I primi cori contenevano le sole lodi di Bacco, e gli episodi parlavano di tutt’altro: il popolo se n’avvide, e mormorò della novità18; ma continuò ad ascoltarli, e la novità parve felice e dilettevole. […] L’istesso Oreste perseguitato dalle furie, e poi liberato dalle loro mani per lo favor d’Apollo e di Minerva, e per la sentenza dell’areopago, é l’argomento della famosa tragedia dell’Eumenidi, il cui spettacolo riempì di terrore il popolo ateniese. […] In una gran piazza si vede il real palagio di Edipo; alla porta di esso si osserva un altare, innanzi al quale si prostra un coro di vecchi e di fanciulli; e si rileva dalle parole, che in lontananza dovea vedersi il popolo afflitto radunato intorno a i due templi di Pallade e all’Altare d’Apollo. […] Il poeta francese ha dovuto lusingare la debole delicatezza della sua nazione, ed Euripide nelle stesse circostanze non avrebbe fatto di meglio, ed avrebbe avuta sa stessa indulgenza per un popolo che dovea essere il suo giudice.
Questi attori si udirono qui dal popolo con biglietto a mezzo paolo, poco più di venticinque centesimi ; e forse a minor prezzo anche Città di Castello potè udire il gran Demarini.
» L'11 gennajo '55 scriveva da Torino alla Principessa Hercolani a Bologna : ….. le ingenti spese, e le molte esigenze del popolo francese, rendono molto pericoloso quell’esperimento, sia dal lato interesse, che da quello di un favorevole successo.
Gli applaudiva il popolo ugualmente, e la sua approvazione data a due gusti contrari pruovava contro ad ambedue i partiti, che l’uno e l’altro cammino corso con prudenza e ingegno poteva menar la nazione all’istesso scopo252. […] Il soggetto storico é senza dubbio compassionevole, e appresterebbe degna materia a un poema epico; pur maneggiato drammaticamente, divide per tal modo l’interesse colla distruzione di un popolo intero per mezzo della fame, del ferro, e del fuoco, che stupidisce, e spossa il fondo della compassione senza fissarlo a un oggetto principale, e non ottiene il fine della tragedia.
« Si vestiva, finita la favola, in abito lugubre e nero, rappresentando la istessa tragedia, e cantava alcune stanze che succintamente del Poema tutto contenevano il soggetto, ed era come di quello un argomento ; e cosi, data la licenza al popolo, e finito il canto, si sentiva un alto grido, un manifesto applauso che andava sin alle stelle, e le genti stupite ed immobili non sapeano da qual luogo partirsi.
Non così fece il Trissino nostro, nel cui dramma non solamente si rende ella in ogni incontro aggradita al popolo, ma non abbandona il marito che con ribrezzo, vinta dalla necessità. […] L’arte di preparare il favore del popolo a chi dee patire pare che sia massima de’ Francesi quando discorrono di tragici precetti, ma trovo nell’esecuzione assai negletta tal regola. […] Nulladimeno non può negarsi ch’ella non facesse un buon effetto per tutti gli argomenti che al popolo non son noti, di che li Greci non abbisognavano, perciocché versavano sempre intorno a pochi successi famosissimi. […] Il medesimo dee dirsi di gran parte delle favole nostre de’ passati secoli: quindi avviene che molti discorsi che potrebbonsi perentro animare con grande allettamento del popolo, riescono freddi e senza attrattiva. […] Gravina recuperava questo stesso schema nel Della tragedia, mostrando come gli autori greci avessero riplasmato in chiave pedagogica quegli strumenti letterari che il popolo aveva inventato esclusivamente per il proprio diletto («I primi autori della vita civile furono costretti avvalersi, ad insegnamento del popolo, di quegli esercizi che egli aveva per proprio diletto inventati.
Il popolo se ne avvide, e mormorò della novità42; ma continuò ad ascoltarli, e la novità parve felice e dilettevole. […] Questo Frinico di Melanta fu il poeta che rappresentando la mentovata tragedia preso da non so qual timore ovvero orrore naturale non potè proseguire, ed il popolo lo fe ritirare dalla scena49. […] Le Furie rappresentate da cinquanta attori ne formavano il coro, i quali furono dal poeta in tale spaventevole e mostruosa foggia mascherati e con si orribili modi e grida entrarono nella scena, che tutto il popolo si riempì di terrore, ed è fama che vi morisse qualche fanciullo e più di una donna incinta vi si sconciasse. […] Vedesi in una gran piazza il real palagio di Edipo: alla porta di esso si osserva un altare, innanzi al quale si prostra un coro di vecchi e di fanciulli: si rileva dalle parole che in lontananza dovea vedersi il popolo afflitto radunato intorno ai due tempj di Pallade e all’altare di Apollo. […] Il poeta Francese ha dovuto lusingare la debole delicatezza della sua nazione; ed Euripide nelle stesse circostanze non si sarebbe altrimente comportato, ed avrebbe avuta la stessa indulgenza per un popolo che dovea essere il suo giudice.”
