Siccome supponevasi che quella folla di deità si mischiasse negli affari degli uomini, e ch’esse agevolmente divenissero amiche loro o inimiche, così nell’uomo cresceva la stima di se e la fiducia veggendosi assistito da tanti numi. […] Quindi ebbero origine le appirazioni de’ gli spiriti aerei, gli spettri, i fantasimi, i folletti, i vampiri e tanti altri abortivi parti della timida immaginazione, e della impostura.
Arse l’Italia nel XV secolo di un alto incendio di guerra in più luoghi; ma le contese de’ Pisani co’ Fiorentini, de’ Veneziani co’ duchi di Milano, degli Angioini cogli Aragonesi, non impedirono l’avanzamento degli studii e delle arti, nè il favore e la munificenza di tanti principi e ministri verso i coltivatori di esse. […] E chi allora metterebbe più in confronto una ventunesima parte di una novella in dialogo come la Celestina (che ebbe nel secolo vegnente per altra mano il componimento e mai non si rappresentò nè per rappresentare si scrisse) a tanti per propria natura veri drammi Italiani rappresentati con plauso e per tali riconosciuti, cioè alla Catinia, al Cefalo, al Gaudio d’amore, alla Panfila, ai Menecmi, all’Anfitrione, alla Casina, alla Mostellaria, all’Amicizia, al Timone?
Arse l’Italia nel XV secolo di un alto incendio di guerra in più luoghi: ma le contese de’ Pisani co’ Fiorentini, de’ Veneziani co’ duchi di Milano, degli Angioini cogli Aragonesi, non impedirono l’avanzamento degli studj e delle arti, nè il favore e la munificenza di tanti principi e ministri verso i coltivatori di esse (Nota XIII). […] E chi allora metterebbe più in confronto una ventunesima parte di una novella in dialogo, che ebbe nel secolo vegnente per altra mano il compimento e mai non si rappresentò, a tanti per propria natura veri drammi Italiani, rappresentati con plauso e per tali riconosciuti, cioè alla Catinia, al Cefalo, al Gaudio d’amore, alla Panfila, ai Menecmi, all’Anfitrione, alla Casina, alla Mostellaria, all’Amicizia, al Timone?
Per non avere appreso o per non seguire i veri modi del cantare, adattano le stesse grazie musicali ad ogni sorta di cantilena, e co’ loro passaggi, co’ loro trilli, colle loro spezzature e volate fioriscono, infrascano, disfigurano ogni cosa: mettono quasi una lor maschera sul viso della composizione, e arrivano a far sì che tutte le arie si rassomigliano, in quella guisa che le donne in Francia, con quel loro rossetto e con que’ tanti lor nei, paiono tutte di una istessa famiglia.
E quando dopo tanti anni di buon umore, l’artista si presentò al pubblico, dicendogli bruscamente : « domani a sera venite a piangere : — Morte civile !
Alla Sua Signora tanti rispetti e ricordi da parte mia e delle mie donne.
In fatti la gloria principale dell’Ariosto e di tanti altri comici Italiani, de’ quali ragioneremo, è questa appunto di aver migliorati gli argomenti degli antichi, e di averne poi tratti tanti e tanti altri dalla propria fantasia; la qual cosa gli rende superiori a’ Latini per invenzione, ed in conseguenza per vivacità. […] Bartolo si fe sedurre da quell’avere, nè curò di cercare di queste infelici; ed al fine dopo tanti anni scorsi pensa a fare un pellegrinaggio per andarne in traccia, e per espiar la colpa. […] Non perchè tutte non ci presentino pregi degni da osservarsi; che ingegnose e regolari esse sono, e in grazioso e sempre puro stile da’ Toscani e non Toscani dettate; ma unicamente perchè non permette tante minute ricerche e continue pause un racconto che abbraccia tante età e nazioni e tanti generi di drammi. […] E Panzana additando l’uditorio dice, Eccone quà tanti.
In contraccambio di tanti pregi egli menò una vita infelice calunniato dalla ignoranza, perseguitato dalla invidia e costretto a fuggirsene altrove da quei monaci stessi ch’egli onorava colte sue virtù ed istruiva coi suoi rari talenti. […] In altro luogo facendo menzione di Guglielmo Mascardio cantore di grido a’ suoi tempi, ma le cui opere e le cui opinioni sono state avvolte insiem con tanti altri depositi delle umane cognizioni nella irreparabile dimenticanza dei secoli, attribuisce a lui l’usanza di lasciar ne canto imperfette le brevi. […] Da tanti errori le belle arti ritraevano gran vantaggio per la loro perfezione, e progressi: merito assai tristo per una religione, l’oggetto della quale debbe esser quello d’assicurar all’uomo la felicità della vita presente, e della futura, e non di regolare lo scalpello dello scultore, o di porger materia alle bizzarro fantasie d’un bello spirito.
