezza che si esige nell’ imitazione de’ caratteri, ovvero il timore di avvilirsi rappresentando una parte inferiore, che ciascuno sostiene nella favola il medesimo carattere che lo distingue nello stato.
Elle nello specchio colli propri occhi si rimirano, o al judicio cieco delle fantesche si riportano, le quali più presto di una scanciera di scudelle che di adornamenti di donna saperiano judicare.
La posizione di Algarotti, a qualche decennio dal dibattito ora evocato, mostra che il successo europeo del dramma metastasiano aveva di fatto legittimato la poesia per musica, di cui, proprio con riferimento al dibattito primosettecentesco, si sottolinea la derivazione dalla tragedia classica; una volta liberato il campo dalla necessità di giustificare l’esistenza stessa della poesia per musica, nello scritto di Algarotti il discorso si sposta su questioni più tecniche e sulla natura del rapporto tra tutte le componenti del teatro musicale. […] Nella lettera inviata da Vienna il 9 febbraio 1756 ad Algarotti, Metastasio converge così sul degrado dei gusti del pubblico senza addentrarsi nello specifico delle argomentazioni dell’amico veneziano, che pur riconoscendo la qualità dei testi metastasiani e l’eccellenza dei suoi drammi, delineava un modello di teatro per musica più adatto ai tempi e al costume europeo e che quindi, per questioni organizzative e soluzioni teoriche, andava oltre il modello metastasiano: Ho letto il vostro Saggio; vi ci ho trovato dentro, l’ho tornato a leggere, per essere di nuovo con esso voi; da cui non vorrei mai separarmi. […] Il contributo più vicino a quello di Algarotti è sicuramente la Dissertazione 24 che Calzabigi pubblicò come premessa dell’edizione parigina delle Opere di Metastasio, uscite nello stesso anno del Saggio.
Non è per questo ch’io approvi l’inversione troppo intrelciata di alcuni cinquecentisti specialmente quando è affettata, e lunga, come adiviene fra gli altri nello Speroni, nel Dolce, e nel Casa, i quali ti fanno sfiatare i polmoni prima che arrivi a terminar un periodo: né che non preferisca sì in verso che in prosa uno stile conciso, e pieno di cose all’abbindolato e pieno di parole massimamente nel genere filosofico, di cui la precisione, la chiarezza, e la disinvoltura sono i principali ornamenti. Ma dico bensì che la lingua che avrà il vantaggio della trasposizione farà in uguali circostanze progressi più sensibili nelle belle arti ora per la facilità maggiore d’accomodar le parole al sentimento, onde nasce l’evidenza dello stile: ora per la maggior attitudine a dipignere cagionata dal diverso giro, che può darsi alla frase, e dalla varietà, che da esso ne risulta, onde si sfugge la monotonia, e il troppo regolare andamento; ora schivando la cacofonia nel rincontro sgradevole delle vocali, o l’asprezza in quello delle consonanti inevitabili spesse fiate nelle lingue, che hanno sintassi sempre uniforme: ora questo medesimo accozzamento a bello studio cercando, come lo richiede la sostenutezza e gravità dell’oggetto: ora facendo opportuna scelta di quei suoni, che più alla mimetica armonia convengono: ora per la sospensione, che fa nascer nello spirito lo sviluppo successivo d’un pensiero, di cui non si sa il risultato sino alla fine del periodo. […] Lo svizzero nella collera grida egualmente e fortemente, mantenendo a un dipresso la voce nello stesso tuono.
Or perchè mai trascurarono di osservare simili scene ricche di bellezze inimitabili il Robortelli, il Nisieli ed altri nostri critici, per nulla dire de’ transalpini falsi belli-spiriti La-Mothe, d’Argens, Perrault, in vece di perdersi a censurarne ogni minimo neo nello sceneggiamento, e ogni leggera espressione che loro paresse bassa e grossolana, per non avere abbastanza riflettuto alla natura eroica di que’ tempi lontani che i tragici intesero di ritrarre? […] Eschilo nello stesso argomento gliene avea ben dato un bel l’esempio.
Vi pare poi che quei tratti ch’io dico, sieno sì proprj di Calderòn, che altrove, e con molto minor fatica nello scavarli, non si rinvengano?
