323. aggiugne: “La enmienda debiera consistir solo en mejorar, como se puede, las proporciones y alturas de las mismas partes, y en dar uso mas comodo, asi à ellas, como à las entradas”. […] Io intanto nell’Edizione della Storia de’ Teatri non volli far uso del passo del Sig.
Era uso allora di recitar ne’conviti ; e il Giannotti, ne’suoi Vecchi amorosi fa dire : « Il Barlacchi, se noi il potessimo averc, sarebbe a questa cena come il zucchero alle vivande.
Fa uso principalmente dell’“e” e dell’“i”, lettere delle più tenui e quasi cascanti. […] Essi facevano uso più volte nei loro versi di due piedi il giambo e il trocheo composti egualmente d’una sillaba lunga e d’un’altra breve con questa differenza però che il giambo incomincia da una breve, ed il trocheo da una lunga. […] Ignoriamo la costruzione e l’uso preciso dei loro strumenti, il numero delle consonanze che potevano entrar nei loro sistemi, mille altre circostanze insomma, senza le quali riesce impossibile non che difficile il formar un positivo e sicuro giudizio122. […] Il madrigale, che prima era in uso nelle musiche di camera, giace oggidì inoperoso fra le raccolte dei rimatori. […] [31] Quanto si dice della moltiplicità delle parti si dice altresì della scelta degli intervalli che sono in uso nella nostra armonia.
Ma quei cori non erano tuttavia ciò che poscia si disse poesia drammatica; e quando questa cominciò a pullulare da que’ semi, l’attore fece uso della feccia, delle capigliature e indi delle scorze, delle foglie e di simili cose, per imitare il personaggio rappresentato, e non già quell’antica buffoneria villesca. […] Finalmente, oltre all’imitare e coprire l’attore, erano le antiche maschere necessarie per un altro uso.
Ma le nostre maschere sono assai diverse dalle antiche pel fine, per la forma, e per l’uso.
Ma le nostre maschere sono assai diverse dalle antiche pel fine, per la forma e per l’uso.
Fu in seguito l’Andolfati reso da me edotto che tali opere essendo proprietà dei respettivi autori e che avendo questi concesso ad altre compagnie la privativa di rappresentarle non poteva egli farne uso senza ledere i diritti altrui, per cui gli autori medesimi reclamavano un compenso equitativo.
Amava la Commedia con passione, era di natura eloquente, ed avrebbe molto ben sostenute le parti degli amorosi all’improvviso secondo l’uso d’Italia, se la sua figura e grandezza avessero corrisposto ai suoi buoni talenti.
Annunciava, secondo l’uso, la sua entrata in scena con qualche parola : va bene, va bene, ecc. ecc.
La celebrità che acquistò poco dopo l’Arianna del Rinuccini modulata dal Monteverde introdusse fra i signori romani l’uso delle musiche di camera e delle cantate, a comporre le quali concorrevano a gara i primi poeti e le più brave donne a cantarle. […] Imperocché sdegnato di ciò il Cambert, musico francese che pretendeva al medesimo onore, lasciò il proprio paese e si ritirò a Londra, dove le feste musicali erano in uso come per tutto altrove da lungo tempo. […] Musica più composta fu ancora in uso ne’ tempi più antichi, rimanendo per testimonianza non solo la memoria delle canzonette arabiche cantate dai mori, ma componimenti spagnuoli eziandio posti sotto le note da Alfonso il Savio re di Castiglia.
A questi inconvenienti comuni a tutti coloro che pubblicano i loro travagli, aggiungansi quelli che seco porta nel presente Discorso la distanza dell’Autore, e l’uso indispensabile de’ passi di varj idiomi e specialmente Spagnuoli, la cui ortografia non suole essere abbastanza famigliare in qualche paese.
Per questi passi si venne in Francia ad introdurre l’uso di rappresentare i Misteri che nel 1380 si stabilì sul teatro per mezzo del Canto Reale.
Per questi passi si venne in Francia ad introdurre l’uso di rappresentare i misteri che nel 1380 si stabilì sul teatro per mezzo del Canto Reale.
., Magheri, 1824), che comincia : Quattro amici compagnoni, sendo in Tomba all’ osteria, dopo il bere ed il mangiare, com’ è l’uso di costoro, cominciaro a ragionare sopra varie allegre cose, secondo quel che ciaschedun propose.
Quando Scappino gli dice : « vorrei che tu facessi una cosa contra a l’uso tuo, » Spacca risponde : « O, t’intendo : tu vorresti ch’io facessi qualch’opera buona. […] Partendomi da Vercelli mia patria l’anno 1596, mi accompagnai con un mont’inbanco sopranominato il Monferino, e passando per Augusta, o sia Aosta, città del Serenissimo di Savoja, questo Monferino chiese licenza di montar in banco al Superiore ; ma perchè non era in uso il montar in banco in quei paesi, il Superiore non sapea come deliberarne : però quello mandò da un Superiore spirituale, il qual negò la licenza collericamente, dicendo che non voleva ammettere le Negromanzie in quei paesi : il Monferino stupefatto, gli disse (come era vero) che non sapeva manco leggere, non che saper di Negromanzia : il Superiore gl’impose che non altercasse con parole ; che egli ben sapeva come si fa, e che in Italia aveva veduto ciarlatani prender una picciola pallotta in una mano, e farla passar dall’altra ; che un picciolo piombo entra da un occhio, e per l’altro salga, tener il fuoco involto nella stoppa buona pezza in bocca, e farlo uscir in tante faville, passarsi con un coltello un braccio, e sanarsi per incantesimi subito, ed altre cose del Demonio ; e non voleva che il Monferino parlasse, e da sè scacciollo, minacciandolo di carcere.
