Arnaud, meno al Poeta che ai Greci di quel tempo; perocchè la lingua altro non suol essere, che l’espressione e l’ immagine del carattere e del costume regnante presso di una nazione.
L’entusiasmo per la libertà, l’orgoglio e la malinconia britannica, l’energia delle passioni e della lingua, ed il gusto pel suicidio influiscono notabilmente nella tragedia inglese, e tanta forza e vivacità le prestano, che al di lei confronto sembra che la francese languisca alla guisa di un dilicato color di rosa accanto ad una porpora vivace. […] Regolare nell’economia, felice nella dipintura de’ caratteri, puro nella lingua, nobile ne’ sentimenti, quest’autore si novera in Inghilterra tra’ migliori tragici. […] Appartiene alla Gran-Brettagna, al secolo XVIII, e alla tragedia reale una traduzione di un dramma in lingua ersa pubblicata verso il 1762a.
Giovanni Ruy de Alarcon di origine spagnuolo ma nato nel Messico, per purezza di lingua, per grazia comica, per abbondanza e per invenzione, merita di preferirsi a moltissimi suoi contemporanei.
Traducendo ed imitando le Fenisse sembra aver voluto dopo quindici secoli mostrare l’autore, in qual maniera avrebbe dovuto Seneca o qual altro sia stato l’autore della Tebaide, recare nella lingua del Lazio, senza i difetti di stile che gli s’imputano, le Fenisse di Euripide.
Giovanni Ruiz de Alarcòn di origine Spagnuolo ma nato nel Messico, per purezza di lingua, per grazia comica, per abbondanza e per invenzione, merita di preferirsi a moltissimi suoi contemporanei.
È ben l’anima pronta Quando ciò pensa a sofferir martire : Ma tosto, che s’accende in me ’l desire Di veder dolci pargoletti modi Forz’è, ch’a lamentar la lingua io snodi.
A ben sostenere la parte di Pantalone nella commedia a soggetto, il Perucci dà questo insegnamento : Chi rappresenta questa parte ha da avere perfetta la lingua veneziana, con i suoi dialetti, proverbi e vocaboli, facendo la parte d’un vecchio cadente, ma che voglia affettare la vioventù ; può premeditarsi qualche cosa per dirla nell’occasioni ; cioè, persuasioni al figlio, consigli a' Regnanti o Principi, maledizioni, saluti alla donna che ama, ed altre cosuccie a suo arbitrio, avvertendo che cavi la risata a suo tempo con la sodezza e gravità, rappresentando una persona matura, che tanto si fa ridicola, in quanto dovendo esser persona d’autorità e d’esempio e di avvertimento agli altri, colto dall’amore, fa cose da fanciullo, potendo dirsi : puer centum annorum, e la sua avarizia propria de'vecchi, viene superata da un vizio maggiore, ch'è l’Amore, a persona attempata tanto sconvenevole ; onde ben disse colui : A chi in Amor s’invecchia, oltre ogni pena si convengono i Ceppi e la catena.
La lingua che serviva loro di strumento era la più flessibile, la più vaga, la più armoniosa, la più pittoresca e la più musicale che sia stata giammai parlata dagli uomini. […] Di cento ventiquattro piedi tra semplici e composti onde costava la loro prosodia (numero prodigioso, dal quale solo potrebbe argomentarsi la superiorità della lingua greca rispetto a tutte le altre) non si trovava neppur uno che non fosse stato inventato per adattarlo piuttosto ad una spezie di canto che ad un’altro. […] [28] So che i fautori della moderna musica, alla testa de’ quali fa d’uopo metter il Signor Don Saverio Mattei napoletano (nome caro alle lettere ed alla sua patria)126 mostrano di far poco conto del vantaggio che avevano gli antichi nel regolamento del tempo, quasi che simili finezze non siano necessarie atteso l’attuale sistema della lingua e della poesia italiana. […] Non s’accorgono essi che dove la lingua non ha una prosodia regolare e stabile, la misura musicale debbe anche partecipare di siffatta irregolarità?
