Esse hanno molta grazia comica, specialmente per chi ha pratica del dialetto milanese, e vi si veggono acconciamente delineati i caratteri, e sopra tutti quello del falso filosofo è pittura vera vivace e pregevole, di cui s’incontrano alla giornata frequenti originali.
L’unica vera bellezza dell’orazione di Shakespear è appunto quella che è sfuggita alla diligenza del Sherlock che da venti anni la stà studiando.
In quel tempo l’attore e capocomico Pisenti fu messo in prigione per debiti ; e la Ristori, che fu sempre delle miserie de'compagni soccorritrice pietosa, architettò tre rappresentazioni straordinarie, che furono avvenimento di vera gloria, e la salvazione del povero carcerato.
E ne parlava sovente : troppo forse ; ma ne'suoi racconti di confidenze sovrane, di accoglienze incredibili, che gli piaceva tenere con tuono magniloquente, era la vera verità….
Comparve in Alemagna nel secolo XVII un ingegno, che imitando il nostro Petrarca, introduce nel settentrione la buona poesia, e traducendo alcuni drammi de’ greci, de’ latini, e degl’italiani mostrò a’ suoi compatriotti la vera drammatica che fino a quel tempo non ben conobbero.
« Si trasformava come un novo Proteo a i diversi accidenti della favola, e se nella comedia facea vedere quanto ornamento abbia un dir famigliare, dimostrava poi differentemente nella tragedia la gravità dell’eroico stile, usando parole scelte, gravi concetti, sentenze morali, degne d’esser pronunziate da un Oracolo : e se occorreva sopra di qualche suo Amante o parente di vita spento, lamentevolmente ragionare, trovava parole e modi si dolorosi, che ognuno era sforzato a sentirne doglia vera, e ben spesso anche lagrimare, benchè sapesse certo le lagrime di lei esser finte…..
Graf : gustavo modena | per altezza d’ingegno | per carità di patria | per integrita di vita | degno di accompagnarsi coi sommi | l’arte scenica aderse | a magistero supremo | di verita di virtu di bellezza | memorabile esempio | a imitatori ed emuli | di vera gloria bramosi. | 1803-1861.
Risorgeva a gran passi nel cader del passato secolo il gusto della vera eloquenza nelle contrade chiuse dalle Alpi; e già nel 1690 de’ suoi allievi e proseliti potè in Roma formarsi un’ accademia sotto il modesto titolo di Arcadia, le cui colonie si sparsero per l’ Italia tutta. […] Questo esser dee l’uffizio della vera storia teatrale ragionata; e questo non sanno fare nè i plagiarj di mestiere quando copiano e furano a metà, nè gli apologisti preoccupati. […] Patetica e vera è l’espressione di Ugolino nella scena 6 dell’atto V su i figli: V’udrò di nuovo Chiedermi un pane, nè in risposta avrete Fuorchè inutili lagrime e lamenti; come ancora il congedo ch’egli prende dal nemico mancando per debolezza: Figli ... […] Troviamo altresì teatrale l’atto IV, e vera la dipintura di Don Alonso oppresso da’ rimorsi nell’atto V. […] Non abbiamo finora potuto ammirare il terzo dramma intitolato Nancy; ma per l’idea che può ricavarsene da’ fogli periodici, esser dee una vera tragedia cittadina, che non degenera punto in commedia lagrimante.
I Saynetes, sorta di frammessi bellissimi che sono nel teatro spagnuolo l’immagine della vera e genuina commedia, e nella composizione dei quali ebbe gran nome Don Luigi di Benavente nel secolo passato e Don Raymondo de la Cruz nel nostro, servirono a promuovere maggiormente la musica teatrale aprendo talora la scena con qualche coro di musica e anche framischiando talvolta qualche dialogo musicale.
178. sino a 182.) contro l’aspettazione dell’Apologista dà per cosa verisimile e vera, che un Cervantes, che con tanto senno ragionò contro le cattive Commedie, ne avesse poi composte otto sommamente spropositate.
Secondariamente si può aggiugnere, che Sulpizio avrà voluto dinotar coll’agere il rappresentar nudamente la tragedia, e col cantare il cantarne con vera musica ciò che va cantato, cioé i cori, qual cosa si direbbe acconciamente con latina proprietà agere et cantare tragoediam senza convertirla in melodramma moderno.
