Il carnovale del ’65, a soli quindici anni, sposò l’artista Vitaliano Vitaliani, primo attor giovine della Compagnia Zocchi, col quale fu poi con l’Ajudi, col Sivori, collo Stacchini, colla Pedretti, con Barnato e Branchi, e dal quale ebbe una figlia : l’Italia.
Pietro di Emilia il 10 aprile del 1867, si diede allo studio della pittura nell’Accademia di belle arti bolognese, dalla quale uscì con diploma di pittore, per entrar dopo soli quattro mesi (quaresima del ’90), e senza mai aver calcato un palcoscenico, secondo amoroso nella Compagnia Maggi. […] Fu in appresso col Favi, col Lombardi, coll’ Emanuel, colla Vitaliani, colla Duse, colla quale visitò le prime capitali dell’Europa e dell’America del Nord.
Fu un anno solo col Lapy ; dal quale tornò in Compagnie vaganti, trovandosi il 1781 in quella di Antonio Camerani. Fra i tanti versi ch'ella ispirò, metto qui il seguente SONETTO Sì, che maggior d’ogni Apollineo canto Sono, egregia Moretti, i pregi tuoi ; Per te non arte, ma natura i suoi Vivi affetti spiegar par ch'abbia vanto : Ben sanno quale a i cor formasti incanto Di Terme Il Conte, e i Veronesi Eroi ; Corrado e Clarendon san quel che puoi Se sciogli il freno a l’ira, a i vezzi, al pianto.
Fu lungo tempo, ed è tuttavia, buon compagno di Eleonora Duse, a fianco della quale si fa specialmente apprezzare dai vari pubblici nostri e forastieri, sì nell’Armando della Signora dalle Camelie, sì nel Claudio della Moglie di Claudio, e nell’Obrey della Seconda Signora Tanqueray, e in altro. […] Al punto in cui scrivo, egli è additato come uno de' più forti sostenitori, se non il più forte dopo la Duse, della nuova tragedia d’annunziana Francesca da Rimini, nella quale incarna con molta efficacia e molta sobrietà il carattere di Gianciotto.
.), col quale era l’estate del 1738 a Milano, (riconfermatovi per la seguente del '39), e in altre. […] Fu con Onofrio Paganini e con Pietro Rossi, dal quale si allontanò il 1770 per entrar con il genero Messieri e la figlia in compagnie di minor conto.
E certo è che prendendo egli ad abbellire il poetico mostro, che si chiamava opera, gli diè quella regolarità e quella forma, della quale niuno l’avrebbe dreduto capace. […] Si vide che la rapidità, la concisione e l’interesse che partoriscono la commozione, erano l’anima della poesia musicale, e che la lentezza, la monotonia, le dissertazioni e i lunghi episodi trattenevano l’effetto d’un’arte, la quale ha per fine il destar negli animi degli uditori il tumulto e il disordine di tutti gli affetti. […] Lo che era incorrere nello stesso errore in cui incorrerebbe un retorico, il quale dasse principio ad un discorso colla perorazione, facendo in seguito succeder l’esordio. […] Per esempio nell’Andromaca, allorché si vede ridotto Ulisse all’estremo di doverne scegliere tra due fanciulli che gli vengono presentati avanti per condannar l’uno di essi alla morte, e ch’egli ignora quale tra loro ne sia il proprio figliuolo, e quale il figliuolo d’Andromaca, sentasi con qual energia s’esprime la madre che si trova presente alla fatale scelta, e che appieno comprende la scaltrezza e la crudeltà d’Ulisse. […] Ed allora il dramma sortì dalla schiavitù dove lo tenevano oppresso i macchinisti e gli impresari, e prendendo per compagne, e non mai per sovrane, la decorazione e la melodia, ei comparve fregiato di tale splendore quale non ebbe mai da’ Greci in qua nel lungo corso di molti secoli.
I poeti tragici più illustri in essa dovettero esercitarsi, perchè la Tetralogia colla quale si aspirava alla corona teatrale, conteneva, come si è detto, tre componimenti tragici ed un satirico. […] Sileno interrompe il coro additandogli un legno di Greca costruzione approdato al lido, dal quale sono discesi alcuni uomini che portano vasi per provvedersi d’acqua. […] Alle querele e preghiere che Ulisse indirizza a Pallade, succede il canto del coro il quale sospetta di ciò che dentro farà il Ciclope. […] Un altro elegante scrittore d’ilarodie fu Simo Magnesio, del quale favella Aristocle presso Ateneo, e da questo Simo gli attori ilarodi chiamaronsi ancora simiodi. […] I Traci spiccarono nella saltazione bellica, della quale facevano uso ne’ gran conviti.
, giovine ed egregia prima donna, potè farsi conduttore di una Compagnia ornata di ottimi elementi ; ma i non pochi e meritati guadagni che gli venivano dall’arte, gli eran tolti rapidamente dal vizio del giuoco nel quale s’era buttato a capo fitto. Troppo lungo sarebbe il narrare le penose vicende della sua vita artistica, e i patimenti continui da lui procacciati alla povera moglie, la quale anche nell’arte omai non trovava più che fuggevoli ebbrezze. […] Troviamo ancora l’Andolfati nel 1834 in Compagnia di Nicola Medoni ; dopo il quale anno, probabilmente, morì in Piacenza prostrato dai rimorsi e dalla fame.
Sebastiano la Compagnia di Nicodemo Manni, il quale ben volentieri avrebbe voluto liberarsi della sua prima donna, una certa Faluggi, accademica fiorentina. […] Doveva recarsi la primavera del ’66 a Barcellona con altro impresario, ma la paura del mare le fe’ sciogliere il contratto, e formar là per là una compagnia, che condusse l’estate a Mantova, dove s’ebbe tal successo da essere scritturata nella Compagnia di Gerolamo Medebach, colla quale esordì nella commedia a soggetto Di peggio in peggio. […] Grisostomo, poi di nuovo col Lapy, poi col Perelli, col quale fu il 1781, col ruolo sempre di prima donna, a Bologna, Piacenza, Trieste e Padova.
Rovesci di fortuna la sbalzarono, il 1869-70, ancor giovinetta, nella Compagnia Dondini, Ciotti e Lavaggi, quale amorosa, dando subito prova di non dubbio valore, e io stesso la ricordo all’ Arena Nazionale, applauditissima nella fischiatissima commedia I matrimoni del Laurati. […] Il padre morto, la madre da sostentare, gli affari che volgeano sempre più al peggio, la costrinsero ad abbracciar definitivamente il ruolo di vecchia, scritturandosi con Ermete Novelli, e passando poi con Pasta, la Tessero e la Giagnoni, con Paladini, con Pasta, Garzes, Reinach, con Pasta e la Tina Di Lorenzo, con Leigheb e la Reiter, con Pasta e la Reiter, e con la Reiter sola, colla quale è tuttavia e sarà fino al principio del prossimo triennio '906-07-08, pel quale è scritturata colla Compagnia Talli, Re Riccardi : questo il lungo stato di servizio di Ermenegilda Zucchini, o, come la chiamano con affettuoso accorcimento i compagni tutti, della Gilda, che le ha procurato per la probità e la fedeltà e lo zelo con cui l’ ha disimpegnato il più ampio certificato del pubblico padrome. « Vi pare che basti ?
Vi amo ; e per mostrare quale verso di voi sia la confidenza mia, vi costituisco secretario delle mie passioni amorose, confidando la mia salute nella vostra diligenza. […] Austoni), della quale il Bruni, amante palese, pigliava accanitamente le parti. […] Impresaria Don Giovanni de’ Medici, il quale, seriamente seccato, minacciò di scioglier la compagnia. […] Al principio delle notizie autobiografiche del Bruni, ne ho messa in diverso carattere l’età, la quale esclude in modo irrefutabile ch’egli sia l’autore delle Difese delle Donne che a lui attribuiscono. […] E la supposizione di alcuni, che il Bruni, pistoiese, fosse lasciato colla madre a Bologna, intanto che il padre scorrea colla compagnia il mezzogiorno d’Italia (e non saprei poi perchè più tosto a Bologna che nella città natale), cade dinanzi all’oroscopo che traggo, come gli altri, dalla Biblioteca Nazionale di Firenze, il quale ci dice il Bruni bolognese.
Ma poco mostrano di conoscere la natura della tragica poesia, la quale per la finale letizia perde bensì gran parte della sua forza, ma non cangia essenza. […] Questo è la scarsezza delle desinenze, per la quale l’orecchio rimane sovente offeso dalla medesima (dirò così) omofonia. […] Il diletto oblico è proprio della tragedia, il quale si sente quando in tragedia si rappresenta uno avenimento fortunoso, per lo quale una persona da bene cade di felicità in miseria, et pare esser generato dalla compassione, et dallo spavento», Lodovico Castelvetro, Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta, vol. […] Calepio cita fra i primi autori tragici francesi, oltre a Jodelle, anche lo stesso Pierre de Ronsard, il quale fu piuttosto caposcuola che drammaturgo. […] Il luogo della Poetica citato in apertura da Calepio è il celeberrimo 1449b 27, nel quale Aristotele descrive il fine della tragedia, la quale «per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la purificazione di siffatte passioni».
Havvi nel mare del Sud alle vicinanze del l’isola degli Otaiti tralle altre un’ isoletta chiamata Ulietea, nella quale si è trovato qualche vestigio di rappresentazione drammatica. […] Il re O-Too padrone di tutta l’isola di O-Taiti essendosi recato in Oparre il mentovato capitano Cook nel 1777 nel terzo suo viaggio, volle fargli godere nella propria casa un heevaraa spettacolo pubblico, nel quale le tre sue sorelle rappresentavano bellamente i principali personaggi, seguito da alcune farse che riescirono assai grate al numeroso concorso. […] Fuvvi parimente una danza grottesca eseguita da principali personaggi del l’isola, la quale consisteva nel movimento delle loro teste con tal forza, che faceva dubitare agli astanti Inglesi che non avessero a rompersi in collo, battendo intanto le mani e mettendo acutissime guida. […] Precede una canzone di movimento lento e grave, alla quale tutte le ballerine prendono parte movendo le gambe e battendosi dolcemente il petto con attitudini graziose rassomiglianti a quelle del l’isole della Società.
Innamoratosi a Venezia di una nipote di Antonio Sacco, fu accolto il 1772 nella Compagnia da lui condotta, nella quale stette due anni, ma con poca fortuna, sostituendolo talora nella maschera del Truffaldino. […] Ma senza dubbio esse dovean ricercarsi nella soverchia dimestichezza che il Coralli aveva con Teodora Ricci, moglie del Bartoli ; dimestichezza che fece montare su tutte le furie il Sacco, vecchio ottuagenario, che della giovane artista era bestialmente invaghito, e che assalì con mortificazioni e sgarbi di ogni specie il Coralli, il quale dovè ricorrere alla protezione del Gozzi : e sarebbe rimasto senza dubbio in compagnia, nonostante l’ invelenimento del Sacco, se, pel timore di essere definitivamente scacciato, non avesse ricorso a uno strattagemma volgare di cui fu vittima un bravo e onesto comico della compagnia. […] La quaresima del ’74 entrò nella Compagnia di Pietro Rosa come Arlecchino, per passar poi, scritturatovi da Francesco Zanuzzi venuto a posta in Italia, nella Compagnia italiana di Parigi, nella quale esordì il 16 maggio del 1775 nella commedia in quattro atti : Il Dottore avvocato dei poveri. Egli entrò alla Commedia italiana per recitare al fianco del Bertinazzi che non poteva per vecchiezza disimpegnar da solo il ruolo di Arlecchino ; e se non poteva accostarsi troppo all’arte sovrana di lui, benchè anch’ esso attore di pregi singolari, pure collo studio indefesso, colla più schietta modestia, seppe conquistarsi la benevolenza del pubblico e del comitato del teatro, il quale, quando nel 1780 licenziò gli attori del genere italiano, pensò bene di conservare il Coralli.
S. certo campo et pezzo di terra quale certo suo confinante fondato sopra cotesto statuto, intende di potere et uolere comperare, il che tornando in molto disconcio di detto Petrolino mi ha pregato ch' io uoglia raccomandarli questa sua differenza si come fo con tutto l’affetto dell’animo supplicandola a compiacersi per amor mio et per compiacerne me et obligarne singolarmente di derogare a detto statuto non comportando che contra sua uolontà uenga uenduto detto campo. […] V. alla quale bacio di cuore le mani. […] Forse fu in quell’anno 1580, al momento della riforma della Compagnia, che il Pellesini prese parte al banchetto descritto dal Rossetti nel suo Scalco (Venetia, MDLXXXII), e già riferito in parte dal D'Ancona e dal Solerti, nel quale egli appariva colla sola testa fuor della tavola, accomodata al bisogno, coperta da un pasticcio, d’entro il quale poi cercato invano da Pantalone, faceva scena con lui, destando le più matte risate.
Troviamo il Romagnesi a Mantova l’aprile del '55, come da una sua lettera al Duca di Modena del 5, con la quale lo ringrazia dell’invito di recarsi colà a recitare : poi nulla sappiamo più fino all’anno 1667, in cui egli apparve sulle scene del Teatro italiano, sostituendovi il secondo amoroso Valerio Bendinelli ; indi, abbandonato il primo amoroso Ottavio Costantini il teatro nel 1688, e partito per l’ Italia, predendone egli il posto. […] Invecchiato il Lolli, Romagnesi, che non era più giovine, e a cui non più si addicevan le parti d’ Innamorato (1694), lo sostituì nella maschera del Dottor Baloardo, nella quale ci fu tramandato in effigie dal bulino del Mariette, un de' più benemeriti della storia iconografica del nostro teatro. […] E il sonetto mi pare ancor più sibillino dell’oroscopo, il quale, nondimeno, ci dice, e qui non corron dubbi, la data della nascita di A. […] Aveva sposato, morta sua madre, Maria Anna Richard (da cui ebbe un unico figlio, Giovan Antonio) la quale, rimasta vedova, passò a seconde nozze col signor Duret tireur d’or di Lione, che poi si fece comico.
il quale cantava egli stesso i suoi cantici al suono dell’arpa. […] Il quale atteggiamento viene maravigliosamente espresso dal poeta con questo verso: «ὒὗ, ὒὗ, ὒὗ, ὒὗ, ὒὗ, ὒὗ.» […] Non sappiamo con esattezza cosa fossero i modi, quale il loro uffizio invariabile, e l’accezione comune di siffatto vocabolo presso a loro. […] Non così accadeva nella poesia musicale degli antichi, la quale era eguale alla nostra nel primo pregio, e superiore assai nel secondo. […] Così faceva la misura musicale presso agli antichi, la quale, essendo perfettamente modellata sulla prosodia poetica, rappresentava lo stesso numero di piedi ritmici che la poesia.
Lo stesso dico dello sdegno, il quale determinandosi sul momento, non ha né il tempo né l’occasione di generalizzare le idee. […] Ciò s’appartiene piuttosto allo spirito tranquillo che alla passione, la quale occupata unicamente di se, non vede gli altri oggetti se non se alla sfuggita. […] L’opera non è, o non dovrebbe essere, che un prestigio continuato dell’anima, a formare il quale tutte le belle arti concorrono, prendendo ciascuna a dilettare or l’uno l’altro dei sensi. […] Non nella prima, imperocché quantunque l’opera debba parlare ai sensi, questo non è se non un fine secondario per arrivare al principale, il quale consiste nel penetrare addentro nel cuore, e intenerirlo. […] Cotal rivolgimento si chiama un’ottava, nella quale il secondo ut ha un acutezza doppia di quella del primo.
In Bantàm, che è la capitale dell’isola di Giava, ed è divisa in due gran parti, delle quali una è abitata da’ Cinesi che le danno il nome, qualunque sacrifizio si faccia nelle pubbliche calamità o allegrezze, è costantemente accompagnato da un dramma, il quale si riguarda come rito insieme e festa pubblica. […] Parimente di città in città scorrono nel Giappone alcune compagnie comiche composte quasi interamente di donne schiave di un Archimimo, a conto del quale rappresentano. […] L’Imperadore forma coll’ aratro un solco, ed è imitato da’ Regoli e Mandarini, indi monta in sedia per ritornare al real palazzo, ed allora incomincia la gran musica, la quale poi cessa nè si ripiglia se non giunto ch’egli sia presso a un grande altare nell’interiore della reggia, e di bel nuovo assiso che sia nella sala del trono. […] Comparisce fanciulla, amoreggia e si marita una donna, la quale ha da partorire un bambino, che dopo quattro lustri si enuncia come il protagonista della favola. […] Richard, della quale favellarono i dotti Giornalisti Pisani nel tomo XXXIV an. 1779 onorando di un vantaggioso articolo l’edizione del 1777 di questa Storia de’ Teatri.
Dell’ingresso in arte di lui discorre il Paese di Pistoia del 15 ottobre 1887 in un articolo firmato X, nel quale è detto ch’egli cominciò a fare il commediante in una compagnia comica che recitava al Teatro del Cocomero (oggi Niccolini) di Firenze. […] E aggiunge che pur troppo non potè godersi a lungo tale papato, a cagione della prima attrice della compagnia, certa Faustina Zandonati, cagliaritana, la quale viveva col Del Buono, e glie ne faceva passare di tutti i colori, maltrattandolo sovente a parole, talora picchiandolo, e facendolo fin anco girandolar di notte dopo la recita, in traccia di un suo cane maltese, chiamato Maschero, che spesso e volentieri le scappava di casa. Fu in processo di tempo il Del Buono preso da tal manìa religiosa, che datosi tutto a Dio, fece solenne promessa di abbandonare il teatro, scuola, diceva lui a’compagni, di turpitudini, al quale non sarebbe certo tornato mai più, se un’opera di carità, sciolto dal voto per intercessione di un alto sacerdote, non ve lo avesse ricondotto. […] Toltosi dal teatro, a continuar l’opera sua scelse Lorenzo Cannelli, del quale fu maestro appassionato, ma che poi dovette abbandonare per la troppa scurrilità di cui si piaceva rivestire ogni sua frase ; giacchè il Del Buono, che il Morrocchesi dice Angelo umanato, volle ritrarre il popolo fiorentino in genere, nella vivezza del linguaggio, purgato da ogni parola men che conveniente. […] Il Giornaletto dei teatri di Venezia del 1821 cita un Vincenzo Fracanzani il quale partito da Firenze sua patria, immaginò in Lombardia un nuovo ridicolo personaggio, cui diede il nome di Stenterello, che quantunque in lui non male accolto dal pubblico, tuttavia non fu da altri poi ricopiato.
Soppresso poi totalmente l’anno dopo il genere italiano, ella fu congedata con una pensione di mille lire annue e un indennizzo di cinquemila lire da pagarsi in due anni e in due volte, e se ne tornò in Italia con la madre e un bambino, frutto del suo matrimonio con un Bianchi, dal quale viveva separata. « I suoi meriti personali – dice Fr. […] Fratello minore di Giuseppe e di Carlo (di cui non ho trovato notizie, ma già comico, e al tempo del’ Bartoli (1781) maestro di ballo in una città della Lombardia), nacque a Bologna ; e dopo di avere fatto qualche studio, si diede all’arte dell’intagliare in legno, nella quale riuscì un fine lavoratore. […] Amantissimo di scienze naturali, si diede all’esame del microscopio ; fu gran conoscitore di Storia civile, e si dilettò di poesia, nella quale, specie in quella del dialetto bolognese riuscì con lode. […] Il carnovale dell’anno dopo allo stesso Valle, andò in iscena colla stessa compagnia la seconda tragedia di Vincenzo Monti Galeotto Manfredi, nella quale col solito grande successo lo Zanarini sostenne la parte di Ubaldo degli Accarisi (Galeotto era Giuseppe Orsetti). […] Egli si ricoverò in un’isola della laguna, confortato dalla moglie, dai figli e dagli amici di Venezia ; e dopo un anno, ceduto finalmente alle nuove istanze di Goldoni, si unì con lui pel triennio 1800-01-02, trascorso il quale si ritirò per sempre dalle scene, passati appena i sessantacinque anni di età.
La robustezza del suo petto era tale, ch'egli potè a sessantacinque anni replicar più sere il Saul e l’Aristodemo ; quel Saul, nel quale egli fu sommo, e pel quale vuol la leggenda di palcoscenico ch'egli si mostrasse geloso del figlio Gustavo. […] Morto Alessandro Lombardi, Salvator Fabbrichesi pensò di sostituirlo col giovane Gustavo, il quale, chiamato a Venezia (1824), esordì colla parte di David nel Saul di Alfieri ; e s’andò man mano acquistando tal fama, che poco dopo entrò nella Compagnia di Antonio Raftopulo come primo attore. […] Mazzini, col quale egli eresse a sè l’oraziano monumento più durevole del bronzo, e nel quale è un’ampia e bella biografia dettata amorosamente da Ettore Socci, rilevante in ogni sua parte la grandezza dell’affetto che a lui legava la incomparabile compagna Giulia Calame di Berna, che lo aveva sposato fuggiasco, e che fu – dice il Mazzini – donna mirabile, come per bellezza, per sentir profondo, per devozione e costanza d’affetti e per amore alla sua seconda patria ; corse più tardi ogni pericolo di guerra accanto al marito nel Veneto…… IV. Una lettera al celebre attor dialettale Giuseppe Moncalvo, meneghino, nella quale sono espressi i suoi intendimenti d’arte, e le vie da seguirsi ad arrestarne il precipitoso decadimento, riprodotta poi dal Bertolotti nel suo studio sul Moncalvo. […] Bi stolfi, al quale porse il saluto della patria Enrico Panzacchi, e sul quale sono incise queste degne parole di A.
E questo suo pregio di vestir la parte, di qualunque specie e di qualunque età fosse il personaggio, si mantenne costante in lei ; la quale passava in una stessa commedia, applauditissima sempre e a pochi anni d’intervallo, da un personaggio all’altro colla maggiore indifferenza. […] Fu con Peracchi e colla Marini ; poi con la società Biagi-Casilini, e poi con Morelli, con Pietriboni, con Aliprandi-Privato, e di nuovo con Pietriboni ; e finalmente, sposatasi a Guglielmo Privato, con la Compagnia Veneta formata da Zago in società con suo marito, sostenendovi ancora, e con buon successo, le parti di prima attrice, e prima attrice giovine, a cagione del fisico che le si è serbato quale a’ suoi venti anni.
Un forte artista senza dubbio, se il Duca di Mantova lo sostituì nella Compagnia che si recò a Parigi nel 1608 al celebre Arlecchino Martinelli, raccomandandolo vivamente alla Maestà della Regina con la seguente del 14 novembre 1607, alla quale accenna il Baschet (pag. 163). […] È un nuovo personaggio che pe’ suoi salti e pe’ suoi gesti, non piacerà forse meno di Arlecchino, il quale, d’altronde invecchiato, non più divertiva come una volta.
Così duraron qualche anno ancora, studiando accanitamente, sfogandosi in crear parti di grande rilievo, e guitteggiando pei teatri delle Marche e dell’ Umbria, fino a che gli omai valenti artisti, saliti a grado a grado in rinomanza, condussero e diressero essi stessi una compagnia ricca di ottimi elementi, della quale era lei prima donna applauditissima e nelle commedie scritte e in quelle improvvise, e nelle parti comiche e in quelle tragiche ; e lui primo amoroso e incomparabile Arlecchino. […] Continuò la Teresa a tenere la compagnia con decoro e fortuna : ma avanzando nell’ età, e passando dal ruolo di prima donna a quello di madre nobile e caratteristica, il quale sostenne con egual plauso, si unì in società per gli anni 1811-12-13 col bravo primo attore Bartolommeo Zuccato e col bravo caratterista Ferdinando Pellizza.
Artista di molto pregio per le parti di primo attore e generico primario, nacque a Cento dalla nobile famiglia de’ Savii, alla quale venne poi il moderno casato da un capo di essa chiamato Dondino. […] Tornato in patria, e datosi a recitare tra’ filodrammatici, spiegò tale attitudine alle scene, che risolse di far dell’arte drammatica la sua professione ; e si scritturò nella Compagnia di un certo Giambattista Pucci, del quale sposò poi la figlia Teodora.
Innamoratosi poi della Gaetana Andolfati, e ottenutala in moglie, si unì prima in società col padre di lei, poi condusse da solo una compagnia, colla quale percorse trionfalmente l’Italia, lasciando alla sua morte, che fu nel 1818, più di centomila franchi di eredità, e la fama di gran capocomico. Troviamo il nome di Goldoni anche tra’ comici del secolo xvii, secondo un cenno dello Scherillo (op. cit), il quale ci riferisce, nè sappiamo da qual fonte, essere stato lui lo Scaramuccia del Callot.
Andò in Lisbona con sua madre Chiara, comica anch'essa, nella Compagnia di Onofrio Paganini, del quale sposò il figliuolo Francesco, restando sempre con lui, principale ornamento della propria compagnia. […] Qual altra mai sulle notturne Scene potea cangiar cosi diversi aspetti, pinger dell’Alma i vïolenti affetti, quale un tempo già feo la saggia Atene ?
Perduto l’impiego, tornò all’amor della scena, in cui aveva fatto da giovine buone prove coi filodrammatici, e si scritturò con Rossi, colla Goldoni, colla quale lo vediamo il 14 giugno 1815 rappresentar la parte di Sole nella Caduta di Fetonte dell’Avelloni, poi con Dorati, prima padre nobile, poi caratterista, nel qual ruolo entrò il '22 nella Compagnia Reale Sarda, e vi fu acclamatissimo, fino al '28, anno della sua morte. Recitò per l’ultima volta nell’Odio ereditario del Cosenza, e lasciò nella Compagnia un grande vuoto che non potè essere colmato se non l’anno dopo da Luigi Vestri, il quale, vedi bizzarria del caso, recitò per l’ultima volta in quel medesimo dramma tredici anni più tardi.
Fu a tutto il '902 con Eleonora Duse, per passar l’anno veniente in Compagnia Berti-Masi, poi di Ettore Berti, nella quale si trova anche oggi (1904), col suo ruolo di prima attrice assoluta. Emilia Varini è donna di fine intelligenza artistica ; alla quale forse non sempre rispondono le qualità esteriori.
Ma chi era codesto Cintio, pel quale la Signora Cecchini faceva addirittura frenesìe ? […] Eccone il quarto, il meno peggio, sotto il quale non è nome d’autore. […] Al quale tien dietro la Risposta della S. […] Ed ecco l’ oroscopo, del quale spero, con quello di Gio. […] ma la quale ha servito anco per risposta di quelle che io scrissi a S.
Vestigii di teatro veggonsi nel Piceno dove era Alia rovinata dal Goto Alarico, della quale a’ tempi di Procopio rimanevano appena poche reliquie. […] Angelo sul monte, del quale dice il nomato Alberti descrivendo la Campagna di Roma, benchè io abbia veduto molti teatri et anfiteatri…. non però non ho mai veduto il simile a questo . […] Bizanzio ebbe pure un gran teatro, il quale col resto della città su rovinato dalle truppe di Severoa. […] Peggio era avvenuto in tempo di Augusto, che dovè castigare col bando da Roma, dopo di averlo fatto menare scopando per tre teatri, Stefanione togatario, il quale giunse all’impudenza di farsi servire alla tavola da una matrona Romana in abito servileb. […] Dopo Cecilio il cartaginese Terenzio seguito da Afranio, indossando felicemente le spoglie preziose di Menandro e degli Apollodori, mal grado delle gloriose vestigia impresse in Roma del festivissimo Plauto, introduce in Roma la bella commedia, la quale non che a’ filosofi e letterati, piacque ai migliori della repubblica, ai Furii, agli Scipioni, ai Lelii.
Una delle sue passioni è il latino che conosce assai bene : un’altra è l’arte della lettura, ïntorno alla quale fa quotidianamente studi ed esperienze nella sua scuola. […] Scuola di Recitazione, la quale vanta ormai molti alunni che son divenuti artisti acclamati. […] Ella comprenderà quanto io La stimi dal modo stesso col quale io La giudico. […] La ringrazio del suo libro, che mi pare utilissimo, e dal quale mi pare che imparerò anch' io a leggere meno male i versi. […] Non ci voleva che un pari suo, egregio tanto nel comporre, che nel recitare, il quale potesse donare all’ Italia un libro tanto utile e dirò, necessario….
Osservisi l’arte colla quale informa gli spettatori in sul principio di ciò ch’è lor d’uopo sapere, esponendo le circostanze passate e presenti, e preparando per le future senza impaccio, né stiracchiatura, ma con un’agevolezza che fa restare. […] Quella azione, che è l’anima del teatro, e la quale sola ha rendute durevoli molte produzioni per altri versi ridicole. […] Allora l’amore altro non fu che un commercio materiale di voluttà, nel quale i poeti s’ingegnavano di ricompensare i sensi del lungo imperio che aveva sopra di loro esercitato l’astratta ragione. […] Basta una semplice occhiata per ravvisar in loro non già un assirio, un tartaro, un africano, un chinese che parlino, ma bensì il poeta, il quale presta loro spesse fiate i propri sentimenti e il pensare attuale del proprio secolo. […] [49] Come una conseguenza di ciò che abbiamo indicato ne deriva un altro diffetto, dal quale il nostro poeta non ha potuto liberarsi abbastanza.
Tutte le cose adunque, terra, argenti, mobili, stabili faranno un tesoro comune, dal quale saranno tutti pasciuti. […] quale è la tua patria? […] Torna Eaco, e per sapere quale di essi due è il ladro e quale Ercole, immagina questo espediente: colui che soffrirà le bastonate senza dar segno di dolore, sarà certamente Alcide. […] E quale è questo? […] Con quale ardita satirica allegoria dipingevasi dalla scena un popolo principe!
Il collega rifiutò l’incarico e lo pregò di darlo in sua vece a Tommasino, altro collega, del quale era ben nota la probità, e il quale in fatti dopo aver avuto l’assentimento di un fratello dell’Alborghetti all’intiera esecuzione del testamento, pare l’acconciasse nel miglior modo con la vedova che molto ebbe a lodarsi di lui, e che poi andò a seconde nozze con un comico italiano, Francesco Materazzi, detto il Dottore. […] Restò con quella impresa due anni, terminata la quale, subentrarono Pietro Monti, Adamo Alberti, e lo stesso Prepiani, coi quali rimase, sempre applaudito, fino al’51.
Fu nella Compagnia di Marta Coleoni e in quella di Antonio Goldoni, dalla quale poi passò col noto artista e capocomico Giacomo Dorati, scritturato per le parti di padre nobile e di tiranno, che sostenne, specie nelle tragedie del Pindemonte e dell’Alfieri, col plauso generale. […] Maria, comico mantovano, il quale recitava nel 1620 sotto nome di Fortunio (assunto la prima volta da Rinaldo Petignoni de’ Gelosi) in una modesta Compagnia nei contorni di Cento, Modena, Finale o Carpi, nella quale era anche, non sappiamo se come semplice attore o capocomico, Flaminio, il celebre Gio.
Grisostomo, direttore Antonio Sacco, il famoso Truffaldino, pel quale il Casali scrisse varie opere teatrali, come : Le azioni d’Ercole imitate da Truffaldino suo scudiere (Milano, 1753), e L’eroica pazienza di Socrate gran filosofo d’Atene (Torino, s. a.). […] Il Gozzi nel suo ditirambo pel Truffaldino Sacchi lo ricorda con onore ; e così di lui lasciò scritto Gianvito Manfredi nell’Attore in scena : Gaetano Casali, detto Silvio, non meno celebre che saggio ed onesto, il quale adempiedo a tutte le parti, che ad un saggio ed ottimo attore spettanti sono, tanto si distingue dagli altri nell’arte sua, che non cred’io che a’ suoi tempi tanto si distinguessero dagli altri gli attori antichi. […] Pasquali), nel quale è anche descritta la persona di lui.
Figlio del precedente, studiò da prima chirurgia in Firenze, poi si diede all’arte comica, nella quale riuscì di qualche pregio per quelle parti d’innamorato, ove non dominasse il sentimento. […] Sacco-Vitalba Angela), e recitò ammirato nelle favole di Carlo Gozzi, dalle cui Memorie inutili riferisco il brano che riguarda la parte ch' ebbe Vitalba nello scandalo Gratarol, riproducendolo al vivo in Le Droghe d’amore, dal quale si ha un chiaro cenno delle sue qualità fisiche e morali. […] Il Vitalba, andando o ritornando di notte dal teatro si era incontrato in un sicario, il quale gli aveva scagliato con una forza da atleta un ben grosso bottiglione pieno d’inchiostro per difformargli la faccia.
Di tali scene fu l’inventore Ferdinando Bibbiena, il quale con la nuova sua maniera chiamò a sé gli occhi di tutti. […] Avea egli nella pittura di una cupola fatto reggere le colonne, sopra cui ella posava, da mensole; cosa alla quale si storcevano alcuni architetti, protestando ch’essi per conto niuno non l’avrebbon fatto in una fabbrica, e dandogli per ciò non lieve carico; quando tolse loro ogni pensiero, secondo che riferisce egli stesso, un professore, amico suo, il quale si obbligò a rifare ogni cosa a sue spese qualora, fiaccando le mensole, le colonne con la cupola fossero venute a cadere: magra scusa, quasi che l’architettura non si avesse a dipingere secondo le buone regole, e ciò che offende nel vero non offendesse ancora nelle immagini di esso. […] Dal sito il più orrido ti fanno tutto a un tratto trapassare al più ameno; né mai dal diletto ne va disgiunta la maraviglia, la quale, nel porre un giardino, essi cercano egualmente che da noi fare si soglia nel tesser la favola di un poema. […] Ed anche chi non fosse di gran fantasia fornito farebbe gran senno a ricopiare così a puntino que’ loro paesaggi, imitando quel valentuomo il quale, piuttosto che far del suo delle cattive prediche, imparava a memoria e recitava quelle del Segneri. [5.8] Una cosa importantissima, alla quale non si ha tutta quella attenzione che si vorrebbe, è il dover lasciar nelle scene le convenienti aperture, onde gli attori possano entrare ed uscire in siti tali, che con l’altezza delle colonne abbia una giusta proporzione la grandezza degli stessi attori.
), prima di assumere il carattere di Dottore, avrebbe recitato in quello di Scaramuccia, nel quale appunto avrebbe esordito alla Commedia italiana il 3 marzo 1732 in Colombina, Avvocato pro e contro. […] Il Campardon pubblica ancora due documenti tolti dagli Archivi Nazionali, uno concernente la dichiarazione del Benozzi per il furto commesso alla Commedia Italiana di un orologio da tavola con soneria in bronzo dorato : l’altro la querela di esso Benozzi, contro un inquilino di una casa situata in via Montorgueil, il quale dal terzo piano gli aveva rovesciata addosso dell’acqua sudicia.
.° 2 della Sadowski diretta da Luigi Monti, sentito, dopo una disastrosa quaresima a Livorno, il bisogno di una prima attrice giovine che alternasse le parti con la prima attrice, che era l’Adelina Marchi, scritturò la Boetti, la quale raggiunta la Compagnia a Napoli, esordì nella Verità di Torelli, ottenendovi il più spontaneo e clamoroso successo. […] Fu tre anni con Zerri, uno con Pasta, cinque con Falconi, col quale andò in America, poi in Compagnia sociale con Ditta sua.
Rimase in quella Compagnia della quale era diventato il generico primario e il direttore tecnico, sino alla sua fine (1855). […] Fu poi scritturato dalla Ristori, che egli seguì in Italia e all’estero, e della quale educò i figliuoli.
Formò poscia ('61) compagnia ella stessa per un triennio, dopo il quale ('65) fu con la Compagnia Dante Alighieri, diretta da Riccardo Castelvecchio. […] Fu quindi con la Compagnia Cocconato, poi con quella di Cesare Rossi, dalla quale uscì per recarsi a Livorno, aggregata alla Filodrammatica de' Nascenti.
Piemontese, del Moncenisio, nato il 1640 circa, fu comico al servizio di Ferdinando Carlo per diciassette anni, e richiesto il 1685 dalla Maestà Cristianissima di Francia, Le fu concesso con lettera dello stesso Principe datata di Mantova il 14 marzo, nella quale era il più ampio ben servito che dir si potesse. […] Recatosi l’ 85 a Parigi, Bartolomeo Ranieri vi esordì nell’aprile, assieme al Pulcinella Fracanzano, quale secondo Innamorato, al posto dell’ Ottavio Zanotti.
Nacque a Milano il 14 aprile del 1878, ed entrò giovinetta nell’Accademia de' Filodrammatici diretta da Luigi Monti, dalla quale passò scritturata il 1895 prima attrice giovine e amorosa nella nuova Compagnia Garrin di Cocconato, di poca fortuna. […] Il '98 fu chiamata a far parte della nuova Compagnia del Teatro d’Arte di Torino, al fianco di Giacinta Pezzana, e il '99 di quella da me formata, nella quale ebbi campo di studiare e ammirare il temperamento artistico della giovine attrice.
Il quale riflesso fa più d’ogni altra cosa vedere quanto l’uso e il postume possano modificare le facoltà interne dell’uomo fino a creare in lui dei gusti fattizi opposti o diversi da quelli che sono più conformi alla natura. […] Il giuoco degli strumenti prima del “mora” è non per tanto un contrasenso dell’armonia, per ischivarne il quale bisognerebbe posporre le note due parole dopo, cioè inanzi al “Ma chi?” […] Hassi a spezzar un periodo, il quale sovente non finisce fuorché nella seconda parte dell’aria, per ripeter la prima fino alla noia? […] Gli antichi maestri avevano pure anch’essi un’udienza da contentare, ma cotale assurdità non si trova ne’ loro grammi, la quale era riserbata alla svogliatezza, al fastidio e alla corruzione del moderno gusto. […] Il sentirla non costa niente, non è effetto del sapere né dell’ingegno, ma da una non so quale disposizione che sebbene dal cielo sia stata data a pochissimi, per tutto il mondo crede di possederla.
Un altro più famoso tutto di marmo dedicato a Bacco se ne alzò dal chiaro architetto Filone 330 anni prima dell’era Cristiana, del quale insino ad oggi veggonsi gli avanzia. […] Uno de’ più magnifici teatri di marmo dell’Asia Minore era quello di Smirne, il quale probabilmente fu il luogo dove bruciarono vivo san Policarpo primo vescovo di quella città in età di anni 96 sotto Marco Aurelio o Antonino Pio. […] Ma poteva bene esser vera dopo che si rallentò quel rigore degli statuti di Licurgo, il quale non permise agli Spartani di essere nè anche spettatori delle rappresentazioni sceniche. […] Al di sotto del pulpito e nel bel mezzo del teatro era l’orchestra destinata al canto e ai movimenti compassati del Coro, la quale cosi chiamavasi dal saltare, dal verbo ορχεομαι, salto. […] Secondarono così la naturale espansione del suono, il quale, non come l’acqua percossa forma de’ circoli concentrici in una superficie piana, ma bensì gli forma nel mezzo dell’aria in tutti i sensi come in una superficie di una sfera, il cui centro è il corpo sonoro.
Ma, entrato a recitar tra' filodrammatici, ov'era già sua sorella, mostrò di punto in bianco le più chiare attitudini al teatro, al quale si sentì irresistibilmente attratto. […] Sostituì dopo un triennio Gaetano Vestri in Compagnia Robotti, dalla quale passò in quella di Arcelli, diretta da Alessandro Salvini. […] Si scritturò di nuovo il '69 e '70 con Federico Boldrini, poi con certo Zattini, col quale girò la Calabria e la Sicilia, poi fu socio di Calamai, Emanuel e Matilde Arnoud, poi di nuovo collo Zattini a Costantinopoli, dove, col soccorso di facoltosi ammiratori, costruì un teatro con l’annesso alloggio, e si stabilì con tutta la famiglia. […] Si rifugiò egli allora a Salonicco, e sempre assieme a quello Zattini, col quale poi tornò in Italia, pellegrinando per un par d’anni ancora nelle provincie del mezzogiorno.
Quando i comici italiani furono licenziati (10 aprile 1732), si fece eccezione per la coppia Bertoldi, alla quale era stata assegnata la non pingue pensione di 400 fiorini annui. […] Dopo la morte del re Augusto II, la Corte sassone si era volta di nuovo e con occhio ancor più benigno alla commedia italiana ; e il re Augusto III e la regina Maria Giuseppa, sentito il bisogno di ripristinar ne’loro palazzi la commedia italiana, dieder carico al Bertoldi di recarsi in Italia a scritturarvi una compagnia, la quale coll’aiuto dell’Ambasciator sassone a Venezia, Conte di Villéo, riunita sul finire del 1737, arrivò al principiar del nuovo anno a Dresda.
Lui morto a Genova, nell’anno 1864, essa continuò la società che egli aveva fatto con Cesare Dondini ; sciolta la quale, ritornò scritturata a Napoli, dove sposò in seconde nozze Enrico Alberti, fratello di Adamo, che lasciolla ben presto nuovamente vedova. […] Fratello della precedente, cominciò a farsi buon nome nella Compagnia romana di Bellotti e Calloud, nella quale sosteneva le parti di secondo brillante.
Si sa ancora che l’ 11 maggio del ’40, la commedia di Arlequin au désespoir de ne pas aller en prison dovè per la sua meschinità cadere, nonostante l’arte di Costantini ; e che il 5 agosto del ’41 egli sostenne la parte di Scapino nelle Fourberies de Scapin, al fianco di Bertinazzi Pantalone, al quale dovette lasciar ben presto il posto di Arlecchino. […] ) ; questo troviamo in Goldoni, il quale dice di lui (Ediz.
Sempre in Compagnia del Bazzigotti fu il carnovale del '70 in Ferrara, dove, scoperto alla fine, risolse di palesare il suo stato al Marchese Camillo Bevilacqua, coll’aiuto del quale potè ottenere la protezione del Cardinal Crescenzi, Legato di Ferrara, che inviollo a Roma a'piedi di papa Clemente XIV, dal quale ottenne la più ampia assoluzione di ogni sua colpa.
Fu il’50 con Luigi Duse ; e il '51 fu accolto nella grande arte, nella Compagnia lombarda, condotta da Alamanno Morelli, dalla quale, dopo un triennio, passò primo attor giovine in quella di Cesare Dondini, a fianco della Cazzola, e di Romagnoli, poi di Tommaso Salvini. […] Morto il Vestri in Compagnia Nazionale, e uscitone il Novelli, furon sostituiti dal Privato, che vi restò sino all’anno '88, in cui si unì con Emilio Zago, il celebre comico veneziano, col quale trovasi tuttavia assieme alla sua seconda moglie Elettra Brunini.
Sposò l’ '80 una figlia di artieri di Lodi, per nome Anna, la quale cominciò a recitar da serva (e tale la vediamo il 1781, col marito Brighella nella Compagnia di un Carlo Rebecchi, forse fratello di Margherita (V.)), e in soli due anni diventò un’egregia prima donna giovine. […] Figlio del precedente, cominciò a recitar gli amorosi nella compagnia di suo padre, passando poscia in quella di Francesco Perotti, nella quale salì, dopo un anno, al grado di primo amoroso assoluto, dopo la scelta di Armando Subbotici.
Andò poi a sostituir l’amoroso Tollo in Compagnia Peracchi, esordendo colla parte di Maurizio nell’Adriana Lecouvreur, e di qui ebbe principio la sua vita di artista, nella quale s’ebbe comuni gli onori, e ahimè comune la sorte ultima con Giovanni Ceresa. […] Il 25 la malattia si mostrò apertamente, e il 7 febbrajo era già ritirato dalle scene per paralisi progressiva, della quale morì il 4 febbrajo 1886 nel manicomio di Fregionara, e fu sepolto il 6 nel cimitero di Lucca.
L'Archivio di Stato di Modena ha di lui questa lettera senza data, ma della seconda metà del secolo xvii, che riferisco intera, e dalla quale mi sembra egli apparisca assai più impresario che attore. […] Anche di un Torquato Toschi l’Archivio di Stato conserva una lettera, nella quale egli appare direttor di attori accademici, e chiede la protezione di qualche Principe, « acciò possano questi giovini operare con maggior vigore, et esimersi da ciò che potesse di sinistro apportarle qualche emolo invidioso come altre volte ben notto è all’altezza Vostra Ser.
Battista Zoppetti, il '61 in Compagnia Lombarda diretta da Alamanno Morelli, col quale stette poi gran tempo. Il '71 passò colla Sadowski, prima nella Compagnia diretta da Cesare Rossi, poi in quella diretta da Luigi Monti, col quale, capocomico, tornò il '77.
Traeva le sue commedie dalla cronaca giornaliera, attorno alla quale egli ricamava favole intricatissime, chiassone, quasi direi acrobatiche, a cui faceva il pubblico le più matte risate. […] » A Messer Alvarotto è indirizzata la lettera del Ruzzante, colla quale si chiude il volume delle sue opere, e nella quale è descritta una visione in lingua rustica, piena di allegorie e di argute osservazioni.
Nel 1812 fu in Compagnia di Giacomo Dorati, poi, nel ’19, in quella di Vestri e Venier, e finalmente in quella di Luigi Favre, del quale sposò una figlia, la Giulia, e col quale stette gran parte della sua vita artistica. […] Luigi sposò poi la Luisa Valenti, comica anch’essa, dalla quale ebbe quattro figli, tutti comici ; tra i quali Teresita, promettentissima attrice, morta a Roma nel’ 93.
Lasciò la Compagnia Sadowski per entrar in quella di Luigi Bellotti-Bon, dalla quale fu strappato per rammollimento cerebrale che dopo vario tempo di vita ebete lo spense a Milano sua patria, in una casa di salute, il 18 febbraio 1884, a ore 3 di mattina. […] La domenica 24 dicembre dell’ ’82, la Compagnia di Francesco Pasta chiuse il corso delle sue recite al Teatro Manzoni di Milano con una commovente solennità artistica a favore del povero Ceresa, al quale pervenner oltre duemila lire. […] Era nella voce del Ceresa e nella dizione un fascino potente : forse nella rappresentazione della commedia moderna si sarebbe potuto notare, a rigor di termini, una tal quale volgarità di persona e di volto ;… ma qualsiasi menda rimaneva assorbita da quella dizione limpida e pura, soave nel sentimento, gagliarda nella passione, ma sempre vera, incomparabilmente vera.
Ma ormai egli aveva una spina nel cuore, che gli dava spasimo forte e continuo : all’applauso del pubblico mancava quello di suo padre, il quale risentitolo a Roma e a Firenze (non ne aveva più l’idea dall’'89 a Ferrara), non solamente gli die' col bacio del perdono il suo assenso a continuare, ma si mostrò con lui nel Saul e nell’Otello, lasciandogli in quello la parte del Protagonista, e in questo la parte di Jago. […] Gli ostacoli non lo impacciano, lo studio non lo prostra, purchè quelli affronti, si dia a questo per l’arte sua, nella quale, e ciò forse gli nocque veramente a conseguir la purezza classica delle linee, si gittò a capo fitto, troppo presto liberato dalla man forte del guidatore. […] » Proprio così : la verità, la spigliatezza, la spontaneità gli mancano tal volta ; e come gli sarebbe agevole riacquistarle potè far fede la parte di Jago, recitata sotto la guida del padre con tal chiarezza e vivacità e sobrietà insieme, che la magnifica figura shakspeariana, troppo sovente fatta consistere in un artifizioso, leccato strisciar delle parole a viemmeglio insinuar la gelosia per vendicarsi o dell’ oltraggio maritale di Otello, o della superiorità di Michel Cassio, balza viva e saltante, quale essa è veramente : figura di cinico, egoista, maligno, calcolatore, sottile, feroce, che va diritto al suo scopo, serbando in quella sua servilità tutta la libertà del pensiero e dell’azione ; e, come al bel tempo, in cui la prima volta la incarnò il padre al Niccolini, è rivissuto nell’arte del forte scolaro tutto il genio selvaggio di Shakspeare.
quale è la tua patria? […] Torna Eaco, e per sapere quale di essi due è il ladro e quale Ercole, immagina questo espediente: colui che soffrirà le bastonate senza dar segno di dolore, sarà certamente Alcide. […] Dimmi quale stimi tu miglior metro, il trimetro o il tetrametro? […] E quale è questo? […] Con quale ardita satirica allegoria dipingevasi dalla scena un popolo principe!
Fu socio per varj anni di Alamanno Morelli ; entrò in Compagnia dell’Adelaide Ristori, colla quale si recò fuor d’Italia, applauditissimo sempre ; e finalmente si fece egli stesso capocomico. […] Ma torniamo alla sua Compagnia unica, la vera Compagnia modello, nella quale egli era tuttavia per viscomica, per finezza, per verità, il principe de’brillanti. […] Serbo una vaga, pallida idea di quegli artisti, tranne più quà, più là, di Cesare Rossi, grandissimo nella parte di Cesare ; ma una assai chiara ne serbo di Luigi Bellotti-Bon, del quale una intera scena mi si confisse nel cervello, e colla scena l’impressione profonda che n’ebbe il pubblico : ….. la scena VIII dell’ atto I, in cui il Conte Carlo insegna al figlio Paolo il modo di salutar da cavallo una signora. […] Lui morto, mi capitò sott’occhi un volume di Edmondo De Amicis « Costantinopoli, » nel quale è la seguente dedica autografa, colla data di Torino 1 settembre ’77, che sotto la celia gentile ben compendia, nella infinita modestia del geniale poeta, le grandi qualità dell’artista : Al Pascià dai mille amori, Al Muftì dei commedianti, Al Sultano dei brillanti Il Rajà degli Scrittori. […] Così le produzioni si successero alle produzioni con rapidità inaudita, a segno che il pubblico avvezzo al nuovo, di nuovo assetato, non s’occupava più che del nuovo, per una sera tanto : e al nuovo della commedia tenne dietro per natural conseguenza il nuovo del genere : il quale poi, passando di trasformazione in trasformazione, è venuto oggi alle faticose elucubrazioni del dramma filosofico, e ai grotteschi acrobatismi della pochade.
