Ed Egisto coll’ingenuità che lo caratterizza, je vous jure , le dice, Par vous, par ce cher fils, par vos divins aïeux, Que mon pere en mes mains mis ce don prècieux. […] Alzira è l’anima e la sorgente dell’azione eroica di Gusmano; Alzira ama vivamente e mette in contrasto ed attività l’amore di Zamoro e di Gusmano; Alzira senza volerlo muove Zamora a danni del suo rivale; Alzira dà il più vivace colore ed il carattere di sublimità all’eroismo Cristiano di Gusmano, perchè s’egli non l’amasse sì altamente, il concederla al rivale sarebbe un’ azione non molto straordinaria; Alzira dunque porta giustamente il titolo di questa favola, e mostra che il disegno dell’autore fu bene di rilevare al possibile l’eroismo Cristiano e renderlo trionfante agli occhi dello spettatore. […] L’orribil suono delle campane ad armi che accendeva i feroci petti nella mentovata esecranda strage del tempo della Lega sì ben descritta nell’Erriade, rinnovava la memoria dell’orrendo effetto che in quel tempo sovvertimento universale mise in fiamme la Francia. […] Se si comparino le dipinture de’ caratteri nel poema epico del Voltaire, si trovano fuor di dubbio più forti e più vere di quelle che Chenier mette in azione. […] Montcassin minaccevole gli dice: Ah cet excès d’outrage Comme à ta cruautè, met le comble à ma rage; ho finito di supplicare; io tenterò tutto ciò che mi sugerirà un amor disperato, e parte.
E sospesa ch’ella sia d’alto, mette facilmente in agitazione il mare d’aria che le è d’intorno.
Graziosa è la di lui determinazione di non voler suscitare una guerra civile contraddetta dall’aria tutta minaccevole, nella quale paragona se stesso al mar tempestoso, e medita vendetta, e nella seconda parte, che non ha che fare col primo pensiere, si dice, Sin tus perfecciones serà à mis pasiones dificil la calma, quando à mi alma la quietud faltò.
Sa Piece, qu’on ne doit pas nommer tragedie, n’est qu’un tissu de sentences brillantes; & de descriptions poetiques, mises hors de leur place, parmi les quelles cependant on trouve quelques beaux traits.
.… Tina Di Lorenzo ha fatto indubbiamente in questi ultimi anni lunga via nel cammino dell’arte : la sua personalità più matura e naturalmente più complessa la mette in condizione di interpretare degnamente oggi talune parti, che un tempo non parevano troppo adattate per lei.
E coi Confidenti lo troviamo ancor nel ’18 a Venezia, di dove Don Giovanni De Medici scriveva al Duca di Mantova con data del 30 marzo, ricusandogli Mezzettino e Scappino (richiesti a istanza di Lelio e Florinda), sui quali egli dice fondata la Compagnia dei Confidenti, che mise assieme per suo gusto da circa sei anni, e che andava conservando sempre con ogni suo potere, tenendogli uniti et obligati (a me) come particolari servitori.
Egli allora si tolse la parrucca, si mise il cappello, si buttò sulle spalle un mantello, e si recò in platea, dove, ordinato all’orchestra di cessare dai suoni, cominciò a dire : « Grazie anzitutto, o Signori, della vostra fedeltà ; ma io desidero che non restiate qui ad annojarvi in questa specie di deserto ; e in cambio della Bottega del Caffè, vi do una sala della Trattoria del Selvatico, dove dividerete con me una modesta cena che ardisco di offerirvi.
Pubblicò nell’anno 1607 le Bravure del Capitan Spavento, nell’ 11 le due favole boschereccie, l’Ingannata Proserpina e l’Alterezza di Narciso ; l’anno dopo, i Ragionamenti fantastici posti in forma di dialoghi rappresentativi ; nel’ 16 raccolse le Lettere e i Frammenti di scritture della moglie, e nel’ 18 mise fuori la seconda parte delle Bravure. […] Venendo egli a parlare dei genitori di lui, mette in rilievo alcune parole colle quali un Don Gio. […] Non vi accostate, o miseri mortali, che da la bocca mia sputo saette, e le parole mie son tutte strali, con quali al mondo spavento si mette ; fuggon da me le fiere e gli animali, l’aria ne langue, e van le nube strette insieme, ch’ han timor molto e non poco, di non restar consunte al mio gran foco.
