In proposito del valore della Riccoboni, e del seguirla che faceva il Maffei di città in città, assistendo alle rappresentazioni della Merope, la Fama (atto secondo, scena I) a Radamanto, che, dopo la descrizione chiara e viva da lei fatta della tragedia, aveva detto : mentre Femia m’accusi, io ben m’avveggio, che nelle accuse tue l’amor traluce, perchè se tu l’odiassi, i bei colori negati avresti al tragico racconto…, risponde : Facciol perchè l’ingrato entro il mio amore specchi sua colpa, e sè convinto accusi.
CORO Sacrosanto Himeneo, Che alberghi in Helicona Con la tua casta madre, Là doue il Pegaseo Fonte, le dotte squadre De i Cigni a bere inuita, Per c’habbin la corona Dal figlio di Latona, Di quella fronde, ch'ha perpetua uita, E d’essa ornati poi, Cantin la gloria de gli eccelsi Heroi.
Per me segui ad amarlo: le voglie tue sian sue, Tue sian le sue: sì uniti siate ambo in ambedue. […] E chi non vede S’io mi fo noto al genitor, che torna La falsa accusa tua sopra il tuo capo? […] Girami un guardo, o madre, e alla mia destra Giungi la tua &c. […] Ma paga di me sol sia tua vendetta; Il fratel viva. […] Il ciel ti ricompensi Di tua bontà . . .
Oibò; mangia tu la tua Sibilla. […] quale è la tua patria? […] Mnesiloco furibondo si accinge a svenare la bambina: Incolpa, o misera fanciulla (dice a lei rivolto) incolpa della tua morte la spietata tua genitrice; mori…. […] Non nominarmi; me la pagherai, se per tua colpa sarò scoperto da Giove. […] Fa quel che fai ora delle tue salcicce; scomponi e rattoppa a tua posta, purchè abbi cura di cattivarti l’animo del popolo, indolcendolo con belle parolette, a somiglianza de’ cuochi.
A questo erami dunque la tua maravigliosa arte serbata, questo voleva il mio destin, che tutto l’amaro e il dolce, in che passai la vita, « quand’era in parte altr'uom da quel ch'i' sono ; » tutto m’avesse a ribollir nel petto, e traboccarmi in lagrime dagli occhi ; e me da me diviso, e in te pendente confondermi con teco ?
O spirito di Fingal, vieni e dalla tua nube regola l’arco di Comala sì che il tuo nemico cada come una lepre del deserto . . . […] Ombra diletta, vieni tu a spaventare insieme e a consolare la tua Comala”? […] Tu da essi imparerai a nascondere i tuoi fini e a prendere la maschera dell’onore e della probità per arrivare al tuo intento a costo di chiunque sarà così sciocco di fidarsi della tua apparente onestà. […] Muori prima di me, non mi fido della tua debolezza”.
Al tuo bel sen farei Scudo di questo Core: E a costo di mia vita La tua difenderei, Mio dolce amore.» […] «Guarda pur: o quello o questo È tua prole, e sangue mio.
Qual fu la tua Facilità crudel! […] Deh piaccia al ciel, cugina, che tu vegga Dal sincero amor mio rassicurata La tua felicità, giacchè vi prende Tanta parte il mio cuor, ch’esser non voglio Felice io stessa, se non sei tu lieta.
O dolce Oreste, accogli Ne l’urna tua la desolata Elettra, Già volta in nulla, che a te vien, che agogna Teco abitar tra l’ombre lievi e nude.
Da un omaggio agli attori della Compagnia Pelzet e Domeniconi, per le recite dell’estate 1833 a Pistoja, tolgo la seguente epigrafe : a più splendida onoranza di maddalena pelzet tragica maravigliosa comica inarrivabile singolare commovitrice d’affetti per portamento e nobile gesto commendevole ; in matilde bentivoglio gelosa amante ; nella gismonda di contrarie passioni pittrice : nell’ester d’engaddi fedele e magnanima con bello esempio insegnò alle spose anteporre l’onore alla vita un ammiratore di tanto merito pubbliche gratulazioni e festivi applausi affettuosissimo porge DI GIUSEPPE MATTEI Quand’io pendo dal tuo labbro gentile, e il suon de'detti tuoi mi scende al core, sia che del vizio alla licenza vile ti faccian scudo la virtù, l’onore, sia che di fida sposa e figlia umile, o di tenera madre immenso amore t’infiammi il petto, o che cangiando stile arda tu d’ira e di crudel furore ; in estasi dolcissima rapito oltre l’usato il mio pensier veloce al Ciel s’estolle, e dopo averti udito muto io resto, nè so dir se potria bearmi il cor, più della tua, la voce di Melpomene stessa e di Talia.