L’energia e la forza del coro dell’atto I difficilmente può passare in altra lingua. […] Mattei peritissimo nella Greca lingua e nel modo d’interpretarla, si fosse fatto ingannare dalla voce απιστα, quasi che Ecuba non credesse vero quel che avea sotto gli occhi. […] A noi piacque di tradurlo ancora, ed affinchè i giovani avessero una competente idea de’ cori di Euripide, c’ingegnammo di ritenere un poco più le immagini e lo spirito dell’originale senza violentare il genio della nostra lingua: Patria (ahi duol che ne ancide! […] Si corruppe finalmente la Greca lingua, e se in appresso si compose alcuna favola drammatica, fu dettata nel Greco moderno. […] Casthilon moderno scrittore Francese in un libro, nel quale va cercando le cagioni fisiche e morali della diversità del genio delle nazioni, oltre di ostentare certo barbaro disprezzo per la lingua, la letteratura e le maniere de’ popoli che non sono Francesi, asserisce con magistrale superiorità che nelle mani di Sofocle e di Euripide la tragedia étoit à son berceau.
[3] La seconda fu l’esempio d’un celebre autore, il quale ugualmente ricco di fantasia lirica, ugualmente benemerito della propria lingua, che sprovveduto delle altre doti che caratterizzano un gran poeta, contribuì coll’autorità che aveasi acquistata fra suoi nazionali in un secolo, che di già inchinava al cattivo gusto, a guastar il dramma musicale. […] Ho la lingua col restio Ma per dar mazza che vola No che gobbo non son io.
Il celebre Gian-Vincenzo Gravina, così perito nelle faccende poetiche e nella lingua greca, versa a piena bocca su questo comico le sue lodi per la verità e naturalezza delle invenzioni, per la proprietà de’ costumi, per la felicità delle allusioni, per la bellezza de’ colpi, e per la fecondità; la pienezza, il sale attico, di cui abbonda, e che oggi a’ nostri orecchi non può penetrare. […] Probabilmente cotesto Gaulese, e di lingua greca, e di poesia, e della politica che conveniva alla repubblica ateniese, e di ciò che poteva in que’ tempi esser pregevole sul teatro, se ne intende meglio del popolo greco, il più illuminato dell’universo, meglio di Platone, meglio di Aristotile, meglio dell’istesso Molière, meglio di tanti e tanti grand’ingegni antichi e moderni, i quali tutti (a riserba di qualche Chamfort) hanno avuta la compiacenza di ammirare Aristofane.»
Dotato d’ingegno straordinario e soccorso dalla lettura degli antichi mostrò sulla scena la ragione accompagnata da tutta la pompa e da tutti gli ornamenti de’ quali è capace la lingua francese. […] Tommaso con più debolezza di stile e con minore ingegno del fratello merita ancor la stima de’ nazionali per essere stato più di Pietro castigato nell’uso delle arguzie viziose, per la scelta degli argomenti, per la vasta letteratura ond’era ornato, e per la purezza con cui parlava la propria lingua.
Quanto più siamo persuasi dell’acutezza dell’ingegno spagnuolo nel trovar nelle cose il ridicolo, e dell’eccellenza della ricchissima lingua di tal nazione che si presta con grazia e lindura alle festive dipinture de’ costumi; tanto maggior meraviglia ci reca il vedere in quelle contrade sì negletta la buona commedia nel secolo XVIII, in cui anche nel settentrione vanno sorgendo buoni imitatori di Terenzio e di Machiavelli, Wycherley e Moliere. […] L’avvocato Nicolàs Fernandez de Moratin mentovato fra’ tragici si provò anche nel genere comico, e nel 1762 impresse la sua Petimetra, nella quale, ad onta di una buona versificazione, e di una lingua pura, e della natural vivacità e grazia dell’autore, riuscì debole nella dipintura di donna Geronima, e sforzato ne’ motteggi, e cadde ne’ medesimi difetti ch’egli aveva in altri ripresi.
In fatti nel consenso del popolo (non della plebe) consiste il vero giudizio quanto a’ caratteri, a’ costumi, alla condotta delle favole; e solo per mio avviso prevaler debbe il giudizio de’ conoscitori e scrittori trattandosi di stile e di lingua. […] Da quanto riferito abbiamo de’ Tragici Latini di quest’epoca, e della precedente, non parmi che negar si possa che la lingua latina si prestasse felicemente al genio tragico, come accennò Orazio, Et spirat tragicum satis, et feliciter audet. […] Laonde noi incliniamo a prestar tutta la fede a que’ Latini scrittori che ebbero sotto gli occhi le tragedie romane da essi esaltate, a que’ Latini che sapevano bene quel che si dicessero sulla propria lingua e poesia; ed assai peco in concorrenza (non ci s’imputi a colpa) crederemo al lodato Denina che con tutta la posterità non ha veduta nè anche una delle tragedie latine.
