Quindi avvenne, che que’ due gran luminari della Greca e Latina eloquenza Demostene e Cicerone, col molto esercitarsi nello studio delle tragedie di Euripide, mirabili progressi fecero nell’arte loro.
Quel bagagliume non la riguarda ; lei sente che il momento umano, della situazione e del carattere, non deve essere alterato da impeti vanitosi che non hanno nè la ragione nè il sentimento dell’arte ; lei sente che i prontuari, le tradizioni, le pratiche di quel mondo artificiale non hanno il potente alito di vita della creatura fatta ad imagine e similitudine ; lei sente che l’applauso del pubblico, dal mormorio di approvazione al grido entusiastico, deve prorompere spontaneo, non deve essere strappato con le tenaglie arroventate del mestiere ; e per quanto non abbia dato finora delle interpretazioni complete, nel tono generale della recitazione della Tina Di Lorenzo si vede questo che è la pura bellezza dell’arte della scena ; vivere una creatura, non fare una parte con tutti gli annessi e connessi del macchinario, e si scorge nella dizione, dalla piana a quella che si eleva nel vario erompere di una passione, nel vario avvicendarsi di una situazione ; e si scorge nel modo di concludere la frase, senza finali di maniera ; e si scorge nello sprezzo, costante, tenace, di quelle note stridenti, le quali anche a volte, rarissime, innocenti, riuscirebbero all’effetto dell’applauso plateale …… Dal terzo articolo : « quello che non c’è.
Di più egli nel suo prologo enunciò come scritte con arte le otto ultime sue commedie pubblicate un anno prima di morire, e pur sono talmente spropositate che nel 1749, per procurar lo spaccio degli esemplari di esse non venduti nello spazio di quasi un secolo e mezzo, il bibliotecario Nasarre prese il partito di appiccarvi una lunga dissertazione, in cui inutilmente si affanna per dimostrare che Cervantes le scrisse a bello studio così sciocche per mettere in ridicolo quelle del Vega. […] Ambedue le tragedie di questo Galiziano mancano di azione e d’intrigo: abbondano ambedue di lunghissimi discorsi episodici intarsiati di fregi lirici: sono ambedue estremamente languide specialmente nello scioglimento: ambedue sono verseggiate con ottave, ridondiglie e sonetti, con faleucj, saffici e gliconici castigliani, e con ogni sorte di versi rimati. […] In somma ha questa favola tali e tanti difetti, che mi parve di un altro autore, ancor quando ignorava che la prima fosse una semplice copia e traduzione, malgrado dell’uniformità che si scorge nello stile e nella verisificazione di entrambe. […] E se non ebbero nella commedia Ariosti, Machiavelli, Bentivogli, Cari ed Oddi, e nella tragedia Trissini, Rucellai, Giraldi, Alamanni, Tassi e Manfredi, possono pregiarsi di aver prodotti nel Vega, nel Castro, nel Sanchez, nel Mira de Mescua, più di un Shakespear, e nel Cueva, nel Ferreira e nel Perez, e nello stesso Bermudez convinto di vergognoso plagio, alcuni pochi tragici non indegni degli sguardi del pubblico.
Molte ne ha egli scritte, e la più parte nello stile drammatico metastasiano. […] Dunque a Silvio Stampiglia, e non allo Zeno, come asserisce nel trattato della musica il signor Eximeno, si dee con più ragione attribuire il costume osservato poi costantemente nello scioglimento de’ drammi musicali di far mutare di sinistra in prospera la fortuna dell’eroe. […] Notisi ancora quanto acconciamente si trovino incastrate nello stile di Metastasio moltissime sentenze di Seneca.
Angelo Ingegnieri autore di un Discorso sulla Poesia Rappresentativa pieno di ottimi avvisi, compose verso la fine del XVI la sua Tomiri che s’impresse nel 1607, regolare nella condotta e non ignobile nello stile, sebbene non esente dagli ornamenti lirici. […] Policare è un nuovo Achille, ma sempre innamorato e non mai ozioso sino alla morte; e quel che più importa, il di lui amore per Merope lungi dall’indebolire l’interesse della favola, accresce la compassione nello scioglimento.
Dopo l’invasione fatta dagli Europei in quelle vaste regioni, che abbracciano forse poco meno della terza parte del globo terrestre, quando essi considerandole come poste nello stato di natura supposero di aver diritto ad occuparle e saccheggiarle senza tener conto della ragione degli indigeni che ne aveano antecedentemente acquistata la proprietà; dopo, dico, l’epoca della desolazione di sì gran parte della terra, le razze Affricane, Americane ed Europee, più o meno nere, bianche ed olivastre, confuse, mescolate, riprodotte con tante alterazioni, vi formano una popolazione assai più scarsa del l’antica distrutta alla giornata da tante cagioni fische e morali, la quale partecipa delle antiche origini nel tempo stesso che se ne allontana.
Quanto al di lui Cristo, ben possiamo con sicurezza e compiacenza affermare che per sì maestosa e grave tragedia debbe in tal Cosentino raffigurarsi un Sofocle Cristiano, sì savio egli si dimostra nell’economia dell’azione, e sì grande insieme, patetico e naturale nelle dipinture de’ caratteri e degli affetti, e nello stile sì sublime.
Dopo l’invasione fatta dagli Europei in quelle vaste regioni, che abbracciano forse poco meno della terza parte del globo terrestre, quando essi considerandole come poste nello stato di natura supposero di aver diritto ad occuparle e saccheggiarle senza tener conto della ragione degl’ indigeni che ne aveano antecedentemente acquistata la proprietà: dopo, dico, l’epoca della desolazione di sì gran parte della terra, le razze Affricane, Americane ed Europee, più o meno nere, bianche ed olivastre, confuse, mescolate, riprodotte con tante alterazioni, vi formano una popolazione assai più scarsa dell’antica distrutta alla giornata da tante cagioni fisiche e morali, la quale partecipa delle antiche origini nel tempo stesso che se ne allontana.