Quali sono or le tue risposte? […] Tu, Re di Licia, ancora Il nervoso e aurato arco tendendo, L’infallibili tue forti saette In nostro aiuto spendi. […] E tu, Bacco, non meno, a cui le tempie Cinge aurata corona, E godi aver con questa Città comune il nome, A le Menadi tue compagno e duce Unico qua t’invia: E questo tra li Dei Spirto infame e nocivo Fa che da la tua ardente Face trafitto giaccia. […] mai più le vaghe Tue spaziose vie Non calcherà il mio pié! […] Perché mai stringi L’imbelle madre tua, e ti raccogli Nel seno mio, quale augellin rifugge Sotto l’ali materne?
«Ah, dice Comala, altri esser non può che il nemico di Comala, il barbaro figlio del re del Mondo… O spirito di Fingal, vieni, e dalla tua nube regola l’arco di Comala, sì che il tuo nemico cada come una lepre nel deserto… Ma che vedo! Fingal viene accompagnato da’ suoi spiriti, … Ombra diletta, vieni tu a spaventare insieme, e a consolare la tua Comala.» […] Tu da essi imparerai a nascondere i tuoi fini e a prendere la maschera dell’onore e della probità per arrivare al tuo intento a costo di chiunque sarà così sciocco di fidarsi della tua apparente onestà. […] Muori prima di me; non mi fido della tua debolezza.
Avverti però di qualunque modo tu ti accinga all’impresa a non macchiar l’anima con un delitto incrudelendo contro tua madre. […] E creder puoi capace Di tradimento tal la tua diletta? […] Tu sei morto, Amlet, non ti resta che mezz’ora di vita; la punta del ferro che tieni in mano, è avvelenata, e… mi ha morto; io ne avea una simile, e tu sei morto… Tua madre ha bevuta la morte nel vino… non posso più… il re… il re è il malvagio autore di tante stragi.
Quegli occhi, che vibrano saette hanno pertuggiato, succhiato, bucato, perforato il cuore al cuore di tutti i cuori miei ; la bocca è un Fialone, ove fanno nido le Grazie ; e Amore fatto ape vola al Ozimo, o Basilico di frondi grandi per suggere il miele dall’alma del fiore di Zumpano (Casale di Cosenza), le tue narici son pezzi d’artiglieria, che sbarando, e colpendo in questo petto fanno un dirupo della Casa matta della Bravura del Mondo. […] Ma ch’egli ha il Coliseo di Roma per Pallone, & la torre de gl’Asineli da Bologna per bracciale, & che se ne vadi trastulando per solazzo, ò questo non si può udire senza tenerlo per pazzo, & s’ è tale perchè poi darli tua figlia, ò tua sorella per moglie ? […] Godi dunque felice un tanto onore, che’l mondo in premio de le tue fatiche lieto ti porge, e ne ringrazia il cielo ; quindi avverrà che ognor le muse amiche avrai, e colmo d’amoroso zelo a le scene darai gloria e splendore.
Oibò, mangia tu la tua sibilla. […] quale è la tua patria? […] Mnesiloco furibondo si accinge a svenare la bambina: Incolpa o misera fanciulla (dice a lei rivolto), incolpa della tua morte la spietata tua genitrice: mori . . . . […] Non nominarmi; me la pagherai, se per tua colpa sarò scoperto da Giove. […] Fa quel che fai ora delle tue salcicce; scomponi e rattoppa a tua posta, purchè abbi cura di cattivarti l’animo del popolo, indolcendolo con belle parolette, a somiglianza de’ cuochi.
Qual diletto poi, e qual maraviglia non si prova alla risposta di Curiazio, Je vous connois encore, & c’est ce qui me tue! […] L’una è che da Augusto vien Cinna troppo avvilito con dirgli: “tu faresti pietà anche a chi invidia la tua fortuna, Si je t’abbandonnois à ton peu de merite; per la qual cosa non ebbe torto quel maresciallo de la Feuillade, che ciò udendo esclamò; oimè!
O cara pianta, di tutte la più risplendente, ricevi i miei amplessi e dammi i tuoi, piegando le tue braccia, lontana ancora io sarò a te divota.