Le prosopopeje (come il Mattei chiama le Ninfe, l’Oceano, l’Eumenidi, la Forza ecc.) punto non dimostrano, com’egli crede, che allora la tragedia era una danza animata dall’intervento di questi genj mali e buoni piuttosto che una vera azione drammatica ; ma provano solo che Eschilo introdusse ne’ suoi drammi le ninfe, i numi, le ombre, le furie, e diede corpo a varii esseri allegorici, come Sofocle ed Euripide si valsero delle apparizioni di Minerva, di Bacco, di Castore e Polluce, della musa Tersicore, d’Iride, di una Furia, di un’ Ombra, della Morte ecc.
Un’ secolo dopo il prelodato Lattanzio Firmiano disse ancora: Quid de mimis loquar corruptelarum praeferentibus disciplinam, qui docent adulteria, dum fingunt, et simulatis erudiunt ad vera?
che basti il rappresentar per tradizione incerta, alterata e malfida senza studiar con giusti principi la bella e la vera declamazione?
Ma di tali nomi rintracciar non potei la vera origine, tuttocchè ne richiedessi varii eruditi amici che frequentavano i teatri.
Alias Dottor Gratian partesana della vera Compagnia delli Comici Gelosi.
Prevede Imetra le vicine funeste conseguenze del di lei empio disegno, ed a costo di qualunque rischio proprio tenta distoglierla dal proposto con una eloquenza vera e robusta nè aliena dal di lei stato, la quale fa ammirare l’arte del poeta senza ch’egli si discopra. […] Tra essi possono togliersi dalla folla i due che soggiungo perchè ridotti alle leggi della vera tragedia, cioè Jefte di Girolamo Giustiniano Genovese impresso nel 1583, e l’altro Jefte di Scipione Bargagli pubblicato in Venezia nel 1600. […] Ma essa ebbe la ventura di aver veduto dentro il recinto delle sue muraglie nascere un Trissino, che mostrò all’Europa il sentiero della vera tragedia, e insegnò l’architettura all’incomparabile Andrea Palladio. […] Nè l’una nè l’altra cosa è vera.
Allorché noi sappiamo indubitatamente che la musica loro era rigorosamente soggetta alla quantità, d’altro non abbiam d’uopo che di por niente al meccanismo della loro poesia per fissare insieme l’importante e vera forza di tal termine. […] Sì: ogni modo o modulazione ha la sua energia, la sua proprietà; ed è talmente vera questa proposizione che non havvi suono il quale ne sia privo.
In quelle farse dell’arte possiamo ravvisare qualche reliquia degli antichi mimi, la cui indole buffonesca é stata sempre d’indurre prima insensibilmente un certo rincrescimento della vera poesia, e poi di cagionarne la decadenza. […] Sulzer taccia a torto e inurbanamente di puerilità un grand’uomo, cui tanto dee il teatro musicale, egli poi non ha totalmente torto quando afferma che l’opera merita esser riformata; e tengo anch’io per fermo, (e ciò non pregiudicherà mai alla gloria immortale del gran poeta cesareo) che si fatto dramma non ha tuttavia la sua vera e perfetta forma, come di proposito ho trattato nel mio Sistema drammatico inedito.
Questa proposizione è tanto conforme alla esperienza che Vincenzo Galilei, Giulio Caccini, e Jacopo Corsi, allorché vollero inventare la vera musica drammatico lirica, non trovarono a perfezionare la melodia mezzo più spedito di quello di sbandirne e screditarne il contrappunto allora regnante127. […] [33] Ma fintantoché il movimento totale verrà in qualunque composizione accompagnato da movimenti parziali che ne distruggon l’effetto; fintantoché i minimi componenti dell’armonia non avranno fra loro un essenziale e perfetto combaciamento; fintantoché non si leverà di mezzo quella opposizion negli estremi inerente ed intrinseca al nostro sistema musicale; fintanto insomma che non ripiglieremo il metodo antico ch’era quello di dirigere la sua azione verso d’un solo punto, noi avremo un bel vantare la nostra musica e dileggiare quella dei Greci, ma la verità, ch’è sempre la stessa malgrado il sorriso della prevenzione e i sofismi della pedanteria, ci farà vedere che noi non abbiamo della musica fuorché la parte più materiale e meno importante, che non conosciamo lo spirito vivificante che l’animava altre volte, che non possiamo scontrare in essa la vera espressione se non rare volte, e per puro accidente, che quale noi la coltiviamo non é atta in se stessa a produrla, e che finalmente cotesta facoltà incantatrice e prodigiosa non è presso ai moderni, come lo dice a chiare note il celebre Tartini 128, se non «l’arte insignificante di combinare i suoni». […] [NdA] È singolare fra le altre la storiella che si racconta di Pitagora, la quale per altro sono ben lontano dal volere che passi per vera.