Messa nel collegio delle Orsoline di Verona, si vuole che fosse trovata in estasi dinanzi a una statua di sant’Orsola, alla quale recitava certe sue filastrocche. […] Balzò di punto in bianco dai silenzi del chiostro alle lusinghe della scena, in cui passò di compagnia in compagnia sostenendo parti or di paggetto, or di amorosa, or di seconda donna, sinchè il 1811 fu scritturata prima attrice dal capocomico Lorenzo Pani, sino al '14 ; nel quale anno appunto, essendo a spasso in Firenze gli artisti Antonio Belloni, Ferdinando Meraviglia, Carlo Calamai e Luigi Domeniconi, formarono con Elisabetta Marchionni una società, di cui fu prima donna assoluta la diciassettenne Carlotta, la quale esordì al piccolo teatro della Piazza Vecchia nella Pamela nubile del Goldoni. – Narra il Colomberti che la società iniziò il corso delle sue recite, non solamente senza alcun corredo di scena, ma senza fin anco il libro della commedia che fu per buona ventura trovato sur un banchetto. […] Io m’appello a tutte le dame di tutte le corti più galanti, se si può con miglior dignità ed amabilità in una nobile e gentile conversazione, dir sedete come lo dice la nostra Marchionni ; con quale vivacità di colorito sa ella moltiplicare e compartire le tinte in una scena di gelosia ! […] E qui fa un’analisi minuziosa e interessante dell’interpretazione, in cui la Carlotta si mostrò più che in altre artista di genio ; alla quale fa seguir quella della Mirra, che ne fu la creazione più maravigliosa, approdando alle stesse conclusioni, e terminando poi con queste parole : « la nostra Marchionni ha dei difetti : e chi non ne ha ?
Vestigii di teatro veggonsi nel Piceno dove era Alia rovinata dal Goto Alarico, della quale a’ tempi di Procopio rimanevano appena poche reliquie. […] Bizanzio ebbe pure un gran teatro, il quale col resto della città fu rovinato dalle truppe di Severo160. […] Il primo del 746 dell’Egira scritto parte in versi e parte in prosa, è di Mohamad Ben Mohamad Albalisi, nel quale trattengonsi a darsi vicendevolmente il giambo cinquantuno artefici. […] Dopo Cecilio, il Cartaginese Terenzio seguito da Afranio, colle spoglie di Menandro e degli Apollodori, introduce in Roma la bella commedia, la quale, non che a’ filosofi e letterati, piacque ai migliori della repubblica, ai Furii, agli Scipioni, ai Lelii. […] Ezechiel), il quale compose una tragedia dell’Uscita degli Ebrei dall’Egitto intitolata Ἐξαγωγη.
Cristofano composizione del maestro Chevalet, il quale conseguì il titolo di sovrano maestro in siffatti drammi. Narrasi in essa la conversione del gigante Reprobo chiamato poi Cristofano, il quale serve a varii re, perchè gli crede potenti, indi al diavolo da lui stimato di essi più potente; ma vedendo che si spaventa di una croce ed udendone dall’istesso diavolo la cagione, ne abbandona il servizio, e va in traccia di colui che l’aveva vinto. […] Termina il dramma col di lui martirio, e colla conversione del re di Licia, il quale per miracolo è ferito in un occhio da una saetta che dal petto di Cristofano ritorna verso di lui, e per miracolo ancora ricupera la vista giusta la predizione del martire gigante. […] Era il primo di essi una serenata o favola allegorica, nella quale favellava la giustizia, la pace, la verità e la misericordia, la quale secondo il cronista Gonzalo Garcia di Santa Maria citato anche dal Nasarre, si rappresentò alla presenza del sovrano in Saragoza. […] Se ne contano sei così intitolati: 1 Giuoco di carnovale, 2 i Sette Padroni, 3 il Turco, nel quale il Soldano viene a Norimberga per pacificare i Cristiani, a cui un legato del Pontefice partecipa di aver commissione di caricarlo ben bene di villanie, 4 il Villano ed il Capro, il 5 tratta di tre persone che si sono salvate in una casa, ed il 6 contiene una dipintura della vita di due persone maritate.
Cristofano impressa in Grenoble nel 1530 fu composizione del maestro Chevalet, il quale conseguì il titolo di sovrano maestro in siffatti drammi. Narrasi in essa la conversione del gigante Reprobo chiamato poi Cristofano, il quale serve a varii re, perchè gli crede potenti; indi al diavolo da lui stimato di essi più potente; ma vedendo che si spaventa d’una croce, e dal diavolo stesso udendone la cagione, ne abbandona il servizio e va in traccia di colui che l’avea vinto. […] Termina il dramma col di lui martirio, e colla conversione del re di Licia, il quale per un miracolo è ferito in un occhio da una saetta che dal petto di Cristofano ritorna verso di lui, e per un altro miracolo ricupera la vista giusta la predizione del martire gigante. […] I Cornards di Normandia sotto un capo chiamato l’abate de’ Cornards il quale portava la mitra e ’l pastorale, rappresentavano farse satiriche e insolenti. […] Era il primo di essi una serenata o favola allegorica, nella quale favellava la giustizia, la pace, la verità e la misericordia, che secondo il cronista Gonzalo Garcia di Santa Maria citato anche dal Nasarre, si rappresentò avanti del sovrano in Saragozza.
Nel 1882 sposò l’attore brillante Vittorio Pieri, e nell’ 83, abbandonati per la prima volta i Suoi, andò col marito nella Compagnia drammatica di Alamanno Morelli, nella quale esordì come prima attrice. Nell’ ’84-’85-’86 venne al marito la malaugurata idea di condurre una Compagnia, della quale ella fu la prima attrice. […] A ogni modo abbiamo ogni buona ragione di credere che Valerio lasciasse il teatro nel 1667, sostituito dal secondo amoroso Andrea Zanotti bolognese, del quale prese il posto Marco Antonio Romagnesi, esordiente alla Commedia italiana. […] L’Ortensia era, senza dubbio, la moglie dell’Allori, giacchè per la putta sempre ricordata si vede chiaro doversi intendere la figliuola Settimia, maritata, della quale è cenno nella lettera di lui riprodotta autograficamente. […] no doppo haver quasi perso il cervello dietro alli suoi inbrogli partirà per questa volta, dal quale intenderà più a lungo li interessi della compagnia, et io a lui mi riporto, spera dalla benignità di S.
Non debbe avere pronunzia gutturale nelle vocali, perché nascendo cotal difetto da troppo aspra percussione nell’apertura della glottide, siffatto percuotimento nuoce alla nettezza e leggiadria del suono, il quale non esce assottigliato nella guisa che si richiede. […] Ogni lingua dunque, la quale sarà doviziosa di accenti, sarà ricca parimenti d’espressione, e di melodia, come all’opposto, chi ne scarseggia avrà una melodia languida, fredda, e monotona. […] La francese è una matrona ma una matrona avvenente, la quale, benché savia, e modesta, nulla però ha dell’aspro né del fiero» 18. […] Antonio Eximeno scrittore d’un’opera piena di lumi, e di filosofia sull’origine, progressi, e decadenza di quest’arte, il quale francamente pospone la lingua spagnuola alla italiana in quanto alla musica. […] Che avrò per compagno nella derisione, siccome lo ho nel sentimento, un autore, il quale per esser moderno, e filosofo, e (quello che più importa) francese, spero, che m’abbia a servire di scudo, contro a codesti feroci proseliti della moda.
» Meglio non avrei potuto cominciar le note sul forte artista che con questa lettera, la quale dice chiaro nella sua concisione, nella sua modestia, non discompagnata da una certa alterezza, l’indole dell’uomo. […] Ci vuole quel certo non so che di convenzionale, senza del quale l’attore copia « la gretta natura. » O proprio sarebbe tempo, che critici ed attori non invadessero il campo altrui, e noi attori specialmente lasciassimo a chi ne ha il cómpito di fare e creare i personaggi. […] L’ Emanuel, a mio credere, ha trovato la via per la quale, nell’interesse dell’arte drammatica, sarebbe stato a desiderare che si fosse posto prima di ora. […] L’ Emanuel sarebbe davvero uno dei direttori indicati per una compagnia stabile, nella quale abbondassero, come di dovere, gli elementi giovani. - Intorno all’artista, al primo attore, c’è poco da aggiungere a ciò che più volte ho detto io stesso. […] Gli amici, più che i medici, gli affibbiarono, sin dal ’67, una tisi, per la quale egli fu spacciato una ventina di volte al meno.
[1] Tal è lo stato presente del dramma musicale italiano quale noi finora l’abbiamo descritto nel presente volume, e ne’ due ultimi capitoli del secondo. […] Né ho difficoltà di asserire che fra tutte le materie questa è forse quella intorno alla quale gli uomini si sieno vieppiù esercitati. […] Quanto a me, senza imbarazzarmi in una teoria, in ogni arcano della quale credo impossibil cosa il penetrare, sono d’avviso che guardar si possa la musica sotto un altro punto di vista ancor più vantaggioso de’ primi. […] Sì: ogni modo o modulazione ha la sua energia, la sua proprietà; ed è talmente vera questa proposizione che non havvi suono il quale ne sia privo. […] La sua espressione diviene in quel caso più viva, più forte, più vibrara, e più piena; ma questo è un merito che da essa non si esige e senza il quale può rendersi grata agli orecchi.
Morto il Fabbrichesi, e scioltasene la Compagnia, il Belisario si restituì a Napoli, ove fu scritturato a’ Fiorentini dalla Società Visetti, Prepiani e Tessari, della quale eran ottimo ornamento la Luigia Pieri, i Miutti, i Monti, Luigi Marchionni, Adamo Alberti e la vaga Carolina Colomberti. […] E più oltre, al Capitolo VIII, anno 1840 : con grave dolore perdemmo il bravo artista Luigi Belisario, il quale non volle rimanere con noi, dappoichè avendo per figlia una graziosa giovanetta che aveva grande disposizione per l’arte drammatica, preferì di fare una Compagnia drammatica da lui diretta e portarsi in Sicilia, dove la figlia esordi come prima attrice e fu molto applaudita, ed avrebbe fatta una bella carriera, se dopo pochi anni non si fosse ritirata dal teatro, facendo un vantaggioso matrimonio.
Per dare un’idea della riuscita di questi spettacoli, basti dire che a Milano, mentre al gran Teatro della Scala fanatizzava il Prometeo ballo, al Teatro Lentasio faceva furore il Prometeo dramma, scritto in pochi giorni in versi, del quale furon fatte trenta rappresentazioni con tale affluenza di pubblico, che molti furon costretti seralmente ad andarsene per mancanza di posti. […] VI), dopo aver parlato del Tonin Bonagrazia, pel quale egli poteva a ragione esser chiamato il Demarini faceto, conchiude : « da ciò si comprenderà facilmente che quando il Bellotti assume il carattere grave ed eroico, è ben difficile che gli riesca di sopprimere negli astanti quella giuliva impressione che la sua sola presenza ridesta. »
Altezze di Parma una compagnia, della quale ecco la Lista che traggo dall’Archivio di Modena : Angiola Prima Donna Flaminia, ò Sucinda (sic) 2ª. […] Altra lista mandava del 1650 Francesco Toschi, nella quale un Fabricio figurava come marito di Angiolina.
Passò da questi con Romualdo Mascherpa e collo stesso ruolo ancora per un triennio, dopo il quale abbandonò il teatro per andare a sposarsi con un signore di Padova, ove morì nel 1860. […] Lo vediam padre nobile e tiranno assoluto, il ’24, nella Reale Compagnia Sarda, nella quale restò poi anche il ’25 a vicenda col Boccomini.
Si tolse dalla famiglia il 1815 per andare amoroso in Compagnia di Angelo Venier, col quale dopo un anno, assunse per due anni ancora il ruolo di primo amoroso assoluto. […] Giunto a Napoli, si fece visitare dallo Scottugno, una celebrità medica d’allora, il quale, per mettere in opera ogni mezzo, all’intento di strapparlo alla morte, gli fe' dividere la sua casa e la sua mensa ; e tali e tante furon le cure affettuose di lui, che il povero giovane si riebbe alquanto.
Si sposò a un certo Malfatti, il quale, impazzito, fu ricoverato in un manicomio, e da lei mantenuto. […] Fra le prime alunne che lasciaron la scuola dal '59 al '60, eran la Tessero e la Pezzana, la quale dettò alcuni cenni biografici della maestra (Torino, Paravia, 1893), da cui son tratte le presenti notiziole.
Hoggi ho consegnato alla Fran ceschina comico (alias Batista Amorevoli, il quale e tutto cosa mia, et e buona persona et desidero che gli facciate per amor mio buona cera) un pacchetto, dove è 3 libri di quei mia, del quale V. […] Nel 1587 pare che Messer Battista si fosse fatto capocomico, come può rilevarsi da quest’altra lettera, tolta pure dal D’Ancona (II, 492), dalla quale anche si apprende come egli fosse già da tempo in que’ rapporti relativamente intimi che solean correre fra S.
Passò da questa primo attore con Giacomo Modena, poi, intollerante di giogo, formò da sè compagnia della quale fu prima attrice l’ Amalia Vidari. […] Là giunto, corse fra loro un dialogo con minaccie da parte del Lombardi, e di scuse da quella del cuoco ; ma queste non servirono che a iritar maggiormente il padrone, il quale fini col percuotere il vecchio. […] Nella Galleria de' più rinomati attori drammatici italiani, da cui ho tolto il presente ritratto, è uno scritto di Tommaso Locatelli, il quale dice di lui : Il Lombardi è dotato dalla natura di alta e bella persona, d’una corretta e chiara pronunzia, e di una voce forte e soave, atta in singoiar modo a piegarsi a tutte le infinite varietà di quegli affetti, ch'ei vuole esprimere, e che sa cosi mirabilmente trasfondere negli animi de' suoi uditori.
Di Giacomo, nella quale è la storia documentata, animata pur sempre da un soffio di poesia, che or vi solleva tutto, e or vi stringe l’anima. […] Caduto appena il sipario sul terz'atto della Dama bianca, egli era andato a seder, come al solito, nel corridojo sul quale dava il suo camerino. […] Le modificazioni ch'essa andò subendo coll’andar degli anni furon soltanto nella maggiore o minor lunghezza della camicia, la quale vediam lunga al ginocchio negli ultimi anni (V. il Ghezzi), e più corta ne'primi (V.
Fu dal ' 48 al ' 54 con Domeniconi, generico per parti di prima importanza, e direttore il ' 55 di una delle compagnie di lui, della quale era prima attrice Laura Bon. Il ' 56 diventò capocomico egli stesso, e continuò a esserlo fino alla fine della sua vita artistica che si chiuse il '69 ; anno in cui si recò definitivamente a Firenze (vi si era già recato nel '64 col fermo proposito di lasciar l’ arte, alla quale tornò poco di poi, sollecitato da Riccardo Castelvecchio ad assumere la direzione della sua Compagnia Dante Alighieri), affine – dice un suo biografo, Cesare Calvi – « di proseguire alcuni studj sull’arte e sul teatro che durante il suo artistico peregrinaggio non poteva condurre a fine, » ma in realtà – dice un annotatore – per darsi a non so che lucroso commercio. […] Il 23 marzo del 1848 un avviso di Alessandria, col quale invitava il pubblico a una accademia di declamazione e di canto a beneficio dell’attore Francesco Sterni, cominciava così : La sera di giovedi 23 marzo è sera per noi di beneficenza cittadina, e questo, piuttosto che un ricordo teatrale, è un ricordo comune della tacita e reciproca promessa che ci siam fatta di ritrovarsi tutti come ad un convegno desiderato.
Educata poi dall’Anna Pellandi, colla quale stette dal 1807 al 1810, mostrò subito di emulare presto, e vincere anche la grande maestra. […] Si unì l’Internari nel ’34 con Domeniconi, col quale rinnovò e confermò gli entusiasmi e la fama. Fu il ’50 con Coltellini a Trieste, e il ’52 si unì madre nobile con Adelaide Ristori, risolvendo il ’57 di abbandonare il teatro, e di cedere tutto il suo ricco patrimonio di scena al figliuolo Giovanni, capocomico e mediocre brillante (morì nel ’76 a Livorno), col quale recitò alla Stadera di Milano il 13 marzo di quell’anno il terzo atto della Medea del Ventignano, maravigliando per la potenza d’arte, e gagliardia di mezzi, tanto da far dire a un accreditato giornale, che al suo confronto le celebrità d’allora impicciolivano a vista d’occhio. Stabilitasi a Firenze, vi recitò, come addio, nel dicembre del ’58, e a fianco della Ristori, la parte di Euriclea nella Mirra dell’Alfieri, colla quale aveva iniziato la sua gloriosa carriera.
E Giovanni Tabarini di Venezia diede col suo casato il nome alla famosa maschera del Ponte Nuovo di Parigi, figurante un quarant’anni più tardi, come servo del Ciarlatano Mondor, sotto la quale si celava Giovanni Salomon suo socio ? […] Ma un giorno il ragazzo venne, non so per quale circostanza, a conoscere la verità, e seppe come sua madre vivesse esclusivamente di una pensione che il prelato le faceva corrispondere dal Vescovado di Milano. […] Il Salomon soleva intrammezzare con chiacchierate ricche di spirito e di…. salacità la vendita degli specifici di Mondor, talvolta in dialogo, sia col padrone, sia colla moglie Francischina, e talvolta solo ; facendo sopr'a tutto sbellicar dalle risa colle trasformazioni del suo cappello di feltro bigio a punta, al quale, nelle opere son dedicati due discorsi : De l’antiquité du chappeau de Tabarin, des tenans, aboutissans et despendances, e Les fantaisies plaisantes et facetieuses du chappeau à Tabarin. […] Il Sand discorre di un tipo, esistito a Bologna fin oltre il 1850 e passato poi nel dominio delle marionette, che rappresentava un vecchio mercante di circa sessant’ anni, ignorante e orso, col nome di Tabarino, il quale soleva cominciar le frasi in italiano e finirle in dialetto bolognese. « Padre quasi sempre di Colombina e alleato del Dottore, egli era – dice – il Cassandro o il Pantalone bolognese.
Tanti rappresentatori e ballerini non mai comparvero sulla scena greca a volto nudo, ma si coprirono di una maschera, la quale nè sempre fu la stessa, nè si usò sempre pel medesimo oggotto, nè sì presto servì per eccitare il riso. […] Confermasi pure tal verità istorica con un passo di Eliano, il quale nel ragionare della commedia delle Nuvole in cui compariva il personaggio di Socrate, scrive cosìa. […] Nè poi questa maschera di tutto il capo rimase inutile allorchè si costruirono i teatri chiusi, come quelli di Corinto e di Atene fatti a spese di Erode Attico, e gli altri de’ Romani; poichè in quel tempo ancora l’uditorio rimaneva allo scoperto, e que’ teatri erano così vasti e magnifici che potevano agiatamente contenere quale venti, quale trenta e quale quarantamila persone; per non parlare di quello di M.
Il signor De Bastide indirizzò all’Andolfati, mentre dirigeva il Cocomero, una lettera, nella quale si discutevan queste tre leggi per un direttor di teatro : « 1. […] Bisogna aver paura che il gusto languisca. » A lui rispose l’Andolfati con lettera pubblicata per le stampe nel 1792, nella quale sono le stesse lagnanze, le stesse ragioni di oggidì : cita il caso frequente di commedie magnificate dagli attori e alla rappresentazione cadute per non più rialzarsi ; rimette in ballo la questione delle repliche, e raffronta, al solito, la Francia coll’Italia, annoverando i vantaggi di quella e le condizioni poco liete di questa ; e infine gli dà con molta sottigliezza una stoccata non lieve con le seguenti parole che riproduco testualmente : « Voi mi avete gentilmente prescelto per esporre con la mia compagnia qualche vostra produzione, che sarà certamente conforme alle rispettabili leggi, che vi compiaceste accennarmi : tutta l’ attività de’ miei attori, qualunque ella si sia, verrà impiegata per l’ esecuzione la più scrupolosa, avvalorata dall’ istruttiva vostra comunicativa ; desidero che corrisponda l’esito alle vostre ed alle mie brame : — a voi, per non aver saputo offendere il gusto del pubblico — per prender maggior vigore a perfezionarlo — e acciò non si tema che egli languisca — a me, per aver potuto sotto la vostra scorta contribuire a sì desiderabili conseguenze. […] In altro elenco, che riproduciamo in fine, troviamo oltre all’Anna, la moglie, che è innanzi alla Gaetana, anche una Antonia Andolfati, della quale non ho potuto trovare alcun cenno, e che non so bene se essere una sorella o una figlia di Pietro. […] Essa prelude al suo articolo con queste parole : « il giovane attore che compose questa rappresentazione merita i nostri elogi e gl’ incoraggiamenti del Pubblico, il quale avvezzo ad applaudire a’ suoi non ordinarj talenti nell’ arte del declamare, potrà, s’ egli non si stanca d’ impiegarli eziandio nello scrivere, dovergli dei drammi, pei quali anche il Teatro italiano conti un autore fra’ suoi attori. » E dopo avere esaminata e magnificata l’opera, trascrivendone un brano, riportato poi a sua volta dal Bartoli stesso nelle sue Notizie de’ Comici italiani, conclude : « noi non possiamo se non consigliar questo giovane autore a proseguire la carriera dello scrivere, in cui può avanzarsi cotanto per avventura, quanto non ha fra Comici italiani e difficilmente può avere chi lo superi nel sostenere le Parti più ardue ed interessanti, e nel produrre quell’ illusione impegnante ch’è la sola prova della perfezione. » Ecco l’elenco su citato : SIGNORE SIGNORI Anna Andolf ati Pietro Andolfati Gaetana Andolfati Luigi Delbono Antonia Andolfati Giovanni Delbono Maddalena Nencini Gaetano Michelangeli Rosa Foggi, da Serva Giovanni Ceccherini Lorenzo Pani Giulio Baroni Filippo Nencini, caratterista MASCHERE Bartolommeo Andolfati, Pantalone Giorgio Frilli, Dottore Gaspare Mattaliani, Arlecchino, e subalterni A questo elenco, ne farò succedere uno del 1820, il quale mostra chiaramente il progredire che fece l’arte nel non lungo periodo di circa trent’ anni : DONNE UOMINI Andolfati Natalina Andolfatti Pietro Garofoli Giuseppa Andolfatti Giovanni Pollina Margherita Garofoli Luigi Cappelletti Laura Cavicchi Giovanni Cavicchi Carlotta Carraro, Giovanni Bonsembiante Bianca Bonuzzi, Francesco Maldotti Adelaide Bonsembiante Giovanni Maldotti Marietta Maldotti Ermenegildo Lensi Anna Cappelletti Gaetano Astolfi Marianna Astolfi Giuseppe Coccetti Antonio Maldotti Eugenio Andolfatti Luigi Nastri Leopoldo Astolfi Tommaso, suggeritore Tommaselli Luigi, macchinista La Compagnia recitava a Bologna all’Arena del Sole, di giorno, e al Teatro del Corso, di sera ; e aveva cibo conveniente ai due palati.
), e tal’altra con quello teatrale ; e questo di Angelica fu anche nome teatrale, come vediamo nell’elenco della Compagnia di Lelio (Luigi Riccoboni) chiamata da Filippo d’Orléans nel 1716, nella quale le parti di Angelica furon sostenute dalla Foulquier, soprannominata Catinon. Comunque sia, l’Angelica nostra era la colonna della Compagnia dei Comici Uniti, quando nel 1580 si unì a Bergamo per qualche giorno con quella dei Gelosi ; nella quale occasione Cristoforo Corbelli dettò il seguente MADRIALE Non più col foco de i sospir sperate, nè con quello d’amore, voi, cui tutt’arde in strano incendio il core, far, ch’Angelica un poco senta ne le sue fiamme il vostro foco : che, com’aspide chiude sordo agl’incanti le sue orecchie crude.
Recitò le parti di caratterista con molto favore, prima nella Compagnia di Onofrio Paganini, poi in quella di Gerolamo Medebach a Venezia, l’anno 1772, finchè si fece conduttore di una Compagnia propria, che intitolò dal nome di sua moglie, la rinomata Maddalena, e pella quale scritturò, dice il Bartoli, una scelta de’ migliori commedianti che vantasse allora l’Italia. […] A questo si aggiunge l’elenco per l’autunno 1795 e carnovale 1796, nella quale stagione la Compagnia era al S.
Morto dopo quattordici anni il marito in Mantova, la Marta continuò a condur compagnia, di cui fu il principale ornamento fino al 1810, nel quale anno cessò di vivere in Venezia. […] Tornò poi a Modena il marzo del ’99, e vi recitò il Matrimonio Ebraico, ossia la Sinagoga, parodia dei riti israelitici che suscitò un diavoleto in teatro, pel quale fu necessario l’intervento delle autorità.
Moglie del precedente, attrice di pregio, per la quale il Goldoni scrisse alcune parti graziose. […] Pasquali, XVII) che nel 1742, licenziatosi il Sacchi dalla Compagnia di San Samuele, gli fu sostituito il Falchi, il quale essendo all’attuale servizio dell’Elettor di Baviera aveva ottenuto un anno di congedo per rivedere i parenti suoi.
Mostrò subito speciali attitudini alla tragedia, della quale fu più tardi cultrice amantissima e ammiratissima ; e, scritturata il '66 al Fondo di Napoli nella Compagnia Majeroni, vi sostituì con molto onore la celebre Sadowski. […] E questo stornello segnato col nome di Tito Vespasiano, sotto il quale si nascondeva il caldo poeta livornese Braccio Bracci.
Tornato in Italia, riposò un anno per crear poi la società Pasta-Garzes-Reinach, nella quale fu assunta al grado di prima attrice assoluta, e con fortuna inattesa, Tina Di Lorenzo. Terminato il triennio, ne seguì un altro « Pasta-Di Lorenzo, » fortunatissimo, dopo il quale il Pasta (quaresima '900-'901) si unì con Virginia Reiter, con cui si trova tuttavia in qualità di socio e di direttore.
Tuttavia abbandonò il ruolo di Arlecchino, e prese quello di Dottore e di parti staccate, che sostenne fino alla chiusura del teatro nel 1767, dal quale si ritirò, essendogli morta l’aprile dell’anno prima in ancor giovine età la moglie Elena Savi, che aveva esordito come amorosa il 28 maggio 1760 con molta intelligenza e con molto brio nell’Homme à bonne fortune, ed era stata accolta poco tempo dopo a mezza parte. […] Lo vediamo in tale ufficio a Modena il 1758, dove immaginò I fuochi teatrali, cioè : Due fontane versanti nella platea le composizioni presenti allusive alle suddette fonti, e ai componimenti suddetti, che pure alludono alle Medesime, siccome all’arme de la serenissima Casa d’Este alle stelle che la circondano, all’ecclissi del sole, ed ai segni del zodiaco, rappresentati dai fuochi sopraddetti, spieganti in generale le glorie della suddetta serenissima casa, alla quale umilmente li dona, dedica e consacra l’ossequiosissimo servidore.
Deh quale è a tanto duol termin prescritto? […] E’ da notarsi in tal tragedia la tenera scena di amicizia tra Pilade ed Oreste, colla quale termina l’atto terzo senza coro. […] Ma vi è attaccata anche la scena di Fedra, la quale naturalmente par congiunta colla prima dell’atto secondo. […] Non è così della tragedia Greca, la quale sembra odiare tutto ciò che può distrarre dal dolore. […] Anche l’orator Teodette, il quale con Teopompo e Naucrite concorse nel certame panegirico instituito da Artemisia in onor del marito, compose fralle altre una tragedia molto applaudita intitolata Mausolo, la quale a’ tempi di Aulo Gellio ancor si leggeva.
Nonostante le censure, Algarotti fu però un esponente d’eccezione della cultura dei lumi, della quale ripercorre tutte le tappe consuete; interprete dello spirito cosmopolita settecentesco, in contatto con membri di primo piano dell’europea Repubblica delle lettere, Algarotti considera la cultura un ampio campo aperto all’interno del quale i saperi dialogano tra di loro e sono componenti di un unico grande sistema. […] Io che mi risento più d’ogni altro degli abusi del nostro teatro di musica, più d’ogni altro vi son tenuto del coraggio col quale ne intraprendete la cura. […] Le lettere che Ortes27 inviava ad Algarotti contengono diversi riferimenti non solo alle stagioni teatrali, ma anche alla scrittura di testi per musica, nella quale Ortes si cimenta costantemente attorno agli anni 40-50. […] L’edizione qui riprodotta è l’ultima curata da Algarotti per il tomo II dell’edizione completa delle sue opere approntata dal libraio livornese Marco Coltellini, alla quale Algarotti collaborò solo per i primi tre tomi prima di morire. […] Questa versione è decisamente ampliata rispetto alla precedente, della quale riporta la stessa epigrafe tratta da Ovidio «Sed quid tentare nocebit?»
Dalla Compagnia Nardelli passò (1835) in quella di Romualdo Mascherpa, della quale eran principale ornamento i fratelli Dondini, Gattinelli padre, e Giacomo Landozzi. […] Compagnia di Torino, diretta da Gaetano Bazzi, il quale subito pensò di sostituirle la Bettini alle stesse condizioni. […] Compagnia Sarda, nella quale, dopo due anni, ebbe le stesse accoglienze festose, gli stessi onori prodigati alla grande attrice che la precedette, e che per ben diciassette anni fu l’idolo di quel pubblico ; e dalla quale uscì per isposare in Bologna il dott. […] scrive da Bergamo il 21 aprile 1840 rallegrandosi colla Bettini che debuttava a Torino quale prima attrice della Reale Compagnia Drammatica Sarda. […] Queste notizie erano sulla Compagnia dei Fiorentini, nella quale era andato pure il Domeniconi mandando così a monte la società col Gottardi.
Tentò la tragedia, alla quale sentivasi irresistibilmente trascinato ; e recitò l’ Aristodemo del Monti, o meglio, secondo il giudizio del padre, ne fece la parodia. Tornò subito a'ruoli comici, passando, ancor giovine, dal brillante al caratterista, nel quale, coll’esempio del padre, riuscì eccellente. […] Rimase con la Internari due anni ancora, poi passò il '33-'34 nella società Domeniconi e Pelzet, pella quale fu pubblicato a Pistoja un opuscolo di versi, tra cui scelgo il seguente SONETTO al merito singolare del caratterista Signor LUIGI TADDEI Or che nube di duol par che si stenda di giovinezza sul celeste fiore, nè più il sorriso d’innocente amore nè più lieta l’avvivi altra vicenda ; bello di gloria e amor dritto è che splenda il raro ingegno che fa scorrer l’ore inavvedute e care anche al dolore con semplice e gentile arte stupenda.
Ma la nazione Peruviana, senza dubbio la più colta di tutta l’America, oltre all’avere inventata e migliorata l’agricoltura con tante altre arti, seppe qualche cosa di geografia, meccanica ed astronomia, ed ebbe polizia e legislazione eccellente per la natura e per l’indole di que’ popoli, nella quale trionfa una sana morale. […] L’Inca ce ne dà alcune notizie senza entrare a indagarne l’origine, la quale con alcune probabilità può rinvenirsi in una festa solenne che solea celebrarsi in Cusco. […] Ma in Lima celebre capitale del Perù edificata nel 1535 da Francesco Pizarro oggi si vede un teatro lodato per la grandezza e per la magnificenza delle decorazioni, nel quale si rappresentano le commedie Castigliane. […] Voglio anche accordare al l’apologista Lampillas, tutto intento a mettere a profitto un ipocrito zelo, che il veneziano Cabotto non diede immensi tesori alla Spagna, la quale l’invitò dal l’Inghilterra per impiegarlo nelle scoperte, e che egli rimase per ben quindici anni senza essere impiegato. […] Non trovasi nel continente americano la specie de’ leoni affricani e asiatici; ma gli Europei diedero il nome di leone al l’animale che nel linguaggio di Quito dicesi Puma, il quale (secondo M.
Ma la nazione Peruviana senza dubbio la più colta di tutta l’America, oltre all’avere inventata e migliorata l’agricoltura con tante altre arti, seppe qualche cosa di geografia, meccanica e astronomia, ed ebbe polizia e legislazione eccellente per la natura e per l’ indole di que’ popoli, nella quale trionfa una sana morale. […] L’Inca, ce ne dà alcune notizie senza entrare a indagarne l’origine, la quale con alcuna probabilità può rinvenirsi in una festa solenne che soleva celebrarsi in Cusco. […] Ma in Lima celebre capitale del Perù edificata nel 1535 da Francesco Pizarro oggi si vede un teatro lodato per la grandezza e per la magnificenza delle decorazioni, nel quale si rappresentano le commedie Castigliane. […] Voglio anche accordare all’Apologista tutto intento a mettere a profitto un ipocrito zelo, che il Veneziano Cabotto non diede immensi tesori alla Spagna, la quale l’invitò dall’Inghilterra per impiegarlo nelle scoperte, e che egli rimase per ben quindici anni senza essere impiegato. […] Non trovasi nel Continente Americano la specie de’ leoni Affricani e Asiatici; ma gli Europei diedero il nome di leone a quell’animale che nel linguaggio di Quito dicesi puma, il quale (secondo M.
Milano, Dumolard, 1895, pag. 46) : La Contessa Adelia Arrivabene, giovanissima gentildonna mantovana (che morte immatura tolse troppo presto alla scena, sulla quale lasciò impronta incancellabile dei più eletti e squisiti modi nel porgere). […] A quelli, dopo due giorni, tennero dietro questi altri versi, tuttavia inediti, e a me comunicati con gentilezza squisita dal fratello di lei Conte Giovanni Arrivabene, al quale debbo anche, in gran parte, la compilazione di queste notizie. […] Nè molte parole ci vollero a farla risolvere di darsi tutta all’arte ; chè alle innate attitudini e alla recente e pur viva e radicata passione s’aggiungeva la speranza di recare alcun sollievo allo stato allor triste della famiglia, la quale dal più alto fastigio di fortuna era caduta in una relativa povertà. […] Nè v’è da stupirsene, se si guardi al conto non troppo alto in cui eran tenuti i comici allora, e alla maggiore austerità e, oserei dire, intransigente solitarietà nella quale si teneva allora l’aristocrazia…. […] E quale blasone !
Artista rinomatissimo per le parti d’innamorato, sotto il nome di Flaminio, nacque a Cividal del Friuli, e menò vita travagliatissima e miserissima, per la morte specialmente della figliuola Tranquilla, rapitagli dal vajuolo a tre anni e dieci mesi, per la quale dettò soavissime rime. […] Il luogo di nascita ci dice egli stesso in un sonetto A Cividal del Friuli sua patria in occasion di guerra civile, e ci ripete poi nella Canzone, nella quale descrive parte de’ suoi infortunij da che nacque fino all’anno quarantesimo sesto di sua età, e la conchiude con la morte della figliuola. […] Il 26 ottobre 1612, Tristano Martinelli scriveva da Firenze al Cardinal Ferdinando Gonzaga, mandando una lettera di Maria de’ Medici, nella quale era il desiderio di mettere assieme una compagnia di comici tra cui figurava il nostro Fabbri. […] Esordì, generica, in Compagnia Brangi, sotto l’Isabella Buzzi, assumendo dopo un anno il ruolo di prima attrice giovine, col quale fu scritturata il 1821 in Compagnia di Tommaso Zocchi, che abbandonò poi per passare, il ’22 e ’23, con l’Assunta Perotti e Luigi Fini. […] Formò poscia compagnia, nella quale assunse la parte di prima attrice assoluta : ma dovette, costrettavi dalla avversa fortuna, accettare il ruolo di madre nobile, seconda donna e caratteristica, offertole da Romualdo Mascherpa, col quale stette fino alla morte di lui che accadde nel ’48.
Come abbiam visto al nome del padre, egli desiderò di entrare al servizio del Duca di Mantova, al quale fu raccomandato dal Cardinal Caetani con lettera da Roma in data 12 aprile del 1611. […] E., onde habbiamo di comune gusto e consenso riaccettato la sig.ª Valeria tra di noi, con la quale di nuovo uniti cercheremo di mantenerci in quella pace tanto a noi necessaria, e con tanta fatica per nostro honore da V. […] quale sarà sempre anteposta a qual si voglia interesse, strettezza di amicizia o vincolo di parentella che sia tra di noi, si come ogn’uno di Compagnia augurando a V. […] r Marchese Nicolò Tassone domenica alle quattro hore di notte mentre recitavo mi fu datta una sua, la quale aperta a casa, dall’intendere il buon animo che S. […] A. e significargli ch’io non parlo da Scapino, ma da Francesco, il quale si rimette a tutto quello che vuole S.
Da lui educato e iniziato a severi studi, compì il terzo corso reale a Verona, dopo il quale si recò per due anni a Padova a studiarvi avvocatura. […] Vani furon gli sforzi della famiglia per ricondurlo a sè…. la quale anche tentò di lasciarlo privo del necessario per mostrargli più ardua e fosca la via dell’arte.
La esiguità delle parti a lui affidate, e la passione vivissima per l’arte lo fecer lasciare quella compagnia : nè sappiamo ove si recasse sino al ’35 ; nel quale anno lo vediam negoziante di mobili in Napoli. […] Compiuto il triennio, andò a stabilirsi a Napoli dove stette sino al ’51, ora scritturato al teatro de’ Fiorentini, pel quale ebbe più volte incarico da quella Corte di formar compagnia, ed ora libero.
Aveva per sua virtuosa consorte una Donna, detta Isabella tra le comiche, la quale fece vita santa per due anni avanti la morte, senza mai voler comparire nella scena al Recitamento ; e se ne morì con molti segni di gran bontà, esortando il marito a ritirarsi affatto dall’arte e dall’esercizio de’teatrali trattenimenti. […] La maschera qui riprodotta (pag. 985), è nelle Composizioni di Rettorica dell’ arlecchino Martinelli (V.), al nome del quale è pure la riproduzione di una lettera inedita ove si discorre del Garavini.
Egli e certo Enrico Mangili eran l’anima del reggimento, il quale ne’ momenti di tregua faceva a loro circolo : la musica suonava negl’intermezzi edessi inventavan chiassate di ogni specie. […] Non v’è stato personaggio dinanzi al quale si sia ritratto spaurito.
Ernesto Rossi, col quale Giovanni Leigheb fu in società dalla quaresima del '49 a tutto il carnovale del '51, così ce lo descrive : ….. era una buona pasta d’uomo, giovialone, spensierato, ma onesto : era sempre stato in primarie compagnie, Mascherpa, Domeniconi, ecc., ecc. […] I rovesci politici lo avevano ridotto, come me, a chiedere un rifugio ed un pane alla Compagnia Moncalvo, nella quale, come già ti dissi, la paga veniva come la febbre terzana, se le cose andavano per il loro verso ; se poi malandavano un pochino, allora era una quartana, una quintana, e della settimana non restava che la domenica. – Miseria per miseria, dicemmo, facciamo da noi !
Appena infatti fu questi lungi dalla città, Lucilla, partitasi dalle Maddalene, si uni a far vita comune col Niccolò, ma non mantenendosi del tutto fedele neppure a costui, provocò la scena di gelosia della quale abbiam fatto parola, e che fini con un colpo d’arme da fuoco, senza però grave suo danno. […] Il sergente in forza della propria patente militare e perchè così richiedeva il benefisio e il servisio di Sua Maestà, si credette autorizzato a portar le terzette e richiese in grazia al Governatore che il Podestà di Cremona desistesse durando il servizio di dare alcuna molestia al supplicante il quale con ogni accurata diligenza invigila alla cura e difesa della città.
., e nella quale egli esordì a Caltanissetta colla parte di Riccardo ne’ Figli di Odoardo, acquistandosi tosto le simpatie del pubblico, che andaron poi viepiù crescendo. […] Il ’45 i Gagliardi sono scritturati a Nizza con vantaggioso contratto, ed eccoti il Comune entrar in lite col proprietario dell’arena della quale ordina la demolizione, prima che la compagnia si trovi sul posto. […] Il ’55 a Vercelli mette su uno spettacolo, I briganti calabresi, pel quale s’ingolfa in un mondo di spese : ma lo spettacolo fa furore, un forte guadagno è assicurato ; ed eccoti l’arena di legno, terminato appena lo spettacolo, tutta in fiamme, ecco ogni cosa letteralmente distrutta. […] Suonarono le nove di notte, e lasciato di ballare, tutti i passeggieri riunirono tutte le loro valigie, mantelli, e scialli sul ponte, attendendo il momento di entrare in porto, del quale già vedevasi il faro. […] Intanto i marinaj tagliavano le corde del battello grande, situato al fianco della nave, e quelle della yole, per calarli in mare ; ma per l’oscurità, e per la confusione, la yole rimase attaccata, e non fu calato che il battello, entro del quale discesero alcuni marinaj, respingendo violentemente chiunque tentava seguirli.
In tempo di Antonino Pio da Capitolino si fa menzione solamente di Marco Marullo, attore e scrittore di favole mimiche, il quale ebbe l’ardire di satireggiare i principali personaggi della città, senza eccettuarne l’istesso imperadore; Marco Aurelio, di lui figliuolo adottivo e successore, diceva, che le commedie de’ suoi tempi altro non erano che mimi, Dagli Antonini fino alla divisione dell’imperio romano non si trova nominato, ch’io sappia, altro scrittore drammatico a riserba d’una commedia in prosa poco degna di lode, scritta da un autore incerto ad imitazione Aulularia di Plauto, e così pure intitolata109. […] Sono esse scritte in un latino assai barbaro, e ripiene di apparizioni e incoerenze, La prima di esse é divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, ch’é un pagano generale di Costantino, il quale va a combattere gli sciti, n’é vinto, é ricondotto da un angelo contra di essi, é vittorioso, si battezza, e fa voto di castità; e nella seconda parte l’imperadore non é più Costantino, ma Giuliano, dal quale Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio. […] Ezechiel), il quale compose una tragedia dell’Uscita degli Ebrei dall’Egitto, intitolata Εξαγωγη. […] III pag. 185), e intitolata: Ludus Paschalis de adventu et interitu Antichristi, la quale egli pensa, che fosse rappresentata in Germania nel secolo XII.
Anche Giovanni Dryden nato di una famiglia cospicua nel 1631, il quale divenne cattolico sotto Giacomo II, e morì nel 1701, ebbe il titolo di Racine dell’Inghilterra senza meritarlo meglio di Otwai. […] Scrisse commedie e tragedie ed anche una specie di opera intitolata la Caduta dell’Uomo, nella quale pose in azione il Paradiso perduto. […] Ma il celebre Wycherley sì caro alla duchessa di Cleveland favorita del re, e marito della contessa di Drogheda, il quale morì l’anno 1715, fu senza contrasto il miglior comico di quel tempo nell’Inghilterra. […] Ma vediamo in quale stato questo gran comico trovò in Francia la commedia, ed in quale la tragedia il maggior Cornelio.
Anche Giovanni Dryden nato di una famiglia cospicua nel 1631, il quale divenne Cattolico sotto Giacomo II, e morì nel 1701, ebbe il titolo di Racine dell’Inghilterra senza meritarlo più dell’Otwai125. […] Scrisse commedie e tragedie ed anche una specie di opera intitolata la Caduta dell’uomo nella quale pose in azione il Paradiso perduto. […] Ma il celebre Wycherley sì caro alla duchessa di Cleveland favorita del re, e marito della contessa di Drogheda, il quale morì l’anno 1715, fu senza contrasto il miglior comico di quel tempo nell’Inghilterra. […] Noi ci accingiamo nel seguente libro a divisare in quale stato questo gran comico trovasse in Francia la commedia, ed in quale la tragedia il maggior Cornelio.
Le commedie sono : la Rhodiana, l’Anconitana, la Piovana, la Vaccaria, la Moschetta e la Fiorina ; se bene il Calmo nella dedica della Rodiana che fa al Conte Ottaviano Vimercati, affermi questa commedia esser sua, così dicendo : e dia la colpa a’ maligni, che mi rubarono la Commedia Rhodiana, la quale fu recitata in Vinezia del 1540, e poi nella Città di Trevigi sotto il felice Reggimento del clarissimo M. […] Trascriverò piuttosto il discorso che è nel primo atto dell’Anconitana col quale Isotta in veste d’uomo sotto nome di Gismondo, raccontando le buone qualità ond’è ornata, cerca di persuadere Doralice a riscattarla con danaro. […] Recitava il 1675 le parti di Capitano Spagnuolo, come si è potuto vedere dalle lettere di Francesco Allori detto Valerio, che ne faceva richiesta a un ministro del Duca di Mantova per la compagnia, della quale egli era direttore, e sua moglie Francesca, Ortensia, prima donna. […] mo Padrone e protetore al quale inchinandomi li bacio afetuosam. […] Batta, detto Pantalone, che in una lettera allo stesso ministro tocca del Beretta ; la scrittura del quale, dice, non sa come possa conciliarsi con quella di suo figlio Virginio, che gli raccomanda vivamente.
Fu infine, per due anni, nella seconda del Domeniconi, condotta da Gaetano Coltellini, e diretta da Antonio Colomberti, in qualità di Prima attrice tragica, e Madre nobile, dalla quale passò a Firenze, ove stette, fuor dell’arte, sino alla morte, che avvenne per idropisia l’8 novembre del 1854. […] Un po' di tara dobbiamo fare alle lodi del Niccolini, il quale, con la debolezza di quasi tutti gli autori di teatro, ha lodi per gli artisti che han fatto piacere l’opera sua. […] Alla quale proposta l’Impresa aderì vedendo che questa attrice non poteva più esser di alcun utile per il teatro de' Fiorentini. […] Non entrate in altri gineprai con costui, il quale è troppo amico di questa genia, che egli si è affezionata a forza d’ipocrisia e da cui è contento di farsi mangiare il suo. […] Ma ancora due anni di pazienza, e avrà lasciato per sempre la galera comica, com’ella dice in altra sua da Roma del 20 luglio '44 allo stesso Niccolini, al quale si raccomanda perchè sia dato un impiego a suo figlio, alla cui sussistenza non può pensare, avendo appena il pane per sè.
Maria di Parma, che pretendeva il pagamento di un debito di lire trecento che essi non riconoscevano, sapendo di dovergli solo il fitto del palco, il quale anche speravano fosse loro condonato in ragione della scarse faccende. […] La quale infatti si recò a Milano, di dove il 3 di maggio Zanotti scrive al Graziani che non sa ancora se e quando dopo Pasqua si recherà a Brescia o a Verona, poichè non sono mai frequentate dalle Compagnie de' comici per qualche poco di tempo doppo Pasqua quelle Città, che dano il luogo scoperto per rappresentar comedie, come Brescia e Verona, perchè sarebbe un volontariamente perdersi col esporsi alle stravaganze de tempi, che per lo più riescono in simile stagione piovosi. […] Il febbrajo del '52 la Compagnia era a Modena, e la sera del primo, Ottavio, venuto a parole, s’ebbe un pugno da Trivellino, il quale per ciò fu attaccato alla corda in piazza (V. […] Lasciò la pròfessione molt’ anni sono con buona grazia del Re, disse, per poter salvare l’anima sua, che teneva in dubbio se fosse mòrto in quell’Esercitio ; e venne a stare in Bologna, nel contado della quale era nato, nel Comune delle Caselle, e morì in età di circa ottant’ anni (data, come s’ è visto, erronea), e fu sepolto nella chiesa del Corpus Domini. […] A proposito della quale mi sia lecito por qui una quistione.
Se già esse non furono bizzarre fantasie prodotte dalla calda immaginazion de’ poeti, la quale non contenta d’ingannare se stessa vuol per fino tramandare le sue illusioni ai secoli futuri. […] Non incorrerà in questa taccia il celebre Luigi Guicciardini nipote di Francesco, del quale non posso ommettere un lungo testo, che conferma mirabilmente il mio assunto. […] [28] La scena s’apriva facendo vedere ampia foresta, in mezzo alla quale si scorgeva la grotta del Serpente. […] Moltissime altre Canzoni norvegesi, islandesi, e danesi si trovano nel Saggio citato scritte tutte nell’antica lingua scandinava, la quale, torno a dire, era l’idioma universale del settentrione, di cui facevano parte i due popoli in questione. […] E qui abbia fine questa piuttosto dissertazione che nota, nella quale mi sono inoltrato perché la riputazion letteraria, di cui meritevolmente gode il Signor Abbate Andres (ed alla quale io sono il primo a rendere omaggio), non mi permetteva di restar indifferente alle sue rispettabili obbiezioni.