V. che solo bramo di servirlo, mi scordo il torto fattomi da messer Battistino nello scrivere queste falsità al Sig.
Siccome in tutte le belle arti riguardavano essi come oggetto principale l’imitazione della natura, e siccome la possanza imitatrice della musica, massimamente nello svegliar le passioni, dipende, come si provò nel capitolo ottavo del primo tomo di quest’opera, dalla sola melodia, così rivolsero ad essa principalmente la loro attenzione, la costituirono il fine ultimo dell’arte del suono, e il centro, quasi direi, intorno al quale aggirar si dovessero come subalterne e inservienti tutte le parti dell’armonia. […] Lo che si vede da ciò che sovente la stessa composizion musicale produce il medesimo effetto applicata a parole di sentimento intieramente diverso, siccome notarono alcuni nel famoso monologo di Armida di Giambattista Lulli, e nello stabat mater del Pergolesi. […] Non si niega che da siffatto contrasto non possa per opera d’un valente compositore cagionarsi talvolta una combinazione dei suoni che diletti l’udito per la sua vaghezza ed artifizio e tale è appunto il merito intrinseco della moderna musica, dove l’arte d’intrecciare le modulazioni, la bellezza delle transizioni e dei passaggi, l’artifiziose circolazioni intorno al medesimo tuono, la maestria nello sviluppare e condurre i motivi, in una parola le bellezze estetiche dell’armonia sono pervenute ad un grado d’eccellenza sconosciuto affatto agli antichi; ma egli è indubitabile che siffatto artifizio non è atto ad eccitar le passioni, e che l’intrinseca ripugnanza che regna nel sistema della nostra armonia (ripugnanza nata dal comprendere insieme più spezie contrarie di movimento) le toglierà sempre mai il diritto di gareggiar colla greca nella quale siccome non trovavansi le squisitezze armoniche della moderna, così non si trovavan nemmeno le sue contraddizioni; il tutto era anzi al suo scopo maravigliosamente diretto. […] Leggansi ancora nello stesso rispettabile autore le intrinseche differenze tra il loro genere cromatico ed enarmonico paragonati coi nostri.
E con tutti questi soccorsi si producono certi mostri, certi parti informi immaturi, che chiarissimamente manifestano, che se la Commedia esser debbe specchio della vita, senza dubbio le vite presenti sono estremamente deformi a volerne giudicare da quello che si rappresenta nello specchio”. […] Fin anco in quelle Commedie, in cui alla maniera Spagnuola egli accumola gli accidenti l’un sopra l’altro, come nell’Incognita, e forse in qualche altra, sin anco nel riscrivere il Convitato di Pietra, egli cerca racchiudere l’azione nello spazio concesso.
Oh quanti vostri pregiudizj, Signor Abate mio, avreste detestati, se nello scorso Dicembre del 1781. aveste potuto godere nel Teatro de la Cruz la rappresentazione del Cid di Corneille (non di Castro), tradotto senza stravaganze, lodata dagl’Intelligenti, e ascoltata per moltissimi giorni con prodigioso concorso, silenzio, e diletto da quella Plebe, che Lope e voi credete incapace di compiacersi de’ buoni Drammi. […] 286.) afferma ancora, che nello scorso secolo, e nel presente gl’Italiani attesero a secondare il corrotto gusto del volgo.
Del di lei sale comico prenderà diletto il leggitore a misura che riuscirà negli sforzi che farà per dimenticar, mentre legge, le favole comiche de moderni, e s’internerà nello spirito dell’allegoria. […] Epicarmo filosofo siciliano che fioriva a tempi di Gerone il vecchio nel V Secolo prima dell’era volgare, non solo fa eccellente nello scivere commedie, ma ne fa anche il primo autore, come dottamente pruova il Quadrio tom.
L’Ingegnieri, il Persio, il Dolce, il Morone, il Campeggi, il Porta diedero alla luce ne’ primi anni del secolo dieci buone tragedie se non esimie - Angelo Ingegnieri autore di un Discorso sulla Poesia Rappresentativa pieno di ottimi avvisi, compose verso la fine del XVI la sua Tomiri che s’impresse nel 1607, regolare nella condotta e non ignobile nello stile, sebbene non esente da qualche ornamento troppo lirico. […] Policaro, è un nuovo Achille, ma sempre innamorato e non mai ozioso sino alla morte; e quel che più importa, il di lui amore per Merope lungi dall’indebolire l’interesse della favola, accresce la compassione nello scioglimento.
Si vuole che, stando al fianco di Francesco Bon, artista insuperato nelle parti brillanti, s’invogliasse d’imitarlo ; e con tanto esemplare sotto gli occhi e con la costanza nello studio non mai attenuata, vi riuscisse così mirabilmente, che parve a tutti, se non uguagliare il maestro, a lui molto accostarsi.
[14] La dipendenza altresì della poesia rispetto alla musica induce una mutazione non piccola nello stile. […] [29] Che se pochi autori hanno osservate ne’ loro scritti siffatte distinzioni, se si leggono arie, recitativi, e duetti lavorati su principi diversi, ciò altro non prova se non che pochi autori hanno penetrato nello spirito dell’arte loro, e che appunto veggonsi tanti drammi noiosi e languidi perché non sono stati scritti secondo le regole, che prescrive una critica filosofica. […] Ottava: la luce percossa nel tempo stesso da più particole trasmette più colori diversi nello stesso tempo, e senza confusione, così l’aria trasmette all’orecchio più tuoni differenti senza confonderli.