Ma cotal frasario dell’ipocrisia amorosa rimase confinato senz’alcun uso ne’ dialoghi e ne’ sonetti. […] «Resta a fissarsi», dice un ameno ed elegante scrittore, «la lingua viva ed a farsi universale ad uso di tutti, come incomincia da qualche tempo. […] E più frequenti del bisogno sono quei casi dove gl’interlocutori si sentono far uso di quelle antitesi e ritornelli di parole proprie dei madrigali del Seicento, e così poco care ai sensati maestri. […] Non so dove s’apprenda Tal arte a porre in uso. […] Ben di rado avviene che Metastasio ne faccia uso di altri mezzi.
Un Filosofante acuto, come il Signor Apologista, non affermerà simil cosa, purchè voglia far uso del suo criterio, e scorrere col pensiero per le Nazioni.
Il buon gusto é una lampada che non si alluma se non alla fiamma dell’ingegno; e perciò uom di buon gusto dovrebbe per verità chiamarsi soltanto colui che dalla natura fu di predante ingegno ampiamente privilegiato, e che de’ propri talenti può fare quell’ottimo uso che si richiede ad innalzarli al raro e dipinto grado di sagace esaminatore, sopraffino conoscitore, e di dotto, gentile e grazioso producitore.
Queste farse istrioniche aveano per oggetto primario l’eccitare il riso con ogni sorte di buffoneria, e vi si faceva uso di maschere diverse, colle quali nel vestito, nelle caricature e nel linguaggio si esagerava la ridicolezza caratteristica di qualche città.
Nel Mattino di Napoli dell’ 11 agosto '97 un abbonato milanese dice che Meneghino trae la sua origine da Domenica, essendochè era uso in Milano, nei secoli passati, di chiamare in servizio, per tutta la giornata di Domenica, un uomo del popolo, il quale si prestava al disimpegno di molteplici faccende, acconciandosi anche a fungere da servo straordinario.
«Famose sono le tenzoni, che tanto erano in voga presso ai provenzali; ma simili giuochi di spirito e combattimenti poetici erano molto in uso appo gli Arabi. […] Ma i combattimenti poetici erano parimenti in uso appo varie nazioni. […] Agli uni e agli altri fu comune l’uso dei giullari o giuocolieri. […] «Nè che l’uso della rima era conosciuto egualmente da normanni, da goti e da più altre nazioni che dagli arabi dominatori.» Che da molte nazioni fosse conosciuto l’uso della rima non può negarsi se non da chi voglia negare che il sole è sull’orizzonte nel mezzo giorno.
[10] Simile al secondo ei maneggiò con felicità incomparabile i diversi stili de’ quali si fa uso nella musica, mostrandosi grave, maestoso, e sublime nello Stabat mater, vivo, impetuoso e tragico nell’Olimpiade, e nell’Orfeo, grazioso, vario e piccante, ma sempre elegante e regolato nella Serva padrona, la quale ebbe il merito singolare, sentita che fu la prima volta a Parigi, di cagionare una inaspettata rivoluzione negli orecchi de’ Francesi troppo restii in favor della musica italiana. Niuno meglio di lui ha saputo ottenere i fini che dee proporsi un compositore; niuno ha fatto miglior uso del contrappunto, ove l’uopo lo richiedeva; niuno ha dato più calore e più vita ai duetti, questa parte così interessante della musica teatrale. […] Di ciò ne può far fede l’uso ch’egli aveva prima di mettersi a comporre di leggere e meditare un qualche sonetto di quel poeta a fine di riscaldar il suo ingegno alle pure fiamme di quel platonico e sublime amatore88. […] Però nella mossa generale del buon gusto musicale in Italia l’arte del canto se ne dovette spogliare, e se ne spogliò infatti del cattivo metodo antico, e contribuì a rinforzar vieppiù l’espressione, non già facendo strazio della poesia, come nel secolo passato, né aggirandosi intorno a’ vani arzigogoli, come a’ tempi nostri, ma ponendo ogni suo studio nell’immitar l’accento naturale delle passioni, nell’acquistar una perfetta intonazione, che è il cardine d’ogni melodia, nell’imparar la maniera di cavare, modulare, e fermare la voce a dovere, nell’eseguir maestrevolmente i passaggi da nota in nota colla debita gradazione acciochè tutte quante spicchino le diverse inflessioni del sentimento, nell’appoggiar a tempo e luogo sui tuoni trattenuti, ove il richieda la espression del dolore o della tristezza, scorrendo poi leggiermente sugli altri, che generati vengono da affetti contrari, nel preferir il naturale al difficile, e lo stile del cuore a quello di bravura, nel far uso di quelli abbellimenti soltanto, che necessari sono alla vaghezza e brio della voce senz’adoperarli tuttavia con prodigalità nuocevole alla espressione, nell’attemperar l’agilità naturale di essa voce non già all’arbitrio di chi la possiede fecondo per lo più di capricci, ma all’indole della natura e della passione, nell’accomodar la prosodia della lingua coll’accento musicale in maniera che vi si distingua nettamente ogni parola, se ne comprenda il sentimento e la forza, e si ravvisi il quantitativo valor delle sillabe, nell’accompagnar col gesto appropriato e convenevole i movimenti del canto, e il carattere de’ personaggi, in una parola nel portar il più lontano che sia possibile l’interesse, l’illusione, e il diletto, que’ gran fonti della teatrale magia. […] Nelle seconde, perché la perfezione di quelle facoltà è un indizio sicuro, che si coltivano pur ora, o si sono per l’addietro coltivate felicemente molte altre che dipendono dalle prime, o s’inanellano con esse in maniera che non possono reggersi da per sé; così una lingua ripolita, abbondante, armoniosa, e pieghevole suppone un lungo progresso di lumi, di coltura, e di cognizioni; una poesia ricca, e perfetta nei moltiplici rami che la compongono, suppone un uso quotidiano del teatro, una gran cognizione critica della storia, uno studio filosofico, analizzato e profondo del cuor dell’uomo; una musica come è l’italiana, suppone un avanzamento prodigioso nel gusto, e in tutte le arti del lusso.