Tratto dall’amor della scena, entrò in una filodrammatica, e in brevissimo tempo sviluppò tali attitudini, che il Demarini, uditolo, gli fu largo di quelle lodi che lo decisero a lasciar l’arte del bulino per quella di commediante ; e abbandonata la casa paterna e la moglie e i figliuoli, si scritturò in una compagnia di pochissimo conto, passando, dopo alcuni anni di vagabondaggio, in quella di Francesco Taddei, col quale stette dodici anni. […] Da quella di Solmi e Pisenti passò, la quaresima del 1826, nella Compagnia di Luigi Domeniconi, poi, il ’35, in quella di Romualdo Mascherpa, col quale stette sino all’estate del ’45 (29 luglio), epoca della sua morte, avvenuta in seguito a ribaltatura del legno a Regginara, presso Marradi. […] Angelo Brofferio nel Messaggere torinese lamentava così il tristissimo avvenimento : Una gravissima perdita fece ne’scorsi giorni il Teatro drammatico italiano nell’ artista Luigi Gattinelli, il quale dopo Luigi Vestri era caratterista a nessuno secondo. […] Lode che ci viene confermata dal capocomico Romualdo Mascherpa, il quale privato a un tratto di lui, si presentava l’autunno del ’45 al Metastasio di Roma col seguente manifesto : Dolente oltremodo il capocomico Romualdo Mascherpa che i Drammatici al servizio di S.
Pietro Pinelli il 1611 col titolo : Corona di lodi alla Signora Maria Malloni detta Celia Comica ; il quale anche ha in fine una Scrittura — dice il Bartoli — sopra i meriti della stessa, dettata in prosa dal Commendatore Cleoneo Accademico Oscuro. […] Forse ella v'andò colla madre, comica anch'essa, e forse prima a portar sul teatro il nome di Celia, della quale il Magnin avrebbe potuto notar l’apparizione a Parigi il 1572 ? […] re Duca, Virginia et Lucilla Maioni commici con la loro Compagnia supplicano a Vostra Altezza Serenissima a volergli concedere licenza di poter recitare Commedie nella Città di Reggio per tutto questo Carnouale, ch'il tutto otterrà per gratia singolarissima dalla benignità di Vostra Altezza Serenissima quale Dio mantenga felicissima con tutta la Ser. […] Dal quale anche appare, dopo un reciso richiamo all’ordine, come Celia si andasse ammansando, cosi da farsi chiamar dallo Scala stesso coppa d’oro, e chiedere in isposa da Iacopo Antonio Fidenzi detto Cintio ; matrimonio che non potè poi farsi per solenne divieto della madre infame, che vedea morto con esso ogni sorgente di lucro.
Ferrarese, figlio di Zanone Zanoni (nell’ediz. de'Motti brighelleschi, pubblicata a Torino nel 1807 dal figliuolo Alfonso è Zannoni coll’n doppia), dopo di avere con buona riuscita recitato tra' dilettanti della città natale, si diede per le non floride condizioni di famiglia all’arte drammatica, scritturandosi subito con Gerolamo Medebach, e passando poi con Antonio Sacco, del quale sposò nel 1750 la sorella maggiore Adriana, vedova di Rodrigo Lombardi (V.), e col quale andò il '53 in Portogallo. […] Nel Codice Faustini N. 362 del Fondo Antonelli, conservato alla stessa Biblioteca, è ricordata dallo Zannoni anche una commedia : La Patria, recitata in Ferrara nel carnovale del 1747 dalla Compagnia Medebach, nella quale l’autore era attore del carattere di Brighella. […] Il primo brighella apparso a Parigi nel 1671, faceva rabbia, tanto era detestabile ; lui morto, si chiamò a sostituirlo Cimadori Finocchio, il quale, poveretto, sorpreso dal male, morì per via a Lione.
Al contrario non la comprese l’autore de’ Tre Secoli della Letteratura francese, che non ammette altra specie di commedia se non quella di Moliere, la quale è veramente ottima, ma non la sola pregevole. […] Lo scioglimento corrisponde alle grazie di questa eccellente commedia, nella quale colla sferza comica ottimamente si flagella una ridicolezza comune a tutte le nazioni culte di far versi a dispetto della natura, il quale argomento su poco felicemente trattato in Italia da Carlo Goldoni nella commedia intitolata i Poeti. […] Scrisse ne’ medesimi versi la Donna ragionevole uscita nel 1758, la quale può dirsi una galleria di bei ritratti; ma v’introdusse m. […] L’ultima commedia che produsse fu Merlino bello spirito, nella quale punse gli autori drammatici suoi avversarii. […] Egli disse di Averlo presente; e fatto con l’Abate il giro delle sbarre di Parigi, s’imbattè in quella, in cui vennero, a visitare la vettura nella quale egli sedeva con due persone che l’accompagnavano, delle quali perfettamente si ricordava.
Nondimeno a lei non mancarono le tribolazioni de la scena che le vennero più specialmente dalla vicenda impostale con altra Flaminia, la Calderoni, colla quale s’era architettata una specie di congiura contro di lei, ora il marito Silvio rifiutandosi di imparar cose nuove e tenerle dialogo, ora i comici tutti coprendola di contumelie anche al cospetto del pubblico, tra cui prima e più atroce la qualifica di vecchia e inabile omai al recitare. […] ma a continuarli le gratie con il concederli un suo stafiere quale accompagni il detto suo figlio a Milano, comme anche di qualche lettera di fauore in quelle parti doue astretto dal bisogno gli conuiene andare essendo colà aspettato da una Compagnia, et non uedendo strada di accomodarsi con la giustitia che in longo tempo.
A sedici anni era già l’amorosa della Compagnia Ferri, diretta da Augusto Bon, e a diciotto la prima attrice giovane di quella diretta da Corrado Vergnano, sotto la celebre Carolina Internari, che non solo le fu larga di ammaestramenti ; ma visto il rapido progredir di lei, formò da sè compagnia e la scritturò quale altra prima donna. Entrò poi l’Amalia il ’44 con Luigi Domeniconi prima attrice assieme a Maddalena Pelzet, quindi (1846) prima attrice assoluta con Angelo Lipparini, col quale stette cinque anni, mostrando, e nel dramma e nella commedia, a qual grado di arte ella era salita.
Dettò versi in morte di Teresa Calamai, la famosa innamorata del Gamerra, il quale nella Corneide ha un cenno di lode sul Somigli. […] Intanto, a dare un saggio delle sue rime, ecco i due sonetti che trattan della sua nascita e della sua vita, foggiati alla maniera bernesca, nella quale egli rifulse meglio assai che nella eroica e sacra : Nella stagion che il Sol sta tra le branche del fier Leone, e si avvicina al Cane, e che le brine colle mosche bianche dal nostro clima son molto lontane….
.)), quale ha mostrato non curarsi di questa giusta dimanda, per causa della quale non vorrei che al tempo di partire ci fossero contrasti, come ne furono a Padova l’anno scorso, che non voleva la compagnia darli tre quarti e doverà l’anno a venire guadagnare la parte che la merita quanto ogni principiante della sua conditione, supp.
Botteghini), fu prima ufficial di marina al servizio di quella repubblica, caduta la quale si diede all’arte della scena, in cui, mercè di una figura maestosa, di una voce possente, di una memoria di ferro, riuscì in breve il più rinomato de' tiranni da teatro diurno. Attila Flagello di Dio, Ezzelino da Romano, Fazio nel Ratto delle Sabine, Talbot nella Giovanna d’Arco, e moltissime altre parti furon da lui interpetrate alla perfezione, e nessun attore potè vantarsi mai di avere nella sua beneficiata un incasso maggiore di quello che nella sua beneficiata aveva il Vedova ; il quale se sollevava all’entusiasmo il popolino delle recite diurne, era anche molto apprezzato in quelle serali, dal pubblico eletto, come padre nobile, non che come attor di tragedia.
Marini [http://obvil.github.io/historiographie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img042.jpg] Al finire della sua vita artistica, il Corriere della sera di Milano del 14-15 febbraio dedica al caro artista un lungo articolo dal quale trascrivo i seguenti brani che mi par compendino in poche parole le belle e rare doti di lui. […] Salvini la parte del vecchio Andreuve, nella quale mostrò come i suoi cinquantotto anni fosser sempre, al lume della ribalta, una giovinezza gagliarda. […] Passò il ’56 collo stesso ruolo in Compagnia di Alessandro Monti, e il ’58, come seconda donna, in quella di Luigi Domeniconi, nella quale conobbe e sposò Francesco Ciotti.
È ricordato da Carlo Trautmann nel suo eccellente studio sui comici italiani in Baviera, come artista, il quale, insieme a Silvestro Trevisano e a Barbetta Alessandro e figlio, andò a unirsi l’anno 1574 nel Castello di Trausnitz presso Landshut, a due saltatori, che vi furon chiamati un anno prima, dopo la fuga di Massimo Trojano, il famoso cantante, suonatore e dilettante comico. […] Uno di essi era designato quale Zane il saltatore, l’altro, col suo vero nome di Venturino, che apparve già a Landshut nel 1572, e che sembra sostenesse collo Zanni Scolari, la parte del Magnifico. […] Fu l’anno dopo, 1576, che il Duca, forse a perenne ricordo di quella giocondità, omai dileguata per sempre, fece istoriare il soffitto della camera da letto, di cui diamo un saggio nella qui unita tavola colorata, e la grande Scala dei buffoni (Narrentreppe) con le più comiche e svariate scene della commedia dell’arte ; e di quella probabilmente rappresentata da Orlando di Lasso, da Giovan Battista Scolari e da Massimo Trojano, della quale ci ha lasciato quest’ultimo in un suo dialogo la descrizione particolareggiata.
Abbiam di lei la lettera seguente, tolta a quell’ Archivio di Stato, l’ eroe della quale è certo quel Domenico Antonio Parrino (V.), comico e istoriografo napoletano, che in quel tempo appunto era al servizio del Duca di Modena. […] Io ho procurato di dare la sigurtà all’ Hoste d’ un Caualiero quale è l’Ill. […] A poco, a poco, e dalle vicine gondole, e da quegli che passavano si formò un semicircolo intorno alla sedia, sulla quale era seduto il suddetto, che tutti salutava, e sorrideva a tutti.
Studiò legge, e senza aver appartenuto ad alcuna società filodrammatica, mostrò sin da piccolo amore grandissimo al teatro di prosa, nel quale esordì come autore, facendo rappresentar di giorno al Malibran per beneficiata del primo amoroso della Compagnia Zocchi e Bonivento un suo lavoro in cinque atti, intitolato Antonio Dal Ponte, fondatore del Ponte di Rialto, sotto il Doge Pasquale Cicogna, ch' ebbe l’ onore di due repliche. […] E qui comincia la grandezza vera di Giuseppe Pietriboni, della quale io posso dire qualcosa, avendolo avuto direttore e fratello per quattro anni : dal’ 77 all’ 81. […] Di taluna di esse (del Padre Prodigo di Dumas figlio) affidò la direzione a Paolo Ferrari, il quale, traeva tale gagliardìa dalla disciplinatezza, dalla sommissione, dal volere di noi giovani, che a volte restava in teatro a dirigere dalle dieci di mattina alle quattro di sera.
Il vecchio Gueullette in una nota curiosa allo Scenario di Biancolelli, parlando dell’esordire di Tommasino, racconta come i successori del celebre Dominique, il quale aveva una voce ingolata, e somigliante quella di un pappagallo, avessero dovuto imitarlo, chè i francesi mal si sarebbero piegati a sentirne una diversa. […] Tommasino suscitò le più schiette ilarità e i più vivi applausi nell’ uditorio ; il quale, sentitolo poi, non ebbe più il coraggio di burlarlo, e gli permise di continuar nel suo tuono naturale di voce. […] Fra le lettere del Riccoboni alla Biblioteca dell’Opera di Parigi, ve n’ha una dell’agosto 1739, colla quale prega il Gueullette di andare con lui ad assistere il povero Thomassin Visentini, morente, e soprattutto per indurlo prima della morte a pensare alla sua famiglia.
Esse sono Telefonte, Rosimonda, Ino, ed il Conte di Modena, la quale non contiene argomento greco ma nazionale. […] Non al combattimento de’ trenta Brettoni con trenta Inglesi, nel quale Beaumanoir gridava, or si vedrà chi di noi abbia più belle dame? […] In età assai giovanile compose in versi sdruccioli l’Altea che s’impresse nel 1556, e la Polissena, della quale non fe menzione il Fontanini. […] Anche il dotto editore del Teatro Italiano ne portò un vantaggioso giudizio, al quale si soscriverà di buon grado chiunque la legga. […] Un motto almeno di ciò avrei voluto ne’ di lui discorsi della prima scena, nella quale torna ad accingersi alla vendetta.
L’atto IV nel quale Atreo ammazza i nipoti, e delle loro membra prepara al fratello le vivande scellerate, ha prestato molti colori alla terribile carnificina del IV atto dell’Orbecche. […] Sono: Telefonte, Rosimunda, Ino, il Conte di Modena, la quale non contiene certamente argomento greco, ma nazionale. […] In età assai giovenile compose in versi sdruccioli l’Altea che s’impresse nel 1556, e la Polissena, della quale non fa menzione il Fontanini. […] Anche il dotto editore del Teatro Italiano ne portò vantaggioso giudizio, al quale si sottoscriverà di buon grado chiunque la legga. […] Un motto almeno di ciò avrei voluto ne’ di lui discorsi della prima scena, nella quale torna ad accendersi di furore e ad accingersi alla vendetta.
Graziosa nella I scena dell’atto II é la genealogia di una giumenta, la quale rileva il ridicolo della soverchia passione degl’inglesi per gli loro cavalli. […] Oggi gl’inglesi vantano una musica nazionale discendente dalla tedesca, la quale é figlia legittima dell’Italiana. […] L’orchestra si restringeva a un sonator di chitarra, il quale alle occorrenze compariva sulla scena stessa e accompagnava le donne che cantavano. […] VIII pag. 416. seqq., il quale in fine dice: «M. […] Veggasi l’Année littéraire 1772 n° 9, ed ivi troverassi una picciola analisi di questo dramma, nel fine della quale M.
La fecondità dunque d’un’ idea vuole avere un termine, oltre al quale essa non sarebbe più grata. […] È chiaro che una musica, la quale di tali invenzioni faccia buon uso, arricchirà il suo estetico ben più agevolmente che un’altra, la quale non abbia potuto trarne profitto. […] Onde di tutti i progressi di quell’arte profittò il solo suo estetico, al quale basta il giudizio dell’orecchio. […] Ecco il paragone, sul quale si devono esaminare gli ornamenti che si vogliono dare all’interno de’ teatri. […] In oltre ogni nazione ha il suo particolar carattere, nella composizione del quale entrano e virtù e difetti.
Erano essi dedicati quale a Nettuno, quale a Diana, quale a Marte, e quale a Saturno, e dappertutto vi si vedeano scolpiti i simboli propri delle mentovate divinità, e prima d’incominciar lo spettacolo si portavano attorno in processione i loro simolacri, o gli emblemi che gli rappresentavano. […] Alla pagina 184 del secondo tomo ho detto «noi abbiamo un contrappunto del quale si dice che gli antichi non avessero alcuna notizia». […] Ciò vuol dire che ciascuno combina le note e gli accordi secondochè gli suggerisce il proprio talento, il quale non essendo eguale in tutti tre, nemmeno eguale può essere l’effetto che ne risulta. […] [90] «Solo non avremmo voluto udire che uno, il quale ha preteso di unirsi al Sig. […] [93] Non mi saprebbe dire il lettore quale fosse in questo paragrafo la confutazione, e quale la cosa confutata?
Le sue prime sette commedie, benché difettose, promettevano un grand’ingegno nascente, il quale cominciò dal purgar le scene dell’indecenze, e terminò con diventarne il padre e ’l maestro. […] Nell’istesso inverno che si rappresentò il Cid, comparve la celebre Marianna di Tristan, nella quale declamò con tal vigore il commediante Mondori che vi perdé la vita. […] Quelli furono i principi del teatro lirico francese, il quale da Surdéac passò a Giambatista Lulli Fiorentino, famoso maestro di musica, favorito da Luigi XIV. […] Baltassarino, colà chiamato Beaujoyeux, uno de’ migliori violini italiani, mandato dal marescial di Brisac alla regina Caterina de’ Medici, la quale lo fece suo valletto di camera, vi avea introdotti i balletti comici. Uno ne fece nelle nozze del duca di Joyeuse e di madamigella di Vaudemont, aiutato nella musica da Beaulieu e da Salmon, e ne’ versi da Chesnaye, il quale li ballò nel 1582206.
Blàs de Nasarre, il quale par che mettesse particolar cura in abbassar i più famosi comici spagnuoli per sostituir loro un meriro ideale, molto prolissamente ha declamato contra le stravagante, gli errori, e l’ignoranza di Calderone. […] Vi debbe certamente serpeggiare un perché, uno spirito attivo, vivace, incantatore, pel quale, come dice Orazio, i poemi piaceranno, ripetuti dieci e cento volte. […] Illustrò allora le scene inglesi l’eccellente attore e autore tragico e comico Tommaso Otwai, morto nel 1685, il quale spiccò più nelle tragedie, e mostrò prima d’ogni altro in teatro Catilina, e Venezia Salvata. […] Il suo Avaro é una traduzione ampliata della commedia del comico francese, nella quale Shadwell non trovava azione sufficiente pel teatro inglese; ma volendola allargar con personaggi e fatti episodici, parmi che ne tolse l’unità, e la rese meno rapida. […] Fu questi Martino Opitz di Boberfeld, il quale nel 1627, epoca della prima produzione teatrale di Pietro Corneille, trasportò in tedesco le Troiane di Seneca: nel 1627 tradusse l’opere del Rinuccini intitolata la Dafne, la quale si rappresentò per la prima volta in Dresda in occasione del matrimonio della sorella dell’elettore col Langravio di Hesse: nel 1633 imitò un’altra opera italiana intitolata Giuditta; e nel 1636 tradusse l’Antigona di Sofocle.
Probabilmente essa fu figlia dell’arte, e nacque a Venezia, ove sua madre, incinta, era a recitare : questo il parere del D’Ancona, il quale cita al proposito i vari comici D’Armano, dei quali si parla più oltre. Le notizie della sua vita abbiam particolareggiate nell’orazione di Adriano Valerini (V.), della quale discorriamo a lungo, e nell’opera più volte citata del D’Ancona. […] Si vidde Giove che con una folgore d’alto ruinò la torre d’un gigante, il quale havea imprigionati alcuni pastori ; si fece un sacrificio : Cadmo seminò i denti, vidde a nascer et a combatter quelli huomini armati : hebbe visibilmente le risposte da Febo, et poi da Pallade armata, et in fine cominciò a edificar la città. […] Bartoli) la citata ode amorosa, la quale a me pare mirabile e strana per l’efficacia, la verità e la passione, ond’è formata. […] Il Sand inesattamente fa nascere l’Armiani (sic) a Vicenza, anzichè a Venezia, come abbiamo dal Valerini stesso, e dice che nel 1570 ella divien celebre per tutta Italia ; mentre sappiamo ch’essa rese l’anima al Creatore il dì 11 settembre l’anno 1569 ; e che « un Gandolfo, del quale rimane sconosciuto il cognome, a’15 settembre così scriveva al Castellano di Mantova : « La Vicentia comediante è stata atosegata in Cremona.
In quell’anno si uni in matrimonio con Carolina De Medici nipote della Pescatori attrice della Compagnia, la quale poverina morì dando alla luce mio fratello. […] Una farsa che mio padre non aveva studiato, che non aveva visto fare da nessuno, nella quale non aveva sgambetto, nessun lazzo, nessun trucco. […] Dopo lunga discussione, alla quale presero parte il Bellotti ed il compianto Tebaldo Ciconi, fu scelta per prima recita : Il papà Goriot di Balzac. […] E quale barocco ! […] Dalla quale staccatosi, riformò compagnia con la Mariani prima attrice, ch'egli rivelò e sviluppò.
Rappresentava la parte di un vecchio mendico, il quale veniva ingiustamente arrestato in sospetto di ladro. […] » Egli è quello stesso che a Torino, al Circo Sales, in compagnia Trivelli, sostenendo la parte di un pescatore nella caduta di Missolungi, dovendo dire : « nell’imperversare della bufera, mi abbandonai alla discrezione delle onde, » disse invece : « nell’imperversare della bufera, mi abbandonai alla descrizione di Londra…. » Lo troviamo padre nobile, nel 1842, della drammatica compagnia condotta e diretta da Angelo Lipparini, poi, nel 1844, in quella di Romualdo Mascherpa ; proprietario nel ’54-55 di una Compagnia discreta, della quale era prima attrice la Vedova-Ristori, e caratterista Luigi Bottazzi, artisti di merito non comune ; e finalmente, nel ’57-58, caratterista e promiscuo della Compagnia condotta e diretta da Valentino Bassi.
Sposò colà una Giovanna Maria Poulain il 1°Settembre 1665, a proposito della quale il Campardon riporta un curioso e pungente aneddoto che io do qui in ristretto. […] Onorato, recatosi il 5 aprile 1667 allo studio di Pietro Lemusnier, ha mosso querela contro Don Pietro Gazotti, prete modenese suo compatriotta, ch’egli conosceva da 6 anni, e in cui aveva riposta una illimitata fiducia per tutto quanto potea concernere le cose spirituali e temporali, perchè accolto in seno alla sua famiglia e ammesso alla sua tavola, ov’egli mangiava e beveva come se fosse stato di casa, spinse la sua brutalità a tal segno da fare a più riprese indegne proposizioni alla moglie del querelante Giovanna Maria Poulain ; la quale, visto come a nulla valessero nè la prudenza, nè il riserbo, nè le rampogne, nè le minaccie, si trovò costretta a narrargli il tutto.
Tra le ultime parti che Angela Beseghi creò e che la fecer cara a ogni pubblico, fu quella della Suocera nelle Sorprese del divorzio, per la quale ella non è e non sarà certo, da chi ebbe il piacere di sentirla e di vederla, dimenticata. […] Cominciò ad acquistar nome di attore pregiato in Compagnia Fabbrichesi, il quale, incitatolo allo studio, e sovvenutolo sempre di consiglio e di ammaestramenti, gli fe’raggiungere il più alto grado dell’arte.
Quello, generico primario assai pregiato per correttezza di dizione, per aristocrazia di modi, per intelligenza e coltura non comuni, fu poi marito di Eleonora Duse, dalla quale separato, si allontanò dall’arte, per darsi alla vita politica e alla diplomazia, in cui fece ottima prova. […] … Il martedì 20 gennaio del 1878, rendeva l’anima al Signore, e il dì dopo fu condotta a Père Lachaise, con modesto, ahi troppo modesto trasporto, al quale, oltre a’pochi intimi amici, appena intervennero il Vitu e il D’Harcourt del Figaro, e la signorina Rousseil, unica fra le attrici parigine – scrisse l’Yorick – che stimasse suo dovere rendere quest’ultimo omaggio alla compianta consorella.
Rimasto vedovo, il Landi passò a seconde nozze con un’attrice di merito per le commedie improvvise, di nome Assunta, senese, con la quale fu a Napoli, d’onde tornò poi in Lombardia nel '68, scritturato nella Compagnia di Pietro Rossi. […] Viveva ancora nel 1782 la moglie « la quale – dice il Bartoli – ad una vita piena d’inerzia, decaduta quasi interamente dall’acquistatosi concetto, in compagnie di niun valore andava passando con stento la propria vita. »
.), dal quale era già separata per incompatibilità di caratteri il '22, quand’ella era prima attrice della Compagnia Rafstopulo. Fece il carnevale '22-'23 al Goldoni di Firenze, e il Colomberti, descrivendo la Polvaro nella Giovanna d’Arco, uno dei tanti spettacoli della Compagnia, dice : « nel vederla vestita in armatura, quale ci vien rappresentata quella martire nelle sue statue, con i suoi lunghi e bellissimi capelli biondi sparsi sulle spalle ; con il più vezzoso volto che immaginar si possa, con quegli occhi grandi e cerulei, io rimasi sorpreso.
Fu ricevuto poco dopo attore effettivo della Compagnia, per la vicenda col padre ; ma non vi son traccie della sua comparsa come Arlecchino ; bensì di quella come Pulcinella, la quale fu delle più fortunate ; e il Mercurio di Francia del dicembre 1732 trova in lui molto talento pel teatro, e, a perfezionarsi, lo consiglia di studiare e imitar suo padre che ha il potere di afferrare il pubblico al suo primo apparir su la scena. […] L'amico intanto era corso in cerca della prima squadra della guardia, la quale arrivata, lo trasse in arresto.
Sposò in Milano nel 1601 Virginia Ramponi, giovane e bella milanese, la quale sotto la direzione del marito, diventò in breve rinomatissima attrice col nome di Florinda. […] A Bologna, nel 1642, pubblica per Nicolò Tebaldini, e dedica a Ferdinando II, Granduca di Toscana, un poemone in 25 canti, che vorrebbe essere comico, intitolato l’Olivastro, o vero Il Poeta sfortunato, a proposito del quale apprendiamo dal Bartoli (Introd. […] Ma più notevole di tutte per effetto teatrale deve essere stata la scena nona del terzo atto, l’ultima cioè del lavoro, nella quale Maddalena ha modo davvero di mostrar tutta la potenza sua in un monologo, che, se ne togli il fraseggiare gonfio e bislacco, portato naturale del tempo in cui fu scritto, a me pare teatralmente perfetto. […] Pieno di comicità è poi il personaggio del beone Mordacai il quale anche nei momenti più seri riesce a gettare una sprazzo di umore gajo e giocondo, come nella scena sesta dell’ atto secondo, in cui racconta la rissa tra’ pretendenti di Maddalena, e nella scena nona del primo atto in cui descrive a Sanson, uno degli amanti di Maddalena, il suo trasporto pel vino. […] Marino : e però io credo che relativamente più esatto sia il giudizio che ne dà Luigi Riccoboni, il grande erede del nome teatrale dell’ Andreini, il quale nel suo Teatro italiano (pag. 71) dice : « Gio.
Bettinelli un Discorso intorno al teatro Italiano, dal quale traggonsi moltissime osservazioni di buongusto. […] Ma avanzato in età le riscrisse in verso, del quale però soltanto si servì nelle altre tre. […] chi avria mai imparato a morir sì bene come ha fatto questo valentuomo, il quale muore di fuora eccellentemente? […] Come quale? […] VII del Tiraboschi, il quale ciò afferma per avviso del ch.
Esce un Morto, in cui essi ravvisano le sembianze del defunto re Amlet vestito di armi, il quale nel voler parlare al cantar del gallo sparisce. […] Al fine si abbocca con Ofelia, ma il loro dialogo delude le speranze del re nascosto, il quale ne deduce che non è già amore che cagiona i di lui trascorsi e con chiude così: “Qualche idea egli tiene nell’animo che fomenta la sua tristezza, la quale può produrre alcun male”. […] Ella parla con Polonio, il quale vedendo venire Amlet, si ritira per ascoltare. […] Il re presenta Laerte ad Amlet, il quale gentilmente gli cerca perdono, discolpando il passato col disordine della sua ragione. […] Termina la tragedia coll’arrivo di Fortimbras il quale dice che paleserà tutto tosto che saranno esposti alla pubblica veduta que’ cadaveri, aggiugnendo l’ultima disposizione di Amlet in favore del Principe di Norvegia.
La nazione peruviana senza dubbio la più colta di tutta l’America, oltre all’avere inventata e migliorata l’agricoltura con tante altre arti, seppe qualche cosa di geograsia, meccanica, e agronomia, ed ebbe polizia e legislazione eccellente, nella quale trionfa una sanissima morale. Ebbe pure gli haravec (vocabolo che corrisponde a inventore, trovatore, poeta), i quali fecero versi, in cui si scorgono alcuni lampi di buona poesia; e l’inca Garcilasso ci ha conservato un componimento, nel quale veggonsi le meteore bellamente personificate ed arricchite d’immagini ben aggiustate e vivaci12. […] Dopo l’invasione degli europei nel nuovo mondo, quando essi considerandolo come posto nello stato di natura, supposto d’aver diritto ad occuparlo e saccheggiarlo, senza por mente alla ragione degl’indigeni che ne avevano antecedentemente acquistata la proprietà, dopo, dico, l’epoca della desolazione di sì gran parte della terra, le razze africane, americane, ed europee, più o meno nere, bianche, ed olivastre, confuse, mescolate, e riprodotte con tante alterazioni, vi formano una popolazione assai più scarsa dell’antica, distrutta alla giornata da tante cause fisiche e morali, la quale partecipa delle antiche origini nel tempo stesso che tanto da esse si allontana. […] Non trovasi nel continente americano la spezie de’ lioni africani ed asiatici; ma gli europei diedero il nome di leone a quell’animale che nel linguaggio di Quito dicesi Puma, il quale (secondo M. de la Condamine ne’ Viaggi dell’America Meridionale) non merita un nome sì terribile, essendo incomparabilmente meno intrepido e feroce, molto più piccolo, e senza giubba.
Il che non tolse ch’ella fosse un’attrice delle meglio del teatro italiano, alla quale fu dedicata la seguente quartina : Que d’esprit, que d’intelligence, dans le jeu de Flaminia, peu de Comédiens en France ont autant de goût qu’elle en a. Elena Balletti-Riccoboni possedeva un’istruzione davvero superiore : conosceva perfettamente la lingua latina, la greca, la francese, la spagnuola, ed era socia di varie accademie letterarie d’Italia, compresa l’Arcadia, nella quale prese il nome di Mirtinda Parasside. […] Nè io sarei alieno dal crederlo ; parendo omai accertato che le grazie della Flaminia suscitasser tali discordie tra il Maffei e l’abate Conti e Pier Iacopo Martelli, da invogliare quest’ultimo a scrivere il Femia, acerbissima satira, in versi sciolti e divisa in cinque atti, della quale sono interlocutori Mercurio, Fama, Radamanto, Anima di Mirtilo (Mirtilo Dianidio fu il nome arcade dello stesso Martelli), Ombra di Bione (il Conti), Ombra di Femia (anagramma di Mafei) e Cori. […] Che poi seguitasse la Compagnia di quei comici in questo senso, cioè che intervenisse in varie città d’Italia alle recite della sua Merope, è cosa assai nota, e della quale ho in mano le testimonianze e le prove.
Tentò il capocomicato in società con Federigo Boldrini, ma con poca fortuna ; e si scritturò, terminato l’anno, e per un triennio, con Giuseppe Trivelli, col quale ebbe la fortuna di recitare al fianco di Gustavo Modena, sostenendo le parti di David nel Saul, di Nemours nel Luigi XI, di Lowendegen e del Duca d’Alba nel Cittadino di Gand. […] Non è ben chiarito in quale epoca si recassero a Parigi, ma non prima, pare, del '75 ; nè in quale si fondessero coi Gelosi, formando la Compagnia dei Comici Uniti, e da quelli poi si risciogliessero. […] Le stesse Nafissa vecchia ed Angelica cortigiana si può asserire che non sono come tutte quelle altre infinite cortigiane e vecchie della scena italiana. » Alla fine di essa è un suo sonetto, non brutto, al Pallavicino, che il Bartoli riferisce nel suo cenno : ma io preferisco metter qui una scena del Graziano (la 3ª dell’atto II), la quale ci darà meglio un’idea dello scrittore e dell’artista : III Pocointesta & Gratiano Poc.
In effetto mettevano gli antichi ne’ loro teatri i vasi di bronzo, affine di aumentar la voce degli attori, quando essi teatri erano di materia dura, di pietra, di cementi o di marmo, che sono cose che non possono risuonare; laddove di tale artifizio non abbisognavano in quelli che erano fatti di legno, il quale forza è, come dice espressamente Vitruvio 57, che renda suono. […] Ma egli è anche facile a conoscere quale sia di tal fondamento la saldezza. […] Che se per avventura si domandasse quale sia la più conveniente figura per l’interior del teatro, quale sia la curva la più acconcia di tutte a disporvi i palchetti, risponderemo: la stessa che usavano gli antichi a disporre nel loro teatro i gradini, cioè il semicerchio. […] L’architettura che, ad ornare come si conviene l’interno del teatro, si ha da pigliare per modello, è una maniera di grottesco, come se ne vede nelle antiche pitture, ed anche una maniera di gotico il quale ha col grottesco un’assai stretta parentela; se già da una tal voce non verranno ad esser offesi gli orecchi moderni. […] E per questo particolare, singolarmente mirabile è il teatro di Fano disegnato da Iacopo Torelli, il quale, dopo avere nella trascorsa età passato molti anni a’ servigi di Francia, ne volle nobilitare la patria sua.
Tra coloro che precedettero Tespi vuolsi noverare Arione, il quale, al dire del Patrizi nel lib. […] Ed il Piccolomini così interpreta sopra la Particella 30: Dal pubblico e dal comune su ordinato un magistrato, il quale avesse cura di quello che ai Poeti Tragici facesse per la recitazione delle loro tragedie bisogno. […] Agostino studiava con maggior cura e attenzione le materie della Grazia che l’antica letteratura; giacchè in un luogo della Città di Dio egli avanza, che la licenza del Teatro Greco non fu mai così sfrontata che giugnesse ad offender Pericle, il quale non che da Aristofane, venne pur da Ermippo posto in iscena. […] Fralle altre cose rare vi si trova paragonato con somma finezza di giudizio Aristofane a Catilina e a Narciso, e antiposto Lucano a Virgilio, il quale anche graziosamente viene accusato dal Sig. […] L’ardire e la franchezza, colla quale i Francesi (parlo per sinecdoche) soglion discorrere, giudicare e scrivere della letteratura forestiera, ch’essi poco o nulla conoscono, è un dono particolare, che la natura ha conceduto loro solamente.
Comunque sia, lo Stordito è più che ispirato all’opera italiana, la quale ebbe tanto favore che restò nel repertorio lungamente, modificandosi poi coll’andare del tempo nelle improvvisazioni de’ comici più o meno intelligenti. […] Altra cosa degna di nota nell’ Inavvertito è il personaggio di Spacca ; il quale, mentre può essere, talvolta Capitano, come vediamo nei Balli di Sfessania del Callot, da cui poi lo Spaccamonti, rimasto nell’uso a significare uno che le spara grosse, talvolta Dottore col nome di Spacca Strummolo (V. […] Nullameno l’opera che diede al Beltrame maggior grido, alla quale dobbiam tante notizie particolareggiate di comici del suo tempo, fu la Supplica, della quale vedasi il frontespizio, pag. 267, a illustrazione della maschera del Beltrame. […] Bartoli – della medesima Cristianissima Maestà, la quale degnossi di raccomandarli alla Signora Marchesa Caterina Martinenghi Bentivogli per agevolare ad essi il religioso loro collocamento. […] Un giorno, caduta la Torre di Piazza, furono atterrati e il Salone e le sottoposte botteghe, restando meravigliosamente in piedi quella sola parte ove sorgeva il palcoscenico, sul quale erano alcuni servi di comici, che, naturalmente, non ebbero alcun danno, mentre la rovina, in altra parte, aveva cagionato la morte di alcuni cittadini.
Ma innoltrato nell’età le riscrisse in verso, del quale però soltanto si servì nelle altre tre. […] Venendo messer Lazzaro, il quale non conosce personalmente l’amico Bartolo, Bonifazio ne prende il nome, e come tale lo riceve colla famiglia nella propria casa. […] Chiavria mai imparato a morir sì bene come ha fatto questo valentuomo, il quale muore di fuora eccellentemente? […] Come quale? […] III del tomo VII del Tiraboschi, il quale ciò afferma per avviso del ch. ab.
E con ciò la musica vocale era quale ha da essere secondo la vera instituzione sua: una espressione più forte, più viva, più calda dei concetti e degli affetti dell’animo. […] Al quale inconveniente grandissimo si troverà soltanto il rimedio nella discrezione del compositore medesimo, il quale dalla bocca del poeta voglia udire le intenzioni sue, voglia intendersela con esso lui prima di metter nota in carta, lo consulti dipoi sopra quanto avrà scritto, ne abbia quella dipendenza che avea il Lulli dal Quinault, il Vinci dal Metastasio, quale giustamente la prescrive la disciplina del teatro. […] Non saria allora per niente coperta la voce del cantore, verrebbe ad esser rinforzato l’affetto dell’aria e l’accompagnamento saria simile al numero nelle belle prose, il quale, a detto di quel savio, convien che sia come il batter de’ fabbri, musica insieme e lavoro. […] A così fatti uomini sarebbe da commettere la musica, quale noi la vorremmo nella nostra opera. […] Attissima bensì ad accendere in esso noi qualunque si voglia passione è la melodia, la quale cammina sempre di un passo e di un tuono allo stesso fine.
Luigi Duse, del quale imprendo a parlare, nato a Chioggia il 15 gennaio 1792 da Natale e da Teresa Sambo in Parrocchia di S. […] Recatasi a Padova la Compagnia di Angelo Rosa, il Duse (aveva già sposato una Elisabetta Barbini, padovana, e ne aveva avuto il figlio Eugenio), vi si scritturò in qualità di primo attore giovine per un triennio, formando poi la famosa compagnia (che dal suo nome s’intitolò Compagnia Duse), colla quale, a Padova specialmente e a Venezia, passò di trionfo in trionfo, sia per la prontezza dell’ingegno e i pregi artistici, sia per la fortuna che gli arrise sempre e dovunque. […] Benedetto di Venezia, oggi Rossini, nella commedia in tre atti di Giacomo Bonfìo – L’imbrogio delle tre mugier – la quale per gli equivoci e i sali comici ond’era piena, e per la maestria del Duse fu replicata ben quindici sere. […] [http://obvil.github.io/historiographie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img091.jpg] Una delle grandi prerogative di Luigi Duse, non più accordata, ch’io mi sappia, ad alcuno, fu quella di poter negl’intervalli della commedia, uscire alla ribalta a sipario calato, e vestito com’era del costume teatrale, discorrer degl’interessi di casa sua, ch’ei raccontava con una famigliarità e una comicità siffatta da far andare in visibilio il suo pubblico ; il quale anche, tal volta, sopperiva dicesi, lì per lì a’bisogni di lui, ora per soddisfare a quelli dello stomaco, il più spietato de’creditori, ora, ed eran le più volte, per pagargli una qualche cambiale alla vigilia della scadenza. […] A lui fu per tal modo concesso dai padovani di erigere un teatro in legno, presso il Caffè Pedrocchi, detto allora Teatro Duse, di cui metto qui la riproduzione dell’interessantissimo sipario, il quale, oltre al comprender Luigi Duse nel suo costume, e gli altri di famiglia, l’Alceste sopr’a tutti, in quello de’personaggi nella Figlia del reggimento, dà anche una idea ben chiara di quel che fosse codesto teatro popolare, composto di tutta una famiglia, che viveva patriarcalmente, come non si potrebbe dire, e nella più perfetta delle armonie.
Il Bazzi, il quale, dice il Bonazzi, congiungeva a talenti profani monastiche virtù, morì a Torino il 1843 ; secondo il Regli (op. […] ), la data della morte sarebbe quella del 21 marzo 1853 ; ma è un errore evidente, poichè nel 1844 egli non era più nella Compagnia Reale Sarda, alla direzione della quale successe interinalmente Domenico Righetti, e nel ’45 la moglie Marianna, come vediam più giù, era già vedova. […] Dimostrasi adunque ad evidenza la necessità della più accurata analisi e dello scrutinio del cuore umano, nelle ascose latebre del quale deve aggirarsi con sicurezza colui che aspira a meritare il titolo di artista drammatico.
Figlio del precedente, nato il 20 agosto del 1848 a Fano, è l’ultimo brillante della vecchia grande scuola, uno de' migliori allievi, se non il migliore, di Luigi Bellotti-Bon, del quale prese e saviamente si assimilò suoni e atteggiamenti. […] » Dopo le peripezie toccate al suo povero padre nel '59, si scritturò come generico giovine, secondi brillanti e mami, in varie compagnie, ultima quella di Sterni, Rosaspina e Bonivento, in cui, animato da suo padre che gli fu primo maestro, finì coll’ assumere il ruolo di primo brillante, mantenuto poi nella Compagnia di Raffaele Lambertini, della quale faceva parte Enrico Capelli e Giuseppina Ferroni, sua moglie, e nella quale stette fino a tutto il carnovale del '67.
Entrò per tal cagione in gran lite col fratello del Prelato, il quale volendo alle rimostranze aggiungere il motteggio, tanto inasprì l’animo di lui, che, assalito con la spada alla mano, fu ucciso d’un colpo. […] Ma ciò non impedì ch’ei sentisse pena di quella separazione : e lo vediam di fatti tornare in Italia il ’66, poi di nuovo il ’67, nel quale anno parve abbandonar definitivamente il Teatro italiano di Parigi. […] Mesmè e la Cinzia acciò incalzino la Granduchessa a fare accompagnare la donna di Scaramuccia, il quale è sempre più capone et ostinato, e per due volte gli ho discorso di volersi intendere col suo figlio adesso che è lontano, ma non c’ è stato possibile, e V. […] La Granduchessa domandò del Principe7 et il quale presto anderebbe a Roma. […] Salvatore ; matrimonio che fu come il colpo di grazia pel vecchio ottuagenario, il quale finì coll’essere a ogni momento deriso, battuto e derubato.
S. la quale portarò quanto prima se mi appresenterà l’occasione ; et con questo humilmente me gli inchino, baciandole le invitte mani, pregandoli dal Cielo ogni felicità e contento. […] Ditemi, e chi è quello il quale possa trattare senza sdegno, con uno, che essendo tu Pantalone ti dica. […] Bene : con questi nomi noi ci troviam di fronte a quel Tommaso Bambagi, per l’appunto Ferrarese, del quale scrive il Petrarca nella lettera a Pietro da Bologna Retore, descrivendogli le feste e gli spettacoli, ch’ ebber luogo in Venezia per la vittoria di Creta. […] E da Ferrara a tal uopo avevan chiamato Tommaso Bambasio, del quale voglio che tu sappia, e se la mia voce può giungere creduta ai posteri, sappiano anch’essi che in tutto lo Stato veneto egli è riguardato come un tempo Roscio fu in Roma, ed è a me caro ed amico, quanto fu questi a Cicerone. E qui si dà a descriver con evidenza di particolari la Corsa magnifica, a diriger la quale era stato chiamato il Bambagi.
Generico amoroso nella comica Compagnia Goldoni, 1815, della quale era prima attrice la celebre Gaetana Goldoni (V.). […] È strano bensì che di una attrice, la quale, prima, è da ciascuno generalmente ben vista, poi, riempie di stupor la nobil Flora, non si abbsian notizie di sorta.
Torino, Loescher, 1888), il quale, analizzando l’opera del Calmo (V.), anche viene, col concorso del D’Ancona e del Sanudo, a parlar distesamente del Cherea, avvalorando le sue parole di molti e importanti documenti. […] A questo punto si arrestan le notizie di recitazioni a Venezia in cui prese parte il Cherea ; ma sappiam poi dal diarista Sanudo che il Cherea, stretta amicizia con l’oratore ungaro, di passaggio a Venezia, aveva lasciato la città, nella quale aveva raccolto tanta messe di lodi, per recarsi in Ungheria, dov’era nel 1532, non sappiam bene se per ispasso, o ad esercitar l’arte sua.
Passò poi al ruolo de’ fratelli, nel quale non fu ad essi inferiore ; e sposatosi colla comica Malvina Simoni, egregia prima attrice giovine, si fece conduttore di una buona compagnia, in cui la moglie assunse il grado di prima donna assoluta. […] Mentr’ era il 1850 al Teatro Re di Milano con una compagnia di prim’ ordine, della quale prima attrice era la Carolina Santoni, i giornali del tempo lo disser caratterista eminente. « In lui – è scritto nella Moda del 1°febbraio ’50 – nessuna affettazione, nessuna ricercatezza : le scene da lui riprodotte son quali tuttogiorno succedono nel domestico focolare e d’ una naturalezza sorprendente.
Infatti, il ruolo della servetta vera e propria era finito : subentrava la seconda donna, ossia un ruolo di comicità più oggettiva, come chi dicesse la donna emancipata, spesso vedova, desiderosa di nuove nozze, ed alla quale per solito annodavasi l’intrigo galante delle commedie nuove. […] Al proposito di una sua beneficiata a Torino colla Cameriera astuta di Riccardo Castelvecchio, fu pubblicato in una gazzetta locale che ad onta delle mende di cui si potrebbe appuntare, la commedia non cadrà mai ove sia eseguita ottimamente, come lo fu in questa occasione, per merito principalmente della signora Cutini-Mancini, delizia di ogni pubblico per quel brio e naturalezza onde sa improntare le parti di servetta, nella quale è veramente l’erede dell’esimia Romagnoli.
Fu con Massimo Ferraresi, del quale sposò la figlia Elisabetta ; e, lui morto, passò con Onofrio Paganini prima, poi con Pietro Rossi, con Giuseppe Lapy a Venezia, e (1782) con Francesco Paganini, figliuolo di Onofrio. […] Nato da padre comico, avanzandosi cogli anni e non molto crescendo nella statura, i suoi compagni per ischerzo lo chiamavano trotola, dal che derivogli in seguito il soprannome di Toto, sotto il quale è comunemente conosciuto.
Il Goldoni aggiunge che trovasi nel quarto volume delle sue commedie (ediz. veneta del Pasquali) : errore questo, sul quale non ricordo di aver letto correzioni. […] I, dei drammi giocosi per musica, XXXV delle opere teatrali), in fronte alla quale è detto con nuovo errore : rappresentato per la prima volta in Milano nell’anno 1732.
Così il suo pensiero era quasi costantemente volto al teatro, al quale avviava il figlio Giambattista. […] E quale ircana tigre, colma d’ira e di fellonia, non diventerà pietosa a’ miei lamenti ? […] Quanto al tipo del Capitano Spavento, pel quale più specialmente Francesco Andreini è divenuto celebre, basti dare un’occhiata al primo ragionamento delle sue bravure per farsene un’idea. […] Comunque sia, accettiamoli questi tipi come rappresentanti della Commedia italiana nell’intenzione del Callot, al quale dobbiamo di alcuni di essi non solamente il costume, ma fin anco la conoscenza. […] E talmente mi compiacqui in essa, ch’io lasciai di recitare la parte mia principale, la quale era quella dell’innamorato.
Una parentesi : Che i Gonzaga fossero appassionatissimi pel teatro è fuor di dubbio ; ma è anche certo che la loro grande passione non andava discompagnata dall’ambizione di avere in tal materia la supremazia ; nè da questa lettera, giacente nell’Archivio di Modena, della quale non è riuscito ad alcuno finora trovar conferma nelle carte dell’Archivio Mantovano, nè dalle prigionie patite dal Parrino e da tanti, alla liberazion de'quali s’occuparon patrizj e potentati in vano, nè dalla cacciata da Mantova degli stessi Gelosi il '79, ci sarebbe certo da dirli stinchi di santo. […] Io credo, per esempio, si debba senz'altro riconoscere il Pasquati nel Pantalone del documento Romano riferito dall’Ademollo ne'suoi Teatri di Roma, che è un Processo dell’archivio del Governatore pel 1565, nel quale, accanto a cotesto Pantalone, figura Soldino : quel Soldino che noi vediamo del 1570 a Vienna congiunto a un Julio, a cui furon pagati l’ 8 aprile dodici talleri, e che molto probabilmente è il nostro Pasquati. Del 1585 poi abbiamo un invito del Duca Vincenzo di Mantova a Ludovico da Bologna, fatto col mezzo del Pomponazzi a Milano, perchè si rechi a recitarvi nella Compagnia della Diana ; al quale invito si risponde non potere il Gratiano accettare, ove non abbia insieme il Pasquati. E nello stesso anno a Vienna si accordaron per grazia speciale cinquantotto fiorini al Magnifico che recitò a un pranzo di Corte ; nel quale il Trautmann non è alieno dal riconoscere il Pasquati. […] I, pag. 180) con la coccia intera di cuojo raffigurante un cranio spelacchiato, e lasciante gli occhi scoperti, come quella del Dottore, e una più nuova ancora un anonimo miniaturista in un piccolo interessantissimo album fiorentino di ricordi, del secolo xvi, rappresentante, a quanto pare, una serenata di maschere, e che traggo dal Museo civico di Basilea (V. pag. 233) ; ma qui trattasi forse di una semplice chiassata carnevalesca, come nel frontespizio al Triompho e Comedia fatta nelle nozze di Lipotoppo, con Madonna Lasagna, che trovo nell’Università di Bologna (V. pag. 231), nella quale il costume non è osservato a tutto rigore.
Ma quale é mai l’artifizio di Elettra? […] É rimarchevole in questa tragedia la tenera scena d’amicizia tra Pilade e Oreste, colla quale termina l’atto III senza coro. […] ma vi é stata attaccata ancora la scena di Fedra: la quale naturalmente par congiunta colla prima dell’atto II. […] Non é così della tragedia greca, la quale sembra odiare la magnificenza, e tutto ciò che può distrarre il dolore. […] Anche l’Orator Teodette, il quale con Teopompo e Naucrite concorse nel Certame Panegirico istituito da Artemisia in onor del Marito, compose una tragedia molto applaudita, intitolata Mausolo, la quale a’ tempi di Aulo Gellio ancor correva.
Fu ufficiale di cavalleria, prima di darsi all’arte, nella quale riuscì passabilmente.
Recitava le parti di secondo Zanni, sotto il nome di Pasquino, e apparteneva il 1689 alla Compagnia del Duca di Modena, della quale vedi l’elenco al nome di Torri Antonia.
Sappiam solo di lui che era ferrarese, e sosteneva la parte del Dottore nella Compagnia che il Duca di Modena avea formata pel 1675, della quale è riferito l’elenco al nome di Areliari.