Una protezione sì dichiarata di un principe così dotto inspirò ne’ letterati del suo tempo tale ardore per la buona poesia e spezialmente per la drammatica, che vi si videro occupati a gara i migliori ingegni per perfezionarla; dal che nacquero tanti e tali componimenti drammatici, che ci potremo contentare di ragionar de’ primieri in ogni genere, e di quelli che mostrano i più notabili avanzamenti nell’arte. […] Pare dunque che ’l Trissino, il quale non so perché, e donde venga dal signor di Voltaire, ed indi da altri di lui compatrioti, appellato Arcivescovo, abbia servito di modello a’ primi francesi che si esercitarono nel genere tragico, diciamolo qui di rimbecco e per incidenza a risposta e mortificazione di tanti ignoranti e boriosi critici francesi che a lor bel piacere sono andati e vanno, tutto giorno disprezzando e malmenando in generale con somma ingratitudine e malignità la nostra nazione e le cose nostre: Ogni uomo dotto sa, che per opera degl’italiani a poco a poco diradaronsi in Francia le densissime tenebre dell’ignoranza, dileguossi la stupenda barbarie gaulese, e forse non che il primo crepuscolo di luce letteraria, ma il buon gusto nelle belle arti, e scienze tutte. […] Questo é quello che non hanno giammai saputo osservare tanti critici periodici oltramontani, i quali hanno voluto entrar in bucato e inveire contra l’opera italiana.
Stolto o maligno si dimostra ancora il consiglio di Persia che lo condanna a morte senza sospettar d’Artabano, il quale per tanti indizi risulta reo della morte di Serse al pari di Dario. […] Piron, tragedia scritta con molta vivacità, contiene varie situazioni assai sorprendenti e interessanti, per le quali ha con ragione ricevuti tanti applausi su vari teatri, e passerà alla posterità tralle buone tragedie francesi. […] «Il secolo, dice Dorante filosofo, ha fatti tanti progressi, che ormai può bravare e l’odio, e l’invidia»; e Valerio risponde: Sans doute, et l’on ne vit jamais tant de génie, Tant de productions charmantes, plus de mœurs!
Agnese maravigliata della fiducia di quel forestiere è tentata dalla curiosità ad aprir la cassetta; resiste alquanto, poi l’apre e resta abbacinata allo splendore di tanti diamanti. […] Egli è notabile però che ad onta di tanti ammazzamenti, di tanto sangue e di tanti enormi delitti esposti sul teatro inglese, ogni dramma è preceduto da un prologo rare volte serio, e seguito da un epilogo ordinariamente comico anche dopo i più malinconici argomenti.
L’eloquenza della scaltrita ninfa presenta alla ritrosa fanciulla la concordia di tanti oggetti silvestri come effetto della potenza dí amore. […] Non sembrami veramente la cosa migliore di quel secolo ricco di tanti buoni drammi.
L’eloquenza della scaltrita ninfa presenta alla ritrosa fanciulla la concordia di tanti oggetti silvestri come effetto della potenza d’amore. […] Non sembrami veramente la cosa migliore di quel secolo ricco di tanti buoni drammi.
Tanti giudizj mal fondati e tanti fatti erroneamente esposti, non che nell’altrui, nella stessa letteratura spagnuola, mostrano ad evidenza di essersi il lodato sig.
Né deve essere che molto condonabile qualche lieve travedimento (se forse avvenne) ad uno scrittore che stende coraggiosamente e con riuscita così alla lunga e alla larga le sue mire, e restringe in brieve spazio tanti vari oggetti di varie nazioni e varj tempi.
La Cruz di declamar tanti anni contro i compatriotti che inculcavano le moleste unità; e non ebbi io torto in affermare ch’egli rannicchia e pone in pessimi scorci le altrui invenzioni soggettandole al coltello anatomico di Procruste.
Non sono le lagrime che rendono difettose le favole di Sedaine, Mercier e tanti altri; ma il tuono tragico, i delitti grandi, i patiboli. […] Il secolo (dice Dorante filosofo moderno) ha fatti tanti progressi che può oramai ridersi dell’odio e dell’invidia. […] E quando mai Vide la Francia tanti varii ingegni, Opre più vaghe, più puri costumi?
Agnese maravigliata della fiducia di quel forestiere è tentata dalla curiosità ad aprir la cassetta; resiste alquanto, poi l’apre e resta abbaccinata allo splendore di tanti diamanti. […] Egli è però notabile che ad onta di tanti ammazzamenti, di tanto sangue e di tanti enormi delitti esposti sul teatro inglese, ogni dramma è preceduto da un Prologo rare volte serio, e seguito da un Epilogo ordinariamente comico anche dopo i più malinconici argomenti.
E come trovarne dalla morte di Teodosio I sino allo stabilimento de’ Longobardi in Italia, periodo il più deplorabile per l’umanità a cagione del concorso di tante calamità, cioè di guerre, d’incendii, di fame, di peste che all’inondazione di tanti barbari desolarono l’intera Europa? […] Grande, robusto, eroico, pieno di brio e di fierezza, rendesi talvolta turgido, impetuoso, oscuro; e pure a traverso de’ secoli e delle vicende di tanti regni, giugne alla posterità che l’ammira nel Prometeo, ne’ Sette a Tebe, ne’ Persi.
Né altrimenti esser poteva; perché essendo sì innalzati in quella medesima età per dare ricetto all’opera tanti nuovi teatri, è necessariamente avvenuto che abbia posto lo studio nel dipinger le scene un assai maggior numero d’ingegni che fatto non avea per lo addietro.
