Chi nel mentovarla non si sovviene di quel patetico animato ma umano, e naturale che ti riempie in ogni scena e ti trasporta in Messenia ? […] della dolce forza che ti fanno le passioni espresse in istil nobile ed accomodato agli affetti ? […] no…io muojo, E ti perdouo. […] Abbiti questo, Signor, nè d’altro ti curar. […] Moro, e ti abborro ancor.
Il Porta conoscitore esperto de’ Greci e de’ Latini, ed osservator sagace dell’arte comica di Lodovico Ariosto, mostra di possedere la grazia d’Aristofane senza oscenità ed amarezza, la giovialità di Plauto rettificata, e L’artificio di dipignere ed avviluppare del Ferrarese senza copiarlo con impudenza da plagiario che ti ruba e ti rinnega.
Mai sì vaga e sì lieta io non ti vidi! […] Ati Ah se ti perdo, ah se a morir son presso, Che mi resta a temer?
qual tuo delitto o nume avverso Così ti opprime? […] No, caro padre (io ti dicea pendendo Da le tue guance ch’oggi ancora io tocco) Non fia mai ver che in vecchia età ti lasci. […] Deh ritorna in te stessa: in quai ti perdi Vani pensieri! […] Ahi più non ti vedrò! […] Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi il seno e del mio sangue Io ti nutrii?
Ma forse in guerra ti chiamano i perigli? […] Chi nel solo mentovarla non si sovviene di quel patetico animato ma umano e naturale che ti riempie in ogni scena, e ti trasporta in Messenia? […] della dolce forza che ti fanno le passioni espresse in istil nobile ed accomodato agli affetti? […] Il ciel ti ricompensi Di tua bontà . . . […] Abbiti questo, Signor, nè d’altro ti curar.
Ei ti udi, e sen compiacque, e ai forti e nuovi modi, Te scelse adatto all’ onorato ufficio di rifar l’itale menti !
Sirena del dolore, io ti saluto.
Altro il valore Non ti lasciò degli avi Nella terra già doma Da soggiogar che il Campidoglio e Roma. […] Avendo disegnato di morire congeda l’affettuoso servo Randal, ed essendo egli vicino a partire Wilmot gli dice: “Addio . . . ti arresta, tu non conosci il mondo, a me costa caro l’averlo conosciuto; pria di separarci debbo darti un consiglio . . . […] lascia i libri, rinunzia alla filosofia, studia gli uomini; questo solo studio ti basterà. […] Io sono stato corrivo, vorrei che tu fossi più accorto; vorrei che tu trattassi gli uomini come essi meritano, come hanno trattato me, come ti tratteranno, amico . . .
Vienen, hija, por ti. […] Or che a gridar ti spinse?
chi ti consolerà? […] Io co’ più vivi ringraziamenti esprimeva la mia gratitudine, quando egli trattosi dal seno un pugnale che teneva nascosto, alza il braccio e l’immerge nel mio petto, dicendomi, io ti ho salvata per perderti.
E. non uol saper niente, si che non si pol far un opera che sia bona, ma non solo le opere anche le comedie ; l’altra sera appunto si fece ti tre finti turchi e recito il secondo Zanni nouo che andò così bene che tutti si partirno inanzi fornita ; dicendo che se si fariano di quelle ci daranno delle Pomate. dove che ardisco suplicarla il dar ordine à qualcheduno che regoli la compag.ª pchè ò bisogno di studiare è tirarmi inanzi non di star à spasso p. i capricci d’altri ; la Sig.ª Flaminia à dato una delle sue parte che ne faceva due à mia sorella addesso pare che la Sig.ª Ippolita con la colega fatta tra di loro abbiano disgusto è la uoriano far fare alla guercina basta doppo dificultà si sono contentati ma però di nouo lo suplico il scriverli che la facciano recitare è la lettera onorarssi d’inuiarla à me però diretta alla Comp.ª non dirò più per non incomodarla, solo che se segue così non occorre uenir a Ferara p. che so che se non fosse in riguardo alla protetione di V.