Mi lasciai condurre, e arrivammo tosto in una abitazione, quale io aveva immaginato. […] Una lunga tavola apparecchiata per metà con un cencio di tovaglia che portava l’impronta di un mese di servizio ; sull’altra metà stava un pajuolo assai lercio, nel quale si lavavano alcuni vasi di terra, rimasti là sin dal pranzo, che dovevan servire poi per la cena.
Si nasconde sotto questo nome Antonio da Molino, veneziano, attore assai pregiato non che pregiato scrittore, amico intrinseco di Andrea Calmo, il quale gli scrive la tredicesima lettera del primo libro, interessantissima per la storia del costume, coll’indirizzo : « al mio conzontao in openion, M. […] che ha – dice il Rossi (le lettere del Calmo) – fenomeni fonetici dei dialetti istriani e dalmati, e nella quale scrisse anche il Molino alcune barzellette ispirate dai preparatori della battaglia di Lepanto.
Ne uscì di nuovo il '36, e recitò un anno in provincia, dopo il quale riapparve alla Comedia italiana il 21 marzo '37 in una parodia di Alzira, intitolata Les Sauvages, di Giovan Antonio Romagnesi. […] Una delle opere da citarsi del Riccoboni è la parodia della Semiramide di Voltaire, della quale Crebillon diede un giudizio assai favorevole, sebbene il Collé, accanito contro gli italiani, lo ritenesse sospetto di parzialità.
Attore de' più pregiati alla Comedia italiana di Parigi, nella quale apparve la prima volta il marzo del 1685 col ruolo di Capitano ch'ei recitava in italiano e in francese, nacque a Messina e fu noto prima col nome di Pascariello, poi con quello di Scaramuccia, che aveva già prima di recarsi in Francia, quand’era al servizio del Duca di Modena (1680-82). […] Il maggio del 1694 abbandonò il ruolo di Capitano per quello di Scaramuccia, e il 1697, dopo la soppressione della Comedia italiana, formò una Compagnia colla quale fu autorizzato a recitare in Francia purchè a trenta leghe dalla Capitale.
Calisto innamorato di Melibea ricorre a Celestina vecchia ruffiana e maliarda famosa, la quale fa varii scongiuri, incanta una matassa di filo, la porta a vendere a Melibea, e per incanto la rende perduta amante di Calisto. […] Il secondo fu Luis Vicente, il quale intraprese l’impressione delle opere del padre. […] Se ne fece un’altra edizione in Lisbona l’anno 1595 unita ad un’altra commedia del medesimo autore da me non veduta intitolata Os Estrangericos, della quale edizione parla solo Nicolas Antonio. […] Tralle altre vien lodata la Costanza, la quale trovasi manoscritta nella libreria dell’Escuriale a. […] Egli dovea con ciò supporre che Cervantes, il quale opravvisse un anno alla pubblicazione del libro, avesse veduto e sofferto il cambio a.
Quindi s’immaginarono un Dio, il quale giacendo in umida grotta, e incoronato d’alga, e di giunchi da un’urna di cristallo versasse le acque, e una Napea ascosa dentro alla scorza degli alberi, che il nutritivo umor sospingendo verso l’estremità, fosse la cagion prossima della loro verzura e freschezza, e parimenti un Apollo si finsero, il quale, avendo la fronte cinta de’ raggi, guidasse colle briglie d’oro in mano il carro luminoso del giorno. […] La quale facoltà diviene in lui così dominante che qualora gli manchino oggetti reali su cui esercitarsi, s’inoltra persin nel mondo delle astrazioni a fine di trovarvi pascolo. […] Nicka nell’antica lingua degli Scandinavi era uno spirito, il quale si compiaceva di strangolar le persone che per disgrazia cadevano nell’acqua. […] Rath era un genio sitibondo del sangue de’ fanciulli, il quale invisibilmente succhiava qualora trovati gli avesse lontani dalle braccia della nutrice. […] A questo fine era lor d’uopo farsi creder dal volgo superiori agli altri nella scienza e nella possanza, ritrovando una tal arte che supponesse una segreta comunicazione tra il mondo invisibile e il nostro, e della quale essi ne fossero esclusivamente i possessori.
Non vi dovrebbe essere il più arduo, ma non v’è in pratica impegno più triviale che il divenir autore d’un libretto dell’opera; titolo del quale, riconoscendo eglino tutto il valore, lo tacciono a bella posta sul frontespizio per quell’istinto che porta gli uomini a celar le proprie vergogne. […] Ed ecco un’altra non piccola sottrazione da farsi nella materia opportuna per la melodia drammatica, la quale, come più volte si è replicato, non può afferrare nella sua imitazione fuorché i tratti originali e precisi delle passioni. […] Tanto più nella passione amorosa, la quale come chè sia la forte e la più intensa della natura, è tuttavia la meno estesa, uno solo essendo l’oggetto che la determina e semplicissimi i mezzi. […] E vedete, se si compone una canzone per cinque paoli, non basterà un paio di scudi per un libretto, il quale alla fin fine val meno assai d’una canzonetta passabile? […] «Vi metterete un solo duetto, il quale, come sapete, appartiene esclusivamente al primo uomo e alla prima donna.
Fu giovanissimo in Compagnia di Giovanni Roffi al Cocomero di Firenze, quale innamorato.
Forse lo stesso precedente, il quale qui apparirebbe manchevole del nome di battesimo ?
L’ultima manifestazione artistica degli italiani a Dresda fu la recita della Vedova scaltra data il 26 febbraio del 1756 ; dopo la quale, lo scoppiar della guerra dei sette anni chiuse per sempre le porte del teatro italiano a Dresda. […] Fu amante dell’Imer, al quale dava frequenti occasioni di esser geloso. […] Madre di due pittori di grido, è assai probabile ch’ella fosse da uno di essi serbata ai posteri in una immagine che ne offerisse i tratti caratteristici, e soprattutto togliesse ogni dubbio sulla maggiore o minor sua bellezza, sulla quale i pareri furon diversi, come abbiam visto nell’anonimo critico tedesco, e come vediamo in Carlo Goldoni, che chiama la Zanetta (Mem.
Ma io protesto che lungi dall’esser mai montato in superbia per si rare qualità, io le ho sempre considerate effetti della mia buona stella, piuttostochè del mio merito ; e se alcuna cosa ha potuto lusingar l’animo mio in tali congiunture, ciò non fu che il piacere di sentirmi applaudito dopo l’inimitabile signor Domenico, il quale ha portato si alta l’eccellenza della goffaggine nel carattere di arlecchino, che chiunque l’abbia visto recitare, troverà sempre alcun che da osservare ne’ più famosi arlecchini del suo tempo. […] Il Campardon riferisce un altro documento a proposito del Ritorno dalla fiera di Bezons, opera dello stesso Gherardi, per la quale il commissario Lefrançois gli mosse querela, essendo in essa posti in ridicolo i commissari del Châtelet. […] Di tal guisa la maggior bellezza delle opere loro è inseparabile dall’ azione, dipendendo il successo di esse esclusivamente dagli attori che dànno loro maggiore o minor pregio secondo il maggiore o minore spirito, e secondo la situazione buona o cattiva nella quale si trovano recitando.
Dopo due anni, andò per un triennio nella Società Meschini e Casilini ; poi con Marini, dal quale si tolse, non terminato il contratto e pagata una rilevante penale, per andar a sostituire Claudio Leigheb nella Compagnia di Cesare Rossi, col quale stette dall’ '82 al '94, tranne l’ '87, in cui, avendo voluto il Rossi riposare, passò brillante con Eleonora Duse. […] Questo lo stato di servizio di Napoleone Masi, il quale, senza elevarsi alle massime altezze, fu sempre attore assai festeggiato per una vena di comicità spontanea e vivissima, e per correttezza di dizione.
Forse per brevità questi aveva mutato in quel di Reiter il nome di Reiterer, lasciatogli dal padre, tedesco, uno de' più fidati del Duca di Modena, dal quale anche fu mandato a Vienna con missioni segrete, e si dice vi accompagnasse il Conte Tarrabini, Ministro delle Finanze Estensi, in qualità d’interprete : nel 1859, fedele al Padrone nella prospera e nell’ avversa fortuna, seguì a Vienna il Duca, ed ivi morì nel 1880, d’anni 78, lasciando tra altri il figliuolo Carlo, padre della piccola Virginia, che educò alla Scuola di Carità dalle monache figlie di Gesù. […] Il pubblico, il quale, più del godimento intellettuale, si appaga di un godimento immediato che lo scuota là per là, è assai più soddisfatto davanti a codesta attrice, che ad altre, forse intellettualmente o artisticamente più…. come dire ? […] Nè tale mi pareva, anche, perchè trattavasi di dramma storico, del quale abbiamo ancor nella mente e nel cuore il ricordo della interpretazione magnifica che ne diede la geniale trinità Marini-Tessero-Pezzana.
Torri) non figura che il marito, al quale sono assegnate di paga venti doble al mese. […] Altra supplica dei Savorini abbiamo al nuovo Duca, morto Francesco, con la quale espongono la loro critica posizione e domandano un ajuto. […] Toltosi dal Ferravilla, pensò di mettere su una Compagnia milanese in società con Davide Carnaghi, la quale avrebbe dovuto camminar su le orme della famosa del Toselli e di quella veneziana del Benini : una Compagnia insomma, che ai Massinelli, Panera, Incioda contrapponesse la vera e sana commedia, originale o tradotta, con dialetto e ambiente milanesi.
Esce un Morto, in cui ravvisano le sembianze del defunto re Amlet vestito di armi, il quale, nel voler parlare, al cantar del gallo sparisce. […] Egli stesso prima ne declama con forza ed energia alcuni versi; ordina poi all’attore di proseguire, il quale eseguisce. […] Si abbocca al fine con Ofelia; ma il loro dialogo delude le speranze del re nascosto, il quale ne deduce non essere amore la cagione de’ trascorsi del nipote, e così conchiude: Altra idea chiude egli nell’animo che fomenta la sua tristezza; la quale potrebbe produrre alcun grave male. […] Ella parla con Polonio, il quale e vedendo venire Amlet si ritira per ascoltare non veduto. […] Il re presenta Laerte ad Amlet, il quale gentilmente gli cerca perdono, discolpando il passato col disordine della sua ragione.
Recitava le parti di Mezzettino nella celebre Compagnia dei Confidenti, sotto il patronato di Don Giovanni De Medici, a fianco di Marina Antonazzoni, la rinomata Lavinia, al nome della quale sono particolari curiosi della discordia regnante allora in compagnia (1615).
Recitò le parti d’innamorato in Compagnia di Nicodemo Manni, con la moglie Anna, egregia servetta, con la quale passò poi a Napoli e a Palermo (1782).
Dopo di aver preso moglie, e consumato ogni sostanza di entrambi, si diede all’arte comica, nella quale riuscì buon attore per le parti d’innamorato.
« Altro figlio di Domenico, il quale recitava nella maschera del Brighella.
Sacontala è una principessa allevata da un eremita in un sacro boschetto, la quale, dovendo andare a nozze alla corte di un gran re, prende congedo dall’eremita chiamato Cano, dalle pecorelle sue compagne, ed anche da un albuscello, da una gazella e da un caprio. […] Le pastorelle indirizzano la parola alle piante del boschetto, mostrano l’affezione ed il rispetto che ha per esse avuto Sacontala, la quale parte per andare al palazzo dello sposo. […] Fuvvi parimente una danza grottesca eseguita da’ principali personaggi dell’isola, la quale singolarmente consisteva nel movimento delle loro teste con tal forza che faceva dubitare agli astanti Inglesi che non avessero a rompersi il collo, battendo intanto le mani e mettendo acutissime grida. Si avanzò poi alla testa degli attori situati in uno de’ lati del mezzo cerchio un personaggio principale, e declamò alcune parole alla maniera de’ nostri recitativi accompagnandole con gestire assai espressivo, il quale agl’Inglesi parve superiore a’ più applauditi attori del proprio paese. […] Precede una canzone di movimento lento e grave, alla quale tutte le ballerine prendono parte movendo le gambe e battendosi dolcemente il petto con attitudini graziose rassomiglianti a quelle delle isole della Società.
In quale monarchia moderata si è mai più ciò veduto? […] IN tempo di Antonino Pio troviamo da Capitolino mentovato solamente Marco Marullo attore e scrittore di favole mimiche, il quale ebbe l’ardire di satireggiare i principali personaggi della città senza eccettuarne lo stesso imperadore. […] Non era dunque colà ancora introdotta la Romana giurisprudenza, della quale non pertanto trovansi monumenti ne’ testamenti di san Remigio, di Chadoin, di Bertramo e di Ermentruda. […] Il primo del 746 dell’Egira scritto parte in versi e parte in prosa, è di Mohamad Ben Mohamad Albalisi, nel quale trattengonsi a darsi viceudevolmente il giambo cinquantuno artefici. […] E quale orrore non doveano destare ne’ Padri Cristiani, ne’ Cirilli, ne’ Crisostomi, ne’ Basilii, ne’ Cipriani, ne’ Lattanzii, negli Agostini, quelle detestabili rappresentazioni di nefandi stupri, che Marsiglia gentile, ma non corrotta, escluse dalle sue scenea?
Fu prima attore della Compagnia diretta da Antonio Franceschini detto Argante ; poi per lungo tempo, quale innamorato, al S.
Comincierò dal trascrivere intero il suo Prologo rappresentato quand’egli fu accettato nella Zagnara, nel quale abbiamo l’idea di quel che fossero le rappresentazioni degli Zanni. […] Essi son tutti su per giù variazioni poco sensibili del tipo di Brighella, del quale in genere conservano anche il costume. […] Quella frase di Lucia mia Bernagualà, o era il primo verso di una canzone celebre cantata in carnevale dagli Zanni, come oggi dal popolo quella di Piedigrotta, o una specie di parola d’ordine, nella quale era, dirò, il segno col quale il popolo e le maschere si davano a quella specie di chiasso indiavolato. […] Nella lista dei personaggi vi troviamo infatti un Giovanni bergamasco servidor, il quale nel corso della commedia è sempre chiamato Zane, e fa precisamente la parte dello Zanni. […] Nato a Roma nel 1784, si diede all’arte giovanissimo, ed esordì in Compagnia Zuccato, nella quale, in poco tempo, divenne l’attor principale.
Altra figlia del D’Arbes, da lui istruita nell’arte comica, la quale doventò una buona servetta.
Pietro nella Passione di Cristo, al successo della quale contribuiva oltre il merito artistico, la perfezione del fisico.
Di lui è detto nella Scena illustrata : Lavinio che s’ingegnava di formarsi un Eco, il quale rispondesse dal Teatro voci di fama al desiderio della sua gloria, udendo il rimbombo delle sue elaborate fatiche.
La troviam poi il 1840 quale madre sotto la Internari, nella Compagnia di Luigi Domeniconi diretta da Giuseppe Coltellini ; e il 1841 collo stesso ruolo in quella di Luigi Pezzana.
Diolaiti Gaetano, bolognese. « Fu un bravissimo Dottore, il quale molto affaticossi per dare al suo carattere scenico delle nuove grazie ; e cogli assiomi latini, e con un sentenzioso studiato si rese utile alle comiche compagnie ; e procurò a sè medesimo e fortuna ed applauso.
Fu il primo amoroso, nel 1850, della Compagnia che Antonio Colomberti formò in società con Eugenia Baraccani, sposata la quale, si fece capocomico egli stesso, separandosi poi amichevolmente dalla moglie, e ritirandosi dopo alcun tempo dall’arte per andare a seguire il figliuolo, divenuto tenore de' più ammirati.
Vedi a questo proposito Tabarin Giovanni, dal quale ebbe la Polonia un figliuolo a Parigi il 25 settembre del 1572.
Salfi si sofferma su problemi specifici, quale la resa dell’enjambement, tecnica prediletta da Alfieri. […] Si passa allora a descrivere l’amore, nel quale il corpo si inclina verso l’oggetto amato e ne imita alcuni tratti in segno di venerazione. […] Or quale doveva essere la declamazione conforme a tali soggetti e caratteri, a’ quali doveva principalmente servire? […] Il perché le parole si possono riguardare come la materia prima ed estrinseca, sulla quale il declamatore deve esercitare l’arte sua, dandole quella forma che più le conviene per renderla quale debbe essere. […] Io non so di quale attrice intendesse Dhannetaire, la quale nella Merope affettava un tuono di prima parte che affatto non conveniva al carattere semplice di Ismenia.
Si scritturò poi nel 1860 con Luigi Domeniconi, col quale tornò il ’63, come madre nobile e caratteristica.
Moglie del precedente, e sorella di Filippo Nicolini, fu da prima nella Compagnia del rinomato Carlo Veronesi, sotto gl’insegnamenti del quale potè divenir comica egregia.
Orazio Persio di Matera compose il Pompeo Magno tragedia lodevole per la scelta dell’argomento, per la regolarità della condotta ed in certo modo per lo stile, la quale s’impresse in Napoli nel 1603. […] Il primo incontro della figliuola col re nell’atto Il è quale avviene nella tragedia greca tra Ifigenia ed Agamennone; gli stessi equivoci sentimenti ed il medesimo cordoglio raffrenato all’apparenza in Sileno; le stesse naturali ed innocenti dimande sulle sue nozze in Alcinoe. […] Una delle tragedie più interessanti di questo secolo è il Solimano del conte Prospero Bonarelli gentiluomo anconitano, la quale s’impresse nel 1620, e fu dedicata a Cosimo II gran duca di Toscana. […] Egregiamente la compassione e la perturbazione aumenta verso il fine essendo riconosciuto l’ucciso Mustafà per Selino, specialmente dalla madre la quale ne cagiona la morte per volerlo salvare. […] S’impresse la prima volta nel 1644, e poi di nuovo nel 1665 con un discorso in sua difesa, nel quale anno si recitò nel Seminario Romano.
Duse Eugenio, nato a Padova il 1816, troncò da giovanetto gli studi per viver con suo padre la vita della scena, alla quale non era chiamato.
Sorella della precedente, cominciò a recitar bambina con Monti, poi, giovinetta, colla Duse, con la quale stette più anni.
Grisostomo di Venezia, sotto la direzione di Onofrio Paganini, col quale restò fino al dì della sua morte, avvenuta intorno al 1760.
Non era al fine questo dramma che una traduzione in parte corretta, nella quale si cercava il ridicolo negli eventi immaginati con arte anzi che nel cuore umano che ne abbonda. […] Derise in essa gajamente il modo di rappresentare de’ commedianti dell’Hôtel di Borgogna, contraffacendoli, e segnatamente vi pose alla berlina Boursault comico scrittore dozzinale, il quale avea indegnamente ferito Moliere motteggiandolo sulla condotta della moglie col Ritratto del Pittore. […] Come esso fu ben compreso, caddero le macchine dell’impostura, la quale temendo di essere smascherata volea farlo passare per una satira della vera pietà e religione. […] La varietà degli oggetti che appagavano i sensi, fe mirare con indulgenza questo spettacolo, di cui avea suggerito il piano lo stesso Luigi XIV, il quale nel primo tramezzo ballò da Nettuno, e nel sesto da Apollo; ma fu l’ ultima volta che questo monarca che si trovava nel trentesimosecondo anno della sua età, comparve in teatro a ballare scosso da alcuni versi del Brittannico di Racine (Nota V). […] Commedia-ballo si chiamò in Francia un divertimento composto di ballo e rappresentazione, il quale vi fu trasportato dall’Italia sin dal secolo XVI.
Grisostomo di Venezia, e nella quale stette parecchi anni.
La morte del padre lo richiamò in Atene, donde non uscì più, troncando la carriera artistica ch’egli aveva abbracciata con tanta passione, e nella quale dava di sè così belle speranze.
Le maschere moderne coprono il solo volto, e talvolta non interamente; e le antiche coprivano tutto il capo; e può additarsi come una rarità l’unica mezza mascheretta simile a quella che oggi noi adopriamo nelle feste di ballo, la quale si vede nella Tavola XXXV del IV volume delle Pitture di Ercolano sulla testa di una figura di donna che dimostra che stà cantando. […] Lo stesso assurdo si nota nel teatro spagnuolo, nel quale il Vejete ha una mascheretta, e si frammischia con gli altri attori non mascherati.
Le maschere moderne cuoprono il solo volto e talvolta non interamente; e le antiche coprivano tutto il capo; e può additarsi come una rarità l’unica mezza mascheretta, simile a quella che oggi noi adopriamo nelle feste di ballo, la quale si vede nella Tavola XXXV del IV volume delle Pitture di Ercolano sulla testa di una figura di donna che dimostra di star cantando. […] Lo stesso assurdo si nota nel teatro Spagnuolo, nel quale il Vejete ha una mascheretta e si frammischia con gli altri attori non mascherati.
Napoli, Pierro, 1891, pag. 422) riporta l’elenco della Compagnia dei comici lombardi, che nel giugno del’47 Domenico Giannelli, il quale faceva i titoli delle recite del Costantini, offriva al Re ; e mette prima donna l’Elisabetta Passalacqua, e terza l’Elisabetta D’Afflisio, mentre è accertato non essere la Passalacqua fuorchè il soprannome di Elisabetta D’Afflisio. […] ) e suo nipote un Bartolommeo D’Afflisio che troviamo per le parti di padre nell’elenco della Compagnia diretta da Francesco Menichelli, della quale faceva parte il noto arlecchino Fortunati, l’anno 1795-96.
Infatti, pochi anni dopo, noi lo vediamo abbracciare la maschera di Brighella, nella quale fu eccellente, non tralasciando, nelle commedie premeditate, di sostenere ancora le parti serie. […] Alcuni pretesero che l’incendio fosse destato ad arte dall’ Angeleri, il quale fu subito carcerato : ma non avendo l’accusa fondamento di sorta, egli potè colla stessa sollecitudine essere rimesso in libertà.
Com’egli e per qual motivo entrasse in arte non sappiamo : Goldoni ci dice solamente che « non contento della sua sorte in Genova, si diede all’arte del Comico, nella quale potea far spiccare il suo talento e soddisfare il suo genio, portato ad una vita più comoda e più brillante (Ivi, XII). » Secondo il Loehner, « la casa di Giuseppe Imer a S. […] , I, IV). » Codesta Teresa, divenuta poi l’amante di Casanova, poi, a Londra, la famosa Mistress Cornelys, colla scorrettezza della vita privata, e l’altra figlia, Marianna, cantante anch’essa, colla meschinità del suo talento, ma sopratutto, io credo, la moglie Paolina, ch’era nel 1736 terza donna della compagnia, furon la causa della rovina d’Imer, il quale, dice il Bartoli, « avanzato poi in età fu mantenuto decentemente da’ suoi padroni, i nobili Grimani, onde, dopo d’aver vissuto alienato dalla professione tutto il corso della sua vecchiezza, passò all’eterna beatitudine nel 1758 (op. cit.
La Duchessa di Parma scrive a suo fratello, il Principe Rinaldo d’Este, il 16 aprile del ’77, ricusando di concedergli Lavinia, la mancanza della quale produrrebbe troppo sconcerto nella Compagnia del Duca ; e la ricusa un anno dopo Ranuccio Farnese in persona al Duca di Modena che la voleva con Lelio suo marito per mandare a Londra. […] V’ è poi un terzo ordine che porta la data dell’ 11 marzo 1690, col quale il Zerbini doveva pagare alla Lavinia et a Lelio licenziati le loro prouisioni da gli otto di febbraio scorso a tutto marzo corrente in ragione di L. 45 il mese per ciascuno.
Fece le prime armi come secondo amoroso e secondo brillante, nella compagnia di suo padre, e, lui morto, esordì brillante assoluto nella giovane Compagnia piena di attrattive, Ciotti-Lavaggi-Marchi, nella quale stette fino a tutto il '72. […] Passando d’una in altra compagnia, e in mezzo a peripezie di scioglimenti a metà d’anno, ora scritturato, or socio, ed ora capocomico solo, arrivò sino al 1902, scritturato in Compagnia Renzi-Gabrielli, nel quale anno cessò di vivere a Livorno il 27 di giugno.
Entrò innamorato con Pietro Rossi, col quale stette quattr' anni.
Nato a Venezia al principio del secolo XVIII, passò dall’impiego di fattore all’arte del comico, nella quale riuscì felicemente sotto la maschera del Pantalone.
Lo vediamo per molti anni con Giuseppe Pellandi, col quale era al Sant’Angelo di Venezia il 1795-96.
Fu il 1875 con Emanuel-Pasquali ; poi con Giuseppe Pietriboni, dal quale, dopo una cattiva prova al Teatro Valle di Roma, si tolse a principio d’anno, per finir colla moglie, una giovane dilettante torinese, in America, ov’egli si fece direttore di filodrammatici, e ove, dopo pochi anni, morirono entrambi ancor giovanissimi ;
La barbarie estrema produce l’inopia, la quale, col divenir per forza industriosa, apporta successivamente ricchezza e coltura. La coltura estrema degenera nera in lusso eccessivo, il quale diventa padre della mollezzza e poltroneria, e allora col trascurarsi le arti migliori ed utili, depravasi il gusto e rientrasi nella barbarie. […] Era notabile in Roano la Festa Asinaria, nella quale intervenivano tutti i profeti antichi colle loro divise, e l’istesso Balaam sull’asina. […] Quel che però non sembra ammetter dubbio alcuno, si é, che in Roma nel 1264 fu istituita la Compagnia del Gonfalone (i cui statuti furono ivi pubblicati nel 1584), la quale si prefisse per oggetto principale di rappresentar i misteri della passione di nostro Signore, siccome per lungo tempo eseguì ciascun anno nella settimana santa122.
Mentrechè risorgeva dentro le Alpi la lingua latina col l’ammirarsene i preziosi codici scappati alla barbarie, nasceva da’ rottami greci, latini, orientali e settentrionali la lingua italiana, la quale per mezzo di Dante che è stato nella moderna Italia quello che furono Omero in Grecia ed Ennio nel Lazio, giva sublimandosi e perfezionandosi, e conscia delle proprie forze cercava ognora nuovo campo per esercitarle. […] Un Messo racconta le disgrazie della patria e la prosperità di Ezzelino, il quale con insidie e crudeltà già regna in Verona ed in Padova. […] Lasciando da parte il non rinvenirsi di esse indizio veruno nelle di lui opere, i critici più accurati sospettano fortemente che esse sieno opere supposte al Petrarca, come fece prima di ogni altro l’abate Mehus, il quale recò un saggio dello stile di esse molto lontano da quello del Petrarcaa. Furono esse però scritte nel XIV secolo, e si aggirano l’una sulle vicende di Medea, l’altra sull’espugnazione di Cesena fatta dal Cardinale Albornoz nel 1357, la quale viene puittosto attribuita al dotto amico del Petrarca Coluccio Salutato eloquente segretario di tre pontefici morto in Firenze sua patria l’anno 1406.
Mentrechè risorgeva dentro le alpi la lingua latina coll’ ammirarsene i preziosi codici scappati alla barbarie, nasceva da’ rottami greci, latini, orientali e settentrionali la lingua italiana, la quale per mezzo di Dante che è stato nella moderna Italia quello che furono Omero in Grecia ed Ennio nel Lazio, giva sublimandosi e perfezionandosi, e conscia delle proprie forze cercava ognora nuovo campo per esercitarle. […] Un messo racconta le disgrazie della patria e la prosperità d’Ezzelino, il quale con insidie e crudeltà già regna in Verona ed in Padova. […] Mehus, il quale recò un saggio dello stile di esse molto lontano da quello del Petrarca33. Furono esse però scritte nel XIV secolo, e s’ aggiravano l’una sulle vicende di Medea, l’altra sull’espugnazione di Cesena fatta dal Cardinale Albornoz nel 1357, la quale viene piuttosto attribuita al dotto amico del Petrarca Coluccio Salutato eloquente segretario di tre pontefici morto in Firenze sua patria l’anno 1406.
Boldrini Federigo, veneto, capocomico assai noto, col quale furon scritturati in epoche varie, Alessandro Salvini, Giovanni Emanuel, Achille Majeroni, Icilio Brunetti, ecc.
Entrato in arte, si diede anch' egli al ruolo dell’ innamorato, nel quale fu molto apprezzato, specialmente per le parti spigliate.
Rimasta vedova, condusse per due anni ancora la Compagnia ; poi passò a seconde nozze con un agiato mercante di Milano, col quale visse ritirata dall’arte fino al 1761, anno della sua morte.
Andati a rovescio gli affari, rimasto privo quasi di sostentamento, si diede all’arte del comico nella quale riuscì egregiamente sotto la maschera del Pantalone.
Zecca) in una compagnia, della quale facevan parte la moglie Francesca, Tortorina, Angiola Isola, Lavinia Isola, Gioseffo Milanta, detto il Dottor Lanternone, Andrea Cimadori, dettoFinocchio, e Antonio Riccoboni, detto Pantalone.
Impinguatosi alquanto, lasciò il ruolo di primo amoroso per darsi a quello di caratterista, nel quale fece ottima riuscita a’ Fiorentini di Napoli, ove si recò scritturato dalla Società Tessari, Visetti e Prepiani.
Dopo di essere stata seconda donna, prima attrice giovane e prima attrice, in compagnia del marito, cui tutta è legata la sua vita artistica, e con cui sempre divise ansie e dolori, privazioni e soddisfazioni, andò quest’ anno a far parte della Compagnia Vitaliani, quale seconda donna e prima dopo la scelta di lei.
. – Venuto a maturità, prese il ruolo del padre nobile, nel quale riuscì attore non meno pregiato.
Fu artista il Nicolini di non comune versatilità, uno degli ultimi e fortunati campioni della commedia improvvisa, la quale, mercè la pratica ch'egli avea cogli scenarj dell’arte, e la sua prontezza di spirito, sapeva ancor concertare con rara intelligenza.
Passò poi in altre compagnie di giro, e finalmente in quella di Onofrio Paganini, nella quale, a Vicenza, fu colto da siffatta emorragia di sangue, che, non potutasi arrestare, lo condusse al sepolcro il 3 giugno del 1764, all’età di venticinque anni.
Figlia dei precedenti e moglie di Giuseppe Salvini, fu una egregia servetta, e tale la vediamo col marito nella Compagnia Paladini-Internari, con la quale doveva recarsi del 1830 a Parigi ; ma còlta dal mal di petto, fu obbligata a restarsene in Italia, a Venezia, presso i suoi parenti, sostituita nel ruolo dalla moglie di Luigi Taddei.
In quale aspetto Io sia, tu scorgi; in pié mi reggo appena. […] quale accrescimento al tragico? […] Quella che da tanto tempo è amata da vostro figliuolo, per la quale è quasi divenuto pazzo, e per la quale è sul punto di rovinare la sua riputazione, il suo stato, ed il vostro. […] Il Ladislao occupa due mesi, o poco più di rappresentazione, per osservar la legge II della Fisedia: e molte commedie del Solis del Roxas, del Moreto, non eccedono pel tempo quale i tre e quale i dieci giorni. […] col la quale si conchiude l’atto primo.
Il luglio del '59 si trovava a Siena, come abbiamo da una sua lettera a Francesco Toschi, colla quale accettava di far parte della Compagnia del Duca di Modena sì per l’autunno, sì fino a tutto il carnovale. […] Il D' Ambra di Napoli ha ristampato (1884) una commediola, intitolata : Flaminio pazzo per amore, con Pulcinella studente spropositato, Commedia nuovissima, secondo il buon gusto moderno, che è certo – aggiunge il Croce – una manipolazione dello Scenario, del quale dovea far parte la scena di spropositi ch'egli riferisce tra Flaminio matto e Polcinella. […] Fu là che divenne padre di Marco, il quale, montato sul teatro, mutò il nome di Napolioni in quello di Flaminio.
Chi non ricorda la Pezzana al glorioso tempo della Compagnia di Bellotti-Bon, della quale ella fu principale ornamento ? […] Giacinta Pezzana – alla cui gloria è mancata quella continuità di fulgore la quale non si può ottenere senza che al valore immenso sia accoppiata l’ agilità degli espedienti che mantiene viva la comunione col pubblico irrequieto e variabile – resta, comunque, nella drammatica italiana un sole inoffuscato. […] Eleonora Duse, ricordando le sue primissime armi fatte accanto a Giacinta Pezzana – l’ unica attrice da cui traesse qualche alimento la meravigliosa genialità dusiana, – mi raccontava come in una scena dolorosa d’ un dramma del quale le sfuggiva il titolo, Giacinta Pezzana, una sera, all’ improvviso, prendesse a ripetere una parola camminando concitatamente e mettendo in ogni ripetizione un suono di voce strano, intenso, irresistibile.
Lo vediamo il '55 alla Comedia italiana di Parigi, nella quale esordisce il 1° di gennajo, come amoroso, insieme alla moglie amorosa, nel Double mariage d’Arlequin ; ma recitaron così freddamente, che dovetter tornarsene in Italia. […] Lo vediamo il '66 in Compagnia di Pietro Rossi ; poi, allontanatosi per alcun tempo dal teatro, bibliotecario del Senatore Davia a Bologna, poi di nuovo attore, recitando in varie compagnie, ma con poca fortuna, a cagione della sua austerità e taciturnità, a proposito della quale il Bartoli racconta che « andando un giorno a desinare con Andrea Patriarchi, non fu mai sentito pronunziare una parola durante tutto il tempo della tavola, e col solo saluto da quella casa partì. » Fu anche a Palermo, e quivi stette alcun tempo col Nobile Spaccaforni, qual segretario. […] A questa faccio seguire il sonetto in morte di un suo figlio, il quale ci dà ancor più chiara l’idea delle sue qualità poetiche, e del suo amore a' classici : Come candido fior, che nato appena, del vomere al passar cade reciso, Carlo, moristi, onde perpetua vena di pianto a me bagna le gote e il viso : C'ho sempre avante i tuoi dolci atti, e il riso, e i cari vezzi ; e per maggior mia pena, la Suora tua, ch'or vedi in Paradiso, la tua partita a ricordar mi mena.
« Fra i comici, che divertivano la Corte di Mantova nel gennajo 1606 – avverte il Bertolotti – è nominato Flavio Scala, il quale era ricercato da G. […] Vale la pena ch' io dia qui intera la lettera che Don Giovanni scrisse da Venezia il 21 marzo 1620 a Ercole Marliani, nella quale son notizie di grande interesse intorno alla Compagnia de' Confidenti : Ill. […] S. degli 11 marzo scritta su le 6 hore, la quale letta da me mi indusse subito a dirgli che non occorreva ne per acqua ne per terra che egli venissi in costà, se non haveva altro negozio in che servire S. […] In quanto però appartiene alla compagnia de Confidenti, che sta ancora sotto la mia protezione, essendosi mitissimamente ristabilita, nella quale ancor' egli si ritrova et che quanto a altri comici che S. […] re, al quale feci relatione del regalo fatto a ciascuno della sua compagnia, ma in particolare poi dell’honore fattomi da V.
Coll’ avanzar degli anni, si diede ai caratteri sostenuti di Madre e di Regina, in compagnia del figliuolo col quale si recò a Napoli il 1779, ove trovavasi ancora nell’ ’82.
Venuto a matura età, si diede al ruolo di caratterista col quale salì in bella rinomanza.
Firenze, Bemporad, 1898), il quale ci fa anche sapere che la Parrini era divisa dal marito e conviveva con Ercole Gallina, il primo attore, da cui ebbe il 3 gennaio del '26 una bambina che le morì il 7 successivo.
Cassiano di Venezia, ove con commedie di particolar fatica si fece buon nome, diventando poi socio dello stesso Medebach, col quale stette lungo tempo.
È questo il fuoco elettrico rinchiuso nelle loro opere, il quale non iscintilla perchi non lo cura o non sa l’arte di farlo scappar fuori. […] È da notarsi in tal tragedia la tenera scena di amicizia tra Pilade ed Oreste, colla quale termina l’atto terzo senza Coro. […] Ma vi è attaccata anche la scena di Fedra la quale naturalmente par congiunta colla prima del l’atto secondo. […] Non è così della tragedia greca, la quale sembra odiare tutto ciò che può distrarre dal dolore. […] Non sono dunque tante le azioni in poco tempo accumulate, quante non so per quale utilità, volle numerarne il critico Fiorentino.
Con quale applauso vi fossero accolte e con quanti privilegii onorate, si vede da’ seguenti fatti. […] Pure da quale classico scrittore ciò si ricava? […] Lo riceve poi Argirippo, il quale con questa chiave riapre quell’uscio che l’era stato chiuso in sul viso. Si destina la cena, alla quale vuole intervenire lo stesso Demeneto. […] Lo scioglimento avviene per l’arrivo del servo di uno de’ commensali il quale scuopre a Teuropide la verità dello stato di sua famiglia.
L’Albani fu moglie di un certo Panazzi, ballerino, dal quale ebbe un figliuolo, Francesco, discreto brighella, e famoso violinista.
Calamai Lorenzo, di famiglia toscana, si diede giovanissimo all’arte drammatica, nella quale riuscì assai mediocre attore, e capocomico di qualche pregio.
Sposatosi già in là cogli anni a una certa Giannuzzi, fu lungo tempo, con lei seconda donna di spalla, amministratore di Bellotti-Bon, dal quale si allontanarono per recarsi a Torino.
Ma appassionatissima pel canto, al quale aveva mostrato sin da giovinetta singolari attitudini, vi si abbandonò con tal fervore, che in breve tempo riuscì artista lirica assai reputata.
Ebbe una figlia, Gertrude, la quale, a detta del Bartoli, aliena dagli amori, e sol dedita allo studio dell’arte sua, recitava con buon raziocinio in tuttociò che s’aspettava al suo teatrale impiego.
Una lettera dell’ Arlecchino Martinelli a un famigliare del Duca di Mantova, con data di Cremona 4 decembre 1595, ci dà notizia di questo comico in Compagnia della Diana, al quale il Martinelli fa indirizzar le sue lettere per maggior sicurezza.
Fu molti anni con Pietro Rossi, poi col Paganini, poi di nuovo col Rossi, poi col Lapy al San Luca di Venezia, dal quale passò con la stessa Compagnia al Sant’Angelo.
Col padre capocomico, assunse il ruolo di prima donna giovine, e prima donna, nel quale fu scritturata a' Fiorentini di Napoli, a vicenda con Carolina Colomberti, sotto la celebre Tessari.
.), morto il quale passò a seconde nozze con Antonio Bozzo (V.), vedovo di Amalia Checchi.
Comico del Duca di Mantova, del quale trovo notizie in una sua lettera da Fiorenza del 1° dicembre 1648 al Sig.
Un amico di suo figlio, il Casanova, che la conobbe nel 1751, ne fece un ritratto evidente con pochi tratti di penna : dopo di avere parlato del fisico (non era nè bella, nè brutta, ma aveva un non so che, che saltava subito agli occhi, e affascinava), dopo di avere parlato delle sue maniere gentili, dello spirito fine e abbondante, concludeva : …. non s’è potuto trovare sin qui un’attrice che ne prenda il posto, poichè è poco men che impossibile trovare un’attrice la quale riunisca in sè tutte le doti ond’era ornata la Silvia nell’arte difficile del teatro : azione, voce, spìrito, fisonomia, portamento, e una grande conoscenza del cuore umano. […] Salvatore, col pieno assentimento del parroco, il quale, degna persona, allontanato, per intolleranza anticristiana, dalla maggior parte de’ suoi confratelli, diceva che il mestiere di comica non le aveva impedito di essere cristiana, e che la terra era la nostra madre comune, come Gesù Cristo il Salvatore di tutto il mondo.
Come si vede, le due varie foggie di vestire del Capitano Spezzaferro non han che vedere colla terza prodotta da Maurizio Sand, la quale, per quante ricerche io abbia fatte, non mi fu dato trovare in nessuna antica incisione : nè mi fu dato rintracciar notizie de’ colori che il Sand assegna in modo assoluto alle sue figure. […] VIII), è Spezzaferro, non più Capitano, ma Cavaliere d’Industria, il quale, fra un ballo e l’altro, intuona una graziosa canzoncina musicata dal Gillier.
Senza dubbio Racine apprese tal pratica da Menandro, il quale (come abbiamo osservato nel tomo I di questa istoria) non cominciava a comporre i versi delle sue favole prima di averne disposto tutto il piano. […] Dopo alcune scene galanti ed elegiache, come le indicate degli altri atti, comparisce nell’ultima Solone moribondo, il quale si mette a declamare lungamente con tutta l’inverisimiglianza per uno che stà spirando, e racconta con troppe parole, che Policrita non è sua figlia, e che si chiama Cleorante. […] Intanto Guymond de la Touche nato nel 1729 in Châteu-Roux nel Berri, e morto nel 1760 in Parigi compose una Ifigenia in Tauride, nella quale immaginò a suo modo lo scioglimento. […] Le Fevre, la quale vi si è veduta ricomparire sempre con egual diletto, e vi si è rappresentata di nuovo nel 1793. […] Mirabile effetto partorì il quinto su gli animi degli spettatori; ma a molti parve che l’orrore giugnesse a lacerare oltremodo il cuore, che dal compiangere uno sventurato è costretto a passare ad inorridire al furioso attentato di Beverlei che in considerare a quale stato di miseria ha egli ridotto il figlio, per liberarnelo, se gli avventa con un pugnale.
Carlino di Napoli è pure una Carlotta Angiolini, della quale non seppi trovar altra notizia.
Vedova, passò poi per le parti di madre e di caratteristica in quella di Gaetano Nardelli, nella quale fu tanto e meritamente celebrata come prima attrice la figliuola Amalia. – Di lei, il numero 9 delle Varietà teatrali, (Venezia, 1824) enumerando gli artisti della Compagnia Fabbrichesi, dice : Bettini Madre….
Il suo nome è intimamente legato a quello del marito, col quale passò la sua vita artistica sotto nome di Flaminia, attrice acclamatissima.
Fu per un triennio con la società Prepiani, Tessari e Visetti a’ Fiorentini di Napoli, poi di nuovo con Solmi e Pisenti, poi con Giardini, poi col Ferri, poi con Antonio Colomberti (1851), dal quale uscito, andò a stabilirsi in Livorno, ove morì nel 1865.
Sposò l’Anna in Piacenza il 1768, giovinetta quindicenne di quella città, la quale da lui educata all’arte, riusci artista di molto pregio per le parti di seconda donna, e talvolta anche di prima.
Non sappiam se il nome di Lucinda col quale solamente fu chiamata nell’elenco de' Comici di Parma del 1664 (V.
Fu poi per le condizioni della famiglia sua, della quale era unico sostegno, in compagnie modeste, e morì del’ 74.
Nato a Bologna da civili parenti, compiè il corso degli studj e si laureò in legge : ma vinto dall’ amor pel teatro, nel quale aveva già fatto egregie prove co' filodrammatici, si scritturò il 1829 con la Società Vedova-Colomberti, riuscendo in breve sì per la svegliatezza di mente, sì per la correttezza dei modi e la spontaneità, un de' migliori attori comici del suo tempo.
Generico primario pel triennio del 1843 e '44 con Corrado Vergnano, lo vediamo il '46 Direttore, Primo Attore e Conduttore di una Compagnia, della quale era primo ornamento Adelaide Ristori, e facevan parte la moglie Adelaide Laugier, dilettante bolognese, e i minori fratelli, Francesco e Alessandro, generici (che vediam trent’anni dopo, conduttori della Compagnia Alessandro Manzoni), e il vecchio padre Tommaso.
GneoNevio, poeta campano, o sia nativo della Campania, il quale militò nella prima guerra punica, e morì all’anno di Roma 549 nel consolato di P. […] Una di poi, siccome accennammo, ne compose Ovidio, della quale ne resta in Quintiliano un piccolo frammento. […] Comincia la prima scena con una declamazione o elegia generale di Ottavia, la quale esce e si ritira senza perché. […] Uno degli scrittori atellanari fu Pomponio Bolognese, il quale intitolò una sua commedia Pitone Gorgonio e Scaligero su Varrone pretende, che questo nome equivaglia a Manduco. […] Egli ebbe un discepolo chiamato Ila, il quale rappresentando coi gesti una tragedia, nel voler esprimere queste parole, il grande Agamennone, sollevò la persona.
Il secondo fu Luis Vicente, il quale intraprese l’impressione delle opere del padre. […] Se ne fece un’ altra edizione in Lisbona l’anno 1595 unita ad un’ altra commedia del medesimo autore da me non veduta intitolata Os Estrangericos, della quale edizione parla solo l’Antonio. […] Tralle altre vien lodata la Costanza, la quale trovasi manoscritta nella Libreria dell’ Escuriale39. Ho bensì lette le poesie di Bartolommeo de Torres Naharro nativo di Torres presso Badajoz, il quale fu sacerdote, e non commediante, come l’ha creduto il Sig. […] E quale è la rara scoperta da lui fatta su gli autos?
Dotato della ragione dono divino della, suprema sapienza, egli è dalla natura formato per la società, alla quale inevitabilmente vien tratto dal bisogno di sussistere agiatamente. […] Or quale antidoto forniscono le stesse leggi contro questo lento veleno che serpeggia per le nazioni e le infetta? […] Adunque principalmente in tal tempo abbisogniamo di un saggio educatore che alla giornata ci ammonisca e ci mostri passo passo fedelmente il mondo civile e quale egli è in fatti e quale esser dovrebbe. […] E giacchè con non isperata benignità accolse il pubblico il saggio che ne diedi l’anno 1777 nella Storia critica de’ teatri in un sol volume in ottavo, ho voluto, in vece di riprodurla quale la prima volta la pubblicai (siccome diverse volte ne venni gentilmente invitato dalla società tipografica di Nizza e da alcuni libraj Veneziani e Napoletani) disonderla ed ampliarla in più volumia. […] Che se gergone rassomiglia anche al jargon de’ Francesi, quale in ciò è la mia colpa?
La quale scioltasi, dopo due mesi, entrò generico nella Compagnia Domeniconi, con cui andò a Genova e a Torino. […] Lo vediamo nel ’54 esercitare in tutta la sua estensione il primo ruolo di caratterista colla Botteghini e colla Majer, poi col Santecchi, poi in compagnia propria, poi col Peracchi, poi, nel ’62, tornare a Perugia a insegnare storia e geografia in quel liceo ; dal quale uscì dopo tre anni, per andar a sostituire a Napoli con ottomila lire di stipendio il Taddei, il primo caratterista italiano ancora vivente, ma irreparabilmente colpito da apoplessia. […] Il miglior degli elogi gli fece nell’Italia di Napoli del 1865 (n. 189) Luigi Settembrini, il quale conchiudeva : « così si scrive, benedetto Iddio ; così lo scrittore ti afferra, e ti stampa nell’anima ciò ch’egli vuole. […] … E nondimeno, quand’egli vive lontano dall’arte nella quale egli vede le più alte idealità cedere il posto a la camorra signoreggiante, quanta dolcezza, quanta soavità…. e più ancora qual finezza di forma ; laddove, nello scoppio dell’iracondia le parole gli escono di bocca come sono sono, e s’inseguono e s’incalzano senza che il pensiero della lima tenti di arrestarle. […] Chi recita in dialetto, il quale non è altro che una monotona ripetizione di pochi accenti, se non è vero relativamente al suo personaggio, è sempre vero relativamente a sè stesso, il che non è poca cosa, ed è dispensato dalla creazione di quell’ ideale, che costituisce la vera essenza dell’arte.
Conosciuti col suo mezzo la Robotti, Tessero, Bucciotti, doventò in poco tempo creatura del palcoscenico ; e tanto lo prese amor dell’arte, che una bella notte, di nascosto della madre e del fratello maggiore, fuggì di casa per andare ad aggregarsi a una compagnia, che recitava a Dronero in una sala dell’ospedale ; e colla quale frequentò per oltre un anno teatri talvolta di quello assai peggiori. […] Mise, primo, in iscena i Vaudevilles col soccorso del maestro Casiraghi, si unì allo Scalvini per la Rivista Se sa minga, e spese diciotto mila lire per l’allestimento scenico a Milano della Creazione d’Eva di Castelvecchio, la quale cadde per non rialzarsi mai più. […] E non sappiamo quale dei due più : forse sè stesso ! […] Shakspeare mi apparve in tutta la sua grandezza : Amleto con Ernesto Rossi era un poema vasto, smisurato, quale non aveva mai visto, nè vidi poi. […] … Anche ebbi campo di ammirare profondamente la grandezza di Rossi come direttore sia nel Giulio Cesare, pur di Shakspeare, da lui novamente tradotto, in cui una sera fu Antonio, un’altra Bruto, sia nella Mandragola del Machiavelli, nella quale trovò effetti inattesi, meravigliosi, presentando in modo più che degno, attori men che mediocri.
Fu l '85 primo attore con Verardini, e il carnovale dello stesso anno con Emanuel, con cui stette oltre un biennio, e da cui passò primo attore e direttore con Casilini per un solo anno ; dopo il quale, eccotelo un triennio primo attore con Cesare Rossi, e uno con Virginia Marini, fino al 1894 ; anno in cui si associa con Libero Pilotto, per condur finalmente compagnia da solo dopo la morte di questo ; compagnia che va innanzi trionfalmente da sette anni. […] E quale prestigio ! […] Che se poi per maestro si volesse intendere colui dal quale si succhia e il metodo dello studio, e il fondo dell’interpretazione, e le originalità della dizione, allora certo lo Zacconi rigetterebbe il giudizio, come de'più erronei. […] Io credo il pubblico ; il quale, o genialità o realità, dee volere soprattutto dell’arte pura. Tuttavia (e qui non voglio toccar la quistione della logica nel genere di morte di Corrado), se artista sommo ci è apparso fino a ieri Tommaso Salvini, e artista sommo ci appare oggi il siciliano Giovanni Grasso, il quale sa di ospedali e di morti, quant’io di meccanica, grandissima lode va data allo Zacconi, se all’entusiasmo della moltitudine vuole anche congiunta la sapiente ammirazione dello scienziato.