Ora se possono questi grandi uomini esser chiamati divini da tanti illustri oltramontani, non potrà il Napoli-Signorelli con più moderazione nominarli almeno tra’ primi argonauti italiani nella scoperta delle Indie Occidentali?
Ora se possono questi grand’uomini esser chiamati divini da tanti illustri Oltra montani, non potrà il Napoli-Signorelli con più moderazione nominarli almeno tra’ primi argonauti Italiani nella scoperta dell’Indie Occidentali?
Beltrame lo sà, lui stesso lo giudica impossibile e dannoso, e che senza ammazzarsi qualcuno, non si possa finir l’anno. or per l’amor d’iddio, come si può gustar un principe con tanti disgusti ?
Al vedere tanti e sì rapidi cangiamenti il comico Anassila ebbe a dire che la musica, agguisa della Libia, generava tutti gli anni un qualche mostro di nuova spezie113. […] Meditando sovra siffatti principi, si troverebbe lo scioglimento di tanti che a noi sembrano paradossi ne’ costumi degli antichi popoli, e si vedrebbe non essere cotanto favolosa, né contraria al senso comune l’opinione, che avevano i Greci intorno alla morale influenza dell’armonia. […] S’io volessi fare un processo formale alla nostra musica, larga messe mi si presenterebbe di riprensione disaminando l’imbarazzata e difficil maniera d’impararla, l’imperfezione delle chiavi che servono di regola all’armonia, i vizi radicali del nostro solfeggio, e la falsità di tanti principi ricevuti come incontrastabili unicamente perché nessuno ha voluto chiamarli a contrasto. […] [27] Quindi è che invece di formar, come si dovrebbe, un unico e solo linguaggio, invece di concorrere unitamente al medesimo effetto che è quello di risvegliar nell’animo una cotal sensazione o imagine, nascono all’opposto due linguaggi diversi, quello cioè del poeta e quello del musico, ciascuno dei quali, cercando vestirsi di bellezze sue proprie e independenti dall’altro, ha posto quei rilevante divario che pur sussiste nei nostri moderni sistemi ad onta degli sforzi di tanti uomini illustri che vi si sono affaticati per levarlo di mezzo.
L’esempio degli antichi Greci e Romani, che escluse le vollero costantemente; il rischio, cui si espone la loro virtù esercitando una professione, ove per un orribile ma universal pregiudizio, non ha alcun vantaggio il pudore, ove tanti ne ha la licenza; l’ascendente che prendono esse sugli animi dello spettatore non meno contrario al fine del teatro, che pericoloso al buon ordine della società; la mollezza degli affetti, che ispirano coi loro atteggiamenti espressivi di già troppo avvalorata colla seduzione naturale della bellezza e del sesso; lo spirito di dissipamento che spargono fra giovani scapoli, i cattivi effetti del quale si risentono in tutti gli ordini dello stato politico, sembrano legittimar il divieto ad esse pur fatto sul principio delle drammatiche rappresentazioni in Italia di comparir sul teatro. […] Ma con buona licenza di codesti Messeri quanto l’arte di pensare è superiore all’arte d’infilzar armoniosi periodi, altrettanto meritano maggiore stima, e venerazione i nomi di Galileo, di Viviani, di Torricelli, di Bellini, di Malpighi, di Borelli, di Campano, del Cavalieri, dell’Acquapendente, del Porta, e di tanti altri fisici e matematici del secolo passato che non quelli di Bembo, Casa, Varchi, Cota, Molza, Tansillo, e mille altri scrittori eleganti del Cinquecento.
Ma si venne al 1799, e al Vestri toccò la sorte di tanti giovani, forse, nella fiamma di amor della patria, un po' troppo audaci : di essere cioè insultato e percosso dalla popolaglia, e chiuso nelle carceri del Bargello, dalle quali uscito dopo breve tempo, nauseato di siffatte inique persecuzioni, abbandonò Firenze e la Toscana, senza sapere ove il suo buon genio lo guidasse.
[6] Tra il fracasso dell’armonia, tra i tanti suoni accavallati l’uno sopra l’altro, tra i milioni di note, che richieggono il numero e la varietà delle parti, qual è il cantore la cui voce possa spiccare? […] E se fa di mestieri che l’uditore dopo aver sentita la sinfonia aspetti pur anco le parole per sapere che quella che giace colà svenuta sul sasso, è la fedele Aristea che il giovane che le sta al fianco tutto smarrito e piangente, è il generoso Megacle, che il personaggio che sopragiunge inopportuno è Licida, che le ridenti e deliziose campagne che appariscono in lontananza sono quelle di Elide, e che i flutti, che vede luccicare tremoli e cristallini, sono le acque del fiume Alfeo, come potrà egli lusingarsi giammai di capire distintamente in un’apertura i diversi generi d’affetto, che debbono spiccare ne’ tanti avvenimenti, che s’affollano, s’incalzano, e con tanta rapidità si succedono nell’Olimpiade? […] Rousseau ha sensatamente avvertito135 che da niuno strumento si possono cavare tanti vantaggi quanti dal violino, perché niun altro è così acconcio a render dei suoni analoghi a quelli degli altri strumenti. […] Sarebbe più facile «Ad una ad una annoverar le stelle» che il fare patitamente menzione di tanti altri compositori o esecutori più giovani, che sotto la scorta degli accennati maestri coltivano quest’arte deliziosa in Italia.
