Quanto al fine si è già veduto nel volume I che gli antichi avendo bisogno per la vastità de’ loro teatri di accrescere la voce e di avvicinare il personaggio al numerosissimo uditorio, vi provvidero colle maschere. […] Quanto alla forma gli antichi nelle maschere rappresentavano i volti umani quali sono, per valersene nelle tragedie, e commedie. […] Quanto all’uso della maschera nulla di più ragionato presso gli antichi, e nulla di più goffo e puerile presso i moderni. […] Presso gli antichi tutti gli attori rappresentavano mascherati, essendo tra essi un delitto il mostrarsi al popolo col volto nudo; e se tra’ Romani alcuno deponeva la maschera, era solo in pena di avere male rappresentato, per soffrire a volto scoperto le fischiate della plebe. […] Gli antichi finalmente accompagnavano la maschera della testa con tutto il vestito, in tutti gli attori accomodandolo alla nazione, al carattere, al tempo; e non commettevano l’error grossolano di vestirne una parte alla moda corrente, e di abbigliare il rimanente alla foggia de’ contemporanei di Agamennone o di Giano.
Qual vanto per una privata benchè nobile accademia e per la città di Vicenza, che non è delle maggiori d’Italia, il possedere un teatro come l’Olimpico sin dal 1583 costruito alla foggia degli antichi? […] Vide ancora la famosa città di Venezia eretti nel medesimo secolo teatri semicircolari ideati su gli antichi modelli, e costruiti da più chiari ingegneri, il Sansovino ed il Palladio, i quali perchè furono formati di legno già più non esistono. […] Ma di questi ultimi teatri non sapremmo dire in quali parti avessero seguiti gli antichi, ed in quali altre se ne fossero allontanati.
La famiglia Astolfi ha dato oltre alla Carolina di cui discorriamo più sotto, una Maria, la figlia, che trovavasi nel ’20 col padre in Compagnia Andolfatti, scritturata per le parti ingenue, la quale, a detta del Giornaletto ragionato teatrale di Venezia, dava già belle speranze di sè ; e varj altri artisti di poco o niun conto, di cui, sfogliando gli antichi elenchi e gli antichi diarj non ci fu dato trovar cenni di sorta.
Dico così perch’io imprenderò a trattare lungamente della musica degli antichi, e di quanto ha relazione con essa. […] Quando si parla o si scrive sopra le belle arti, si sono giammai consultati gli antichi senza ritrarne gran frutto? […] [4] Gli antichi consideravano il ritmo come la principal parte della musica. […] Gli antichi conobbero molto meglio il pregio della bellezza. […] Si rinviene egli mai presso agli antichi la menoma prova, la più picciola conghiettura di siffatta opinione?
Mentre sulle orme degli antichi giva risorgendo in Italia la poesia rappresentativa in latino e in italiano, l’ombra che n’ebbero i Provenzali si estinse e svanì totalmente, ed in Parigi rozza ed informe si restrinse a’ sacri misteri ed alle farse. […] Colà non si capiva ancora, che nella drammatica eranvi modelli antichi da imitarsi con profitto. […] I più antichi che siensi conservati, si scrissero verso la mettà del secolo da Giovanni Rosenblut in Norimberga. […] Oltre a questi giuochi cominciarono gli Alemani verso la fine del secolo a volgere gli sguardi alcun poco agli antichi e tradussero Terenzio. […] Chiaramente da essa si ravvisa che dentro delle Alpi, dove appresero gli altri popoli a vendicarsi in libertà, e propriamente in Piacenza, in Padova, in Roma, colle rappresentazioni de’ Misteri rinacque l’informe spettacolo scenico sacro: che quivi ancora, e non altrove, nel XIV secolo se ne tentò il risorgimento seguendo la forma degli antichi coll’Ezzelino e coll’Achilleide tragedie del Mussato, e colle commedie della Filologia del Petrarca e del Paolo del Vergerio: che nel XV, il secolo dell’erudizione, continuarono a scriversi tragedie dal Corraro, dal Laudivio, dal Sulpizio, dal Verardo, e commedie dal Bruni, dall’Alberti, dal Pisani e dal Polentone, ed in volgare assicurarono alle italiche contrade il vanto di non essere state da veruno prevenute nel dettar drammi volgari, la Catinia, l’Orfeo, il Gaudio di amore, l’Amicizia, molte traduzioni di Plauto, il Giuseppe, la Panfila, il Timone: finalmente che gl’Italiani nel XIV e XV secolo nel rinnovarsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici della Grecia, eccetto che nella Progne, ma trassero dalle moderne storie i più terribili fatti nazionali, e dipinsero la morte del Piccinino, le avventure del signor di Verona, la tirannide di Ezzelino, la ferita del re Alfonso, la presa di Granata, l’espugnazione di Cesena.
Mentre sull’orme degli antichi giva risorgendo in Italia la poesia rappresentativa in latino ed in italiano, l’ombra che n’ebbero i Provenzali si estinse e svanì totalmente, ed in Parigi rozza ed informe si restrinse a’ sacri misteri ed alle farse. […] Tutti questi spettacoli francesi di questo secolo erano scuole di superstizione, d’indecenza e di rozzezza 69, nè colà pensavasi ancora che nella drammatica eranvi modelli antichi da imitar con profitto70. […] I più antichi che si sieno conservati, si scrissero verso la metà del secolo da Giovanni Rosenblut in Norimberga. […] Oltre a questi giuochi cominciarono gli Alemanni verso la fine del secolo a volgere gli sguardi alcun poco agli antichi, e tradussero Terenzio. […] Chiaramente da essa si ravvisa che dentro delle alpi, dove appresero gli altri popoli a vendicarsi in libertà, e propriamente in Piacenza, in Padova, in Roma, colle rappresentazioni de’ Misteri rinacque l’informe spettacolo scenico sacro: che quivi ancora, e non altrove, nel XIV secolo se ne tentò il risorgimento seguendo la forma degli antichi coll’ Ezzelino e coll’ Achilleide tragedie del Mussato, e colle comedie della Filologia del Petrarca e del Paolo del Vergerio: che nel XV che fu il secolo dell’ erudizione, in latino continuarono a scriversi tragedie dal Corraro, dal Laudivio, dal Sulpizio, dal Verardo, e commedie dal Bruni, dall’Alberti, dal Pisani e dal Polentone; ed in volgare assicurarono alle Italiche contrade il vanto di non essere state da veruno prevenute nel dettar drammi volgari, la Catinia, l’Orfeo, il Gaudio d’amore, l’Amicizia, molte traduzioni di Plauto, il Giuseppe, la Panfila, il Timone: finalmente che gl’ Italiani nel XIV e XV secolo nel rinnovarsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici della Grecia, eccetto che nella sola Progne, ma dalle moderne storie trassero i più terribili fatti nazionali, e dipinsero la morte del Piccinino, le avventure del Signor di Verona, la tirannide di Ezzelino, la ferita del re Alfonso, la presa di Granata, l’espugnazione di Cesena.