Gli dei che vogliono vendicare la morte di Nino, ne ordinano l’espiazione con un parricidio? […] Gli eroi stessi suoi paesani diventano sotto la di lui penna dispregevoli e piccioli. […] Gli tolsero le armi e gli diedero agli Spagnuoli a condizione che gli rimandassero al campo Francese.
Non si può concepir con qual misura Gli sottoposi il foco!
Gli uni e gli altri furono in grandissima stima e venerazione, e vennero spesso innalzati da i capi delle loro nazioni e tribù a cariche assai ragguardevoli; perchè la loro arte riguardavasi da’ nazionali come qualche cosa di divino, e la loro persona come sacra.
Gli strumenti erano egualmente semplici e l’arte gli ha così poco perfezionati che si veggono a un dipresso nel medesimo stato in cui furono inventati.
Gli attori che ne traevan profitto, ricorsero al favor della corte, prendendo il titolo di Fratelli della Passione, e nel 1402 ne ottennero da Carlo VI l’approvazione.
Gli antichi Greci insegnano ai moderni l’arte d’interessare e piacere senza ampollose accumulate particolarità e romanzesche azioni.
Gli spettacoli come scuole di destrezza, di valore e d’ingegno formavano una delle cure predilette de’ Greci, e tralle prime di queste cure erano i teatrali.
Gli si avventano Agave, Ino e le baccanti, ed egli perchè lo riconosca così favella alla madre senza frutto: . . . . […] E queste fian le già sudate palme, Gli aspettati trionfi e la vittoria Del simulacro che portiamo in Argo? […] Si troverà poi soverchio ardita e viziosa qualche espressione, come questa del feciale nell’atto I, Fattor degli astri larghi e degli avari, Che nell’empiree logge affiggi il trono Del volubil collegio de’ pianeti; e quest’altra del II, Gli abbracciamenti e i baci sono i frutti Che le viscere, il cor, gli spirti e l’ alma Colgono con le mani affettuose Negli orti de la lor benivolenza; e questo del medesimo atto, Orazio vincitor per la mia lingua Con la bocca del cor ti bacia in fronte, e questa del V, . . . . . . . . . . […] Come fratello omai, non come amante, Prendo gli ultimi baci; al vostro sposo Gli altri pregata di serbar vi piaccia, Che non sarà mortal sì duro colpo.
[8] Gli spettacoli, siccome altro non sono stati giammai se non se l’espressione de’ pubblici costumi, così hanno dovuto in ogni secolo aggirarsi intorno ad argomenti conformi al genio ed al pensare attuale de’ popoli, per cui furono fatti. […] Gli spettatori non vedevano tra essa e loro quella distanza infinita, la quale, togliendo ogni proporzion fra gli estremi, rende inapplicabile qualunque teatrale imitazione.
[4] Gli antichi consideravano il ritmo come la principal parte della musica. […] Gli antichi conobbero molto meglio il pregio della bellezza.
Gli abiti, i popoli, le damigelle, le guardie, e le macchine vi fanno tutta l’azione». […] Gli autori delle memorie di Trevoux nel mese di luglio del 1748 dissero: «Il semble qu’en France, depuis 60 ans, on ait oublié le secret de la bonne comédie.
Gli dei e i diavoli furono sbanditi dal teatro, allorché si seppe far parlare dignitosamente gli uomini, e i madrigali, le antitesi, le acutezze amorose e l’altre simili ipocrisie dell’affetto si mandarono via insiem colle fughe, le contrafughe, i doppi, i rovesci, e tali altri riempitivi della musica.
Gli eunuchi si sono perpetuati, e ad onta della ragione e del buon senno non solo nella China, nella Turchia e nella Persia, dall’abjezione della schiavitù più umiliante passano a’ posti ragguardevoli non solo nella decadenza dell’Impero molti di essi divennero consoli e generali, come i Narseti, i Rufini, gli Eutropii: ma noi, noi stessi gli ascoltiamo gorgheggiare nelle chiese, e rappresentar da Alessandro e da Cesare ne’ nostri teatri.
Gli accidenti del velo nella medesima favola, e nel Siciliano, il Convitato di pietra, la Principessa d’ Elide, ed una parte della Scuola delle donne, si ricavarono dal teatro spagnuolo.