Mentre tanto si deliziano nello spettacolo, mentre si vantano di essere quei fortunati coltivatori che l’hanno sollevato alla maggiore perfezione possibile, mentre si dimostrano pieni di entusiasmo per tutto ciò che ha riguardo alla musica, soffrono ciò nonostante che la parte poetica primo fonte della espressione nel canto e della ragionevolezza nel tutto, giaccia obbrobriosamente in uno stato peggiore di una prosa infelice e meschina, in uno stato dove né il teatro conserva i suoi diritti, nè la lingua i suoi privilegi, in uno stato dove la musica non ritrova immagini dà rendere né ritmo da seguitate, in uno stato dove la ragioni non vede alcuna connession fra le parti, né il buon senso alcun interesse fondato nelle passioni, in uno stato finalmente dove s’insulta ad ogni passo alla pazienza di chi assiste alla rappresentazione, e al gusto di chi la legge. […] Non insisterò per tanto nella irragionevolezza del piano, nei caratteri arbitrari, negli esseri fantastici personificati, nello slegamento delle scene, nella versificazione dura e poco a proposito per la musica. […] Oltre che le decorazioni piacciono moltissimo al popolo, io ho desiderio di far vedere una bellissima dipintura d’una prigione e d’un bosco che si trovano nello scenario preso ad affitto.
L’uomo stesso, opera la più mirabile della mano del Creatore, non vuolsi considerare soltanto come una delle parti figurate e distese nello spazio, o come pianta che vegeti, o animale che senta.
Dalle descritte erudite tragedie e pastorali e commedie del XVII chiara quanto il meriggio ne risulta questa istorica verità, che allora il Teatro Italiano conservò l’usata regolarità, quando anche volesse notarsi in esso qualche alterazione nello stile.
… E nondimeno, quand’egli vive lontano dall’arte nella quale egli vede le più alte idealità cedere il posto a la camorra signoreggiante, quanta dolcezza, quanta soavità…. e più ancora qual finezza di forma ; laddove, nello scoppio dell’iracondia le parole gli escono di bocca come sono sono, e s’inseguono e s’incalzano senza che il pensiero della lima tenti di arrestarle.
Chiedete un po'a Ermete Zacconi qual metodo segua nello studio di una parte, e vi risponderà a un di presso così : « letto un lavoro che mi piaccia, esso resta nella mia mente, e mi segue costante come la larva del sole nella pupilla ; e, pur continuando l’opera mia consueta, provando altri lavori già vecchi, ragionando di cose estranee, passeggiando, mangiando, l’imagine della nuova commedia letta, e ch'io desidero di rappresentare, non esce mai dalla mia mente, e a poco a poco si disegna più chiara e decisa.
Avrei nello stesso modo risposto ad altri miei critici, se facendolo avessi potuto sperare che la fatica restasse compensata dall’utile. […] Egli è evidente però che nello stesso modo dei Greci consideriamo ancor noi la poesia e la musica; mentre ce ne serviamo com’essi nei templi, nei teatri, nelle case… e la stessa stima ch’ebbero i Greci dei drammi l’abbiamo anche noi.» […] Alla pag. 244, ragionando della nostra armonia e del contrasto delle parti, io dissi: «Non si niega che da siffatto contralto non possa per opera d’un valente compositore cagionarsi talvolta una combinazione di suoni che diletti l’udito per la sua vaghezza ed artificio, e tale è appunto il merito intrinseco della moderna musica dove l’arte et intrecciare le modulazioni, la bellezza delle transizioni e dei passaggi, l’artificiose circolazioni intorno al medesimo tuono, la maestria nello sviluppare e condurre i motivi, in una parola le bellezze estetiche dell’armonia sono pervenute ad un grado di eccellenza sconosciuto affatto agli antichi.» […] Ma tutto ciò è assai diverso dal patetico nel quale, come ancora nello scopo morale e politico, la musica greca, e per mio avviso e per quello di molti uomini assai più dotti di me, superava altrettanto la moderna, quanto questa supera l’antica in altre doti pregievoli. […] Martini e il Marcello sono stati certamente grandi uomini, ma ebbero i loro pregiudizi ancor essi, fra gli altri quello che hanno quasi tutti i vecchi professori di qualunque arte, e ch’è prodotto da una specie d’invidia pei loro contemporanei, cioè di lodare assai le cose antiche e sprezzar le moderne, come se tutte le arti, nello stesso modo che son soggette a declinare, non fossero suscettibili di miglioramento, la qual cosa è assai più probabile per quella gran ragione che è facile l’aggiunger perfezione alle cose già inventate.»
