Bagolino e Brighella insieme O Zagno avventurado, se vede, che in effetto ti ha inclinazion ne l’esser fortunando, perchè a la prima ti ghe intrà in concetto, e nu grami meschini sfadigai d’assassini, stentando el ghà volesto più d’un mezo inanzi, ch’el ce segna el privilezo. […] Scappino Per no desdire al canto de l’ombra mia paterna, va pur felice, e ’n su le scene intanto cerca lassar de ti memoria eterna. No te metter paura, che questa xe segura, vera occasion da immortalarte giusto, se a tanta Nobiltà ti sa dar gusto. […] Za che sem a rasona Perchè so che t’ho cennat Delle volte più de mil Mi te l’ho volud mostra Ol me sangu col parentà Perchè son innamorà Ma ti soni la sordina. […] Perchè vegh che tro al bordel Tut ol me rasonament Che t’e ti che un mat ceruel Com s’è vist in tra la gent Dunq à voi fa testament Perche a vegh che ho a morì Solament per amar de ti Marioletta frasarina (o frascarina ?)
Di pianto scorre la perenne stilla, se mai ti cruccia il sen crudo lamento l’alma d’ognun ilarizzata brilla, quando prova il tuo cor gioja e contento. La Cantrice di Grecia ora ti vedo pinger con retta veritade tanto, che d’essere in Leucadia ormai mi credo ; e libero disciolgo mia favella, gridando, fra il terror, la gioja, il pianto : Non la Polvaro, ma la Saffo è quella.
A son masculin, e no famulin, & ti no nie in casa, ne in tal lett es t’auuri i occhi t vedrrà se ti no srà orb, dim vn poc, mat purta qle rob, cha t’ho scritt in qella plizza. […] Per vn presente ti lauerai il viso, come voglio, che tu pigli co tre pesci in porto, e vn passo in mezo il Teuere co 'l dissegno d’vna tetta vecchia, & che tu metta vna buona cura alle cose del hamingo, accio resti sano, & teghi l’acqua, & ch'io venissi col subito per vna cossa ch'importa. si che intendete il presente. la lettera no me la diede ; il viso me lo lauai ; i tre pesci eccolli, il passo in mezo il Teuere lo farò, se voi pagate la spesa del ritorno ; il disegno della tetta vecchia non se ne troua ; il Fiamingo, perchè non è stitico, non volse la cura ; ne li diedi l’acqua, perchè li piaceua più il Vino : il subbio eccolo. che ve ne pare ? […] Ti n’ sa liezer, lassa far à mi, da qui che te m’hà srui in ti garit ; la dis qsi ascolta quest è al suzett, al tintor della littera, pr la patent t’haurà auis, com’a vuoi, ch t’ pii al cumtrapes, e vn cumpas mezan, cum al dsegn d’ceuetta vecchia, & met bona cura alle cos del fiameng azzò che le tiengan ben l’aqua ferma, .. subi pr vna cosa dè porca : mo fat qui, va in tal mia studi, e tuà al mia cumtrafat dpint int l’voli dal naturai, e puortal alla sgnora Angzielica da mia parte, e dii cha vuoi parlar cun lià stà sira sacchettamente, chin dit ?
Maraviglia non è se i grati amici danno al merito tuo condegno onore, maraviglia mi fa, mi fa stupore che ti lodino ancora i tuoi nemici. […] Tu ognor ti fai onor d’Italia, e dell’Adriaco Lido.
Deh, Ninfa, non fuggir, ti prego : ascoltami, ch’io non son drago, nè lupo che dèvora ; Anzi ’l tuo fedel servo, afflitto Lucido. […] Già te l’ho detto, insipido, che d’altra ninfa ti procacci. […] Anzi ti fia di maggior biasimo ; chè ognun dirà : Oh Lidia crudelissima !
Il che fa rimettere alla memoria quel tal comico che prima della distribuzione di una commedia soleva dire : « se ghe xe un bel primo attor, lo fazo mi ; se ghe xe un bel caratterista, lo fazo mi ; se ghe xe un bel brillante, lo fazo mi ; se ghe xe un sbrufarisi (parte inconcludente) ti lo farà ti !!!