La mente del greco scrittore appare anco dall’esempio di Tieste, cui mette insieme con Edippo. […] Un tale contrasto dà bensì piacere per la pittura della naturale agitazione che prova Cinna, ma non si può quindi nascere il frutto della compassione richiesta, perciocché qual pietà merita un traditore che mette in bilancia il debito che ha verso il suo principe con quello che ha verso l’amata? […] Egli nel novello suo Edippo appar tale che appena si potrebbon dire d’Ercole stesso, di cui fu soldato, i vanti che il poeta gli mette in bocca, rubando a Seneca i sentimenti con cui Alcmena parla del proprio figliuolo. […] Li ferri86 che Alessandro mise alle nazioni aggiogate s’arrendevano per la troppa estensione. […] III, textes établis, présentés et annotés par Georges Couton, Paris, Gallimard, 1987, p. 144), mette in dubbio l’effettiva aderenza dei modelli additati da Aristotele, ossia Edipo e Tieste, ai precetti esposti dal greco.
Un filo naturalissimo mosso da una molla non preveduta si va con verimiglianza avvolgendo senza bisogno di circostanze chiamate a forza in soccorso del poeta, e vi cagiona un moto vivace, mette i personaggi in situazioni comiche o tenere, e sino al fine tiene svegliato lo spettatore tralla sorpresa ed il diletto.
Ed Egisto coll’ ingenuità che lo caratterizza, Je vous jure, le dice, Par vous, par ce cher fils, par vos divins aïeux, Que mon père en mes mains mit ce don précieux. […] Alzira è l’ anima e la sorgente dell’azione eroica di Gusmano; Alzira ama vivamente e mette in contrasto ed attività l’amore di Zamoro e di Gusmano; Alzira senza volerlo muove Zamoro a danni del suo rivale; Alzira dà il più vivace colore ed il carattere di sublimità all’eroismo Cristiano di Gusmano, perchè s’ei non l’amasse sì altamente, il concederla al rivale sarebbe un’ azione non molto straordinaria; Alzira dunque porta giustamente il titolo di questa favola. […] Il marchese Le Franc de Pompignan nato a Montalbano nel 1709 si esercitò in più di un genere, ed oltre alla traduzione del Prometeo di Eschilo, ha composto una Didone togliendone le situazioni da quella di Metastasio40, ed una Zoraide, che Voltaire pur mette in ridicolo; ma Palissot loda la versificazione di questo scrittore.
[2] Emilio del Cavalieri romano musico celebre di quel tempo fu il primo a tentar l’impresa nel genere più semplice della pastorale, e due componimenti di questa spezie intitolati la Disperazione di Sileno, e il Satiro lavorati da Laura Guidiccioni dama lucchese mise sotto le note fin dall’anno 1590. […] L’anima cerca di mettere una graduazione nelle proprie sensazioni, perché questa solletica più dolcemente la sensibilità, eccitando colla idea del godimento avuto, il desiderio d’un nuovo, e facendole sperare i diletti che nascono dalla novità; cerca altresì di mettere un ordine fra esse, perché queste risparmiandole la fatica, nella percezion d’un oggetto, le fa nascere una idea più vantaggiosa del proprio talento quasi che comprenda le cose, con maggiore facilità e prontezza: quindi l’amore della simmetria, la quale non è che il risultato della graduazione e dell’ordine che si mette nelle parti d’un tutto.
Quando un giornalista vuol gridare contro la meschinità della mise en scène, deve anche dire al pubblico : « tu pubblico asino e spilorcio, che dài tanti paoli all’ opera ; e voi accademie orecchiute che per l’opera date migliaja di scudi, date anche alla commedia i mezzi di decorare la scena. » Ma egli, il giornalista, comincia dall’ abonarsi con due crazie per recita, tante quante ne dà al decrotteur per pulirgli gli stivali ; e poi grida : arte, arte !
Il Coltellini per incoraggiarlo dopo poche recite mise sul cartellone : Le disgrasie di un bel giovane, e mio padre si tenne sicuro di scuotere finalmente l’indifferenza del pubblico.