Artista romano, fiorito sul finire del passato secolo, il quale recitando ne’Baccanali di G.
S’era data all’arte del canto, nella quale fece buone prove, specialmente per le opere buffe.
.), che pare usasse con lei intimamente, mosse guerra spietata alla Lavinia, la quale fu costretta a impetrar soccorso al protettore della Compagnia D.
Altro figlio di Eugenio e Cecilia, nato a Gallarate nel 1866, trascorse i primi anni in Compagnia Benini-Sambo, scritturandosi poi l’ 81 collo zio Enrico ; dal quale passò or generico primario, or brillante, or primo attore, or caratterista, con Schiavoni e Micheletti, con Zago, Borisi e Gallina, colla Tessero, col fratello Luigi, con Ernesto Rossi, con Zago e Privato, con Valenti e con Raspantini.
Nata a Bologna da una egregia attrice della filodrammatica Albergati, recitò sin da bambina, ed entrò scritturata il 1889 con Eleonora Duse quale seconda donna.
Fu con Bellotti e Marini di nuovo secondo amoroso, poi generico d’importanza nelle Compagnie Nazionale, Marini, e Garzes, morto il quale, fu scritturato dal Ferrati, cui si era associato Cesare Rossi.
Uscita dall’Accademia fiorentina dei Fidenti, esordì amorosa con Adelaide Tessero, colla quale stette sei mesi, per passare seconda donna con Ermete Novelli.
Passò poi in quella migliore di Vincenzo Bugani, col quale stette più anni ; e sotto gl’insegnamenti di Giustina Cavalieri tanto progredì, che Girolamo Medebach lo volle con sè a Venezia nel S.
Fatte le prime armi nella Compagnia di suo padre, si scritturò prima attrice giovane con Arturo Garzes pel’92, passando poi nello stesso ruolo, il '93, con Angiolo Diligenti, il '94 con Francesco Garzes, il '95 con Andrea Maggi, e il '96 con Flavio Andò ; dal quale staccatasi, passò il '97 nella Compagnia Mariani-Zampieri, e il '98 in quella di Eleonora Duse, andando nell’ ottobre a sostituir con Ermete Zacconi la Varini ammalata.
Fu un anno a Venezia con Girolamo Medebach, poi, il '70, in Portogallo con Onofrio Paganini, col quale tornò in Italia.
.), che era « rarissimo in rappresentare la persona di un facchino bergamasco, ma più raro nelle argutie e nelle inventioni spiritose : » il Rossi, nella Fiammella, lo loda insieme a Battista da Rimino, perchè « osservano il vero dicoro de la Bergamasca lingua ; » e Francesco Andreini (Bravure, XIV) lo cita insieme a' comici di quella famosa Compagnia, « che pose termine alla dramatica arte, oltre del quale non può varcare niuna moderna Compagnia di Comici. »
Tradurremo questo squarcio, nel quale la passione non è molto tradita dallo stile. […] Dubita la regina; non sa qual de’ due sia il reo, e quale il suo liberatore. […] Ecco tradotta la lettera che le scrive, la quale spira tutta la gentilezza di Don Luca. […] Una copia grande al naturale tratta dal ritrattino, la quale cadendo dal muro si frappone e riceve il colpo destinato ad Ottaviano. […] Altra commedia del Solis è il Doctor Carlino, la quale anche si contiene nel termine di poco più di un giorno.
Nella prima si dipinge una specie di Cimone di Giovanni Boccaccio, il quale non per amore ma per onore diviene scaltro, cangiamento che si rende verisimile per la durata dell’azione di più mesi. […] Ha costui due figliuole, delle quali la prima egli destina a don Lucas, il quale però ama l’altra sciocca e semplice al pari di lui. […] Il soggetto di tal commediola è un povero giovane chiamato Eleuterio carico di famiglia, il quale facendo cattivi versi imprende la carriera teatrale per accorrere a’ proprii bisogni. […] Consiste in un avventuriere che si finge barone spagnuolo imparentato con tutti i grandi della corte, della quale è in disgrazia per maneggi de’ suoi nemici. […] «Il nominato don Ramòn (il quale, secondochè egli stesso ridicolamente millanta, ha di U.
Macrobio ne ha conservato un frammento, nel quale vigorosamente dipingonsi gli eccessi della ubbriachezza de’ giudici Romani88. […] Se ne querela con Lachete padre di Panfilo, il quale ne va a far romore con Bacchide. […] Possono in essa notarsi diverse bellezze; ma noi accenneremo soltanto alcuna cosa della terza scena dell’atto secondo, la quale contiene venustà di più di un genere. […] Per quale strada mi farò a cercarlo? […] In tale azione così condotta e distribuita non havvi cosa irregolare per la quale abbiasi a rifiutare la comune divisione.
Fu il primo un buon Pantalone, e si trovava l’autunno e carnevale 1795-96 in Compagnia di Luigi Perelli, noto Truffaldino, della quale era ornamento principale per le parti di padre il celebre Petronio Zanerini.
Era il '24 col fratello Luigi in Compagnia Fini, che lasciò dopo un anno per quella della Toffoloni, nella quale tanto piacque al Teatro Nuovo di Firenze come cantante, che l’impresario Feroci le offrì di abbandonar l’arte comica per la lirica, scritturandola per quattro anni ; compiuti i quali, ella passò stipendiata dal celebre Lanari per altri quattro.
Benchè difettosa alquanto nella pronuncia, potè passare con una recitazione calda e spontanea, al ruolo di prima attrice assoluta in Compagnie di primo ordine, come della Sadowski, diretta da Luigi Monti, nella quale io l’ebbi collega affezionata, di L.
Figlia dell’arte, e moglie del capocomico Gioacchino Petrelli, il quale vediam già nel 1800, a dar quaranta recite con la sua Compagnia a Tolentino, riuscì una egregia prima donna per compagnie di second’ordine.
Riposò il '93 per desiderio del suo futuro capocomico Cesare Rossi, che l’ aveva scritturata qual prima attrice assoluta per l’anno comico '94, dopo il quale ella diventò, il 10 ottobre del '95, la signora Zoppis.
Risalendo a Guittone d’Arezzo, troviamo un suo sonetto indirizzato a Messere Onesto Guinizzelli da Bologna, nel quale scherza sul nome d’entrambi : vostro nome, messere, è caro, onrato, lo meo assai ontoso, e vil pensando, ma al vostro non vorrei aver cangiato. […] … » E Anzampamber qua, e Anzampamber là…. la fama del guitto è assodata, fama repartita in arte con un altro tipo, del quale parleremo a suo tempo : il Vaudagna. […] Luigi Anzampamber era lo Stenterello nel 1832 della Compagnia drammatica di Filippo Perini, della quale era prima attore il noto Cesare Pilla (V.), prima donna seria una Ester Franchini e prima attrice brillante Marietta Perini, attempatotta, moglie del capocomico.
Sposò nel ’19 Giacomo Job, austriaco, attore mediocre, poi mediocre capocomico, nato il 1787 a Codroipo nel Friuli, il quale, ritiratosi dall’arte dopo il ’40, e fermatosi a Firenze, a far l’affittacamere, chiedeva invano il settembre del ’54 al Ministero di grazia e giustizia la naturalizzazione toscana. […] Fu dal’57 al’59 con Ernesto Rossi, e dal’61 al’75 con Alamanno Morelli, dal quale si allontanò per ritirarsi più che settantenne a Firenze, ove morì il 12 maggio del 1890. […] In una lettera da Bologna della Pelzet a Niccolini del 27 luglio 1843, sono queste parole : « Poi è venuta la Job, la quale dopo aver rovinato Verniano colla sua pros…… (prosopopea), cerca d’insinuarsi verso Coltellini per farmi onta e spauracchio. » E più oltre : « Anche la Job prima donna comica, vil…… (vilissima) creatura, ha scelto una tragedia per sua beneficiata. » Ma non è da prestar troppa fede ai pettegoli risentimenti di una artista che si trova tra compagni inesorabili e crudelmente accaniti contro la sua poca abilità ; sono sue parole.
L'Archivio di Stato di Modena conserva alcune lettere di Coviello, il quale, per non essere da meno dei suoi compagni, batte cassa con supplicazioni di ogni specie ; ora (Brescia, 4 agosto 1690) allegando in ragione che il suo esercito è in rovina per non aver potuto fare in diciassette giorni che sei comedie, che fruttarono di parte lire dieci e soldi otto ; ora (Reggio, 20 novembre 1690) che li Massari del ghetto vogliono semignare l’elettione, per la carica dei letti nel Castello, e sospira una gratia che può liberarlo dalle mani del Ebraismo. […] Decio Fontanella, al quale l’haveva rimesso il Comando del Ser. […] se Decio, il quale lungamente lo fece languire, e li disse più volte che non sapea cosa dirli, alfine che li darebbe una lettera per Bologna, e che gli augurava buon viaggio, che non si potè mai haver la lettera, e che parti doppo aver di ciò parlato in Modena, e sino à Cavalieri, c’erano nell’anticamera di S.
Non era al fine questo dramma se non una traduzione in parte corretta nella quale si cercava il ridicolo negli eventi immaginati con arte anzi che nel cuore umano che ne abbonda. […] Intanto il graziosissimo attore comico conosciuto col nome di Scaramuccia, il quale nel mese di giugno del 1662 prese congedo dal pubblico per venire in Italia, tornò dopo quattro mesi di assenza, ed al suo arrivo i Parigini accorsero con tale affluenza e transporto ad ascoltarlo, che il teatro di Moliere, malgrado del credito acquistato, rimase per tutto il mese di novembre desolatoa. […] Derise in essa gajamente il modo di rappresentare de’ commedianti dell’Hôtel di Borgogna, contraffacendoli, e segnatamente pose alla berlina Boursault comico scrittore dozzinale, il quale aveva indegnamente ferito Moliere, motteggiandolo sulla condotta della moglie col Ritratto del Pittore. […] Come esso si comprese, caddero le macchine dell’impostura, la quale temendo di essere smascherata voleva farlo passare per una satira della vera pietà e religionea, Mille pregi rendono questo dramma l’ornamento più bello della comica poesia e delle scene francesi. […] Commedia-ballo si chiamò in Francia un divertimento composto di ballo e rappresentazione, il quale vi si trasportò dall’Italia sin dal secolo XVI.
[Epigrafo] «Non per questo perché a noi manca quella squisitezza, e quella vivezza d’ingegno, la quale ebbero Tucidide, e gli altri scrittori insigni, saremo egualmente privi della facoltà che essi ebbero nel giudicare.
« Capocomico, che fioriva intorno al 1630, il quale scrisse un trattato a favore delle Commedie oneste.
Comico del secolo xvi, appartenente forse alla Compagnia di quel Bartolommeo Zito, che sotto il nome di Tardacino, pubblicò nel 1628 un comento alla Vajasseide del Cortese ; nel quale appunto, al proposito del D’Auriemma, dice : « …. chillo che faceva lo Pascariello a la commedia, soleva dicere ca se fosse stato a tiempo nuostre non averria portato le culonne d’Ercole ncuollo pe fi all’ultema parte de Spagna ; ma s’averria puosto no pignato mmaretato napolitano de la deritta, e na Goglia potrita (olla podrida) a la spagnola de la senistra, e chelle portannole pe lo munno, averria potuto dicere co cchiù raggione : Non plus ultra !
Passò nel 1779 in Compagnia di Pietro Ferrari, lasciata la quale si trasferì a Roma, ove stette alcun tempo, vagando ne’ dintorni e procacciandosi, con recite mescolate di prosa e musica, onorata esistenza.
Sposò il ’76 Giulia Bighi, figlia di artisti, colla quale si trova anch’oggi in una Compagnia sociale.
Recatasi co’genitori a Parigi, vi sposò l’ 11 aprile 1774 Felice Gaillard attore alla Commedia italiana, alla quale il 26 aprile dello stesso anno ella esordì come amorosa del genere italiano, colla parte di Angelica nella commedia di suo padre : Pantalone ringiovanito.
S’unì poi in società collo stesso Verniano e con Luigi Domeniconi, col quale restò fino al 1850 colla moglie Fanny ; anno in cui, lasciate per sempre le scene, si restituì alla natìa Cortona, ove morì il 16 agosto del 1883. – Fu Gaetano Coltellini artista valentissimo, specialmente per la recitazione dell’Odio ereditario, della Figlia dell’avaro, del Curioso accidente, del Far male per far bene, e di tante altre commedie di cui è parte principale il caratterista.
XIII dell’ edizione Pasquali, dice di lui : Primo vecchio, cioè Pantalone, Andrea Cortini del Lago di Garda, il quale aveva la figura disavvantaggiosa, e non era buon parlatore ; ma gran Lazzista e ottimo per li Zanni ; poichè avea moltissima grazia, e contraffaceva assai bene i personaggi ridicoli, e soprattutto era ammirabile nelle scene di Spavento, e di agitazione.
Recatasi il 1766 a Barcellona, si sposò al Grandi, coll’insegnamento del quale riuscì in breve tempo attrice di gran merito. « La sua bellezza — dice il Bartoli — la sua grazia, un’espressione viva ed aggiustata al carattere del personaggio ch’ella rappresentava, erano tutte cose che fermavano gli spettatori a considerarla, ad ammirarla ed a compartirle molti applausi.
Venuto a maturità, vestì la maschera del Brighella, sotto la quale si mostrò pur valentissimo, e morì in Bologna nel 1850.
S. come oggi a mezo giorno è urtata in uno di questi Molini una Barca, in cui ui era la Compagnia Comica detta Marcheselli, quale da Turino con passaporto del Sig.
il quale dopo aver detto, che seppe acquistarsi una gloria non disgiunta dall’ utilità, venendo a parlar dell’ Amleto di Ducis, applauditissimo a Bologna col Menichelli, protagonista, nell’ estate del 1795, dice ch' egli esprimendo con tragica energia il sopraeminente carattere del protagonista, seppe ricordare il gran Molè a tutti quelli che udito l’ avevano a Parigi.
.), col quale, uscito dall’ Imer, fu a Napoli al servizio di Don Carlo.
Fu con Pietro Ferrari, con Girolamo Medebach, con Nicola Menichelli, col quale trovavasi il 1781.
Dall’ ’88 all’ 89 entrò in Compagnia Maggi nella nuova qualità di generico primario, poi in quella di Favi, e finalmente in quella di Pasta, col quale è rimasto tutto l’anno comico 1895-96. […] Il giorno dopo, tutto venduto ; era il teatro delle grandi occasioni…. il quale continuò, inalterato, per quattordici sere di fila.
Di questo ex attore intelligente, corretto, che per le parti di generico primario e di primo attore ebbe tanti schietti encomj dai giornali e dai pubblici nostri e forestieri, metto qui una nota autobiografica, la quale, nella sua modesta semplicità, rivela l’uomo e l’artista. […] Per 23 anni di seguito fui amministratore, segretario, attore ed amico di Ernesto Rossi attraverso a quasi tutto il mondo ; ed ora eccomi qui, rappresentante l’Accademia dei Filodrammatici e direttore di un teatro…… Quanto al teatro (il Filodrammatico di Milano) ch’ egli cominciò a dirigere nell’ ’85, sappiamo che la sua attività e la sua intelligenza si sono affaticate nervosamente, prepotentemente per dargli quel primato al quale aveva diritto, quello splendore a cui lo si era destinalo.
Nato a Zara il 17 aprile 1815 da Costantino Papadopolo, marinaro, poi caffettiere, e da Giovanna Foscari, si diede al teatro dopo due anni di ginnasio, e due d’impiegato all’ Uffizio di Sanità della Dogana, esordendo il '32 in Compagnia Bon Martini, prima come segretario, poi come attore nel Naufragio felice dello stesso Bon Martini, pel quale s’ebbe dal capocomico non pochi incoraggiamenti. […] Sulla fine di ottobre entrò in Compagnia Cavicchi e Bertotti diretta da Domenico Verzura, padre nobile, dal quale il Papadopoli si ebbe la sua prima e salda educazione artistica.
Sorella del precedente, nacque a Bassano verso il 1730 ed esordì alla Comedia italiana il 6 maggio 1744 insieme a suo padre colla parte di Colombina nel Double mariage d’Arlequin, dopo il quale eseguiva un passo a due assieme ad Anton Stefano Balletti. […] Corallina, morta nell’aprile del 1782, istituì per testamento suo legatario universale il Principe di Conti, il quale accettò l’eredità, portando da 600 a 1000 lire annue la pensione che Corallina passava dal 1763 a sua madre Lucia Pierina Sperotti.
Il teatro (nel quale eran sempre infimi attori ed infimi spettatori), non fu accordato, a cagione delle attrici, Teresa Passaglione, Teresa Amoroso, Maria Grasso, Antonia Spina.
La sera del 24 febbraio 1525 fu rappresentata una sua commedia a Mantova, la quale — scriveva Vincenzo de Preti — « veramente al judicio de ogni persona fu molto bella, et bene recitata al possibile.
Non ho trovato altra menzione di lui, fuor di quella fatta dal comico Bartolomeo Rossi, da Verona, il quale nel discorso a’ Lettori che è in una sua pastorale, Fiammella (Parigi, Abel l’Angeliero, 1584) al proposito di certa libertà nel dire che debbono avere le parti ridicole, scrive : ……come Bergamino, se bene non osserva la vera parola Bergamascha, non importa, perchè la sua parte e come quella di Pedrolino, di Buratino, d’Arlechino, et altri che imitano simili personaggi ridiculosi, che ogni uno di questi parlano a suo modo, senza osservanza di lingua, differenti da M.
Benini Gaetano, bolognese, nato da famiglia agiata, si diede agli studi legali, poi, dopo le noie venutegli dall’avere appartenuto a’carbonari del’ 31, abbracciò l’arte drammatica, nella quale riuscì ottimo primo amoroso e primo attor giovane.
La troviamo nel 1820-21 in Compagnia Mascherpa e Velli, e il succitato giornale constata con parole di encomio, ch’ella « approfittò degli amichevoli consigli datile in allora. » Sposò un Pietro Bignami, appartenente a doviziosa famiglia bolognese, il quale sosteneva nella stessa Compagnia a vicenda con Gio.
Fu in compagnie di poco o niun conto sino all’ ’84, in cui fu scritturato secondo brillante con Emanuel, col quale stette sino all’ ’86, per passar poi altri due anni con Maggi.
— Fino al 1768 però, secondo la ricostruzione del ruolo della Compagnia di Tommaso Tomeo, fatta dal Di Giacomo, il Cioffo riapparirebbe sotto l’antica maschera del Tartaglia, per la quale salì in grandissima fama.
Avendo suo marito formato compagnia il 1826 in società con Gaetano Colomberti, nella quale la Rosa era scritturata qual prima attrice tragica, benchè di oltre cinquant’anni, potè mostrare l’antico valor suo, ammirata dovunque così nell’ Isabella del Filippo, come nella Clitennestra dell’ Oreste e nell’ Antigone di Alfieri.
Ferdinando I Duca di Parma, il quale ne faceva l’uso divoto di esporvi il Venerabile in certe pie funzioni, ch’ egli faceva celebrare nella sua Reale Cappella di Colorno.
Vediam più tardi il Romagnesi, il 1616, nella Compagnia de' Confidenti, diretta dallo Scala e protetta da Giovanni De Medici, nella quale ebbe a Genova un alterco con Battista Austoni, l’amministratore della Compagnia.
Orazio Persio di Matera compose il Pompeo Magno tragedia lodevole per la scelta dell’argomento, per la regolarità della condotta ed anche in parte per lo stile, la quale s’impresse in Napoli nel 1603. […] Il cavaliere Giambatista della Porta diede alla luce il suo Ulisse nel 1614, nella quale dee lodarsi la scelta del protagonista, la naturalezza, la regolarità ed il patetico, sebbene non possa paragonarsi nell’eleganza dello stile e nell’armonia della versificazione co’ Torrismondi e colle Semiramidi. […] Il primo incontro della figliuola col re nell’atto II è quale avviene nella tragedia greca tra Ifigenia ed Agamennone, gli stessi equivoci sentimenti e ’l medesimo cordoglio raffrenato all’apparenza in Sileno, le stesse naturali ed innocenti dimande sulle sue nozze in Alcinoe. […] Una delle più interessanti tragedie di questo secolo è il Solimano del conte Prospero Bonarelli gentiluomo Anconitano, la quale s’impresse nel 1620, e fu dedicata a Cosimo II granduca di Toscana. […] S’impresse la prima volta nel 1644, e poi di nuovo nel 1665 con un discorso in sua difesa, nel quale anno si recitò nel seminario Romano.
Con quale applauso vi fossero accolte e con quanti privilegii onorate, vedasi da’ fatti seguenti. […] Pure da quale classico scrittore ciò si ricava? […] Lo riceve poi Argirippo, il quale con questa chiave riapre quell’uscio che gli era stato chiuso in sul viso. Si destina la cena, alla quale vuole intervenire lo stesso Demeneto. […] Lo scioglimento avviene per l’arrivo del servo di uno de’ commensali, il quale scuopre a Teuropide la verità dello stato della sua famiglia.
La Compagnia era quella stessa della quale parla il marito Francesco (V.) « tale che pose termine alla drammatica arte, oltre del quale non può varcare niuna moderna compagnia di comici. […] ), quella fama dalla quale fu celebrata in questa medaglia che le conjarono in Lione, specialmente se ci facciamo a ripensare gli altissimi onori ch’ella ebbe di ritratti, di rime, di famigliarità di sovrani. […] In mezzo a tanti trionfi, a tante attestazioni di schietto entusiasmo all’artista, alla poetessa, alla donna, la povera Isabella, nel rigoglio della vita e dell’ingegno, dovè soccombere miseramente, improvvisamente, nè pure colla soddisfazione di veder pubblicate le sue Lettere, ultima delle opere alla quale aveva posto ogni cura, e alla quale portava uno speciale amore. […] Il quale ancora in uno de’Suoi Capitoli alla Carlona (Trento, per Gio. […] A noi Messer Veridico è paruto mill’ anni d’ auer desinato, per uenire a farci pagar da uoi quel debito, al quale uolon-tariamente obligato ui sete.
Un nuovo informo presone da’ savj e candidi amici di Madrid venuto dopo l’impressione del tomo IV, ci obbliga a dare al vero la presente spiegazione, la quale lascia nel pieno suo vigore la riferita Nota.
Sposa a un Giustiniano Mozzi, primo amoroso,n’ebbe due figli : uno maschio, il rinomato tenore, e una femmina, attrice di qualche pregio per le parti di prima donna giovine, colla quale essa fu in America nella Compagnia di Tommaso Salvini.
Da questa passò in quella di Adelaide Ristori, colla quale si recò fuor d’Italia.
.), mantovano, nato il 1568 da Giovanni e Buona De’ Bonomi, al quale Gio.
Esordì con la Battaglia, come generico di niun conto, poscia, a dar pieno sfogo alla sua viva passione per l’arte, entrò in una compagnia di infimo ordine, ove s’innamorò della prima donna, giovinetta di qualche pregio, che sposò più tardi e col padre della quale formò compagnia.
La primavera dell’anno 1750 recitò in Genova ; e si produsse con un Prologo scritto in versi sciolti dal medesimo Paganini, che trovasi fra le di lui rime manoscritte, il quale incomincia : Qual timor, o compagni,e qual ribrezzo sì vi sorprende, il vostro passo arresta, e vi rende da voi tanto diversi ?
Bologna, Firenze, Genova, ed altre città applaudirono al suo modo di condurre e dirigere una società di persone abili nel loro mestiere con decoro, e con quella riputazione che ha formato il suo buon nome. » Scorreva il 1781-82 la Lombardia con la compagnia, la quale, benchè in gran parte modificata, non gli scemò punto il favore del pubblico.
Luca di Venezia, nel quale anno pubblicò La clemenza nella vendetta, commedia in versi di Giovanni Palazzi (Padova, Conzatti), dedicandola con una epistola in versi e in dialetto veneto al Pantalone Garelli (V.).
Bianca Iggius, la più elegante forse delle nostre attrici, è anche fra le più innamorate dell’arte sua, nella quale mostra certe attitudini, specialmente per le parti comiche.
Era la prima donna della Compagnia di tal bellezza maravigliosa, che il Laurenziis se ne invaghì, corrisposto : e provò, pare, tutti i tormenti della gelosia pel pittore napolitano Domenico Brandi, il quale, affascinato dalle rare doti di lei, riuscì a entrar, con donativi da pazzo, nelle sue grazie.
Fu sempre, moglie esemplare, nella Compagnia del marito, col quale si allontanò dall’arte.
Fu il '66 con Garibaldi, poi attore di qualche pregio fino al '73, nel quale anno si stabilì a Milano, dedicandosi allo scrivere pel teatro.
Recitò ne'suoi primi anni d’arte una commedia, nella quale, sotto nome di Zanetto, rappresentava ammiratissimo diversi personaggi.
Da questa passò poi, sempre col marito, in Compagnia Feoli e in quella di Bellotti-Bon, nella quale cominciarono i primi sintomi del male che dovean condurlo alla tomba.
Bartolommeo Zamberti veneziano compose la Dolotechne, e Giovanni Armonio Marso la Stephanium commediaa, nella quale fece egli stesso da attoreb. […] Giano Anisio, ossia Giovanni Anisio napoletano dell’Accademia del Pontano compose la tragedia Protogonos pubblicata nel 1556, su la quale fe poscia il commento Orazio Anisio suo nipote. […] I contemporanei ed i posteri riconobbero la forza e lo splendore delle sentenze e delle parole di questa Pioggia d’oro, per la quale la tragedia cominciò a favellare con dignità e decenza. […] Ma in contracambio dove campeggia il patetico del greco pennello egli ritiene interamente le più importanti scene, come quelle di Medea che cerca ed ottiene da Creonte un giorno d’indugio alla sua partenza, tutte quelle che ha con Giasone, il racconto della morte del re e della figliuola, nel quale però si è il Cosentino nella conchiusione astenuto dalle sentenze accumulate dal Greco tragico. […] Vedi l’epistola 35 del libro XXIII di Erasmo, il quale però parmi che lo chiami Pietro; ma Giano Parrasio che lo commenda assai, e lo considera come il restauratore dell’antica decenza del teatro, e Paolo Giovio, e Pierio Valeriano, e Leandro Alberti che lo conobbe in Roma, tutti lo chiamano Tommaso.
Figlio del precedente, nato a Padova il luglio del 1827, fu iniziato allo studio del disegno, diventando in breve una lieta promessa nell’arte del pennello, nella quale si addestrò presso l’Accademia di Firenze. […] “Un medico, un medico,” — gridan tutti. — Accorre un medico qualunque, il quale tasta il polso all’ Infante, e constata che con un brodo ristretto e una bistecca tutto può passare. […] E di tra le tante testimonianze di ammirazione e di gratitudine ch'egli ebbe da tutti i pubblici nostri e di fuori, scelgo il bel sonetto di Paolo Costa che la Direzione degli Spettacoli di Faenza gli offriva il 20 luglio 1861 : a TOMMASO SALVINI insigne attore italiano nel duplice aringo di melpomene e di talia a niuno secondo la direzione degli spettacoli in segno di altissima ammirazione Se avvien che l’uom per questa selva oscura de la vita mortale il guardo giri, e vegga con che legge iniqua e dura amore i servi suoi freda e martiri ; e quale avara ambizïosa cura faccia grame le genti, e i Re deliri, esser non può, se umana abbia natura, che al destin non si dolga e non s’adiri. […] L'ultimo e nuovo suo trionfo può dirsi oggi la lettura della miglior parte di una tragedia inedita di Cimino, Abelardo ed Eloisa, nella quale egli sa risvegliare tutta l’antica forza. […] Quando un artista a quasi sessant’anni affronta per la prima volta il personaggio di Coriolano, e a oltre sessanta quello di Jago, e a settanta infonde lo spirito a nuovi personaggi con la sua bocca forte, e a settantacinque pensa attraversar l’oceano per sostener le fatiche dell’artista in ben trenta rappresentazioni e nelle più importanti opere del suo repertorio, noi siamo certi di poter chiedere alla sua fibra titanica una nuova e gagliarda manifestazione del genio nel giorno primo di gennajo del 1909 : solennissimo giorno, nel quale il vecchio e il nuovo mondo si uniranno in un amplesso fraterno di arte a dargli gloria.
Dotato della ragione, dono divino della suprema sapienza, epli è dalla natura formato per la società, alla quale inevitabilmente vien tratto dal bisogno di sussistere agiatamente. […] Or quale antidoto forniscono le stesse leggi contro questo lento veleno che serpeggia per le nazioni e le infetta? […] Abbisogniamo adunque principalmente in tal tempo di un saggio educatore che alla giornata ci ammonisca, e ci mostri passo passo fedelmente il mondo civile e quale egli è infatti e quale esser dovrebbe. […] E giacchè con non isperata benignità accolse il pubblico il saggio che ne diedi l’anno 1777 nella Storia critica de’ teatri in un sol volume in ottavo, ho voluto, invece di riprodurla quale allora la pubblicai (come diverse volte ne venni gentilmente invitato dalla Società tipografica di Nizza, e da qualche librajo Veneziano e Napoletano), rifonderla ed ampliarla non di parole ma di nuove cose comprese in cinque volumi oltre di un’ appendice. […] Che se gergone rassomiglia anche al jargon de’ Francesi, quale in ciò è la mia colpa?
Vengo all’eruditissimo Signor Marchese Maffei, il quale rimuove il Carretto dal numero de’ Poeti Tragici. […] L’altra Sofonisba è quella di Gian Giorgio Trissino, della quale si contrasta il tempo della rappresentazione, il merito tragico, e il pregio dell’invenzione. […] In quale edizione del Giraldi avete ciò letto? […] E molto meno seguiterebbe a cercar di deprimere la Sofonisba col criticare la scena che siegue alla morte di questa Regina, allorchè viene Masinissa, la quale scena all’ Apologista sembra freddissima. […] Essi si combattono: il Signor Sedano presume che il Perez potesse nascere verso il 1497. il Signor Lampillas, il quale, pel suo intento, ha bisogno di alcun anno di più, risale sino al 1494., o 1495.
In quale angustia mi riduce l’accusa che son per proporre fattami dall’Apologista! […] Or quale è dunque (incalzerà il Sign. […] La conobbe ancora mirabilmente M. de Voltaire, il quale alla intelligenza scientifica accoppiava la vivacità della fantasia e l’energia de’ sensi, cose singolarmente richieste a sentire, e conoscere se altri sente le passioni e nella società e nel teatro. […] Or quella chiamasi sensibilità, la quale poco solleva la voce in petto di quel Dotto. […] Domando adunque, se mostri punto di sensibilità questo Critico, il quale, come farebbe tra i gelsomini, e le violette un rinoceronte, rimane nauseato delle amene felicissime descrizioni del Tasso, fin anco dal P.
Nella prima si dipinge una specie di Cimone del Boccaccio, il quale non per amore ma per onore diviene scaltro, cangiamento che si rende verisimile per la durata dell’azione di più mesi. […] Ha costui due figliuole, la prima delle quali vorrebbe dare a Don Lucas il quale però ama l’altra sciocca e semplice al pari di lui. […] L’avvocato Nicolàs Fernandez de Moratin già lodato fra’ tragici si provò anche nel genere comico, e nel 1762 impresse la sua Petimetra, nella quale, ad onta di una buona versificazione, della lingua pura, e della di lui natural vivacità e grazia, riuscì debole nel dipingere la sua Doña Geronima e sforzato ne’ motteggi, e cadde in certi difetti ch’ egli in altri avea ripresi. […] Gonzalo e del Marchese, nel quale con molta grazia si mette in ridicolo il raguettismo di coloro che sconciano il proprio linguaggio castigliano con vocaboli e maniere francesi, del cui carattere diede in Ispagna l’esempio il rinomato autore del Fray-Gerundio. […] Ecco quanto un degno poeta Spagnuolo di questi giorni me ne ha scritto da Madrid in data de’ 6 di ottobre del 1789: oqq;Il nominato Don Ramòn (il quale, secondo che egli stesso ridicolamente millanta, ha di V.S. trionfato nel Prologo del suo Teatro) ultimamente ha composta una Loa che si rappresenta nel teatro del Principe, di cui a’ miei dì non penso di veder cosa peggiore”.
) pubblica una patente del Duca Ferdinando in data 3 aprile 1680, colla quale si nominava virtuosa di camera, Apollonia fu Lauro Bertani, nostra suddita, cantante già in diversi teatri ; e altra in data 24 ottobre 1683, così concepita : avendo concesso il nostro genitore al fu Lauro Bertani comico e dopo lui ai suoi figli la facoltà di noleggiar sacchi in questa nostra città in ragione di un soldo per sacco al giorno, confermo ai figli Apolonia e Antonio, vita loro durante, tale privilegio.
Fu poi col Domeniconi, colla Petrelli e Fabrizi sino al ’56, in cui tornò nella Compagnia di Luigi Pezzana, col quale stette tutto l’anno comico ’58.
Poi, sposatasi al Buccellati, lo seguì nelle varie compagnie or prima attrice giovine, or prima attrice assoluta, traendo tutto il giovamento che potè dalle sue valorose maestre, Anna Pedretti e Adelaide Tessero, la quale, con Luigi Monti, ebbe sempre parole di calda ammirazione e di schietta affezione per la gentile artista, che in pochi anni, dopo di avere esordito l’ ’86 a Torino colla parte di Bérangère nell’Odette, si trovò a interpretare in Italia e fuori, e con plauso dovunque, le più forti opere del teatro moderno, quali Francillon, Moglie ideale, Casa di bambola, Trilogia di Dorina, Rozeno e altre assai.
Prencipe Alessandro, il quale ha negata altra volta il Milanta Dottore richiestole per il medesimo effetto, habbia voluto adesso permettere che Capellino Pantalone lasci la sua Compagnia per andare in Francia, mentre hauendo l’A.
Condusse poi varie compagnie in società con altri, e finalmente entrò in quella primaria di Antonio Raftopulo, dalla quale si allontanò il 1830 per ridursi nella sua Volterra, ove morì nel 1845.
Nel 1831 ebbe Compagnia in società con Giovanni Falchetti, nella quale figuravan elementi assai più che mediocri, quali la Falchetti prima donna, la Buzzi madre, il Carrani primo attore, il Tessero tiranno, il Pellizza caratterista, Luigi Robotti, Cesare Fabbri, ecc. ecc.
Innestatosi nella Compagnia Blanes, restò quindi col Vestri, manifestandosi, quale si pregia di essere, felice allievo del Pertica.
Nata il 1764 in Ancona da un garzone di sarto e da una rivendugliola di abiti vecchi, s’innamorò a vent’anni di un giovane della sua condizione, dal quale, abbandonata, fu per morirne.
Dopo di avere recitato fra gli accademici le parti di prima donna, sollevando all’ entusiasmo nella Zaira di Voltaire e nella Perselide del Martelli, risolse con un fido compagno, Orazio Zecchi, di formare una Compagnia tutta di giovani, colla quale si recò nella Marca anconitana, ov' era vietato alle donne di presentarsi in Teatro, e ove s’ ebbe i più completi trionfi.
Tornato in quella Diligenti, di cui era parte Tommaso Salvini, vi assunse il ruolo di caratterista, nel quale fu con Serafini e Buzzi, con Angeloni e con Tina di Lorenzo e Paladini.
. – Fortunatamente non restò lungo tempo in quello stato di alterazione, e viveva ancora tranquillamente in Bologna nell’anno 1782 al tempo del Bartoli, il quale, alludendo alla sua separazione dal marito, di cui ella apprese con dolore la morte, le dedicò colla solita vena dozzinale il seguente epitaffio : Moglie fui per virtù di quel gran sì, che detto retroceder non si può.
Moglie del precedente, recitò nella Compagnia di Dresda a fianco del marito, e sostenne nel Zoroastro di Rameau la parte di Cenide, giovine selvaggia indiana ; ma il suo ruolo ordinario era quello di Colombina, pel quale non parve secondo il cronista del tempo, molto tagliata.
Abbiamo in molte lettere dell’Archivio di Modena precise notizie di questo comico, il quale fu rinomatissimo artista sotto la maschera del Dottore, e col nome teatrale di Dottor Brentino, a differenza del suo omonimo Giovan Angiolo Lolli che sotto la stessa maschera fu celebre in Francia col nome di Dottor Baloardo. […] ra Duchessa di lorch, là quale non inuidia punto la Generosità del nostro Ser.
Ponti Diana, « Comica desiosa – dice il Quadrio – detta in commedia Lavinia, fiorì con Agata Calderoni, della quale fu molto amica. […] ma, per andar aspettando in diuersi luoghi il tempo del Carneuale, al quale dourà tornar poi alla Mirandola, et hauendo risoluto di passar principalmente per Modena, per ueder se fia di gusto à Vostra Altezza, che per tre o quattro giorni ui si trattenga recitando, hò uoluto accompagnarla di questa mia, per assicurar l’Altezza Vostra Ser.
Nè anche vide ivi addotta la notizia della Tragedia, a noi non pervenuta, di Giovanni Manzini della Motta, rammentata però in una delle Lettere Latine dell’Autore, il quale nell’idearla vi ebbe il merito di mettere in iscena, al pari del Mussato, una storia nazionale, cioè la caduta di Antonio della Scala Signore di Verona. […] Compatirei il Lampillas, come straniero, del non aver lette le Opere del Mussato, nè la Raccolta degli Scrittori delle cose Italiche del dottissimo Muratori, nella quale si rapportano le di lui Tragedie, e di non aver contezza della Commedia ESISTENTE del Vergerio. […] Erano infine rozze e sacre rappresentazioni le Commedie Italiane del medesimo tempo, la Catinia traduzione della Latina di Secco Polentone Lusus Ebriorum, i Menecmi, il Cefalo Pastorale del Correggio, il Timone del Bojardo, l’Amicizia del Nardi, della quale soltanto dice qualche cosa l’Apologista?
Anche Tommaso Naogeorgus nato in Straubinge nella Baviera l’anno 1511 e morto verso il 1578, il quale intendeva il greco, ed avea tradotte varie opere di Plutarco, di Dione Crisostomo e del Sinesio, volle adoperare in contese di religione la scenica poesia. […] In Heidelberg compose ancora Antonio Scoro di Hocchstraten una commedia rappresentata da’ suoi scolari, nella quale si personificava la Religione che andava mendicando alloggio tra’ grandi, ed era esclusa, e veniva raccolta da’ plebei. […] Aurelio Giorgi-Bertòla non si prefisse di ripetere così da lungi i passi scenici degli Alemanni, allorchè nel Discorso premesso alla tradizione degl’Idilii di Gesner promise un Saggio storico critico sul la poesia alemanna, il quale dovea abbracciare il tempo scorso da Opiz sino a’ nostri giorni .
Appassionatissima dell’arte comica, trovò modo di mostrare la sua grande attitudine a Giovanni Roffi, col mezzo del quale, fu accettata l’anno 1769 nella Compagnia di Pietro Rossi, di cui faceva parte Francesco Bartoli. […] Quel soli è del Gozzi, il quale anche aggiunge essere stato quello un prezzo miserabile ad una povera comica obbligata ad un vestiario teatrale decente, e alle spese de’viaggi frequenti, ecc. ecc. […] di gratitudine profonda, della quale volle subito dar prova, o mostrar di dar prova, chiedendo, e ottenendo.
Scioltosi dalla società, ma rimasto in compagnia come scritturato, ne uscì dopo undici anni per passare in quella di Belloni e Meraviglia, nella quale stette quattr’anni. […] Ne uscì per formare una gran Compagnia, che durò quattr’anni (1847-’48-’49-’50) con grande fortuna, e della quale ecco l’elenco : ATTRICI Adelaide Ristori Socia dell’ Accademia di S. […] Così accadde, cito il maggiore esempio, di Tommaso Salvini, il quale se a Gustavo Modena dovè la ispirazione e la concezione e il metodo tutto moderno di esposizione, a Luigi Domeniconi dovè certo il metodo dello studio analitico.
Il 1614 era a Genova, come appare dalla lista di comici pubblicata al nome di Bernardini, nella quale figura, oltre a Gio. […] Dietro il quale esame, noi non sapremmo in che modo rispondere con precisione alle fatte dimande. […] Ed ora metto qui la terza e quarta ottava, che traggo da un suo poemetto, non citato da alcuno, ch’io mi sappia, il quale ci dà un’ idea dell’ ingegno poetico di lui, e del tipo ch’ egli rappresentava in teatro.
Comico, istoriografo e poeta egregio, del quale si discorre distesamente al nome di Vincenza Armani, fiorì nella seconda metà del secolo xvi, recitando le parti di Innamorato sotto il nome di Aurelio. […] Andreini Francesco) lo troviamo conduttore di una Compagnia a Milano il 1583, della quale eran parte il pantalone Braga e lo Zanni Pedrolino (Pelesini). […] Questa è la Coppia uera, Che quale Hermafrodito Non pur duo Corpi insieme Ma l’Alme vnisce, e intiera Fa vna sostanza, e un seme.
Spento improvvisamente il marito, ella, nella quale non era mai l’amore per lui attenuato, ne restò così annichilita che dovè dopo soli sette mesi soccombere in Verona, nell’ancor verde età di 28 anni.
Benedetto di Venezia ; poi, mercè le istruzioni di Giuseppe Majani detto il Majanino, potè darsi all’arte comica, nella quale apparve come seconda donna, ottenendovi un successo inatteso, prodigioso.
L’ ’86 fu scritturata prima attrice giovane a vicenda con altra alunna, Olga Della Pergola, poi con Ida Carloni in Compagnia Pietriboni, che lasciò dopo due anni per andar prima attrice giovane assoluta in quella di Serafini, poi, collo stesso ruolo, in quella formata da Michele Fantechi, del quale diventò ben presto la moglie.
Il '66 si ritirò dalle scene per unirsi in matrimonio con certo Enrico Finizio, negoziante in seta, il quale, dopo pochi anni, dovè per infortunj commerciali abbandonar Napoli, e recarsi con la moglie a Roma, ove vivon tuttora agiatamente, lontano dal teatro.
Moglie, forse, del precedente, fu artista di grandissimo pregio : e la vediamo onorata di applausi a Padova il carnovale 1747 quand’era con Onofrio Paganini, il quale per la bella interpetrazione del personaggio di Armellinda nel Rinaldo di Carlo Goldoni, le dedicò il seguente SONETTO Benchè a lui che la Gallia e il mondo onora svelar non osi il concepito affetto per il zelo d’onor, che nutre in petto, tacita amante il gran Rinaldo adora ; pur nel silenzio istesso è bella ancora, e dimostra l’ardor nel cor ristretto.
La prima é la signora Elisabetta Caminer Turra veneziana, la quale accoppia il gusto più squisito alle più belle e rare cognizioni. […] Ma gli si attraversò un altro ingegno, il noto signor abate Chiari, il quale, non volendo fecondare il sistema del Goldoni riguardo allo smascherare i commedianti, impedì forse la cura radicale degli abusi. Goldoni annoiato cesse al tempo, e cangiò cielo, e in Parigi ha composta una commedia francese intitolata le Bourru Bienfaisant, la quale gli ha prodotto oro ed onore. […] Son rari assai coloro che fanno dare agli altrui pensieri quell’aria di naturalezza che si scorge in Metastasio, la quale fa sì, che si accordano con tutto il resto, e non se ne offende l’uguaglianza dello stile. […] Il Cinna é una tragedia, la quale ha per fine di commuovere lo Spettatore: il Tito é un’Opera, che ha per oggetto di commuoverlo e di appagarne l’occhio.
Sotto Augusto, il quale pure incominciò un Ajace, Aristio Fusco scrisse commedie togate: un altro Cajo Tizio (diverso dall’oratore soprannomato) secondo Orazio fu buon poeta lirico e scrisse ancora tragedie: Ovidio fece una Medea, della quale abbiamo un frammento in Quintiliano: e il famoso Mecenate, oltre a’ varii poemi, compose alcune tragedie, come il Prometeo citato da Seneca, e l’Ottavia mentovata da Prisciano. […] Ma Elio Donato e Servio credettero che il Tieste fosse stato scritto da Virgilio, e dato alla moglie di Vario, la quale coltivava le lettere, e che di poi da costui si fosse pubblicata come propria. V’è chi sospettò che fosse opera di Cassio Severo Parmigiano, del quale parla Orazio nell’epistola ad Albio Tibullo115. […] Principia la prima scena con una declamazione o elegia generale di Ottavia, la quale esce e si ritira senza perchè. […] Brumoy, il quale in parlando della Medea di Euripide, ne ha fatto il paragone con questa di Seneca, nella quale ha notate molte rare bellezze e varii tratti degni di ammirazione.
Non so per quale gotica stranezza di gusto i Critici pedanti rendono problematiche le verità più manifeste. […] Nel Mitridate la compassione è più per Monima che pel protagonista, il quale poco più del nome ritiene di quell’irriconciliabil nemico de’ Romani; e si vale di un’astuzia poco tragica per iscoprir gli affetti di Monima. […] Senza dubbio Racine apprese tal pratica da Menandro, il quale, come già osservammo, non cominciava a comporre i versi delle sue favole prima di averne disposto tutto il piano. […] Dopo alcune scene galanti, elegiache al pari delle già indicate, comparisce nell’ultima Solone moribondo, il quale si mette a declamare lungamente con tutta l’inverisimiglianza per uno che stà spirando, e racconta verbosamente che Policrita, non è sua figlia e che si chiama Cleorante. […] Ma quale scopo si prefigge morendo con iscoprire il cambio fatto?
La Cruz, il quale compose Briseida Zarzuela Heroica in due atti posta in musica da D. […] Cinque scene compongono l’atto I, in cui deliberata la restituzione di Crisia, Agamennone fa togliere Briseida ad Achille, il quale si allontana dal campo. […] Circonda la fascia superiore di questa scalinata un corridojo oscuro che anche si riempie di spettatori, ed a livello del primo scaglione inferiore havvi un altro corridojo, nel quale v’è gente in parte seduta in una fila di panche chiamata barandilla (ringhiera) ed in parte all’erta. […] Lampillas Catalano oggi dimorante in Genova, il quale non mai avea veduto Madrid, volle dubitare della verità di questa descrizione per suo natural costume di non credere che a se stesso ed a’ suoi corrispondenti che l’ingannano con false notizie. […] Huerta, il quale contro questa mia breve narrazione su i teatri di Madrid ha diretta una tremenda batteria fluttuante di undici pagine ed otto versi del suo gran Prologo, cui nulla manca che un morrion.
Capitano della guardia nazionale nel ’48, dovè, privo di risorse, dopo la restaurazione borbonica, darsi all’arte del comico, nella quale fece discrete prove.
Fece i suoi primi studi in un istituto a Firenze, ed entrò a undici anni, nel collegio Borde di Milano, dal quale uscita dopo cinque anni fece dolce violenza al padre perchè la lasciasse tentar la prova della scena.
Uscito Giovanni Ceresa dalla Compagnia di Luigi Pezzana, fu chiamato a sostituirlo il Contini, il quale passò di trionfo in trionfo interpretando i caratteri più disparati, come il Foscolo e il Raffaello, ch’egli rendeva, più che con delicatezza di contorni, con maschio e gagliardo colorito.
Battista da Treviso), poi con tutte due nella lettera dei Comici Costanti, senza data, ma diretta da Ferrara al Duca di Modena, reclamando la partizione di trenta zecchini dal Pantalone Scarpetta (V.) il quale non solo vuol tenerli per sè, ma neanche vuol seguire la compagnia, adducendo la ragione del caldo soffocante.
Nato a Livorno il 21 agosto del 1844, dopo di avere studiato tra’filodrammatici sotto la direzione di Vittorio Benedetti, esordì come secondo caratterista nella Compagnia di Ciotti, Marchi e Lavaggi, dalla quale passò, dopo un solo anno, in quella N.º 1 di Bellotti-Bon, sotto l’artista Antonio Zerri, poi in quella che lo stesso Zerri formò in società con Lavaggi.
Dalla Compagnia Pellandi-Blanes, passò il 1817 in quella di Raftopulo, qual prima attrice assoluta, in cui si sposò all’attore Luigi Fini ; e tale fu l’entusiasmo destato dovunque, che il gran Luigi Vestri, allora capocomico, stipendiato dal Duca Torlonia di Roma, la volle con sè ; e non tardò molto che il pubblico romano, il quale avea già proclamato Carolina Internari la prima tragica del suo tempo, non proclamasse Teresa Fini attrice insuperabile nella commedia e nel dramma.
Recitò lungo tempo a Venezia e specialmente nel Teatro di San Luca, pel quale dettava il Goldoni le sue commedie.
Tuttavia, alla deficienza fisica sopperì largamente con la intelligenza, mercè la quale, toltosi dal recitare, diventò uno de' più abili capocomici e direttori.