Sul mio primo apparire alle tue case Tu mi accogliesti appena Con un cotal sorriso, A cui non rispondea per gli occhi il core.
Sul mio primo apparire alle tue case Tu mi accogliesti appena Con un cotal sorriso, A cui non rispondea per gli occhi il core.
Blanes, tu sei che a nuova vita spingi Eroe che giacque in muto avel sepolto E nudo spirto di tue membra cingi (Cincinnato).
No, caro padre (io ti dicea pendendo Da le tue guance ch’oggi ancora io tocco) Non fia mai ver che in vecchia età ti lasci. […] La madre ha detto, ah figlia, ah madre sventurata per cagione della tua morte ; ed ella ripiglia, la medesima misura di versi conviene allo stato mio , ovvero, come traduce il p. […] Mai più le vaghe Tue spaziose vie, Non calcherà il mio piè! […] Perchè mai stringi L’imbelle madre tua e ti raccogli Nel seno mio, quale augellin rifugge Sotto l’ali materne?
Quali sono or le tue risposte? […] La madre ha detto: ah figlia, ah madre sventurata per cagione della tua morte; ed ella ripiglia: la medesima misura di versi conviene allo stato mio, o come traduce il dotto P. […] mai più le vaghe Tue spaziose vie Non calcherà il mio piè! […] Perchè mai stringi L’imbelle madre tua, e ti raccogli Nel seno mio, quale augellin rifugge Sotto l’ali materne? […] Delle di lui tragedie non per tanto si racconta che avendole Socrate ascoltate l’insinuò di bruciarle, dicendo: questo Platone ha bisogno dell’opera tua, o Vulcano.
…..mi recai nella tua genialissima Firenze, che io amo coll’anima d’un innamorato, e mi trovai una stanza presso un buon borghese, che era stato quindici anni in Inghilterra.
Chi non sente elevarsi e commuoversi a ciò che dice Orazio a Curiazio suo cognato, Albe vous a nommè, je ne vous connois plus; ed alla risposta di Curiazio, Je vous connois encore, et c’est ce qui me tue. […] In prima con fare che Augusto rimproveri a Cinna son peu de merite, e dicendogli, tu faresti pietà anche a chi invidia la tua fortuna, se io ti abbandonassi al tuo demerito.
Qual fu la tua Facilità crudel! […] Deh piaccia al ciel, cugina, che tu vegga Dal sincero amor mio rassicurata La tua felicità, giacchè vi prende Tanta parte il mio cuor, ch’esser non voglio Felice io stessa, se non sei tu lieta.
Un altro de’ più pregevoli frammenti di Menandro parmi quello recato da Plutarco nell’opuscolo de Consolatione ad Apollonium, che noi consultata la traduzione del Silandro così rechiamo in italiano: Se quando al dì la madre tua ti espose Con questa legge tu fra noi venisti, Che a tuo piacer girar dovesse il mondo: Se tal felicità propizio un nume A te promise, a gran ragion ti sdegni: Poichè la fe che ti giurò non serba.
Eugenio No, non sperar ch’ Eugenio sopravviva Alla perdita tua. […] Ecco sparite A un tratto l’ Ombre e stritolati i marmi E uscita in luce la tua esimia prole. […] Rimane solo, dice Pigliatutto, o figlia, a darti un nome per onorarti, e rendere a tutti nota la tua deità. […] Le dice al fine Non ti smarrir, son tua, voglio esser tua… Non so morire ? […] Elvira parte dicendo dispettosamente, Non mi seguir… Festeggia Nelle ricerche tue, sogna, vaneggia.
Io sarò intrepido, sarò forte contro all’invidia e alla tua inimicizia, e mi lagnerò sol quando mi farai vedere che questa sia cessata ; sono avvezzo a vedermi trattar male, e sconoscere gli affetti del mio cuore, ma ho tanta superbia, tanto orgoglio, e forza per calpestare la serpe che mi morde.
O cara pianta di tutte la più risplendente ricevi i miei amplessi, e dammi i tuoi piegando le tue braccia, lontana ancora io sarò a te divota.
E già sacro l’invidia de'pedanti lo fece, e lo consola l’eco possente della tua parola.
Amici vitia si feras, facis tua.
Amici vitia si feras, facis tua.
& poi nel fine dopo mille ingiurie ti convenga darli tua figliuola per moglie ?