Uno de’ principali inconvenienti che il poeta mette in vista, è che molti avvezzi a possedere non vorranno spogliarsi del proprio e defrauderanno il pubblico. […] Ora il poeta dà ad intendere in qual modo esse digiunavano, e mette in vista la loro ipocrisia, mentre, provvedendo in segreto al loro ventre, osservano all’ apparenza le pratiche della religione. […] Tali critiche benchè esagerate che Aristofane mette in bocca ai due tragici, ci conservano il giudizio de’ Greci contemporanei sulle tragedie, e non parrà nojosa e inutil cura l’averle quì opportunamente rapportate. […] Non solo il poeta mette in bocca di una delle persone del coro le proprie lodi, come si è veduto nella Pace, ma egli stesso si caccia avanti a favellar di se. […] Il Torto mette in ridicolo siffatte cose come rancide e fuor di moda, per le quali l’uomo si priva di ogni piacere e delizia della vita.
È questa l’arte drammatica, i cui semi primitivi rinvengonsi in ogni clima barbaro o colto, quell’arte che mette in azione la morale, e che, come lo scandaglio e la stella polare a’ naviganti, è la fida scorta e la retta norma che ci scorge ad iscoprire il grado di coltura ove giunte sieno le nazioni.
Non sentesi ognuno compreso da meraviglia e da stupore ascoltando l’elevatezza de’ sentimenti che gli mette in bocca il poeta in una delle situazioni più dilicate che possano presentarsi ad un eroe? […] L’uomo di gusto vi osserverebbe con meraviglia la fecondità nell’immaginare i luoghi convenienti alla scena, la maestria con cui fa egli variare le situazioni locali, la dilicatezza nel distinguere quelle che possono dilettar l’immaginativa dello spettatore dalle altre che potrebbero infastidirla, la finezza, il sempre gradevole e non mai repugnante contrasto che mette fra le scene che parlano agli occhi, la varia e moltiplice erudizion che si scorge nella geografia, nei riti, nei prodotti, nelle foggie di vestire di ciascun paese, in tutte quelle cose insomma, che rendono magnifico insieme e brillante un teatrale spettacolo. […] La risposta non per tanto di Fulvio è un bisticcio somigliante a quello che un drammatico francese mette in bocca ad un suo personaggio: «Il mio sangue esce dalla ferita fumante di collera, perché fu sparso per altri che per la Dama», o come quello di Ovidio, che, volendo persuader alle donne non dover elleno render venali le grazie loro, adduce tra altre ragioni che nulla giova il rigalar con danari Cupido, poiché andando egli sempre ignudo, non ha bisaccia dove custodirli104. […] Ove la ricognizione non ha luogo, voi siete sicuro, che lo scioglimento si prepara o perché il personaggio, trovandosi alle strette, si vuol uccidere di propria mano, onde chi sta presente, e non ha il coraggio di vedere sgorgar il sangue, si placa subitamente per levarsi d’impaccio, o perché in un tradimento ordito da un fellone, oppure in un popolare tumulto eccitatosi nella guisa che vuole il poeta il creduto reo si mette dalla banda del padre, o del sovrano che il condannava, col qual atto eroico disingannato alla perfine il barbaro re gli concede il desiderato perdono, o perché l’amata e il vago stanchi delle opposizioni e bramosi di sbrigarsi pur una volta dalla faccenda si cedono scambievolmente al fortunato rivale.
Le Batteux, est le divin de l’Epopée mis, en spectacle, e ognun vede qual più vasto paese può essa scorrere senza errore. […] Perchè dunque l’Apologista si mette a negarlo prima d’istruirsi de’ fatti?
Un giovane studioso ne osserverà i riferiti pochi tratti naturali e felici, e fuggirà d’imitar l’autore nel carattere d’un padre di famiglia, che piange a tutte le ore, e filosofa vanamente: d’un padre, cui non manca buon cuore e tenerezza per gli figli, ma si bene una prudenza attiva nelle circostanze scabrose: d’un padre ricco, che invece di far la figura principale in ciò che maggiormente importa, si riduce a rappresentare il secondo personaggio dopo il commendatore, che colle sue maniere, co’ suoi pregiudizi, colle sue stravaganze mette la casa in iscompiglio, e ridusse alla disperazione il nipote243. […] Ciò mette alcuni poeti nazionali a scrivere pel loro teatro varie favole francesi, nelle quali s’ingegnarono di accoppiar la ragione e la novità colle grazie dell’Arlecchino.
