A Trento era colla compagnia l’autunno del 1608, quando cioè pubblicò i Capitoli e le suppliche ; e innanzi di partire si duole nella seconda di esse al Capitan di Trento, Barone di Thon, della miseria dei comici non andando gente a teatro.
Forse sono esse indebolite dalle arti cortigianesche che vi campeggiano aliene dalla ferocità de’ Goti non da molto tempo avvezzi alla coltura che raffina gli artifizj. […] Ma egli stesso no se ha hecho bien cargo di ciò che io dissi e ripeto, cioè che esse converrebbero a’ Numantini usate a tempo e parcamente, la qual cosa vuol dire in volgare che esse sono proprie di un popolo irritato contro Roma, ma non dovrebbero occupare il luogo dell’azione che è l’essenza del dramma; non risentire l’affettazione ma discendere naturalmente dalle situazioni; non essere come son quasi tutte una pretta borra intempestiva. […] Altra volta, ella dice, avrebbe per esse dichiarata la guerra a chi che sia; e ciò non va male: ma soggiugne, che avrebbe fatto retrocedere il Tago verso la sorgente, e convertita la notte in giorno, le quali sono espressioni appena ammesse nel genere lirico, e false sulla scena, fantastiche e contrarie alla verità, all’affetto ed allo stato di Rachele.
Lampillas, corresse dietro alle rappresentazioni teatrali strepitose, sprezzando per esse le Favole di buon gusto. […] E quante Legioni potrebbero contarsene in più di un migliajo di esse?
Più d’una commedia di Aristofane tende a inspirar pensieri di Pace agli ateniesi, e quella che ne porta il titolo, é una di esse. […] Potino con esse rappresentò (benché con indignazione de’ buoni, cioé de’ pochi) alcune burlette in Atene e in quella medesima orchestra, in cui Euripide declamava le sue tragedie immortali.
Lo spettatore avrà certamente desiderato in quel punto l’arrivo di Annibale, ed egli in fatti sopravviene, e le donne vogliono che dichiari qual di esse egli ami. […] Benchè in esse lo stile alcuna volta appalesi troppo studio, pur vi si osservano molti pregi tragici, oltre alla costante regolarità serbata ne’ drammi tutti prodotti dentro il recinto delle Alpi.
Accoppiavansi in esse alla esatta imitazione della natura i voli più bizzarri della fantasia e si nobilitavano colla più vigorosa poesia, colla morale più sana e colla politica più profonda i soggetti all’apparenza i più frivoli e meno interessanti. […] Mostra in prima il poeta la loro scempiaggine nel modo da esse eletto per ottenerlo. […] Il suocero di Euripide non so come si sviluppa e si distriga dalle donne che lo custodiscono, e strappata dalle braccia di una di esse una bambina tenta di fuggire. […] Ora il poeta dà ad intendere in qual modo esse digiunavano, e mette in vista la loro ipocrisia, mentre, provvedendo in segreto al loro ventre, osservano all’ apparenza le pratiche della religione. […] Quì a poco a poco andavano esse empiendo il teatro, comparendo in sembianza di donne.
Questo fu il primo prologo ; e così entrato nelle Commedie, e con mio Padre vivendo tra’ Commedianti, conobbi l’arte non essere così facile come molti che, non la praticando se non con gli occhi, la credono ; poi che vi sono persone di così poca pratica, che giudicano esse mestiero d’ogni ignorantello il farsi vedere sopra i teatri, parlare in pubblico, e ad una infinità di popolo dare più che mediocre satisfazione.
Ma si tradirebbe la verità, se si trascurasse, come d’ordinario avviene, di rilevarsene colla severità d’imparziale storico critico non poche bellezze che in esse si discernono. […] Ippolito col promettere semplicemente di proteggerla, Et te tuebor, esse ne viduam putes, Ac tibi parentis ipse supplebo locum, avviva le speranze di Fedra, e l’anima a palesarsi amante. […] Hercules monstri loco Jam coepit esse.
E se la geometria, più che per le utili verità che insegna, si rende commedabile per l’attitudine che somministra agl’ingegni tutti per bene e coerentemente ragionare, essa e tutte le scienze esatte contribuiranno sempre colla loro giustezza a formare grandi legislatori morali e politici tanto per ciò che l’una società debbe all’altra, quanto per quello che debbonsi mutuamente gl’individui di ciascuna: ma esse non saranno mai nè più pregevoli nè più necessarie a conoscersi delle leggi che immediatamente gli uomini governano.