Non lieve argomento del pregio di queste ed altre favole di Menandro si è L’uso ed il saccheggio fattone da’ poeti Latini. […] Ovvero altri scrittori prima di essi ne composero a tale uso?
Riflessioni sull’odierno uso della musica strmentale. […] L’uso ne fu portato più avanti dal Lampugnani compositor milanese, che rivolse a siffatto oggetto tutta la sua attenzione. […] Il quale riflesso fa più d’ogni altra cosa vedere quanto l’uso e il postume possano modificare le facoltà interne dell’uomo fino a creare in lui dei gusti fattizi opposti o diversi da quelli che sono più conformi alla natura. […] [15] La terza è quella smania d’introdurre dappertutto l’uso degli stromenti separati dal canto, e principalmente nei ritornelli. […] Altre volte l’organo era in uso nelle orchestre.
Che altri la chiamasse pel suo nome di guerra, capisco : ma non capirei che altri potesse chiamarla col nome del secondo marito (e il figlio specialmente), giacchè sappiam per uso come un’attrice porti con sè oltre la tomba il nome col quale diventò famosa.
[18] Chechessia di ciò, la lingua italiana, come tutte le altre, non si dispose a ricever la poesia se non molto tardi, allorché erasi di già stabilita, e col lungo uso di parlar in prosa fortificata. […] Per quanto adunque s’affaticassero que’ valent’uomini della non mai abbastanza lodata camerata di Firenze, non valsero a sradicare in ogni sua parte i difetti della musica, che troppo alte aveano gettate le radici, né poterono dar alla unione di essa colla poesia quell’aria di verosimiglianza e di naturalezza che avea presso a’ Greci acquistata, dove la relazione più intima fra queste due arti dopo lungo uso di molti secoli rendeva più familiare, e per ciò più naturale il costume d’udir cantar sul teatro gli eroi e l’eroine. […] Gl’Italiani adunque, attendendo procacciarsi diletto, fecero uso di queste in mancanza di buona musica, allorché essendo conducente il sistema del maraviglioso, e trovandolo di già stabilito a preferenza degli argomenti storici, fu maggiormente promosso nel melodramma, e vi si stabilì come legge propria di tai componimenti.
Laonde Eubulo cittadino potente e adulatore del popolo promulgò una strana legge, cioè che chiunque proponesse di trasportare ad uso di guerra il danajo che si chiamava teatrale, fosse reo di morte169. […] Esse perciò si dissero ductiles e versiles; e forse a tal uso era destinata la macchina chiamata εξοσρα ed altrimente ενκυκλημα da Esichio e da Polluce nel lib.
Non pertanto per la medesima vastità (per cui ha potuto un tempo servire per una specie di naumachia, come dimostrano le antlie e i sifoni, per li quali ascendeva l’acqua per inondare l’orchestra) esso non è più in uso, e solo rimane esposto alla curiosità de’ viaggiatori ed incresce il vedere che sin dal 1779 quando io lo vidi, mostrava talmente i danni del tempo e dell’abbandono che non senza qualche ritegno si montava sulla scena per osservarsi minutamente.
L’Apologista però pensa che nulla manchi a quelle parole, e vi rinviene la più convincente pruova a dimostrare l’uso de’ Giuochi Scenici in Ispagna sin da’ tempi de’ Romani, e si maraviglia, che io non l’abbia ravvisata: “Quale autorità più incontrastabile che i magnifici avanzi degli antichi Teatri conservati in Ispagna dopo tanti secoli?”
Seguiva il sacrificio sontuoso, e poi si mangiava da tutti la carne delle vittime, si bevea con certo ordine e con brindisi scambievoli, e si danzava cantando, e facendo uso ciascuno delle proprie insegne, maschere, ed invenzioni.
Antonio da Pistoia ancora scrisse due drammi ad uso di questo teatro149, pel quale altri celebri letterati furono eziandio impiegati nel tradurre alcune altre commedie di Plauto e di Terenzio150. […] Ma né questa sontuosa festa che sorprese l’Europa leggendone la descrizione, né la Farsa del Sannazzaro rappresentata in Napoli nella Sala di Castel Capoano nel 1492 né le feste di Versailles date da Luigi XIV, nel 1664, né le feste mascherate degli arabi in tante occasioni, né qualsivoglia altro simile spettacolo, in cui si profondono le ricchezze facendo uso del ballo, delle decorazioni, della musica e della poesia, compongono quel tutto concatenato ed uno che appresso portò il titolo di opera.