E da che si mise nel buon sentiero la poesia, lo smarrì la musica.
Neppure vò riferire certi versi Oraziani dell’Arte Poetica dell’evento, piacevole per gli astanti, di chi si mette in danza a giocare alla palla, al disco, al trottolo, e a maneggiare altri simili campestri arnesi.
Monteverde Claudio mette l’Opera in musica 273.
Giambatista Rousseau parlando de l’Inès de Catro del Signor de la Mothe dice così: «Ce qui ne mérite pas d’être lu, ne vaut pas la peine d’être critiqué; et il ne faut pas se mettre en frais, pour détruire un ouvrage qui se détruit lui-même». […] Ardisco dire, che muta di tali cose mette una differenza essenziale tra l’opera eroica e la tragedia; ma non é quello il luogo di trattarne di proposito.
Met. […] Apre l’ atto secondo Seneca che pur viene non si sa perchè, e si mette a moralizzare sulle diverse età del mondo, ravvisando in quella in cui egli vive i vizii di ciascheduna, Collecta vitia per tot ætates diu In nos redundant.
Il poeta acconciamente la mette in vista per insegnare a detestarla, e per rendere più accetta al popolo la beffa che poscia ne riceve quell’indegno che la tiene in bocca e nel cuore. […] Per avere l’opportunità di riscattare o permutare l’ultimo figliuolo prigione si mette a mercatantare di schiavi. […] Ecco in qual guisa è stato recato in Italiano questo squarcio dall’erudito Niccolò Eugenio Angelio nella traduzione delle commedie di Plauto ch’ egli in Napoli ha pubblicata nel 1783 in dieci tomi: Quando ella si mette a tavola La non calchi col piede il piede a un uomo, Nè a seder passi alla scranna vicina.
Tutto ciò deriva dalla eterna providenza di colui che, reggendo con invariabil sistema le cose di quaggiù, mette un perfetto equilibrio fra gli esseri morali, amareggiando col sospetto, col rimorso, colle spinose e tacite cure la condizione de’ potenti schiavi sempre della fortuna e del pregiudizio nell’atto stesso che alleggerisce i disagi involontari del povero colla maggior apertura di cuore, indizio d’un’anima più ingenua, e colla non mentita allegrezza, indizio d’uno spirito più contento. […] Il famoso le Metrie cattivo medico pratico si mise per vendetta a vituperare la medicina nella sua Penelope.
[commento_3.7] rapsodisti: chi mette assieme idee non originali, prese da altri.
Dopo alcune scene galanti ed elegiache, come le indicate degli altri atti, comparisce nell’ultima Solone moribondo, il quale si mette a declamare lungamente con tutta l’inverisimiglianza per uno che stà spirando, e racconta con troppe parole, che Policrita non è sua figlia, e che si chiama Cleorante.
Graziosa è la di lui determinazione di non voler suscitare una guerra civile contraddetta dall’ aria tutta minaccevole, nella quale paragona se stesso al mar tempestoso e medita vendette, e nella seconda parte di essa, che non ha che fare col primo pensiere, si dice, sin tus perfecciones serà à mis passiones dificil la calma, quando à mi alma la quietud faltò; ciò in castigliano potrebbe dirsi una pura quisicosa, ed in francese un galimathias.
Scrive da Bologna (20 ottobre ’40) che ha ricevuto la lettera che gli sopragiunse da Venezia e lagnandosi di non aver saputo prima lo scioglimento del Bazzi, mette il dilemma : « ho io non godevo la vostra confidenza, ho perchè non mi credevate vero ed onesto amico – ed assicuro che non ho fatto traspirare a nessuno la vostra lettera ; » e conclude : « ricevete da me un Baccio da vecchio (cioè senza Malizia !