In tali occasioni la strumentale è una spezie di nuova lingua inventata dall’arte affine di supplire all’insufficienza di quella che ci fu data dalla natura. […] [38] Un altro sommo difetto degli odierni maestri quello è di poco o nulla studiare l’accento patetico della lingua, che serve di fondamento alla musica imitativa, cioè i tuoni individuali di ciascuna passione. […] Per rendere più chiara e più palpabile la demostrazione, io voglio aggiugnere alla poetica parodia testé arreccata una strofetta in lingua francese, che nulla ha di comune né coi senso dell’aria di Metastasio, né con quello della mia. […] Non s’istillano loro i principi di quella erudizione che tanto è necessaria per chi s’accinge a comporre, come sarebbe a dire intender bene la propria lingua, ravvisar la più acconcia collocazione degli accenti, la prosodia più esatta e la connessione dell’una e dell’altra colla declamazion teatrale, internarsi nell’arte poetica e nel meccanismo della versificazione a fine di conoscer la diversità degli stili, e la maniera di eseguirli nella musica, non trovarsi digiuno nella storia e nei costumi de’ popoli per non dare all’asiatico Enea la stessa melodia che al mauritano Jarba, e non far cantare sul medesimo tuono un effemminato Sibarita e un generoso compagno di Leonida allevato sulle rive dell’Eurota.
Un anonimo in una brochure uscita in Parigi vi notò fin anche errori di lingua e dirima ; chiamò Voltaire traduttore, copiatore, piggioratore ancora della Merope del Maffei specialmente nell’atto V. […] Vi riconosciamo altresi coll’abate Bettinelli la solita bellezza di stile poetico e naturale, e la stessa ricchezza di fiase e purità di lingua che è pur sì necessaria al teatro, e che sì di rado s’incontra. […] Scorgesi in tutte miglioramento nello stile, versificazione più scorrevole, lingua tersa ed eleganza meno cruschevole, monologhi meno frequenti, numero di personaggi accresciuto senza bisogno di confidenti. […] Gl’Italiani a me noti nel cominciare il secolo XIX, ammirano i pregi dell’ Alfieri, e vanno dietro al sublime senza violentar la lingua. […] Conosco un Germanico manoscritto che dimostra parimenti che può ottenersi il sublime senza stranezze di lingua.
Io, schiettamente, passato sopra alla sciattezza della lingua e dello stile, e alla piccola vanagloria che emergon da tutta l’opera, ho trovato e trovo codeste pagine (del primo volume specialmente) un preziosissimo contributo alla storia del nostro teatro del secolo xix, specie per la dovizia degli aneddoti di ogni genere e pei giudizi chiari e precisi di tutti gli artisti, e non furon pochi, i quali militaron con lui.
S’intitola Sacontala tradotto dalla lingua Sanskrit in inglese dal Sig.
Pietro Calderòn é il poeta che ha posseduta la versificazione più fluida e armoniosa e che ha maneggiato la lingua con maggior grazia, facilità ed eleganza.
Si vede bene, che nel teatro di questo mondo gli attori al volger degli anni mutan faccia, lingua, e paese; ma la scena é sempre l’istessa, l’istesse passioni, gli stessi moti, quasi niuu divario.
Sul cadere dell’ 88 egli morì sopra una nave nel tragitto da Genova a Marsiglia ; ed ecco come la Gazzetta Urbana Veneta del 19 novembre 1788, n. 93 dà l’annunzio del triste caso : Quest’uomo famoso che ammirare si fece sino a'confini d’Europa : che fu chiamato fuori d’Italia, dove non intendesi la nostra lingua : che volar fece il suo nome appresso tutte le nazioni dove conoscesi e pregiasi la comic’ arte : che nelle nostre parti rese col suo valore angusti al concorso i maggiori teatri, è morto indigente nel suo tragitto da Genova a Marsiglia e il suo cadavere soggiacque al comune destino de'passeggieri marittimi, d’essere gettato in mare.
L’imitazione de’ personaggi che parlano nel dialetto napoletano ha somma verità e piacevolezza ; là dove quella de’ personaggi che usano la lingua toscana, ha qualche stento sì per certe trasposizioni aliene dalla lingua e del genere comico, sì per alcune maniere di dire toscane ma poco toscanamente collocate. […] La lingua è pura, lo stile ricco e proprio degli argomenti e della drammatica. […] Gli contese gran parte di tali doti e forse tutti il famoso Saverio Bettinelli, e pretese che Metastasio sia prosaico, inelegante, privo di lingua poetica ecc. […] La sua rima e discretissima ed esente di legge, i versi, in quanto lo permette la lingua, sono pieni di ritmo, e però facili ad adattarsi alla musica. […] Ella vuol dire che si accinge a versare il proprio sangue ed a seguir lo sposo ; ma per ciò la nostra lingua fornisce modi più veri, più individuali per meglio e non equivocamente particolareggiare le immagini giusta l’uffizio della vera poesia.