[1.44ED] Vengo sino ad inventarmi un miracolo per lodarli. [1.45ED] Ma perché ti sei posta tu la parrucca se cotesta, a’ tempi che dici tuoi, non usavasi? […] Non ti costringo già ad odiare la verità per amar troppo Aristotile. [3.75ED] Con questa piccola protestuccia ti dirò ancor qualche cosa sopra la Fedra dello stesso tuo dilettissimo autore. […] [5.211ED] Io ti replico che nessun’arte arriverà mai all’idea, essendo l’arrivarvi oltre le forze umane, ed oltre il bisogno; siccome ho detto altre volte. [5.212ED] Tu lo vedi nell’idea che io ti ho suggerita del melodramma. [5.213ED] Pare a te che con tutte le cautele che io ti ho prescritte e che secondo la ragione melodrammatica paiono necessarie, sia mai stato fatto o possa farsi mai melodramma? […] [5.223ED] Ma il canto, che pure t’imparadisa animato da quelle note, fuori di quelle non ti sconcerta se scoppia? […] , ma né meno ameresti che ti tacciassero di satirico, e però esaminiamo la cosa a dovere.
Benedetto Croce (Teatri di Napoli, pag. 141) riferisce dalle Poesie del signor Bartolo Partivalla (Napoli, per Honofrio Savio MDCLI) il seguente sonetto : Alla Signora Horetta Vigliani comica famosissima Mille avvien che in te vegga e ch'in te miri e prede e furti, ond’ogni cor ti cole, qualora in me tra lascivette fole, i lumi soavissimi tu giri.
Un mostro di virtù fan ch’io ti nome I rari pregi che in te nutri e chiudi.
Parla: ti prometto ogni attenzione. […] Avverti però di qualunque modo tu ti accinga all’impresa a non macchiar l’anima con un delitto incrudelendo contro tua madre. […] E bene, io ti porrò alla presenza di chi ti faccia parlare con più senno. […] Saprai arcani che ti renderanno attonito. Gli stessi che ti hanno consegnata la lettera, ti condurranno da me.
Ecco ciò che ti offro : Posto assoluto di Iª donna – onorario annuo Franchi Italiani novemila ed una serata intera nell’appalto ad uso comico. […] Io fui incombenzato di scrivere a te se vuoi essere la prima attrice di codesta Compagnia ; sai quanto i Romani ti amano, ed apprezzano il tuo merito singolare…. […] Io chino il capo alle circostanze : fa ciò che credi, quello che il cuore ti detta. Solo ti prego, qualora nel venturo maggio tu ti decidessi a rimanere nell’arte pel bene della medesima, dammene un pronto avviso. […] Mia cara Amalia, soccorri all’amica, acconsenti a tutto ed io ti adorerò come una santa, ed infatti tu saresti una santa per me e quest’ opera ti frutterà mille benedizioni ed ogni felicità. – È inutile che io spinga il tuo cuore con maggiori parole, sono persuasa che tu farai ogni sforzo per rendere la felicità ad una amica la di cui vita, dirò così, dipende da un tuo assenso….
Ma l’arte, che su i cuor ti dà l’impero, e quei modi, con cui tratti animosa il Socco umile, ed il Coturno altero, mano incider non puole, oppur non osa.
L'essersi veduta in Bologna la suddetta Virtuosa in hab ito di spirito famigliare giocar d’armi, danzare e sonare perfettamente dà motivo al presente sonetto : Qualor spirto ti fingi in vari manti Mostri in più forme Eularia il tuo valore Poichè Proteo gentil con tuo' sembianti De'Teatri ti fai gloria maggiore.
A voi mi pertant che ti set l’Asen, ma col cavezon meæ disciplinæ. […] Perchè de ti non se possa dir : Asinus ad liram, Porcus ad glandes, Psittacus in Nemore et Carnifex in Furcis ; ma Asen cargà de sapienza per andar al mulin del Tribunal a smasenar el frument de le ciàciare ; Porc gras de Dutreina per ingrassar le Pentole dell’ Accademie ; Papagal int la gabbia de la Cort par saver adular el prossim, e Boja nel pubblic par struzer l’ignuranza, avend’i applaus d’i ragazz : e così ti sarat l’Asen d’or d’Apulei, ch’ l’era Asen, ma filosof ; el Porc d’ Enea, ch’al fu prognostic del Regn ; el Papagal ch’el dsè ad ottavian : Ave Caesar Imperator, e al Boja di Tedesc, che avend tajà più melone, al divien cavalier. In sto mod, ti t’ sarà l’Asen, al Porc, al Papagal, al Boja, e mi al Cavezon, al Beveron, al Maester, e la forca par fet pratic int ’al mstiir. […] Ditemi, e chi è quello il quale possa trattare senza sdegno, con uno, che essendo tu Pantalone ti dica. […] & poi nel fine dopo mille ingiurie ti convenga darli tua figliuola per moglie ?