Da un omaggio agli attori della Compagnia Pelzet e Domeniconi, per le recite dell’estate 1833 a Pistoja, tolgo la seguente epigrafe : a più splendida onoranza di maddalena pelzet tragica maravigliosa comica inarrivabile singolare commovitrice d’affetti per portamento e nobile gesto commendevole ; in matilde bentivoglio gelosa amante ; nella gismonda di contrarie passioni pittrice : nell’ester d’engaddi fedele e magnanima con bello esempio insegnò alle spose anteporre l’onore alla vita un ammiratore di tanto merito pubbliche gratulazioni e festivi applausi affettuosissimo porge DI GIUSEPPE MATTEI Quand’io pendo dal tuo labbro gentile, e il suon de'detti tuoi mi scende al core, sia che del vizio alla licenza vile ti faccian scudo la virtù, l’onore, sia che di fida sposa e figlia umile, o di tenera madre immenso amore t’infiammi il petto, o che cangiando stile arda tu d’ira e di crudel furore ; in estasi dolcissima rapito oltre l’usato il mio pensier veloce al Ciel s’estolle, e dopo averti udito muto io resto, nè so dir se potria bearmi il cor, più della tua, la voce di Melpomene stessa e di Talia.
Qual è l’affanno che ti stringe il core, qual sventura a te fia cagion di pene ?
Deh ritorna in te stessa: in quai ti perdi Vani pensieri! […] Ahi più non ti vedrò! […] Ah tu morrai, E di tuo padre il nome Che tanti ne salvò, ti sia funesto! […] Perché mai stringi L’imbelle madre tua, e ti raccogli Nel seno mio, quale augellin rifugge Sotto l’ali materne? […] Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi ’l seno, e del mio sangue Io ti nutrii?
Molti squarci della generosa patetica contesa de’ due amici meriterebbero di esser trascritti; ma ci contenteremo delle seguenti parole di Pilade: E pensi or ch’io ti lasci? […] Dove ti lascio! […] Qual dolor, qual furor così ti spinse A ferir te medesma? […] A Dirce dissi: al mio ritorno, o figlia, Fa ch’io ti trovi tutta lieta e culta, Ch’oggi sposa sarai di tal marito, Che a me grado ne avrai che tel destino. […] Tu che figlia di dea ti chiami e sei E dea sembri negli atti e nel sembiante, Se la tua gloria gira al par del Sole A che cerchi oscurarla?
O Sagaristione, il ciel ti salvi. […] Pegnio risponde, ti obedirò, e torna in casa. […] Temi tu ch’io ti venda da buon senno? […] Non ti parve Splendida e vaga? […] Io spero Che se ti compro, Lucrida sarai Ancor per la mia casa.
Forse ti meravigli che agli abiti che esse portano, diano il nome di cortile, quasiche non ne veggiamo tutto il giorno che hanno addosso il prezzo di un podere intero ? […] … Vivi, e di me ti risovvieni. […] Le dice al fine Non ti smarrir, son tua, voglio esser tua… Non so morire ? […] Se ti riempiono gli occhi di lagrime, se ti palpita il cuore, se tutto ti commovi, e ti senti ne’ tuoi trasporti opprimere, soffocare ; prendi allora Metastasio e componi ; il suo genio riscalderà il tuo, col suo esempio tu saprai creare ; e gli occhi altrui ti renderanno ben tosto il pianto che ti avranno fatto versare i tuoi maestri. Ma se le grazie incantatrici di questa grande arte ti lasciano in calma, se non hai nè delirio nè trasporto, se in ciò che dee rapirti tu non trovi che del bello ; osi tu domandare che cosa è Genio ?
Sì, sì (ripiglia lo stupido Giugurta) colui che vi giace fu da me ucciso, e perchè spirando ti chiamava in soccorso, io m’innamorai di te. […] Megara ti attende, dice Dulcidio al figlio, e questi differisce di obedire per ammazzar prima Giugurta. […] mucho de ti recelo valor mio. […] Zenobia dice, salvami entrambi, Se pur vuoi ch’io ti debba il mio riposo, E se entrambi non puoi, salva il mio sposo. […] Tito dice a Sesto: Odimi, o Sesto, Siam soli: il tuo sovrano Non è presente: apri il tuo core a Tite: Confidati all’amico: io ti prometto, Che Augusto nol saprà.