Pietro Bembo, che prendendo a imitar il cantore di Laura altro non ritrasse da lui che la spoglia; Angelo di Costanzo celebre per robustezza de’ concetti, e per unità di pensiero benché sovente privo di colorito, e qualche volta prosaico; Giovanni della Casa ricco nella frase, lavorato nello stile, abbindolato ne’ periodi, autore più di parole che di cose; Sanazzaro più vicino ai Latini nel suo poema che scrittor felice nella propria lingua; Rinieri, Varchi, Guidiccione, Molza e mille altri versificatori stitici e insipidi benché puri e regolari non poteano somministrar gran materia alla musica. […] La novità dell’invenzione, che gli animi de’ fiorentini di forte maraviglia comprese; la fama dei compositori, dell’adunanza tenuta a ragione il fiore della toscana letteratura; l’occasione in cui fu rappresentata, cioè nello sposalizio di Maria Medici col re di Francia Arrigo Quarto; la scelta udienza, di cui fu decorata non meno di tanti principi e signori nazionali e francesi oltre la presenza del Gran Duca e del Legato del papa, che de’ più virtuosi uomini d’Italia chiamati a bella posta dal Sovrano in Firenze, tra quali assistettero Giambattista Jaccomelli, Luca Dati, Pietro Strozzi, Francesco Cini, Orazio Vecchi, e il Marchese Fontanella tutti o pratici eccellenti, o peritissimi nell’arte; l’esattezza nella esecuzione, essendo da bravissimi e coltissimi personaggi rappresentata sotto la dipendenza del poeta, ch’era l’anima e il regolatore dello spettacolo; finalmente il merito poetico del dramma il quale benché non vada esente d’ogni difetto è tuttavia e per naturalezza musicale, e per istile patetico il migliore scritto in Italia fino a’ tempi del Metastasio. […] [21] Nonostante, il Rinuccini non lasciò d’urtare nello scoglio incontro al quale urtano sovente gli inventori in cotai generi, la mescolanza, cioè, dell’antica imitazione colle moderne usanze.
Nella I Partita si vieta nel tit. 13, leg. 10 di seppellir ne’ cimiterii colui che morisse nello steccato. […] Le leggi (egli dice nel libro XVIII, c. 2) di Gondebaldo per li Borgognoni sembrano assai giudiziose, quelle di Rotari e degli altri principi Longobardi le sorpassano di molto; ma le leggi de’ Visigoti, di Recesvindo, di Chindesvindo, di Egica, sono puerili, goffe, idiote: esse non conseguiscono il fine delle leggi, sono piene di tinte rettoriche, vote di senso, frivole nel fondo, e gigantesche nello stile. […] Consultisi Montesquieu nello Spirito delle Leggi lib.
Il primo atto desta la curiosità ed è meno difettoso nello stile; gli altri sono pessimi per istile, per azione e per orditura. […] Osserviamo ancora che l’Italiano nello scioglimento produsse assai meglio l’effetto tragico di quello che fece lo spagnuolo colla morte di Marianna seguita all’oscuro per un equivoco mal congegnato. […] Lo stile di Moreto generalmente è moderato e proprio del genere comico, eccetto quando parla l’innamorato, perchè allora egli si perde nel lirico e nello stravagante al pari degli altri. […] Verisimilmente questo valoroso scrittore che non calcò le vestigia nè di Lope nè di Calderòn nè de’ loro seguaci, nell’irregolarità delle commedie e nello stile, conobbe ancora gl’incovenienti e le mostruosità annesse a quell’informe specie di dramma. […] Muojonvi otto personaggi, e nello scioglimento veggonsi sulla scena cinque cadaveri in una volta; talche soleva dire un erudito spagnuolo, che in vece di una tragica azione gli sembrava una rappresentazione di una peste.
«Come le acque di una fontana della Tessaglia, a causa della loro proprietà di intorbidire, non potevano essere raccolte in niente altro che nello zoccolo di un asino, così questa rilassata e disorganica trattazione (dell’opera) non trova accoglienza che in certe teste formate espressamente per comprenderla.» […] In tale lavoro importante e arduo, come il soggetto divino sul quale lavora, egli è generalmente maestoso, meraviglioso o patetico e così totalmente lontano da ogni soluzione ordinaria e comune, che l’ascoltatore attento è affascinato da una infinita varietà di nuova e piacevole modulazione e nello stesso tempo da un disegno e un’espressione adattati in modo così raffinato, che il senso e l’armonia coincidono ovunque.
Nel suo Teseo manifestò ugual sublimità ne’ pensieri, vivacità ne’ caratteri, nobiltà e purezza nello stile, armonia nella versificazione, benchè la lavorasse con fatiga, e giudizio nello scioglimento.
E Gaetano Gattinelli scrive da Roma il 26 ottobre del 1841 : Carissima Amalia, Parecchi signori di Roma sarebbero intenzionati di formare una Compagnia Drammatica che facesse onore alla nostra bella Italia : codesta Compagnia avrebbe principio coll’anno comico 1843 ; agirebbe nello Autunno e Carnevale in Roma ; nelle provincie dello Stato Pontificio in Primavera ed Estate e negli Stati vicini la Quaresima e l’Avvento. […] E Giorgio Briano nello Eridano Torinese, il 15 giugno ’41, scriveva al proposito della Iginia d’Asti di Silvio Pellico : ….
Ed è tale l’esattezza che si esige nel l’imitazione de’ caratteri, ovvero il timore di avvilirsi rappresentando una parte inferiore, che ciascuno sostiene nella favola il medesimo carattere, che lo distingue nello stato.