Leon Battista Alberti, uno de’ più gran valentuomini de’ suoi tempi, nato secondo il Manni e ’l dottor Lami nel 1398, secondo il Bocchi nel 1400, e, secondo che con maggior probabilità congettura il Tiraboschi, nel 1444, scrisse anche in latino nell’età di 20 anni una comedia, intitolata Philodoxeos, che per due lustri fu creduta opera di antico scrittore «perché (al dir del prelodato Tiraboschi) comunque scritta in prosa, ha nondimeno alquanto dello stile de’ comici antichi, e pruova lo studio che l’Alberti avea fatto della lingua latina».
Ciò concedendo ancora, il maestro Perez con «lingua di latte snodava voci indistinte», e incerte orme segnava menato per los andadores, quando si leggeva in Italia la tragedia del Carretto, e non era uscito dell’età pupillare, quando vi si rappresentavano e ammiravano quelle del Trissino e del Rucellai.
È colpa mia s’egli ignorava la lingua italiana?
Certo, com’ egli avverte nel Proemio al rappresentare all’ improvviso, bellissima quanto difficile e pericolosa è l’ impresa, nè vi si devono porre se non persone idonee ed intendenti, e che sappiano che vuol dire regola di lingua, figure Rettoriche, tropi, e tutta l’ arte rettorica, avendo da fare all’ improvviso ciò che premeditato fa il poeta….
Debbo pur anco far notare che la ricchezza, l’energia e la maestà della lingua italiana e le maniere usate da’ nostri gran poeti, danno all’Agnese un certo che di più grande che manca al cattivo verseggiatore La Motte. […] Circa la lingua tutto si dee perdonare a uno straniero che si studia di coltivar quella del paese ove abita. […] Ma carnifex in latino significa solo il verdugo dell’idioma castigliano ed il manigoldo dell’italiano; nè mai nella lingua degli Orazj e de’ Tullj significò il bottegajo di un macello, come significa carnicero.
Non tralasciò di scrupulosamente consultare in tutto questo l’indole della nostra lingua e il fine orecchio di molti gentiluomini, cosi nella poesia come nella musica esercitatissimi.
Nel secondo s’investigherò la proporzione che ha per la musica la lingua italiana, e ciò che rimane a farsi per perfezionarla.
La poca felicità notata da’ critici nello scioglimento delle sue favole; qualche passo dato talvolta oltre il verisimile per far ridere; alcuna espressione barbara, forzata, o nuova nella lingua, di che fu ripreso da Fénélon, La Bruyere e Baile; molte composizioni scritte per necessità con troppa fretta; la mancanza di vivacità che pretesero osservarvi alcuni Inglesi che ne copiarono qualche favola alterandola e guastandola a lor modo; tutte queste cose, dico, quando anche gli venissero con ogni giustizia imputate, dimostrerebbero in lui l’ uomo.
Abbi per certo che non visono se non se queste tre cose, il Caos, le Nuvole, e la lingua. […] Ma quella celebre letterata, sebbene maneasse di certo gusto poetico necessario a ben tradurre i poeti, almeno intendeva pienamente il greco idioma, ed ha voto autorevole allorchè afferma che Aristofane è fino puro armonioso, ed empie di piacere coloro che hanno la fortuna di leggerlo originale; sortuna che auguriamo al traduttore di Lucano autore della Poetica Francese a Il riputato Gian Vincenzo Gravina così perito nelle materie poetiche e nella lingua greca versa a piena bocca su questo comico le sue lodi per la verità e naturalezza delle invenzioni, per la proprietà de’ costumi, per la felicità delle allusioni, per la bellezza de’ colpi, e per la fecondità la pienezza il sale attico di cui abbonda e che oggi a’ nostri orecchi non può tutto penetrare. Daniele Einsio, Tanaquil le Fevre, Boivin, ottimi giudici di poetica e di greca lingua, ammirarono Aristofane. […] Probabilmente costui e di greca lingua e di poesiab s’intende meglio del popolo Greco il più illuminato dell’Universo, meglio di Platone, meglio di Aristotile, meglio di Moliere stesso, meglio di tanti e tanti grand’ ingegni antichi e moderni, i quali tutti hanno avuta la compiacenza di ammirare Aristofane.