Il poeta acconciamente la mette in vista per insegnare a detestarla, e per rendere più accetta al popolo la beffa che ne riceve poscia quell’indegno che la tiene in bocca e nel cuore. […] Per avere l’opportunità di riscattare o permutare l’ultimo figliuolo prigione, si mette a mercatantare di schiavi. […] Ecco in qual guisa questo squarcio si reco in italiano dall’erudito Niccolò Eugenio Angelio nella traduzione delle commedie di Plauto che pubblicò in Napoli nel 1783 in dieci tomi: … Quando ella si mette a tavola, La non calchi col pie le il piede a un uomo, Nè a seder passi alla scranna vicina, Nello alzarsi non dia la mano a alcuno, Non dia a osservare l’anello a nessuno, Nè chieda di veder quello di un altro.
Il Sand mette fra le amorose che fecer parte della Compagnia dei Gelosi dal 1576 al 1604, Isabella, Flaminia, Ardelia, Lidia, Laura.
Risulta da quanto si è accennato che la Celestina giustamente proibita e giustamente lodata ancora, se si consideri come spettacolo teatrale, parrà un componimento per tutte le vie spropositato e mostruoso; là dove come novella in dialogo, in cui l’autore non mai mostrandosi tutto mette in bocca de’ personaggi, sarà un libro meritevole di ogni applauso. […] Il Galiziano esprime lo stesso in Castigliano: Mis angelicos, abrazadme, voyme.
Si sente cantare questa redondiglia: Si acaso mis desvarios llegaren à tus umbrales, la lastima de ser males quite el horror de ser mios. […] Non vuole udirla, e le dice, Si enternecer no espero mis iras, paraque con ellas luchas? […] Vi si mette in vista la galanteria di una dama e di un cavaliere che fanno vista di amarsi, avendo però ciascuno più d’un intrigo amoroso per le mani.
Il perno però su cui volgesi la tragedia Romana, è lo stesso della Greca, cioè il fatalismo, se tralle conosciute se n’ eccettui la Medea, che regge per la sola combinazione delle passioni, nè mette capo nella catena di un destino inesorabile.
Risulta da quanto abbiamo accennato che la Celestina giustamente proibita e giustamente lodata ancora, ove però voglia considerarsi come spettacolo teatrale, parrà un componimento per tutte le vie spropositato e mostruoso; là dove mirandola come conviensi qual novella in dialogo, in cui l’autore sempre occultandosi tutto mette in bocca de’ personaggi, sarà un libro ricco di varie bellezze e meritevole di certo applauso. […] Il Galiziano esprime lo stesso in castigliano: Mis angelicos, abrazadme, voyme.
Veggansi i di lui due discorsi sull’arte drammatica: «À quoi bon (dice specialmente nell’ultimo) mettre en Poésie ce qui ne valait pas la peine d’être conçu?
Dopo alcune scene galanti, elegiache al pari delle già indicate, comparisce nell’ultima Solone moribondo, il quale si mette a declamare lungamente con tutta l’inverisimiglianza per uno che stà spirando, e racconta verbosamente che Policrita, non è sua figlia e che si chiama Cleorante.
Intanto quell’agitazione, ch’è propria dell’allegrezza, mette tutta la loro macchina in movimento. […] [Sez.IV.1.0.2] La pronunziazione adunque mette sotto i sensi quello che la parola presenta all’intendimento. […] Né altri creda, che si riservasse tal arte pe’ rostri o pe’ teatri; essi la stimavano sì necessaria anche ne’ familiari trattenimenti, che Platone la mise tra le civili virtù e Clistene tiranno di Sicione rifiutò Ipoclide ateniese, che aspirava alle nozze della figliuola, per essersi accorto non aver lui una molto dilicata azione. […] Questa figura rende spazioso il teatro, poiché tra tutte le figure d’un egual perimetro il cerchio comprende uno spazio maggiore di quello di qualsivoglia altra e mette i palchetti in distanza eguale dal centro, o sia dal punto di mezzo del proscenio. […] Noi siamo allora per istinto portati a muovere alla cadenza di quest’ultima il capo, le mani, i piedi, e ‘l resto della persona, per aiutare il ballerino ad osservarla, o per mettere questa connessione ch’egli non mette fra ‘l ballo e ‘l suono : tanto l’unità è grata al nostro spirito.
