[Sez.III.2.1.3] Né la sola ragione, ma l’esperienza altresì maravigliosamente conferma l’esposta legge dello stil teatrale. […] Il maestro di cappella, che attualmente legge queste nostre osservazioni sulla musica teatrale, ride della dabbenaggine di que’ cittadini. […] Una legge della visione, osservata esattamente dalla pittura, si è che quanto più un oggetto s’allontana, tanto più il suo colore ammortisce. […] Il testo (la princeps è del 1568) si legge ora in A. […] Filippo Neri [incipit: «Ben puoi scherzando»], vv. 43-48, si legge in: G.P.
Soggiaceva alla pena della legge Cornelia chi avesse castrato un uomo82. […] Ma una filza inutile di nomi di scrittori d’opere in musica di tal secolo sarebbe una narrazione ugualmente nojosa per chi la legge e per chi la scrive.
[commento_3.5] Dante, Inferno, V, v. 56: «che libito fé licito in sua legge».
Orazio legge; è una lettera di Amlet che dice: “Orazio, come avrai letta questa lettera, dirigerai gli uomini che te la recano, al re, pel quale ho dato loro un altro plico.
Non increscerà a chi legge, che per dare una idea de’ teatri francesi del tempo del Mairet, io accenni una parte di ciò che ne disse ne’ suoi Dialoghi il sig.
Se gli artisti conoscessero il vero loro interesse, dovrebbero unirsi in società e quindi operando a loro senno, dar la legge a questi miserabili speculatori senza senno nè mezzi e fare il loro interesse.
Dovè parimente cantarsi la canzone di Selvaggio nell’atto I, Che mi rileva errar per gli ermi boschi, che contiene cinque stanze colla rigorosa legge del metro regolare.
In tutti gli oggetti egli spande la propria sensibilità: riscalda ed avviva la stessa politica, come fece specialmente nel Sertorio e nell’Attila: con un tratto di pennello imprime in chi legge o ascolta la più sublime idea.
= fu spedita al concorso dell’ anno passato, prima che uscisse alle stampe, quantunque per una strana combinazion d’accidenti non fosse poi esaminata; non ha creduto potersi dispensare dal farne la dovuta rappresentanza all’augusto Real Mecenate; il quale derogando al tempo e a qualunque contraria legge o costumanza si è degnato permetterne, anzi ordinarne l’ intempestivo scrutinio.
Tralle di lui opere poetiche impresse in Saragoza nel 1619 si legge la Gloria de Niquea recitata dalla Regina colle sue dame, dove intervengono pastori, deità, il Tago ed il mese di Aprile. […] Per un intrigo amoroso di una damigella questa lettera passa nelle mani della stessa Marianna, che con somma maraviglia e dolore ne legge il contenuto. […] E quando in servitù vuoi pur ch’io viva, Dia legge a me chi innammorar te seppe ; Lei servirò ; nè più avvilir si puote Disingannato amor, femminil fasto.
Tralle di lui opere poetiche impresse in Saragozza nel 1629 si legge la Gloria de Niquea recitata dalla regina colle sue dame, dove intervengono pastori, deità, il Tago ed il mese d’aprile. […] Per un intrigo amoroso di una damigella questa lettera passa nelle mani della stessa Marianna che con somma maraviglia e dolore ne legge il contenuto. […] E quando in servitù vuoi pur ch’io viva, Dia legge a me chi innamorar te seppe.
Ma questa è la smania de’ follicularj famelici, voler dar legge di tutto tutto ignorando. […] Rileva di più l’editore, che se i Franzesi dividendo le favole in cinque atti hanno la libertà di abbandonar quattro volte la scena, l’autore della Rachele privandosi spontaneamente di sì comodo sussidio riduce a un atto la sua, perchè quantunque divisa in tre giornate, nè vi s’interrompe l’azione, nè da una giornata all’altra s’interpone tempo, la qual volontaria legge impostasi dal poeta, dà un singular merito à su obra.