Il primo atto desta curiosità, ed è meno difettoso nello stile; gli altri sono pessimi per istile, per azione e per orditura. […] Senza dubbio questo poeta (per accennarne alcuna cosa in generale prima di scendere alle particolarità di qualche sua favola) mostrò di non conoscere, o almeno non si curò di praticare veruna delle regole che è più difficil cosa ignorare che sapere: non separò mai il tragico dal comico: pensando di mostrare acutezza nell’elevar lo stile si perdè, non che nel lirico, nello stravagante106: abbellì i vizj (errore sopra ogni altro inescusabile), e diede aspetto di virtù alle debolezze: fece alcun componimento di mal esempio, come el Galàn sin Dama: cadde sovente in errori di mitologia, di storia, di geografia. […] Osserviamo ancora che l’ Italiano nello scioglimento produsse assai meglio l’effetto tragico di quello che fece lo Spagnuolo colla morte di Marianna seguita all’oscuro per un equivoco mal condotto; ma ci sembra nel tempo stesso che il Dolce avrebbe meglio eccitato il terrore, se non iscemava l’odiosità prodotta dall’ insana sevizia del tiranno coll’ infruttuoso suo pentimento, o se dopo l’ eccidio egli avesse con tutta evidenza fatto conoscere al geloso il suo inganno e l’innocenza di Marianna. […] Lo stile di Moreto generalmente è moderato e proprio del genere comico, eccetto quando parla l’innamorato, perchè allora egli si perde nel lirico e nello stravagante al pari degli altri. […] Verisimilmente questo valoroso scrittore che non calcò le vestigia di Lope nè di Calderon e de’ loro seguaci nell’irregolarità delle commedie e nello stile, conobbe ancora gl’ inconvenienti e le mostruosità annesse a quell’ informe specie di dramma.
Non è il minore quello che apparisce a prima vista, e che risulta immediatamente dalla loro figura e costituzione fisica, la quale li rende idonei bensì a rappresentare caratteri femminili, o al più quelli di Attide nello speco di Galatea, e di Cipariso nel gabinetto di Cibele, ma in niun modo a proposito per rappresentare personaggi virili. […] Ma se la loro azione è necessaria nel melodramma, non è necessario però che quest’azione sia nello stesso grado dappertutto né che sia simultanea. […] Vengono proscritte dal buon senso tutte le cadenze eseguite nello stile di bravura, cioè quelle cadenze arbitrarie inventate all’unico fine di far brillare una voce accumulando senza disegno una serie prodigiosa di tuoni e raggirandosi con mille girigiri insignificanti. […] [56] Coloro poi che dal piacere del volgo traggono un argomento per conchiudere che ad eccitar l’interesse che può esservi nella musica nulla vaglia la connessione fra le parole e il canto, cadono a un di presso nello stesso sofisma di quei pseudofilosofi, i quali perché lo sfogo materiale dei sensi nell’amore viene accompagnato da voluttà, pretendono che niun’altra cosa debba pregiarsi in quella passione fuorché la voluttà momentanea.
Ma la lettura riposata è la pietra di paragone de’ drammi, ed essi non passano alla posterità quando mancano di vigore nello stile, di proprietà ed eleganza nella lingua, di armonia nella versificazione, e d’interesse nell’azione; ora in quelli del Campistron si desidera forza, energia, calore ed eleganza. […] Nel Teseo manifestò ugual sublimità di pensieri, vivacità ne’ caratteri, giudizio nello scioglimento, nobiltà e purezza nello stile, armonia nella versificazione, benchè gli costasse fatiga. […] Il nome che non combina, non basta a metterla nello stato di certezza della morte del figlio, potendovi essere diversi possibili pe’ quali l’armatura può essere, come è di Egisto, e colui che si chiama di lui padre, aver preso un nome ignoto alla regina, come è in fatti.
Eximeno attribut al Zeno il costume osservato poi costantemente nello scioglimento de’ melodrammi istorici di far mutare di sinistra in prospera la fortuna dell’eroe. […] Aggiugne di aver egli stesso provato il difficil tragico nello stile de’ drammi ne’ cori del Gionata ed in una Cantata: che l’armonico Frugoni colle sue Cantate potrebbe servir di modello al vero stile drammatico: che Zeno è più di Metastasio elegante ne’ suoi drammi sì bene scritti ec.
La sua magnanimità sveglia nello spettatore una sublime idea del nobil suo carattere.
L’uomo stesso poi, opera la più mirabile della mano del Creatore, non vuolsi considerare soltanto come una delle parti figurate e distese nello spazio, o come pianta che vegeti o animale che senta.
E il nostro celebre filosofo Antonio Genovesi (degnissimo di quanto ne ha maestrevolmente e veracemente ragionato nel V tomo delle Vicende della Coltura delle Sicilie lo Storico filosofo Don Pietro Napoli-Signorelli autore di quest’eccellente Storia de’ Teatri) anche così: Il favor de’ Monarchi sa germogliar nello Stato gli uomini illustri, ed accende l’anime grandi ad operar cose grandi: queste sono le molle che fanno muovere gli umani talenti.
Salfi imputa alla tragedia una certa difformità nello stile, e commenta dicendo: «[…] ce qui pourrait être aussi une de qualités constitutives de la manière qu’il a adopté66». […] L’effetto provocato nello spettatore è infatti di disorientamento. […] Salfi sottolinea in primo luogo l’alto compito morale assegnato al genere tragico, ossia quello di trasmettere nello spettatore la compassione per i mali altrui. […] Da chi parla nello stile più semplice e familiare sino a chi parla nello stile più studiato e sublime ciascuno preferisce e pratica una maniera propria la più conveniente di pronunziare, ossia di usare convenientemente della voce e del gesto. […] In breve essa pone l’uomo nello stato di guerra.
Di conseguenza egli condanna le tragedie seicentesche in cui gli episodi intervengono con maggiore frequenza, oppure assumono, per centralità nello sviluppo della favola e per dimensione, uno spazio uguale se non maggiore rispetto al motivo principale. […] L’autore dimostra inoltre una sensibilità prettamente settecentesca nello schierarsi contro la ricerca di un θαυμάζειν che, anziché venire limitato all’interno dei limiti della peripezia, diventa il pilastro dell’intero dramma. […] La presente edizione è stata approntata sulla princeps, optando per una sobria modernizzazione del testo nello spirito del progetto internazionale all’interno del quale è stata condotta. […] Il Cebà siccome nelle azioni così pure nello stile ha più del comico che del tragico. […] Ma certo quantunque fosse scrittore assai degno, prese egli non lieve sbaglio sì nel credere che mancasse alla nostra lingua metro convenevole per sostener la tragica gravità, sì nello stabilire che il metodo de’ versi francesi sia più d’ogni nostro metro confacente alla tragedia, come quindi mostrerò.