Sin dalla prima scena vi si ammira lo stato dell’azione esposto con somma arte e nitidezza per maniera che l’antichissimo riformatore e padre della tragedia non ebbe bisogno dell’esempio altrui per condurre alla perfezione questa sì rilevante parte de’ componimenti drammatici, nella quale tanti moderni fanno pietà a’ savi a differenza del chiarissimo signor abbate Metastasio, che vi riesce sempre mirabilmente. […] Dall’altra parte il giudizioso Sofocle avrebbe esposto agli occhi de’ greci un’inverisimilitudine sì manifesta, se il fatto non si rendesse sopportabile per qualche circostanza importante, allora nota, ed oggi involta nell’oscurità di tanti secoli? […] Levaci tu da tanti strazi omai, Bella di Giove figlia; E il dannoso nemico, Che senza scudo e armi In crude fiamme mi consuma e strugge, Quinci a fuggir costringi; E da questa cittade Entro al letto l’immergi De la grand’Anfitrite, o tra li scogli Del Mar Trace lo scaccia; Però che quel che ci lasciò d’intatto, E di salvo la notte, Il dì venendo invola. […] Ah tu morrai, E di tuo padre il nome Che tanti ne salvò, ti sia funesto!
Ed è in questo del Marchese assai più teatrale e patetico, perchè non narrato come avvenuto tanti anni prima, ma esposto alla vista dell’uditorio. […] Forse che più che tragedia parrà questa Giocasta un romanzo drammatico per tanti colpi di teatro e per le avventure che in essa si accumolano in poche ore. […] Perchè a sottrarne i vostri antichi padri Colà fec’io tanti prodigii orrendi ? […] Tra tanti passi eccellenti è ben difficile scerne alcuni pochi senza far torto al rimanente ; pur ne indicheremo alquanti. […] Ci tratterremo noi a dare una compiuta analisi di sì nota tragedia enunciata in tanti giornali buoni e cattivi, recitata e ripetuta in tanti teatri, ed impressa tre volte in due anni ?
Rileggendo la citazione del Maffei egli si accorgerà subito che quel nostro letterato non intese al certo di parlare di tanti buoni componimenti de’ quali non ignorava l’esistenza e conosceva la prestanza, perchè avrebbe fatto gran torto a se stesso e non mai all’Italia.
Nell’atto I si vede la disposizione dell’animo di Armida contro Rinaldo: l’applauso che ella riscuote per tanti cavalieri cristiani da lei imprigionati: la vendetta che medita contro Rinaldo che gli ha liberati.
Nell’atto I si vede la disposizione dell’animo di Armida contro Rinaldo: l’ applauso ch’ella riscuote per tanti cavalieri cristiani da lei imprigionati: la vendetta che medita contro Rinaldo che gli ha liberati.
Quando il povero parroco, nella bella commedia del Garelli I contingenti piemontesi, esce a far la sua parte, il pubblico lo prende su come viene, e se la figura è meschina e i modi sono piccoli, il pubblico se ne compiace di più perchè lo rassomiglia all’uno o all’altro dei tanti curatucoli di campagna, che son di sua conoscenza ; ma se il parroco recita in italiano, allora il pubblico, ci si perdoni la frase, si monta diversamente, e vuol figura veneranda, vuol modi gravi, vuole unzione, vuole insomma quell’ ideale, che invano si vorrebbe da taluni scompagnare dall’arte.
Il pagamento dell’onorario dovrebbe farsi in tanti napoleoni d’oro, valutati 20 franchi cadauno, ovunque, esclusa qualunque moneta o carta.
Fu il '66 in Francia e in Ispagna ; si stabilì il '67 a Napoli, ove gli affari andarono alla peggio ; e avrebbe certo dato fondo a ogni avere messo assieme con tanti sudori, se il buon genio della cassetta non gli avesse suggerito di comporre una specie di satira in tre atti con musica — Colpe e Speranze — che andò in iscena il 25 dicembre, e piacque a segno da non lasciare un sol giorno il cartellone per tutto quel carnovale.
Con altro disegno leggeva i Greci il saggio Racine, e ne ritrasse il vantaggio di rendersi superiore a tanti e tanti tragici. […] Ah tu morrai, E di tuo padre il nome, Che tanti ne salvò, ti fia funesto.
Ma ad onta di tante morti, tanto sangue, e tanti delitti enormi esposti sul teatro inglese, vi si osserva, che ogni dramma é preceduto da un prologo rare volte serio, e seguito da un epilogo ordinariamente comico, anche dopo i più malinconici argomenti, e vi si vede sovente l’istessa attrice, che sarà morta nella tragedia, venir fuori co’ medesimi abiti a far ridere gli spettatori. […] L’autor filosofo, retrocedendo fino ai tempi primitivi, ha conseguito di afferrare i veri pensamenti che doveano occupar il primo uomo nella sua prossima dissoluzione; e con un fatto sì comune, com’é la morte naturale di un uomo decrepito, é pervenuto a cagionar quel terror tragico, che in vano tentano di svegliare tante favole romanzesche, tanti delitti atroci spiegati con tutta la pompa nelle odierne tragedie cittadinesche inglesi e francesi.
