I Poeti Provenzali, che per quanto chiaramente ricavasi da due passi del Petrarca l’uno del Trionfo d’Amore cap. 4, e l’altro della Prefazione alle sue Epistole Famigliari, vennero dopo i nostri Siciliani a verseggiare e a far uso della rima nelle moderne lingue volgari, si distinguevano con varj nomi secondo i loro varj mestieri, in Troubadores, cioè trovatori, così detti dal trovar prontamente le rime, e dall’inventar favole verseggiando, in Canterres, o cantori, i quali cantavano i versi composti dai Trobadori, e in Giullares, o siano Giucolari, o Giullari, che vale lo stesso che giocolieri, o buffoni, i quali nelle pubbliche piazze, o nelle fiere intertenevano il popolo con varie buffonerie, sonando qualche stromento, o sollazzavano i conviti de’ Principi e gran Signori con canti, suoni e balli, celebrando le gesta de’ Paladini, e le bellezze delle donne.
Terenzio neppure di tal gregge fece uso; ond’è che nè anche da ciò derivare il farfallone di certo Francese, il quale, come narra Madama Dacier, lodava i cori delle commedie di Terenzio .
Terenzio neppure di tal gregge fece uso; ond’è che nè anche da ciò potè derivare il farfallone di certo Francese, il quale, come narra Madama Dacier, lodava i cori delle commedie di Terenzio (Nota XVII).
Egli dice : Il suo teatro non è scritto in dialogo, ma solamente esposto in semplici scenarj, che non sono così concisi come quelli di cui facciamo noi uso, e che esponiamo attaccati ai muri del teatro dietro le quinte, ma che pure non sono tanto prolissi da poterne trarre la minima idea del dialogo : essi spiegano soltanto ciò che l’attore deve fare in scena, e l’azione di che si tratta, e nulla più.
Ligurio parassito gli dice, ch’egli forse avrà briga di andar colla moglie a’ bagni, perchè non è uso a perdere la cupola di veduta. […] Nè il Geloso del Bentivoglio avrebbe dovuto essere da lui ignorato, per poco che avesse l’uso di fornirsi di dati certi prima di fondar principj filosofici; mentre le poesie e le commedie di questo nostro illustre scrittore s’ impressero in Parigi dal Furnier l’anno 1719, e si dedicarono da Giuseppe di Capoa a monsignor Cornelio Bentivoglio d’Aragona nunzio di Clemente XI al re Cristianissimo. […] Scusandosi nel prologo di avere ideato senza esempio un argomento, non solo doppio, come facevano gli antichi, ma interzato, dice però di avere in ogni altra cosa seguitato il loro uso. […] Queste farse istrioniche aveano per oggetto l’eccitare il riso con ogni sorte di buffoneria, e vi si faceva uso di maschere diverse, colle quali nel vestito, nelle caricature e nel linguaggio si esagerava la ridicolezza caratteristica di qualche città.
In tal guisa mescolandosi si allucinano a vicenda, fanno uso promiscuamente de’ medesimi caratteri e affetti, o più non si riconoscono, né si distinguono dall’occhio più acuto. Né ciò ballando, come se avessero sotto gli antichi nomi commesso gran forfatti, per non essere ravvisate si annunziano sotto nomi novelli, facendo un uso totalmente improprio e speciale de i generici titoli di dramma e di rappresentazione.