L'ultimo dei Meneghini, nato a Milano il 1811, fu prima compositore nella tipografia teatrale Brambilla ; poi, accarezzato il sogno di eccellere in arte come attore tragico, si scritturò, dopo alcune prove con dilettanti, al Teatro Lentasio, come generico nella Compagnia di Antonio Giardini, della quale sposò la prima attrice giovine Amalia Pasquali.
Ai primi tempi della sua vita artistica, egli recitò nelle commedie all’improvviso con le maschere, riuscendo attore di gran pregio : e ciò gli fu di gran soccorso più tardi nella recitazione del Bugiardo, il quale rappresentava in modo vario, ogni sera, sì da esser reputato in quella parte superiore al gran De Marini.
Allora Francesco Riccoboni riuscì a ottener dalla Corte un ordine, mercè il quale fu trattenuto pei creditori un terzo della sua paga sino al dì della sua morte, che fu per apoplessia il 24 ottobre del 1731.
Fu detto Goldoncino per essere stato alcun tempo copista di Carlo Goldoni il quale con lettera del 17 marzo 1759 da Roma (V.
E Trautmann lo cita nel suo prezioso studio de' comici italiani alla Corte bavarese, fra gli attori che recitarono a Monaco il 1570, al quale furon pagati 40 fiorini.
Il dottor Paglicci-Brozzi pubblicò (Scena ill.ª del 15 ottobre 1890) una Supplicatione di lui al marchese d’Ayamonte don Antonio de Guzman governatore per Sua Maestà Cattolica in Italia, in data 25 di giugno 1574, la quale comincia : « Alli giorni passati essendo a Cremona la Compagnia dei Comici Confidenti, et fra loro il fidelissimo servo di V.
Sposò il 30 luglio '42 l’attore della Comedia italiana, Dehesse (il suo vero nome, dice una nota manoscritta del Gueullette, era Hesse), olandese, figlio di francesi, dopo cinque anni almeno di contrasti penosi, cagionati da certa Maria Maddalena Hamon, la quale, vissuta lungo tempo con lui, e presentata a più persone come sua moglie, pretendendone i diritti legali, si opponeva al matrimonio.
Marchese di Vigolino, à quale rapresentai li interessi della Compagnia e uiaggio conforme l’appuntato con V. […] E. quale m’honorerà di sub.ª risposta p. il pnte Pedone, con qualche da me desiderato comando, e qui resto.
Ma la lettera più curiosa, e che ci mette al nudo Drusiano e Angelica nella lor intimità conjugale, è quella che il Capitano Catrani scriveva di Mantova il 29 aprile '98 al Consigliere Cheppio, riferita anch' essa per intero dal D'Ancona (ivi, 523), nella quale spicca in mezzo alle accuse di uomo falso, calunniatore, senza onore, infame, questo brano edificante : Mentre Drusiano è stato ultimamente in questa città che son da cinque mesi in circa, à visso sempre de mio con il vivere ch' io mandavo a sua moglie, et egli atendeva a godere e star alegramente sapendo bene de dove veniva la robba, et comportava che sua moglie stesse da me et venisse alla mia abitatione, et non atendeva ad altro che a dormire, magnare, et lasciava correre il mondo : come di questo ne farò far fede avanti S. […] Da lungo tempo durava la tresca fra il Catrani e l’Angelica, se v'era di mezzo un figliuolo di sei anni, tenuto sempre dal Catrani che l’amava, e or per vendetta disputatogli al Duca dal Martinelli, il quale non cessò mai di vituperar la moglie, scacciandola di casa, e obbligando così il Catrani stesso a provvederla di un letto e lasciarli tanto da alimentare il figliuolo, se non volea che andasse mendicando, ovvero aprisse bottega pubblica.
N’è stato l’architetto il portoghese Giuseppe Costa, il quale, come affermano i nazionali, studiò più anni in Italia. […] Circonda la fascia superiore di tale scalinata un corridojo oscuro che anche si riempie di spettatori, ed a livello del primo scaglione inferiore havvi un altro corridojo, nel quale v’è gente in parte seduta in una fila di panche chiamata barandilla (ringhiera) ed in parte all’erta. Il rimanente del popolo assiste parimente senza sedere nel piano dopo la luneta, il quale si chiama patio, cortile. […] Entrambi i teatri hanno tre ordini di palchetti simili a quelli de’ teatri italiani per le dame, ed altra gente agiata; l’ultimo de’ quali men nobile è nel mezzo interrotto da un altro gran palco chiamato tertulia perpendicolare alla cazuela, dal quale gode dello spettacolo la gente più seria, e singolarmente gli ecclesiastici. […] Garcia de la Huerta, il quale contro questa mia breve evidente narrazione de i teatri di Madrid diresse una tremenda batteria fluttuante di undici pagine ed otto versi del suo formidabile Prologo, cui nulla manca che un morrion.
Ode in quel punto che Fernando è prigioniero ; si agita ; si volge ad Enrico ; il quale promette di salvarlo e parte. […] Non si può dire quale indignazione prese taluno che potè leggerla per lo strazio che ne fece. […] Scrisse la prima ad emulazione di quella del conte Alfieri, nella quale piacquegli far morire. […] Ma può egli tenersi pel Bruto della Toscana quale pretese dipignerlo l’autore ? […] Non saprei dir poi quale oggetto si prefisse l’autore in questa tragedia.
Il Meursio le attribuisce all’Ateniese il quale secondo Suida ne compose quarantasette, e fu cinque volte dichiarato vincitore. […] Al Carisio si attribuisce la favola detta Mactata, della quale Grozio reca questo frammento, τό γηρας εστιν αυτὸ νοσημα, la stessa vecchiaja è un morbo . Del poeta Difilo che meritò il soprannome di κωμικωτατος, comicissimo, come ad Euripide si diede quello di tragicissimo, oltre a varii frammenti rapportati da Ertelio e da Grozio, è mentovata da Ateneoa la favola intitolata Saffo, alla quale dà per innamorati Archiloco e Ipponatte. […] Egli fu il modello di Terenzio, il quale di quattro di lui favole si valse, cioè dell’Andria, della Perintia, dell’Eunuco, del Tormentatore di se stesso. Citansi ancora con molti elogii altre sue commedie, il Colace, il Fasma, la Taide, della quale si ha questo frammento, Colloquia mores prava corrumpunt bonos, i Fratelli, di cui si conservano questi versi Communia amicos inter, non pecuniæ Tantum, sed et mens pariter et prudentia, l’Incensa, di cui Grozio traduce quest’altro squarcio, Pereat male qui uxorem ducere Instituit primus, tum secundus qui fuit, Tum tertius, tum quartus, tum postumus, e la commedia intitolata Plozietta (Plotium) imitata da Cecilio il più accreditato Comico Latino.
Contro alla quale si suole cercare il rimedio di quel parlottar continuo, del far visite, del cenare, e insino a quel rimedio che bene spesso è peggiore del male medesimo, il gioco. […] Al quale pongono così poco mente i nostri virtuosi, che del sostenerla e portarla a dovere, che è il gran secreto di muovere gli affetti, non fanno quasi studio niuno. […] Per le stesse ragioni non si vorrebbe così indifferentemente, come si pratica, abbandonare al musico la cadenza, la quale riesce per lo più di tutt’altro sentimento, di tutt’altro colore, che non è l’aria. […] E si direbbe che gl’Italiani hanno seguito il consiglio di quel Francese il quale facetamente diceva che, per rimettere il teatro, conveniva slungar le danze e accorciar le gonnelle.
Noto è pur troppo che barbaro di sua origine significò straniero, quale si considerava da’ Greci chi nasceva fuor della Grecia, e da’ Romani chi alla lor nazione non apparteneva. […] Carlo Denina, il quale (parte I del Discorso della Letteratura, art. 26) asserì che in Roma si stava peggio ancora nella tragedia che nella commedia. Quintiliano però, il quale ingenuamente confessava che i Latini zoppicavano nella commedia, non mai affermò altrettanto della tragedia. […] Non era adunque colà ancora introdotta la Romana Giurisprudenza, della quale non pertanto trovansi monumenti ne’ testamenti di san Remigio, di Chadoin di Bertramo, e di Ermentruda.
Anche il nobile Niccolò Correggio scrisse allora un Dramma sull’avventura di Procri e Cefalo e dell’Aurora, intitolandolo Cefalo, il quale è fuor di dubbio una Pastorale. […] 168.: “Nella serie storica de’ primi Autori delle Commedie Spagnuole dopo il Rueda si vede nominato il Castillejo, il quale certamente fiorì da’ primi anni di quel secolo sino al quaranta”. […] Noti ancora la Spagna e l’Italia, che l’istesso Apologista, il quale toglie a’ due Pellegrini del Tansillo il titolo di Dramma, che pure ha un’ azione che l’allontana dalle Ecloghe, l’istesso Apologista, dico, chiama coraggiosamente Dramma l’Albanio, in cui non v’ha operazione alcuna compiuta, nel che è posta l’essenza del Dramma, come è chiaro dalla stessa voce1. […] Or chi avrebbe pensato che il Lampillas, il quale volle escludere dal numero delle pastorali il Cefalo, e l’ Orfeo, non che i due Pellegrini degl’Italiani, ad onta poi di Garcilasso, e tutta la Nazione Spagnuola, avesse motu proprio a stimare, e nominar Dramma (nel rigore di tal voce) un’ Ecloga?
I due segni d’oro mandati da Filli ridotta all’estremo al suo Tirsi infedele, perturbano sommamente l’azione, che viene nobilitata nel V atto col pericolo della vita di Tirsi, il quale avendo gettati via que’ cerchi dov’era l’immagine del Sultano, per una legge è divenuto reo di morte. […] Nel medesimo anno si pubblicò la boschereccia detta marittima intitolata Dardo fatale da Giambatista Braganzano, il quale diede alla luce nel 1630 il Vendicato Sdegno favola pescatoria, e nel 1637 le Varie fortune boschereccia. […] Giandomenico Peri ne fu l’autore, il quale nacque in Arcidosso nelle montagne Sanesi. […] La di lui fama pervenne al gran duca, in presenza del quale lesse il poema intitolato la Fesuleide, e ne ottenne una pensionea.
Di un altro nobile oratore sa menzione Cicerone nel medesimo dialogo del Bruto, il quale sorpassò nell’eloquenza i predecessori e i contemporanei. […] Se ne querela con Lachete padre di Pamfilo, il quale ne va a far romore con Bacchide. […] Ambivio Turpione, il quale tolse sopra di se il carico di recitare il prologo per raccomandarla al popoloa. […] Si offende quella di tempo, perchè l’atto I con qualche scena del II esige il giorno, viene poi la notte nella quale si celebrano le Feste Dionisie, e nell’atto III fa giorno. […] Per quale strada mi farò a cercarlo?
Ma pare che ignorino costoro, come il restitutore dell’Inghilterra, l’amico del gran Federigo, sa ancora munire il suo ozio co’ presidi delle lettere, e come quella sua vittoriosa eloquenza colla quale egli tuona in senato, non è meno l’effetto della elevatezza del suo animo, che dello studio da lui posto nei Tulli e nei Demosteni, antecessori suoi.
Alla quale istanza non fu risposto ; e però l’ Andreazzo se ne andò a Roma, promettendo al Bentivogli che, ove S.
Il Ganassa pare fosse a Parigi sino alla morte di Carlo IX, 1574, anno in cui si recò in Ispagna con la compagnia, della quale era parte anche la maschera dell’Arlecchino, sebbene il Sand si contraddica, affermando che l’Arlecchino apparì in Francia la prima volta sotto Enrico III (I, 73) ; e raccontando poi come in un ballo di Corte sotto Carlo IX nel 1572, tutti i cortigiani vestissero il costume di una maschera italiana, e quello d’arlecchino fosse indossato dal Duca d’Anjou (Enrico III) (I, 43).
Arrivata a una certa età, e messosi assieme coll’arte sua un po’ di danaro, abbandonò le scene, stabilendosi a Mantova, dove comprò una casa presso il teatro, e propriamente quella vicino alla Torre del Zucchero, la quale, ben ammobigliata, affittava poi a’ comici che si recavan colà a far la stagione.
Poco tempo stette a Bologna fuor dell’arte ; chè, attratta di nuovo dagl’incantesimi della scena, finì coll’ abbandonare il marito e tornar collo zio Sacchi, in compagnia del quale si ripresentò sul Teatro di S.
Della Bon-Martini dice il Rossi nel 1° volume delle sue memorie (pag. 44) : …. mi occupai molto della direzione della compagnia, e specialmente della nuova prima donna, la quale, poveretta, faceva tutto quello che poteva ; ma le piaceva più cantare che recitare : e tale era la sua passione, che indusse anche me a cantare con lei.
Lasciò l’ arte per seguire una figlia ballerina ; maritata la quale, ritornò sulle scene, applauditissimo sempre, or con Pietro Rossi, or con Domenico Bassi, or con la Faustina Tesi, che molto aveanlo in pregio, benchè vecchio.
Cominciò a salire in rinomanza nella Compagnia di Angelo Lipparini, col quale tornò il 1847, dopo di essere stato con Domeniconi.
Egli si occupò molto di lei, e le prese un particolare affetto, che generò l’invidia e la malignità di tutte le comiche ; e specialmente della Bastona, la quale eccitava la Colucci alla ribellione, quando si assegnò alla Ferramonti una delle parti principali nella Fondazion di Venezia.
Fu con Gnochis (Alessandro Alborghetti), col quale fe’ non pochi progressi ; e passò poi con Pietro Ferrari il 1776.
Formò poi compagnia per far salire al grado di prima donna assoluta sua moglie Giovanna, avvenente e pregevole prima amorosa ; e dopo dodici anni di capocomicato, or fortunato or disastroso, si scritturò per un triennio in Compagnia Perotti, poi, il 1820, coi figli Luigi e Adelaide (Luigi, sposatosi alla figlia del capocomico Cavicchi, abbandonato dalla moglie, ridotto alla più squallida miseria, si suicidò, avvelenandosi, verso il 1828), in quella di Velli e Mascherpa, nella quale cessò di vivere la primavera del 1823.
Nacque a Perugia il 1865 da Carlo, artista comico egregio per le parti amorose che sostenne nelle Compagnie della Robotti, della Ristori, e più tardi di Ernesto Rossi, dal quale fu avuto in conto di attore elegantissimo e di Pilade eccellente.
Il D'Ancona (II, 534) riferisce alcune parole di Federico Zuccaro nel suo Passaggio per Italia con la dimora in Parma, pag. 28, riguardanti il 1605, nelle quali è detta la Compagnia di Frittellino, « la migliore forse che sia oggidì, guidata dal Capitano Rinoceronte e Frittellino, con le lor donne meravigliose, la Flavia, la Flaminia e la Rizzolina, con Arlichino e altri due, etc. etc. » Questa Rizzolina potrebbe anch'essere la Marina Antonazzoni, la quale, secondo l’articolo del Neri, avrebbe recitato ne' Gelosi le parti di serva sotto nome di Ricciolina, prima di salire al grado di prima donna sotto quello di Lavinia, a vicenda con la Roncagli.
Nel 1820, eccolo palesarsi autore drammatico col noto lavoro Bianca e Fernando, ch'ebbe successo clamoroso, e al quale tenner dietro I due sergenti, tuttora vivi nel repertorio popolare, Il carcere d’Ildegonda, Boemondo d’Altemburgo, e altri.
Salvatore il 13 agosto 1739 con Maria Claudia Duflos, dalla quale ebbe più figli, e dal 1754 in poi recitò anche i servi e i contadini.
A ciascuna si premise un rame disegnato or dal Solimena or da Andrea Vaccaro, ed inciso qual dal Tedesco Sedelmaïr, quale dal Napoletano Baldi, quale dal Veneziano Zucchi. […] Il pregio singolare del di lui stile è la gravità, la precisione e la verità che richiede la passione e il teatro per la quale costantemente il Conti schiva ogni vano ornamento. […] L’autore la chiamava impresa della prima sua gioventù, la quale verisimilmente l’avvicina all’epoca della publicazione delle tragedie del Maffei, del Zanotti e del Recanati. […] Le prime cinque scene dell’atto III sono impiegate negli amori di Cauno ed Idotea e nel disegno di Mileto su di costei dalla quale è odiato. […] Scrisse la prima ad emulazione di quella del conte Alfieri, nella quale piacquegli far morire Carlo ed Elisabetta abbracciati sotto le rovine d’un sotterraneo carcere.
Una assai fedele immagine di tutto ciò si può vedere tuttora nel teatro di Francia, dove l’opera vi fu trapiantata dal cardinal Mazzarino, quale era a’ suoi tempi in Italia. […] Della quale sconvenevolezza pur rimane ne’ primi drammi francesi un qualche vestigio. […] I soggetti cavati dalla mitologia, atteso il gran numero di macchine e di apparimenti che richiedono, metter sogliono il poeta a troppo ristretti termini, perché egli possa in un determinato tempo tessere e sviluppare una favola come si conviene, perché egli abbia campo di far giocare i caratteri e le passioni di ciascun personaggio; che è pur necessario nell’opera, la quale non è altro in sostanza che una tragedia recitata per musica.
Ma fu un inganno che si dissipò tosto che comparve a rischiarar le menti una sapienza più sona, più sobria, e più vasta, la quale insognò con maggior fondamento a rintracciar tale origine nella natura dell’uomo ch’é da per tutto l’istessa, e vi produce essetti simili. […] Esse più o meno remotamente hanno seco un rapporto proporzionato alla sensazione che ne ricevette la macchina, nella quale esso signoreggia e discorre di modo che le l’urto fu piacevole, cioé se scosse con soavità la tela de’ nervi, l’intelletto apprende per bene le forme che ’l cagionarono: se la scossa fu dolorifica, cioé se con maggiore asprezza esse incresparono quella tela, le contempla come male. […] Possiamo pur dire che ancora la nazione romana, la quale senza contrasto ricevette la drammatica dagli altri italiani e da’ greci, ne trovò nulladimcno da se sola i primi semi benché rozzissimi.
Le vide egli, se ne approfittò, e più oltre spingendo lo sguardo esaminò con maggior diligenza la natura, la quale essendo solita per lo più di corrispondere con una spezie di gratitudine a chi la contempla, si compiacque di premiarne le cure con manifestargli una parte de’ suoi misteri, e con alzare, per così dire, alcun poco quel velo di cui si ammanta. […] Ma fu un inganno che si dissipò tosto che apparve a rischiarar le menti una sapienza più sana, più sobria, più vasta, la quale insegnò con maggior fondamento a rintracciar tale origine nella natura del l’uomo ch’è da per tutto la stessa, e vi produce effetti simili. […] Queste più o meno remotamente hanno un rapporto proporzionato alla sensazione che ne ricevè la macchina nella quale esso signoreggia e discorre, di modo che se l’urto fu piacevole, cioè se scosse con soavità la tela de’ nervi, l’intelletto apprende per bene le forme che la cagionarono: se la scossa fu dolorifica, cioè se con maggiore asprezza esse incresparono quella tela, le contempla come male.
Le vide egli, se ne approfittò, e più oltre spingendo lo sguardo esaminò con maggior diligenza la natura, la quale essendo solita per lo più di corrispondere con una specie di gratitudine a chi la contempla, si compiacque di premiarne le cure con manifestargli una parte de’ suoi misteri, e con alzare, per così dire, alcun poco quel velo di cui si ammanta. […] Ma fu un inganno che si dissipò tosto che apparve a rischiarar le menti una sapienza più sana, più sobria, più vasta, la quale insegnò con maggior fondamento a rintracciar tale origine nella natura dell’uomo ch’è da per tutto la stessa e vi produce effetti simili. […] Queste più o meno remotamente hanno un rapporto proporzionato alla sensazione che ne ricevè la machina nella quale esso signoreggia e discorre; di modo che se l’urto fu piacevole, cioè se scosse con soavità la tela de’ nervi, l’intelletto apprende per bene le forme che lo cagionarono: se la scossa fu dolorifica, cioè se con maggiore asprezza esse incresparono quella tela, le contempla come male.
Agocchi Giovan Paolo, o Gioanpaulo dalli Agochij, detto Dottor Gratiano Scarpazon : così egli si sottoscrive in una lettera indirizzata da Roma al Duca di Mantova il dì 13 di novembre 1593, nella quale egli racconta come, perseguitato da un parente, fosse stato, senz’essere esaminato, due anni in prigione, poi lasciato in libertà, per la qual cosa si raccomanda al Duca di mandargli, o fargli avere qualche soccorso di danaro, acciò possa partire da Roma e fermarsi alcun po’a Bologna sua patria, per poi, di là, recarsi a Mantova a spasso a S.
Nel’75 diventò conduttore e direttore di una Compagnia propria, della quale fu anche il primo attore sino al’91.
Fu in Padova nel 1767, applauditissima : e terminato il Rossi l’impegno col Teatro del Marchese Obizzi, vi subentrò ella capocomica in società col Bugani sino al ’75 ; nel quale anno si condussero a Venezia nel Teatro Grimani a S.
Un rovescio impreveduto di fortuna lo costrinse ad abbracciar l’arte comica, nella quale riuscì mediocremente.
A poco più che dieci anni, la piccola grande artista abbandonò per sempre il teatro della scena per darsi con gran fervore a quello degli studj classici, nel quale anche riuscì, dicono, attrice preclara.
Il ’47 si recò a Siena a far la quaresima, nella stessa compagnia e collo stesso ruolo, al fianco della Ristori, prima attrice, e di Tommaso Salvini, amoroso ; il quale mi raccontò com’ella fosse veramente grande nelle amorosine goldoniane in genere ; e grandissima poi nella Contessa d’ Altenberg, in quella scena famosa in cui le sorge il dubbio che la madre le sia rivale, e per cui Salvini, spettatore tra le quinte, si commoveva alle lagrime.
L’atto terzo diveniva un gioiello per l’accordo, col quale i due attori eseguivano e sentivano quella famosa scena.
Era il 1796 con Antonio Morrocchesi, dal quale passò il 1800 con Domenico Verzura, direttore della Compagnia ligure ; e con lui divise poi per oltre vent’ anni le imprese teatrali.
Dal Nardelli passò con Voller e Bellati in società, che durò parecchi anni, dopo la quale formò solo una compagnia (1844) che gli procacciò lauti guadagni.
In tuttociò è probabilmente una grande fantasticheria del Bartoli, dacchè un tal Nardo Ferrasani esistesse davvero semplice servitore, il quale per la sua balordaggine passò in proverbio ; e solevasi dire in Palermo : Stupido come Nardo Ferrasano !
Dopo studiata la pittura con Matteo Borbone, partì da Bologna, ancor giovinetto, collocandosi in qualità di paggio presso un capitano di vascello ; il quale prese molto ad amarlo per averlo sentito improvvisar bizzarrie poetiche, e recitar maestrevolmente sotto la maschera del Dottore.
Morto improvvisamente il primo attore della Compagnia Battaglia (annegò nel Po con altri comici, mentre si recava da Pavia a Piacenza), il Patella andò a sostituirlo ; e, trovatosi in un campo adatto alle sue eccellenti qualità artistiche, potè ne'primi teatri d’Italia ottener successi clamorosi, confermati poi nel San Giovan Grisostomo di Venezia, dove, esordito col dramma di Monvel Clementina e Dorigny, tanto vi piacque, che la veneta aristocrazia disertò gli altri teatri per recarsi ogni sera a sentir lui, il quale, dopo alcune sere, nella creazione dell’Aristodemo di Monti e di Nerone nell’Agrippina di Pindemonte raggiunse il sommo del trionfo.
A richiesta del Duca di Modena, rispose accettando di far parte della di lui Compagnia, di cui eran principale ornamento i Calderoni Silvio e Flaminia, con lettera da Roma del 19 aprile 1679, nella quale si lagna acerbamente del malo trattamento de' capocomici verso di lui, che non sa nè dove spedire la condotta, nè chi la riceverà, nè in che piazze andrà, nè come sia composta la Compagnia, e che soprattutto s’è visto, con suo danno e rossore, metter fuori una seconda donna già scritturata d’accordo con lui, certa Angiola Paffi : « danno, hauendo seco un antico, e non poco concerto (cosa mendicata, e ricercata da ogni Moroso), e rossore per esser tenuto un parabolano, et un falso ; e dopo essermi consumato in Venetia ad aspettare la certezza et unione di questa donna, si ritratta al presente ciò che si deve per debito, essendo stata accettata e corrisposta da tutti. » E si raccomanda al Duca di ordinare che i comici gli scrivano, perchè egli possa con loro più apertamente discorrere. « Alla Paffi – conclude – in cuscienza et appresso Dio et al mondo non si deve mancare. »
Moglie del precedente, figlia di Gabriello ed Angela Costantini, fu prima attrice di qualche pregio ; ma per la figura piuttosto piccola, benchè gentile, la persuasero a passare al ruolo di serva, nel quale riuscì egregia per lo spirito e la spontaneità.
A questo punto cessano le notizie del Bartoli, il quale aggiunge che Alberto Ugolini « ne' suoi primi anni di comico esercizio fu un brillante Innamorato, e si distinse sostenendo tutte le parti principali nelle migliori commedie del Dottor Goldoni, recitando con grido Il Medico olandese, Il Filosofo inglese, Il Cavaliere di spirito, Torquato Tasso, ed altre rappresentazioni.
Osteggiato da' parenti, dovè, per darsi con tutto l’amore.all’arte drammatica, aspettare l’età maggiore ; giunta la quale, infatti, e realizzato dai parenti tutori ogni suo avere, si scritturò subito con Marta Coleoni, passando poi, attore ammiratissimo, con Goldoni, Perotti, ecc.
Nel secolo XVI quella nazione avea una milizia la meglio disciplinata di tutta l’Europa, alla quale se si fosse rassomigliata l’odierna di Mustafà, il trionfarne avrebbe costato assai più al general Romanzow che ne ha riportata sì compiuta vittoria sotto gli auspici dell’immortal genio di Caterina II. […] In generale l’istituzione de’ collegi tende principalmente a formar le genti applicate alla legge; ma vi si apprende ancora l’aritmetica, l’astrologia, e la poesia, la quale é d’indole orientale ripiena d’immagini forti e di metafore soverchio ardite.
Nella stessa regione del Circo Flaminio, ove s’innalzò questo teatro Pompeano, se ne vedevano tre altri, cioè il teatro nominato Lapideo, quello detto di Cornelio Balbo, e l’altro eretto da Augusto sotto il nome di Marcello, il quale era il più picciolo di tutti, non potendo contenere che ventiduemila spettatoria. […] Merita di leggersi ciò che il Mazzocchi scrisse nel Teatro Campano al capo VI, nota 72 e 73 intorno all’errore di Giusto Lipsio, il quale fondandosi in un passo di Calfurnio nell’ecloga VII confuse le donne colla plebe pullata.
Nella stessa regione del Circo Flaminio, ove era questo teatro Pompeano, se ne vedevano tre altri, cioè il teatro nominato Lapideo, quello detto di Cornelio Balbo, e l’altro eretto da Augusto sotto il nome di Marcello, il quale era il più picciolo di tutti non potendo contenere che ventiduemila spettatori151. […] Merita di leggersi quello che dall’eruditissimo Canonico Mazzocchi nella descrizione del Teatro Campano c. 6, nota 72 e 73, è stato scritto intorno all’errore di Giusto Lipsio, il quale fondato in un passo di Calfurnio nell’ecloga VII confuse le donne colla plebe pullata.
Alessandro Ademollo pubblica ne’suoi Teatri di Roma nel secolo decimosettimo (Roma, Pasqualucci, 1888, pag. 137) un documento curioso concernente l’Adami, dal quale apprendiamo lei essere stata non mademoiselle, ma la moglie di Trappolino, che l’Ademollo non è alieno dal ritenere per G. […] Fiorillo, del quale fa bella menzione Bartolommeo Cavalieri nella sua Scena Illustrata.
Bartoli : Reggeva allora quella Compagnia Antonio Franceschini detto Argante primo Innamorato, con il quale faceva de’ Scenici contrasti con molta vivacità di spirito, e con un dialogo eloquente ed ottimamente condotto. […] L’opera, una farsa senza spirito, secondo il gusto moderno, e senza l’eterno feminino, contiene anche un’ apprendice in polacco, nella quale è detto non trattarsi che di una parodia delle più salienti scene della Didone e Semiramide e altre opere del Metastasio.
E nel Mondo illustrato del 14 settembre ’61, da cui tolgo il presente ritratto, è l’Amalia chiamata la gemma della compagnia, la quale alla franchezza, alla disinvoltura, alla naturalezza, alla vivacità accoppia una grazia ed una riservatezza che accrescono pregio e dan rilievo a tutte le altre doti. […] Formaron compagnia italiana, col ruolo essa di prima attrice, egli di primo attore, e si abbandonaron d’improvviso al grande repertorio…. non so con quale fortuna.
Il Goldoni ha parole di calda ammirazione per l’ingegno e l’arte del Collalto, alla grandezza della quale egli aveva, come ho già detto, contribuito in Venezia co’suoi insegnamenti. […] Alcune inflessioni sublimi e precipitose rivelavan le passioni varie ond’era agitato : si leggeva l’espressione del dolore, della collera, della gioia a traverso una orribile maschera nella quale il suo ingegno superiore aveva saputo trionfare.
ma mano dalla quale attende la gratia, e soglieuo & Quam Deus &c. […] Il 1682 Egli si disfece della compagnia, dandole in dono 240 doppie in ragione di venti per ciascheduno (una doppia d’Italia valeva trentatrè lire) : ma la vediam ricostituita al suo soldo l’ ’86 con pochi mutamenti, alla quale con ordine al tesoriere Zerbini del 28 giugno, il Duca Francesco assegnò a titolo di sussistenza due doppie il mese per ciascuno, cominciando dal primo giorno di maggio.
Ma'l Dio d’amore a l’uopo suo non parco di favor, disse a lei rivolto ; or quale sconsigliato furor, morte, t’assale di fare al regno mio si grave incarco ? […] e ce ne parla Niccolò Boldri in un sonetto (pag. 124) al raccoglitore Antonazzoni : ….. « Amico, i' godo il cielo, non dir ch' in verde età sia al mio fin giunta, chè grave è sempre all’alma il mortal velo. » Al quale rispondeva Antonazzoni (pag. seg.)
Comico veronese del secolo xvi, recitava gl’Innamorati sotto nome di Orazio, e trovavasi a Parigi il 1584, nel quale anno pubblicò pei tipi di Abell’Angelliero, una pastorale, Fiammella, che dedicò all’illustrissimo et eccellentissimo Principe, il signor Duca di Giojosa. […] Gran parte vi ha l’Eco, il quale comincia a farsi sentire in un lungo monologo di Pantalone al primo atto, tutto a bisticci : La sorte s’urta, e fa che morte m’urta se vago vuogo, e se sto fermo formo affanni, e fanno che me liga e laga la fina funa, che me strinze e stronza e moro, e miro se con passi posso far scherno e scorno, a chi mi tira in tara le parche porche se le fila il filo della mia vita, vota d’ogni degni contenti……… e via di seguito per trentacinque versi, dopo i quali comincia una comica lotta di parole con l’Eco, che torna poi in scena, per dir così, con Titiro al secondo atto, e con Montano, poi con Graziano e Bergamino, e con Fiammella e Ardelia, al quarto.
Nel 1884 passò, con il ruolo assoluto di prima attrice giovine, nella Compagnia di Cesare Rossi, della quale era prima attrice sua cugina Eleonora Duse. […] E qui la gentile autrice riferisce l’aneddoto di un giovine autore, spigliato nell’andatura, baldanzoso nell’atteggiamento del capo eretto e leggermente gittato all’indietro, il quale, presentatosi alla Vitaliani, e proferito il nome di uno de'più noti e ricchi negozianti di Torino, le porgeva un copione di commedia, ch'ella respinse con lieve moto della mano diafana, dicendo poscia lentamente : « Ah !
Si rappresenta nelle Trachinie la morte di Ercole avvenuta per lo dono funesto di Dejanira, nella quale con tutta verità e delicatezza si vede delineato il carattere di una moglie tenera e gelosa. […] del quale Ovidio nel nono delle Metamorfosi fece una bellissima imitazione. […] Vedesi in una gran piazza il real palagio di Edipo: alla porta di esso si osserva un altare, innanzi al quale si prostra un coro di vecchi e di fanciulli: si rileva dalle parole che in lontananza dovea vedersi il popolo afflitto radunato intorno ai due tempi di Pallade e al l’altare di Apollo. […] VII, c. 5 fa menzione dell’antico pittore teatrale Apatario, il quale dipinse acconciamente la scena nel teatro di Tralles. […] Anche Euripide compose un’ Antigone, della quale si sono conservati alcuni pochi versi.
.), colla quale tornò per quattro anni, ’65-’69, ai Fiorentini di Napoli.
Medoni Nicola, nato in Genova nel 1803 da onesta famiglia, e fatto un corso regolare di studi, si diede all’arte comica, nella quale, mercè l’ingegno svegliato, la bella figura, e la voce magnifica, riuscì egregio, occupando in breve il ruolo di primo attore assoluto nella Compagnia del suo concittadino Luigi Favre.
Di tutte le scenate dei coniugi Nelli e dei coniugi Buffetto e Colombina, vedi al nome di Cantù Carlo, il quale ha lettere interessantissime su tal proposito.
Salvatore sua parrocchia, ove fu sepolto il dì seguente, per la cristiana, davvero esemplare, rassegnazione colla quale sopportò il male e passò alla nuova vita.
Ma le scene del teatrino privato eran troppo anguste a soddisfar le vanità e mostrar le qualità del Roscio futuro, il quale, scritturatosi in Compagnia Dreoni per le parti comiche che non abbandonò più, passò poi in quelle di Sterni, e, nel 1874, di Emanuel e la Pasquali, dove colla farsa Il Casino di campagna, da lui raffazzonata, toccò addirittura la celebrità.
Grisostomo, quand’era in Compagnia Battaglia primo attore a vicenda con Bellini, dodici sere l’Elena e Gerardo, e venti la Ginevra di Scozia di Pindemonti, nella quale ultima sosteneva mirabilmente la parte di Ariodante.
Marzia ingannata dalle vesti crede che l’ucciso sia Giuba, il quale stando da parte dalle di lei querele comprende di essere amato. […] In grazia del sesso per altro i giornalisti Inglesi trattarono con indulgenza l’autrice, la quale trasportò anche in inglese il Pastor fido. […] L’argomento del Gustavo inglese non si aggira, come quello del Piron, intorno all’amore, ma tutto riguarda la libertà, per la quale ha solo combattuto Gustavo. […] Fingal l’avrebbe sposata se non l’impediva l’invasione di Caracul, che sembra essere Caracalla, il quale nell’anno 211 assalì i Calidonii. […] Oggi gl’Inglesi vantano una musica nazionale discendente dalla Tedesca, la quale è figlia dell’Italiana.
Il '34 fu scritturata con la famiglia dal Meneghino Moncalvo, il quale, dopo di averla per due anni esercitata in parti di bambina, credette, mercè la figura di lei slanciata, di affidarle quella di Francesca da Rimini, ch'ella recitò per la prima volta a Novara nel '36, con tale successo, che le furon poco dopo offerte scritture di prima donna assoluta. Ma per fortuna il padre, uomo di buon senso, la scritturò invece (1837-38) nella Real Compagnia Sarda, come amorosa ingenua, poi prima attrice giovine sotto Carlotta Marchionni, che le fu amica, madre, maestra amorosissima ; ai sacri precetti della quale, affermava ne'suoi ricordi con raro, e direi quasi unico esempio di gratitudine nell’arte nostra, di non essere mai, giovine e adulta, venuta meno. […] La larghezza delle offerte aveva solleticato non poco l’amor proprio della Ristori, nella quale si risvegliò d’un tratto potentissimo l’antico amore dell’arte, che quello di sposa e di madre aveva per alcun po'assopito. […] Ella più che ogni altro può in ciò giovarci, e mandarci qualche lettera che presenti mio marito, per ora, e quindi ma alle distinte e ragguardevoli famiglie sue conoscenti, raccomandando onorare di loro appoggio quest’esperimento drammatico italiano, pel quale colà si porta mio marito (Giuliano dei Marchesi Capranica, Marchese Del Grillo)…. […] Lamartine stesso usci dal silenzio poetico, in cui sembrò essersi condannato, dettò per lei un’ ode, che la folla acclamò per due sere, riempiendo al colmo la sala Ventadour, Dumas padre, proprietario allora del giornale Il Moschettiere, prese le parti dell’attrice italiana, facendo uno strano parallelo tra lei e la Rachel, nel quale si sforzava di mostrare quanto più grande fosse la tragica straniera della tragica francese….
Tanti rappresentatori e ballerini non mai comparvero sulla scena Greca a volto nudo, ma si coprirono di una maschera, la quale nè sempre fu la stessa, nè si usò sempre pel medesimo oggetto, nè sì presto servì per eccitare il rìso. […] Confermasi ancora questa verità istorica con un passo di Eliano, il quale nel ragionare della commedia delle Nuvole, in cui compariva il personaggio di Socrate, scrive così144: “Essendo Socrate mostrato sulla scena e nominato tratto tratto (della qual cosa non è da stupirsi perchè egli era ancora raffigurato nelle maschere degl’ istrioni, essendo stato spesse volte ritratto sin da’ vasaj) i forestieri andavano in teatro domandando chi mai fosse quel Socrate” ecc. […] Nè poi questa maschera di tutto il capo rimase inutile allorchè si costruirono i teatri chiusi, come quelli di Corinto e di Atene fatti a spese di Erode Attico, e gli altri de’ Romani; perchè in quel tempo ancora l’uditorio rimaneva allo scoperto, e que’ teatri erano così vasti e magnifici che potevano agiatamente contenere qual venti, qual trenta e quale quarantamila persone, per non parlare di quello di M.
Tradurremo questo squarcio nel quale la passione non è molto tradita dallo stile. […] Dubita la regina: non sa qual de’ due sia il reo e quale il suo liberatore. […] In oltre l’insipidezza colla quale la Principessa d’ Elide entra nell’impegno d’innamorare Eurialo, copre di gelo l’invenzione di Moreto. […] Altra commedia del Solis è il Doctor Carlino, la quale anche si contiene ne’ termini di poco più di un giorno. […] Nel tempo stesso l’innamorato, il quale si era raffreddato nel di lei amore per un sospetto ingiusto, si trova disingannato per altri accidenti, e le dà la mano di sposo.
Fece l’ ’86 società con Adelaide Tessero ; passò l’ ’87 al Teatro Manzoni di Roma con Dominici, Rosa e Della Guardia ; fu l’ ’88 con Marazzi e Morelli, l’ ’89 con Francesco Pasta, col quale andò per la prima volta in America, e il ’90 formò con Ettore Paladini una Compagnia Sociale, di cui egli era l’amministratore, e di cui fece parte, scritturata, la Tina Di Lorenzo.
Fu in varie compagnie, encomiatissimo sempre, e specialmente nelle commedie goldoniane ; si meritò l’amicizia di Gustavo Modena, il quale invitato a recarsi or a Torino, or a Cuneo, or a Genova a recitarvi con la Compagnia di Cesare Asti che faceva magri affari e di cui il Bottazzi era ottimo ornamento, gli scrisse parecchie lettere che son pubblicate nel volume Politicae Arte.
Entrò appena diciottenne in Compagnia di Giuseppe Moncalvo per le parti di seconda amorosa, assumendovi con molto successo, dopo un solo anno di prova, quelle di prima donna giovine, Passò il ’32 nella Real Compagnia Sarda, sotto la grande Marchionni, agl’insegnamenti della quale ella dovè il suo rapido progredir nell’arte.
Lasciato coll’avanzar degli anni il ruolo di primo attore, si diede a quello di promiscuo e caratterista, col quale entrò il ’91 in Compagnia del figliuolo Arturo.
Andò l’ '83 con Emanuel, poi formò Compagnia con Ettore Mazzanti per un solo anno, dopo il quale si scritturò con Carlo Lollio, poi con Amato Lazzeri.
.), col quale fu, dopo il 1790, in Compagnia di Pietro Rosa.
t Marc, il quale non voleva rendergli un pappagallo, scappatogli di gabbia, che aveva comprato dall’Alborghetti.
Certamente erronea è la data dello Jal il quale dà un figlio, Luigi Renato, a Thomassin il 17 dicembre 1727, e un altro, questo Gioacchino, il 2 maggio del 1728 (cioè a dire dopo quattro mesi e mezzo), anzichè del 1723.
Tornato a Firenze, formò la quaresima del 1821 un’ ottima Compagnia, che condusse gran tempo, rimanendo poi capocomico in sino a che, fatto vecchio, s’unì prima al figlio Guglielmo, col quale era il '46, poi si ritirò a Firenze del '50, ove morì settuagenario.
Morto il Garzes, diventò socia dello stesso Pasta, con cui stette sei anni ; dopo di che, ritiratosi il Pasta dalle scene, si unì in società con Flavio Andò (’97) col quale si trova tuttavia. […] Alcuni anni or sono ella non aveva ancora toccato la sommità dell’arte alle quali mostrò sempre di aspirare : ma il grado già alto in cui si trovava nella sua giovinezza, congiunto alla dolcezza degli sguardi, alla soavità del sorriso, alla melodia della voce, all’armonia perfetta di tutta la persona, all’espressione di natural candore, a tutto un esteriore insomma di donna ideale, giustificava pienamente gli entusiasmi del pubblico ; il quale, abbacinato dalla miracolosa fusione, non sapeva più se l’arte soverchiasse la bellezza, o la bellezza l’arte. […] Il metodo del quale la Tina Di Lorenzo dà le più simpatiche prove è il vero ed il solo …… Dal secondo articolo : « quello che c’è. […] È una sensazione di freschezza e di salute non prima da noi provata ; è una sensazione di dolcezza e di giocondità, quale si prova soltanto nelle dolci mattine primaverili tutte stillanti di rugiada e tutte ebbre di profumi.
Esordì il’ 52 con Achille Dondini col quale stette un solo anno, e passò dalla Compagnia Robotti, il ’59, in quella di Bellotti-Bon.
Ammalatosi gravemente il marito, ella dovette abbandonar di punto in bianco la Compagnia, e restar fuor dell’arte un anno, per tornarvi poi coll’antico amore e coll’antico favore, vuoi scritturata da Luigi Monti, vuoi da Francesco Pasta, col quale ultimo andò a sostituir di bel nuovo la Tessero, gravemente ammalata, poi la Giagnoni, morta d’improvviso.
Entrò come primo amoroso assoluto in Compagnia Domeniconi col quale stette alcuni anni.
» Di un Dottor Violone è fatto cenno in una lettera di Ludovico Bevilacqua al Duca di Modena con data di Ferrara 9 aprile 1664, come di attore il quale, ben lontano dall’aver la pietà e modestia del Chiesa, per certi livori ch’egli ebbe con la Marzia Fiala, moglie del Capitano Sbranaleoni, capocomico, mancò a’suoi impegni scritturandosi con una Marchetta, e allegando con atto di perfidia, pretesi contratti antecedenti con un Cavaliere.
Terminato il contratto col Petrelli, si scritturarono il 1806, lui come primo amoroso e lei come serva, con Velfranch, col quale stetter due anni : poi dal 1808 al 1811 con Antonio Previtali, il 1812 con Rigoli in Dalmazia, il 1813 e ’14 con la società Consoli, Zuccato e Pellizza, il 1815 con Giacomo Dorati, poi con altri molti.
Come artista, la Glech deve molto agli ammaestramenti di Giuseppe Pietriboni, col quale mosse ufficialmente i primi passi nell’ arte, diventando una delle più gradite prime attrici giovani del nostro teatro.
In pochissimi anni il capitale fu distrutto, e il Riva, morto a Trieste nel 1822 di apoplessia fulminante, lasciò un gran cumulo di debiti fatti nel nome di Gaetana, la quale ridottasi al verde, avrebbe finito nella più squallida delle miserie, se una parente del marito, la celebre Bertinotti, non l’avesse ricoverata presso di sè e degnamente mantenuta fino alla sua morte che avvenne in Modena verso il 1830.
Questa giovinetta, dotata di naturali requisiti per riescir ottima artista drammatica, imprese a studiarne i precetti dalla rinomata Ristori, la quale seppe guidare il genio della nobilissima allieva, ed infondere nella di lei azione gran parte di quella perizia che la elevarono al grado delle prime celebrità drammatiche dei nostri giorni.
Fatti gli studi in quella Università, si diede all’arte comica, la quale esercitò dapprima in compagnie di second’ordine, poi in quelle primarie di Taddei, di Raftopulo, e di Tessari, Prepiani e Visetti ai Fiorentini di Napoli il 1825, sostituito poscia dal Gottardi, nel qual tempo abbracciò il ruolo del brillante.
) : Giuseppe Pasquale Cirillo che, assieme al Lorenzi, recitava nel teatrino domestico del Duca di Maddaloni ed aveva anche un altro teatro di filodrammatici a casa sua….. e che, per mettere in burla un paglietta molto conosciuto per la sua bessaggine cercava l’attore che ne sapesse vestire i panni e l’ignoranza, capitò un giorno in un barbiere alto allampanato e con un naso meraviglioso : proprio tal quale il paglietta di cui voleva far la caricatura.
Divenuta in poco tempo artista delle migliori, nonostante il metodo manierato, fu scritturata il '61 in Compagnia di Cesare Dondini, in cui sposò il primo amoroso Angiolo Diligenti, col quale formò subito una buona compagnia, che durò parecchi anni con buona fortuna.
La modestia, più che il suo intrinseco talento artistico, lo arrestò nel suo cammino, il quale avrebbe potuto essere più glorioso, ma però quella modestia, che io chiamerei temenza di sè medesimo, gli valse maggiormente la stima dei suoi compagni e della critica, perchè ebbe il piacere e la soddisfazione di recitare sempre a fianco dei più bravi artisti italiani.
Dopo di aver recitato cogli Accademici Uniti della città, si diede all’arte, sostenendovi il ruolo d’Innamorato, e mettendo poi la maschera di Pantalone, nella quale riuscì artista egregio.
,143) riferisce i particolari della uccisione del famoso musico Siface, dallo Zibaldone di Anton Francesco Marini, il quale alla data 10 luglio 1704, dice : « Discorrendosi questo dì 21 luglio 1704 di Siface musico celebre ; mi disse Giuseppe Sondra detto Flaminio, comico del Principe di Toscana, che il Quaranta Marsilio lo facesse egli ammazzare tra il Ferrarese e il Bolognese, ecc. » Sperandio Bartolommeo, mantovano, sostenne con molto successo, e in varie compagnie di giro, la maschera di Arlecchino, nella seconda metà del secolo xviii.
Sono lieto di mettere qui il nome di Giuseppe Strini, mio caro compagno del tempo della Sadowsky (1873), il quale ebbe a sostenere dure lotte in arte, per la figura e soprattutto per il volto, poco in armonia col suo ruolo di amoroso ; dalle quali uscì vittorioso con la rara correttezza della sua dizione.
colla quale tornò poi in Italia, ov'era ancora del 1781.
Passò poi nelle Compagnie Dondini, Romagnoli, Sorelle Vestri, Cuniberti, Coltellini, fino all’anno '78, in cui diventò il primo attore assoluto di Adelaide Ristori, colla quale fu in Ispagna e in Portogallo.
Il caso occorse a Capo d’Orlando, ove da una fortuna di mare sequestrata una Compagnia, trovò che l’albergo era occupato per rispetto dell’arrivo di Monsig. in visita, col quale erano quattro venerabili Religiosi.
Sposatosi ad una egregia attrice pur triestina, Giovanna, che fu buona madre e caratteristica, determinò di lasciar l’ufficio di attore per quello di amministratore, nel quale riuscì egregio.
E con quale fondamento, e provvisione di fatti voi ragionate? […] A mostrare questa sua astiosa ugualmente, che falsissima accusa egli si vale di un passo del Gravina, nel quale si trova quel che il Sig. […] A somiglianti assurdi è tratto l’Apologista dalla scarsezza di materiali Istorici, la quale serpeggia per tutto il suo Saggio. […] Dice appresso il Signor Eximeno, che in Italia si rappresenta con gran concorso il Convitato di Pietra, Commedia Spagnuola piena di machine, e di Diavoli, la quale non si rappresenta più ne’ Teatri di Spagna. […] Si sta continuando in Madrid una buona Edizoine di varie Opere del Vega, la quale oltrepassa già i venti Tomi.
La Francia vicina (dice il lodato Storico Inglese) prima di ogni altra regione verso il XII secolo approfittossi del bell’ esempio, il quale di mano in mano si comunicò all’Alemagna, indi alla Spagna, all’Inghilterra ed alla Scozia. […] Due fatti istorici manifestano in quale stima essi erano ne’ primi tempi appresso i Sassoni e i Danesi. […] Fu veramente conosciuto per Sassone, ma pel carattere rispettato di ministriere fu introdotto alla presenza del re e cantò molti versi, e poscia esaminato il campo formò un piano di assalto, col quale tagliò a pezzi il di lui esercito. […] In oltre Chindesvindo ed altri Visigoti fecero alcun’ altra collezione di leggi, della quale neppur ebbe contezza il Lampillas, altrimenti non avrebbe lasciato di trionfarne. […] Vedasi l’introduzione al V libro delle Storie Fiorentine di Niccolò Machiavelli, il quale par che si appressi a ciò che quì si accenna, benchè egli nol renda abbastanza generale.