Per quanto riguarda la gradazione dei sentimenti, Shakespeare manifesta la sua capacità di mettere in scena una vera e propria “histoire de l’âme”. […] Per quanto riguarda gli insegnamenti da impartire al futuro attore, si spazia dalla lingua, al disegno, al ballo e alla musica, alla storia, all’eloquenza, alla moralità, fino a giungere alla poesia, che fungono da propedeutica all’arte della declamazione vera e propria. […] Virgilio: Et vera incessu patuit dea. […] E di fatti, s’ella è vera, e perciò corrispondente veracemente alla passione che annunzia, tutti gli organi debbono corrispondere allo stesso fine, e quindi ciascuno debbe accordarsi ed armonizzarsi con l’altro, e formare uno stesso disegno. […] Quindi il dramma è divenuto per loro una mera storia rappresentativa, che in altro dalla vera non differisce, se non che questa narra, e quella rappresenta ciò che è ordinariamente accaduto.
E con ciò la musica vocale era quale ha da essere secondo la vera instituzione sua: una espressione più forte, più viva, più calda dei concetti e degli affetti dell’animo.
Ma qual fu l’epoca vera in cui codesti moderni non guerrieri Narseti, in vece di occuparsi ne’ ministeri de’ serragli e de’ giardini orientali, si rivolsero nell’una e nell’altra Esperia ad esercitar la musica?
Rimase al coro il pensiero d’intrecciar carole cantando; e in questo il canto fu vera melodia spiegandovi la musica tutte le sue forze e gli artificj con sempre nuove combinazioni di tempi e di movimenti; la poesia per accomodarsi al canto fu più lirica ed ornata; e la rappresentazione per servire al ballo fu meno naturale.
Anima l’atto II un colpo di teatro che rileva l’ipocrisia di Chiara e la vera bontà di Agnese, perchè quella, per discolparsi di un suo errore, all’arrivo di suo padre prende il linguaggio melato degl’ ipocriti e fa credere col pevole la cugina.
Non mi render gelosa; chè se finta Sì terribile è l’ira in regio petto, Pensa tu qual saria se fosse vera. […] E chi non vede quanto più la Marianna di Tristano rassomigli quella del Dolce, il quale, se ne togli qualche languidezza ed espressione troppo famigliare, formò con giudizio di quella storia una vera tragedia regolare ed interessante? […] Laonde confessando l’immensa fecondità degl’ingegni spagnuoli, ed il loro sale comico non bene avvertito da Saverio Bettinelli, che volle scherzare con una asserzione non vera, cioè che essi nè anche sapevano ridere senza gravità ; per servire alle leggi della storia che sol del vero si alimenta e si pregia, osserviamo che rarissime sono le commedie che da tali rimproveri si esimono. […] Perciò (dirò sempre) voglionsi compatire alcuni forestieri, e fra questi il signor Linguet (cui non ha punto liberato dalle insolenze ingiuste per lo più del fu Vicente Garcia de la Huerta l’essere stato tanto benemerito del teatro spagnuolo) se avanzano che la vera tragedia o non si è coltivata o non si è conosciuta dalla maggior parte della nazione.
., non dimostrano, secondo il suo credere, che la tragedia era allora «una Danza animata dall’intervento di questi geni mali e buoni piuttosto che una vera azione drammatica»; ma convincono solo, che Eschilo introduce ne’ suoi drammi Ninfe e Numi, Ombre e Furie, e dié corpo a vari esseri allegorici, come Sofocle ed Euripide nelle loro tragedie si valsero delle apparizioni di Minerva, di Ercole già nume, di Diana, di Apollo, di Nettuno, di Bacco, di Castore e Polluce, della musa Tersicore, d’Iride, d’una Furia, di un’Ombra, della Morte ecc. […] Essa, addita alla gioventù la vera arte del dramma, che consiste in porre sotto gli occhi un’azione che vada sempre crescendo per gradi finché per necessità scoppi con vigore, e non già in ordinare varie elegie, e declamazioni; perché queste, in vece di avvivar le passioni e renderle atte a commuovere col seguirne, come si dovrebbe, il trasporto progressivo, le rendono pesanti e fuor di proposito loquaci, e quindi stancando la mente, senza mai parlare al cuore, diminuiscono l’interesse e per conseguezza l’attenzione dello spettatore. […] «Lo scopo detta Poesia e dell’Eloquenza (dice ottimamente il Signor di Saint-Marc) é di commuovere vere e dilettare; e la vera pietra di paragone de’ Componimenti ingegnosi é l’impressione che fanno nell’animo de’ Leggitori».