Abbiamo osservato nel parlar de i drammi Italiani l’esattezza di tanti industriosi scrittori intenti a far risorgere l’arte teatrale de’ Greci. […] Si faccia parimente grazia a codesto preteso matematico del non aver conosc iuta la storia letteraria Italiana, com’è dimostra proponendo per cosa tutta nuova all’Italia lo studio de’ Greci: a quell’Italia, dove anche nella tenebrosa barbarie de’ tempi bassi fiorirono intere provincie, come la Magna Grecia, la Japigia e parte della Sicilia, le quali altro linguaggio non avevano che il greco, e mandarono a spiegar la pompa del loro sapere a Costantinopoli i Metodii, i Crisolai, i Barlaami: a quell’Italia, che dopo la distruzione del Greco Impero tutta si diede alle greche lettere, e fu la prima a communicarle al rimanente dell’Europa, cioè alla Spagna per mezzo del Poliziano ammaestrando Arias Barbosa ed Antonio di Nebrixa, ed all’Inghilterra per opera di Sulpizio, di Pomponio Leto e del Guarini, maestri de’ due Cuglielmi Lilio e Gray: a quell’Italia, dove, per valermi delle parole di un elegante Spagnuolo) la lingua greca diventò sì comune dopo la presa di Constantinopoli, che, come dice Costantino Lascari nel proemio ad una sua gramatica, l’ignorare le cose greche recava vergogna agl’Italiani, e la lingua greca più fioriva nell’Italia che nella stessa Grecia a: a quella Italia in fine che oggi ancor vanta così gran copia di opere, nelle quali ad evidenza si manifesta quanto si coltivi il greco idioma in Roma, in Napoli, in Firenze, in Parma, in Pisa, in Padova, in Verona, in Venezia, in Mantova, in Modena, in Bologna, in Milano, che vince di gran lunga l’istesso gregge numeroso de’ viaggiatori transalpini stravolti, leggeri, vani, imperiti e maligni, tuttocchè tanti sieno i Sherlock e gli Archenheltz b.
Bello fu allor veder tutte rivolte Le mani a saccheggiar tali e tanti astri.
Tutta volta presso di una nazione per tante vie incoraggiata e premiata (fortuna invidiabile) e che abbonda di tanti modelli eccellenti, i quali non lascia di veder rappresentar di quando in quando, questa decadenza sarà sempre passeggiera e ’l gusto adulterato non debbe tardar molto a rinvenir dallo stordimento269.
E per giunta poi : « …. avea bellissime…. virtuose mani, le cui dita coronavano gemme orientali, dalle quali usciva tanto splendore, che quanti gesti delle mani accompagnavan le parole, tanti parevan lampi che balenasse il cielo. » E dopo tante altre e più vive e artifiziose parole, passa alla descrizione della morte, alla quale si lascia andare con l’anima fortemente, sinceramente, per quanto iperbolicamente, addolorata.
Quando un giornalista vuol gridare contro la meschinità della mise en scène, deve anche dire al pubblico : « tu pubblico asino e spilorcio, che dài tanti paoli all’ opera ; e voi accademie orecchiute che per l’opera date migliaja di scudi, date anche alla commedia i mezzi di decorare la scena. » Ma egli, il giornalista, comincia dall’ abonarsi con due crazie per recita, tante quante ne dà al decrotteur per pulirgli gli stivali ; e poi grida : arte, arte !
Truffaldino non è che uno dei tanti nomi di Arlecchino, senza mutamento nè di abiti, nè di essenza.
Il breve viaggio fatto in Napoli da questo celebre letterato nel giugno del 1796, mi partorì insperatamente col piacere di riveder dopo tanti anni l’antico amico quello di udirgli leggere tali tragedie, e di ottenerne copia. […] Fra tanti passi eccellenti è ben difficile scerne alcuni pochi senza far torto al rimanente; pur ne indicheremo alquanti. […] ella che crollò il gran potere di Federigo II, che a tanti stati aviti accoppiava le forze dell’impero? […] Si dirà che la musica anche oggi astringa la poesia a tradir se stessa e la verità: ma dunque nel sistema musicale presente vi son pure ostacoli all’imitazione del vero, ad onta di tanti censori severi del Zeno, e del Metastasio? […] tanti anni senza scrivermi, Senza avvisarmi!
Non credo che tanti esempj ne porgano tutte le Commedie di Ariosto, e Machiavelli unite insieme, quanti se ne incontrano nel solo Marqués del Cigarral Commedia del lodato Moreto.
È forse questa una scelta ragionata delle migliori, siccome ognuno attendeva dopo tanti anni?
E li dice cattivi e scandalosissimi, e lodati da tanti illustri uomini non già pel merito loro, ma per la loro invenzione.
Intanto benchè nol diciate nel Saggio, prevedo, che farete fra voi stesso alla Opera Italiana la seguente opposizione: = E bene, se la Musica moderna viene da tanti dottissimi Italiani, e dallo stesso Signorelli riprovata nella maniera, che oggi si trova introdotta, l’Opera dunque di oggidì è diffettosa al pari della Commedia Spagnuola =. […] Questi grossolani difetti punto non conosce la Poesia musicale, a cui voi gratuitamente tanti ne attribuite.