Gli abitanti di quella penisola per natura d’ingegno acre, vivo, perspicace ed atto ad ogni impresa, possedendo una lingua figlia generosa di bella madre, ricca, espressiva, maestosa, pieghevole, armoniosa, e nobile, doveano fuor di dubbio segnalarsi nelle amene lettere tosto che ne’ buoni esemplari additata lor si fosse quella forma del Bello che il Gusto inspira ed alimenta negli animi gentili. Una lingua nascente non sempre imbatte alla prima a scegliere la versificazione più armonica e più acconcia a ricevere le forme leggiadre che gli antichi seppero ricavar dalla bella natura. […] Elisabetta si fa dall’amore abbassare sino al vassallo; egli innalza a lei le sue speranze; l’uno e l’altra frena la lingua che vuol trascorrere. […] Ma Calderòn ebbe una immaginazione prodigiosamente feconda: non cedeva allo stesso Lope nell’armonia della versificazione: maneggiò la lingua con somma grazia, dolcezza, facilità ed eleganza: seppe chiamar I’ attenzione degli spettatori con una serie di evenimenti inaspettati che producono continuamente situazioni popolari e vivaci.
Gli abitatori delle felici contrade di quella penisola dotati per natura d’ingegno acre, vivo, pespicace ed atto ad ogni impresa, e possedendo una lingua figlia generosa di bella madre, ricca, espressiva, maestosa, pieghevole, armoniosa e nobile, doveano fuor di dubbio segnalarsi nelle amene lettere, tosto che ne’ buoni esemplari fosse loro additata quella forma del Bello che il Gusto inspira ed alimenta negli animi gentili. Una lingua nascente non sempre imbatte alla prima a scegliere la versificazione più armonica e più acconcia a ricever le forme leggiadre che gli antichi seppero ricavar dalla bella natura. […] Elisabetta si fa dall’amore abbassare sino al vassallo; egli inalza a lei le sue speranze; l’uno e l’ altro frena la lingua che vuol trascorrere. […] Ma Calderòn ebbe una immaginazione prodigiosamente feconda: non cedeva allo stesso Lope nell’armonia della versificazione: maneggiò la lingua con infinita grazia, dolcezza, facilità ed eleganza: seppe interessare gli spettatori con una serie di evenimenti inaspettati che producono continuamente situazioni popolari e vivaci.
Ma carnifex in latino significa soltanto il verdugo dell’idioma castigliano, che è il manigoldo dell’italiano; nè mai nella lingua degli Orazii e de’ Tullii significò il bottegajo di un macello, come significa carnicero, e perciò il pensiero rimane nella testa dell’autore. […] Debbo pur anche far notare che la ricchezza, l’energia, e la maestà della lingua italiana, e le maniere usate da’ nostri poeti grandi, danno all’Agnese un certo che più grande che manca al cattivo verseggiatore La-Motte. […] Circa la lingua tutto si dee perdonare a uno straniero che si studia di coltivar quella del paese ove abita.
La poca felicità notata da’ critici nello scioglimento delle sue favole; qualche passo dato talvolta oltre del verisimile per far ridere; alcuna espressione barbara, forzata o nuova nella lingua, di che fu ripreso da Fenèlon, la Bruyere e Baile; molte composizioni scritte per necessità con soverchia fretta; la mancanza di vivacità che pretesero osservarvi alcuni Inglesi che ne copiarono qualche favola alterandola e guastandola a lor modo; tutte queste cose, quando anche gli venisseso con ogni giustizia imputate, dimostrerebbero in lui l’uomo.
Menagio: Gilles Ménage (Angers, 1613 – Parigi, 1692), letterato ed erudito francese, autore delle Origines de la langue françoise (1650), delle Origini della lingua italiana (1669 e 1685) e delle Observations sur la langue françoise (1673-76).
Ma no: udii dire che assistendo talvolta alla rappresentazione di una favola alcune persone molto colpevoli, sono state così vivamente ferite per l’illusione del teatro, che alla presenza di tutti hanno manifestati i loro delitti; perchè la colpa, benchè priva di lingua, sempre si manifesta quando men si attende.