ERRORI CORREZIONI pag. 66, lin. 7 Tu fra que’ dieci Te fra que’ dieci pag. 84, linea penultima ed ultima con felicità la secondano, sono copiate al naturale da lo pre con felicità la secondano, sono copiate al naturale dalle procedure pag. 113, lin. 19 sempre io t’ami sempre io ti amai pag. 190, lin. 1 Tum verò pavidâ sonipes Tum verò pavidâ sonipedes pag. 236, lin. 20 a un cenno del popolo doveano snudarsi a un cenno del popolo, nel tempo de’ Giuochi Florali, doveaao snudarsi *.
Non ti è noto che a Blanes pagai fino i biglietti d’ingresso, a Blanes che guadagnò sull’Edipo una somma considerabile empiendo la Pergola in un modo inusitato ?
Va, e che Iddio ti protegga. – Invano egli insistè ; la risoluzione della povera martire fu invincibile.
Terminata la farsa, Canevari si recò nel camerino del capocomico, rammaricandosi del successo ; e Pietriboni, chiamato a nome il Novelli, dal suo camerino ammonì : « ti proibisco d’ora in avanti di farti applaudire.
Perdona alla scorbellata franchezza di chi ti vuol bene davvero.
.… ti vo'dar gusto con sentenziare, che l’ Italiano va a piacere con più ragione degli altri, se più commozione dagli Franzesi, e più gravità dagli Spagnuoli prenderà in prestito nelle Scene.
Pegnio risponde, ti obedirò , e torna in casa. […] Temi tu ch’io ti venda da buon senno? […] Non ti pare Splendida e vaga? […] Noi ti chiediam ragion. […] Io spero Che se ti compro, Lucrida sarai Ancor per la mia casa.
Molti squarci della generosa patetica contesa de’ due amici meriterebbero d’ esser trascritti; ma ci contenteremo delle seguenti parole di Pilade: E pensi or ch’io ti lasci? […] Dove ti lascio! […] ahi qual pensiero, ahi qual inganno, Qual dolor, qual furor così ti spinse A ferir te medesma? […] A Dirce dissi: al mio ritorno, o figlia, Fa ch’io ti trovi tutta lieta e culta, Ch’oggi sposa sarai di tal marito, Che a me grado n’avrai che tel destino. […] Tu che figlia di dea ti chiami e sei, E dea sembri negli atti e nel sembiante, Se la tua gloria gira al par del Sole, A che cerchi oscurarla?
Si, si (ripiglia lo stupido Giugurta) colui che vi giace fu da me ucciso, e perchè spirando ti chiamava in soccorso, io m’innammorai di te. […] Viene per quarto Dulcidio, e benchè sia notte, riconosce Aluro, il quale avea presa l’innamorata per un guerriero affricano, Megara ti attende , dice Dulcidio al figlio, e questi differisce di obedire per ammazzare prima Giugurta. […] mucho de ti recelo valor mio. […] Zenobia dice, Salvami entrambi, Se pur vuoi ch’io ti debba il mio riposo, E se entrambi non puoi, salva il mio sposo. […] Tito dice a Sesto; Odimi, Sesto, Siam soli; il tuo sovrano Non è presente; apri il tuo cuore a Tito Confidati all’amico; io ti prometto Che Augusto nol saprà.
Cigno felice, che spiegando i vanni, varcando vai sovra i cerulei campi, ed in tragico stil disserri i lampi de’ gran tesori de’ superni scanni ; vivi pur, vivi, che il volar degli anni lieve incarco ti fia, già che tu stampi d’ eternitade il calle, ond’ oggi avvampi d’ immortal luce in questo mar d’ affanni. […] Và pur honor de l’Amorosa scola Che ciascun t’ oda, è ’l tuo ualor ti sia Contr’ à colpi del tempo vsbergo forte.
.” – E ti dissi anche troppo. – Tuo G.
Altro il valore Non ti lasciò degli avi Nella terra già doma Da soggiogar che il Campidoglio e Roma! […] Lascia i libri, rinunzia alla filosofia, studia gli uomini; questo solo studio ti basterà. […] Io sono stato corrivo, vorrei che tu fossi più accorto; vorrei che tu trattassi gli uomini come essi meritano, come hanno trattato me, come ti tratteranno, amico… Approfittati del mio consiglio, e ricordati di questa lezione.
Tu che’l piè su Teatri, il capo in cielo ANDREINI ogn’or tieni, veridico ti svelo che nascesti più a Pulpiti che a scene. […] Sol rivolgomi a Dio, pietà per te chiedendo, ah, pria che scenda fulmine al danno tuo, che ti disperda.