Giacean sepolte in un profondo oblìo le Muse, quando tu Flavio gentile le richiamasti, e con leggiadro stile principio desti al nobil tuo desìo : per te godon le scene il lor natìo honor ; e già se 'n vola a Battro a Thile glorioso il tuo nome, e l’empia e vile invidia paga il doloroso fio : Godi dunque felice un tanto honore, che 'l mondo in premio delle tue fatiche lieto ti porge, e ne ringrazia il Cielo : Quindi avverrà ch'ogni or le Muse amiche avrai, e colmo d’amoroso zelo a le scene darai gloria e splendore.
Ma la voce gentil che or trista, or lieta, allettando l’udito, il core impiaga, della facondia è inaccessibil meta : e fra i portenti è meraviglia vaga il tuo furor, ch’ ogni pensiero accheta ; la tua follia, ch’ ogni desire appaga.
Ah figlio, La tua virtude al tuo coraggio è pari! […] La moribonda Mia man fralle tue braccia or la ripone. […] Montcassin, e che aspetti tu ad abbandonare una dimora indegna, dove il solo interesse è quello della nobiltà, dove la voce dell’orgoglio copre la voce del sangue, dove la tua fiamma è un delitto, e la mia un’ingiuria?
Deh per questa destra, Per l’indole gentil, per quel bel cuore, Per la tua fe, per questa istessa, Panfilo, Derelitta fanciulla, io ti scongiuro; Deh non l’abbandonar, se qual fratello Sempre io ti ami, s’ella te solo apprezza, Per te respira, a’ cenni tuoi s’acqueta. […] E tu anzi reo del meritato sdegno Ti chiamerai, chiedendo in grazia ancora Un supplicio che lavi ogni tua colpa. […] E in mezzo a queste tue tante incertezze Eccoti dieci mesi già passati: Così te stesso e quella sventurata Hai rovinato, ed anco il tuo figliuolo, Per quel che ti appartenne.
Forse nè anche le compagnie de’ Comici Latini eccedevano il numero di tre, almeno in tempo di Marziale, giacchè egli nel sesto epigramma del 6 libro diceva a Luperoo, Comoedi tres sunt, sed amat tua Palla, Luperce, Quatuor.
Ecco che ti son tolta a gran furore, E non son or più tua.
Ecco che ti son tolta a gran furore, E non son or più tua.
Vuoi, che al potere Delle tue frodi Ceda il sapere, Ceda il valor. […] onor d’una nazione, che t’adorava nella tua vecchiaia dopo averti abbandonato nella tua giovinezza, e che vide con giubbilo premiati in un altro paese quei rari talenti ch’essa avrebbe dovuto conservare nel proprio, sì, tu saresti la Venere cui donerei il pomo della bellezza.
Deh per questa destra, Per l’indole gentil, per quel bel cuore, Per la tua fe, per questa istessa, Panfilo, Derelitta fanciulla, io ti scongiuro; Deh non l’abbandonar, se qual fratello Sempre io ti amai, s’ella te solo apprezza, Per te respira, a’ cenni tuoi s’acqueta, Prendila, a te la dò, tu a lei sarai Amico, protettor, marito, e padre. […] E tu anzi reo di meritato sdegno Ti chiamerai, chiedendo in grazia ancora Un supplicio che lavi ogni tua colpa. […] E in mezzo a queste tue tante incertezze Eccoti dieci mesi già passati!
Ah figlio, La tua virtude al tuo coraggio è pari. […] La moribonda Mia man fralle tue braccia or la ripone, Vivete senza odiarmi.
Vada co’ lustri a par l’alma Isabella, e le sia fregio a l’onorate chiome de la tua Dafne il sempre verde alloro. […] Sonetto CXXV Io non t’amo crudel, che me l’contende Del cor seluaggio la natia durezza ; Pur s’alcun veggio, che di tua bellezza Porti sembianza, à me si vago splende, Che contra’l voler mio nel cor mi scende Vn’affetto d’amara empia dolcezza ; E tanto può la micidial vaghezza, Ch’amoroso desire in me raccende.
Ma se non ponno i fiori trar quel frutto ch’ io bramo ; movati almeno a’ generosi affari de’ tuoi grandi avi il sangue, de’ genitori il vanto di cui siglie noi siam, Lazaro insieme ; Ma se per mia sventura e per tuo danno nulla val memorar fatti sublimi a cui l’ orecchia hai sorda, movati almen del gran rigor di Dio giusto castigo eguale, a tua colpa mortale.