Gl’ Italiani del XVI secolo aveano trasportati i greci argomenti con troppo scrupolosa osservanza delle antiche vestigia, ed i Francesi del XVII secolo fecero un passo di più maneggiandoli in guisa che si adattassero al popolo ed al tempo in cui si ripetono. […] In quella del III Saule domanda ad Abiele, se il popolo entrerebbe a parte del suo paterno affetto, ov’egli inclinasse al perdono, ovvero si solleverebbe? Ma le disposizioni del popolo nella Teocrazia come avrebbero potuto cangiare le deliberazioni di Saule, cui era tolto ogni arbitrio dal proprio giuramento e dallo zelo temuto di Samuele per la volontà del cielo enunciata dal sacro oracolo? […] Nol tacque il dotto Bettinelli; ma avrebbe potuto ben dire ancora che l’ombra della Semiramide apparsa in chiaro giorno in mezzo alla corte ed al popolo la rende infruttuosa per lo spettatore, perchè incredibile e spogliata delle terribili circostanze onde simili apparizioni scuotono gli animi della moltitudine, e perciò rimane inferiore non meno a quella de’ Persi che al di lui Serse. […] Quì si vede una tremenda catastrofe della costituzione di un popolo che conculca le proprie leggi per alzare un tempio alla libertà nazionale, sacrificandole con formalità giudiziarie per prima vittima il proprio sovrano.
Nel rimanente della penisola delle Spagne il popolo si divertiva colle buffonerie de’ giullari degenerati in meri cantambanchi.
Le Furie rappresentate da cinquanta attori ne formavano il Coro, i quali furono dal poeta in tale spaventevole e mostruosa foggia mascherati, e con sì orribili modi e grida entrarono nella scena, che il popolo si riempì di terrore, ed è fama cha vi morisse qualche fanciullo e più d’una donna incinta si sconciasse.
Più profondo insieme e più maligno nelle sue mire egli lo prenderà come un diversivo offerto talvolta al popolo spensierato per nasconder agli occhi suoi l’aspetto di quelle catene che la politica va lavorando in silenzio, per infiorare gli orli del precipizio, dove lentamente lo guida il despotismo, e per mantenerlo più agevolmente in quella picciolezza e dissipazione di spirito, che tanto comoda riesce a chi vuol soggiogare.
Volgo, idioti, fanciulli di dieci, di trenta e di settantacinque anni, trovansi in ogni popolo.
Volgo, idioti, fanciulli di dieci, di trenta e di settantacinque anni (che sono i peggiori) trovansi in ogni popolo.
Questo letterato avrebbe potuto far gran progressi nella drammatica; ma si é contentato di provar col fatto a’ suoi competitori, che ’l concorso del popolo non é argomento della bontà de’ componimenti scenici, e per conseguirlo é ricorso scaltramente al solito rifugio del maraviglioso delle macchine, trasformazioni, e incantesimi, o ha composto nuovi mostri teatrali, il Corvo, il Re cervo, l’Oselin bel verde, ne’ quali le perturbazioni tragiche, le piacevolezze comiche, le favole anili, le metamorfosi, un ricco fondo d’eloquenza poetica e di riflessioni filosofiche, concorrono tutte ad un tempo a incantare e sorprendere gli spettatori veneziani. […] «Gli dei, dicea Platone, impietositi delle fatiche e delle pene inseparabili dall’umanità, fecero all’uomo il dono del canto e della poesia……» Or se l’opere di Metastasio piacciono, non che alla sua nazione, a’ forestieri, nonché ai dotti, al popolo, «il quale, come saviamente dice Anton Maria Salvini, sebbene imperito delle finezze delle arti, pure possiede in se il comune senno, e ’l dettame del naturale giudizio, e meglio de’ semidotti ascolta, e de’ dotti appassionati», non so comprendere, perché certi critici vanno assaggiandole colle ristrette misure dell’antica poesia greca, e con freddi raziocini».