Ma spera ella con palesarne la vera condizione di salvarlo? […] Forse Evelina parte per ispiare, se giunga Adelvolto, e torna per dire, che giugne, la qual cosa con pace d’Evelina non è punto vera, nè poi si sa che cosa voglia da ciò ricavare in vantaggio di Elfrida. […] Ma sia pur ciò una vera tirannia, udendolo da un traditore a lei noto, dovea indurla a dubitarne. […] Ma Almonte è un noto impostore; sarà vera la notizia? […] Ella vuol dire che si accinge a versare il proprio sangue, e a seguir lo sposo; ma per ciò la nostra lingua fornisce modi più veri, più individuali, per meglio e non equivocamente particolareggiare le immagini giusta l’uffizio della vera poesia.
Se vogliansi queste tragedie paragonare in generale colle Greche, si troveranno assai inferiori, scorgendosi in tutte poco o molto la gonfiezza e lo spirito di declamazione sostituito alla vera sublimità e alla passione. […] Se quest’ultima notizia è vera (di che non mi si è presentato sinora verun documento), non sarà avvenuto perchè Medea è malvagia e Giasone un perfido.
Non vogliono riflettere che la più bella musica del mondo diventa insipida qualora le manchi la determinata misura del tempo e del movimento, che troppo è difficile conservar l’uno e l’altro nelle carte musicali prive dell’aiuto del cantore e della viva voce del maestro, che in quasi tutte l’arie antiche abbiamo perduta la vera maniera d’eseguirle, onde rare volte avviene che il movimento non venga alterato o per eccesso o per difetto, e che il gusto del cantore che s’abbandona a se medesimo nell’atto di ripeterle non può a meno di non travvisarle a segno che più non si riconosca la loro origine. […] Si vede che questo scrittore non ha idea della vera imitazione e che la confonde coll’esatta rassomiglianza, che non è né deve essere lo scopo della musica. […] Io non posso diffinire in che consistesse questo suono medio, ignorandosi da noi la vera maniera del pronunziare de’ Greci e de’ Latini, e non essendoci altro mezzo di far capire all’anima una sensazione che la sensazione stessa, ma ch’esso fosse conosciuto dagli Antichi non cel lascia dubitare Marziano Cappella, il quale (in Nuptiis Philol.
Prevede Imetra le vicine funeste conseguenze del di lei empio disegno, ed a costo di qualunque rischio proprio tenta distoglierla dal proposto con una eloquenza vera e robusta nè aliena dal di lei stato, la quale fa ammirare l’arte del poeta senza che egli si discopra. […] Nè l’una nè l’altra cosa è vera. […] Tra essi possono togliersi dalla folla i due che soggiungo, perchè ridotti alle leggi della vera tragedia, cioè Jeste di Girolamo Giustiniano genovese impresso nel 1583, e l’altro Jeste di Scipione Bargagli pubblicato in Venezia nel 1600.
L’ azione dell’Andria è quest’una, l’esito felice degli amori di Gliceria collo scoprirsi cittadina Ateniese e figliuola di Cremete; e se quindi nasce ancora la prosperità di Carino, questo non è narrare o rappresentare un’ altra azione, ma si bene accennar della vera e sola azione della favola una fortunata natural conseguenza. […] Non ha garbugli, non furberie servili, non buffoneria; ma ciò appunto manifesta che in tutt’altro può consistere la vera piacevolezza scenica. […] L’argomento Greco consisteva negli amori di Clinia per Antifila, nello scoprimento della vera condizione di questa fanciulla, e nel carattere del vecchio Menedemo che si punisce della severità usata col figliuolo, mettendosi come un povero contadino a lavorar la terra colle proprie mani.