[4.171ED] In due cose, al mio credere, consiste la legge di una lingua: la prima sono i vocaboli, la seconda si è l’uso loro. [4.172ED] Certo è che quanto ai vocaboli una lingua viva sempre dee crescere e la stessa Accademia della Crusca col suo moderno Vocabolario e maggiormente con un altro che più copioso sta preparando, dà a divedere che questa lingua non ha finito di crescere e di arricchire. [4.173ED] Rispetto poi all’uso de’ vocaboli, soggiace ad una legge che in due si divide ed è che un uso debbano aver nella prosa, un altro nel verso, ed una collocazione o giacitura nella prosa, un’altra nel verso, donde poi viene come il periodo debbasi tessere e il verso assestare: dimodoché se a’ tempi di Dante, del Boccaccio e del Petrarca dovette la lingua italiana ricevere le sue regole stabili per l’avvenire, dovette ancora limitare i propri vocaboli agli usati da quegli autori, lo che è contro l’esperienza; e dovette limitare altresì l’uso de’ vocaboli stessi alle regole prescritte da quelli sì nel verso che nella prosa, usando in quella la misura e la rima, in questa il numero del periodo raggirato, lo che contradice al nostro giureconsulto quando asserisce che lo stato della lingua italiana è quello de’ rimatori e poi condanna la rima. […] [5.106ED] L’uso comanda che il tuo melodramma sia diviso in tre atti perché, se in cinque lo partirai, potresti far credere di voler esporre al popolo una tragedia e ti faresti debitor follemente di quelle regole che in nessuna maniera potresti poi osservare. [5.107ED] Nell’atto primo sarà tua cura il preparar gli ascoltanti all’intreccio, dando loro la necessaria notizia degli eroi che battono il palco, degli antefatti opportuni alla cognizione sia della favola sia della storia, e facendo la prima mostra de’ caratteri, almeno de’ principali, che dovranno intervenire all’azione. […] [5.140ED] Le arie semplici, alcune diremo escite, altre ingressi ed altre medie. [5.141ED] Dalla denominazione medesima si dedurrà l’uso loro. […] [5.243ED] Che se tanto si loda il sonno perché i sensi della miserabile umanità legando li astrae e li rende per poche ore immuni dalle sventure, quanto sarà mai più pregevole un’arte che senza sospenderci l’uso del vivere come fa il sonno, detto per ciò fratel della morte, ci fa viver estatici in una quiete deliziosa e contenta, co’ sensi veglianti, ma lieti e veramente felici?
Come la regola loro di pensare e di vivere non è il sentimento ma l’uso, così non vanno al teatro a fine di risentire il piacevole incanto dell’arte drammatica, ma perché vi vanno gli altri soltanto.
I Traci spiccarono nella saltazione bellica, della quale facevano uso ne’ gran conviti.
I Traci spiccarono nella saltazione bellica, della quale facevano uso ne’ gran conviti.
Così segue del contrappunto, l’uso moderato del quale non può esser che buono; ma abusandone, cioè volendo comporre a troppe parti unite, e per conseguenza a troppe varie cantilene eseguite tutte in un tempo, come segue nel contrappunto, cori diversi, e nelle fughe in quelle specialmente a più soggetti, non può nascer altro sicuramente che un gran danno alla buona melodia ch’è quella accompagnata con poca e discreta armonia ossia poco contrappunto.» […] Egli asserisce p. e. che gli intervalli che sono in uso nella nostra armonia si riducono all’ottave, due settime, due seste, due terze, una quinta, una quarta, la seconda, il tuono, e il semituono, come se questi due ultimi non fossero due altre seconde, cioè la maggiore e la minore, e come se anche quasi tutti gli altri intervalli non fossero triplicati a riserva dell’ottava, ch’è d’una sorte sola.» […] Ei mi rimprovera perché noverando gli intervalli che sono in uso nella nostra armonia, non ho fatto parola delle due seconde maggiore e minore, e perché non ho detto che tutti gli altri intervalli a riserva dell’ottava sono triplicati. […] Ma fin tanto che il dotto scrittore non s’accigne a così magnanima impresa, noi continueremo a far uso dell’edizioni che abbiamo, e a prestar fede a que’ dotti commentatori, l’osservazioni de’ quali non ci fanno punto vedere ne’ drammi greci quelle rassomiglianze coi nostri ch’egli pretende che vi siano.