Vedesi in una gran piazza il real palagio di Edipo: alla porta di esso si osserva un altare, innanzi al quale si prostra un coro di vecchi e di fanciulli: si rileva dalle parole che in lontananza dovea vedersi il popolo afflitto radunato intorno ai due tempi di Pallade e al l’altare di Apollo.
Nel che è da osservarsi in confermazione del mio proposito, che l’uso del parlar figurato e comparativo tanto è maggiore in un popolo quanto è più scarso il linguaggio, e meno progressi v’ha fatto la coltura delle artie delle scienze. […] L’Imperatore Carlo VI cui l’Italia è debitrice in gran parte della sua gloria drammatica, era uno di que’ Signori a’ quali non aggradavano gli spettacoli sanguinari, non volendo che il popolo tornasse a casa scontento dal teatro10.
Qualora suppongasi non pertanto che la loro coltura diviene comune in un popolo, questa supposizione non può andare disgiunta dal sospetto della loro mediocrità, perocché abbandonate fra le mani del volgo o trattate da ingegni inferiori incapaci di sollevarsi fino a quell’altezza che richiede la loro natura, non può far di meno che non divengano triviali anch’esse, e che non contraggano la piccolezza e i pregiudizi di chi a dispetto pur di Minerva le vuol coltivare. […] Oltre che le decorazioni piacciono moltissimo al popolo, io ho desiderio di far vedere una bellissima dipintura d’una prigione e d’un bosco che si trovano nello scenario preso ad affitto.
Il rimanente del popolo assiste parimente senza sedere nel piano dopo la luneta chiamato patio (cortile).
Io dettava allora le appendici drammatiche sul Fieramosca, e il 5 luglio dell’ ’82, a proposito della rappresentazione di Frou-Frou, della quale era ancor vivo nel popolo fiorentino l’entusiasmo suscitato dalla Bernhardt, pubblicavo : Da un gran pezzo in qua non m’era accaduto di notare sul nostro teatro di prosa certi sgattajolamenti nervosi, certi contorcimenti serpentini, certi sfiaccolamenti veri, sentiti.
Ed io dimanderò di nuovo, se più pericolosi gli stimi nelle tragedie che per la loro grandezza riverberano meno sulle persone volgari, o ne’drammi cittadineschi al popolo di fortuna e di pensare più prossimi ? […] Mentre dividevasi il popolo tra Goldoni e Chiari, e sulle loro produzioni comiche si piativa ne’caffe di Venezia, comparve per terzo il conte Carlo Gozzi che finì di ristabilire tutte le passate stravaganze del teatro istrionico. Da prima quest’uomo di lettere pieno d’ingegno quasi scherzando prese a combattere i due competitori ; e si contentò di provar col fatto, che il concorso del popolo non era argomento sicuro del merito de’loro drammi. […] Sembra che a toglier forza al falso argomento del Gozzi patrocinatore delle irregolarità, e stravaganze teatrali, uscita fosse da Bologna una nuova luce per richiamare il popolo alla buona commedia. […] E chi se non questa schietta storia e questa serena filosofia sa discernere quel che può esser bello per un popolo solo e quello che lo sarà per molti ?
Nel popolo Nostro… Faz. […] Ecco ciò che con filosofica baldanza disse quel Francese erudito degl’Italiani: Un popolo che per gran tempo ha posto il proprio onore nella fedeltà delle donne (io son pronto a mostrare ad un bisogno a codesto Enciclopedista che tutta l’Europa, e singolarmente i Francesi, hanno in certo tempo posto il proprio onore nella fedeltà delle donne) e nella vendetta crudele de’ tradimenti amorosi (e pure dovea sapere l’autore del Belisario che non sono stati gl’Italiani che hanno più di una fiata portato sulla scena a’ giorni nostri i Fajeli che per gelosia strappano il cuore agli amanti delle Gabrieli di Vergy) per necessità dovè inventare nelle commedie intrighi pericolosi per gli amanti e capaci di esercitare la furberia de’ servi. […] Ora per verificare il principio fondato dal nomato autore che diede al teatro Cleopatra, bisognerebbe dimostrare che gl’Italiani in tal tempo fossero stati, come egli immagina, ad esclusione di ogni altro popolo, tutti gelosi e vendicativi.