Gli effetti partoriti dalla pace non possono vedersi eseguiti nel giorno che si pubblica. […] Gli dice che bisogna mutar vita e costumi, mettere da banda la cavalleria, e diventar discepolo di Socrate per imparare a rispondere a’ creditori. […] Gli argomenti poi onde invitano ed allettano gli uomini al loro culto, son questi. […] Gli ambasciatori annunziati sono Nettuno, Ercole e un Triballo. […] Ed io porgoti Un alberello pien di unguento, ond’ungerti Gli stinchi incancheriti.
E queste fian le già sudate palme, Gli aspettati trionfi e la vittoria Del simulacro che portiamo in Argo? […] Si troverà poi soverchio ardita e viziosa qualche espressione, come questa del feciale nell’atto I, Fattor degli astri larghi e degli avari Che nell’empiree logge affiggi il trono Del volubil collegio de’ Pianeti; e quest’altra del II: Gli abbracciamenti e i baci sono i frutti Che le viscere, il cor, gli spirti e l’alma Colgono con le mani affettuose Negli orti de la lor benivolenza; e questa del medesimo atto Orazio vincitor per la mia lingua Con la bocca del cor ti bacia in fronte, e quest’altra del V, e però vuoi Piuttosto al collo del tuo corpo un laccio, Che la corda a la gola del tuo nome. […] Egli pur lagrimando a lei soggiunse: Come fratello omai, non come amante, Prendo gli ultimi baci; al vostro sposo Gli altri pregata di serbar vi piaccia, Che non sarà mortal sì duro colpo.
Gli applausi, i regali, & i l ritorno in Italia ODE Questi che su le scene altrui deride, Ingegnoso inventor di mille errori, Hoggi intento a spiegar flebili amori, Veri successi, in su le carte incide.
D’orror l’ingombrino Le fiere Eumenidi, E lo spaventino Gli urli del Cerbero Se un dio non è.» […] Gli affetti più liberamente si spandono, e sono, per così dire, nell’ultimo lor periodo.
Compagnia. » Gaetano Coltellini, deciso di dividersi dal Vergnano, propone da Verona il 9 settembre 1840 la scrittura di Iª attrice alle identiche condizioni fattele dalla Compagnia Reale, e conclude : Gli attori principali che avrei in vista e che potrei con certezza stabilire sono questi : Ferri – Voller padre e Colombini brillante ; di questi due ultimi mi si fanno grandi elogi – la coppia Pedretti che non abbandonerò mai….
. – Gli amorosi inganni.
Gli occhi scintillano, i denti digrignano e la soverchia rigidezza rende le membra tremanti e come paralitiche. […] Gli animi umani sono come accordati in consonanza tra loro: non può uno mandar fuora il suo tuono, che tutti gli altri non si mettano in movimento. […] Gli occhi si stralunano, la persona si dibatte, il volto, si smarrisce, la voce è incerta e vacillante. […] Gli specchi ancora, quando sien molti, pregiudicano non poco, non essendo lo specchio capace di quegli ondeggiamenti che l’aere sonoro comunica al legno. […] Gli antichi, non ostante che del pantomimo facessero le loro delizie, non incorsero però mai in tale sconvenevolezza.
Gli s’imputa altresì, nè senza fondamento, da Aristotile nella Poetica, un poco di negligenza nel condurre e disporre le sue favole; ciocchè pruova ch’egli poneva più cura a ritrarre la natura che a consigliarsi col l’arte. […] Vieni, ben mio, ricevi Gli ultimi amplessi, i tuoi sospiri estremi Fa ch’io raccolga… Oh barbari, spietati, Inumani, tiranni e che vi fece Un misero fanciullo?
Gli si perdonino i suoi difetti, per non guastar sì bell’opera ponendovi mano Roma e Atene vorrebbero averne una pari.
Gli si perdonino i suoi difetti, per non guastar sì bell’ opera ponendovi mano.
Gli apologisti Spagnuoli doveano contare anche questa favola di Quinault tra quelle che i Francesi trassero da’ loro compatriotti.
Gli occhi, come due diamanti neri gettavano sprazzi di luce, e non potevansi fissare a lungo senza sentirli penetrare in voi a indagarvi ogni vostro pensiero.
Gli affetti della contessa combattuta da un eccessivo amore per l’avido Moro e dalla tenerezza materna, sono bene espressi. […] Gli risponde un soldato, cui egli dice: giacchè la tenda di Scipione stà vicina (verisimilmente nè la notte nè le trincere gliene impedivano la veduta), ditegli che vo’ parlargli.