Ed è siffatto carattere musicale, che distingue i versi di Virgilio da quelli di Lucano, e di Lucrezio, che fa comparir sì gentile il Petrarca dirimpetto al fiero e rugginoso Dante, che rende Metastasio superiore a Zeno, e Frugoni, e che mette Torquato Tasso al di sopra di Chiabrera, e d’Ariosto, i quali, e principalmente l’ultimo, benché ricchi siano di poetico stile, benché forniti d’altre qualità eccellenti, non sono in questa parte paragonabili all’autore della Gerusalemme.
La notizia di questo secreto nodo mette la regina in tal furore, che medita la strage di Dirce e de’ figliuoli, e l’eseguisce in un sotterraneo. […] E notabile nella scena quarta dell’atto II l’orrore che protesta Nino di avere per l’incesto, per cui si mette sempre più in vista il tragico contrasto del carattere di Nino colla passione di Semiramide, e si prepara la di lui disperazione per lo scioglimento.
Sommamente patetica ivi ancora è la preghiera di Criside moribonda narrata da Panfilo, che io ardisco di tradurre in simil guisa: Mis. […] Ambivio Turpione, il quale tolse sopra di se il carico di fare il prologo per raccomandarla al popolo, L’istrione accreditato, colle parole dell’incomparabile autore, nel bellissimo prologo mette in vista gli antichi suoi meriti; e siccome per opera sua alcune favole di Cecilio alla prima rigettate si riprodussero, e col meglio conoscersi riceverono migliore accoglimento, così si lusinga che abbia in questa di Terenzio a rinnovarsi il passato esempio, fidando nella benignità e nel silenzio degli ascoltatori.
Il leur manque surtout l’art d’apercevoir et de saisir, dans le développement des caractères et des passions, ces mouvements de l’âme naïfs, simples et pourtant singuliers, qui placent et étonnent toujours, et qui rendent l’imitation tout à la fois vraie et piquante; c’est cet art qui met Térence et Molière surtout, au-dessus de tous le comiques anciens et modernes».
Dissi allora, e lo ripeto, che niuna di tali cose mette una differenza essenziale trall’opera eroica e la tragedia; ma ci abbiamo riserbato di trattarne di proposito nel nostro.
Ragionare sull’attore vuol dire infatti riflettere sul personaggio da lui interpretato, sul corpo tramite il quale mette in scena le passioni, sul suo ruolo di educatore all’interno della società. […] Capitolo XII: Salfi si sofferma qui più specificatamente sull’espressione tragica, sottolineando la sublimità del genere tragico, che mette in scena azioni e personaggi nobili.
Sommamente patetica ivi ancora è la preghiera di Criside moribonda narrata da Panfilo, che io ardisco di tradurre in simil guisa: Mis. […] L’istrione accreditato, colle parole dell’incomparabile autore, nel bellissimo prologo mette in vista gli antichi suoi meriti; e siccome per opera sua alcune favole di Cecilio alla prima rigettate si riprodussero e con meglio conoscersi riceverono migliore accoglimento; così si lusinga che abbia in questa di Terenzio a rinnovarsi il passato esempio, fidando nella benignità e nel silenzio degli ascoltatori.
La notizia di questo secreto nodo mette la regina in tal furore, che medita la strage di Dirce e de’ figliuoli e l’eseguisce in un sotterraneo. […] E’ notabile nella scena quarta dell’atto II l’orrore che protesta di aver Nino per l’incesto, nel che si mette sempre più in vista il tragico contrasto del carattere di Nino colla passione di Semiramide, e si prepara la di lui disperazione per lo scioglimento.
Dunque (quarta conseguenza) se i drammi fossero rappresentati dal poeta e dal maestro che li mette in musica, allora sarebbero ben eseguiti. […] Lo stesso dico del finale che il traduttore mette in bocca di tutti al terminarsi la scena, quantunque non vi sia edizione che non lo ponga in bocca della sola Ecuba, e dovendosi considerare manifestamente quelle parole come una continuazione del senso anteriore.