Gli Zeffiri in gloria, i sogni piacevoli e i funesti che danzano intorno ad Ati addormentato, le divinità de’ fiumi e delle fontane che ballano e cantano, i voli, le trasformazioni di Ati in pino, erano cose buone, quando non si conosceva il melodramma Metastasiano; esse potevano occupare tutti gli occhi, ma non tutti i cuori.
Quanto può immaginarsi di assurdo, di stravagante, di mostruoso, tutto si trova in esse.
Gli zeffiri in gloria, i sogni piacevoli ed i funesti danzanti intorno ad Ati addormentato, le divinità de’ fiumi e delle fontane che ballano e cantano, i voli, la trasformazione di Ati in pino, erano cose buone quando non si conosceva il melodramma Metastasiano; esse potevano occupare tutti gli occhi, ma non tutti i cuori.
Questa sorte di racconti divenuti essenziali nelle commedie spagnuole diconsi relaciones; ed in esse l’autore arzigogola senza freno sfoggiando in descrizioni ampollose ed in concetti falsi e puerili, e l’attore seguendo i delirii della poesia con gesti di scimie delle mani, de’ piedi, degli occhi, del corpo tuttoa, va dipingendo, non già lo spirito del sentimento e delle passioni, ma le parole delle metafore insolenti accompagnandole tutte con un gesto che le indichi. […] Ed in ciò ancora è da riprendersi il poeta; perchè in vece di prefiggersi l’insegnamento di una verità, cioè che le passioni sfrenate e la pazza gelosia cagionano ruine e miserie, egli si è studiato d’insegnare che esse provengono dall’influsso degli astri. […] Nedarò una mia traduzione, e ne’ passi dove i tratti patetici vengono traditi dalle false espressioni, non sostituirò ad esse i miei pensieri, ma le trascriverò a piè di pagina. […] Non v’ha regola di verisimile che in esse non si trasgredisca, nè stranezza di stile che non possa notarvisi; e pur vi si scorge un artificio che ne rende gli argomenti interessanti. […] E che giovano esse quando non sono verificate su i medesimi drammi?
Gli Ateniesi le accolsero sempre con avidità ed applauso, e la posterità più sagace le ha successivamente ammirate; ma nel certame drammatico cinque sole di esse riportarono la corona, e nelle altre egli soggiacque alla sventura de’ valentuomini per lo più posposti a’ competitori ignoranti ma raggiratori. […] Virgilio in simil guisa descrive Enea che osserva le dipinture del tempio di Cartagine; ma Virgilio le anima colla passione e col l’interesse del l’eroe Trojano, perchè esse tutte rappresentano la distruzione di Troja. […] Quando il fatto deponesse con pari asseveranza in prò delle tragedie moderne: quando potesse dimostrarsi che pari evento felice avrebbero esse sortito sulle scene di Atene; pur dovremmo esser cauti nel pronunziare sulla preferenza.
E se la geometria, più che per le utili verità che insegna, si rende commendabile per l’attitudine che somministra agl’ ingegni tutti per bene e coerentemente ragionare, essa e tutte le scienze esatte contribuiranno sempre colla loro giustezza a formare i gran legislatori morali e politici tanto per ciò che l’una società debbe all’altra, quanto per quello che debbonsi mutuamente gl’ individui di ciascuna: ma esse non saranno mai nè più pregevoli nè più necessarie a conoscersi delle leggi che immediatamente gli uomini governano.
Bettinelli) oggi senza favor de’ Principi, senza emulazione, senza ricompense, nella decadenza di tutto, e nel languore delle artistesse, hanno elleno sempre in Italia gran voga, e continuano a far l’ammirazione degl’ intelligenti e disappassionati Oltramontani per lo singolar talento, che in esse posseggono i nostri a quel grado che vuole il migliore entusiasmo.
Molte cose abbiamo a stampa di lui, o che discorron di lui, uomo politico ed artista ; e principali fra esse : I.