Di poi s’imputa al Tasso una mescolanza di carattere piacevole al serioso a cagione delle disgrazie di Erminia, che tanti patetici movimenti risvegliano in altri cuori.
Egli potrà aver anche fantasia per inventare e ben disporre favole nuove compiute; ma in tanti anni non l’ha certamente manifestata.
— [1.16ED] — Io — replicò egli — ho voluto privilegiarti, preferendoti a tanti finora da me conosciuti, e, poiché ho rotto il silenzio, seguirò a dire qualche cosa atta a persuaderti alquanto, se non a convincerti, che io sono Aristotile. [1.17ED] Hai tu mai letto chi fu mio padre? […] Ma che hai tu fatto in tanti secoli che sei vissuto? […] — [2.25ED] — Chi vuol troppo — rispose Aristotile — men conseguisce. [2.26ED] Ed io voglio questa volta dir qualche cosa contra i filosofi, perché tu conosca almeno da questo la mia ingenuità, parlando io contra una setta di uomini nel numero de’ quali o sono o almeno presumo che tu mi creda. [2.27ED] Ma tanti anni di esperienza e di vita mi hanno insegnato a non ostinarmi nelle opinioni. […] [2.41ED] Ma se ottenessi il fine prescrittomi o non occorrerebbe più espor tragedie o quante se n’esponessero sarebbero tutte una sola e sarebbero per avventura l’Edipo tiranno di Sofocle. [2.42ED] Ma chi lo vorria più soffrir nelle scene dopo tanti e tanti secoli sempre udito e sempre rappresentato? […] [5.48ED] Ma chi meglio non ode, si assuefa ad ascoltar come ottimo ciò che riuscirebbe pessimo in confronto dell’odierna perfezion della musica accompagnata da certe sottili finezze di tanti ben temperati strumenti, quanti ne arricchiscono ed empiono modernamente le orchestre.
Eccovene alcuni de’ più celebri in Roma e altrove: Francesco Sotto di Langa, Bartolommeo Escovedo nominato dal Salinas con grande elogio, Pietro Eredia, del quale fa menzione Vincenzo Galilei nel suo Fronimo come di bravo compositore, Antonio Calasanz, Francesco Palavera, Antonio di Toro, Pietro Ordognez, Giovanni Sanchez di Tineo, Francesco Bustamante, Michaele Paramatos, Cristoval de Oggeda, Tommaso Gomez di Palencia, Giovanni Paredes, Gabriello Galvez, Raffaello di Morra, Silvio di Spagna, Pietro Guerrero, Gabriello detto lo Spagnuolo, Diego Lorenzo, Francesco di Priora, Diego Vazquez di Cuenca, Bartolommeo della corte Aragonese, Antonio Carleval, Girolamo di Navarra, Pietro di Montoya, Abraamo della Zerda, e tanti altri che più assai ne troverrebbe chi con diligenza svolgesse gli autori italiani di quel secolo. […] Se l’illustre storico della letteratura Italiana, che tant’onore ha recato alla sua nazione, ignorò il gran numero e il valore dei mentovati stranieri, i quali si portarono in Italia ad illustrar sì distintamente e sì gloriosamente la musica, noi non sapremmo se non istupire di tal negligenza meno scusabile trattandosi d’un’arte onde gl’Italiani vanno a ragione così superbi di quello che sarebbe stata in tanti altri punti poco interessanti, ne’ quali però ha egli avuta la compiacenza di fermarsi a lungo. […] Ma gli Spagnuoli, i Francesi e i Fiaminghi, che si veggono privi di testimonianza così autorevole, si consoleranno nella perdita loro ripensando a tanti altri illustri scrittori suoi nazionali, i quali hanno siffatta gloria tra essi e gl’Italiani meritevolmente divisa50.
Ballava Venere, Ebe, e le Grazie; ballavano Castore, Polluce e Minerva; ballarono Teseo, Pirro, Achille e tanti altri, e perfin colui che al detto di Cicerone chiamò la filosofia dal cielo, colui che dall’oracolo fu riputato il più saggio fra gli uomini, il maestro di Eschine, di Platone, e di Senofonte, in una parola il gravissimo Socrate ebbe fama di bravo danzatore. […] Atlante comparve insieme con esse dicendo aver egli appreso in altri tempi da Archimede, che se trovar si potesse un punto d’appoggio fuori del globo sarebbe assai facile il sollevare tutta quanta è la massa della terra; a tal fine esser egli venuto dalla Mauritania nella Gran Bretagna creduta da lui questo punto così difficile a trovarsi, voler non per tanto smuover il globo e scaricarsi da un peso enorme che gli avea per tanti secoli gravate le spalle, consegnandolo ad Alithia compagna inseparabile del più saggio e del più illuminato fra i re. […] I Tedeschi svegliandosi ad un tratto nella carriera delle belle lettere, e di tutte quante l’arti d’imaginazione, aveano fatto vedere all’Europa col mezzo di Klopstock, di Haller, di Gessner, di Zaccaria, di Gleim e d’altri poeti stimabili non meno che cogli Hendel, gli Stamitz, i Bach, i Nauman, i Gluck, gli Hayden, i Graun e tanti altri rispettabili professori di musica quanto fosse stato indecente e ridicolo il quesito proposto dal Bouhours, gesuita francese, «se un Tedesco poteva aver dello spirito».