E un nostro scrittore anche così: «Il favor de’ monarchi fa germogliare nello stato gli uomini illustri, ed accende l’anime grandi ad operar cose grandi: quelle sono le molle che fanno muovere gli umani talenti.»
Fermando gli squardi su quest’essere debole e meschino, gettato nello stato primitivo anteriore alle società famigliari, non che alle civili, ravviseremo in esso le pietre di Deucalione e d’Anfione, le piante animate e le fiere ammansite dalla lira d’Orfeo, gli armati surti da’ solchi di Cadmo, e le dure roveri di Virgilio: e lo vedremo in seguito progenitore di spietati ladroni, di Procrusti, di Licaoni, di Litiersi, di Cacchi, di Gerioni, di Antifati cannibali, d’immani Polifemi e di Patagoni cresciuti innanzi senno nelle proprie immondezze.
Poiché uffizio di questa è di dare tal forza alla parola, che l’idea a questa unita sia vivamente riprodotta nello spirito. […] Né questa azione riman nello spirito, ma passa alla nostra macchina altresì. […] Poiché uffizio di questa è di dare tal forza alla parola, che l’idea a questa unita sia vivamente riprodotta nello spirito. […] Nulla dicasi degli scorci di bocca e del brandire, che i cantanti fanno il capo, le braccia e ‘l resto della persona, nello stento che pruovano a cavar di gozzo que’ difficili passi, ond’è costume di formar le cadenze. […] Il teatro col tempo s’ingentilì, ma non fu più nello stato d’allontanare da sé quel resto di sua antica rozzezza; e la maschera nata dal fango, e tra un popolo incolto, divenne necessaria su’ teatri delle più polite nazioni.
Pochi esempi ci somministra la storia di simili decisioni date da un principe vittorioso nello stesso paese conquistato da lui, né può attribuirsi la condotta di Carlo in tal circostanza che a somma venerazione per le cose di Roma, e forse anche al bisogno che aveva di amicarsi i Romani per assicurar maggiormente in Italia la sua possanza. […] “Organari” nello stile degli scrittori del basso secolo non vuol dire suonar l’organo, né fabbricarlo, né cosa che s’assomigli: significa inserire alcune terze nel progresso del canto fermo cantato all’unisono in maniera per esempio che mentre una parte del coro cantava queste quattro note “ut, re, si, ut”, l’altra parte cantava al medesimo tempo “ut, re, re, ut”21.
[10] Simile al secondo ei maneggiò con felicità incomparabile i diversi stili de’ quali si fa uso nella musica, mostrandosi grave, maestoso, e sublime nello Stabat mater, vivo, impetuoso e tragico nell’Olimpiade, e nell’Orfeo, grazioso, vario e piccante, ma sempre elegante e regolato nella Serva padrona, la quale ebbe il merito singolare, sentita che fu la prima volta a Parigi, di cagionare una inaspettata rivoluzione negli orecchi de’ Francesi troppo restii in favor della musica italiana. […] Intuonazion perfettissima che poteva servir di canone di Policleto nella sua professione, agilità incomparabile, destrezza inaudita ne’ trilli, sobrietà e vaghezza negli ornamenti, ugual eccellenza nello stil leggiero che nel patetico, sopra ogni cosa graduazione esattissima nel sollevare e diminuire successivamente la voce secondo l’indole del sentimento: ecco le mirabili prerogative che gli vengono unanimemente accordate, e che poscia a quella sublime fortuna il condussero che non può ignorarsi da chicchessia.
Amendue le tragedie di questo Galiziano mancano di azione e d’intrigo: abbondano amendue di lunghissimi discorsi episodici intarsiati di fregi lirici: sono amendue estremamente languide, specialmente nello scioglimento: amendue sono verseggiate con ottave, ridondiglie e sonetti, con faleucii, saffici e gliconici castigliani, e con ogni sorte di versi rimati. […] In somma ha questa favola tali e tanti difetti, che mi parve di un altro autore, ancor quando ignorava che la prima fosse una semplice copia o traduzione, malgrado dell’uniformità che si scorge nello stile e nella versificazione di entrambe. […] E se non ebbero nella commedia Ariosti, Machiavelli, Bentivogli, Dovizii, Cari ed Oddi, e nella tragedia Trissini, Rucellai, Giraldi, Alamanni, Tassi e Manfredi, possono pregiarsi di aver prodotti nel Vega, nel Castro, nel Sanchez, nel Mira de Mescua più di un Shakespear, e nel Cueva, nel Ferreira, nel Perez, e nello stesso Bermudez tuttochè convinto di vergognoso plagio, alcuni pochi tragici non indegni degli sguardi del pubblico.
Da ciò si deduce che molti anni prima del 1640 (in cui scrisse Pietro della Valle che erano essi assai comuni sulle scene italiche) gli eunuchi si erano introdotti ne’ nostri melodrammi, Ora riducendo discretamente questi molti anni a soli dodici o quindici, noi risaliremo intorno al 1625, E così se per ora non possiam dire precisamente l’anno del primo melodramma recitato dagli eunuchi, avremo almeno stabilito che l’epoca della loro introduzione sulla scena si chiuda certamente nello spazio che corre dall’anno 1610 al 1625.