In esse col gusto che richiede la commedia si dipingono e si motteggiano le ridicolezze e i difetti della letteratura pedantesca, e i partiti capricciosi intorno a i nostri epici ed a’ poeti comici de’ suoi giorni. […] Forse ti meravigli che agli abiti che esse portano, diano il nome di cortile, quasiche non ne veggiamo tutto il giorno che hanno addosso il prezzo di un podere intero ? […] Nell’atto IV dopo un pettegolezzo di Statira e Rossane, siegue il banchetto nel quale esse non intervengono. […] I letterati stimando che tali pietre siano cadute dalle nuvole, vogliono indagare la sostanza di esse. […] Hanno esse nulla che si affà colla morte di Adallano, col dolore di Elvira ?
In questi componimenti non meno che negli amorosi si scorge piuttosto la vivacità e il brio che il vero gusto musicale, sebbene alcuna vi si legga di esse lavorata con siogolar espressione71.
Servono esse talora a creare di novelli sentimenti, e delle imagini novelle, nel qual caso sono da commendarsi assaissimo. […] Nel primo discorso, risalendo all’origine de’ nostri sentimenti si tratterà delle intrinseche relazioni poste dalla natura fra i nostri sensi sì esterni che interni con tutto ciò che forma l’oggetto delle belle arti, e delle belle lettere, dove si farà vedere ridursi esse tutte quante in ultima analisi alla fìsica sensibilità ed alla fìsica organizzazione prime sorgenti del piacere ch’esse ci apportano.
Vi si accomodarono i Musici Cantori, e i Compositori: quelli potevano in esse sfoggiare coll’agilità della voce senza curarsi della verità richiesta dal Dramma; questi risparmiavano la maggior parte del travaglio, che loro costato avrebbe l’animare con giuste espressioni musicali i recitativi a seconda degli affetti, e di questi Recitativi disbrigandosi in una notte o due, e dando alle parti subalterne, per dir così, a cantare un minuetto, o una barcarola di poca fatica, riserbavano le delicatezze della loro arte per una mezza dozzina di Arie principali da fare spiccare il portamento della voce nel Cantabile del Tenore, del primo Soprano, e della prima Donna. […] Se confesserete, che sono necessarie, prima dunque che esse si ritrovassero, e s’introducessero sulla Scena, la Drammatica avea bisogno dell’altrui indulgenza per fare effetto.
Le pitture nobili, le forti passioni, i caratteri grandi tratti dalla storia greca e romana, (quasi le due sole nazioni che somministrino argomenti al teatro, perché esse quasi le sole furono ove si conoscessero quelle virtù che possono riceversi dalla legislazione, e dalla filosofia) si sostituirono sulle scene all’abbominio del buon gusto, che dominava per tutto.
Le Nazioni settentrionali aliene da questo obbrobrio in ogni tempo, nel venire a dominare ne’ paesi occidentali del Romano Impero, non poterono comunicar loro ciò che esse detestavano o felicemente ignoravano.
Però di leggieri non si può scorgere che l’antica favola di Fedra nella riforma fatta dal Racine ha vantaggiato, come per altro, così pure per esse. […] Laonde sembra ch’egli pretenda ch’offendasi piuttosto con esse la nostra fantasia che non s’interessi il nostre cuore. […] Ma questo è di poca considerazione a rispetto d’altre composte sopra avvenimenti romani, perciocché in esse si scorge altro errore contro la proprietà della nazione, avendo quasi tutte qualche bassezza. […] Che se Aristotele narra essersi composte da certi poeti del suo tempo molte di esse senza costumi, non vuolsi intendere se non che esse ne trascuravano assai l’uso ch’avrebbon potuto farne. […] Certo per formare un compiuto giudizio delle tragedie francesi rimanevami a vedere una degna parte di esse, ed un saggio notabile del gusto, ch’ora ha la Francia nell’arte tragica.