Il passo di Appiano addotto nella Storia Letteraria è stato tratto dalle traduzioni, e perciò si attribuisce a questo Scrittore l’aver detto, che i Fenici vennero in Ispagna sin da’ primi tempi; là dove egli dice soltanto ἐξ πολλοῦ, o come diremmo in nostra lingua da gran tempo, e come dice nella sua l’Autore della Lettera citata mucho tiempo ha.
Andres, che essa parimente prevenne le altre nazioni Europee in produrre i primi indubitati pezzi teatrali in lingua volgare (giacchè è piaciuto a questo letterato, altro non potendo, ricorrere a questo asilo) nè solo coll’Orfeo, ma con altri drammi eziandio, verità che vedrebbero con tutta l’Europa gli apologisti di ogni nazione, purchè gettassero via i vetri colorati di Plutarco.
Aggiugneremo con pace del Signor Andres, che essa parimente prevenne le altre nazioni Europee in produrre i primi indubitati pezzi teatrali in lingua volgare (giacchè è piaciuto a quest’autore altro non potendo ricorrere a quest’asilo) nè solo coll’ Orfeo, ma con altri drammi eziandio, per cui vedere basterebbe agli apologisti oltramontani rileggere i nostri libri senza gli occhiali colorati di Plutarco.
Or tocca al La Cruz, al Sampere ed a tutta la turba che gli applaude, a conciliar tutto ciò colla loro lingua, colla poesia e col senso comune.
[http://obvil.github.io/historiographie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img101.jpg] Parole che su per giù si posson ripetere oggi che la Eleonora Duse afferra e soggioga i pubblici di ogni paese, a’ quali, per nove decimi, la lingua italiana è straniera.
Egloga Pastorale in Napolitana e Toscana lingua.
Non crederei che il signor Saverio peritissimo nella greca lingua, e nel modo d’interpretarla, si fosse fatto ingannare dalla voce απιστα, quasi che Ecuba non credesse vero quel che avea sotto gli occhi. […] A noi piacque di tradurlo ancora; ed affinchè i giovani avessero una competente idea de’ Cori di Euripide, c’ingegnammo di ritenere un poco più le immagini e lo spirito del l’originale senza violentare il genio’ della nostra lingua: Patria (ahi duol che n’anchide!)
Abbi per certo che non vi sono se non se queste tre cose, il caos, le Nuvole e la lingua. […] Il celebre Gian Vincenzo Gravina così perito nelle materie poetiche e nella lingua Greca versa a piena bocca su questo comico le sue lodi per la verità e naturalezza delle invenzioni, per la proprietà de’ costumi, per la felicità delle allusioni, per la bellezza de’ colpi, e per la fecondità, la pienezza, il sale Attico di cui abbonda, e che oggi a’ nostri orecchi non può tutto penetrare. […] Boivin, ottimi giudici di poetica e di Greca lingua, ammirarono Aristofane. […] Probabilmente costui e di Greca lingua e di poesia113 s’intende meglio del popolo Greco il più illuminato dell’universo, meglio di Platone, meglio di Aristotile, meglio di Moliere stesso, meglio di tanti e tanti grand’ingegni antichi e moderni, i quali tutti hanno avuta la compiacenza di ammirare Aristofane.
Il Garzoni (Piazza Universale, Venezia, Somasco, m.d.xcv, pag. 737) dice di lei : « La gratiosa Isabella, decoro delle scene, ornamento de’ theatri, spettacolo superbo non meno di virtù che di bellezza, ha illustrato ancora lei questa professione, in modo, che mentre il mondo durerà, mentre staranno i secoli, mentre hauranno vita gli ordini e i tempi, ogni voce, ogni lingua, ogni grido, risuonerà il celebre nome d’Isabella. […] Di atti, et di parole, ui ho detto altre uolte, che si compone la comedia, come di corpo, et d’anima siamo composti noi : l’ una di queste parti principali è del poeta, et l’altra è dello histrione. i mouimenti del quale, chiamati dal padre della lingua latina eloquenza del corpo, son di tanta importanza, che non è per auentura magiore l’ efficacia delle parole, che quella de i gesti. et fede ne fanno quelle comedie mute, che in alcune parti di europa si costumano, le quali, con gl’ atti soli si fanno cosi bene intendere, et rendono si piaceuole lo spettacolo, che è cosa marauigliosa a crederlo a chi ueduti non li habbia.