Si sente cantare questa redondiglia: Si acaso mis desvarios llegaren â tus umbrales, la lastima de ser males quitte el orror de ser mios. […] Egli non vuole udirla, e le dice, Si enternecer no espero mis iras, paraque con ellas luchas?
Con tutto però che questi scismatici componessero meglio degli Arcadi Cattolici, non mi pare che dovessero far la commedia di separarsene, che è quella gli mette dal lato del torto. […] La presente edizione mette a testo TrAM, apportando minime modifiche alla veste grafica e testuale. […] [2.123ED] La madre sente che la figliuola dice male di lei, che la mette in disgrazia de’ popoli; e questa vedova ed erede del grande Agamemnone, a cui cento re vivevano tributari, non è da tanto di farla chiudere in casa e ben custodire? […] [3.18ED] Quindi è che, imitando col finto il vero in questi ragionamenti rappresentato, l’uditore può sospettare che quanto uomo esprime anche ad un suo confidente non l’esprima ben pienamente sincero, dimodoché ci rimane una curiosità di spiare, quasi per fenestrella, nel cuor di chi parla se l’interno corrisponda all’esterno; vorremmo insomma sapere come uom seco stesso favelli, ma questo rare volte avviene nel vero, perché rare volte uom seco stesso favella in guisa che altri lo possa ascoltare. [3.19ED] Nondimeno se una fiata ci riesce di ascoltar qualcheduno che (siccome nelle gran passioni o nelle gran macchine qualche volta accade) seco stesso altercando mette fuori quanto ha nel cuore non credendo che altri l’ascolti, grandissimo diletto ne concepiamo e non si può a bastanza esprimere quanto validamente un parlare di questa sorta ci muova ad amore o ad odio verso o contro chi lo pronuncia. [3.20ED] E quante volte, vedendosi per noi un personaggio cupamente pensoso, a qual si sia costo diletterebbeci il saper quello che sta ruminando? […] [4.182ED] Ti farò bene un modello dell’Impostore in cui potrai tu raffigurare qualche originale che lo somiglia; ma io non lo somiglierò forse tanto quanto per avventura tu speri. [4.183ED] Primieramente, per ingannar bene altrui, egli è forza l’ingannar prima se stesso. [4.184ED] Questo inganno ha l’origine da una falsa opinion dell’onore. [4.185ED] L’onore consiste nelle azioni intrinseche buone, cioè nella professione delle morali virtudi, potendosi essere onestissimo uomo, ancorché pessimo letterato. [4.186ED] Ma dato ancora che in linea di letteratura vi sia qualche specie di onore, consisterà questo nella sostanzial virtù di ben pensare, di ben ragionare, di ben esprimersi, non già nell’essere riputato da un partito di uomini inetti a giudicar rettamente un uomo di lettere, essendosi notabile differenza fra la riputazione e l’onore; perché l’onore intrinsecamente da noi medesimi, la riputazione dall’altrui giudicio estrinsecamente dipende. [4.187ED] Quindi è che l’impostore, apprendendo per vero onore la sola riputazione e credendo che l’essere riputato valente letterato non sia disgiunto dall’esserlo, mette in tutta la luce il suo qualunque talento per abbagliar i corrivi, facendo altrui credere di essere quel che non è. [4.188ED] Per conseguire il suo fine, parla co’ meri poeti di matematica, co’ matematici meri di poesia; co’ periti della lingua volgare italiana discorrerà della greca e così parlerà sempre di ciò che appena sa con quelli che o nulla o meno ne sanno; e cosi pianta in altri un concetto di perito, di esimio e di dotto, quando per verità intrinsecamente non lo è. [4.189ED] Tu vedrai l’impostore di vasto ingegno, ma di altrettanta imprudenza. [4.190ED] Vi vuole un vasto ingegno perché sia capace di risoluti e temerari pensieri, ricercandosi nulla meno in chi pretende mascherare di verità la menzogna. [4.191ED] Vi vuole ancora una corrispondente imprudenza nell’operare mentre si sa di operare contro della giustizia, come anche per un caritatevol contrassegno che la provvidenza dà agli occhi nostri dell’impostura.