Laonde Eubulo cittadino potente e adulatore del popolo promulgò una strana legge, cioè che chiunque proponesse di trasportare ad uso di guerra il danajo teatrale, fosse reo di mortea Incredibili erano per conseguenza di tanto ardore e di tanta avidità per gli spettacoli, gli applausi le ricchezze, le corone e gli onori che a piena mano versavano gli Ateniesi sui poeti che n’erano l’anima e su gli attori che n’erano gli organi. […] Esse perciò si dissero ductiles, e versatiles; e forse a tal uso era destinata la machina chiamata Εξοστρα ed altrimente Εννυκλημα da Esichio e da Polluce nel lib.
Ma nel 1767 se ne cangiò la forma interiore dall’architetto spagnuolo don Ventura Rodriguez per uso de’ pubblici balli in maschera. […] Venghiamo all’ultimo e VI Saben, cioè «che il sombrero chambergo non è in Ispagna più antico della Guardia Chamberga che ne fece uso in tempo di Carlo II».
Nel che è da osservarsi in confermazione del mio proposito, che l’uso del parlar figurato e comparativo tanto è maggiore in un popolo quanto è più scarso il linguaggio, e meno progressi v’ha fatto la coltura delle artie delle scienze. […] A misura però che il linguaggio si stende, che le arti si moltiplicano, e che la coltura delle lettere vi si aumenta, lo stile delle figure e de’ segni s’indebolisce, s’introduce l’uso de’ termini astratti, la filosofia, riducendo l’espressioni al significato lor naturale, va poco a poco ammorzando l’entusiasmo, la poesia, e la eloquenza divengono più polite, e più regolari, ma conseguentemerite meno espressive: appunto come i grani d’oro assottigliati, e ridotti in foglia dagli artefici, i quali, come dice l’Abbate Terrason, perdono in solidità tutto ciò che acquistano in estensione. […] Nullameno considerando, che il duetto lavorato a dovere è il capo d’opera della musica imitativa, e che produce sul teatro un effetto grandissimo: riflettendo, che l’agitazion d’animo veemente, che ne’ personaggi si suppone, basta a rendere se non certa almeno possibile la simultanea confusione di parole, e d’accenti in qualche momento d’interesse, la quale possibilità basta a giustificar il poeta nella sua imitazione: ripensando, che lo sbandir dal dramma siffatti pezzi sia lo stesso, che chiuder una sorgente feconda di diletto alle anime gentili; il critico illuminato sarà costretto a commendarne l’uso non che a permetterlo, avvisandosi, che nelle belle arti l’astratta ragione debbe sottoporsi al gusto come questo si sottopone all’entusiasmo, e al vero genio. […] Glissi permette l’uso delle comparazioni e della stile lirico drammatica, ma gli si raccomanda d’usarlo con sobrietà, e di consultar prima la verosimiglianza. […] Le ragioni che s’arrecano da alcuni, sono di poca o niuna conseguenza, oppure, s’hanno un qualche valore, l’avrebbero nella tragedia egualmente, dove però si vede praticato con evento felice dai più gran poeti l’uso di far morire i personaggi in teatro.
Per questo Salfi critica la pratica in uso di far recitare ad un attore indifferentemente il tragico come il comico. […] La lettura e il confronto di tutti quelli scrittori, che ne hanno più o meno trattato finora, e le osservazioni e la pratica de’ teatri, che ho potuto esaminare e raccogliere, mi hanno animato a scrivere ad uso degli italiani. […] E chi per l’uso non intende il preciso significato e valore di questi termini non si aspetti di meglio intenderli per teorica. […] Ora tutti, servendo allo stesso fine come le parole, ch’è quello d’esprimere e farsi intendere il più che si può, noi crediamo di poterli tutti ridurre alle seguenti spezie, distinguendoli per la loro natura, per la loro origine e pel loro uso. […] Per lo qual magistero lo stesso uso che delle parole fu fatto convertendole di proprie in improprie, si fece pure e de’ tuoni e di gesti, i quali di propri divennero anch’essi impropri e metaforici.
Ma una mente che fa buon uso delle sue facoltà, e un cuor che sente, qual si richiede nella tragedia, verserà pietose lagrime al racconto del veleno preso dalla regina e dei di lei discorsi, alla compassionevole tenera contesa con Erminia, e al quadro delle donne affollate intorno a Sofonisba moribonda, di Erminia che la sostiene, del figliuolino che bacia la madre, e dell’inutile sforzo che fa costei per vederlo sul punto di spirare154. […] Tali farse istrioniche contenevano varie buffonate triviali, e vi si iacea uso di maschere diverse, ognuna delle quali nel vestito, nelle caricature, e nel linguaggio esagerava la ridicolezza caratteristica di qualche città. […] Se dopo il mio soggiorno di sedici anni nella capitale delle Gallie, io non fossi per cento e cento pruove persuasissimo di questa irrefragabile verità, conosciuta da tutti gli uomini dotti e assennati di Europa, basterebbero a convincermene le produzioni de la Harpe, e de’ sedicenti filosofi della Senna, a’ quali, salvo appena due o tre, iddio par che abbia voluto, per farli cadere nel disprezzo, torre quel gran dono fatto all’uomo, cioé quella libertà di fare buon uso della facoltà di pensare: «Evanuerunt (si può dir coll’Apostolo Rom. […] Chiunque sappia far uso della propria ragione, ciò leggendo, dice fra se, conviene ad Aquilio quest’immagine?