La poca felicità notata da’ critici nello scioglimento delle sue favole; qualche passo dato talvolta oltre il verisimile per far ridere; alcuna espressione barbara, forzata, o nuova nella lingua, di che fu ripreso da Fénélon, La Bruyere e Baile; molte composizioni scritte per necessità con troppa fretta; la mancanza di vivacità che pretesero osservarvi alcuni Inglesi che ne copiarono qualche favola alterandola e guastandola a lor modo; tutte queste cose, dico, quando anche gli venissero con ogni giustizia imputate, dimostrerebbero in lui l’ uomo.
Mi escusi della prolissità nello scriverle, e del disgusto ch’avrà riceuto della maniera del mio scrivere, detato dalla purità d’un riverente affetto, e dalla necessità de’ miei interessi, con che, humilmente inchinandomele, la riverisco colle ginocchia e col core, baciandole la cappa.
La seconda tragedia del Pepoli quasi del tutto rifusa nell’economia della favola e nello stile, è Carlo e Isabella rappresentata in Bologna nel 1791, indi uscita per le stampe bodoniane l’anno 1792. […] Mancano nello stile quei tratti vivi e potenti che chiamansi colori dell’opera; il dialogo non ha naturalezza, i versi hanno del prosaico, la locuzione manca di purezza e di proprietà1. […] Ma non essendosi mai in tanti anni date alla luce le promesse o meditate riflessioni, stimiamo ora di non defraudare i nostri leggitori delle notizie delle tre sue tragedie, e sebbene ne tesseremo analisi non saranno quelle che distesi nel 1795, ma più succinte, così consigliati dal cangiamento indi avvenuto nello stato dell’autore. […] A costo di morir languendo ella tace, ella sceglie uno sposo amabile che l’adora, ella impetra di abbandonare i suoi come celebrate siensi le nozze, ella è vinta dagl’interni tumulti, è soperchiata, e fa svaporare l’intenso suo do lore, cagiona senza volerlo la morte dell’appassionato Perèo suo sposo, ed incorre nello sdegno di Ciniro suo padre. […] L’azione di questo dramma di lieto fine presentato dall’autore come un nuovo genere passa in Buda, sul Danubio e nelle montagne del Crapac nello spazio di più di due mesi.
La poca felicità notata da’ critici nello scioglimento delle sue favole; qualche passo dato talvolta oltre del verisimile per far ridere; alcuna espressione barbara, forzata o nuova nella lingua, di che fu ripreso da Fenèlon, la Bruyere e Baile; molte composizioni scritte per necessità con soverchia fretta; la mancanza di vivacità che pretesero osservarvi alcuni Inglesi che ne copiarono qualche favola alterandola e guastandola a lor modo; tutte queste cose, quando anche gli venisseso con ogni giustizia imputate, dimostrerebbero in lui l’uomo.
E così se per ora non possiam dire precisamente l’anno del primo melodramma recitato dagli eunuchi, avremo almeno stabilito che l’epoca della loro introduzione sulla scena si chiuda certamente nello spazio che corre dall’anno 1610 al 1625. […] Dall’erudite descritte tragedie, pastorali e commedie del XVII secolo chiara quanto il meriggio ne risulta questa verità istorica che allora il teatro Italiano conservò l’usata regolarità, quando anche volesse notarvisi qualche alterazione nello stile.
L’azione immaginata con somiglianza del vero non è istorica, eccetto che nell’ àncora naturalmente impressa nel corpo de’Seleucidi(a) dal Varano adoperata nello scioglimento. […] Esse presentano a uno sguardo curioso varie scene vivaci e tragiche non male verseggiate ; ma certe ipotesi poco verisimili, un portamento talvolta romanzesco, l’atrocità sovente eccessiva, alcuni nei nella lingua, e qualche ineguaglianza nello stile, non ci lasciano abbastanza soddisfatti. […] La seconda tragedia del Pepoli quasi del tutto rifusa nell’economia della favola e nello stile, è Carlo ed Isabella rappresentata in Bologna nel 1791, indi uscita per le stampe Bodoniane l’anno 1792. […] Scorgesi in tutte miglioramento nello stile, versificazione più scorrevole, lingua tersa ed eleganza meno cruschevole, monologhi meno frequenti, numero di personaggi accresciuto senza bisogno di confidenti. […] Ma onde proviene che si opponga a ciò che propone, ed era vicino ad effettuarsi, e che cagioni così la morte di Pereo, ed incorra nello sdegno di Ciniro suo padre ?
– La Sultana ; La Ferinda ; L'amor nello specchio ; I due Leli simili ; La Centaura.
Il nome che non combina, non basta a metterla nello stato di certezza della morte del figlio, potendovi essere diversi possibili, pe’ quali l’armatura può essere, com’ è, di Egisto, e colui che si chiama di lui padre aver preso un nome ignoto alla regina, com’ è in fatti. […] Che i Latini stessi nello Scipione di Ennio, nelle Ottavie di Mecenate e di Seneca?
Si figura l’azione avvenuta tra’ Pisani quando tuttavia dimoravano nello stato pastorale, e l’amore presagisce le future grandezze di Pisa.
Quanto poi al merito letterario di tal componimento, ne’ giornali stessi di Parigi se ne rilevarono molti difetti particolari, lentezze, inverisimiglianze, monotonia di scene, e non pochi vizii nello stile.
Si figura l’azione avvenuta tra’ Pisani quando tuttavia dimoravano nello stato pastorale, e amore presagisce le future grandezze di Pisa.