Nel popolo Nostro . . . . […] Ecco ciò che con filosofica franchezza disse quel Francese degl’ Italiani: Un popolo che per gran tempo ha posto il proprio onore nella fedeltà delle donne (io son pronto a mostrare ad un bisogno a quest’ enciclopedista, che tutta l’Europa, e singolarmente i Francesi, hanno in certo tempo posto il proprio onore nella fedeltà delle donne), e nella vendetta crudele de’ tradimenti amorosi (e pure dovrebbe sapere l’autore del Belisario che non sono stati Italiani quelli che hanno portato più d’una fiata sulla scena a’ giorni nostri i Fajeli che per gelosia strappano il cuore agli amanti delle Gabrieli di Vergy) per necessità dovè inventa e nelle commedie intrighi pericolosi per gli amanti, e capaci di esercitare la furberia de’ servi. […] Ora per verificare il principio posto da questo autore che ha dato al teatro la Cleopatra, bisognerebbe dimostrare, che gl’ Italiani in tal tempo fossero stati, com’ egli immagina, ad esclusione di ogni altro popolo, tutti gelosi e vendicativi.
Egli insiste sul ruolo pedagogico del teatro, destinato ad insinuare nel popolo l’amore per la libertà: Or non vi è scuola più attiva ed efficace del teatro, la cui rivoluzione effettuerebbe il più presto possibile la compiuta rivoluzione del Popolo25. […] Sempre per incentivare il concorso universale, nel punto 11 si formula la possibilità di fare come ad Atene, dove si offrivano rappresentazioni al popolo, predisponendo almeno ogni dieci giorni uno spettacolo gratuito. […] La verità e la bellezza originale, che i monumenti superstiti delle arti loro tuttavia ci conservano, più che altro ci debbon render certi di quanto pregio esser dovesse la teatrale imitazione presso un popolo, che in altri generi l’aveva a tal segno perfezionata. […] Si crede che i Siciliani abbiano, più che ogni altro popolo, il talento e l’abitudine di parlare con gli occhi.
Questo monarca che guerreggiò con varia fortuna, specialmente con Anna di Austria sua sorella, come regina di Francia e madre di Luigi XIV, che non seppe riparare i mali dell’espulsione di un immenso popolo di Mori Spagnuoli, e che nutrì ne’ vasalli senza trarne vantaggio l’indole bellica ed il germe della decadenza nazionale, fu poeta e bell’ingegno egli stessoa, e nel proteggere le lettere moltiplico i bell’ingegni senza migliorarne il gusto. […] Candamo dunque dovea insegnare, non a disprezzare i libri, ma bensì a saperli scegliere per l’oggetto di studiar l’arte di regnare, e che questa si apprende non meno ne’ buoni libri che nel maneggio degli affari; altrimenti il popolo nella scuola pubblica del teatro porterà a casa un grossolano pregiudizio contro il sapere. […] Se volgeranno le cure ad allegerire il popolo dal pesante fardello delle leggi senza numero fra se talora discordi e talora avverse all’umanità, e quasi sempre bisognose di una legione di comentatori, come pensò in Napoli Carlo III Borbone, e come eseguì in Pietroburgo Caterina II col codice Russiano, se veglieranno poi all’esecuzione della nuova legislazione; essi renderanno i soggetti e se stessi felici e gloriosi.
Saverio, quelle Commedie andarono in disuso, perchè n’era manifesta la irregolarità, e perchè que’ caratteri di Duellisti, e Matasiete, che in Ispagna un secolo primo non parvero alieni dalla verisimiglianza, parvero ben tali in Italia dopo un secolo, e il popolo più non se ne dilettava.
Egli non è litigio novello, se il Poeta debba prefiggersi l’approvazione degl’intelligenti, o quella del popolo.
Il popolo potrebbe dirgli; passi che tu gli doni la vita; ma puoi tu divenire amico di un uomo dispregevole e privo di virtù?
Per natura egli ha lo stile dimesso ed umile assai accomodato a ritrarre, come fece, la plebe di Lavapies e de las Maravillias (contrade di Madrid abitate solo da un popolo minuto insolente) i mulattieri, i furfanti usciti da’ presidii, i cocchieri ubbriachi e simile gentame che alcuna volta fa ridere e spesso stomacare, e che La Bruyere voleva che si escludesse da ogni buon teatro.
Per dissipar tal nebbia, e mostrar chiaro Che per natura non è l’uom proclive Alla malvagità, prender potete Per giudice e ascoltar come un oracolo Il popolo raccolto in un teatro.