Di fatti il paragone è stato più volte istituito da uomini niente meno eruditi e sensati, che Vincenzo Galilei ne’ suoi Dialoghi sulla musica antica, Giambattista Doni nei libri de praestantia musicae veteris, Isaacco Vossio nel ragionamento de poematum cantu et viribus rytmi, Monsieur Burette in più dissertazioni inserite nelle Memorie dell’Accademia di Parigi, Fra Giambattista Martini nella Dissertazione che chiude il terzo tomo della sua storia della Musica, l’Abate Arnaud nella Dissertazione intorno agli accenti della lingua greca, e cent’altri. […] [73] «Come non è men falso che tutti i compositori siano tanti ignoranti non sappiano nemmeno la propria lingua non che la latina, non conoscano la poesia, la letteratura e gli autori che han trattato e trattan di musica; poiché gli conoscon benissimo; e sanno ancora distinguere gli aurori buoni dai mediocri, e non li pongono tutti a sacco, come ha fatto il N. […] Invece d’avanzare ciò ch’ho avanzato, dovea sostenere con zelo apostolico che la maggior parte dei moderni maestri sono dottissimi, che intendono a meraviglia la lingua latina, e gustano le più intime squisitezze della toscana, che sono versatissimi nella poesia, e nella letteratura, che hanno come suol dirsi sulla punta delle dita tutti gli autori, che hanno trattato e trattan di musica.
Chiamiamo vuoto della storia teatrale il lungo periodo interposto dalla corruzione della poesia drammatica sino alla perdita della lingua latina avvenuta principalmente per l’incursione delle nazioni barbare nell’impero Romano.
Le pugna a mano a man, se tu non taci, Mi serviran per lingua e per favella.
II) : Voi che fate professione di parlare in pubblico, raccordatevi d’aver pronto l’occhio, la mano, il piede, anzi tutta la persona, non meno che habbiate la lingua, poichè il concetto, senza il gesto, è appunto un corpo senza lo spirito, havertendo che non si vuol gesticolare in quel modo che molti sogliono fare, e ch’io molte volte ho veduti, che se girano gli occhi pajono spiritati, se muovono il piede sembrano ballerini, se le braccia barbagiani che volano, e se voltano il capo, scolari di Zan della Vigna ; però il capo, le braccia, i piedi, gl’occhi si deono muovere a tempo, con modo, con ordine e con misura, havertendo ancora che non è poco vitio adoprar sempre un sol braccio, o una sola mano, ma che si dee hor l’ una, hor l’altra et hora tutte due muovere, come più comporta il discorso che si recita.
Facciasi ragione al vero, nè la versificazione prosaica, negletta, dilombata, nè lo stile basso, snervato, privo di colori e di affetti, nè la sceneggiatura sconnessa senza incatenamento, e senza motivarsi l’entrare e l’uscire de’ personaggi, nè la favola spoglia d’interesse, di compassione e di terror tragico, nè la lingua scorretta e barbara, ci presenta in questa prima tragedia un componimento tollerabile se non lodevole. […] Non ci volea altro per isnodarle la lingua. […] Vi si scorge in generale miglioramento notabile nello stile divenuto più naturale senza perder di grandezza, nella versificazione più scorrevole senza allontanarsi dal suo genere, nella lingua tersa ed elegante senza sacrificar la grazia nativa per lo studio di esser cruschevole, nell’economia più giudiziosa, per l’entrar de’ personaggi in iscena meglio motivato, pe’ monologhi men frequenti, pel numero de’ personaggi accresciuto che rende l’azione più verisimile senza la nojosità de’ confidenti. […] Essa è in fatti una prosa mal misurata in lingua non assolutamente italiana, o napoletana, o forense, o scolastica, ma tutto ciò rimestandosi ne risulta la locuzione dell’Emilia. […] Ella vuol dire che si accinge a versare il proprio sangue, e a seguir lo sposo; ma per ciò la nostra lingua fornisce modi più veri, più individuali, per meglio e non equivocamente particolareggiare le immagini giusta l’uffizio della vera poesia.
Un anonimo in una brochure uscita in Parigi dopo la prima rappresentazione vi notò fin anco errori di lingua e di rime; chiamò Voltaire traduttore, copiatore, piggioratore ancora della Merope del Maffei specialmente nell’atto V. […] Bettinelli la solita bellezza di stile poetico e naturale, e la stessa ricchezza di frase e purità di lingua, che è pur sì necessaria al teatro, o che sì di rado s’incontra. […] Esse apprestano a uno sguardo curioso molte scene vivaci e tragiche e con felicità verseggiate; ma qualche ipotesi non molto verisimile, un portamento tal volta romanesco, l’atrocità spesso soverchia, alcun neo nella lingua e nello stile, non ci lasciano pienamente soddisfatti.