Menandro riputavasi di gran lunga a lui superiore, e mal soffrendo di vedersi a Filemone posposto, il punse un dì con questo motto conservatoci da Aulo Gellio: Senza andare in collera, dimmi di grazia, Filemone, quando ti senti proclamar mio vincitore, non arrossisci? […] Un altro de’ più pregevoli frammenti di Menandro parmi quello recato da Plutarco nell’opuscolo de Consolatione ad Apollonium, che noi consultata la traduzione del Silandro così rechiamo in italiano: Se quando al dì la madre tua ti espose Con questa legge tu fra noi venisti, Che a tuo piacer girar dovesse il mondo: Se tal felicità propizio un nume A te promise, a gran ragion ti sdegni: Poichè la fe che ti giurò non serba. […] Tu poi ne di tant’alto al fin cadesti, Ne de’ mali è il maggior quel che ti avvenne.
Era il '53 primo amoroso della Compagnia Sadowski-Astolfi, e primo attor giovine, il '55, di quella di Ernesto Rossi, il quale di lui lasciò scritto nel primo volume delle sue memorie : Il vero sesso forte si componeva di un certo Raimondi, il quale disimpegnava le parti di primo attore giovine e primo amoroso : e ti posso assicurare che era un bravo giovinotto, pieno di zelo, ricco di talento, abbondante di sentimento.
Anzi il Ferretti aggiunge che egli si fece un peccato di susurrare (invano, s’intende) il proprio nome accompagnato dalle parole « non ti scordar di me. » Scrisse con entusiasmo pel Fortunati, detto Totino, per Ciccio Taddei, e per Vestris….
Il Bartoli riporta il seguente sonetto del Marchese Girolamo Ugolani Milanese, tratto dalle sue Rime (Milano, Marelli, 1667) : Allude l’Autore al soprannome di Rotalinda Ruota Ission, e la volubil ruota l’eternità ne’giri suoi predice ; e neppur una (ohimè) sperar ti lice dal tuo lungo girar un’ora immota.
Metastasio è pur tutto insieme l’Euripide, il Cornelio ed il Racine Italiano: Metastasio è tale che se di mezzo il togli, senti che si forma un orrido vuoto nella poesia melica che niuno più riempie; là dove se altro moderno poeta, e grande ancora, tu ti finga di non avere esistito, nulla sentirai mancare all’Italico Parnaso. […] Se ti si empiono gli occhi di lagrime, se ti palpita il cuore, se tutto ti commuovi, ti agiti, e ti senti ne’ tuoi trasporti opprimere, suffocare; prendi allora il Metastasio, e componi; il suo genio riscalderà il tuo; col suo esempio tu saprai creare; e gli occhi altrui ti renderanno ben tosto il pianto, che ti avranno fatto versare i tuoi maestri. Ma se le grazie incantatrici di questa grand’arte ti lasciano in calma, se non hai nè delirio nè trasporto, se in ciò che dee rapirti, tu non trovi che del bello, osi tu domandare che cosa è Genio?
Questi, o bella Istriona, onde tu cingi fianco e crin, regi ammanti, aurati serti, mostrano ai guardi alteri, agli atti esperti, ch’esser dovresti tal qual ti dipingi.
Merita, io questo so, la poverina, Panfilo, che di lei tu ti sovvenga. […] Che ti venga la rabbia. […] Geta, il nome suggeriscimi, Se ti sovviene, che abbiam detto or ora. […] Che ti colga il malanno. […] Or dimmi un poco In qual città ti credi tu di stare?
Dio ti benedica e ti conceda immensi beni come meriti, come brami, e come t’invoco dal cielo e come spero otterai.
ti sollecita dolcemente la gola? […] Chi ti ha dato de’ pugni sul viso? […] Di chi dunqne ti lagni , ripiglia il Coro, se niuno colpa al tuo male? […] Condiscese il filosofo, ed il pantomimo prese ad esprimere l’avventura di Venere e di Marte scoperti dal Sole e accusati da Vulcano, le insidie di questo zoppo assumicato marito, la rete che annodava gli amanti, i numi presenti allo spettacolo, il rossore di Venere che si raccomandava a Marte, e quanto altro apparteneva a questa favola; ma con tale perspicuità, con tanta leggiadria, che Demetrio attonito e rapito proruppe in queste voci: Io ti ascolto, attore insigne, non che ti veggo.