L’utile curiosità congiunta al bisogno che si ha di esempli che riscaldino ed alimentino il genio, ne renderà sempre accetta la narrazione con gusto e con giudizio particolareggiata, la quale per gradi e con sicurezza ammaestra, e la preferirà a certi rapidi abbozzi poetici, pe’ quali si vanno scegliendo i colori più vivaci in detrimento della verità istorica, ed a capriccio vi si compartono le ombre ed i lumi, e dipignesi d’idea e di maniera per illudere l’occhio e far pompa di eloquenza. […] Domata la greca ferocia col timore delle potenze straniere, si avvezzò ad una commedia più discreta, più delicata, la quale si circoscrisse a dilettare con ritratti generali mascherati di modo che lo stesso vizioso deriso, senza riconoscersi nel ritratto, rideva del proprio difetto.
Paris, Castel, 1865, xii, 169-170) Camerani sarebbe stato un despota, un autocrata, una specie di nume onnipotente, il quale, recandosi a raccontare gli scandalucci giornalieri dell’una e dell’altra attrice, aveva saputo toccare il lato debole del Maresciallo di Richelieu, incaricato, come primo gentiluomo della Camera, dell’alta direzione del Teatro Italiano, e impadronirsi dell’animo suo a segno tale che dinanzi a lui, a Camerani, unico imperante, ogni autore doveva necessariamente prosternarsi, all’intento di vedere recitato un suo lavoro. […] Grimod de la Reynière gli dedicò il secondo volume del suo Almanach des Gourmands, in cui è la descrizione di una zuppa inventata dal Camerani, a detta del Grimod deliziosissima, per la quale occorreva una spesa di 120 lire al meno.
Il vecchio Pinotti si distingue particolarmente nelle parti comiche e ingenue, e potrebbe misurarsi coi migliori de' nostri artisti tedeschi (Iffland e Wiedmann eccettuati) : egli è anche il beniamino del pubblico, al quale sfugge un mormorio di contentezza, ogni qualvolta egli appar su la scena. […] Fu il predecessore, ai Fiorentini, del celebre Pertica, il quale ebbe molto a lottare col pubblico per cancellar la grande impressione lasciatagli dal Pinotti.
Mortogli il padre nel’700, e rimaritatasi la madre coll’avvocato Duret, egli ebbe da entrambi tali maltrattamenti, che, sebbene avesse già esordito a quindici anni con buon successo nella compagnia materna, si trovò costretto a prendere il servizio militare, arruolandosi con un tal Capitano, dal quale non ebbe trattamento migliore, nonostante il dono che gli fece d’un piccolo orologio, che era tutto quanto ei possedeva. […] Buon Arlecchino e capocomico mediocre, fu molti anni colla moglie e il cognato Filippo Nicolini nella Compagnia di Nicola Petrioli, fuggito il quale egli ne prese le redini per alcun tempo.
Entrarono in paga dal 1° ottobre con un decreto del principe, dal quale si hanno anche notizie precise sullo stipendio annuo di singoli attori. […] mo Dalla compitissima Sua sento le glorie fracesi, che già comincio a vedere che la fortuna, a cura ma questo poco m’importa, sono gl’otto scudi delle botte che mi danno fastidio, La pregho andare dal Signor Giuseppe Priori, cassiero del Monte, e dirli che mi fauorisca auuisarmi per qual causa non ha pagato una mia polizza d’una doppia dicendo non auer denari de miei, e farsi dare una notarella del nostro, conto, perche mi pare che tenghi assai più nelle mani, se pure a riscosso li denari dal Ebreo Rossi al quale uendei il Vino, auendo il suddetto Signor Priori acettato di riceuer lui il mio credito e darmene credito, che in tal caso corre la somma per conto suo, che per altro, io non avrei dato il Vino, oltre di che di Conto Vecchio ui è qualche bagatella senza questi che lo pregho prenderne Nota distinta accio possa regolarmi, e ne do carico a V. […] Se potrà onorarmi di quel poco di fitto decorso mi farà fauore pagarlo al Signor Priori, appresso il quale deuo ualermi in breue di qualche somma, e così anco se non li fosse incomodo quello di pasqua prossima che gl’auguro felicissima e così pregare in Mio Nome l’Ill.
A Padova, non è ben precisato nè in quale anno, nè con qual compagnia (secondo il Mazzoni nel ’90 con quella del Menichelli, ma forse più tardi col Pellandi), preluse a un corso di rappresentazioni, recitando i seguenti versi dettati per lei da Melchior Cesarotti. […] Stabilito il Vicerè di formare una gran compagnia drammatica, impose al capocomico Fabbrichesi la prima donna Pellandi, la quale fu scritturata per un triennio collo stipendio, allor favoloso, di lire 11,500. […] In una raccolta di omaggi poetici (Firenze, Carli, 1813) alla Fiorilli e a Belli-Blanes, e dai quali tolgo la medaglia qui retro, son versi di Tommaso Sgricci, una iscrizione latina del Bernardini, la quale ci apprende come nel 1813 trascinasse per tre mesi all’entusiasmo il pubblico di ogni specie nel Teatro Nuovo di Firenze, e una anacreontica di Ligauro Megarense, pastore arcade, in cui abbiamo accennate alcune parti nelle quali essa primeggiò, quali Medea, Zaira, Vitellia, Cleonice, Mirra, Pamela, Lindane, Mirandolina.
Orlando: è possibile che Algarotti si riferisca alla tragédie en musique Roland di Philippe Quinault e Jean-Baptiste Lully rappresentata per la prima volta a Versailles nel 1685; all’inizio del quarto atto viene inserito un divertissement pastorale, nel corso del quale Orlando apprende che Angelica è fuggita con Medoro. […] Le fu attribuita la responsabilità della strage di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572) nel corso della quale vennero uccisi migliaia di ugonotti. […] Nota alla nota d’autore n. 7: «Il primo di questi è Benedetto Marcello, il quale per l’inimitabile originalità, profondità e completezza stilistica rimarrà sempre il più alto esempio tra tutti i compositori ecclesiastici. […] In tale lavoro importante e arduo, come il soggetto divino sul quale lavora, egli è generalmente maestoso, meraviglioso o patetico e così totalmente lontano da ogni soluzione ordinaria e comune, che l’ascoltatore attento è affascinato da una infinita varietà di nuova e piacevole modulazione e nello stesso tempo da un disegno e un’espressione adattati in modo così raffinato, che il senso e l’armonia coincidono ovunque. […] [commento_3.4] Rosci: Roscio fu un attore latino morto prima del 62 a.C., per il quale Cicerone scrisse un’orazione.
Questa commedia, per la quale la giovane Eleonora fu tenuta, si può dire, al fonte battesimale dalla Giacinta Pezzana, che soccorse la nuova stella saliente di forti consigli, e le trasfuse la sacra fiamma dell’arte, questa commedia, dico, segnò un gran passo avanti nella via della sua grandezza. […] Per modo che in questa fusione, generata dal più profondo e più sottile degli studi, egli non vedesse che una parte, quella della natura, viva, parlante, palpitante, dalla quale si trovava soggiogato, perchè sentiva di vivere, parlare e palpitare con lei. […] Io dettava allora le appendici drammatiche sul Fieramosca, e il 5 luglio dell’ ’82, a proposito della rappresentazione di Frou-Frou, della quale era ancor vivo nel popolo fiorentino l’entusiasmo suscitato dalla Bernhardt, pubblicavo : Da un gran pezzo in qua non m’era accaduto di notare sul nostro teatro di prosa certi sgattajolamenti nervosi, certi contorcimenti serpentini, certi sfiaccolamenti veri, sentiti. […] Essi eran la traduzione incosciente, impulsiva del loro amore per la loro arte, era tutto un omaggio di commozione che mandava oltre l’artista di passaggio, era il loro ideale ch’essi salutavano, era la loro arte nobilitata, dinnanzi alla quale si sentivan fatti più grandi essi stessi, e la quale dava loro tanto orgoglio ! […] E questo fu il motto di tutta la sua vita, al quale ella deve gran parte di sè.
Nicolàs de Moratin, il quale, quantunque non sia stato un Criticastro, ma un buon coltivatore delle amene Lettere, pure si accordò col prelodato Sig. […] E quale Scrittore non si vergognerebbe di affermare cotal milensaggine? […] Così la introdusse in Francia il celebre Fiorentino Lulli, il quale facea declamare le scene alla Champmelè, ed afferrandone i tuoni espressivi componeva la sua Musica. […] Altro rimedio non vi è fuori della indulgenza dello spettatore, il quale col fatto convenga in non cercare un impossibile, cioè una cosa, che non può andare altramente di quello, che và. […] Dunque la partorisce un altro principio, che se non istà nello spettacolo, forza è che trovisi nello Spettatore, il quale voglia con benignità chiudere gli occhi per ricavarne il suo piacere.
Duranson è Don Geronimo della commedia, Mèlidor è il marito ingannato e guasto dall’usurajo trasformato in amico, ed Acelie è la savia consorte; e le convenzioni maneggiate con accorgimento, e la donna di piacere persuasa prudentemente la quale dà le armi per iscoprire vie più il nero carattere di Don Geronimo; e lo scioglimento, e la carica tolta al traviato e passata dal provvido Ministro ad un di lui tenero figliuolo, tutto appartiene al Francese, di cui per altro non si sono trasfuse nella commedia le grazie e le morali vedute.
Metto fra i comici anche il nome di questo scrittóre ben noto, nato a Venezia nel 1756 dal Conte Casimiro, napoletano, e da Angiola Olivati, veneziana, perchè, già vedovo della comica Monti, « che in quell’epoca – scrive Iacopo Ferretti – in cui era di moda recitare il verso tragico cadenzato, come i sonetti si recitavano dai novizii di Parnaso, era una rediviva figlia di Roscio, » fatta società colla insigne comica Marta Colleoni, si diede anche all’arte del recitare, nella quale riuscì mediocremente ; « fu discretissimo – dice lo stesso biografo – e non apparve più sulle scene. » Visse col De Marini, collo Zuccato, col Fabbrichesi, col Vestris e col Blanes, e ne fu poeta.
Interessantisima è la figura di questo comico ebreo da Verona, il quale, a somiglianza del celebre Sivello (V.
Nè da Ferrara, nè da Rimini mi fu possibile rintracciar notizie sulla compagnia alla quale apparteneva il Bononcini.
Fu attore assai fortunato, se non di vero merito, se dobbiam credere a Carlo Gozzi, il quale dice di lui nel tomo secondo delle sue Memorie inutili : Un nuovo Truffaldino detto Bugani nel Teatro di S.
Carlino, della quale facevan parte i noti attori Nicola Pertica, Vincenzo e Filippo Cammarano, Camillo Fracanzani.
Fratello minore del precedente, nato a Caltanissetta in Sicilia, il 29 febbraio del 1856, non si staccò mai dalla Compagnia del padre sino al ’78, nel quale anno fu scritturato secondo brillante, insieme alla moglie, con Luigi Bellotti-Bon con cui stette quattro anni.
Si ebbe l’ammirazione e la stima di valenti, quali Gherardi Del Testa, Pietro Fanfani, Vittorio Bersezio e Valentino Carrera, del quale ultimo recitò con molto plauso la Quaderna di Nanni.
Fu poi prima attrice col famoso Toselli col quale era a Venezia il '67, dov'ebbe un successo di lagrime nel Ciochì del vilage, quando con affetto profondo esprimeva il dolore della povera derelitta nella festa di tutto il villaggio.
Il Cinelli racconta « che una volta (Curzio Marignolli, poeta, nato a Firenze il 1563 e morto a Parigi il 1606) sgridato dal padre, perchè i suoi averi licenziosamente spendesse, arditamente rispose : Anzi, tutto il mio spendo con prudenza, intendendo dire con una donna sua amica che Prudenza chiamavasi. » E l’Arlia che varie rime di Curzio raccolse e pubblicò nelle Curiosità letterarie del Romagnoli (Bologna, 1885) aggiunge : era costei una comica, alla quale poi impazzata, o davvero, o per meglio accalappiare i merlotti, quell’altro capo ameno di Francesco Rovai scrisse il seguente sonetto, che pizzica di secentismo un buon poco : Folle è Prudenza : oh che follie soavi folli fan per dolcezza i saggi amanti !
La vediamo l’autunno del 1795 al San Cassiano di Venezia, impresaria Marta Coleoni, e il 1813 nella Compagnia di Luigi Parrini, nella quale, il 1° maggio, invitò con versi sdruccioli il pubblico lucchese alla rappresentazione di suo beneficio, che fu Ferdinando II Granduca di Toscana alla Villeggiatura di Pratolino con Francesco Fagiuoli buffone di Corte.
Il '900, finalmente, prese posto qual primo attore assoluto in Compagnia Talli-Gramatica-Calabresi, nella quale è tuttavia (1903), riconfermatovi pel venturo triennio.
Senza un permesso di lui, che talvolta si faceva molto aspettare, talvolta non veniva affatto, la Torri nè poteva ricever in casa Cavalieri o altre persone da cui farsi sentir cantare, nè recarsi ad accademie, o altre funzioni musicali, proprie, e solite di sua professione, alle quali era invitata dalle Dame protettrici, nè accettare scritture, come accadde per la recita di Reggio, della quale era restata priva.
. – La Vestri, vera faccia di caratterista, è un attrice modesta, la quale, per la serena semplicità del suo dire, meriterebbe maggior attenzione.
Sotto Augusto, il quale pure intraprese a scrivere un Ajace, Aristio Fusco compose commedie togate: un altro Cajo Tizio (diverso dall’oratore soprannomato) secondo Orazio fu buon poeta lirico, e scrisse ancora tragedie: Ovidio fece una Medea, della quale abbiamo un frammento in Quintiliano: e il famoso Mecenate, oltre a varii poemi, scrisse alcune tragedie, delle quali da Seneca si mentova il Prometeo, e da Prisciano l’Ottavia. […] Ma Elio Donato e Servio credettero che il Tieste fosse atato scritto da Virgilio e dato alla moglie di Vario, la quale coltivava le lettere, e che di poi da costui si fosse come propria pubblicata, V’è chi sospettò che fosse opera di Cassio Severo Parmigiano, del quale parla Orazio nell’Epistola ad Albio Tibulloa. […] Dall’altra parte non solo non è, come diceva il dotto Brumoy, la più stravagante di tutte (perchè quale più stravagante dell’Ercole Eteo che lo stesso critico attribuiva a colui che scrisse l’Agamennone?) […] Principia la prima scena con una declamazione o elegia generale di Ottavia, la quale esce e si ritira senza perchè. […] E’ da vedersi il Teatro Greco di Pietro Brumoy, il quale in parlando della Medea di Euripide, ne ha fatto il paragone con questa di Seneca, ed in questa ha notate molte rare bellezze, e varii tratti degni di ammirazione.
mo Signor Duca, ch’io non m’impegnassi, con nessuna Compagnia di Comici, intendendo Sua Altezza di seruirsi di me, per il Carneuale, et unirmi, con Beatrice, Trappolino et altri Comici. or’io, per guarire d’un mio male, uenni à padoua, e mi couenne recitare in una Compagnia che uiue sotto la prottetione del Signor Marchese Obizij. questa Compagnia si è obbligata per l’Autunno, è Carnouale al Signor Almoròzane ; la quale non à che far di me, mentre il Carnouale non possa essere con essi loro. et essendomi stato acertato, che Beatrice, con altri Compagni se ne ua per il Carnouale à Roma ; e che l’Angiolina si è obligata in altra stanza à Venetia ; non ueggo forma di Compagnia per seruir cotesta Altezza, et à me non istà bene, essendo pouer huomo uiuer sù l’incertezze. perciò suplico Vostra Signoria Ill. […] ma che ne saprà il uero, ond’io possa aquetar l’animo mio, co ’l quale riuerentemente la inchino. […] Iacomo o Iacopo Antonio Fidenzi era dunque il direttore della compagnia ; e il male accennato nella seconda lettera, che lo fe’andare a Padova, doveva certo esser quello degli occhi, di cui discorre in una delle sue poesie (pag. 70), nella quale sono anche i segni della più profonda gratitudine verso i suoi generosi Padroni. […] … Poi c’è un fervorino per la città di Livorno detto da esso Fineschi il quale anche ci apprende essere lui stato quivi ben quattro volte, onorato e festeggiato.
Si diede alle scene dopo aver fatto ottime prove tra’dilettanti nella celebre accademia degl’Imperiti di Roma, che aveva teatro in Trastevere e della quale fecero parte il Cirri e il Pertica.
Sul proposito della Rosalia, togliamo da Giacomo Casanova, il famoso avventuriere, il seguente aneddoto, che concerne una serata la quale, secondo i manifesti, dava al teatro di Avignone una parte della compagnia di Parigi.
Abbandonate nel ’41 le scene, e morti poco dopo il marito e il cognato, passò a seconde nozze col comico Luigi Negri, col quale andò a stabilirsi a Firenze : quivi morì in età avanzata
La parte poi, tolta al Benedetti per raggiri del Sacchi, fu recitata da Giovanni Vitalba, che cedè al Benedetti la sua, quella di Don Alessandro gran Cancelliere del Duca ; essendo la quale di carattere d’un geloso furente, molto comica e teatrale, il Benedetti, attore di maggior fuoco del Vitalba, avrebbe, a detta del Sacchi, sostenuto quel carattere molto bene, e tenuta allegra una gran parte della Commedia (V.
Nato a Padova da nobili parenti, si diede all’arte comica, nella quale riuscì buon attore e leggiadro scrittore.
Restò sul teatro fino all’anno 1767, dopo il quale, prostrata dalle fatiche che le avevan date l’allevamento e l’educazione di cinque figliuole, si ridusse a Venezia, ov' era ancora l’ 82, « ben conservata — dice il Bartoli — e in buona salute, presso una doviziosa e onorata famiglia. » Suo marito, per non esser d’aggravio alla famiglia si recò maestro di ballo nel Collegio di Senigallia, e quivi morì il 1780.
D. del 4 aprile 1886, nella quale discorre di certa porta del teatro che dava sulla strada, e che non ostante la promessa di esso Pignatta di farla murare per evitar danni alla Compagnia, gli fu ordinato dal signor Alessandro Barberino di tenerla aperta.
« Eccellente comico nella maschera da Pantalone, il quale fu impiegato per molti anni ne' Teatri di Napoli.
Nato a Roma il 4 febbraio 1859 da parenti non comici, e datosi, giovanetto, al recitare in società filodrammatiche, si scritturò l’ '83 con Bellotti-Bon, per la cui morte non ebbe luogo il contratto, esordendo invece quello stesso anno come generico con Alessandro Salvini ed Ettore Paladini, e passando subito l’ '84 al ruolo di secondo e primo caratterista sotto il Salvini : ruolo che non abbandonò mai più, e che sostenne lodevolmente in compagnie egregie, quali dell’Emanuel, del Morelli, Maggi, Rossi, De Sanctis, Teatro d’Arte, Rasi, Della Guardia, Pieri-Severi, nella quale ultima si trova oggi (1904).
L'auge della sua vita artistica fu quand’egli ebbe Compagnia in società con Gaspare Lavaggi, nella quale potè mostrar liberamente tutte le sue qualità di artista, interpretrando con molta intelligenza e con molto successo Luigi XI, La Gerla di Papà Martin, Don Marzio, e specialmente L'Aulularia di Plauto, in cui fu riconosciuto, anche dai più severi, artista sommo.
Lascio poi che l’istruzione morale che dee prefigersi un buon tragico non si scorge quale esser possa in tal tragedia. […] L’effetto primario di questa favola è l’ammirazione che risulta dall’eroismo di Gusmano, il quale preferisce la propria fede alla vita di suo figlio. […] E quale analogia v’ha tra Megara capo e difensore amato da’ Numantini per vantaggio de’ quali offre di morire, con Tarquinio tiranno oppressore abborrito dal suo popolo? […] Si vanno distinguendo le voci che chiedono la morte di Rachele, la quale fugge all’avviso di Manrique. […] Dovea però dire che volle rendere in castigliano tale argomento; perchè quale greca bellezza vi ha egli trasportata in vantaggio del teatro moderno?
Ciò potreste più acconciamente inculcare per le Commedie ed altro del Libro del vostro Naarro, il quale appena pubblicato nel 1520. fu riprovato dalla Chiesa, e restò proibito e negletto per 53. anni. Ma pur questa sarebbe una cura inutile, perchè tal Libro, ad onta della seconda Edizione, giacque ancora, e giacerà preda delle tignuole nella polvere, dalla quale con infelice sforzo pretese cavarlo il Bibliotecario Nasarre. […] Si giustificò in faccia a’ contemporanei coll’esempio degli altri Poeti che ne scriveano ugualmente spropositate, piene di apparenze, piene di mostruosità, senza altre eccettuarne se non le basse Commedie del Rueda, e fu ascoltato pazientemente, e non riprovato da quel Corpo Erudito, il quale ben poteva urbanamente riconvenirlo, ch’egli occultasse il merito de’ loro buoni Drammatici. […] Ma ben ricevute furono eziandio quelle di Lope, e ciò prova solo il plauso tributato dallo stesso volgo alle une e alle altre, non già la perfezione, della quale nè Voi nè altri potrà mai esser giudice, poichè non esistono. […] Se ne può vedere un esempio in una di esse intitolata il Poeta impressa in Venezia per Comin del Trino 1549., Composizione di Angelo degli Oldrati Romano, il quale non era un Commediante, ma un Individuo dell’erudita Congrega de’ Rozzi di Siona.
Sin dalla prima scena vi si espone lo stato del l’azione con arte e con garbo tale che l’antichissimo riformatore e padre della tragedia non ebbe bisogno dell’esempio altrui per condurre alla perfezione questa parte sì rilevante del dramma, nella quale tanti moderni fanno pietà, a differenza di Pietro Metastasio e di qualche altro che vi riesce felicemente. […] Nè di ciò pago lo scorto poeta, in una lunga scena di Elettra col Coro e con Oreste, fa che questi appalesi la repugnanza e l’incertezza che lo tormenta, la quale si va poi dissipando col sovvenirsi delle terribili circonstanze dell’ammazzamento di Agamennone, alle quali fremendo dice che darà la morte a Clitennestra, indi a se stesso. […] Le favole del padre della tragedia greca furono, come quelle de’ suoi successori Sofocle ed Euripide, vere azioni drammatiche eroiche accompagnate dalla musica e decorate dal ballo del coro; nè altra differenza può ravvisarsi tra l’uno e gli altri, se non quella che si scorge ne’ caratteri di diversi artefici che lavorano in un medesimo genere, per la quale distinguiamo ne’ pittori eroici Tiziano da Correggio, ne’ poeti melodrammatici Zeno da Metastasio, ne’ tragici moderni Corneille da Racine. […] La prima volta che questo nuovo tragico, contando anni ventotto di età, produsse un suo componimento, e trionfò di Eschilo già vecchio, fu nel celebrarsi la solennità del ritrovamento e della traslazione delle ossa di Teseo dall’isola di Sciro in Atene, nella quale Cimone nominò i giudici scegliendone uno di ogni tribùa. […] Gli Ateniesi diedero pubblici attestati della stima che facevano delle di lui tragedie, avendo decretatob che si rappresentassero anche dopo la di lui morte, onore ad altri non compartito, pel quale potè Aristofane fargli dire nelle Rane, che la sua poesia non era morta con lui.
Lasciamo stare i Greci, de’ quali non avrà egli certamente preteso parlare; perchè tra questi non vi fu schiera di commedianti, nella quale non entrassero gli stessi poeti, confondendosi gli uni negli altri nel libero popolo Ateniese sempre che gli autori non mancavano, come Sofocle, di voce e di disposizioni naturali proprie per comparire sul pulpito. […] E riguardo segnatamente al Pulcinella, aggiunse: Silvio Fiorillo commediante che appelar si faceva il Capitano Matamoros, inventò il Pulcinella napoletano, e collo studio e colla grazia molto vi aggiunse Andrea Calcese, detto Ciuccio per soprannome, il quale fu sartore, e morì nella peste dell’anno 1656, imitando i villani dell’Acerra città antichissima dì Terra dì Lavoro poco distante da Napoli.
Dopo il poderoso studio col quale Vittorio Rossi prelude alla pubblicazione delle lettere di Messer Andrea Calmo (Torino, Loescher, 1888) non è difficile oggi ricostruire intero questo bizzarro tipo di comico e cantante e scrittore. […] — Comedia (Venezia, Alessi, 1556), per la quale fu dettato un proemio dal Padre Sisto Medici, domenicano, allora insegnante teologia nello studio di Padova.
Fu poi gran tempo con Alamanno Morelli, del quale diventò socia, poi si diede al capocomicato con varia fortuna, percorrendo le grandi città di Europa e di America ; poi…. per una malattia cancerosa al petto, che la rose lentamente, dovette, in mezzo agli spasimi, soccombere a Torino il 24 gennajo del 1892. […] Con quale spontaneità si movevan que' personaggi !
La famiglia Astolfi ha dato oltre alla Carolina di cui discorriamo più sotto, una Maria, la figlia, che trovavasi nel ’20 col padre in Compagnia Andolfatti, scritturata per le parti ingenue, la quale, a detta del Giornaletto ragionato teatrale di Venezia, dava già belle speranze di sè ; e varj altri artisti di poco o niun conto, di cui, sfogliando gli antichi elenchi e gli antichi diarj non ci fu dato trovar cenni di sorta.
Figlia di Gaetano Martini di Pisa, capocomico e brillante (il de era usurpato) e di Anna Loddi di Siena prima attrice, cominciò a recitar bambina come tutti i figli d’arte nella compagnia del padre, scritturandosi poi quand’egli smesse il capocomicato con Cesare Astolfi in qualità di amorosetta sotto la Fanny Sadowsky, con la quale la troviamo ancora nel 1853 prima amorosa al fianco di Giuseppe Peracchi, primo attore, che diventò poi suo marito.
Messa assieme una discreta fortuna, lasciò il teatro per darsi alla mercatura, nella quale, ingannato da’più scaltri di lui, perdè tutti li averi e con essi la ragione.
» Alla quale il Duca rispose : « Les comédiens italiens auraient du remercier le sieur Rubini dès l’année passée ; vous avez eu grand tort de souffrir qu’il continuât à jouer cette année.
Malgrado l’equipaggio sequestrato, i soggetti sono tutti qui requisiti, meno il capocomico Vergnano, il quale seppe destramente sottrarsi colla fuga, terminata che ebbe la parte che aveva nella comedia. » – Si recitava quella sera il 4° atto di Misantropia e Pentimento, poi il 2° de' Due Sergenti.
Dal suo secondo matrimonio ebbe un figlio, il quale comparve nella Fête du village alla Comedia italiana, ancora bimbo, destando la stupefazione di tutti.
Quella che da tanto tempo è amata da vostro figliuolo, per la quale è quasi divenuto pazzo, e per la quale è sul punto di rovinare la sua riputazione, il suo stato ed il vostro. […] Il mago fa venire l’ Ombra di Cajo Gracco, la quale consiglia a scegliere il senza gambe. […] Ne parlano all’Inglese loro amico, il quale senza approvare, dice che si rivedranno in casa Cherdalosi. […] La bellezza di Elfrida incanta il re, il quale ordina che si chiami Adelvolto, cui rimprovera il tradimento ; egli chiedo la morte. […] Dorat, il quale sul Regolo del Metastasio compose la sua tragedia Regulus.
Ma questa si pubblicò in Venezia nel 1583, ed io trovo, che nella stessa città se ne impresse nel 1581 un’altra di Alvise Pasqualigo detta gl’Intricati, la quale, come appare nella dedicatoria fattane al principe dell’Accademia Olimpica, ed anche dal prologo, era stata rappresentata qualche anno prima a Zara. […] Ode poi Silvano che questo suo amico favorisce in di lui pregiudizio Dameta presso Laurinia, e credendolo traditore ne ordina la morte ad un servo, il quale finge di averlo ucciso. […] In Milano nel 1597 se ne fece una edizione corretta dall’autore, il quale giunto all’ultima vecchiezza morì nella sua patria pieno di onorata fama per le molte sue opere ingegnose che produsse. […] Fa altresì menzione il Manfredi di Enone boschereccia composta da Ferrante Gonzaga principe di Molfetta morto nel 1630, la quale era vicina a terminarsi nella fine del 1593. […] Finalmente il Visdomini fondatore dell’Accademia degl’Innominati di Parma, oltre alle tragedie già mentovate, compose l’Erminia pastorale dedicata al conte Pomponio Torelli, la quale fra tutte le nominate favole inedite sola trovasi conservata manoscritta nella ducal Biblioteca di Parma.
Ma questa si pubblicò in Venezia nel 1583, ed io trovo, che nella stessa città un’ altra se ne impresse nel 1581 di Aluise Pasqualigo detta gl’ Intricati, la quale, come appare dalla dedicatoria fattane al principe dell’Accademia Olimpica, ed anche dal prologo, era stata rappresentata qualche anno prima a Zara. […] Ode poi Silvano che questo suo amico favorisce in di lui pregiudizio Dameta presso Laurinia, e credendolo traditore ne ordina la morte ad un servo il quale finge d’averlo ucciso. […] In Milano nel 1597 ancora se ne fece un’ edizione corretta dall’autore, il quale giunto all’ ultima vecchiezza morì nella sua patria pieno di onorata fama per le molte sue opere ingegnose che produsse. […] Di un’ altra pastorale inedita fa anche menzione il Manfredi composta dal conte Alfonso Fontanelli, la quale (dice nella lettera 364) intendo esser un miracolo di quest’arte. […] Fa altresì menzione il Manfredi di Enone boschereccia composta da Ferrante Gonzaga principe di Molfetta morto nel 1630, la quale era vicina a terminarsi nella fine del 1593.
Tutta l’azione appartiene alla commedia spagnuola, onde principalmente fu tolta la scena nella quale nel tempo stesso implorano dal sovrano Chimene giustizia, ed il padre di Rodrigo pietà; quella di Rodrigo e Chimene, quando parlando questa con Elvira, l’amante ascolta in disparte nascosto; quella del contrasto del dovere di figlia colla passione amorosa in Chimene, e della vendetta dell’ingiuria paterna coll’ amore per Chimene in Rodrigo. […] E quest’unico difetto trovava nella Fedra Arnaldo d’Antilly, il quale confessò che senza tale galanteria la Fedra (che fece fuggire dal teatro Parigino il dilicato Huerta) nulla conteneva che non conducesse alla correzione de’ costumi. […] Nel Mitridate la compassione è più per Monima che pel protagonista, il quale poco più del nome ritiene di quell’ irreconciliabil nemico de’ Romani, e si vale di un’ astuzia poco tragica per iscoprir gli affetti di Monima. […] Nell’inverno in cui si rappresentò il Cid, comparve la Marianna di Tristano, nella quale declamò con tal vigore il commediante Mondori che vi perdè la vita. […] Piacquero anche Amalasunta e le altre, ad eccezione del Fantôme amoureux tolta dalla commedia spagnuola El Galàn Fantasma, la quale cangiando linguaggio non migliorò di vivacità ne’ colpi di teatro8.
Che l’Italia avesse preceduto alla Spagna nel coltivare qualche genere letterario, o per contrario, quale aumento ne risulta alla massa generale del Sapere? […] Scriviamo pur noi non pertanto, se a lei così piaccia, per anni (dalla quale smania però mi scampi il cielo! […] Lampillas, il quale non solo dalla classe di Dramma escluse un’ Ecloga del Caro, ma l’ Orfeo del Poliziano, il Cefalo del Correggio, e i Due Pellegrini del Tanzillo, tre compiuti Drammi teatrali rappresentati in Mantova, in Ferrara, e in Messina, i due primi sin dal XV. secolo, e il terzo ne’ primi lustri del XVI., e prima dell’impressione delle Poesie di Garcilasso.
E per quale inopia di buone acque? […] Quanto alla locuzione Voi sapete quale essa siasi. […] Oltre a ciò non so come vi possa inspirare tanta fiducia un Letterato terris jactatus, & alto vi superum, intento a corteggiare una potentissima Nazione, la quale per altro ricchissima di vere glorie non cura per risplendere nelle armi nella polizia, e nelle Lettere, di vanti immaginarj, presunti, o stiracchiati a forza di congetture apologetiche.
., nella quale l’haviso d’una altra impertinenza di Flaminio, pure qui gliel’acenno, acciò anche questa la possa scrivere. […] A. d’una gratia, la quale è questa, nel viagiare, all’ osteria mi sono dimenticata quella scufia bianca, della quale V.
L’estrema coltura degenera in lusso eccessivo, il quale diventa padre della mollezza e poltroneria; ed allora trascuransi le arti, si deprava il gusto, e si rientra nella barbariea. […] La Francia vicina (dice il prelodato Storico Inglese) prima di ogni altra regione verso il VII secolo approfittossi del bell’esempio, il quale di mano in mano si comunicò all’Alemagna, indi alla Spagna, all’Inghilterra e alla Scozia. […] E benchè fosse conosciuto per istraniere, fu introdotto alla presenza del re, e cantò molti versi, e poscia esaminato il campo formò un piano di assalto, col quale tagliò a pezzi il nemico esercito. […] In oltre Caindesvindo ed altri Visigoti fecero alcun’altra collezione di leggi, della quale neppure ebbe contezza il Lampillas; altrimente non avrebbe lasciato di trionfarne. […] Vedasi l’introduzione al libro V delle Storie Fiorentine di Niccolò Macchiavelli, il quale par che si appressi a ciò che quì si accenna, benchè egli nol renda abbastanza generale.
In Compagnia Righetti sposò la rinomata attrice Carlotta Polvaro, dalla quale presto fu separato per la incompatibilità dei caratteri. […] Trascrivo da Francesco Bartoli : « Graziosissimo comico fu costui, il quale fioriva intorno al 1590. […] Fama volat ; la quale non sa spifferare dalla sua sonora sampogna altro che le lodi di questo Dottore, Plusquamdottore, Archimandritta di tutti i Dottori. […] Non vi restava se non quel folletto di Mercurio a farmi sentire le sue ragioni, il quale senza aspettar l’inuito, cauatosi il capelletto, e di mio ordine messo in vn canto quel baston, che suol portare in mano, fece vna bella, e lunga cicalata, mostrando come tutto quello, che haueuano ditto gli altri Dei era Alchimia, e non poteua stare a martello ; e che lui solo era il pater patriæ Bononiensis ; vedendosi che tutti i Bolognesi come figliuoli, e descendenti di Mercurio Dio dell’eloquenza, nascono con vna buona inclinatione naturale alla Rettorica, e son dotati d’vn facondo parlare.
La sua carriera fu rapidissima e brillante ; e molto egli deve senza dubbio alla signora sua, la Celeste De Paladini, la quale, capocomica e attrice di molto merito, slanciatolo di punto in bianco nel campo dell’arte, non gli lasciò il tempo di compier gli anni del noviziato, i più scabrosi della vita artistica, ai quali sono soggetti i principianti.
Concordando il ruolo e l’epoca dei due Bellotti, è molto probabile ch’essi non fosser che una sola persona ; benchè paia strano che il Bartoli quasi contemporaneo, il quale tanto disse dell’andata a Dresda della Bastona, del D’Arbes e di altri, non abbia accennato nemmen di volo, a’viaggi di questo, che pur chiama famoso, di cui parla fuggevolmente come di sconosciuto….
Dopo di aver fatto parte delle primarie compagnie Taddei, Righetti e Bazzi, ne formò una egli stesso in società con Pietro Solmi e Giovanni Pisenti, colla quale si trovava il 1820 al S.
E venendo a parlar delle Torri, due commedie di sua particolare fatica e di sua invenzione, il Bartoli assicura aver egli toccato il sommo dell’ arte, in una scena specialmente, per la quale ci dice che bisognava vederla per giudicare s’ ella meritava ogni lode di chi sa intendere la forza di quell’ arte, che è tutta propria d’ un bravo Comico e che non è permesso alla penna d’ uno scrittore d’ estenderla al Tavolino in pari modo.
All’arte del recitare accoppiò ancora quella del canto, nella quale fu encomiatissima.
Passò per un triennio nella Compagnia Mascherpa al servizio dell’Arciduchessa Maria Luigia, per rientrar nella Reale di Torino, prima attrice assoluta, al fianco sempre del marito, amoroso, a vicenda con Carlo Romagnoli, fino a tutto l’anno '52, dopo il quale fe'compagnia col maggior figlio di Luigi Vestri, Gaetano, lanciando prima attrice giovine la figlia Luigia, che del Vestri doventò poscia la moglie.
Diventò poi conduttore d’opere in musica, ma con poca fortuna ; chè il '79, s’incendiò il Teatro di Gorizia, del quale egli aveva l’impresa.
E Goldoni mette in nota : Elogio ben dovuto alla memoria di Francesco Rubini, il quale quantunque di nascita mantovano, e non del tutto in possesso della lingua veneziana, ha saputo tanto piacere in virtù del suo talento, e della sua buona grazia.
Fu poi con Elena Tiozzo, con Trivelli, con Ernesto Rossi, col quale fu in America, e salì in bella rinomanza, che non si attenuò mai per la sua gran dovizia di comicità schietta e spontanea.
In tutte le moschee considerabili si trovano collegj dove s’insegna a leggere, scrivere e spiegar l’Alcorano, ed anche l’aritmetica, l’astronomia e la poesia, la quale conserva l’indole orientale ripiena d’immagini forti e di metafore ardite. […] Il primo precettore in essa è stato Seit Hassan Choja Algerino perito nella nautica e nelle lingue araba, turca, inglese, francese e italiana, al quale è succeduto Seit Osman Efendi nativo di Costantinopoli abile geometra, che vi gode una pensione di quaranta piastre al mese, oltre a tutto il mantenimento necessario in casa.
Lasciò nel’ 91 il ruolo di prima donna assoluta per darsi a quello di madre, scritturata con Andrea Maggi prima, poi con Giuseppe Pietriboni, con Ernesto Rossi e con Gustavo Salvini, col quale si trova tuttavia.
Dal suo secondo matrimonio ebbe una bellissima figlia, Elisa Mayer, che per parecchi anni esercitò l’arte della madre, per la quale addimostrava tendenze non comuni, ben lontana però dal pervenire all’eccellenza della madre sua.
Esordisco oggi in un carattere nel quale mi si giudicherà per confronti : se così è davvero, è meglio che non cominci.
E il povero Goldoni per queste ragioni dovè abbandonar quell’anno (il 1764) l’impresa di rappresentar la trilogia, trovando il disegno di più facile esecuzione l’anno di poi, nel quale avrebbe potuto affidar le parti de’ due innamorati servitori al fratello e alla sorella Majani.
Dopo alquante peripezie or con una Compagnia Stecchi, di cui la prima donna era guercia, or con la Pochini, e di nuovo col Rizzotto in Sicilia, poi coll’Arcelli in Calabria, poi soldato nell’8° granatieri, finì coll’entrare il 1872 primo attore nella Compagnia di Federigo Boldrini, diretta dalla Pezzana, colla quale fu in Ispagna e nell’America del Sud.
Martellini, quale Sig.
. — Dopo di avere recitato, bambina, tra’ filodrammatici della città, dopo di avere studiato il ballo, preconizzata dalla celebre Mayvood una futura ballerina di cartello, dopo di avere studiato il canto a Firenze col maestro Romani e il suo alunno Vanuccini, e di aver cantato a quel teatro della Pergola e ne’ maggiori d’Italia, scritturata per un triennio dal celebre maestro Lanari, eccola finalmente entrare nella Compagnia formata allora da Giuseppe Peracchi, poi in quella di Ernesto Rossi (’63-’ 64), che la chiama nelle sue memorie servetta e seconda donna pregevolissima, e al quale ella tributa la più profonda riconoscenza di scolara.
Sposatasi il '73 a Giuseppe Pietriboni, ne fu anche la prima attrice assoluta, sino al dì della sua morte, avvenuta a Torino per carcinoma il 21 febbraio del '92 ; e in codesti diciannove anni fu l’anima della Compagnia, nella quale recò tanto di bontà, di grazia, di gentilezza, che non vi fu, credo, compagno d’ arte che a lei non fosse come me affezionato e devoto, e come me non piangesse la sua morte sì come quella di una buona amica, di una sorella.
Il dì seguente rinnova la supplica al Duca in persona, nella quale si firma non più Luca Rechiari detto Mario, ma Luca Rechiari detto Leandro.
Conti, infatti, doveva aver trasmesso al Bolognese la tesi di un ‘erudito francese’ (così viene indicato in TrAM, III.[90]), secondo la quale le tragedie amorose si erano rese necessarie per compiacere il pubblico femminile, nell’antichità non ammesso in teatro. […] [1.39ED] Ma lascia in pria ch’io mi sfoghi contra cotesti adoratori della tua Grecia, la quale a me non è dio, ma è bene una parte di mondo da cui riconosco la venuta delle bell’arti in Italia. […] [4.56] Fatta questa prova che vi riuscirà quale io dico, fatene un’altra. [4.57ED] Pigliate una stanza del Tasso e datela in mano alla nostra imperita leggitrice. […] 183d-e); l’amor platonico era nella prima Arcadia il codice attraverso il quale accogliere la tematica amorosa nei componimenti poetici, non senza le critiche di Gravina , Della tragedia, pp. 530-532. […] Sforza Pallavicino, Ermenegildo martire, Roma, per gli Eredi del Corbelletti, 1644, p. 157, secondo il quale il verso arrecava diletto all’udito, meraviglia all’intelletto e giovava alla memoria.
Giovanni Behermann negoziante di Amburgo morto da non molti anni compose due tragedie ben verseggiate, il Timoleonte, e gli Orazj nella quale imitò Cornelio. […] Il delicato Salomone Gessner nato a Zurigo nel 1730 e morto non ha guari, il quale in tante guise ritrasse la bella e semplice natura, volle pur mettere sulla scena le bellezze pastorali ch’egli seppe leggiadramente colorire. […] Andres il quale non istimandola composizione del Lessing70 ha ripresa l’Emilia Gallotti come piena di bassezze e di assurdità, afferma poi senza esitare che Lessing sorpassò tutti i tragici nazionali. […] Due tragedie in prosa sul gusto Inglese si coronarono non ha molti anni in Amburgo, cioè i Gemelli di Klinker, e ’l Giulio di Taranto di Leusewitz, nella quale si notano molte bassezze ed assurdità. […] Bertola la Cleopatra, la quale però si pretende che non abbia secondato il disegno dell’autore di produrre una tragedia tedesca da paragonarsi con alcuna di Racine, cosa che sembrava tanto difficile al Wieland autore del Mercurio tedesco.
, che si recò a Dresda nel 1740, a far parte della Compagnia di Corte, formata e diretta da Andrea Bertoldi, la quale cominciò il corso delle sue rappresentazioni la sera del 12 maggio 1738, in occasione delle nozze per procura della Principessa Maria Amalia di Polonia e Sassonia, col Re Don Carlos di Napoli, a Pillnitz.
Forse, trovandoci di fronte a una figlia adottata, e però, forse, naturale, il Bartoli ci ha dato il nome della madre o altro tolto a prestito, invece di quello, fin allora ignoto, del padre ; il quale poi, in occasione del matrimonio avrebbe riconosciuta la figliuola.
Elle veniva in linea diretta da quella splendida pleiade di artisti che ora non son molti anni lasciò credere un momento avverata la superba speranza di giorni di gloria per il teatro italiano, e della quale solo pochi superstiti dispersi, affannosamente cercanti uno dopo l’altro meno ingrato cielo, restano ad attestare che la speranza non era nè temeraria nè vana.
Da quello di San Simone passò a un altro teatrino di via Castelfidardo, ove conobbe Edoardo Giraud che le insegnò a leggere ed a scrivere, poi finalmente al Teatro Milanese del quale fu una vera colonna fino al giorno della sua morte, avvenuta per sincope, a Firenze, sulle scale di casa mentre tornava a mezzanotte dall’Arena Nazionale.
.), e a sua moglie Marzia, della quale il Narici era parente ; probabilmente fratello (V.
I due segni d’oro mandati da Filli ridotta all’estremo al suo Tirsi infedele, perturbano sommamente l’azione, che viene nobilitata nel V atto col pericolo della vita di Tirsi, il quale avendo gettati via que’ cerchi, ov’era l’immagine del Sultano, per una legge è divenuto reo di morte. […] Nel medesimo anno si pubblicò la boschereccia detta maritima intitolata Dardo Fatale da Giambatista Bregazzano, il quale diede alla luce nel 1630 il Vendicato Sdegno favola pescatoria, e nel 1637 le Varie Fortune boschereccia. […] Gian-Domenico Peri ne fu l’autore, il quale nacque in Arcidosso nelle montagne Sanesi.
L’olandese Golio ne’ suoi viaggi in Aleppo, nell’Arabia, nella Mesopotamia ed in Costantinopoli, trovò molti Turchi cortesi e illuminati, i quali gli permisero di osservare i codici delle loro libreriea In tutte le moschee considerabili si trovano collegii, dove s’ensegna a leggere e scrivere e spiegar l’Alcorano, ed anche l’aritmetica e l’astronomia e la poesia, la quale conserva l’indole orientale ripiena d’immagini forti e di metafore ardite. […] Il primo precettore in essa è stato Seit Hassan Choja algerino perito nella nautica e nelle lingue araba, turca, inglese, francese, italiana, al quale succedette Seit Osman Efendi nativo di Costantinopoli abile geometra, che vi godeva una pensione di quaranta piastre al mese oltre a tutto il mantenimento necessario.
Anche Tommaso Naogeorgus nato in Straubinge nella Baviera l’anno 1511 e morto verso il 1578, il quale intendeva il greco ed avea tradotto varie opere di Plutarco, di Dione Crisostomo e del Sinesio, volle adoperare la scenica poesia per contese di religione. […] In Heidelberg compose ancora Antonio Scoro di Hocchstraten una commedia rappresentata da’ suoi scolari, nella quale si personificava la religione che andava mendicando alloggio tra’ grandi, ed era esclusa, e veniva indi raccolta da’ plebei.
Dalla sola noja inseparabil compagna di tali disperati uniformi pantomimi, la quale, intepidito che sarà il furore della moda capricciosa, dee guarir l’Italia dell’umore anticomico del Lillo e dell’anglomania comico-lugubre francese. […] Quella non curanza e quella desolazione a cui trovansi negli scrigni de’ loro per altro rispettabili autori condannate le Danaidi ed apparentemente i Meleagri, senza la quale l’Italia correrebbe rischio di piombare irreparabilmente fin anco in braccio a i Silfi ed alle Barbe torchine.
Sposò verso il ’90 Francesca Pontevichi, prima attrice, colla quale formò compagnia prima in società, poi solo. […] Da alcune notiziole inedite, ricche d’interesse, richiamate alla memoria dell’ottimo amico artista Luigi Aliprandi per l’opera mia, trascrivo quelle che concernono il Fabbrichesi, e preludono alla formazione della nuova impresa Prepiani, Tessari e Visetti, colla quale stette l’Aliprandi dal ’38 al ’51.
Non è così ben tenuto il teatrino di Sabbionetta che pur sussiste; ma è parimente di forma antica e bellamente architettato dal rinomato Scamozzi, il quale avea terminato il teatro Olimpico sul disegno del Palladio.
Havvi nel mare del Sud alle vicinanze dell’isola degli Otahiti tralle altre un’ isoletta chiamata Ulietea, nella quale si è trovato qualche vestigio di rappresentazione drammatica.
Vincenzo, sposatosi con Angela Giribaldi, comica, fu amoroso con Massa e Romani ; primo attor giovine con Lambertini e Ferrante ; amoroso con Luigi Monti, Alamanno Morelli e Vittorio Pieri ; generico primario con Adelaide Tessero, Ernesto Rossi, Lombardi-Pavoni, Andrea Maggi, e Micheletti Pezzaglia, coi quali si trova attualmente quale amministratore.
Ma quando la febbre dell’arte lo coglieva, quando la sua mente era intera nel personaggio che egli rappresentava, quando si mostrava al pubblico sicuro di sè, padrone assoluto della sua voce, del suo gesto, della sua concezione, quale artista !
Fu con Antonio Sacco fino al ’79 ora scritturato, or socio, nel quale anno passò con la Battaglia.
., II, 110 : Mar[illisible chars], il Brighella della Compagnia, era maritato : sua [illisible chars], la quale era stata ballerima da corda al pari di lui, era una giovine veneziana molto bella ed [illisible chars], poema di spirico e di talenti, e mostrava felici disposiricai per la commedia : ella aveva abbandonato suo marito per giovanile inconsideraterra, e venne a riunirsi con lui dopo tre anni, preadendo l’impiego di serva nella Compagnia di Medebach sotto il nome di [illisible chars].
Sonetti, ed epigrafi e articoli di ogni specie s’ebbe dovunque ; e non sarà discaro a'lettori ch'io trascriva qui un epodo, offertole a Ravenna il 7 febbraio del 1877, mentre dilettava quel pubblico del Teatro Alighieri : epodo, il quale, se bene anonimo, sembra a me si levi, con altre poche, dalla schiera infinita di quelle poesie volgari di circostanza che sono la vergogna di chi le scrive e di chi le riceve.