Gli previene però che il senza gambe farà tagliar le gambe a tutti per adattarsele, onde chi resterà congiurerà contro di lui per ucciderlo ; il mostro senza mani di tre teste non soffrirà che altri abbia mani ; il senza testa infine appiccicherà al suo busto ogni più iniqua testa. […] Gli contese gran parte di tali doti e forse tutti il famoso Saverio Bettinelli, e pretese che Metastasio sia prosaico, inelegante, privo di lingua poetica ecc. […] Gli amanti dirigono i loro voti alla notte, Prolunga, o notte amica, il mio contento ; e poi ? […] Gli amanti tornano a farsi vedere, e benedicono il giorno che si videro. […] Gli automati imitano l’uomo e non lo sono.
Gli antichi Greci insegnano ai moderni ingegni l’arte d’interessare e piacere senza ampollose accumulate particolarirà e romanzesche azioni. […] Gli s’imputa poi, nè senza fondamento, da Aristotile nella Poetica, un poco di negligenza nel condurre e disporre le sue favole; ciocchè pruova ch’egli poneva più cura a ritrarre la natura che a consigliarsi coll’arte. […] Vieni, ben mio, ricevi Gli ultimi amplessi; i tuoi sospiri estremi Fa ch’io raccolga . ., Oh barbari, spietati, Inumani, tiranni, e che vi fece Un misero fanciullo?
Gli stessi Francesi, quando aveano un mal Teatro, ebbero un fecondo Hardy, il quale compose più di seicento Drammi, spendendo in ciascuno di essi tre o quattro giorni.
Gli stessi Strioni sono forse oggidì così dediti a’ loro Soggetti dell’Arte, che gli vadano seminando per l’Italia?
Gli applausi che ne riscosse, gl’ispirarono il disegno di proseguire nella carriera tragica, e diede alla luce due altre tragedie di cristiano argomento, la Giustina in versi sciolti impressa in Milano nel 1617, e l’Irene in Napoli nel 1618 dedicata alla città di Lecce.
Gli si notarono tal volta alcune trasposizioni inusitate, e certe maniere non sempre limpide, di che giudichino di pieno diritto i nazionali.
Gli oggetti dell’universo agiscono sopra di noi in mille maniere che la melodia vocale non può, per quanto si faccia, perfettamente imitare. […] Gli antichi maestri avevano pure anch’essi un’udienza da contentare, ma cotale assurdità non si trova ne’ loro grammi, la quale era riserbata alla svogliatezza, al fastidio e alla corruzione del moderno gusto.
Gli affetti della Contessa combattuta da un eccessivo amore per l’avido Moro, e dalla tenerezza materna, sono bene espressi. […] Gli risponde un soldato, cui egli dice; giacchè la tenda di Scipione stà vicina (verisimilmente nè la notte nè le trincee gliene impedivano la veduta) ditegli che vò parlargli.
Gli anni che seguirono il ritorno in Italia furono dedicati alla stesura di scritti di varia natura che da un lato proseguivano il filone divulgativo già sperimentato con il Newtonianesimo e dall’altro erano l’esito delle molteplici attività cui si era dedicato Algarotti nel corso dei suoi soggiorni all’estero.
Gli abbellimenti che s’introducono debbono essere di vaga e leggiadra invenzione, perché il solo fine d’introdurli è quello di difettare; debbono innestarsi con graziosa naturalezza nel motivo acciocché non appaia troppo visibilmente il contrasto; debbono finalmente eseguirsi con esattezza inemendabile, poiché sarebbe strana cosa e ridicola che il cantore si dimostrasse inesperto nelle cose appunto ch’ei fa col solo ed unico scopo di mostrare la sua perizia. […] Gli è vero che si trovavano dei teatri coperti, ma in questi non si recitavano tragedie o commedie almeno nelle pubbliche feste e nelle grandi solennità; erano soltanto destinate ai divertimenti della musica lirica, e qualche volta vi concorrevano anche gli autori a provare i loro componimenti prima d’esporli al pubblico giudizio nei teatri grandi, come fecero tante volte Eschilo ed Euripide, Filemone e Menandro.
Gli scrittori di quel tempo ci fanno sapere, che i madrigali suoi erano ammirati dai maestri e cantati da tutte le belle: circostanza che dovea assicurar loro una rapida e universale celebrità.
Gli applaudiva il popolo ugualmente, e la sua approvazione data a due gusti contrari pruovava contro ad ambedue i partiti, che l’uno e l’altro cammino corso con prudenza e ingegno poteva menar la nazione all’istesso scopo252.