I Frati in nostra lingua comprendono l’idea di Ecclesiastici, ma non già quella di Vescovi; nè Vescovi (se pure tutti i Frati per Voi non sono Vescovi) parmi che trovinsi introdotti ch’io sappia nelle Commedie Italiane del Cinquecento.
Le pugna a mano a man, se tu non taci, Mi serviran per lingua e per favella.
L’energia e la forza del coro dell’atto I difficilmente può passare in un’altra lingua. […] Castilhon moderno filofofista francese in un libro, nel quale, a dir vero, anfana a secco sulle cagioni fisiche e morali della diversità del genio e altro delle nazioni, (senza mettergli a conto il barbaro disprezzo che mostra per la lingua, la letteratura, e le maniere de’ popoli, che non son francesi) asserisce con magistral superiorità, che nelle mani di questi due poeti la tragedia était à son berceau.
[Sez.I.1.0.2] In effetti Albertino Mussato, storico padovano, il quale, secondo il Muratori, nacque verso il 1260, parla del pronunziar su’ teatri col canto e in volgar lingua le gesta de’ duci e de’ monarchi, come d’un costume non recente. […] [Sez.II.1.1.4] Ma perché la lingua d’alcune nazioni non distingueva tanto la brevità e la lunghezza della sillabe, quanto i tuoni di esse, cioè l’acutezza e la gravità loro, perciò i primi poeti di queste nazioni presero a non badar tanto alla lunghezza o alla brevità delle sillabe, quanto alla loro gravità ed acutezza; onde nacque la poesia armonica, cioè quella onde l’estetico consiste nella distribuzione delle sillabe acute e gravi. […] Or la velocità d’un verso nasce, secondo a me pare, dalla contiguità di due sillabe brevi, e tal contiguità si trova quando un verso unisca insieme due sillabe, niuna delle quali sia segnata d’accento acuto: giacché, almeno in nostra lingua, niuna sillaba è acuta che non sia lunga al tempo stesso. […] Deve in prima il cantante apprendere a parlar bene la lingua in cui canta, sotto pena d’essere cuculiato a doppio, se la parli come facea la buona femmina della mamma nel dialetto del suo paese. […] • il signor abate Metastasio: Metastasio (Pietro Trapassi), nato a Roma nel 1689 e morto a Vienna (dove si era trasferito nel 1729), nel 1782: il notissimo letterato che portò a compimento la riforma del melodramma intrapresa da Zeno, imponendo la lingua italiana nei teatri d’Europa.
Algarotti interpreta una risposta italiana alla querelle des bouffons e nonostante le critiche e la consapevolezza dell’esistenza dei consueti problemi della rappresentazione operistica, promuove un genere al quale nel Settecento è affidata la fortuna europea della lingua e della letteratura italiane e spende quindi la sua esperienza cosmopolita al servizio di una causa volta a valorizzare non solo la tradizione letteraria italiana, ma anche la creazione, attraverso il dramma per musica, di un linguaggio poetico universale, di grande diffusione, capace di parlare alle corti e al popolo e in grado di esprimere le passioni dell’uomo moderno.
Inglese L’entusiasmo per la libertà, l’orgoglio e la malinconia britannica, l’energia delle passioni e della lingua, e ’l gusto pel suicidio, influiscono mirabilmente nella tragedia inglese, e le danno tanta forza e vivacità, che al di lei confronto la francese par che languisca come un dilicato color di rosa presso a una porpora vivace.
Imperocché appena cominciò a rilasciarsi la modestia, per così dire, dell’antica musica o per troppa indulgenza di coloro che presiedevano alle cose sacre, o per ismodata licenza dei musici, non vi fu argine o regola alcuna, ma mille nuove spezie s’introdussero di modulazioni, di echi, di repetizioni, e di troncamenti di parole: pei quali mezzi la musica ecclesiastica degenerò in isconvenevolezza e in licenza incredibile, accelerata maggiormente coll’uso di applicar l’armonia ad una lingua morta, il cui significato non comprendendosi dal volgo con poteva lasciar nell’animo quelle traccie profonde d’affetto, che visi dovrebbono imprimere.
Ma la lettura riposata è la pietra di paragone de’ drammi, ed essi non passano alla posterità quando mancano di stile, di lingua, di buona versificazione, d’interesse; ed in quelli di Campistron si desidera forza, calore, ed eleganza.