(dice Ulisse); ti solletica dolcemente la gola? […] Chi ti ha dato de’ pugni sul viso? […] Di chi dunque ti lagni, ripiglia il coro, se niuno colpa al tuo male? […] Condiscese il filosofo, ed il pantomimo prese ad esprimere l’avventura di Venere e di Marte scoperti dal Sole e accusati da Vulcano, le insidie di questo zoppo affumicato marito, la rete che annodava gli amanti, i numi presenti allo spettacolo, il rossore di Venere che si raccomandava a Marte, e quanto altro apparteneva a questa favola, ma con tale perspicuità, con tanta leggiadria, che Demetrio attonito e rapito proruppe in queste voci: Io ti ascolto, attore insigne, non che ti veggo.
Il miglior degli elogi gli fece nell’Italia di Napoli del 1865 (n. 189) Luigi Settembrini, il quale conchiudeva : « così si scrive, benedetto Iddio ; così lo scrittore ti afferra, e ti stampa nell’anima ciò ch’egli vuole. […] Ignaro de la vita che fugge, a’ tuoi futuri danni non pensi allor che accovacciato sul pavimento dell’aprica stanza ti scaldi taciturno a’ rai del sole, ed all’ insetto che ti ronza intorno volgi obliquo lo sguardo, e lo sollevi fraternamente all’augellin che canta da la pensile gabbia.
Tale fu la tua arte, o povera gentile Pierina, su questa l’arte che sentivi, che non indarno, con tutti gli entusiasmi della giovinezza adorasti, perchè di lei, e della tua vita, non ti fosse ignota nessuna delle gioie, delle soddisfazioni, delle ebbrezze, delle vertigini, mal giudicabili da coloro che l’arte non ebbe baciati in fronte del suo bacio infiammato, consumatore, divoratore.
I rovesci politici lo avevano ridotto, come me, a chiedere un rifugio ed un pane alla Compagnia Moncalvo, nella quale, come già ti dissi, la paga veniva come la febbre terzana, se le cose andavano per il loro verso ; se poi malandavano un pochino, allora era una quartana, una quintana, e della settimana non restava che la domenica. – Miseria per miseria, dicemmo, facciamo da noi !
Dammi, o Amalia, una lagrima di quelle che dal ciglio ti piovono qualora accusi a' mali tuoi sorde le stelle !
Tu vuoi che ti rompa la testa. […] E che ti gioverebbe? […] Non gridare, ti dico. […] Ecco ti copro. […] Perchè ti sono spasimato amante, Perchè ti adoro.
Deh Padre mio, poichè questa cara gazella, che ora pel peso che porta nel ventre, cammina con tanta pena, avrà partorito, ti prego di mandarmene il dolce avviso, e di farmi sapere lo stato di sua salute; nol dimenticare» «Can. […] Perchè ti affliggi, o caro, alla mia partenza? Io ti allevai allorchè perdesti la madre poco dopo del tuo nascere, il caro padre che mi ha rilevata, prenderà di te cura nella guisa che io ho fatto, poichè ci faremo separati.
Taci dunque mia Musa ; e in un silenzio rispettoso ed umil tua lingua arresta ; che dall’incarco grave io ti licenzio e ad esso supplirà mente più desta. Intanto a ragionare io ti sentenzio della Carnovalesca e lieta festa, che dileguar seppe dai cor l’assenzio spargendoli di gioja immensa e presta, narra del grasso giovedì il concorso, che la Donna dell’Arno avea sul corso.
Ecco il sonetto a stampa per le faustissime nozze, dettato da certo signor Cricca : O caro Gattinel che bravamente dell’orefice eserciti il mestiere, e conoscere sai perfettamente le gemme false dalle gemme vere ; giacchè di prender moglie immantinente ti venne il tanto natural pensiere, vuò dirti ciò che può sicuramente farti felice in tutte le maniere. […] Come quelle che leghi in oro, questa serba, e vedrai, che in ciò tutto riposa la sola Pace, che a goder ti resta.
Parla; ti prometto ogni attenzione. […] Avverti però di qualunque modo tu ti accinga all’impresa a non macchiar l’anima con un delitto incrudelendo contro tua madre. […] E bene io ti porrò alla presenza di chi ti faccia parlare con più senno. […] Saprai arcani che ti renderanno attonito. Gli stessi che ti hanno consegnata la lettera, ti condurranno da me.