Gli contende gran parte di queste doti e forse tutte uno de’ più illustri nostri poeti, il chiar.
Gli uomini sanno fare le commedie, e Dio le Commedie e Tragedie.
[1.74ED] Gli ordini poi greci nell’architettura sono stati la regola e l’ornamento della superba Roma, di cui ammiriamo ancora gli avanzi. [1.75ED] Della pittura che non si vede, il lungo tratto de’ secoli è in colpa. […] [3.106ED] Ma il mio purgar gli affetti col terrore e con la compassione non è in questa sfera, e son obbligato all’interpretazione che in ciò ha data al mio testo l’eruditissimo abate Fraguier. [3.107ED] La tragedia per mezzo del terrore e della pietà solleva lo spettatore da queste stesse passioni, facendo ch’ei si scarichi sovra oggetti finti della tristezza che lo divora. [3.108ED] Nella maniera che una musica malinconica solleva e toglie la nostra malinconia: questo è il vero senso del testo, ma io senza dipendere da quanto ho scritto, posso ora interpretare quella espressione diversamente da ciò che allora sentii. [3.109ED] Gli affetti nostri ci portano all’ambizione, alla prepotenza, alla crudeltà: col terrore si purgano i primi due affetti e con la compassione si purga il terzo, ma non si purgan veracemente gli affetti, si purga l’animo dagli affetti disordinati; il rappresentare un principe scellerato parte per malizia e parte per sua disgrazia, punito con la miseria, purga gli animi degli ascoltanti dall’ambizione e dalla prepotenza; ma il vederlo poi punito forse troppo severamente, muove la nostra umanità a compatirlo e caccia da’ nostri cuori la crudeltà. [3.110ED] Questo ho io fondato sull’idea la più generale delle nostre antiche tragedie, che è di esporre sul palco prìncipi sventuratamente colpevoli ed orribilmente puniti; e ciò faceano i poeti per adular le nostre repubbliche, le quali volevano mantenere ne’ liberi popoli l’odio alla monarchia, mettendo loro negli occhi la scelleraggine e l’infelicità de’ monarchi. [3.111ED] Ma, per dirla, in oggi questo fine della politica è ben cangiato nella maggior parte dell’universo e per questo conto può essere che i nostri vecchi argomenti potesser piacer tuttavia a Venezia, a Genova e all’Italia; ma dove la monarchia si è fatta domestica con la giustizia, clemenza e maestà del governo, bisogna regolar altrimenti il fine politico della tragedia. [3.112ED] Noi siamo in Francia, ove tu vai a vedere un monarca nulla inferiore ad Augusto. [3.113ED] Tu ascolterai certe leggi che han renduto questo regno indomabile alle maggiori potenze d’Europa e ammirabile all’Universo; la maggior parte di esse nasce dalla mente di questo Luigi XIV, detto il Grande, ma che potria dirsi il massimo di tutti i re della terra. [3.114ED] È lungo tempo che io vedo monarchi; ho veduto Alessandro, Cesare, Ottaviano e Traiano, ma non so che di più ancora osservo nel gran Luigi. [3.115ED] Gli altri suoi pari custodiscono la maestà col mostrarsi solamente in circostanze di tutto fasto, poco a’ lor sudditi e meno agli stranieri, ma tu mirerai il re di Francia dalla mattina alla sera nel letto, al vestirsi, alla mensa, a’ passeggi, alla caccia intorniato da’ popoli suoi e non suoi, d’ogni condizion, d’ogni sesso, quanto più famigliare, tanto più re; ed i suoi Franzesi, avvezzi per secoli alla monarchia, vie più accreditata dalle maniere adorabili di Luigi, hanno in dispregio la libertà delle paurose repubbliche. [3.116ED] E benché possa dirsi lo stesso di molte nazioni, io che ho già camminati tutti i paesi sin ora scoperti dagli uomini, mi ho eletto questa per lasciar le mie ossa in un regno che fra tutti quanti mi è parso il più florido, il più magnifico e il più adattato a chi desidera separarsi da tutte le cure ed attendere a vivere il rimanente de’ giorni suoi spensierato. […] [5.74ED] Gli abiti sian gioiellati e con ricami che fingan oro ed argento, e tagliati per lo più alla reale. [5.75ED] Le voci siano tali e in tal quantità che il compositor della musica possa intrecciarle così che l’una faccia risaltare l’altra invece di opprimerla, mercé delle quali avvertenze già sarem noi in sicuro del profitto degl’impresari o siano appaltatori dell’opere in musica. […] [5.176] Gli altri sono indifferenti e in ogni sorta di passione men forte del furore sono usuali. [5.177ED] Negli sdruccioli non t’impegnare alle rime senza assicurarti di averle felici e basterà rimar le cadenze. [5.178ED] Ma nell’altre, lascia pur gracchiare a’ liberi poetastri: vorrei una corrispondenza ben regolata di rime, perché questa non può che piacere al compositore, a’ musici, al popolo, mentre dove si tratta di rilevare la musica, tutto quello che è consonanza e armonia, vi contribuisce notevolmente.