Oltre a ciò essa distrugge le speranze de’ penitenti, vale a dire di quasi tutti gli uomini; perchè una vendetta atroce che si avvera dopo tanti pentimenti, scoraggia senza riscatto tutti coloro che hanno perduta l’innocenza; e nell’Olimpia dice acconciamente l’istesso Voltaire, Helas! […] L’arbitro della letteratura francese allora universalmente idolatrato ben conobbe quanto lontano si trovasse La Harpe da’ veri talenti tragici, e quanta fosse la sua arroganza prematura, e la smania magistrale che enunciava da lontano l’autore di tanti volumi precettivi di letteratura e di altre produzioni tragiche mal riuscite e di una traduzione infelice della Gerusalemme del gran Torquato. […] Di grazia che altro rappresentano i Cinesi da tanti secoli?
Bel bello (replica Mercurio) Madama la Notte, che di voi stessa corre voce che sapete in tanti climi diversi essere la fida conservatrice di mille dilettosi intrighi; ed io credo che in tal materia fra noi due si giostri con armi uguali”. […] Somministra il titolo a questa favola un vase o pentola ripiena di oro d’intorno a quattro libbre di peso trovata dal vecchio Euclione, il quale avvezzo alla miseria da tanti anni non sa far uso di quel danajo, e di bel nuovo lo seppellisce. […] Per tanti inganni fulmina il vecchio contro Epidico.
quell’eleganza che dopo tanti secoli conserva la medesima imperiosa forza su i posteri più remoti (Nota VI)? […] Ma chi sa (dicasi ciò con buona pace di certe pretese divinità terrestri) che il male non consista, anzi che ne’ miei giudizj, in quel che da tanti anni pose nelle loro teste salde radici? […] Adunque la copia stessa delle pedanterie ammassate in più secoli su gli antichi, ha cagionato il rincrescimento di studiarli, e quindi la non curanza di tanti moderni, specialmente oltramontani, che ne giudicano leggermente e guastano colle loro ciance il gusto della gioventù.
[29] Che se pochi autori hanno osservate ne’ loro scritti siffatte distinzioni, se si leggono arie, recitativi, e duetti lavorati su principi diversi, ciò altro non prova se non che pochi autori hanno penetrato nello spirito dell’arte loro, e che appunto veggonsi tanti drammi noiosi e languidi perché non sono stati scritti secondo le regole, che prescrive una critica filosofica. […] [38] Essendo dunque gli argomenti maravigliosi sottoposti a tanti difetti, ragion vuole, che si debbano ad essi preferire gli storici. né non è già vero, come pretende il Marmontel, che questi non somministrino al decoratore abbondanza di spettacoli nuovi e brillanti.
Abbiamo osservato nel parlar de’ drammatici Italiani l’esattezza di tanti industriosi scrittori intenti a far risorgere l’arte teatrale de’ Greci.
La Cruz di declamar tanti anni contro i compatriotti che inculcavano le moleste unità; e non ebbi io torto in affermare ch’egli rannicchia e pone in pessimi scorci le altrui invenzioni soggettandole al coltello anatomico di Procruste.
E tanti furon davvero gli applausi, che ad essa dovette il Goldoni la sua andata a Parigi, e a Parigi assistè a nuove rappresentazioni di quella fortunata bagattella, che ’sta volta, con suo grande stupore, fu innalzata alle stelle sul teatro della Commedia italiana.
Pareva che l’attrice volesse col vigore della sua anima, coll’espressione degli atti, coll’ardore del desiderio rientrare nell’entusiasmo che destò quell’alto lavoro ; pareva che un altro sentimento, non meno nobile e generoso, la infiammasse, ed era di recare un conforto, una gioia all’anima, su cui in pochi anni tanti e si fieri dolori si sono accumulati.
Bel bello (replica Mercurio) Madama la Notte, che di voi stessa corre voce che sapete in tanti climi diversi essere la fida conservatrice di mille dilettosi intrighi; ed io credo che in tal materia fra noi due si giostri con armi uguali.» […] Somministra il titolo a questa favola un vaso o pentola ripiena d’oro d’intorno a quattro libbre di peso trovata dal vecchio Euclione, il quale avvezzo alla miseria da tanti anni non sa far uso di quel danajo, e di bel nuovo lo seppellisce. […] Per tanti inganni fulmina il vecchio contro Epidico.
quell’eleganza che dopo tanti secoli conserva la medesima imperiosa forza su i posteri più remoti? […] Ma chi sa (dicasi ciò con buona pace di certe pretese divinità dell’orbe letterario) che il male non consista, anzicchè ne miei giudizii, in quel che da tanti anni pose nelle loro teste salde radici? […] Adunque la copia stessa delle pedanterie ammassate in più secoli su gli antichi, ha cagionato il rincrescimento di studiarii, e quindi la non curanza di tanti moderni, specialmente oltramontani, che ne giudicano leggermente, e guastano colle loro ciance il gusto alla gioventù.