Or quest’uffizio, secondochè io l’intendo, si era di declamar la tragedia con una specie di melodia poco più della naturale della poesia che non giugneva alla vera melodia che costituisce il canto, e di questa cura si allegerì il Coro, come accenna Aristotile, con dire che Eschilo ne diminuì le parti.
No te metter paura, che questa xe segura, vera occasion da immortalarte giusto, se a tanta Nobiltà ti sa dar gusto.
Nella poesia musicale italiana si verifica esattamente quel verso che Boileau applicava ad un suo compatriota «Et jusqu’à “je vous hais”, tout s’y dit tendrement», tenerezza che sebbene talvolta da vera passione proceda, non è per lo più che un linguaggio convenzionale posto in uso dalla galanteria, la quale è per il vero amore ciò che l’ippocrisia è per la virtù153. […] [21] Non è dunque da maravigliarsi se mancando in chi ascolta la sorpresa derivata dal creder vero ciò che gli si racconta, manca in lui l’illusione eziandio, figurandosi d’esser presente ad una mascherata invece di assistere ad un’azione vera e reale.
Se vogliansi queste tragedie paragonare in generale colle greche, si troveranno assai inferiori; scorgendosi in tutte poco o molto la gonfiezza e lo spirito di declamazione sostituito alla vera sublimità e alla passione. […] Se quest’ultima notizia è vera (di che non mi si è presentato sinora verun documento) non debbe essere avvenuto perchè Medea è malvagia e Giasone perfido e senza onestà.
Esse hanno molta piacevolezza comica, specialmente per chi intende il dialetto Milanese, e vi si veggono acconciamente delineati i caratteri e quello sopra tutti del falso filosofo pittura vera, vivace e pregevole, di cui s’incontrano alla giornata gli originali. […] Ma qual fu l’epoca vera, in cui questi moderni non guerrieri Narseti, in vece di occuparsi ne’ ministeri de’ serragli e de’ giardini orientali, si rivolsero nell’una e nell’altra Esperia ad esercitar la musica?
Al medesimo Capo III, pag. 44, lin. 18, dopo le parole, della vera pietà e religione, si apponga la seguente nota (1).
Queste non saranno mai nobili figlie della vera Eloquenza, quando manca loro il sostegno della verità.
Perchè poi non potrebbe dirsi che Sulpizio avesse voluto dinotar coll’agere il rappresentar nudamente la tragedia, e col cantare il cantarne con vera musica ciò che và cantato, cioè i cori, la qual cosa direbbesi acconciamente e con latina proprietà agere et cantare tragoediam, senza convertirla in melodramma moderno?
Perchè poi non potrebbe dirsi che Sulpizio avesse voluto dinotar coll’ agere il rappresentar nudamente la tragedia, e col cantare il cantarne con vera musica ciò che va cantato, cioè i cori, la qual cosa direbbesi acconciamente e con latina proprietà agere & cantare tragœdiam, senza convertirla in melodramma moderno?
Se fra le cose possibili la voce sparsasi fosse vera, io mi reputerei fortunato di poterle offerire il posto di Iª attrice assoluta dandole carta bianca per fissare l’onorario e stabilire le convenienze per tre anni.
L’azione dell’Andria è quest’una, l’esito felice degli amori di Gliceria collo scoprirsi cittadina Ateniese, e figliuola di Cremete; e se quindi nasce ancora la prosperità di Carino, questo non è narrare o rappresentare un’ altra azione, ma sì bene accennar della vera e sola azione della favola una fortunata natural conseguenza. […] Non ha garbugli, non furberie servili, non buffonerie; ma ciò appunto manifesta che in tutt’altro può consistere la vera piacevolezza scenica. […] L’argomento greco consisteva negli amori di Clinia per Antifila, nello scoprimento della vera condizione di questa fanciulla, e nel carattere del vecchio Menedemo che si punisce della severità usata col figliuolo; mettendosi come un povero contadino a lavorar la terra colle proprie mani.
É perciò che non meno Demostene che Cicerone, grandissimi oratori del l’antichità, col l’esercitarsi nello studio delle tragedie di Euripide, pervennero al colmo nel l’arte loro; per la qual cosa Gian Vincenzo Gravina nella Ragion Poetica chiama le tragedie di Euripide vera scuola di eloquenza . […] Essa addita alla gioventù l’arte vera di tessere un dramma, che consiste in porre sotto gli occhi un’ azione che vada sempre crescendo per gradi, finchè per necessità scoppi con vigore; e non già in ordinare una catena di elegie e declamazioni; perchè queste in vece di avvivare le passioni per renderle atte a commuovere, seguendone il trasporto progressivo, le fanno divenir pesanti e fuor di proposito loquaci; e quindi stancando la mente senza mai parlare al cuore, diminuiscono l’interesse, ed in conseguenza l’attenzione di chi ascolta.
