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76. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo decimoterzo »

Ha inoltre da cercare il compositore che il motivo d’un’aria abbia un carattere decisivo che lo distingua da ogni altro del medesimo genere; che le modulazioni, per esempio, ch’entrano nella composizione d’un soggetto patetico, non servano ai caprici ed alle irregolarità d’un argomento giocoso, l’espressione dell’allegrezza d’un coro di contadini a quella del tripudio delle baccanti, la gravità d’un ecclesiastico miserere ai cupi e dolorosi omei d’Alceste, o d’Admeto; che la misura che dà tanta mossa e vigore alla melodia, e gli accompagnamenti che ne aumentan l’effetto servano a far ispiccar il canto senz’alterarlo, e che né questi né quella si prendano la libertà di rappresentar cose staccate dal senso generale dell’aria, e che non abbiano immediata relazione colle parole, essendo certissimo che gli episodi fuori di luogo non sono meno ridicoli nella musica di quello che lo siano nella oratoria e nella poesia.

77. (1798) Addizioni alla Storia critica de’ teatri antichi et moderni « PARTE II — LIBRO X ed ultimo » pp. 161-344

Quattro personaggi che interrompono il proprio sentimento o per volontà o per inciviltà reciproca, che attendono ciascuno alla sua volta il parlar dell’altro a metà, che conchiudono in coro con un sol verso comune venuto in mente a tutti, rassembra quello appunto che si riprende in certe scene finali degli spagnuoli del passato secolo. […] e quel bel già ci, già ci, già ci in coro colle repliche musicali avrà partorito un grazioso effetto.

78. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo undecimo »

Tali sono, per esempio, l’uso della mitologia propria de’ soli Greci appresso agli antichi asiatici, come sarebbe a dire le parole «furie d’Averno» in bocca d’una principessa di Cambaia, che rimprovera un re della Media, «il remo del pallido nocchiero, La sponda del torbido Lete, La nera face in flegetonte accesa» in bocca d’un antichissimo re della Persia che parla a’ suoi confidenti; Imeneo, che scuote la face invocato da un coro di babilonesi a’ tempi della celebre Semiramide, quando nato non era per anco il sistema favoloso dei Greci ed eran nomi sconosciuti Imeneo e la sua fiaccola; il far che Astiage padre del famoso Ciro sagrifichi un tempio di Diana, ovverossia della Dea triforme, tuttoché questa falsa divinità, come l’adoravano i Greci, conosciuta non fosse dai Medi se non molti secoli dopo, cioè dopo la conquista dei Seleucidi 107, l’introdurre una donzella nata nella reggia di Susa a’ tempi d’Artaserse, che fa menzione della Ifigenia in Tauride tragedia composta molto dopo in Atene da Euripide.

79. (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome V « STORIA DE’ TEATRI. LIBRO IV. — CAP. IV. Progressi della poesia comica nel medesimo secolo XVI quando fiorirono gli scrittori producendo le Commedie dette Erudite. » pp. 136-255

La prima fu comica imitazione in versi del celebre vicentino Trissino Trissino de’ Menecmi di Plauto, ove però come afferma egli stesso, volle servare il modo di Aristofane , e v’introdusse il coro.

80. (1788) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome III « LIBRO IV — CAPO II. Progressi della poesia comica nel medesimo secolo. » pp. 175-262

La prima fu una comica imitazione in versi fatta dal celebre Vicentino Trissino de’ Menecmi di Plauto, ove però, come afferma egli stesso, volle servare il modo di Aristofane, e v’introdusse il coro.

81. (1878) Della declamazione [posth.]

Introduzione […] concediamo pure che ci sia (che esista primariamente e assolutamente; si vuol dire: indipendentemente dallo studio che se ne effettua) un oggetto degli studi teatrali. Quale sarebbe? Lo spettacolo, certo. Ma l’oggetto, oltre che significante, deve essere dato, presente: il che non avviene per nessuna, o quasi, componente dello spettacolo escluso il testo verbale cioè, per indebita identificazione, il testo letterario1. Come sottolinea Franco Ruffini all’interno del suo studio Semiotica del testo.

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