Gli antichi certamente di Azzio favellarono tutti con sommo onore. […] Gli autori Greci, ed alcuni de’ Latini no erano per lo più gli attori, nè abbisognavano di tali soccorsi marginali.
Gli sforzi fatti adunque per superarli, o per distinguersi dovettero necessariamente portare ciascun’arte alla rispettiva lor perfezione, fra le quali la musica ebbe non mediocre fortuna.
Gli stessi Selvaggi verseggiarono cantando.
Gli spagnuoli e gl’italiani han dipinte infinite donne con siffatti caratteri nobili per grado e per virtù; ma gl’italiani han saputo contenerli ne’ confini comici, perché non hanno confusi i generi.
Gli abitanti di quella penisola per natura d’ingegno acre, vivo, perspicace ed atto ad ogni impresa, possedendo una lingua figlia generosa di bella madre, ricca, espressiva, maestosa, pieghevole, armoniosa, e nobile, doveano fuor di dubbio segnalarsi nelle amene lettere tosto che ne’ buoni esemplari additata lor si fosse quella forma del Bello che il Gusto inspira ed alimenta negli animi gentili. […] Gli spettacoli scenici ch’egli amò con predilezione, fiorirono sotto di lui a tal segno, che il Vega, il Calderòn, il Solis, il Moreto, si lessero e si produssero da’ Francesi che cominciavano a sorgere, e dagl’Italiani che andavano decadendo.
Gli abitatori delle felici contrade di quella penisola dotati per natura d’ingegno acre, vivo, pespicace ed atto ad ogni impresa, e possedendo una lingua figlia generosa di bella madre, ricca, espressiva, maestosa, pieghevole, armoniosa e nobile, doveano fuor di dubbio segnalarsi nelle amene lettere, tosto che ne’ buoni esemplari fosse loro additata quella forma del Bello che il Gusto inspira ed alimenta negli animi gentili. […] Gli spettacoli scenici ch’egli amò con predilezione, fiorirono sotto di lui a tal segno, che il Vega, il Calderon, il Solis, il Moreto si ’lessero e si tradussero da’ Francesi che cominciavano a sorgere, e dagl’ Italiani che andavano decadendo.
Ceux-là se trompent qui croient que Molière a tiré l’idée de sa comédie des Fâcheux d’une satire d’Horace ; Molière avait vu jouer à l’impromptu par les Comédiens-Italiens, qui de son temps étaient à Paris, une ancienne comédie italienne intitulée : Le Case svaliggiate, ou Gli interompimenti di Pantalone, et à laquelle les Comédiens-Italiens d’aujourd’hui ont donné simplement le titre d’Arlequin dévaliseur de maison, pour éviter celui des Fâcheux, dont Molière s’était emparé. […] Il imita son Dépit amoureux de deux pièces italiennes, l’une du bon théâtre, intitulée : L’Interesse di Nicolò Secchi, imprimée en prose l’an 1581, et l’autre d’un ancien canevas, ou farce jouée à l’impromptu, et qui a pour titre : Gli sdegni amorosi. […] Celui de Pourceaugnac, d’une comédie à l’impromptu qui a pour titre : Le Disgracie d’Arlichino ; celui du Tartuffe, de deux canevas très anciens intitulés : Il Dottor Bachettone, et Arlichino mercante prodigo, ou le Basilisco del Bernagasso ; et Les Fâcheux du second acte d’une comédie italienne jouée à l’impromptu sous le nom de Le Case svaliggiate, ou Gli interompimenti di Pantalone. […] L’Avare est en partie emprunté de l’Aulularia de Plaute, en partie de La Sporta del Gelli, comédie italienne en prose, imprimée en 1554 ; et presque toutes les autres scènes qui servent à l’intrigue, on les reconnaît dans L’Amante tradito, Gli interompimenti di Pantalone, et dans le Dottor Bachettone, comédies italiennes fort anciennes, et qui ont été jouées à Paris à l’impromptu14. […] Je ne craindrai point d’ajouter que la scène cinquième du même acte est toute copiée de Le Case svaliggiate, ou Gli interompimenti di Pantalone, canevas pareillement joué à l’impromptu ; que la scène deuxième du troisième acte est tout entière dans La Cameriera nobile, comédie italienne aussi jouée à l’impromptu ; que toute la scène septième du même acte se trouve dans Le Case svaliggiate, dont nous venons de parler ; que les scènes quatrième et cinquième du quatrième acte, sont pareillement dans La Cameriera nobile ; et qu’enfin la seconde et la troisième scènes du cinquième acte paraissent entièrement imitées de L’Amante tradito : quoique l’idée de celle-ci soit dans Plaute.