Quel che noi però non troviamo degno di approvazione, si è ciò che si esprime con concetti soverchio leccati e raffinati; non già perchè col Rapin c’incresca l’eleganza, ma perchè la vera passione nel genere drammatico si spiega con maggior semplicità.
Quel che noi però non troviamo degno d’approvazione, si è qualche espressione soverchio leccata e raffinata, non già perchè col Rapin c’incresca l’eleganza, ma perchè la vera passione nel genere drammatico si spiega con maggior semplicità.
Onde non si può dire con buona ragione che la detta separazione abbia ad esse pregiudicato, poiché sono libere ed esistono da se stesse; e sebbene unite abbiano più forza, ne hanno anche molta essendo separate, come lo dimostrano le belle opere che esistono di filosofia di legislazione, di poesia, e di musica strumentale ch’è la vera essenza della musica; mentre il diletto che reca la musica vocale può derivare ancora dalle parole, se non in tutto almeno in parte; ma quando una musica strumentale giunge a toccare, bisogna dire che tutto il merito è della sola musica; sebbene però questa non può commovere se non dipinge o esprime qualche cosa; onde ancor da sé sola è un linguaggio e una specie di pittura, e di poesia.» […] Rousseau (Essai sur l’origine des langues), conviene con essi che noi siamo realmente all’oscuro sulla vera natura dell’armonia de’ Greci, sui loro generi, modi, strumenti ecc. quindi gli sembra strano che si voglia pospor la loro musica alla nostra; ma per le stesse ragioni non è ancor più strano il volerla antiporre?» […] L’una e l’altra di queste cose sono la rovina delle arti e delle belle lettere, imperocché consistendo il bello di esse nell’imitazione della natura, ed essendo siffatta imitazione ristretta ad una limitata sfera di sentimenti e d’imagini espresse con certi colori e con certe determinate forme, qualora la suddetta sfera sia stata, a così dire, intieramente trascorsa per opera dei trapassati autori, e qualora agli artisti comincino a sviare da quelle forme e da quella determinata maniera; vanno a rischio di perder affatto le traccie della vera imitazione, smarrita la quale non resta per loro altro principio regolatore fuorché il capriccio, onde si genera la stravaganza.
Non mi render gelosa; che se finta Sì terribile è l’ira in regio petto, Pensa tu qual saria, se fosse vera. […] E chi non vede quanto più la Marianna di Tristano rassomigli a quella del Dolce, il quale se ne togli qualche languidezza ed espressione troppo famigliare, formò con giudizio di quella storia una vera tragedia regolare ed interessante? […] Linguet (cui non ha punto liberato dalle insolenze ingiuste per lo più del fu Garcia de la Huerta l’essere stato tanto benemerito del teatro spagnuolo) se avanzano che la vera tragedia o non si è coltivata o non si è conosciuta dalla maggior parte della nazione.
Così la vera drammatica senza perfezzionarsi nel Lazio fu distrutta dalle depravazioni mimiche, ed il teatro divenne lo scopo dell’invettive de’ Cirilli, de’ Basilii, degli Agostini e de’ Lattanzii.
Soggiugne: “Le Donne al principio sono tutte nobili, mostrano una fierezza che in vece di amore infonde spavento, ma da poi da questo estremo passano, per mezzo della gelosia, all’altro opposto, e rappresentano al Popolo passioni violente, sfrenate, vergognose, insegnando alle Donne oneste, e alle incaute fanciulle il cammino della perdizione, e la maniera di alimentare amori impuri, e d’ingannare i Padri, di subornare i Servi . . . . discolpandosi colla passione amorosa che viene dipinta onesta e decente, che è la vera peste della gioventù”.
Anima l’atto II un colpo di teatro che rileva l’ipocrisia di Chiara e la vera bontà di Agnese, perchè quella per discolparsi di un suo errore all’arrivo di suo padre prende il linguaggio melato degl’ipocriti e fa credere colpevole la cugina.
Ecco però la vera pena stabilita nelle leggi Longobarde contro del ladro di uno sparviere: Si quis de gajo regis accipitrem tulerit, sit culpabilis solidos duodecim.