Pietro Cornelio nato in Roano nel 1606, il quale sin dal 1625 colla sua Melite cominciò a prendere superiorità su i contemporanei, e le cui prime sette commedie, benchè sì difettose, promettevano un ingegno non volgare che giva formandosi, prese in prima a purgar la scena nazionale dalle indecenze, indi ad ammettere la contrastata regolarità, e a cercar la nobiltà nello stile co’ precetti e col proprio esempio.
Un’altra lettera nello stesso Archivio ho trovato, che ritengo pure inedita, e che mi pare valga la pena di trascrivere, così per le nuove cose ivi discorse, come per una riprova dell’interesse che le LL. […] Et io me ne aspetto anco di meglio, però che credo, che egli habbi guidate più comedie, che composte ; onde son certo, che egli sarà fatto più esperto nel modo del condurle, che nelle proprieta loro nello inuentionarle. mad eccoci a lui.
Guerriero, capitano, vittorioso nella pugna di Maratona per Atene sì gloriosa, mostra nello stile la grandezza, il brio militare e la fierezza de’ proprj sentimenti (Nota IV). […] Or perchè mai trascurarono di osservare simili scene ricche di bellezze inimitabili il Robortelli, il Nisieli ed altri nostri critici, per nulla dire de’ transalpini falsi belli-spiriti la-Mothe, d’Argens, Perrault, in vece di perdersi a censurarne ogni minimo neo nello sceneggiamento e ogni leggera espressione che loro paresse bassa e grossolana, per non avere abbastanza riflettuto alla natura eroica di que’ tempi lontani che i tragici intesero di ritrarre? […] Eschilo non gliene avea dato nello stesso argomento un bell’esempio?
Che se in questa guisa s’anderà avanti nello studio delle lettere e dell’antichità, ben tosto, cangiato l’ordine delle cose, vedrem la barbarie sortita dalla coltissima regione d’Italia diffondersi per tutta l’Europa» 80.
Pietro Cornelio nato in Roano nel 1606 il quale sin dal 1625 colla sua Melite cominciò a prendere superiorità su i contemporanei, e le cui sette commedie prime, benchè sì difettose, promettevano un ingegno non volgare che giva formandosi: prese in prima a purgar la scena nazionale dalle indecenze, indi ad ammettere la contrastatà regolarità, e a cercar la nobiltà nello stile co’ precetti e col proprio esempio.
La favola semplice e verisimile, i caratteri tratti a dirittura dalla natura, i costumi nazionali vivacemente dipinti, un dialogo naturale, schietta urbanità nello stile, vezzi comici senza esagerazione istrionica, ottima morale e facile a praticarsi, sono i pregi che gl’imparzialì non possono negare di riconoscere in questa favola.
Dotato di spirito e d’ingegno mancava di naturalezza nello stile, e gli noceva singolarmente certo parlar gergone a lui proprio.
L’incontro con la Roma di Gravina e Crescimbeni, in un contesto culturale quanto mai teso che sfocerà nello scisma del 1711, proietta la propensione didascalica del periodo bolognese sullo schermo tiberino, inducendo Martello a esporsi pubblicamente in qualità di tragediografo3 e critico. […] [3.122ED] Il nostro eccelso Senato, ubbidendo al suo principe, comanda a’ propri cittadini, dimodoché sotto il manto venerabile pontificio custodisce la libertà, senza la gelosa tema delle repubbliche e gode nello stesso tempo i vantaggi senza soffrire gli aggravi del principato. [3.123ED] Questa felicità fa a noi pure odiare le altrui libertà paurose e amare, al dispetto de’ tragici greci, la monarchia. […] [4.169ED] Aggiungi ancora che nello stesso periodo il Loico si contradice, asserendo: «che la lingua greca e latina da’ greci e latini professori più che ogni altra presente lingua fu coltivata». […] Nessun scrittore de’ rinomati nello stato della perfezion della lingua nel verso compose verso senza rima. […] [5.136ED] Quello che ho detto della brevità de’ recitativi patisca qualche limitazione in quelle scene che ho denominate ‘scene di forza’, dovendo in esse il recitativo prevalere alle ariette, come quello che dà più polso e più evidenza all’azione; ed allora il poeta può alquanto sfogarsi nel dare un moderato saggio del suo talento e lo dovrà soffrire il prudente compositor della musica, né lo ricuseranno i cantanti, anch’essi periti nello sceneggiamento, e l’impresario dovrà compiacersene.
L’altra sorte si è quando chi balla, non contentandosi del piacer materiale della danza, prende ad eseguire un intiero soggetto favoloso, storico od allegorico esprimendo coi passi figurati de’ piedi, coi vari atteggiamenti del corpo e delle braccia, e coi tratti animati della fisionomia tutta la serie di situazioni che somministra l’argomento nello stesso modo che la esprime colla voce il cantore. […] E se non temessi diffondermi troppo in una materia ch’è il fondamento del diletto che ci procurano tutte le belle arti, farei ancora vedere che l’ascosa origine del piacere, che certi tratti arrecano nella musica, nella poesia e nella eloquenza, è nel linguaggio d’azione principalmente riposta; che ciò che rende eloquenti i quadri oratori o poetici è l’arte di radunare in una sola idea più immagini, le quali rappresentino muovimento, come la maniera di render la musica espressiva si è quella di far sentire la successione regolata de’ tuoni e del ritmo; che la forza di certe lingue massimamente delle orientali deriva dall’accennato principio: osservazione che può farsi ancora nello stile de’ più grandi scrittori antichi e moderni, la magia del quale allora è portata al maggior grado quando le parole e le idee fanno l’effetto dei colori.