Tutte le quali cose producono l’illusione, non solo come supplemento della musica, e della poesia, ma come un rinforzo eziandio dell’una e dell’altra, poiché assai chiaro egli è, che né l’azione più ben descritta dal poeta, né la composizione più bella del musico sortiranno perfettamente il loro effetto, se il luogo della scena non è preparato qual si conviene a’ personaggi che agiscono, e se il decoratore non mette tal corrispondenza fra gli occhi, e gli orecchi, che gli spettatori credano di essersi successivamente portati, e di veder in fatti que’ luogi ove sentono la melodia.
Apre l’atto II Seneca che purviene non si sa perchè, e si mette a moralizzare sulle diverse età del mondo, ravvisando in quella, in cui egli vive, i vizii di ciascheduna, Collecta vitia per tot aetates diu In nos redundant.
Un filo naturalissimo mosso da una molla non preveduta si va con verisimiglianza avvolgendo senza bisogno di circostanze chiamate a forza in soccorso del poeta, e vi cagiona un moto vivace, mette i personaggi in situazioni comiche o tenere e sino al fine tiene svegliato lo spettatore tralla sorpresa e il diletto.
Se Agamennone dovea piegarsi e cangiar consiglio, per questo bellissimo discerso il dovea, nel quale la figliuola gli mette innanzi le più tenere memorie.
Forse un’ atrocità impetuosa mette in maggior movimento le passioni sulla scena, e una spietatezza, per dir così, riposata alla maniera di Caligola, quale è questa di Nino che dà luogo all’artifico, desta rincrescimento più che terrore. […] Opilio mette in opera tutta la potestà consolare per abbattere Cajo co’suoi partigiani, i quali respinti e morti cedono alla forza, e Cajo rimane esposto ed in procinto di cadere in mano degli avversarii. […] Questa forza fatale mise in opera l’immortale Racine nella Fedra, e questa avrebbe assai più giovato nella Mirra.
Non è dubbio che il ueder quei cenci, che altri mette tal uolta attorno ad uno auaro, o ad un famiglio ; toglie assai di riputatione allo spettacolo.
Più felicemente si allontanò dalle altrui vestigia il Metastasio nel Demofoonte, il quale mette capo ancor più nell’Edipo di Sofocle e nella Semiramide del Manfredi, che nella Inès.
L’ordonnance en est belle, les passions y sont parfaitement mises en jeu, les caractères en sont bien soutenus.
Apre l’atto II Seneca, che pur viene, non si sa perché, e si mette a moralizzare sulle diverse età del mondo, ravvisando nella sua i vizi di ciascuna: Collecta vitia per tot aetates diu In nos redundant.
Più felicemente si allontanò dalle altrui vestigia Pietro Metastasio nel Demofoonte, il quale mette capo ancor più nell’Edipo di Sofocle, e nella Semiramide del Manfredi, che nella Inès.
Verrò percorrendo brevemente questi due punti, e chiedo scusa al dotto e pregiato autore della necessità, in cui mi mette egli stesso di trattenermi più che non vorrei, intorno al suo sistema favorito, che è quello di dar un’arabica origine alla poesia provenzale.
Balli dove niuna convenienza si serba al paese, al grado, al luogo e alla età dei personaggi, dove s’atteggiano nella stessa foggia il freddo svedese e l’Asiatico voluttuoso, il severo Bruto e il leggiadro Alcibiade, l’attempata e dignitosa regina e la fanciulla vivace, dove non si mette veruna differenza tra chi danza nel proprio gabinetto e che si diverte in sollazzevole compagnia, tra chi si trova oppresso da un amaro cordoglio e chi s’abbandona ad una spensierata allegrezza.
Isabel » No, no pienses que yo procure tal : antes llegando al punto extremo de mi vida, opresa de este oculto dolor, pedirè al cielo que alargue el curso à la de aquel que ha sido » dulce parte de mi… que ser debia de mis acciones dueño. […] Dissi ê ripeto che niuna di tali cose mette una differenza essenziale trall’ opera e la tragedia.
Questo maneggio in parte trapelato mette in agitazione Temolo e Fazio già insospettiti del Negromante che prima aveano cercato di guadagnare.
Questo maneggio in parte trapelato mette in agitazione Temolo e Fazio già insospettiti del Negromante che prima aveano cercato di guadagnare.