Ora siccome questo sentimento non viene somministrato alla musica se non dalla poesia, così la vera espressione musicale nella drammatica non è né può essere che l’esatta imitazione della imagine, passione o sentimento compreso nelle parole. […] Si può chiamare la scuola del diesis e del bemolle, delle massime e delle lunghe, delle crome e delle biscrome anzi che quella della vera eloquenza musicale.
Algarotti entra anche nel dettaglio della composizione musicale e arriva a sostenere una tesi, che è debitrice agli esiti della parigina querelle des bouffons del 1752-54: «Una qualche immagine della vera musica da Teatro ci è restata solamente, sia detto con pace de’ Virtuosi, nelle nostre Opere buffe16.»
Nè dubbiamente l’indica il citato Suetonio, sì perchè se egli fosse nato nella vera Grecia, impropriamente l’avrebbe lo Storico chiamato Semigreco, sì perchè così lo nominò, come abbiam detto, insieme con Ennio, il quale senza controversia nacque tra’ Greci del regno di Napoli. […] Scherza egli in tal guisa sull’indole della propria favola che non ignorava di essere una vera commedia, come è da credersi che fossero ancora le Rintoniche.
Ecco però la vera pena stabilita nelle leggi Longobarde contro del ladro di uno sparviere: Si quis de gaio regis accipitrem tulerit, sit culpabilis solidos duodecim.
L’unica vera bellezza dell’orazione di Shakespear è quella appunto che è sfuggita alla diligenza del Sherlock che da venti anni lo stà studiando.
Commedia fu l’Elisa di Sebastiano Biancardi detto Lalli in Venezia, cantata colla musica del Ruggieri nel 1711, e fu la prima vera commedia in musica veduta su quelle scene.
Adesso che la Granduchessa ha le mani in questo negozio e che lo protegge, non ci posso far altro che fare dare qualche bussata per la Cinzia5 e la più vera è che la faccia maritare, perchè il vecchio è capace di fare qual si sia bestialità, e poi egli è innamorato e tanto basti.
Ecco le conseguenze della falsa filosofia: la vera insegna ai Newton a provare l’esistenza di Dio dalle cose fatte97; e la falsa che tutto ignora il mirabile magistero dell’universo, manca del mezzo naturale per sollevarsi da esso gradatamente alla cognizione di un ente creatore, e si appiglia al partito di negarlo. […] Anzi in una delle di lui commedie smarrite intitolata il Cocalo si ravvisa la vera sorgente ed il modello della commedia nuova118. […] Del resto ciò ch’egli dice, ne fa perdere di vista la vera fisonomia, diciam così, del teatro Greco, e ci occulta specialmente i lineamenti del periodo, in cui fiorì la commedia antica, quando poeti e spettatori erano ugualmente animati in teatro dallo spirito geloso che dettava sì spesso l’ostracismo contro il merito e la virtù.
Nè dubbiamente l’indica il citato Suetonio, si perchè se nato egli fosse nella vera Grecia, impropriamente l’avrebbe lo storico chiamato Semigreco, sì perchè così lo nominò, come abbiam detto, insieme con Ennio, il quale senza controversia nacque tra’ Greci del Regno di Napoli. […] Scherza egli in tal guisa sull’indole della propria favola che non ignorava di essere una vera commedia, come è da credere che fossero pur le Rintoniche.
«Profonda e chiara, tenebrosa e vera.»
Que’ medesimi valent’uomini che avevano principalmente contribuito a rimetter in trono la vera poesia, applaudirono alle spiritose e sensate produzioni sceniche de’ Francesi, e stimolati dal bell’esempio, ambirono di farle rifiorire ancor fra noi.
Altri han detto appresso che la brevità del tempo permesso alle tragiche rappresentanze non è capace come quello dell’epopea, ma ciò ch’io credo doversi massimamente considerare è che il fine della vera tragedia non è di dilettare a guisa della epopeia colla rassomiglianza di molte cose, ma colla compassione. […] Una simile maniera si puote osservare anche in molte altre favole, per la quale di vero ogni rappresentazione riman priva de’ mezzi naturali che perfezionano l’assomiglianza della vera azione, parendo che le persone si mostrino sulla scena perché il poeta le fa venire, non perché gli affari ne diano loro la spinta. […] Racine è stato più di ciascuno avveduto, additando in più protagonisti che ha preso ad imitare quella vera virtù che può nel medesimo tempo renderli amabili ed utilmente esemplari. […] Ove s’afferma cosa non vera per dire cosa maravigliosa. […] Chi giudicarebbe che una persona, la qual perde tante parole parlando colla notte, sia presa da vera e grave passione, o piuttosto che non sia una forsennata?