Euripide in prima taccia l’emulo come superbo; gli rimprovera che in lui il Coro soleva guastar l’ordine del canto, quattro volte tacendo; ne censura l’uso delle parole strane ignote agli spettatori. […] Con simili inezie il poeta in due pennellate avvilisce le ricerche minute intorno a certi insetti di niun uso continuate per una serie di anni da pseudonaturalisti, i quali appo il volgo vogliono passare per ingegni rari applicandosi con affettata diligenza a indagare le meno importanti produzioni naturali. […] Spera adunque che la presente sia ugualmente accetta, perchè niuna indecenza niuna bassezza porta seco, come quelle degli altri Comici, i quali fanno uso di vesti lacere….. per far ridere i fanciulli. […] Ὶππος senza dubbio ha prodotto Ὶππεις, cavalieri, per lo nobile uso che essi fanno del cavallo.
Non so se nell’auto riferito Calderòn si propose ancora in grazia del sublime e del maraviglioso di mentovar l’uso del chocolate prima della venuta di Cristo; almeno non costa che gli Angeli avessero fatto uso ancora di questa pozione Messicana. […] Nella commedia el Amor al uso (che Tommaso Corneille tradusse ed intitolò l’Amour à la mode) Solis ha pure rappresentata un’ azione che si compie in ventiquattro ore. […] Notabile nonpertanto per le stravaganze è il carattere originale di Don Domingo, cavaliere onorato e valoroso, ma talmente innamorato del proprio comodo e così avverso a quanto possa torgli il menomo uso della propria libertà, che giugne all’eccesso e ne diviene ridicolo.
Se ne rigetti la versificazione, si censuri l’uso frequente de’ latininismi, l’affettazioni di alcune comparazioni poste in canzonette, il modo di sceneggiare all’ antica. […] E quanto alle nutrici (qualora voglia concedersene l’uso) puo accordarsi loro certa specie di coltura ove si rifletta, che esse punto non rassomigliano alle moderne balie, ma si supposero sempre persone di distinta condizione, e compagne delle regine sino alla loro morte. […] Volle il Conti far uso de’Cori per riunire alla tragica rappresentazione la musica che le conviene ; e questa può esser forse una delle ragioni, per cui i commedianti più non le rappresentano, schivandone la spesa. […] Si noti che dalla Merope, dalla Demodice e dalla Didone si sono esclusi i cori, e l’uso in seguito n’è passato quasi del tutto. […] Ella sviene, e ripigliando l’uso de’sensi si trova tralle braccia del tanto sospirato e pianto consorte.
E quando non fossero per voi di uso veruno, potranno essi per avventura giovare a qualche altro, che si sentisse inclinato a scrivere Apologie.
La Commedia Italiana de’vecchi tempi non sapeva ancora che cosa volesse significare la frase far forno (chiudere il teatro per mancanza di pubblico) in uso oggidì con poco decoro dell’arte.
La signora Duse ha una recitazione tutta sua propria, piena di originalità e di colore individuale, che pare negletta, ed è studiata, che sembra faticosa ed è spontanea, che non stupisce e non colpisce per l’uso e l’abuso dei grandi mezzi, ma seduce, incanta, trascina per un certo profumo di verità, per un fascino sottile di naturalezza, per un fremito di passione che sgorga, irrompe e si propaga rapidamente nella massa degli spettatori.
— Raccolta di vari motti arguti, allegorici, e satirici ad uso del teatro.
Ligurio parassito gli dice, che egli forse avrà briga di andar colla moglie a’ bagni, perchè non è uso a perdere la cupola di veduta . […] Nè il Geloso del Bentivoglio avrebbe dovuto essere da lui ignorato, per poco che avesse l’uso di fornirsi di dati certi prima di fondar principii filosofici: mentre le poesie e le commedie di questo nostro illustre scrittore s’impressero in Parigi dal Furnier l’anno 1719, e si dedicarono da Giuseppe di Capua a monsignor Cornelio Bentivoglio d’Aragona Nunzio di Clemente XI al re Cristianissimo. […] Scusandosi nel prologo di avere ideato senza esempio un argomento, non solo doppio, come facevano gli antichi, ma interzato, dice però di avere in ogni altra cosa seguitato il loro uso.