Musa benchè trafitta Da varie punte, pur membrar ti giovi Quel che fin’or tutte sventure adegua, Ch’abbia sofferto mai misero core.
Ove ti pensi tu, Ch’abbian presa la via? […] Non ir, padron, che non ti facciano Qualche male. […] Te ne fai beffe, e ti par di udir favole? […] Tu sai Calandro, che altra differenza non è dal vivo al morto, se non in quanto che il morto non si muove mai e il vivo sì; e però quando tu faccia come io ti dirò, sempre resusciterai. […] Quando io era più giovine, io sono stato molto randagio, e non si fece mai la fiera a Prato, che io non vi andassi, e non ci è castel veruno all’intorno, dove io non sia stato; e ti vo’ lire più là; io sono stato a Pisa e a Livorno, o và!
Ove ti pensi tu, Ch’abbian presa la via? […] Non ir, padron, che non ti facciano Qualche male. […] e ti par di udir favole? […] Tu sai, Calandro, che altra differenza non è dal vivo al morto, se non in quanto che il morto non si muove mai e il vivo sì; e però, quando tu faccia come io ti dirò, sempre risusciterai. […] Quando io ero più giovane, io sono stato molto randagio, e non si fece mai la fiera a Prato, che io non v’ andassi, e non ci è castel veruno all’intorno, dove io non sia stato; e ti vo’ dire più là; io sono stato a Pisa e a Livorno, o và.
Così uno per miracolo operato da un Esaminatore che ti voglia favorire, e di un buono Apologista che ti sostenga, può arricchirti di un Migliajo.
Addio, che il Cielo non ti dia mai una giornata simile a questa che mi fai passare.
Ella per la tua fede e per tuo merto dice : d’amor ti si concede quel che ad altri non lice ; e coglier è a te dato, quel ch’è a ciascun vietato.
Come ti ho detto mio padre aveva un ruolo secondario, inferiore, cioè quello del Gattinelli, come era inevitabile, cominciarono presto le emulazioni fra il giovane attore e l’artista, che godeva già meritamente molta fama.
Ne fa fede Pietro Antonio Gratarol al Capo XII della sua Narrazione apologetica, quando dice : Non altronde che a Venezia ti verrebbe fatto, manigoldo, di ottenere da ogni genere di persone quanto ivi ottieni.
Meco sol condurrò per mio ristoro Questi suoi cari pegni insino ad ora Col sangue sol del petto mio nutriti, Ch’oggi in lor danno tu a versar ti appresti. […] Ah de’ miei colpi, Amato sposo, io già morir ti veggio! […] Ah Sire non uccidermi, Non m’uccider, nol merto, non ti offesi.
qual tuo delitto o nume avverso Così ti opprime?
Giacean sepolte in un profondo oblìo le Muse, quando tu Flavio gentile le richiamasti, e con leggiadro stile principio desti al nobil tuo desìo : per te godon le scene il lor natìo honor ; e già se 'n vola a Battro a Thile glorioso il tuo nome, e l’empia e vile invidia paga il doloroso fio : Godi dunque felice un tanto honore, che 'l mondo in premio delle tue fatiche lieto ti porge, e ne ringrazia il Cielo : Quindi avverrà ch'ogni or le Muse amiche avrai, e colmo d’amoroso zelo a le scene darai gloria e splendore.
Allor questa s’ascolta con un profondo silenzio, poi con istrepitose e fanatiche esclamazioni di “bravo evviva” accompagnate di battimenti di mano replicate cento volte; indi si torna all’antico dissipamento che ti par quasi di sentire come si lagnava Orazio dei teatri di Roma, il vento che rimuggia per entro alle boscaglie del Gargano o i fremiti del mar di Toscana109, Gian Jacopo Rousseau nella sua celebre lettera sulla musica francese vorrebbe far l’onore agl’Italiani di non credere che così avvenga ne’ loro teatri, ed attribuisce simili effetti che si veggono costantemente in Parigi, all’indole soporifera e monotona della musica francese. […] Non ti darebbe l’animo di trovare un nome che significasse tutte le parti comprese in quest’arte? […] Parimenti se vuol descrivere il galoppo de’ cavalli che traversano su e giù le cime del monte Ida, lo fa con evidenza tale che ti par quasi di sentirne il calpestio.