Et n’arrive-t-il pas la même chose de Phocas, qui par plusieurs reprises est sur le point de faire tuer son fils sans le connaître ? […] De l’autre côté Juba aime Marcia fille de Caton, laquelle est aussi aimée de Sempronius, autre sénateurs romain, qui s’habille en Numide pour enlever Marica sous le nom de Juba : ce prince le surprend, le tue, et obtient Marcia à la fin. […] L’amour de la liberté dans Caton devient opiniâtreté : il se tue, on le plaint, et on le blâme. […] Pharnace veut s’empresser de faire son coup : il déclare le stratagème dont il veut se servir pour faire entrer ses troupes, tuer Caton et enlever Arsène. […] On entend du bruit : Portius entre et revient aussitôt, en disant tout affligé que son père s’est tué : Portia tombe évanouie.
oimè, son queste Piaghe de la tua mano? […] Tu che figlia di dea ti chiami e sei E dea sembri negli atti e nel sembiante, Se la tua gloria gira al par del Sole A che cerchi oscurarla?
Noi vogliamo credere a questo acuto osservatore, il quale trovò spessissimo mancare di eleganza e di stile poetico fin anco la Gerusalemme; ma non vorremmo che prendesse per eleganza anche lo stile contorto ed oscuro in cui taluno sì spesso cade; vorremmo poi che il mondo che si trasporta e si riempie di dolcezza leggendo o ascoltando i drammi di Metastasio, fusse rapito ugualmente alle Cantate dell’elegante Bettinelli e dell’armonico Frugoni in vece di averle obbliate; vorremmo per soscriverci all’autorevole sua decisione che questo mondo culto e sensibile si commovesse più spesso ai drammi sì bene scritti del valoroso Zeno, e non già soltanto allora ch’egli canta alla maniera Metastasiana: Guarda pure, o questo o quello E’ tua prole, è sangue mio: Tu nol sai, ma il so ben io, Nè a te, perfido, il dirò.
Torci la bocca; più ancora, torci bene, per l’altro verso; più basso… Oh oh, or muori a posta tua. […] Tu vedi che la tua immagine mi stà continuamente nel cuor.
oimè, son queste Piaghe de la tua mano? […] Tu che figlia di dea ti chiami e sei, E dea sembri negli atti e nel sembiante, Se la tua gloria gira al par del Sole, A che cerchi oscurarla?
Oh ob, or muori a posta tua. […] Tu vedi che la tua immagine mi stà continuamente nel cuore.
S’io desidero qualche celebrità pel mio nome, e qualche durevolezza pe’ miei scritti, non è l’ultimo tra i motivi quello di tramandare alla posterità i sentimenti d’ammirazione che m’ispira la tua memoria.
Crede per un istante Ulisse, indi dubita, e dice a se medesimo: richiama le tue usate frodi e tutto te stesso, o Ulisse, Scrutare matrem.
Sia quel che dei Non quel che puoi dell’opre tue misura.
[NdA] Il problema intorno alle cagioni della deliziosa malinconia generata dalla tragedia che tanto ha occupate le penne di alcuni celebri scrittori del nostro secolo cioè dell’Abate Du Bos, di Fontenelle, di Hume, e di Cesarotti si trova molto prima sciolto mirabilmente da Lucrezio ne’ seguenti magnifici versi Suave mari magno, turbantibus aquora ventis, E terra magnum alterius spectare laborem; Non quia vexari quemquam est iucunda voluptas, Sed quibus ipse malis careas, quia cernere suave est, Suave etiam belli certamina magna tueri Per campos instructa, tua sine parte pericli.
Crede per un istante Ulisse, indi dubita, e dice a se medesimo: richiama le tue usate frodi e tutto te stesso, o Ulisse, Scrutare matrem.
Mi bien, ya que yo muero, vive tua.
Aluro amante sì paziente vuol saperne la cagione, ed ella dopo di aver posto in contrasto l’amore ch’egli ha per lei con quello della patria, dopo di aver tenuto sulle spine l’ ascoltatore per altri ottanta versi, gli dice: senti la tua pena e la mia angustia; Giugurta . . ma viene Megara frettoloso, te lo dirò da poi; e finisce l’atto così, senza che niuno nè frettoloso nè a bell’ agio venga fuori.
Aluro amante sì paziente vuol saperne la cagione, ed ella dopo di aver posto in contrasto l’amore che Aluro ha per lei con quello della patria, dopo di aver tenuto sulle spine Aluro e l’ascoltatore per altri ottanta versi, dice; Senti la tua pena e l’angustia mia.