Saverio, che il Signorelli non si allontana da’ sentimenti de’ Critici Spagnuoli nel giudicare de’ supraccennati Drammatici, e non legge alla sfuggita, nè sopprime i fatti, nè abbisogna di far dire a’ Giraldi quello che non dissero mai.
E chi la legge degli stranieri e de’ nazionali!
Con un tratto di peunello imprime in chi legge o ascolta la più sublime idea.
Nella terza scena del III in cui si parlano la prima volta dopo la lor divisione Basilio e Chiteria, la tenerezza disgraziata aumenta a meraviglia l’interesse, e commuove e penetra nell’intimo dell’animo di chi legge o ascolta.
Per esse la poesia comica nulla ha guadagnato, benchè l’intenzione morale dell’autore fu di manifestar le conseguenze perniciose delle nuove massime de’ filosofi d’ultima moda, per li quali non v’ha nè legge nè virtù veruna.
Ma la ludicra così introdotta in Roma insensibilmente si perdé e confusa nelle satire fescennine, le quali continuarono a coltivarsi dopo esser della loro troppa acrimonia e maldicenza personale corrette e menate dalla legge al solo oggetto d’instruire e dilettare. […] Quantunque per la legge del dittator Publilio Filone la repubblica fosse stata dichiarata libera popolare, il popolo romano esercitava la somma potestà legislatrice quando ne’ comizi tributi, quando ne’ centuriati, e quando per bocca dell’intero senato.
Ma questa è la smania de’ follicularii famelici, voler, tutto ignorando, dar legge di tutto. […] Rileva di più l’editore, che se i Francesi dividendo le favole in cinque atti hanno la libertà di abbandonar quattro volte la scena, l’autore della Rachele privandosi spontaneamente di sì comodo sussidio riduce a un atto la sua, perchè quantunque divisa in tre giornate, nè vi s’interrompe l’azione, nè da una giornata all’altra s’interpone tempo , la qual volontaria legge impostasi dal poeta, dà un singular merito à su obra .
Nel Deuteronomio (cap. 23. v. 1.) si legge questo divieto: «Non ingrediatur Eunuchus adtritis, vel amputatis testiculis et abscisso veretro in Ecclesiam Domini.» […] «In ultimo luogo (dice egli parlando d’una comitiva) veniva un gran numero di eunuchi col volto di fanciulli benché fossero vecchi, di colore gialliccio, di fiosonomia disuguale e deforme; attalché, ovunque il popolo si scontrava in codeste truppe di uomini mutilati, malediva la memoria dell’antica regina Semiramide per essere stata la prima a recidere in cotal guisa le membra dei teneri garzonetti, come avesse voluto sforzar la natura distraendola dalle vie istituite da lei che sin dalla prima origine della vita va con tacita legge preparando i fonti della fecondità, onde propagare la spezie.»
L’ultima circostanza è più d’ogni altra legge necessaria alla pantomima, perché non avendo verun altro compenso, qualora non esprima una qualche situazione viva dell’anima, essa non significa niente. […] Io non dico se bene o male s’avvisasse Licurgo così pensando, giacché non sarebbe questo il luogo d’entrare in siffatra ricerca, ma dico che tale fu realmente lo spirito di quella sua legge non compreso per niente dall’Elvezio.
Orazio legge; è un foglio di Amlet che dice: Orazio, come avrai letto questo foglio, dirigerai gli uomini che te lo recano al re, pel quale ho dato loro un altro plico.
., che Giocasta spaccia massime contra i preti, Zaira sulla legge naturale, e Alzira intorno al suicidio.
La scena di Edipo e Giocasta in Sofocle tira l’attenzione di chi legge, mentre quanto Giocasta adduce per dissipare i timori del re, tutto sventuratamente serve per aumentarli e per accendere vie più in lui la curiosità di abboccarsi col pastore.