III Essa distrugge le speranze de’ penitenti, vale a dire di quasi tutti gli uomini; perchè una vendetta atroce che si avvera dopo tanti pentimenti, scoraggia senza riscatto tutti coloro che hanno perduta l’innocenza; e nell’Olimpia dice acconciamente l’istesso Voltarre, Hélas! […] Di grazia che altro rappresentano i Cinesi da tanti secoli?
Ed ora esaminiamo un po’ la cosa, poichè un po’ di bujo è intorno specialmente a Cintio, l’ innamorato della Cecchini, cagione di tanto intrico, di tante invidie, di tanti risentimenti !!!
Ella possedea Tassi, Ariosti, Trissini, Raffaelli, Buonarroti, Correggi, Tiziani e Palladj: ella volle ancora i suoi novelli Apollonj, Pappi, Taleti, Anassimandri e Democriti, e n’ebbe una copiosa splendidissima schiera nel Porta, nel Galilei, nel Fontana, nel Borrelli, nel Cavalieri, nel Torricelli, nel Viviani, nel Cassini, nel Castelli, nel Monforte, e in tanti altri insigni membri delle Accademie de’ Segreti, de’ Lincei, del Cimento, degl’ Investiganti, de’ Fisiocritici, degl’ Inquieti, della Società scientifica Rossanese (Nota II).
Padrone Ha piacciuto a Iddio doppo tanti anni di visitarmi con un figliuolo, il quale mi è stato caro, sì come figliuolo, ma molto più caro per haver ritrovato al mio ritorno di Ferrara che l’hanno rassegnato sotto il patrocinio di V.
Essa possedeva Tassi, Ariosti, Trissini, Raffaelli, Buonarroti, Correggi, Tiziani e Palladii: essa volle ancora i suoi novelli Apollonii, Pappi, Taleti, Anassimandri e Democriti, e n’ebbe copiosa splendidissima schiera nel Porta, nel Galilei, nel Fontana, nel Borrelli, nel Cavalieri, nel Torricelli, nel Viviani, nel Cassini, nel Castelli, nel Monforte, e in tanti altri insigni membri delle Accademie de’ Segreti, de’ Lincei, del Cimento, degl’Investiganti, de’ Fisiocritici, degl’Inquieti, della Società scientifica Rossanese.
[Intro.9] La stessa arte e lo stesso gusto passarono a Roma e i romani se non superarono i greci in questo genere gli emularono certamente come in tanti altri. […] Fra tanti io trascelgo un esempio dell’Oreste dell’Alfieri. […] Niuno fra gli antichi più di Seneca ne ha caratterizzato l’indole, l’espressione e gli effetti; e dei tanti e frequenti tratti ch’egli ne ha dati, io trascelgo quello del Lib. […] Molte statue, bassi rilievi ed incisioni ci ha mandato l’antichità, degni di essere ammirati e studiati; e se questi come tanti altri monumenti ci fosser mancati, noi possediamo oramai le opere del Canova, che hanno tutto dell’antico, fuorché l’età. […] Né si avvedevano ch’essi violentavano e sformavano l’espressione, condannandola a prendere certe forme, che se sono vere, convenevoli e belle in certi incontri, sarebbero in tanti altri false, sconce e bruttissime.
» – « È un pezzo che sono famoso in compagnia di tanti altri signori.
Siccome lo scopo di quest’opera era di parlare principalmente dell’arte, e sol per incidenza degli artefici: così non s’è creduto opportuno il far menzione di tanti professori o passati o viventi, i quali, comecché meritino un qualche elogio per la loro abilità, non hanno però contribuito al miglioramento dello stile, o alla perfezione della musica.
Il che essendo, niuno in questo luogo da me si aspetti un’esposizione di quelle regole che appartengono alla tragedia in generale, tanto più che a me altro presso a poco non toccherebbe che ripetere ciò che su questa materia è stato scritto del tempo d’Aristotile insino a noi, per gli tanti scienziati uomini che le leggi della tragedia insegnarono. […] E sarà mai verisimile, che un uomo agitato da un tumulto di tanti e sì diversi affetti, nel procinto d’abbandonar la patria e quanto ha di più caro al mondo, si perda in quegli ultimi momenti a simmetrizzare spensieratamente una lunga similitudine? […] Deh quando giugneranno essi a sapere, che tutte queste libertà ch’è si danno sono tutti falli contro le buone creanze, e tanti mancamenti di rispetto verso gli spettatori? […] Non vo’ mettere in considerazione il danno che l’evirazione cagiona allo stato, l’oltraggio ch’ella reca all’umanità, l’ingiustizia che commette verso tanti infelici, de’ quali, riuscendo appena uno tra cento, gli altri vengono abbandonati a una obbrobriosa miseria. […] Dodici di questi (tanti essendo i semituoni, che compongono la scala musicale, e altrettanti i modi della nostra musica) gioverebbero moltissimo a parecchi moderni teatri.
In mezzo a tanti trionfi, a tante attestazioni di schietto entusiasmo all’artista, alla poetessa, alla donna, la povera Isabella, nel rigoglio della vita e dell’ingegno, dovè soccombere miseramente, improvvisamente, nè pure colla soddisfazione di veder pubblicate le sue Lettere, ultima delle opere alla quale aveva posto ogni cura, e alla quale portava uno speciale amore.