Il Papiniano suo è nondimeno ottimo autore, che purga dalla imprudenza di non saper far uso della dissimulazione. […] Nel Britannico del medesimo veggo altresì l’uso degli episodi sì moderato che perfezionano la favola non che non le nuocano. […] L’inavvertenza d’alcuno nel fare uso del coro è giunta a lasciargli udire gli stessi soliloqui. […] Dopo il Gravina ha fatto qualche uso della disuguaglianza greca il Lazzarini con migliore riuscimento. […] Non è nuova in Italia la controversia intorno l’uso della prosa in poesia.
Eravisi meglio conservato l’uso della scrittura ed i semi dell’industria6. […] Restovvi tuttavia la musica e l’uso di celebrarvi con una specie di rappresentazione certe feste bizzarre, le quali oltramonti ebbero più il carattere di follia che di giuoco. […] Quì l’apologista Lampillas abbraccia con alacrità di cuore la medesima comune opinione dietro la scorta del Denina, facendo uso al solito di commode asserzioni gratuite in vece di monumenti storici per distruggere le verità sì ben sostenute dal Tiraboschi.
Sin tra gli Assiri, se crediamo ad Ammiano Marcellino, Semiramide introdusse nella sua reggia l’uso di mutilare i cortigiani, allorchè ella regnava sotto il nome e gli abiti del suo figliuolo, per confondere la propria voce femminile colle altre effemminate per arte. […] Gli Eunuchi fra’ Romani furono servi addetti alla cura de’ letti, come accenna Apulejo, e per tal uso venivano per vanità e per lusso ricercati fin anco dalle meretrici, a quel che leggesi in Terenzio, da cui un eunuco è chiamato monstrum hominis .
Essa avea conservato meglio l’uso della scrittura e i semi dell’industria117, e fu la prima a veder il cammino d’arricchire per mezzo del commercio.
Fu allora che, dopo la cena, il Ruzzante, secondo l’uso, a esilarar gli animi, recitò le sue tre orazioni in lingua rustica, magna cum astantium voluptate.
Dopo la metà del secolo i poeti incominciarono a far un uso più frequente delle arie, o strofette liriche, nei loro drammi, della quale usanza invaghiti i maestri dozzinali (cioè la maggior parte) trascurarono a poco a poco i recitativi in maniera che neppur li consideravano come necessari alla musica drammatica. […] Alla musica di concerto permette il cercar le forme più leggiadre di canto, lo scegliere i motivi più belli, e il far uso di tutte le squisitezze della melodia, ma non vorrebbe che la musica di teatro pensasse a verun’altra cosa fuorché all’unica espressione delle parole, che in grazia di queste trascurar dovesse ogni idea di proporzione e di ritmo, che non s’imbarazzasse nel condurre artifiziosamente i motivi, e nel seguitare le frasi musicali; bastando per essa il poter rendere colla maggior esattezza ciascun pensiero compreso nella poesia. […] Si può far uso di qualche fregio nelle arie allegre e festevoli perché proprio è dell’allegrezza il diffondersi, e perché lo spirito non fissato immobilmente (come nelle altre passioni) sopra un solo oggetto, può far riflessione anche agli scherzi dell’arte. […] La seconda che nell’una e nell’altra si ponevano in uso diverse sorta di strumenti musicali. […] Lo stesso avviene degli strumenti, coi quali s’accompagnavano presso ai Greci e Latini tante cose che non erano canto né potevano esserlo (come sarebbe a dire i bandi, le dichiarazioni di guerra, e le concioni al popolo) che l’uso di essi nelle rappresentazioni drammatiche non può servire di pruova esclusiva a stabilire che le tragedie o le commedie fossero in tutto somiglievoli alle nostre opere in musica.
Ma lasciando cotal impegno (più utile e di maggior conseguenza che non si crede comunemente) ad altri scrittori più profondi, passiamo a disaminare qual uso possa farsi della danza nel melodramma. […] Tale appunto è il ballo, il quale per essere meno naturale all’uomo che non è l’uso de’ vocaboli, ha un significato men chiaro e meno intelligibile perché men fissato dalla convenzione, e meno atto a rappresentare l’idee complicate e riflesse dello spirito. Si può nondimeno far uso talvolta di esso purché non si prenda come una vana ripetizione delle parole, o come una voglia indeterminata di ballar per ballare, ma come una usanza propria del popolo o dei personaggi che parlano, appoggiata sulla storia o sulla tradizione. […] [20] Pier Francesco Rinuccini, nel dedicar che fa l’opere d’Ottavio Rinuccini suo zio agli accademici Alterati di Firenze, asserisce essere stato desso il primo a condurre da Francia in Italia l’uso dei balli. […] [21] È probabile che gl’Italiani traessero la prima idea di cotali rappresentazioni dalle azioni mute dei Francesi, presso ai quali erano in uso anche prima.
[7] Finché i musici si fermarono in queste prime nozioni l’uso delle consonanze e delle dissonanze fu di gran giovamento alla musica, quelle per la varietà e vaghezza degli accordi che introdussero, queste pel campo che aprirono al talento dei musici onde ritrovar nuove bellezze, e ravvivar in certe occasioni l’espressione con tratti irregolari ed arditi. […] Il soverchio uso delle dissonanze e delle consonanze esigeva necessariamente varietà di voci, e varietà di suoni. […] Aggiungasi ancora il frequente uso delle pause introdotte da loro, per cui molte volte avveniva che mentre l’una di esse parti cantava la metà o il fine d’un versetto scritturale o d’un ritmo poetico, l’altra le prendeva la mano, o restava indietro cantando il principio del medesimo verso, e talvolta anche il fine d’un altro.