Le prosopopeje (come il Mattei chiama le Ninfe, il Padre Oceano, l’Eumenidi, la Forza ecc.) punto non dimostrano, com’ egli crede, che allora la tragedia era una danza animata dall’intervento di questi genj mali e buoni piuttosto che una vera azione drammatica; ma pruovano solo che Eschilo introdusse ne’ suoi drammi le ninfe, i numi, le ombre, le furie, e diede corpo a varj esseri allegorici, come Sofocle ed Euripide si valsero delle apparizioni di Minerva, di Bacco, di Castore e Polluce, della musa Tersicore, d’Iride, di una Furia, di un’ Ombra, della Morte ecc. […] Essa addita alla gioventù la vera arte di tessere un dramma, che consiste in porre sotto gli occhi un’ azione che vada sempre crescendo per gradi, finchè per necessità scoppj con vigore; e non già in ordinare una catena di elegie e di declamazioni; perchè queste in vece di avvivare le passioni per render le atte a commuovere, seguendone il trasporto progressivo, le fanno divenir pesanti e fuor di proposito loquaci; e quindi stancando la mente senza mai parlare al cuore, diminuiscono l’interesse e in conseguenza l’ attenzione di chi ascolta.
Chi più di lui tra i Francesi è ricco d’armonia, di numero, di colorito, di genio, d’immagini, insomma di vera poesia?
Ecco ch’e’passa e spira bravura, e pauroso par che stia sull’ali per fuggir : vera espressione d’un poltron vantator valamedios ….
Felicità de gli infelici, Morte, Morte deh prego trammi Là vè sotto sembiante Di morte è vita vera.
Questa è la differenza che passa tra una vera esecuzione di giustizia ed un evento esposto sulla scena tragica.
Questa è la differenza che passa tra una vera esecuzione di giustizia ed un evento esposto sulla scena tragica.
A lui no certamente, perchè non ne adduce una ragione vera che convinca.
Una commedia siffatta piena di evenimenti straordinarj e di pericoli grandi eccede i limiti della vera poesia comica, e per questo capo è assai difettosa.
[Sez.II.7.2.5] E così quell’agitazione, che nata nell’attimo dello spettatore dalla novella di Matusio, e cresciuta nel progresso del recitativo dalle angustie del furioso protagonista, avrebbe dovuto giugnere al suo colmo nell’aria, viene dispettosamente arrestata da una massima, la quale, per giunta, le vera folle, ridurrebbe gli uomini all’infelice stato d’inazione. […] [Sez.III.1.4.10] I Greci adunque, che aveano in loro stessi sperimentata l’efficacia della musica ad accendere e governare le passioni, furono dalla lor propria esperienza istruiti a formare la vera idea di questa disciplina. […] [Sez.III.2.3.4] Tempo però sarebbe ormai, che i Cafari, i Jommelli, i Piccinni, i Traetti, i Sacchini, prendendo per mano la vera musica vocale, la rimenassero sulle scene, rendendo quell’usurpato stile alla musica stromentale, a cui appartiene, anzi queste ancora dee d’uno stile sì ricercato fare assegnato uso e discreto. […] Piacemi il recare spesso in mezzo i sentimenti di questo degno figliuol di Terpsicore, che è giunto a formarsi la vera idea dell’arte sua, traversando i pregiudizi comuni a coloro che esercitano la sua medesima professione.
Storia critica de’ teatri Antichi e moderni Libro X Teatro Italiano del XVIII secolo e de’primi anni del XIX Capo I Tragedie Reali R isorgeva a gran passi nel cader del secolo XVII il gusto della vera eloquenza nelle contrade chiuse dalle Alpi ; e già nel 1690 de’ suoi allievi e proseliti potè in Roma formarsi un’ accademia sotto il modesto titolo di Arcadia, le cui colonie si sparsero per l’Italia tutta. […] Questo esser dee l’uffizio della vera storia teatrale ragionata ; e questo non sanno fare, nè i plagiarii di mestiere quando copiano o furano a mettà, nè gli apologisti preoccupati.