Produce ottimo effetto la tragica situazione di Timandro e de’ figli, i quali nella scena terza dell’atto II a prova accusano ciascuno se stesso per liberare il fratello dalla colpa e dal pericolo; ed anche la scena settima, nella quale sono convinti nell’Areopago col foglio da essi sottoscritto, e vi si legge la loro energica giustificazione. […] Ma questo dubbio che molesterà chi legge o ascolta, si dilegua all’arrivo di Telemaco salvo e di Ulisse vincitore.
La scena di Edipo e Giocasta in Sofocle tira l’attenzione di chi legge, mentre quanto Giocasta adduce per dissipare il timore del re, tutto sventuratamente serve per aumentarli e per accendere vie più in lui la curiosità di abboccarsi col pastore.
In effetto egli purga quest’argomento tanto dell’ episodio degli amori di Teseo e Dirce, alieni dall’avventura di Edipo, introdotto con mal consiglio dal padre del teatro francese, quanto di quello non meno eterogeneo della galanteria di Filottete che con rincrescimento si legge nell’Edipo del Voltaire.
Don Nicolàs Antonio che parla distesamente del Naarro di Torres, afferma solo che dimorò in Roma in tempo di Leone X, e vi scrisse alcune satire contro i cardinali (e nella Propaladia ancora se ne legge una), e dovè scapparne via e rifuggirsi a Napoli in casa di Don Fabrizio Colonna.
Dura legge d’Amor !
Don Nicolas Antonio che parla distesamente del Naarro de Torres, afferma solo che dimorò in Roma in tempo di Leone X, e vi scrisse alcune satire contro i cardinali (e nella Propaladia ancora se ne legge una) e dovè scapparne via e rifuggirsi a Napoli in casa di don Fabrizio Colonna.
E’ notabile nell’atto II la scena delle due sorelle Antigone ed Ismene, ciascuna delle quali, disprezzando la morte, accusa se stessa a competenza d’aver trasgredita la legge.
E purché l’uomo di gran virtù non sia esente da qualche difetto, io contro il parer d’Aristotele lo giudico secondo la cristiana legge idoneissimo fra tutti. […] Li Francesi quasi sempre l’osservano e si possono dire inventori di sì bella legge, benché a dir vero certi moderni non abbiano sempre un ordine sì naturale, come Cornelio e Racine. […] Ma egli prende un granchio, prima perché non occorrono artifizi per dare a vedere l’imitazione, la quale è già nota a chiunque sente o legge tragedie; inoltre le fanciulle per la riconoscenza dell’artifizio ammirerebbon bensì quella immagine, ma l’interesse e la compassione che ne avrebbono deriverebbe dalla fantasia che nonostante il disinganno dello ’ntelletto riceve le impressioni dell’obbietto finto con un commovimento simile a quello del vero. […] Un simil saggio si legge in altra scena, ove parla Atreo alla pietà: Lâche, et vaine pitié que ton murmure cesse: Dans les cœurs outragés tu n’es qu’une faiblesse. […] L’altra all’incontro ha de’ motivi veri, ed avvalorati dalla natura de’ nostri risentimenti: però sarebbe più disposta a muover pietà, se la sua vendetta violando ogni legge d’umanità non eccedesse que’ termini oltre i quali non può sperarsi umano compatimento.
Non pertanto la veste allora addossata in Italia alla Casina, ha la foggia, il colore, i fregi, tutto vivace e moderno, e sì ben rassettata, che par nativa di Firenze, e non della Grecia; per le quali cose tira l’attenzione di chi legge o ascolta, e l’interesse che risveglia la preserva dalla pretesa lentezza e languore.
Non per tanto la veste allora addossata in Italia alla Casina, ha la foggia, il colore, i fregi, tutto vivace e moderno, e sì ben rassettata, che par nativa di Firenze e non della Grecia; per le quali cose tira l’ attenzione di chi legge o ascolta, e l’interesse che risveglia la preserva dalla pretesa lentezza e dal languore.