Eravisi meglio conservato l’uso della scrittura ed i semi dell’industriab. […] Restovvi tuttavia la musica, e l’uso di celebrarvi con una specie di rappresentazione certe feste bizzarre, le quali oltramonti ebbero più il carattere di follia che di giuoco. […] L’apologista catalano Saverio Lampillas abbracciò la medesima comune opinione dietro la scorta del lodato Denina, facendo uso al solito di commode asserzioni gratuite in vece di monumenti storici per distruggere le verità sì ben sostenute dal Tiraboschi.
Non so per quale stranezza od uso sin dal XVI secolo tanto abbondassero gli eunuchi nella penisola di Spagna; ma una bolla di Sisto V ci convince che non erano pochi, e che arrogavansi il diritto di contrarre matrimonj colle donne, siccome gli uomini fanno89. […] Non per tanto per la medesima vastità (per cui ha potuto un tempo servire per una specie di naumachia, come dimostrano le antlie e i sifoni, per li quali ascendeva l’acqua per inondare l’orchestra) esso non è più in uso, e solo rimane esposto alla curiosità de’ viaggiatori; ed incresce il vedere che già mostra talmente i danni del tempo e del disuso, che non senza qualche ritegno si monta sulla scena per osservarsi minutamente. […] Fin tra gli Assiri, se crediamo ad Ammiano Marcellino, Semiramide introdusse nella sua reggia l’uso di mutilare i cortigiani, allorchè ella regnava sotto il nome e gli abiti del Figliuolo, per confondere la propria voce femminile colle altre effemminate per arte. […] Gli eunuchi fra’ Romani furono servi addetti alla cura de’ letti, come accenna Apulejo, e per tal uso venivano per vanità e per lusso ricercati fin anco dalle meretrici, a quel che vedesi in Terenzio da cui un eunuco è chiamato monstrum hominis.
Per uso dello stesso teatro furono tradotte anche in terzarima da Girolamo Berardo ferrarese la Casina e la Mostellaria stampate in Venezìa. […] Nè questa nè la mentovata farsa per la presa di Granata del Sannazzaro, nè le feste di Versaillesdate da Luigi XIV nel 1654, nè le feste e mascherate degli Arabi in tante occasioni, nè qualsivoglia altro simile spettacolo festivo, in cui si profondono molte ricchezze facendo uso del ballo, delle decorazioni, della musica e della poesia, compongono quel tutto ed uno che portò più tardi il nome di Opera.
Per uso dello stesso teatro furono tradotte anche in terza rima da Girolamo Berardo Ferrarese la Casina e la Mostellaria stampata in Venezia. […] Nè questa, nè la mentovata farsa per la presa di Granata del Sannazzaro, nè le feste di Versailles date da Luigi XIV nel 1664, nè le feste e mascherate degli Arabi in tante occasioni, nè qualsivoglia altro simile spettacolo festivo, in cui si profondono molte ricchezze facendo uso del ballo, delle decorazioni, della musica e della poesia, compongono quel tutto ed uno che portò più tardi il nome di opera.
Essa ha di più il vantaggio singolare di poter far uso del gran giardino del Ritiro che le stà a livello, e dà spazio conveniente alle lontananze e alle apparenze di accampamenti e simili decorazioni. […] Il teatro de los Caños si costrusse anche alla foggia moderna con platea e palchetti per rappresentarvisi opere buffe; ma nel 1767 se ne cangiò la forma interiore dall’architetto spagnuolo Don Ventura Rodriguez per uso de’ pubblici balli in maschera.
Ecco ciò che ti offro : Posto assoluto di Iª donna – onorario annuo Franchi Italiani novemila ed una serata intera nell’appalto ad uso comico. Le prime 4 commedie e le prime 4 tragedie a tua scelta ed oltre de’ riposi che dà la piazza, uno d’obbligo alla settimana…… L’11 aprile 1838 il Gottardi da Torino torna alla carica, ed, autorizzato anche dal suo futuro socio Domeniconi, le propone il posto di Iª attrice assoluta dalla quaresima del 1840, l’onorario di 12 mila lire austriache divise in tante mezze mesate anticipate, ed il compenso di mezza serata per piazza ad uso comico. – Dispensa dalle recite doppie – una recita per settimana di tutta vostra scelta.
5° I Comici supplicano Sua Altezza Serenissima di far vive istanze alla Corte, perchè sia loro concesso, come in Italia, il libero uso dei Santi Sacramenti ; molto più che essi non reciteranno mai nulla di scandaloso, e Riccoboni s’ impegna sottopor gli scenarj delle comedie all’ esame del Ministero, e anche di un Ecclesiastico, per la loro approvazione.
San Gregorio papa, rigettando molte cantilene parte venute dai barbari, e parte licenziose che dalla musica effemminata dell’Oriente s’erano propagate per l’Italia, creando delle altre più degne, o traendole con giudiziosa scelta dall’uso delle altre chiese greche e latine, compose e formò l’antifonario per uso della musica sacra. […] L’uso dell’organo introdotto in Roma assai prima, obbliato per qualche secolo, e poi rinovato verso la fine del secol nono accrebbe gran lustro alla musica ecclesiastica. […] Così vorrebbesi far credere a chi non ha letto il mio libro, ch’io porto la stravaganza a segno di condannar l’uso della filosofia nelle produzioni letterarie, nonostante che le Rivoluzioni del teatro musicale formino una serie di pruove convincentissime del mio pensare incontrario.