Egli che ebbe la scuola del padre, non peccò nello stile, fu dolce facile piano, guardandosi dall’ampollosità e dalle arditezze delle metafore.
Egli che ebbe la scuola del padre, non peccò nello stile; fu dolce, facile e piano, guardandosi dall’ampollosità e dalle arditezze delle metafore.
Ma si disviluppa affatto il di lui carattere quando egli stesso parla con Nibio, e svolge la sua economia furbesca nello scorticare differentemente i creduli suoi merlotti, con tal arte e grazia, che è da dolersi che la gioventù, la quale trascura la lettura di tali commedie, rimanga priva di tanti vezzi comici. […] Calca l’autore, come si è detto, le tracce della Casina latina; ma senza dubbio ne migliora l’economia, e ne accresce la verisimiglianza, specialmente nello scioglimento colla venuta del padre di Clizia. […] Rimpatria intanto nello stesso giorno Folco fratello d’Ermino che di soldato divenuto mercatante, di povero schiavo ricco e libero, viene a rivedere la sua famiglia. […] Tuttavolta (sebbene non vi si vegga punto uno studio affettato di trasportare in essa l’espressioni latine, sorgente all’avviso di taluno di lentezza nelle commedie italiane) sembraci ben lenta e languida nell’avvilupparsi e nello sciogliersi, e da non soffrire, per vivacità e sceneggiatura ed economia, il paragone di quelle dell’Ariosto, del Machiavelli e del Bentivoglio. […] Di Cornelio Lanci si hanno impresse sette commedie in prosa dal 1583 al 1591: la Mestola, la Rochetta, la Scrocca, il Vespa, l’Olivetta, la Pimpinella, e la Niccolosa, regolari per la condotta, naturali nello stile, vivaci ne’ caratteri, ma alquanto libere ne’ motteggi.
Ma si sviluppa affatto il di lui carattere, quando egli stesso parla con Nibio, e svolge la sua economia furbesca nello scorticare differentemente i creduli suoi merlotti, con tal arte e tal grazia, che è da dolersi che la gioventù la quale trascura la lettura di tali commedie, rimanga priva di tante bellezze comiche. […] Calca l’autore, come si è detto, le tracce della Casina latina; ma senza dubbio ne migliora di molto l’economia e ne accresce la verisimiglianza, specialmente nello scioglimento colla venuta del padre di Clizia. […] Rimpatria intanto nello stesso giorno Folco fratello d’ Ermino, che di soldato divenuto mercatante, di povero schiavo ricco e libero, viene a rivedere la sua famiglia. […] Tuttavolta (sebbene non vi si vegga punto uno studio affettato di trasportare in essa l’espressioni latine, che altri ha creduto che nelle commedie Italiane sia sorgente di lentezza) sembraci ben lenta e languida nell’avvilupparsi e nello sciogliersi, e da non soffrire, per vivacità e sceneggiatura ed economia, il paragone di quelle dell’Ariosto, del Machiavelli e del Bentivoglio. […] Di Cornelio Lanci si hanno impresse sette commedie in prosa dal 1583 al 1591, la Mestola, la Ruchetta, la Scrocca, il Vespa, l’Olivetta, la Pimpinella, e la Niccolosa, regolari per la condotta, naturali nello stile, vivaci ne’ caratteri, ma alquanto libere ne’ motteggi.
Morto Ataulfo si spendono tre altre non brevi scene nello svenimento di Placidia, nell’uccisione di Vernulfo, nelle insolenze di Rosmunda e nella di lei volontaria morte, cose che doveano soltanto accennarsi in pochissimi versi per non iscemare o distrarre l’attenzione ad altri oggetti che al gran misfatto dell’uccisione di Ataulfo. […] Vi si nota un dialogo elegiaco uniforme più che un’ azione tragica, e non poca durezza nello stile. […] Colomès ha seguita l’Inès del La-Motte nelle principali situazioni e nello scioglimento, benchè non lascia di render nobilmente giustizia alla bella produzione del Cesareo poeta Romano. […] Con più senno egli ad esempio del Francese si sarebbe dipartito dal Greco nello scioglimento, in vece di adottarne la macchina a’ nostri tempi non credibile. […] Il Bermudez fu un plagiario convinto, il Trissino inventore nel suo dramma; il primo peccò nelle unità, il secondo insegnò all’Europa la greca esattezza; il primo formò un atto quinto assai freddo ed insipido, il secondo riuscì molto interessante appunto nello scioglimento; il primo intepidì la passione di Don Pietro colle affettate espressioni, il secondo è tutto semplicità e verità; il primo posteriore a tanti altri moderni tragici ebbe pur bisogno di copiare la favola e i pensieri del Ferreira, il secondo formandosi su i Greci servì di esempio a tutte le moderne nazioni nel far risorgere la tragedia regolare in Europa.