Meco sol condurrò per mio ristoro Questi suoi cari pegni insino ad ora Col sangue sol del petto mio nutriti, Ch’oggi in lor danno tu a versar ti appresti. […] Ah de’ miei colpi, Amato sposo, io già morir ti veggio! […] Ah Sire non uccidermi, Non m’uccider, nol merto, non ti offesi.
Non resteranno poco né molto commossi dal terribile e magnifico quadro della morte di Didone, ma ti faranno bensì una lunga diceria sull’anacronismo del poeta, che fece viver ai medesimi tempi Enea e la regina di Cartago.
Dopo averti mostrata la reggia d’Amore ti conducevan per mano a contemplare un mausoleo parcamente illuminato da lampadi sepolcrali.
Egli dice, Mirtillo infelice, chi ti consolerà?
Isa: Eh sì, quanto io ti debba io non ignoro, So . . . parti, fuggi, lasciami morire ..
perché tal ti fero Natura e il cielo? […] E tali parole, sillabe, consonanti, vocali ed accenti ti si presentano, che ora ti espongono a correre rapidamente, e quasi a ruinar tuo malgrado, ed ora ti obbligano ad andare a rilento e quasiché zoppicando, ed ora a sentirti la lena affannata dalla loro spossatezza e dal loro languore; e così il ritmo del verso col significato delle parole ti par che gareggi. […] I tuoni dell’amore e della bontà sono melodiosi ed uniformi; quelli della rabbia forti ti e dissonanti. […] Esse ti mostrano quel che sentono, o piuttosto quel che sentiva l’artefice allorché vi trasfuse per animarle tutta l’anima sua. […] No; quella fronte bassa, quello sguardo timido, quell’andare incerto ti accusano per un miserabile schiavo titolato di qualche elettore.
Limpido ruscelletto, Se ti rincontri in lei Dille, che pianto sei, Ma non le dir qual ciglio Crescer ti fe’ così.»
Il Porta conoscitore esperto de’ Greci e de’ Latini, ed osservator sagace dell’arte comica dell’Ariosto, mostra di posseder la grazia di Aristofane senza oscenità ed amarezza, la giovialità di Plauto rettificata, e l’artificio di dipignere ed avviluppare del Ferrarese senza copiarlo con impudenza da plagiario che ti ruba e ti rinnega.
Ecco che ti son tolta a gran furore, E non son or più tua.
Ecco che ti son tolta a gran furore, E non son or più tua.
Arlecchino appare, mentre questi si lascia andare al furore, e gli chiede suo figlio, e tanto l’importuna, che Celio, al colmo dell’ira, vuol batterlo ; Arlecchino lo respinge a colpi di testa. « Io ti ferirò – egli dice – colle armi che tu m’hai fatto.
Se vuoi pensar, le risponde, ch’io son sul fior degli anni, che vivo fralle delizie e gli agi, fralle vivande e i vini, fralle feste e i balli, fra gli ozj e i sonni, Tu non ti ammirerai, se maritarmi Disponga, e cerchi ancor con tanta brama.
Molte volte, come nel gesto, o nella voce, ti vien fatto di trovar parole e frasi già dette ne’Frutti delle moderne Comedie, e non saprei dire se questi sieno un rifacimento in ristretto di quelli per la stampa, o se quelli sieno una parafrasi di questi pronta per una nuova edizione.
Se pure non è stata una cautela apologetica, appresa nel dettato della scaltrezza volgare, chiama ladro al contrario prima che ti ci chiami.
Se vuoi pensar, le risponde, ch’io son sul fior degli anni, che vivo fralle delizie e gli agi, fralle vivande e i vini, fralle feste e i balli, fra gli ozii e i suoni, Tu non ti ammirerai, se maritarmi Disponga e cerchi ancor con tanta brama.
In prima con fare che Augusto rimproveri a Cinna son peu de merite, e dicendogli, tu faresti pietà anche a chi invidia la tua fortuna, se io ti abbandonassi al tuo demerito.
Ah che non sai qual pena… Isabella Eh sì, quanto io ti debba io non ignoro, So… parti, fuggi, lasciami morire.
[12] Mandane vorrà farla da eroina con Arbace, e rimproverandolo del suo tradimento gli dirà: «No, non ti credo, indegno. Dimmi che un empio sei, E allor ti crederò.»