S. vuole aggiugnergliele ora, non so da che spirito mossa, oltre alla gran fatica ch’ella imprenderà a compire quattro canzonette colle circostanze richieste alle così fatte, le accrescerà bene il coro, ma le scemerà il decoro: e dico scemerà, e non leverà, per non dannare affatto l’uso di tutti quei poeti che alle loro il fanno ; e fra tali poeti si vuol ripore l’istesso Manfredi che il fece alla sua boschereccia.
S. vuole aggiugnergliele ora, non so da che spirito mossa, oltre alla gran fatica ch’ella imprenderà a comporre quattro canzonette colle circostanze richieste alle così fatte, le accrescerà bene il coro, ma le scemerà il decoro; e dico scemerà, e non leverà, per non dannare affatto l’uso di tutti quei poeti che alle loro il fanno; e fra tali poeti si vuol riporre l’ istesso Manfredi che il fece alla sua boschereccia.
Il marchese Maffei con due commedie in versi il Raguet e le Cerimonie regolari e bene scritte combattè due difetti correnti, cioè il corrompimento del patrio idioma coll’ affettato barbaro uso delle formole francesi, e l’importunità rincrescevole de’ molesti complimenti vuoti di verità.
S. e conforme l’uso natio dell’heroica bontà di così gran Principessa fu sempre come figlia sacramentale dall’ A.
Se nel recitare si hà come credo ad imitar l’uso del parlar familiare, giudicarei, che quel recitar cosi adagio, e con tardità come dite, togliesse il naturale al dire. […] Siate certo che non gle le toglie in parte alcuna, per che, oltre che il fauellare adagio, non concedo io che sia mal uso, anzi l’ approuo per proprio delle persone piu graui [et sempre si deono imitare i migliori] bisogna poi anco al recitante auuertire di più in questo caso, che egli hà da dar tempo alli spettatori di poter capir comodamente i concetti del poeta, et gustar le sue sentenze, non sempre comuni, e trite.
Per mettere con chiarezza sotto gli occhi quanto stimava necessario per intelligenza della favola, egli sempre fece uso del prologo, là dove Sofocle senza prologo esponeva a maraviglia lo stato dell’azione. […] I giovani non ne sapranno che un neo forse in parte scusabile per la veemenza della passione che rare volte lascia all’uomo tutto l’uso della sua ragione; e forse da queste critiche esagerate su i difetti più che su i pregi degli antichi proviene la moderna non curanza delle favole Greche e l’idolatria per le romanzesche degli ultimi tempi. […] Quando poi i moderni, partendo da altri principj e accomodandosi al gusto e a i costumi correnti, fanno uso di nuovi ordigni per cattarsi l’attenzione degli spettatori di questo tempo, essi fanno gran senno e meritano somma lode.
Dall’altra parte il Cueva asserisce (secondo alcuni versi di lui rapportati dal Lampillas in Italiano), che il Malara, guardando obediente l’uso antico nelle Commedie entrò “. . . . per la stretta via “Illustrando la Comica Poesia.”
Il Vives p. e. in una Lettera ad Erasmo si ride della puerilità di certo amico suo, che l’esortava a leggere per due anni interi le Opere di Cicerone, furore che prese gli animi di molti, e subito il Signor Lampillas conchiude che il Vives biasimava il gusto di Latinità degl’Italiani, facendo uso della solita aritmetica apologetica, per cui quel certo amico, quell’Uno si converte in Tutti.
Ma non tollerando il governo di veder delusa la sua speranza di correggere la mordacità de’ poeti, viene il far uso in qualunque modo di soggetti veri, e impose silenzio al coro incapace di cambiar natura49.