Che dolorosi dubbi (effetto di modestia innata) ti tormentavano !
Merita, io questo so, la poverina, Panfilo, che di lei tu ti sovvenga. […] Che ti venga la rabbia. […] Che ti colga il malanno. […] Che ti colga il malanno. […] Non ti vorrei nel resto delle cose Negligente, conforme fosti in questa.
O’ del Toro divin Reggia felice o’ di gratie, et d’amori, et di palme, et d’allori sotto inuitto Signor, superba attrice, ecco che ’l Ciel t’honora, e à la tua chioma ogni fauor destina : ecco la terra ancora a’ le tue palme, e’ a’ tuoi trofei s’inchina, et per l’onda vicina ti porge il Re de l’acque arene d’oro ; ond’io humil t’osservo, e humil t’honoro, povera d’altro don, ricca d’amore, t’ offro diuoto, e tributario il core. […] Ond’ hebbe l’ or, che ti fa biondi i crini ?
E che ti gioverebbe? […] Non gridare, ti dico. […] Ecco ti copro. […] Demostene: Havvi un migliajo di cavalieri dabbene che odiano Cleone, e ti ajuteranno; havvi un buon numero di ottimi discreti cittadini e di spettatori che ti proteggeranno, ed io con tutti questi ti spalleggerò. […] Perchè ti sono spasimato amante, Perchè ti adoro.
Da dove muor fin dove nasce il giorno suona di Te la Fama, e i più canori Cigni, che al Reno stanno e all’Arno intorno, ti ornaro il Crin dei meritati allori.
Trascrivo le parole del Garzoni : non lascio da parte quella Lidia gentile della patria mia, che con si politi discorsi, e con si bella grazia, piangendo un di per Adriano, lasciò in un mar di pene l’affannato core di quel poeta, che perso nel suo amore, le mandò quel Sonetto, che comincia, Lidia mia, il di, che d’ Adrian per sorte ti strinse amor con mille nodi l’alma, io vidi il mar, che fu per lui si in calma, a me turbato minacciar la morte.
Roma di te si vendichi, e ti ammiri. […] Ch’io ti compianga e ti perdoni. […] Ch’io ti compianga e ti perdoni. […] Bianca: ah in esso ti segue la morte! Montcassin: e quì l’obbrobrio ti copre bisogna dunque incontrarla, e parte.
Qua ti raccapriccia una veduta di scogli artifiziosamente tagliati e come pendoli in aria, di cascate d’acqua, di caverne e di grotte, dove fanno giocare variamente il lume; e là ti ricrea una veduta di fioriti parterri, di limpidi canali e di vaghe isolette con di belli edifizi che nelle acque si specchiano. Dal sito il più orrido ti fanno tutto a un tratto trapassare al più ameno; né mai dal diletto ne va disgiunta la maraviglia, la quale, nel porre un giardino, essi cercano egualmente che da noi fare si soglia nel tesser la favola di un poema.
: Dal pigro sonno, che con gli ozj suoi neghittoso alle fredde ombre ti rese, alma risorgi, e fa al mio cor palese quell’affetto d’amor che or dorme in noi.
Ma non ti basta Ch’io veneri il tuo Dio? […] Uom però sei, La ragion ti convinca. […] D’arte ti cedo, Non di ragione. […] Il suo genio riscalderà il tuo; tu sarai creatore al di lui esempio, e gli occhi altrui ti renderanno ben tosto quei pianti ch’egli ti avrà costretto a versare.» […] Allor ti vidi, allor divenni amante.
E quando più nel suo fulgor divina l’arte trasfonde l’ immortal suo spiro al guardo e all’atto che ti fan regina ; negli arcani del tuo vivo sospiro ogni cor sente la superna idea che in un volger di ciglio anima e crea.
O generoso popolo d’Antenòr, tu sol tu puoi la tua speme avverar : se tutti i frutti, quali ei si sian, dell’arte mia son opra del tuo favor, se un tal favore è figlio d’ una felice illusïon cortese del tuo bel cor, tu me la serba, e forse tal ti parrò qual mi fingesti. […] Internari) ; ma più ancora in un libretto di poesie a Carolina Internari, impresso in Roma il 2 di maggio del 1818, la prima delle quali è del Ferretti, e diretta Ad Anna Fiorilli Pellandi Se ancor sovra le cento ali leggera Dalle bionde del Tebro acque sonanti Remigando ver te Fama non giunse Da che il socco ridevole calzato Nel giovinetto piede, e il sanguinoso Coturno Sofocléo, novella apparve Carolina la tua figlia d’ amore Orme a stampar su le Romulee scene, Arduo certame, che dal verde Eliso Tornando a ber con vivi occhi la luee Temerebbero ancor Roscio ed Esopo, Mentre su questi candidi papiri Della tua figlia a delibar le sacre Non vendevoli laudi impazïente Si sbramerà la vivida pupilla ; Certo di vena in vena a poco a poco Scender ti sentirai soavemente Il tuo core a tentar gioia materna.