[1.67ED] Io pretendo che il mio esemplare infallibile siano non già i Greci soli, ma la natura, e che siano il mio fondamento non già i soli tuoi scritti né quelli de’ tuoi comentatori, ma la ragione. [1.68ED] Essendo, a mio credere, ne’ tragici Greci molte sconvenevolezze di cose che patiscono una necessaria mutazione dal tempo, queste si debbono compatire e, s’uom lo voglia, lodare, ma non giammai imitare; e giova il sostituir ad esse le nostre che si conformano all’uso. [1.69ED] Ve ne sono ben poi delle altre che non patiscono mutazione da’ tempi, ed in queste si vogliono condannare e, per chi lo può, riformare. […] — [3.94ED] — Franchezza ci vuole — ripigliò l’Impostore — nell’impostura: almeno con questa il tuo avversario ha fatta tacere la disputa; ma non avrebbe già convinto Aristotile, che ha visto il teatro greco ed il teatro latino folti di donne non meno di quello che sien oggi il franzese, l’italiano, lo spagnuolo, il tedesco e l’inglese. [3.95ED] Nel teatro latino intervenivano infin le vestali e v’era il luogo per esse medesime destinato. [3.96ED] Ma, perché si parla del greco, non vo’ che tu creda alla mia parola, perché ritorceresti contro di me che ti parlo la mia sentenza; diresti almen fra te stesso che all’impostura ci vuoi franchezza nell’asserire, e che io già sono impostore. […] [4.76ED] Imperocché ciò sarebbe non un perfezionarla, ma un deformarla; e Marco Tullio intende tanto perfezionarla che anzi vorria ridurla all’idea, e vorria costituire un oratore conforme all’idea, cioè più perfetto di qualunque sia stato o sia per declamare le cause de’ suoi clientoli nella curia; e ciò ha egli derivato da un mio sentimento, essendo uopo, secondo l’opinion mia, che la prosa abbia il ritmo, ma non già il metro, per lo ché di me lasciò scritto: «Versum in oratione vetat esse, numerum jubet.» […] [4.145ED] Vi troverai ben il ritmo, perché finalmente vi è l’eguaglianza della misura; ma questo fa il periodo sonoro, non il verso, e fa una prosa ritmica e numerosa, secondo l’accennata mia sentenza in bocca di Cicerone: «Versum in oratione vetat esse, numerum jubet.» […] [5.136ED] Quello che ho detto della brevità de’ recitativi patisca qualche limitazione in quelle scene che ho denominate ‘scene di forza’, dovendo in esse il recitativo prevalere alle ariette, come quello che dà più polso e più evidenza all’azione; ed allora il poeta può alquanto sfogarsi nel dare un moderato saggio del suo talento e lo dovrà soffrire il prudente compositor della musica, né lo ricuseranno i cantanti, anch’essi periti nello sceneggiamento, e l’impresario dovrà compiacersene.
Non vuole adunque il Castelvetro che per gli rappresentatori successivamente introdotti s’intendano tre individui, come si spiegò Laerzio, ma tre classi, e tra esse va ripartendo il ballo, il canto ed il suono.
Quanto può immaginarsi di assurdo, di stravagante, di mostruoso, tutto si trova in esse.
Soltanto soggiunge : Ella mi concederebbe la libertà di tre recite per settimana escludendo in esse la recitazione di Drammi o Tragedie locchè verrebbe unicamente assegnato al di lei diritto e nel caso di malattie approffitterei della opera sua per tutte cinque recite ; otterebbe da ciò, sicurezza di salute, bramosia nel pubblico ed effetto sicurissimo…… …. baciandole rispettosamente le mani, mi dico suo obb.
Odette, Amore senza stima, la Locandiera, Cavalleria rusticana, Fedora, Casa di bambola, Casa paterna, la Signora dalle Camelie, d’indole così disparata, ebber tutte, e molte di esse hanno ancora la più gagliarda e più vera delle interpretazioni.
Circa lo stile di esse, senza derogare ai pregi inimitabili di P.
Una delle ragioni per cui essi avversavano tanto le unità drammatiche risiedeva proprio nel fatto che esse circoscrivevano la vita scenica di un personaggio a un arco temporale limitatissimo, condannandolo alla stasi. […] Ad esse si possono ricondurre tutte le altre passioni secondarie. […] Al suo confronto sembrano le altre meno aperte, meno vivaci, meno sensibili, e più mute, più oscure, più rapide e come destinate a servir quella, che sopra di esse si appoggia e signoreggia. […] Senza di esso la pronunzia sarebbe una serie uniforme e monotona di sillabe, i cui tratti o parole non si potrebbero altrimenti distinguere e divisare che per via d’intervalli e riposi, a ciascuna di esse assegnati. […] Sunt autem quidam ita naturae numeribus in iisdem rebus habiles, ita ornati, ut non nati secl ab aliquo eleo facti esse videantur.