Non è per questo ch’io approvi l’inversione troppo intrelciata di alcuni cinquecentisti specialmente quando è affettata, e lunga, come adiviene fra gli altri nello Speroni, nel Dolce, e nel Casa, i quali ti fanno sfiatare i polmoni prima che arrivi a terminar un periodo: né che non preferisca sì in verso che in prosa uno stile conciso, e pieno di cose all’abbindolato e pieno di parole massimamente nel genere filosofico, di cui la precisione, la chiarezza, e la disinvoltura sono i principali ornamenti.
Ecco i primi versi d’una sua canzone pubblicata dall’Allacci: «Poiché ti piace, Amore, Ch’eo deggia trovare Faronde mia possanza Ch’eo vegna a compimento, Dato haggio lo mio cuore In voi, Madonna, amare. […] E se di grazia ti vuò far mendica, Convenesi, ch’io dica Lo tuo fallir d’ogni torto tortoso.
Dove il modulatore corrompe i tuoni in maniera a forza di repliche, di passaggi e di trilli che ove ti brattava d’imitar la tristezza o l’odio, mi si sveglia l’amore o la gioia? […] quantunque il tuo rivale ti superi in molte qualità brillanti, tu saresti il solo genio vivente, cui cingerei le chiome del vivace allora onde l’antica Grecia coronava le statue d’Arione e di Tamiri.
Nell’osservar sulle carte musicali i sospiri dolcissimi del Petrarca rivestiti di note dal Villaers o dal Giusquino ti par proprio di vedere il satiro introdotto dal Tasso nell’Aminta, il quale violar vorrebbe con ispida mano le ignude bellezze di Silvia.
Ciò si scorge ora nell’adoperar che fanno sì spesso e senza verun discernimento il ballo chiamato “alto” dai facoltativi, il quale per ogni buona ragione dovrebbe dal teatro pantomimico onninamente sbandirsi siccome quello che nulla immitando, ed ogni muovimento del corpo ad una insignificante agilità riducendo, è inutile a produrre qualunque buon effetto drammatico; ora negli atteggiamenti uniformi e consimili con cui si presentano in iscena, cosicché in ogni circostanza, in ogni situazione, in ogni carattere ti si fanno avanti colla testa sempre alzata ad un modo, colle braccia incurvate a foggia di chi vorrebbe volare, coi talloni in aria sospesi, o premendo il terreno leggierissimamente come se Ninia, Ulisse, Idomeneo, Telemaco venissero allora da una sala da ballo dove pigliata avessero insieme lezione da uno stesso maestro; ora in quella smania di far ad ogni menoma occasione brillare le gambe quasiché in esse riposte fossero l’imitazione della natura e l’espressione degli affetti, e non piuttosto nei muovimenti delle altre membra, negli occhi e nella fisionomia lasciati per lo più da essi pressocchè inoperosi e negletti.
Vedrai talvolta uscire un personaggio da un luogo, dove le statue colossali che vi sono dipinte non gli arrivano al ginocchio, o dove un monte appena gli aggiugne alla spalla, ch’è ti par uno di que’ giganti, i quali montagna sopra montagna davano la scalata all’Olimpo: noto essendo, che l’occhio giudica della grandezza dell’oggetto dalla grandezza delle cose circostanti, e dalla lontananza che mostra la serie delle cose poste tra sé e ‘l suo oggetto. […] Tu avrai l’animo occupato da una favola di greco, o di romano argomento, quando ecco salta fuori una truppa di Persiani o di Cinesi, che ti comincia un ballo di strana foggia in una scena passeggiata poc’anzi dal greco o dal romano coturno. […] [Sez.VII.3.0.18] Non solamente il poeta dee rispettare alcuni difetti a cui soggiace l’umanità, ma sopra que’ vizi medesimi e quelle virtù, ch’egli dee prender di mira, non pretenderà di sguainarci addosso uno scolastico trattato o una solenne predica, come noi abbiam veduto in alcuni drammi, i quali, non ostante che si sarebbero degnamente potuti intitolare il trionfo de’ vizi, pure i personaggi in mezzo a infami azioni, ti regalavano a luogo a luogo di sì mortali tratti di morale, che cavato avrebbono Aristotile del seminato.