Mai sì vaga e sì lieta io non ti vidi! […] La mia fiamma funesta Forse qualche pietà nel sen ti desta? […] Ah se ti perdo, ah se a morir son presso Che mi resta a temer?
No, caro padre (io ti dicea pendendo Da le tue guance ch’oggi ancora io tocco) Non fia mai ver che in vecchia età ti lasci. […] Nutrice Deh ritorna in te stessa: in quai ti perdi Vani pensieri! […] Ahi più non ti vedrò! […] Ah tu morrai, E di tuo padre il nome, Che tanti ne salvò, ti fia funesto. […] Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi il seno e del mio sangue Io ti nutrii?..
Ditemi (aggiugne) ditemi almeno, mio Figlio, Bruto non ti odia; basterà questa parola a rendermi la gloria e la virtù; si dirà che Tito morendo ebbe un vostro sguardo per mezzo de’ suoi rimorsi, che voi l’amavate ancora, che alla tomba egli portò la vostra stima. […] Ravvisa, dice Gusmano a Zamoro De’ Numi che adoriam la differenza; I tuoi han comandata a te la strage E la vendetta, il mio, poichè il tuo braccio Vibrommi il colpo micidial, m’impone Ch’io ti compianga e ti perdoni. […] Io voglio Anche di più: forzar ti vo’ ad amarmi. […] del pianto che in sì larga vena Sgorga dagli occhi miei, ti bagno il volto! […] Roma di te si vendichi e ti ammiri.
Tel perdonino i figli, il ciel ti benedica.
Deh Padre mio, poichè questa cara gazella, che ora pel peso che porta nel ventre, camina con tanta pena, avrà partorito, ti prego di mandarmene il dolce avviso e di farmi sapere lo stato di sua salute. […] Perchè ti affliggi, o caro, alla mia partenza? Io ti allevai allorchè perdesti la madre, poco dopo del tuo nascere.
Un Erve di Roma ti parla Bolognese vestito da [illisible chars], e tu non lo [illisible chars] Non si [illisible chars]scene attore [illisible chars].
Dopo che Fiammella ha promesso a Titïro, se cessi dalla sua crudeltà, un vaso per attinger acqua, fatto d’un teschio d’un uccello, ch'in aria si nutrisce di rapina, ………… e n’è intagliato con sottil lavoro tutt’all’intorno d’ogni sorte uccelli, ………… Ardelia dice : E tu, Titiro mio, se mi compiaci, ti vo' donar una bella ghirlanda da verginelle mani ben contesta di Rose, di Ligustri, e d’Amaranti, con molte foglie d’Ellera e d’alloro, nelle quali son scritte le mie pene, e come fui per te d’amor trafitta, con fregi che circondano le foglie ch'in esse si comprendono il trionfo del faretrato Dio, e di sua madre.
A un uom perverso Di te obbliata, a un traditor ti rendi! […] Non ti goda. […] Non ti goda. […] Se amor non può, ti renda onor geloso. […] Ti ascoltai, ti credei ; patria ed onore O memoria crudel !)
A un uom perverso Di te obbliata, a un traditor ti rendi? […] Isa: Io che ti amo? […] Die: Non ti goda. […] Se amor non può, ti renda onor geloso. […] Ti ascoltai, ti credei, patria ed onore (O memoria crudel!
Ma se poi l’arte orrendi casi e fieri dinanzi alla pietà di gentil core rechi, e gl’inciti sì, che pajan veri : a gli occhi manda l’anima dolente lagrime dolci nel suo dolce errore, e chi t’ode e ti mira, o Prode, il sente. […] È Dio dei forti e sta con me, ti prostra.
Ah Romeo, che ti resta? […] Io pur ti seguo, o sposa . . . […] . . più non ti veggio . . . ah dammi . . . […] Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi il seno, e del mio sangue Io ti nutrii?” […] Non ti smarrire, son tua, voglio esser tua...