Si riconobbe in lui qualche rozzezza nello stile; ma a’ suoi di non si fecero versi più colti. […] L’argomento Greco consisteva negli amori di Clinia per Antifila, nello scoprimento della vera condizione di questa fanciulla, e nel carattere del vecchio Menedemo che si punisce della severità usata col figliuolo, mettendosi come un povero contadino a lavorar la terra colle proprie mani.
L’autore erudito vi ha incastrati vari squarci di poeti antichi; ma i suoi compatrioti vi scorgono un dialogo elegiaco uniforme più che un’azione tragica, e non poca durezza nello stile.
[45] Chi non istupirà nel sentire quel Romolo violente rozzo e feroce, che riponeva ogni sua ragion nella forza, che si sdegnava al menomo ostacolo, e che pell’ardenza del suo temperamento si rendeva insopportabile a tutti, parlare da sé solo intorno all’amore che ha per Ersilia nello stile del più alambiccato platonicismo? […] Due persone, ambedue amanti, ambedue che vanno disperate a morire nello stesso luogo, allo stesso tempo, per la medesima via, ambedue trattenute dal rispettivo amico.
E volendo questo furbo eseguire il concertato, alla prima imbatte nello stesso Carmide padre di Lesbonico che rimpatria, e ne risulta una scena sommamente piacevole imitata poscia soventi fiate da’ drammatici Italiani del cinquecento. […] Filocrate in fine dell’atto II parte dal luogo della scena che è Calidone di Etolia: va in Elide: tratta quivi il cambio degli schiavi: si sa nell’atto IV che è tornato: nel V comparisce egli stesso, avendo corso nello spazio di poco più di un atto oltre a dugento miglia.
Si riconobbe in lui qualche rozzezza nello stile; ma ai suoi di non si fecero vorsi più colti. […] L’argomento greco consisteva negli amori di Clinia per Antifila, nello scoprimento della vera condizione di questa fanciulla, e nel carattere del vecchio Menedemo che si punisce della severità usata col figliuolo; mettendosi come un povero contadino a lavorar la terra colle proprie mani.
Quanto al di lui Cristo, ben possiamo con compiacenza e sicurezza affermare che per sì maestosa e grave tragedia debbe in questo Cosentino raffigurarsi un Sofocle Cristiano; sì savio egli si dimostra nell’economia dell’ azione, e sì grande insieme, patetico e naturale nelle dipinture de’ caratteri e degli affetti, e sì sublime nello stile. […] Tutta traspare la feroce Semiramide nello sdegno che manifesta a tale ardito discorso.
Si osserva nella Riconciliazion Normanda, nello Spirito di Contraddizione ec. ben maneggiata una spezie di ridicolo sfuggito al pennello di Molière235.
Dotato di spirito e d’ingegno mancava di naturalezza nello stile, e gli noceva singolarmente certo parlar gergone a se particolare.
Lo scioglimento poi con somma arte maneggiato nella tragedia greca, qui si precipita, non avendo saputo il tragico latino mettere a profitto quelle patetiche situazioni che nello svilupparsi la stessa favola naturalmente appresterebbe.
Esse apprestano a uno sguardo curioso molte scene vivaci e tragiche e con felicità verseggiate; ma qualche ipotesi non molto verisimile, un portamento tal volta romanesco, l’atrocità spesso soverchia, alcun neo nella lingua e nello stile, non ci lasciano pienamente soddisfatti. […] Ma può mancar di calore, interesse e movimento una favola che esprime con tanta forza il terrore tragico, come si vede nel terribil racconto della scena 4 dell’atto I, nel congedo di Cesira e Aristodemo della 3 dell’atto III, nella mirabile dipintura dello spettro della 7 dell’istesso atto, nella 2 del IV in cui Aristodemo atterrito cade sul teatro a piedi di Cesira ed a lei si discopre reo, nello scioglimento sommamente patetico in cui Aristodemo che si è ferito a morte, riconosce in Cesira la sua Argia e spira?
Lo scioglimento poi con arte somma maneggiato nella tragedia greca, quì si precipita, non avendo saputo il tragico latino mettere a profitto quelle patetiche situazioni che nello svilupparsi la favola stessa naturalmente appresterebbe.
Del Matamoros (Fiorillo) per esempio, il quale « per farc il Capitano Spagnuolo – egli dice nello stesso libretto – non ha hauuto chi lo auanzi, & forse pochi che lo agguaglino ?
É perciò che non meno Demostene che Cicerone, grandissimi oratori del l’antichità, col l’esercitarsi nello studio delle tragedie di Euripide, pervennero al colmo nel l’arte loro; per la qual cosa Gian Vincenzo Gravina nella Ragion Poetica chiama le tragedie di Euripide vera scuola di eloquenza .
Guerriero, capitano, vittorioso nella pugna di Maratona per Atene sì gloriosa, mostra nello stile la grandezza, il brio militare, e la fierezza de’ propri sentimenti.
Dagl’intermedi, e dai cori passò la musica ad accompagnar qualche scena eziandio del componimento, del che abbiamo una pruova nella pastorale intitolata il Sacrificio d’Agostino Beccari recitata in Ferrara verso il 1550, dove il sacerdote si mostra colla lira in mano suonando e cantando la sua parte sul teatro, e similmente si fece nello Sfortunato dell’Argenti, e nell’Aretusa d’Alberto Lollio rappresentate alla medesima corte.
Tutta traspare la feroce Semiramide nello sdegno che manifesta a tale ardito discorso.
Filocrate nel fine dell’atto secondo parte dal luogo della scena che è Calidone di Etolia: va in Elide: tratta quivi il cambio degli schiavi: si sa nell’ atto quarto che è tornato e nel quinto comparisce egli stesso, avendo corso nello spazio di poco più di un atto oltre a dugento miglia.