«Gli dei, dicea Platone, impietositi delle fatiche e delle pene inseparabili dall’umanità, fecero all’uomo il dono del canto e della poesia……» Or se l’opere di Metastasio piacciono, non che alla sua nazione, a’ forestieri, nonché ai dotti, al popolo, «il quale, come saviamente dice Anton Maria Salvini, sebbene imperito delle finezze delle arti, pure possiede in se il comune senno, e ’l dettame del naturale giudizio, e meglio de’ semidotti ascolta, e de’ dotti appassionati», non so comprendere, perché certi critici vanno assaggiandole colle ristrette misure dell’antica poesia greca, e con freddi raziocini».
Gli squarci più tragici vengono bruttati dal furore di presentar sempre pensieri maravigliosi.
Gli squarci più tragici vengono bruttati dal furore di presentar sempre pensieri maravigliosi.
Fra i quaranta versi del suo racconto, havvene ventiquattro, ne’ quali si descrive la pugna satta da Gerbino, e vi s’inseriscono l’un dopo l’altro tre paragoni, uno di leone famelico che rabbioso infierisce nel gregge (ch’è l’impastus ceu plena leo per ovilia turbans dell’epico latino) il secondo di uno scoglio che sostiene l’onde, Quando de’ venti un fiero turbo mesce Gli alti campi del cielo, e il mar sconvolge, l’ultimo peggiore degli altri per le circostanze soverchie al caso, di un silenzio ed orrore, Qual regna in valle solitaria cinta D’antiche tombe in taciturna notte. […] Gli espone come egli col suo decreto va in Gerbino a schiantar il germe della famiglia de’ re Normanni di Sicilia, come se ad un re moro non amico, ed offeso, debba ciò importare nè punto nè poco. […] Gli amanti diriggono i loro voti alla notte, Prolunga, o notte amica, il mio contento, e si allontanano e perdonsi nel boschetto, mentre i confidenti seguitano a porgere alla stessa notte divote preghiere.
Gli sforzi stessi del Voltaire per deprimerla, dopo di essersi ornato delle sue principali bellezze seguendone le vestigia nel comporre la propria Merope, manifestano vie più la prestanza della Merope italiana. […] Gli appartiene parimente la Ginevra di Scozia sempre accolta con applauso in teatro. […] Gli ultimi suoi respiri spendonsi nell’intendere che in Telaira celisi la sua figlia Fenarete, ed essere stato Anito trucidato dal popolo furioso.
Gli avvertimenti sulle Commedie nuove, sul parlare adagio, sul sillabare, sulla truccatura, sulla pronuncia delle ultime sillabe, sul gestire, sul non scordare oggetti necessari alla azione, sul buttafuori, o sveglione, o, come si dice oggi, soggetto, sulle scene vuote potrebber bene attagliarsi alle scene di oggi.
Gli uffizi di poeta, di musico, di cantore, di legislatore e di filosofo si videro nella Grecia per molti secoli riuniti in una sola persona, e cotal riunione fu costantemente adoperata come il più possente e immediato strumento per imprimer negli animi degli uomini i sentimenti necessari alla gloria, ed alla sussistenza delle nazioni: ond’è che la persona del musico o poeta era tenuta dal popolo insomma venerazione, e riguardata come il Palladio, o conservatore della pubblica felicità.
Gli autori Greci ed alcuni de’ Latini ne erano per lo più gli attori, nè abbisognavano di tali soccorsi marginali.