Ardisco adunque di ravvivare la disputa che sembrava conchiusa da lui, e reco a pro dell’opinion mia una folla di passaggi, dai quali sfido chiunque a trarne un senso favorevole ove non suppongasi la cognizione, e l’uso dell’armonia presso agli antichi. […] Io distinguerò i luoghi di cui l’uso savio e moderato reca nuovo abbellimento e nuovo vigore all’espressione, da quelli che non servono ad altro che a procacciar fama di scienziato al compositore. […] Nella medesima guisa l’uso che si fa dei verbi ansiliari essere e avere mettendoli avanti a tutti i tempi della voce passiva dei verbi, e a molti della voce attiva induce non so qual imbarazzo nella sintassi che nuoce alla trasposizione, al numero, e all’armonia, perché mentre l’italiano si vede costretto a dire in tre parole “io aveva fatto”, gli antichi si sbrigavano con una sola “feceram”; e mentre costoro aggiungendo, o soltanto cangiando l’ultima lettera facevano divenir passiva la voce attiva come in “amor, amabar”: egli non può far un passo senza chiamar in aiuto un’altro verbo dicendo “sono amato, era amato”.
Se ne censuri la versificazione, l’ uso frequente de’ latinismi, l’affettazione di alcune similitudini poste in canzonette, il suo modo di sceneggiare all’antica &c. […] Volle il Conti far uso de’ cori per riunire alla tragica rappresentazione la musica che le conviene, e questa forse è una delle ragioni per cui i commedianti oggi non le rappresentano, schivandone la spesa; ma egli però introdusse ne’ suoi cori a cantar sulla scena cavalieri e senatori Romani con poca convenevolezza alla loro gravità e al costume di que’ tempi. […] Si noti che dalla Merope, dalla Demodice e dalla Didone si sono esclusi i cori, e l’uso in seguito n’è passato quasi del tutto. […] Ella sviene, e ripigliando l’uso de’ sensi si trova tralle braccia del tanto sospirato e pianto consorte. […] Lo stile enfatico, e troppo, manca di ogni poesia, di colori, di ornamenti, non dico già de’ vietati epici e lirici da lui meritamente abborriti56, ma di quelli che l’uso costante de’ tragici eccellenti antichi e moderni accorda alla scenica.
Chi finalmente é fornito d’una mente più vivace e robusta, e fa uso infame di sua penetrazione, concepisce di mezzo a’ que’ velami, onde il poeta filosofo ha involto le più sublimi verità, che averebbero minore attrattiva, se presentate venissero così nude, concepisce, io dico, sentimenti di onore e di virtù, ed una abituale disposizione a riguardare il vizio con orrore e disprezzo.
S’é di tutti i paesi, perché ne attribuisce la proprietà alla Francia, e taccia di furto tutti i paesi che volessero farne uso? […] Giuseppe Cirillo, il quale, oltre a varie buone commedie scritte a soggetto ben circostanziate per uso di alcuni civili e illuminati attori Accademici Improvvisatori, che ivi fiorirono alquanti anni addietro, lasciò ancora inedite due commedie di ben espressi caratteri correnti scritte interamente, il Notaio, o le Sorelle, e la Marchesa Castracani. […] L’accoppiare quelle due virtù, tra se opposte, brevità e chiarezza, quanto sia difficile nelle composizioni (e massimamente ne’ drammi musicali che non possono adottare per loro uso nel canto serio più di sei in sette mila parole radicali tra le quarantaquattro mila noverate da Anton-Maria Salvini nella lingua italiana) ce l’insegna Orazio allorché dice nell’Arte poetica: ……… brevis esse laboro, Obscurus fio.
Seguiva il sacrifizio, si mangiava la carne delle vittime, beveasi con certo ordine e con brindisi scambievoli, e si danzava cantando, e facendosi da ognuno uso delle proprie insegne, maschere ed invenzioni.
Facendo moderato uso delle sentenze, schivò ugualmente l’affettazione di Seneca e gli ornamenti rettorici famigliari ad Euripide.
Seguiva il sacrifizio, si mangiava la carne delle vittime, beveasi con certo ordine e con brindisi scambievoli, e si danzava cantando, e facendosi da ognuno uso delle proprie insegne, maschere ed invenzioni.
Così poggiando sovra l’uso umano di luce splendi più chiara, e lodata, che quel, che ’l giorno a noi porta dal Gange.
[7] La terza causa dell’accennato disordine negli spettacoli fu l’uso smodato dei framessi, ovvero sia intermedi musicali. […] Da una bolla di Sisto V indirizzata al Nunzio di Spagna si ricava che l’uso degli eunuchi era molto comune in quella nazione probabilmente per la musica delle chiese o per quella di camera.
Euripide in prima taccia l’emulo come superbo: gli rimprovera che in lui il coro solea guastar l’ordine del canto, quattro volte tacendo: ne censura l’uso delle parole strane ignote agli spettatori. […] Spera adunque che la presente sia ugualmente accetta, perchè niuna indecenza nè bassezza porta seco, come quelle degli altri comici, i quali fanno uso di vesti lacere . . . per far ridere i fanciulli. […] Non lieve argomento del pregio di queste ed altre favole di Menandro si è l’uso e il saccheggio fattone da’ poeti Latini. […] Ἵππος senza dubbio ha prodotto Ἵππεῖς, cavalieri, per lo nobile uso che essi fanno del cavallo. […] ovvero altri scrittori prima di essi ne composero a tal uso?