Se ne vegga alcuna particolarità su ciascuna di esse. […] Forse ti maravigli che all’abito che esse portano, diano il nome di cortile, quasichè non ne veggiamo tutto il giorno che hanno indosso il prezzo di un podere intero? […] Certo: ed ecco il come: di esse Moltiplicando per le case il numero, E raccogliendo poi li ragnateli, Cardarli, e poi filati Farne vaghi lavori: E in tante balle poi mandarli fuori. […] I letterati stimando che tali pietre sieno cadute dalle nuvole, vogliono sapere la sostanza di esse; Sossio obbliando il dolore risponde, Soss. […] Hanno esse nulla che si affà colla morte di Adallano, col dolore di Elvira?
Circa lo stile di esse, senza derogare ai pregi inimitabili di Pietro Corneille e di Giovanni Racine e di altri che gli seguirono, vengono in generale tacciati i tragici francesi, e singolarmente il Cornelio, dal marchese Scipione Maffei, dal Muratori, dal Gravina e dal Calepio, di certo lambiccamento di pensieri, di concetti ricercati e tal volta falsi, di tropi profusi e ripetuti sino alla noja, di espressioni affettate, di figure sconvenevoli alla drammatica.
Le sue picciole farse spesso si riceveano con applauso, ed in grazia di alcune di esse talvolta si tollerarono goffissime commedie e scempie traduzioni del medesimo autore.
Per esse la poesia comica nulla ha guadagnato, benchè l’intenzione morale dell’autore fu di manifestar le conseguenze perniciose delle nuove massime de’ filosofi d’ultima moda, per li quali non v’ha nè legge nè virtù veruna.
Fece in esse sempre uso del prologo per mettere con chiarezza sotto gli occhi dello spettatore quanto stimava necessario per l’intelligenza della favola; ma Eschilo e Sofocle senza prologo seppero esporre a maraviglia lo stato dell’azione. […] Quei che credono che si dicesse coronato dalla corona data al poeta, non riflettono, che tante altre tragedie e commedie diedero la corona Olimpica ai poeti, e niun’altra di esse ne acquistò il titolo di coronata.
Le opzioni tematiche sono uno degli argomenti centrali del discorso, perché da esse derivano le scelte drammaturgiche e lo sviluppo dell’azione; il tema non deve essere né troppo attinente alla storia per l’eccessiva severità di alcuni soggetti e per l’incongruenza legata all’accostamento tra soggetti storici, cori e balli e nemmeno essere troppo debitore a un meraviglioso mitologico che richiederebbe, come nel Seicento, troppo dispendio di macchinari e suggerirebbe un’inclinazione eccessiva verso la spettacolarità e l’artificio come avviene nelle opere francesi, dalle quali Algarotti, rifacendosi ad argomentazioni diffuse nella trattatistica di questi anni, prende la distanza.
Quanto può immaginarsi di assurdo, di stravagante, di mostruoso, tutto si trova in esse.
Esse sono tutte di lieto fine, ed alcuna di esse risale agli ultimi anni del passato secolo, come la Partenope dramma cantato in Napoli sin dal 1699 e replicato altrove tante volte.
Osservisi com’egli adoperi sobriamente lo stil figurato nelle narrazioni e nelle pitture, e lo tralasci del tutto ove parla l’affetto, o si richiede consiglio, o sentenza; Come rado o non mai introduca le comparazioni nel recitativo lasciandole alle ariette quando la musica vuol calore o immagine; Come siano esse per lo più connesse colla scena in maniera che prima di sentirle di già l’uditore ha prevenuto il poeta, antiveggendo qual similitudine debba venir in campo, la qual cosa non accaderebbe se niuna relazione avessero queste colla situazione attuale del personaggio; Come riescano tutte di un’aggiustatezza, varietà, e bellezza sorprendente. […] E notisi di passaggio che l’una di esse è la figlia del re, unica erede del regno, e ricercata quel medesimo giorno in isposa da tutti i principi della Grecia, la quale esce inosservata alla campagna avendo per tutto corteggio la compagnia d’una sua confidentissima pastorella.
Una di esse è il Re ed il Mugnajo di Mansfield di cui si fe parola nel tomo precedente.
Una di esse è il Re ed il Mugnajo di Mansfield, di cui si fe parola nel tomo precedente.
Solo, si batte contro le pareti con inaudito coraggio ; pauroso all’eccesso, schiva le donne, se bene ad esse attratto, perchè non vorrebbe sotto qualche sottana si celasse un uomo.