Ennio con certa invida rivalità ne’ suoi Annali volle motteggiar Nevio come poco elegante ne’ libri della prima guerra Punica, ne’ quali fece uso de’ versi Saturnii. […] Somministra il titolo a questa favola un vase o pentola ripiena di oro d’intorno a quattro libbre di peso trovata dal vecchio Euclione, il quale avvezzo alla miseria da tanti anni non sa far uso di quel danajo, e di bel nuovo lo seppellisce.
Quando Molière tornò il ’58 a Parigi, dovuto abbandonare dopo la sua prigionia pei debiti ch’egli s’era assunti della Società dell’ Illustre Teatro, dovè divider con Scaramuccia e gl’ Italiani l’uso della Sala del Petit-Bourbon.
Con tali fondamenti e con verisimili eventi vien condotta Ormesinda difenditrice della fortezza di Martos prigioniera in Fez dal re Albumasar che le salvò la vita e ne restò innamorato e ne ambisce con un amor rispettoso, oltre l’uso della sua nazione, la mano, e le offre il suo scettro. […] Era in abito succinto, o con gran falbalà, o avea forse il cortile, giacchè v’è l’uso di dar in oggi ai vestiti de’ nomi stravaganti? […] L’invenzione di troavrsi eseguita la morte del reo dopo la grazia ottenuta, è bene invecchiata per l’uso fattone più volte. […] L’orrore secondo l’uso de’ buoni Toscani fa arricciare o rizzare i capegli; ma l’avvolgere, parlandosi di capegli, meglio si riserba ad esprimersi una studiata coltura di essi, Che in mille dolci nodi gli avvolgea.
Era in abito succinto, o con gran falbalà, o avea forse il cortile, giacchè v’è l’uso di dar in oggi ai vestiti de’nomi stravaganti ! […] Abbiansi i Guastatutto come poveri l’ uso della rete ; i Pigliapoco la cura di rattopparla e custodirla ; Pigliatutto che l’ ha inventata, ne sarà l’arbitro. […] Se altro desiderino, il dica per tutte una di esse, e segnatamente Omero, il quale assicura che si vuoterebbero gli Elisii, se rimarrebbe fisso l’uso della finestrina, indi rivolto alle Ombre così conchiude : Ombre or dunque a me coro risonante Fate eccheggiando che mai più in eterno S’abbia a parlar di far le finestrine, Fuorchè a finestra sua ben spalancata Venga colui che vorrà aprirle a noi. […] L’orrore secondo l’uso de’ buoni Toscani fa arricciare o rizzare i capegli, ma l’avvolgere, parlandosi di capegli irti per l’orrore riesce troppo attillato, ed i dotti nella lingua lo riserbano col gran Toscano ad una studiata coltura di essi, Che in mille dolci nodi gli avvolgea.
Una società di marina destinata a fornire a’ poveri giovanetti i mezzi di fargli venire a Londra da ogni parte per apprendere il mestiere di marinajo per uso de’ vascelli di guerra, vi fu stabilita verso la metà del secolo.
Una società di marina destinata a fornire a’ poveri giovanetti i mezzi di fargli venire a Londra da ogni parte per apprendere il mestiere di marinajo per uso de’ vascelli di guerra, vi fu stabilita verso la mettà del passato secolo.
Fece in esse sempre uso del prologo per mettere con chiarezza sotto gli occhi dello spettatore quanto stimava necessario per l’intelligenza della favola; ma Eschilo e Sofocle senza prologo seppero esporre a maraviglia lo stato dell’azione.
Terenzio neppure di tal gregge fece uso; ond’é che né anche da ciò poté derivare il farfallone di quel letterato francese, il quale, per quanto rapporta madama Dacier, estatico lodava i cori delle commedie di Terenzio90.
Somministra il titolo a questa favola un vaso o pentola ripiena d’oro d’intorno a quattro libbre di peso trovata dal vecchio Euclione, il quale avvezzo alla miseria da tanti anni non sa far uso di quel danajo, e di bel nuovo lo seppellisce.