(VI.II.7: si ricordi che Planelli condanna senza esitazione l’uso delle maschere)11. […] Quel solo che con maggior franchezza possa asserirsi, è che il suo uso è antichissimo. […] In effetti che non doveano essi attendere da un’arte destinata a sì nobil uso ? […] Il che fa abbastanza comprendere quanto l’uso delle maschere sia condannabile nel ballo teatrale, e generalmente in ogni scenica azione. […] [Sez.VI.2.3.7] Non mi si opponga il costante uso che della maschera fecero gli antichi.
Nella poesia musicale italiana si verifica esattamente quel verso che Boileau applicava ad un suo compatriota «Et jusqu’à “je vous hais”, tout s’y dit tendrement», tenerezza che sebbene talvolta da vera passione proceda, non è per lo più che un linguaggio convenzionale posto in uso dalla galanteria, la quale è per il vero amore ciò che l’ippocrisia è per la virtù153. […] In secondo luogo la necessità di riempire le scene in uno spettacolo, dove altro non si cerchi che di abbagliare la vista, vi ricondurrà l’uso frequente o perpetuo dei cori, e con esso tutti gli abusi ai quali è solito di andare soggetto, per esempio di urtare in mille inverosimiglianze palpabili e di restringer la sfera degli argomenti drammatici di già troppo limitata per gli altri motivi indicati. […] Imperocché il timore di non slontanarsi troppo dal parlar familiare proprio de’ personaggi che rappresentano, fa che i buffi non si perdano in gorgheggi o cadenze smisurate, e che non facciano uso di quel diluvio di note, col quale inondandosi nella tragedia le arie più patetiche e interessanti, hanno gli altri cantori non so se disonorato o abbellito il canto moderno.
I filosofi paghi di signoreggiare fra le altissime teorie del mondo delle astrazioni appena si degnano di scendere all’esame di alcune quistioni, dallo scioglimento delle quali risulta la perfezione delle arti di gusto: come se l’innocente e sicuro diletto che può ritrarsi da esse, sia un troppo picciolo frutto per l’uomo, la di cui vita è sì breve, e i piaceri sì scarsi, ocome se fosse un miglior uso de’ propri talenti, l’applicarli all’investigazione di certi oggetti, i quali la natura ha bastevolmente mostrato di non voler che si cerchino, o togliendoci affatto la possibilità di conoscerli, o rendendoci inutile la cognizione di essi dopo che si sono saputi. […] Io rispondo che la espressione che scorgesi nei versi del ferrarese, è piuttosto poetica che musicale, che non percuote soltanto l’orecchio ma la pronunzia, e che l’accozzamento de’ suoni fra le vocali e le consonanti, di cui fa egli uso comunemente, è atta bensì a grandeggiare nell’epica declamazione, ma meno acconcia si rende pel canto.
O dunque debbesi moderatamente fare uso della severità de’ puristi’ intorno alle parole di straniera origine, o riceverne e concederne a vicenda il perdono, giacchè Iliacos intra muros peccatur, et extra.
Chiunque voglia far uso della propria ragione, ciò leggendo, dirà fra se: Conviene ad Aquilio quest’immagine?
Vuolsi che avesse egli stesso composta qualche commedia pubblicata con altro nome o con quello anonimo di un Ingenio secondo l’uso Spagnuolo. […] Nella commedia el Amor al uso (che Tommaso Cornelio tradusse ed intitolò l’ Amour à la mode) Solis ha pure rappresentato un’ azione che si compie in 24 ore. […] Notabile non per tanto per le stravaganze è il carattere originale di Don Domingo, cavaliere onorato e valoroso, ma talmente innamorato del proprio comodo e così avverso a quanto possa torgli il menomo uso della propria libertà, che giugne all’eccesso e ne diviene ridicolo. […] Non so se nell’auto riferito Calderon si propose ancora in grazia del sublime e del maraviglioso di mentovar l’uso del cioccolate prima della venuta d Cristo; almeno non costa che gli Angeli avessero fatto uso ancora di questa pozione Messicana.
Per mettere con chiarezza sotto gli occhi quanto stimava necessario per intelligenza della favolà, egli fece uso del prologo, là dove Sofocle con miglior consiglio senza prologo esponeva a meraviglia lo stato del l’azione. […] I giovani non ne sapranno se non che un neo forse in parte scusabile per la veemenza della passione che rare volte lascia al l’uomo tutto l’uso della sua ragione. […] Quando poi i moderni partendo da altri principii e accomodandosi al gusto ed ai costumi correnti fanno uso di nuovi ordigni per cattarsi l’attenzione de’ contemporanei, essi meritano tutta la Iode.
Giova riferire l’altro passo citato da Ateneo nella favola Mandragorizomena, ossia lo Stupido per l’uso della soporifera pianta mandragora, che si addusse nella nostra opera delle Sicilie.
El Amor al uso del medesimo autore é una commedia regolare che contiene un’azione di ventiquattr’ore, costumi ben delineati, e stile giudizioso: essa fu tradotta da Tommaso Corneille e intitolata l’Amour à la mode.
Chiunque voglia far uso della propria ragione, ciò leggendo, dirà fra se: Conviene ad Aquilio quest’immagine?