In grazia del sesso per altro i giornalisti Inglesi trattarono con indulgenza l’autrice, la quale trasportò anche in inglese il Pastor fido. […] Fingal l’avrebbe sposata, se non l’impediva l’invasione di Caracul, che sembra essere Caracalla, il quale nell’anno 211 assalì i Calidonj. […] Giorgio Lillo giojelliere di Londra, il quale morì l’anno 1739, imprese a scrivere più d’una di simili favole tragiche di persone private sommamente atroci, per le quali si è comunicata alle scene francesi ed alemanne la smania di rappresentar le più rare esecrande scelleraggini che fanno onta all’umanità. […] L’azione si rappresenta or nell’ appartamento di Gayless giovane dissipatore ridotto alle ultime strettezze, ora in quello di Melissa da lui amata, la quale lo crede tuttavia dovizioso. […] Oggi gl’ Inglesi vantano una musica nazionale discendente dalla tedesca, la quale è figlia dell’italiana.
E quale esaminatore giudizioso, dopo mille Tragedie composte da questo Andaluzzo, l’avrebbe decorato del titolo di Menandro Betico? […] Ma quale squarcio avete Voi estratto da quelle del Cueva per farvi dire altrettanto? […] La inverisimiglianza dell’Ajace seconda Tragedia, viene difesa dal Signor Lampillas coll’esempio del Prometeo di Eschilo e degli altri Greci, che introducono Numi ed Esseri allegorici personificati, nella quale apologia si commettono due gravi falli. […] Questi subalterni dell’Isabella sono della natura del Generale de’ Giapponesi, il quale esercitando tutti i dritti principeschi, e disponendo del destino del Regno, lascia a un fantasma coronato il nome e le insegne di Sovrano. […] Un intreccio, tanto alieno dal martirio d’Isabella, degli amori infelici di Adulze Re di Valenza richiede uno scioglimento, e questo siegue in fine col di lui suicidio, il quale porta in conseguenza l’altro di Aja.
Nonpertanto ultimamente sul teatro di Foote, e poi su quello di Drury-Lane, si é rappresentata una farsa o commedia col titolo di Escrocs, nella quale vengono motteggiati i metodisti, setta novella fondata da Withefield che vive ancora. […] Ma ciò, a dirla ingenuamente, é una spezie di tradimento fatto alla nazione, il quale presso di essa ritarda l’avanzamento delle arti. […] Egli é vero che possiam gloriarci di un Metastasio, nel quale abbiamo, non che un Racine e un Corneille, ma un Euripide: i di lui trionfi però non sono stati seguiti da altri, e l’opera, che tanto si appressa alla greca tragedia, par che declini. […] Qualche poetastro povero di principi, d’ingegno, e di fantasia, il quale nella mollezza corrente non ha passate le notti d’inverno e i giorni d’està a formarsi uno stile, col solo torre qualche canavaccio lirico francese e porlo in cattivi versi italiani, favorito da una musica eccellente, come quella del celebre signor Gluck nell’Alceste, ha creduto di pareggiar di gloria Pietro Metastasio, ed ha aperto questo cammino tortuoso, che invece di menarci avanti, ci fa rinculare almeno d’un secolo.
A lui è dovuta la costruzione dell’arco 627, sotto il quale è scritto : Antonio sacco | e compagni comici | con la recita fatta | nel teatro formaliari | li x luglio mdcclix. […] L'autore si limitò solo a dire : « Un poeta, che voglia ajutare una Truppa Comica sola, la quale sia in credito per un genere, e in discredito per un altro nell’universale, non farà certamente grand’onore a sè stesso, nè darà grand’utile alla Truppa soccorsa, se la vorrà occupata in quel genere, di cui non è creduta dall’universale capace. » E dietro lo smacco dell’insuccesso, il Sacco pensò di andar migliorando la Compagnia, facendo scrivere allo stesso Gozzi nel 1772 (prefazione alla traduzione del Fajel di D'Arnaud [Venezia, Colombani]) : Egli tiene la Compagnia esercitata nella Commedia improvvisa, e ben provveduta de'più atti personaggi a una tale rappresentazione ; ma ben fornita la tiene ancora di abilissimi personaggi a recitare qualunque buona Tragedia, Tragicommedia, o Commedia, composta o tradotta che gli venisse da qualche leggiadro spirito recata. […] Spinelli, intitolato : La | Chiareide | Poema | criticosatiricogiocoso | raccolto | da | Episarco Laprisio | Pastor Lapponio, il quale contiene oltre a sonetti dell’ab. […] Ma più ancor ne fa fede Giuseppe Baretti, non veramente sospetto di poca sincerità come potrebbe essere creduto il Gratarol per le sue relazioni con la Compagnia Sacco e il Conte Gozzi, in una sua lettera da Venezia del 14 aprile 1764 a Don Francesco Carcano, al quale raccomanda vivamente il Sacco che doveva recarsi giusto allora a Milano.
Qualche anno dopo, la Compagnia ligure si sciolse, ed egli accettò una scrittura colla Compagnia Negrini, stabile in Napoli al Teatro Nuovo, dove era direttore il celebre Zanon, e nella quale stette tre anni.
Fu per alcun tempo applauditissima prima attrice di quella Compagnia negli ultimi anni del capocomicato di Adamo Alberti (del quale sposò poi un figliuolo), al fianco del Majeroni, del Bozzo, del Maggi, amoroso allora e già forte promessa dell’arte.
Esordì un po’prima di suo marito, come seconda amorosa nella Compagnia italiana, il 1660, e vi sostenne quel ruolo sino alla morte di Brigida Bianchi (Aurelia), moglie di Romagnesi (Orazio), la quale surrogò nelle parti di prima amorosa.
Se fosse rimasta nell’arte, chi sa quale artistona se ne sarebbe fatta.
Fu co’ primari capocomici, e condusse poi compagnia egli stesso, della quale fu principalissimo ornamento l’Angela Bruni, sua moglie (V.).
Entrato in arte a venti anni, passò gli anni del noviziato in compagnie di second’ ordine, sino al 1814, nel quale anno fu scritturato qual secondo amoroso dalla celebre Carlotta Marchionni.
In queste ottave, come in quelle cantate dal Corsini, potremmo forse, e senza troppa fatica, intravvedere il germe della maschera dello Stenterello, la quale sola serbò in teatro l’uso delle ottave, che furon poi come l’elemento primo della maschera, poichè in esse Stenterello mostrava senza inceppamenti il proprio io, dando bottate o politiche, o sociali, in cui emergeva l’inevitabile frizzo a doppio senso, generato forse dal Ciarli, e continuato dal Corsini e dal Del Bono entro una cerchia di relativa correttezza, e ridotto poi dal Cannelli a vera e propria sguajaterìa.
Fece le prime armi, se così possiam dire, in un paesello poco discosto da Torino, con una specie di compagnia formata da quattro o cinque ragazzi della sua età, e capitanata da Ferdinando Salvaja, amico inseparabile del povero Diotti, del quale, dopo morto, rievocò affettuose memorie, da cui traggo oggi le presenti notizie.
Morta la Masi, Achille Dondini si unì con una Rosina Ingargiola di Castelvetrano in Sicilia, artista di qualche pregio, dalla quale ebbe quattro figli : l’Amelia, moglie di Ferruccio Benini, l’Ida, moglie di Camillo De Riso, l’Ada, ora in Collegio nel Friuli, e un secondo Cesarino che comincia a recitar con la madre e la sorella Ida a Corfù.
La libertà con la quale mi uaglio de suoi fauori seruirà a V.
.), colla quale Carlo Goldoni fe’ il viaggio in barca da Rimini a Chioggia l’anno 1721.
r Luigi Molino hora nostro Podestà, col quale non ho hauuto mestieri d’accompagnamenti di parole per indurlo a seruir V.
Pisano, fu attore assai reputato nei primi del secolo, per le parti della tragedia alfieriana, tra cui va particolarmente citata quella del Filippo, nella quale fu ottimo.
L' istanza fu respinta con data del 25 marzo, stesso anno, dietro informazioni del Presidente del Buon Governo, il quale oltre ad aver trovato che i comici del Rafstopulo erano scarsi di merito, mostrava come, aderendo a tal domanda, si sarebbe danneggiato un disegno emesso da tre o quattro anni di una vera e propria Compagnia Toscana, autorizzata e sovvenzionata dallo Stato, quantunque tal disegno avesse poca probabilità di essere nonchè approvato, solamente discusso.
Rousseau racconta, nelle sue Confessioni, come, essendo segretario dell’ambasciatore di Francia, il carnovale 1743-44, con un audace colpo di mano costrinse a recarsi a Parigi per il Teatro Reale il Veronese, il quale non voleva tenere il contratto, e s’era invece impegnato col Teatro Giustinian a S.
Uscì in Firenze nel 1760 i Letterati commedia nuova, nella quale un goffo mercante fallito asino in tutti i sensi è costretto dalla fame a passar per filosofo e Principe de’ Letterati in forza di un gergo neologico inintelligibile e di una scienza libraria di distinguere al tatto i libri del XV e del XVI secolo. […] Ne’ quattro tomi da me veduti del suo Teatro ha publicate quattro commedie in prosa, l’Impressario di due atti dipintura molto comica e naturale in ciascun personaggio introdotto: i Pregiudizj dell’amor proprio in tre atti, i cui caratteri sono più studiati di quelli che presenta la natura: la Scommessa, ossia la Giardiniera di spirito parimente in tre atti, la quale supplisce colla scaltrezza all’effetto che fanno Pamela e Nanina coll’ amore, e con poco fa perdere la scommessa alla Baronessa tirando il Contino di lui nipote a sposarla: i Pazzarelli ossia il Cervello per amore in due atti con ipotesi alquanto sforzate e con disviluppo non troppo naturale, che però è una piacevole dipintura di que’ vaneggiamenti che se non conducono gli uomini a’ mattarelli, ve gli appressano almeno. […] Imola ha un teatro costruito dal cavalier Cosimo Morelli, la cui figura ellittica contiene il palco e la platea, la quale occupa uno spazio doppio del palco, e vi si veggono quattro file ciascuna di 17 palchetti. […] = fu spedita al concorso dell’ anno passato, prima che uscisse alle stampe, quantunque per una strana combinazion d’accidenti non fosse poi esaminata; non ha creduto potersi dispensare dal farne la dovuta rappresentanza all’augusto Real Mecenate; il quale derogando al tempo e a qualunque contraria legge o costumanza si è degnato permetterne, anzi ordinarne l’ intempestivo scrutinio. […] Ill. acciocchè si compiaccia significarmi per qual mezzo desidera, le sia trasmessa la Medaglia, quando però non si risolvesse di venire a riceverla dalle mani stesse del Real Protettore, come ne la invito da parte dell’ Accademia; la quale compensa per qualche modo il dispiacere di non avere per cinque anni potuto assegnare il premio, col vederne finalmente decorato un soggetto di tanta capacità, e per altre produzioni del teatro sì benemerito”.
Possono pretender tutti a quel sublime seggio ove siede fastoso qualche grecista ardito, il quale per cianciar su di alcun marmo spezzato e supplirlo a suo modo, mostra di vedervi quel che mai non vi si scolpì, ed inalza de’ torracchioni dappresso alle Nefelococcigie Aristofanesche? […] Non v’ha nemico più temuto dagl’impostori letterarj, politici e morali, quanto un buon teatro; per la qual cosa essi adopreranno sempre gli ultimi loro sforzi per avvilirne l’occupazione, temendo di esser su di esso scherniti, suo principal oggetto essendo il separar l’oro dall’alchimia, la maschera dalla realità, i veri utili scrittori da que’ larghi promettitori eterni di opere che non si producono, i quali sono gl’insetti divoratori della messe che dovrebbe alimentar la povertà meritevole, la modesta filosofia, la virtù infelice che dà riputazione fin anco a’ paesi corrotti, la quale mentre riscuote un apparente rispetto, vien lasciata languire nell’indigenza.
Suo padre lo destinò agli uffici delle finanze, ma appassionatissimo per l’arte comica, sordo a ogni rimostranza, dopo di avere recitato co’filodrammatici, comparve sulle scene di Lodi il 1798, come primo amoroso della Compagnia di Pietro Pianca, dalla quale passò in quella di Andrea Bianchi, sino al 1801. […] Sfogliando una serie di manifesti della Compagnia Fabbrichesi ne ho tratto le parti ch’egli sosteneva : Rotemberg nell’ Onor vince amore d’Iffland – Falklaud nella Coscienza – Il Presidente Monsenico nel Berretto nero – Merfort nel Pittore per amore – L’ Abate de l’Epée nella commedia omonima – Il Conte nel Portafoglio di Kotzebue – Giacobbe nel Giuseppe in Egitto – Valman negli Eredi dal tedesco della Waisen-Thurn, prima attrice al Teatro Imperiale di Vienna – Lord Suffold nel Benefattore e l’Orfana di Nota. – E altre ne cita Luigi Borghi in una sua Dissertazione in difesa dell’Arte Comica, al De Marini dedicata, nella quale sono parole di entusiasmo per l’artista gigante.
Il peso di comporne la poesia si addossô al La Cruz, il quale scrisse Briseida zarzuela heroica in due atti posta in musica da don Antonio Rodriquez de Hita maestro di musica spagnuolo. […] Cinque scene compongono l’atto I, in cui deliberata la restituzione di Crisia, Agamennone comanda che si tolga Briseida ad Achille, il quale irato si allontana dal campo greco. […] Graziosa è la di lui determinazione di non voler suscitare una guerra civile contraddetta dall’aria tutta minaccevole, nella quale paragona se stesso al mar tempestoso, e medita vendetta, e nella seconda parte, che non ha che fare col primo pensiere, si dice, Sin tus perfecciones serà à mis pasiones dificil la calma, quando à mi alma la quietud faltò.
Lascio poi che l’istruzione morale che dee prefiggersi un buon tragico, non si scorge in tal tragedia quale esser possa. […] L’effetto di questa favola è l’ ammirazione che risulta dall’eroismo di Gusmano il quale preferisce la propria fede alla vita di suo figlio. […] Notisi intanto che questa è una delle scene patetiche in cui Olvia delibera e risolve il sacrificio del suo amore, la quale ha riscosse tante lodi dal precitato bibliografo. […] V’è analogia tra Megara capo e difensore amato di Numanzia, per la quale vuol morire, con Tarquinio re tiranno, oppressore, abborrito dal suo popolo? […] Si vanno distinguendo le voci che cercano la morte di Rachele, la quale fugge all’avviso di Manrique.
Ma quest’ultima censura avrà poco peso per chi rifletta che Don Pietro è un marito per ipotesi del poeta tuttavia fervido amante, il quale gode fra mille pericoli e sospetti il possesso dell’amata, ciò che dee mantener sempre viva la sua fiamma. […] Ma l’autore del Maometto si prefigge d’ inspirare tutto l’abborrimento pel fanatismo, il quale abusa della religione e toglie l’orrore a’ più atroci delitti in pregiudizio della virtù. […] Colardeau morto da non molti anni, il quale a qualche dono naturale non accoppiò nè studio nè travaglio, scrisse due tragedie Astarbé e Calisto, delle quali durano ancora i nomi. […] Noi abbiamo accennato queste poche cose senza curarci dal rimanente deriso dal nominato giornalista, il quale ne additò anche molte espressioni false, gigantesche e puerili. […] A quale oggetto?
Stefano Arteaga [1] Se in un secolo come il nostro, se ad un uomo quale voi siete, io non presento una di quelle opere importanti che influiscono direttamente sul bene delle nazioni; io vi prego, o Signore, ad attribuirlo meno al non averne sentito gl’impulsi che al destino che mi vieta di secondarli.
Mi discolpi eziandio l’unico intento che mi mosse, di appalesar per le stampe quanto io mi pregi della preziosa padronanza onde mi onorate da più anni, e quanto io ammiri le rare doti dell’animo vostro, la vostra dottrina e l’erudizione somma prima ancora che venga alla luce la Coltura delle Sicilie nel Regno di Ferdinando iv da me delineato appena in tre volumi vicini ad imprimersi, nella quale, o Signore, come Poeta, come Filologo, come Erudito di ogni maniera figurate vantaggiosamente ed ornate il mio patriotico racconto dell’Epoca Fernandiana.
Arlecchino batte alla porta di Diamantina, la quale, trovatolo finalmente dopo inutili ricerche, lo getta a terra, e messasi la di lui testa fra le gambe, si dà a schiaffeggiarlo.
Al subblime merito della Signora Maria Maddalena Battaglia nata Torti di Pisa, la quale con universale applauso recita nel pubblico Teatro di Lucca in grado di prima Donna nella scelta Compagnia Comica degli Accademici Riuniti.
Alludesi alla Commedia intitolata – Il Trionfo dell’ Innocenza – nella quale la suddetta virtuosissima Signora ha rappresentato il Personaggio della Candace.
Quanto valesse Vincenzo Cammarano nella maschera del Pulcinella e come sapesse afferrare il suo pubblico e farlo ridere apertamente, sanamente, di quel riso che rifà il sangue, sappiamo da Cesare Malpica, del quale il Di Giacomo (op. cit.
Di lui, morto, disse il Costetti, del quale mi piace riportar le parole che indirizzò alla figliuola Lina il Io giugno del ’96.
Contuttociò gli fu da quel magnanimo Re continuata la pensione, prendendo piacere delle di lui facezie ; Sicchè vedendosi Michelagnolo con mille Luigi d’oro l’anno, con carrozza, e con Servidori, mandò a levar da Napoli Cesare suo Padre, la Madre, col resto di sua Famiglia, e prese per moglie una Donna di onesto parentado, con la quale procreò molti figliuoli ; Questa fu la seconda volta, che Cesare vide la Francia, dove alla perfine mori, e tanto egli, quanto il suo figliuolo dipinsero qualche cosa per semplice diletto.
Nato da civili parenti, e rimasto, giovanetto, orfano del padre, si diede alla scena, in cui sognava di diventare egregio artista sotto la maschera di Truffaldino, per la quale avea potuto ispirarsi all’arte di Felice Sacchi (Sacchetto) prima, poi di Ferdinando Colombo, in Compagnia di Pietro Rossi.
Michelangelo rappresentava estemporaneamente la parte di Pulcinella avendola studiata sin dalla fanciullezza da Andrea Calcese ammirato in tal carattere in Napoli ed in Romaa, e da Francesco Baldo, dal quale ricevè anche in dono la maschera stessa usata dal primo di lui maestro il nominato Calceseb. […] Pur non lasciò di eccitare il riso e di fare in parte conoscere il proprio valore, e gli fu continuata la pensione assegnatagli di mille luigi, colla quale soccorse e chiamò presso di se i suoi genitori, ed in seguito prese moglie e visse con decenza sino al 1685.
Il nostro intendimento poi, il quale da’ sensi attende le notizie delle cose esteriori, non in un tratto, ma successivamente si arricchisce. […] La prosa colla quale si ragiona ordinatamente, abbisogna di metodo e di principj che non si acquistano prima che l’intendimento si perfezioni.
Ma farei peccato veramente se osassi defraudare i lettori di questo gioiello di lettera ch'ella mi scrisse or son pochi mesi, la quale rispecchia tutta la benignità della sua natura, e con essa tutta la geniale semplicità dell’arte sua : Nata…. nel '52…. brrrr ! […] Venne la compagnia dello stenterello Miniati, il quale capitò proprio nella nostra casa.
1548, fu deputato il Barlacchi, il quale, trattandosi di festa fiorentina, e di esecutori fiorentini, mutò il luogo di azione della commedia, di Roma che era, in Firenze, recando così sulla scena i leggiadri e ricchi vestimenti della sua terra : e tanto piacque la rappresentazione di detta Calandra, che fattasene la replica a preghiera de’ lionesi che non la poteron vedere la prima volta, il Re e la Regina e la Corte vi intervennero inattesi, e dichiararon esser loro piaciuta la commedia assai più che la prima volta : e innanzi di partirsi di Lione il Re fe’ dare a’comici 500 scudi d’oro, e 300 la Regina, dimodochè — chiude la descrizione — il Barlacchi et li altri strioni che di Firenze si feciono venire in giù se ne tornarono con una borsa piena di scudi per ciascuno.
Una volta, a sollevarla dalla indigenza nella quale fu trascinata un po’dalle vicende dell’arte e molto dalla sua natura, si unirono con pietoso e gentile proposito i migliori artisti nostri, i quali dettero una di quelle rappresentazioni che segnano una data nella storia dell’arte.
mo di Parma Probabilmente fu la stagione di primavera del 1728 a recitare a Modena, come si rileva da una viva raccomandazione del Farnese al Duca Suocero, la quale comincia : Desiderando ogni maggior uantaggio alla Compagnia Comica del Cattoli da me riceuuta sotto la mia Protezione, mi prendo la confidenza di pregare uiuamente V.
E lo stesso giudizio avea dato due anni prima Giulio Piccini (Jarro) ne' suoi primi studj Sul palcoscenico e in platea (Firenze, Paggi, 1893) : al quale anche potè aggiungere parole di gran lode per l’arte di mettere in iscena, e per l’indole dolcissima dell’artista e dell’uomo.
Nato a Verona il 21 giugno del 1780 da Epifanio del fu Marco Tessari e da Rosa Turella, si diede, appena compiuto un regolare corso di studj, a recitare nella Filodrammatica della città, scritturandosi poco di poi col Paganini, dal quale passò in processo di tempo col Bianchi, con la Consoli e Zuccato, e finalmente col Fabbrichesi, Direttore della Real Compagnia Italiana.
E quì termina per me l’ultimamente uscito Volumetto del Saggio Apologetico, di cui la maggior parte s’impiega contro la Storia de’ Teatri, al quale rispondendo credo di non aver dato occasione all’Apologista di lagnarsi, come ha fatto degli altri Italiani, che abbia dissimulate le di lui ragioni. […] Roma guerriera non discacciava la Greca Sapienza, della quale cercò anzi di approfittarsi nella compilazione delle XII. […] Adunque Roma discacciò ne’ Retori, e ne’ Carneadi la doppiezza, e non, come sinistramente pensa il Signor Lampillas1, la Filosofia, la quale sin dal primo secolo di lei tralusse in Numa Pompilio, ammirato da’ Posteri al pari de’ Soloni, de’ Licurghi, de’ Zaleuci, per aver saputo ingentilire un Popolo feroce co’ riti religiosi, coll’ordine, e colle Leggi. […] Tarteso (aggiugne il citato Professore di Poetica) la chiama ancora Erodoto, il quale asserisce che i Samj furono i primi ad approfittarsi delle Fiere di Tarteso. […] Di poi da qual fatto, da qual monumento, da quale Autore si deduce, che verisimilmente le Colonie Fenicie stabilite in Ispagna vi portarono l’amore delle scienze, e delle arti, e lo comunicarono agli Spagnuoli divenuti Fenici?
Io non ho veduto che uno scherzo del Grazioso Gabriele Cinita in Madrid, il quale solo, in tre picciole scene buffonesche che chiamava atti, rappresentava un’ azione mimica. […] É una ruvidezza pedantesca la risposta di Megara ad Anfitrione, Quod nimis miseri volunt Hoc facile credunt, la quale acquista semplicità e naturalezza in Metastasio: E poi quel che si vuol, presto si crede. […] La sua Ifigenia in Aulide collo scioglimente naturale del Racine fu rappresentata in quell’anno colla musica del Valenziano Vincenzo Martin, il quale abbisognava di più lungo soggiorno in Italia per riuscire sul teatro di San Carlo ripieno dell’armonia immortale de’ Jommelli, de’ Piccini, de’ Mai e de’ Paiselli. […] Il sig. conte Pepoli che lo segue e ne adora le vestigia, ha pubblicato nel 1789 il suo Meleagro accompagnato da una lettera sul melodramma serio ad un uomo ragionevole, il quale nè anche parmi che abbia presentate sulle scene le nuove vesti delle antiche furie, de’ numi infernali, delle ombre e delle parche, corteggio perpetuo delle tragedie musicali mitologiche. […] Dorat, il quale sul Regolo di Metastasio compose la sua tragedia Regulus.
Il nostro intendimento poi, il quale da’ sensi attende le notizie delle cose esteriori, non in un tratto, ma successivamente si arricchisce. […] La prosa, colla quale si ragiona ordinatamente, abbisogna di metodo e di principii che non si acquistano prima che l’intendimento si perfezioni.
Gli attori furono varie persone di buon nome e di talento, e tra esse, oltre al medesimo Jodelle, due altri poeti, Remigio Belleau e Giovanni de la Peruse, il quale compose ancora una Medea di assai infelice riuscita. […] Nella mia dimora in Madrid vidi in un intermezzo l’azione principale e la difesa del pecorajo fatta da Patelin, e la contesa insorta poi trall’Avvocato ed il Cliente, il quale si vale della medesima istruzione da lui avuta per non pagarlo.
Quanto dunque comparve sulle scene francesi anche sotto Francesco I, era una mescolanza grossolana di satira, di religione e di scurrilità, che cominciò a scandolezzare e ristuccare il pubblico, e fece sì, che i Confratelli perdessero il teatro, il quale tornò a convertirsi in ospedale. […] Nella mia dimora in Madrid vidi in un intermezzo l’azione principale e la difesa del pecorajo fatta da Patelin, e la contesa insorta poi trall’Avvocato e il Cliente, il quale si vale della medesima di lui istruzione per non pagarlo.
Il delicato Salomone Gessner nato a Zurigo nel 1730, e morto prima del 1789, il quale in tante guise ritrasse felicemente la bella e semplice natura, volle pure mettere sulle scene le bellezze pastorali che egli leggiadramente seppe colorire. […] In prima egli non istimò composizione di Lessing l’Emilia Gallotti che egli non senza ragione disprezza per le bassezze e le assurdità; ma io credo piuttosto all’alemanno Federigo II il grande, il quale diceva che egli avrebbe stimato più questo scrittore, se non avesse composta Emilia Gallotti. […] Il colonnello Ayrenhoff uno de’ letterato dell’Austria compose più tragedie e commedie, e tralle prime viene sommamente celebrata dall’abate Bertòla la Cleopatra, la quale però si pretende che non abbia secondato il disegno dell’autore di produrre una tragedia tedesca da paragonarsi con alcuna di Racine, cosa che sembrava tanto difficile al Wieland autore del Mercurio tedesco. […] Federigo Augusto Werthy di Wietemberg nato nel 1748 ha composte due opere musicali mitologiche, Orfeo, e Deucalione, Cristoforo Martano Wieland nato nel 1733 in Biberach, il quale prodotto avea prima la tragedia Giovanna Grais, compose la Rosamunda, la Scelta di Ercole, l’Aurora, l’Alceste drammi musicali alla francese.
Crebillon battè un sentiero ben differente da quello del Voltaire, il quale meglio si diffini da se stesso. […] Guymond de la Touche nato nel 1729 in Chateu-Roux nel Berrì e morto nel 1760 in Parigi, compose una Ifigenia in Tauride, nella quale immaginò a suo modo lo scioglimento. […] Le Fevre, la quale vi si è veduta ricomparire sempre con diletto, e si rappresentò di nuovo nel 1793. […] Abbiamo accennate queste poche cose senza curarci del rimanente deriso dal citato giornalista, il quale ne additò anche molte espressioni false, gigantesche e puerili. […] A quale oggetto?
Tale fu pure il dialogo di Gherardo Richier con una pastorella, la quale, benchè da lui trovata a caso, si mostra intesa degli amori di lui colla sua Bel-de-port 1.
Sostenne con Fini nel 1824 il ruolo di secondo amoroso col quale passò poi il 1825 con Tommaso Zocchi.
, 104) : Essendo giunto in questa città per passare a Venezia un famoso comico, detto Gandini, quale fa la figura di diversi personaggi con una prestezza e sveltezza non ordinaria, con mutare li linguaggi in tutte le forme, et in due che ha fatto prova del suo spirito nel teatro Formagliari ; vi è stato un concorso cosi grande d’ogni genere di persone, che quel teatro non fu capace per tutti, e quegl’ impresarj hanno fatto grandi impegni e profferto una gran parte perchè resti per tutto il carnevale, ma si crede che non restarà per avere l’impegno con Venezia.
Già coi dilettanti della città potè mostrare le sue chiare attitudini alla scena, esordendo poi attore stipendiato in Compagnia di Niccola Petrioli, nella quale fu a Genova il 1758.
Una lettera v'ha ancora del 21 aprile 1660 da Parma, la quale mostra la grande famigliarità ch' era fra lui e le varie Corti, annunciando a un Segretario del Duca di Mantova la scelta degli appartamenti pel suo prossimo arrivo a Parma ove doveva recarsi anche il Ser.
Di grazia quale ingegnoso artificio lodevole può campeggiare in una favola che si agevola d’ogni modo il sentiero aggruppando in due ore di rappresentazione la storia di mezzo secolo, e presentando in quattro spanne di teatro tutto il globo terraqueo, ed anche il mondo mitologico e l’inferno e il paradiso? […] Si recitò in Firenze nel medesimo anno in cinque giorni con generale applauso la Fiera commedia urbana del festivo Buonarroti il giovane, la quale è uno spettacolo di cinque commedie concatenate diviso in venticinque atti75. […] Ciò rilevasi da un passo di Teodoro Balsamone già da noi citato, il quale visse in quel secolo: olim cantorum ordo non ex eunuchis, ut hodie fit, constituebatur, sed ex iis qui non erant ejusmodi 87. […] Solo è da notarsi che ne’ primi tempi l’opera tirava i suoi argomenti dalla mitologia, la quale agevolmente apprestava di gran materiali per le decorazioni e per le machine che maravigliosamente si eseguivano da insigni artefici. […] Pur non lasciò di eccitare il riso e di far conoscere in parte il proprio valore, e gli fu continuata la pensione assegnatagli di mille luigi, colla quale soccorse e chiamò presso di se i suoi genitori, ed in seguito prese moglie e visse con decenza sino al 1685.
Lasciamo stare i Greci, de’ quali non avrà egli certamente preteso parlare, perchè tra questi non vi fu schiera di commedianti, nella quale non entrassero gli stessi poeti, confondendosi gli uni negli altri nel libero popolo ateniese, quando gli autori non mancavano, come Sofocle, di voce e di abilità per rappresentare. […] quale che possa porsi in confronto de’ due Corneille, del Racine, del Piron, del Crebillon, del Voltaire?
Io non ho che un augurio : che l’opera così bene incominciata sia condotta a termine felicemente con gioconda attività, poichè allora Ella avrà regalato alla Storia del teatro d’Italia un’opera da consultarsi come nessun’altra Nazione ancora possiede, e per la quale in ogni tempo chiunque si occupi di ricerche di teatri Le sarà riconoscente. […] E lo accompagni e lo sorregga l’illuminato e sollecito interesse degli studiosi, di quanti hanno gusto e sentimento d’arte ; rimeritando così, giustamente, l’ingegno, la coltura, la volontà, e la bella fede, della quale l’opera di Luigi Rasi è manifestazione singolare.
Da somiglianti saggi, che danno corpo alle idee e le pongono meglio in luce, potrà anche ognuno recarne un più fondato giudizio: vedere se elle sono praticabili o no; e se io non fo per avventura come colui il quale, dopo date le più belle regole del mondo sulla tattica, non sapeva poi far fare a diritta a una picciola mano di moschettieri.
Con tutto ciò Lope de Vega morto nel 1635, per aver egli calpestata ogni regola, mostrava di temer la censura non meno dell’Italia che della Francia, la quale nel di lui fiorire avea un teatro tanto sregolato quanto l’alemanno e ’l cinese, e di gran lunga inferiore a quel di Lope per invenzione e per ingegno e per vivacità.
Passow nata in Copenaghen e morta nel 1757, la quale era stata celebre attrice del teatro nazionale e poi nel 1753 divenne moglie di un tenente del re che nel 1731 era stato capitano della compagnia dell’Indie.
Pel futuro triennio, a cominciare dal ’900, si è unita con Talli e Calabresi in società, durante la quale giova credere ch’ella non sarà più una speranza e una promessa, ma una realtà.
Nè solamente apparve buon Brighella, ma buon caratterista in genere ; e Carlo Goldoni scrisse per lui il Todaro Brontolon, il Fabrizio degl’Innamorati, il Don Policarpio della Sposa sagace, il Don Mauro dell’Amante di sè stesso, ed altro ; commedie tutte, nelle quali, a detta del Bartoli, mostrò tanto valore da diventare il Beniamino di Venezia, dove stette lunghi anni, prima al San Luca, poi al Sant’Angelo, sotto la direzione di Giuseppe Lapy, del quale, sempre a detta del Bartoli, fu più che amico, fratello.
Di grazia quale ingegnoso artificio lodevole può campeggiare in una favola che di ogni modo si agevola il sentiero aggruppando in due ore di rappresentazione la storia di mezzo secolo, e presentando in quattro spanne di teatro tutto il globo terraqueo, ed anche il mondo mitologico, e l’inferno e il paradiso? […] Ma quando intende che quella è veramente sua sorella, cade nelle smanie di Edipo senza però oltrepassare i limiti prescritti alla commedia, e la vivacità delle passioni che risveglia questo evenimento, agita e scompiglia la casa tutta, la quale avventuratamente si rassetta col manifestarsi uno scambio accaduto in fasce alla fanciulla, per cui si riconosce per figlia di un altro concittadino. […] Si recitò in Firenze nel medesimo anno in cinque giorni con generale applauso la Fiera commedia urbana del festivo Buonarroti il giovine, la quale è uno spettacolo di cinque commedie concatenate diviso in venticinque atti a.
S. è addirato contro di lui, e piu d’ogn’altro un Nobile venetiano, che si trouaua in modena che haueua seguito lucilla moglie di Triuellino nella quale è fieramente inamorato, parti la mattina subito da modena questo Nobile cum mali pensieri uerso Ottauio, Che è quanto e sucesso sin’hora e ui sia di nouo, e faccio hum.ª et oseq.
Avendo il Giornale di Parigi, nel dar conto della rappresentazione, chiamata la fanciulla figlia di Zanuzzi, questi pubblicò una lettera, firmata Zanuzzi, Comico italiano ordinario del Re, nella quale dichiarava ch'ella non aveva con lui alcun vincolo di parentela, e si chiamava Maria, figlia dei coniugi Lescousier borghesi di Parigi.
E l’eccellente attrice seppe serbarsi intatta la fama acquistata, alla quale non nocque punto nè meno il suo difetto capitale comune a molte donne : la gelosia di mestiere…. […] Il povero Goldoni che nonostante la sua infinita serenità d’animo, dovè patire tutte le noje prodotte dalle eterne guerricciuole di palcoscenico, determinò un bel giorno, a soddisfar la Bresciani, e più ancora a darle una buona lezione, di formare una commedia nella quale l’attrice non avesse a temer confronti : e scrisse la Donna sola, che piacque molto alla Bresciani e che fu da lei, se ben capita la satira, mirabilmente recitata nel carnevale del 1757.
Egli si trattenne ancora al seguito del Re, il quale in ottobre dello stesso anno gli fe’pagare cinquecento lire tornesi e XVII testoni, ecc. ecc., da repartirsi tra lui e i suoi compagni, sempre in considerazione del piacere che procuraron colle loro commedie a Sua Maestà.
Io quì vedo un manifesto decreto di condennazione positiva della licenza immoderata della scuola Lopense e Calderonica, la quale, traviando dalla norma comune, e da’ precetti indispensabili, permise a’ Poeti l’abbandonarsi alla propria intemperanza. […] Saverio, menarvi buona quella sbraciata della p. 211. contro l’Italia nel XVII. secolo, nel quale supponete le nostre Scene occupate dalle più sconce arlecchinate a cagione di cinquanta scheletri di favole tessute a soggetto pubblicate dal Commediante Flaminio Scala nel 1611. […] Or quale de’ due mostra più senno e meno parzialità? […] Assai velocemente scarabocchiò Lope la sua Gerusalemme; ma quale uscì dalle sue mani! […] Gli stessi Francesi, quando aveano un mal Teatro, ebbero un fecondo Hardy, il quale compose più di seicento Drammi, spendendo in ciascuno di essi tre o quattro giorni.
Esso appartiene ad una immensa famiglia sparsa per la terra conosciuta e dilatata in tanti rami, la quale l’ha posseduto successivamente e guasto ed acconcio a suo modo secondo il genio di ciascun possessore, che vi ha lasciato il marco del proprio gusto or semplice or pomposo or bizzarro or saggio: specioso dove per bei pezzi Corintj e per sodi fondamenti Toscani, dove maestoso ancora per certa ruvida splendidezza di colonnati ed archi Gotici: diviso in grandi appartamenti altri nobilitati da greche pitture o da latine pompe, altri ricchi di bizzarri ornati di tritoni, egipani, sfingi e sirene a dispetto della natura: delizioso in mille guise ne’ boschetti, nè romitaggi, nè compartimenti diversi de’ giardini, là vaghi per naturali ricchezze di olenti rose, garofani, gelsomini e mamolette, là ricchi di fiori olandesi, di cocco, ananas ed altri frutti oltramarini, là pomposi per verdi viali coperti, giuochi d’acque, fonti idraulici, laberinti e meandri.
Io credo che niuno abbia capito e rivelato ai posteri l’arte somma di Giovanni Toselli, meglio di quanto facesse il compianto Luigi Pietracqua, del quale mi piace riferir qui tradotte le belle parole : I posteri riconoscenti, artisti e ammiratori, gli dedicaron monumenti marmorei così a Cuneo sua terra natale, come al Teatro Rossini di Torino, dove si ammira un suo busto assai rassomigliante ; ma il più bel monumento se lo eresse da sè, creando un teatro popolare, che prima non esisteva ; inventando, per dir così, un nuovo genere d’arte così viva e possente, che per bestemmiar che facciano certi ipercritici della moderna tubercolosi artistica (leggi : teorica nova) non morrà più mai nè nella memoria nè nel cuore del nostro popolo che pensa colla sua testa e giudica col suo buon senso, infinitamente superiore a tutte le fisime più o meno isteriche di certi scrittorelli, più o men camuffati da Aristarchi Scannabue.
Il piacere che deriva dalla presenza delle persone care, rendè sensibile ad una fanciulla l’imminente dipartita del suo vago: e per voglia di conservarne i tratti andò contornando sulla parete il profilo del di lui volto che vi si distingueva in forza dell’opposta luce; e l’uomo approfittandosi del caso giunse ad inventare l’altra bell’arte di dare alla superficie piana l’apparente rilievo di corpo, per la quale corse all’immortalità Apelle, Timante, Parrasio e Zeusi, e Raffaele d’Urbino, Correggio, Tiziano, ed Annibale Caracci. […] E così le antiche nazioni da prima altro savio non ebbero che il solo Poeta, il quale era nel tempo stesso teologo, istorico, legislatore, fisico, astronomo, e filosofo morale. […] Essa si conosce e si spande per tutto, perchè deriva immediatamente dalla natura del l’uomo, il quale avvezzo ad osservare quei della sua specie, attissimo ad imitarli, e disposto a riprendere in altri le ridicolezze e gli eccessi, da’ quali si chi de lontano, gode della somiglianza de’ ritratti che se ne forma, e si compiace di farsene un giuoco.
La libertà con la quale mi uaglio de suoi fauori seruira a V.
Il soggetto di tal commediola è un povero giovane chiamato don Eleuterio carico di famiglia, il quale facendo cattivi versi imprende la carriera teatrale per sovvenire a’ suoi bisogni. […] L’architetto è stato Giuseppe Costa portughese, il quale, come affermano i nazionali, studiò molti anni in Italia.
Ciò rilevasi da un passo di Teodoro Balsamone già da noi citato, il quale visse in quel secolo: olim cantorum ordo non eunuchis, ut hodie fit, constituebatur, sed ex iis qui non erant ejusmodi a. […] Soprattutto quale concepibile superiorità non avea Angelica Bilington sopra il castrato Mattucci sul nostro teatro di San Carlo, tutto che questi avesse una voce eccellente? […] Solo è da notarsi che ne’ primi tempi l’opera tirava i suoi argomenti dalla mitologia, la quale agevolmente apprestava di grandi materiali per le decorazioni e per le macchine che maravigliosamente si eseguivano da insigni artefici.
Giovanni, il quale da quel povero Impresario che era, doveva sorbirsi le uggiose rimostranze di tutti, alla fine seccato, risolse mandarli con Dio : onde i pianti, le ire, le suppliche, le intercessioni, i pentimenti, le scuse di ogni parte. […] Si voleva scacciar la Valeria, ma l’amante Bruni vi si ribellava ; si voleva scacciare una certa Nespola, comica di cui non abbiam notizia, ma che sappiamo essere stata la moglie di uno della Compagnia, Marcello di Secchi…, ma vi si ribellava l’Antonazzoni, il quale se l’intendeva molto bene con lei. […] r Flavio parte de’miei disgusti, il quale per sua bontà mi amonì ad hauer pacienza per quest’anno, promettendomi l’ajuto suo.
Uno de’ più noti imitatori di Lohenstein fu Giovanni Hallemann, il quale dal 1660 al 1763 compose sei tragedie, Marianna, l’Amor celeste, il Teatro della Fortuna, la Tenerezza paterna, la Vendetta divina, la Vendetta astuta; in oltre la Virtù trionfante commedia, l’Amore ingegnoso pastorale e l’Innocenza moribonda opera.
Uno de’ più noti imitatori di Lohenstein fu Giovanni Hallemann, il quale dal 1660 al 1673 compose sei tragedie, Marianna, l’Amor celeste, il Teatro della fortuna, la Tenerezza paterna, la Vendetta divina, la Vendetta astuta, in oltre la Virtù trionfante commedia, l’Amore ingegnoso pastorale, e l’Innocenza moribonda opera.
Contuttociò Lope de Vega morto nel 1635, per aver egli calpestata ogni regola mostrava di temer la censura non meno dell’Italia che della Francia, la quale nel di lui fiorire aveva un teatro tanto sregolato quanto l’Alemanno ed il Cinese, e di gran lunga inferiore a quel di Lope per invenzione e per ingegno eper vivacità.
Nel luogo selvoso, ov’era Populonia una delle dodici principali città dell’Etruria, appajono molte vestigia di sì famosa città, e specialmente una porzione di un grande anfiteatro, che si congettura essere stato tutto di marmi: tralla Torre di San Vincenzo ed il promontorio dove era la nomata Populonia, veggonsi le reliquie di un altro anfiteatro, presso al quale giaceva un gran pezzo di marmo con lettere Etrusche: di un altro osservansi i rottami fralle antichità della città di Volterra5, Del magistero degli Etruschi nel dipingere, oltre ai vasi coloriti, de’ quali favella il Maffei6 e ad altri posteriormente scoperti, ci accerta il lodato Plinio7, affermando che quando in Grecia cominciava la pittura a dirozzarsi, cioè a’ tempi di Romolo, non avendo il Greco pittore Butarco dipinto prima dell’ olimpiade XVIII, in Italia già quest’arte incantatrice era perfetta, e le pitture di Ardea, di Lanuvio e di Cere erano più antiche di Roma fondata, secondo la cronologia del Petavio, nella VI olimpiade8.
Carlino, rifacendo di pianta il repertorio ; a cotesta riforma cooperò validamente Filippo Cammarano, il quale ebbe in Aldigonda Colli la più forte e valorosa interprete dell’opera sua varia e copiosa.
Recitò più volte il Pastor fido del Guarini, tentò l’ Aminta del Tasso, e a Venezia volle cimentarsi per la prima volta con una tragedia in versi, l’ Aristodemo del Dottori, per la quale dovè predispor l’animo degli spettatori, che di tragedia avean fin perduta l’idea, per avvertirli che Arlecchino non vi prendeva parte, che il soggetto era pieno d’interesse e che li avrebbe commossi alle lagrime.
Il nostro intendimento poi, il quale da’ sensi attende le notizie delle cose esteriori, non in un tratto, ma successivamente si arricchisce.
In questa specie di commedia per la legge divenuta più ingegnosa e dilettevole, il Coro, nel quale più che in altra parte soleva senza ritegni spaziare l’acerbità e l’acrimonia, fu tuttavia satirico e pungente.
Nel '63, recandosi per mare da Genova a Livorno, fu sorpreso da tal burrasca, che si dovette gettar in mare tutto il carico della compagnia, lasciando nella nave la sola mercanzia di un ricco negoziante il quale, giunti in salvo nel porto di Livorno, risarcì pienamente il Paganini del danno sofferto.
Mi vieta il mio argomento l’andar ricercando dietro ad ogni particolarità della scrittura di costui, nella quale trovansi sparse senza citarsi moltissime cose che leggonsi altrove, ed altre non poche a lui da questo e da quello suggerite in Italia le quali ha egli registrate senza esame e senza ben ricucirle col rimanente del suo libretto. […] Contemporaneo del Shakespear fu Giovanni Fletcher, il quale ancora contribuì agli avanzamenti del teatro Britannico.
Ma niuno di essi sembra degno di sì cospicua città, la quale può gloriarsi di aver prima di ogni altra avuti teatri costruiti a norma del compasso immortale de’ Palladii e de’ Sansovini.
Quando non si andava svogliatamente com’oggi a teatro, per veder la riuscita di un nuovo lavoro, sul quale si ha già una preventiva poca fede ; ma ci si accorreva entusiasti a giudicar di una interpretazione, suscitante poi ne' confronti le più vive discussioni, la vita artistica di Virginia Marini era il trionfo non interrotto di ogni sera.
Morì d’idrope pettorale a Firenze ; e sulla pietra che sigillava il suo sepolcro nel chiostro di Santa Croce, a destra e in prossimità della cappella Pazzi, toltane alcun tempo pei lavori di restauro, e ricollocata poi, ma sebben sempre a destra di chi entra, non più allo stesso luogo, fu incisa la seguente iscrizione che dettò Giovanni Battista Niccolini, il quale non l’ebbe in vita troppo nel suo libro : qui riposa antonio morrocchesi di san casciano nell’i. e r. fiorentina accademia di belle arti professore di declamazione fra i tragici attori del suo tempo per consentimento d’italia a nessuno secondo e luogo gli tenga di maggior elogio l’essere nell’arte sua piaciuto a vittorio alfieri maddalena morrocchesi al consorte desideratissimo non senza lacrime q. m. p.
Pare dunque che il Trissino (il quale non so perchè e donde venga dal Voltaire ed indi da altri di lui compatriotti appellato Arcivescovo) abbia servito di lume e scorta a’ primi Francesi che si esercitarono nel genere tragico. […] Silvio Fiorillo commediante che appellar si facea il Capitano Matamoros, inventò il Pulcinella Napoletano; e collo studio e grazia molto aggiunse Andrea Calcese, detto Ciuccio per soprannome, il quale fu sartore, e morì nella peste dell’anno 1656, imitando i villani dell’Acerra, città antichissima di Terra di Lavoro poco distante da Napoli, e vicina per poche miglia a quell’ antica Atella che somministrò a i gravi Romani la commedia Atellana.
Nel luogo selvoso, ove era Populonia una delle dodeci principali città dell’Etruria, appajono molte vestigia di sì famosa città, e specialmente una porzione di un grande ansiteatro, che si congettura essere stato tutto di marmi: tralla Torre di san Vincenzo ed il promontorio dove era la nomata Populonia, veggonsi le reliquie di un altro anfiteatro, presso al quale giaceva un gran pezzo di marmo con lettere Etrusche: di un altro osservansi i rottami èfralle antichità della città di Volterraa Tralle antiche fabbriche Etrusche tuttavia esistenti vogliono ricordarsi quelle che ammiransi nelle rovine dell’antica Posidonia o Pesto nel Regno di Napoli.
Non fu più riproduzione, ma creazione : la particina diventò poema, al quale tenner dietro senza interruzioni nel cammino glorioso gli altri (se non molti, così grandi e perfetti da valerne infiniti), quali il Massinelli, el sur Pedrin, il Sindaco Finocchi, il Tecoppa, Gigione, el sur Pancrazi, el Maester Pastizza, el sur Pànera, el sur Pistagna, e altri ancora che non son poi che una derivazione più o meno isvariata di questi.
Elmotte ha voluto imitare il Pigmalione colla sua scena lirica le Lagrime di Galatea, la quale benchè lontana dall’originale non lascia tal volta di commuovere.
Vi entrai di punto in bianco primo attor giovine ; e ricordo che in una recita di prova al Valle di Roma, del Suicidio di Ferrari, Novelli, col quale ci legammo da bel principio di forte amicizia sin qui immutata, mi dettava, dirò così, di tra le quinte, la controscena dell’ultimo atto avanti il riconoscimento del padre.
Elmotte volle imitare il Pigmalione colla sua scena lirica le Lagrime di Galatea, la quale lontana dal suo originale, non lasciò tal volta di commuovere. […] Le Delire scritta da Saint-Cyr rappresenta un marito divenuto pazzo per aver perduta la moglie, il quale con ritrovarla ricupera la ragione.
L’eloquente Ferrarese Bartolommeo Riccio, insigne Gramatico della lingua Latina, il quale morì d’anni 79 nel 1569, è di sentimento nel libro I de Imitatione, che Seneca ne’ suoi Cori, non solo per l’ abbondanza e per la gravità delle sentenze ch’essi contengono, ma per aver saputo formarli a cantare di ciò che, come dice Orazio, proposito conducat & hæreat aptè, abbia superato tutti i tragici Greci.
Dalle mani de’ letterati passavano a quelle del musico, il quale non le ammetteva se non dopo l’esame ch’egli ne faceva parola per parolaa, e talora ne risecava la mettà, nè contro del suo decreto si concedeva appellazione.
Dalle mani de’ letterati passavano a quelle del musico, il quale non le ammetteva se non dopo l’esame ch’egli ne faceva parola per parola25, e talora ne risecava la metà, nè contro del suo decreto si concedeva appellazione.