L’atto IV presenta un ambasciadore della madre di Corradino, che per la di lui libertà fa proposte di pace che son rigettate: un legato del papa che insinua a Carlo di non lasciar vivo il suo nemico: Corradino che va alla morte: il popolo che si solleva. […] Iroldo viene a dire che le guardie reali sono state disperse dal popolo, e che Corradino è vicino ad esser liberato. […] Amelia che malgrado della zuffa de’ cavalieri col popolo e della calca, e del decoro conveniente al suo sesso, è stata presso al palco, le ha tutte raccolte, e le ripete prima quel che Corradino disse al duca, che si chiude in nove versi appresso in altri sette quel che profferì sulla sua Geldippe, e termina ripetendo in sei versi quel che disse apostrofando i principi Aragonesi e gettando il guanto nella piazza. […] Nella 5 del IV: Cavossi il guanto, e lo si trasse in alto, volendo forse dire che lo gettò dal palco in mezzo al popolo ec.
» In verità bisogna essere un Welche, un ostrogoto, un candidato degli odierni gaulesi, come Monzù De la Harpe, per insultare con sì feroce stolidezza e calunniare con sì stupida insolenza la più ingegnosa e benemerita nazione europea, che pel suo pensar sodo, gentile e perspicace si é sempremai contraddistinta in ogni genere di arti e di scienze, e possiede capi d’opere da non portar invidia a qualsivoglia popolo antico e moderno, e ch’é stata anche dopo la distruzione dell’imperio romano il primo e gran deposito de i lumi della ragione, donde, come da un centro comune, sono partiti que’ raggi di viva luce lanciati dall’ingegno, che han risvegliato gli spiriti degli abitanti del rimanente dell’Europa.
Quanto poi alla morale istruzione, di grazia che mai può imparare da questi esempj un popolo, in cui passeranno molti e molti lustri senza che in esso avvengano misfatti sì atrocemente combinati?
[32] Tai prodigi sono certamente favolosi, se per prodigi intendete il far camminare i boschi e le montagne come faceva Orfeo, il guarire il popolo tebano dalla sciatica al suono del flauto, come si narra di Meria, l’inalzar al suono della lira le muraglie di Tebe come dicesi d’Anfione, o il farsi ubbidire dai delfini, come si racconta da Arione. […] Il popolo italiano ora non chiede che panem, et circenses, come facevano i Romani a’ tempi di Giovenale. ecc.»
Questo monarca che guerreggiò con varia fortuna, specialmente con Anna di Austria sua sorella come regina di Francia e madre di Luigi XIV, che espulse un popolo di Mori Spagnuoli, e che nutrì ne’ vassalli senza trarne vantaggio l’indole bellica ed il germe della decadenza nazionale, fu poeta e bell’ ingegno egli stesso102 e nel proteggere le lettere moltiplicò i begl’ ingegni senza migliorare il gusto. […] Candamo dunque dovea insegnare, non a disprezzare i libri, ma bensì a saperli scegliere, e che l’arte del regno ne’ buoni libri si apprende non meno che nel maneggio degli affari; altrimenti il popolo nella scuola pubblica del teatro porterà a casa un grossolano pregiudizio contro il sapere.
Per dissipar tal nebbia, e mostrar chiaro Che per natura non è l’uom proclive Alla malvagità, prender potete Per giudice e ascoltar come un oracolo Il popolo raccolto in un teatro.
Quanto poi alla morale istruzione, di grazia che mai può imparare da simili esempi un popolo, in cui passeranno molti e molti lustri senza che in esso avvengano misfatti sì atrocemente combinati?
Il Coro loda la bellezza di Poppea; e un messo enuncia il tumulto del popolo pel ripudio di Ottavia.
«Il poeta Francese ha dovuto lusingare la debole delicatezza della sua nazione; ed Euripide nelle stesse circostanze non si sarebbe altrimente comportato, ed avrebbe avuta la stessa indulgenza per un popolo che dovea essere il suo giudice.»
Da questo racconto giustificato dalla ragione, da’ fatti e dall’autorità de’ medesimi eruditi nazionali, si ricava che gli Spagnuoli nel XVI secolo più di ogni altro popolo si appressarono agl’ Italiani.
Da questo racconto giustificato dalla ragione, da’ fatti e dall’autorità di eruditi nazionali, si ricava che gli Spagnuoli nel XVI secolo più di ogni altro popolo si appressarono agl’Italiani.
Celia in esse riconosce la veste del marito traforata e sanguinosa, e trasportata dal dolore inveisce contro il fratello uccisore, indi vedendolo venire circondato dal popolo e acclamato, gli si presenta colla chioma scarmigliata e con tutti i segni del più vivo dolore.