Ne’ tempi felici dei Leo, dei Pergolesi e dei Vinci l’attenzione di que’ sommi maestri era unicamente rivolta a far valere il canto e la poesia, e non gli stromenti, avvisandosi con gran giudizio che questi altro non essendo che una spezie di commento fatto sulle parole, era una stoltezza da non sopportarsi che primeggiassero essi sulla voce e sul sentimento, come non potrebbe non tacciarsi d’ignoranza un grammatico che dasse maggior pregio alle illustrazioni di Servio o de la Cerda sulla Eneide di Virgilio che non al testo istesso del divino poeta. […] Lo spettatore non può a meno di non riconoscere l’inganno, sentendo il cantante che rallenta all’improviso il corso della passione, che sospende e tronca il pendio naturale del periodo per dar luogo agli strumenti; dovechè il sano giudizio vorrebbe che il passaggio dal recitativo all’aria fosse naturalissimo e pressoché insensibile. […] Ma quando le arti hanno presa la lor consistenza, quando le idee della bellezza nei rispettivi generi è bastevolmente fissata, quando la moltiplicità de’ confronti ha messo al crogiuolo del tempo e del giudizio pubblico le opinioni, gli errori, le verità, e le produzioni degli artefici, allora una licenza illimitata produce l’effetto contrario.
III nel IV la scena terza del giudizio di Agide. […] L’impressione giustificò il giudizio del pubblico che la derise. […] Eggardo in grazia di Elfrida accorda che resti Adelvolto, ma lo sottomette al giudizio de’ Pari, che ben sa Elfrida che sia giudizio di sangue. […] Il noto giudizio e la pratica teatrale dell’autore dovea renderlo docile e non ostinato, come volle mostrarsi rimettendo nel dramma tali superfluità che annojano sempre in ogni luogo, e più sul finire. […] Il Calsabigi è anche autore dell’opera mitologica intitolata il Giudizio di Paride, della quale è fama che il Poeta Cesareo chiesto del suo avviso, affermò con acconcio ed urbano scherzo che vi si rappresentavano tutti i novissimi eccetto il giudizio; la qual cosa può dirsi ancor più delle fue Danaidi.
Filippo Nericault des Touches nato in Tours nel 1680 e morto nel 1754 le cui commedie cominciarono a rappresentarsi nel 1710, possiede arte e giudizio, ed anche spirito comico, benchè non possa sostenere il confronto della piacevolezza di Regnard, e molto meno dello stile e delle grazie di Moliere. […] Tra gl’Italiani della stessa compagnia ne compose anche il lodato Riccoboni che si stimò il Roscio Italiano di que’ tempi pregiato sommamente da Pier Jacopo Martelli, dal marchese Scipione Maffei, e dall’abate Conti, non meno che da varii leterati Francesi che frequentavano la di lui casa, e scrisse della tragedia e della commedia con molta erudizione e giudizio; come pure la di lui moglie che componeva assai bene in italiano, intendeva il latino, ed alcun poco il greco, e sapeva a fondo la poesia drammatica, e tralle altre sue opere scrisse alcune commedie, ed una dissertazione sulla declamazione teatrale che ella stessa egregiamente eseguiva, e singolarmente allorchè rappresentò ne’ nostri teatri la parte di Merope nella tragedia del Maffei.
Sofocle decrepito poco prima di morire fu da Jofante suo figliuolo chiamato in giudizio e accusato di fatuità; ed il poeta, per convincere i giudici della falsità del l’accusa, presentò e lesse loro l’Edipo Coloneo da lui scritto in età tanto avanzata; ed essendone stato ammirato rimase egli assoluto, e l’accusatore stesso dichiarato insanoa.
Dei Greci (sugerisce il giudizio ed il gusto) vuolsi imitar lo spirito e non il portamento e le spoglie esteriori. […] Ma se ne comenti la regolarità e il giudizio, e si vegga il filosofo e l’erudito nell’ artificiosa pittura de’ moderni costumi applicata a’ personaggi delle sue favole imitando l’arte di satireggiare di Euripide, specialmente nel Papiniano. […] Regolarità, interesse, giudizio nella traccia della favola, destrezza nel colorire i caratteri, sentimenti grandi, nulla a lui manca per esser collocato tra’migliori tragici. […] Deh taci… Ma i monologhi di Appio e di Virginio in parte narrativi, la durezza e l’oscurità prodotte nelle maniere di dire dalla mancanza degli articoli e da troppo stravolti iperbati, qualche intoppo che si presenta nella condotta della favola, l’ondeggiamento circospetto e picciolo del popolo nel giudizio, e l’impunita tirannide minacciosa ancor dopo l’ammazzamento di Virginia, non possono non riucrescere agli ammiratori del genio raro dell’energico Alfieri. […] III nel IV la scena terza del giudizio di Agide.
Ma questo gran tragico studiando la natura mancò di giudizio nell’imitare ciò che nelle società si riprenderebbe.
Manca ancora dopo di tal raccolta a sì culta nazione una scelta teatrale ragionata intrapresa da un letterato filosofo nazionale fornito di gusto, di buona fede, di lettura e di giudizio, il quale sappia sceglier bene i drammi ed indicarne meglio i difetti e le bellezze; e ciò all’ombra di quella parte critica detestata dall’Huerta come satira maligna, ma che io però pur vorrei che sempre nelle mie opere risplendesse, a costo di esser perpetuo segno di tutti i papelillos degli Huertisti, di tutti gli opuscoli de’ Don-Pedros, di tutte le biblioteche de’ Guarinos, e di mille opere teatrali del LaCruz munite di prolaghi, dedicatorie e soscrizieni.
Dee a lui il coturno non solo varie favole degne di mentovarsi al pari del Cinna, dell’Atalia e del Radamisto, ma una poetica piena di gusto e di giudizio, talora superiore a molte sue favole stesse, sparsa nelle sue opere multiplici e nell’edizione che fece del teatro di Cornelio. […] V’è giudizio in tale condotta?
Imitiamo questi nostri maestri nella grande arte ch’essi ebbero di ritrarre al vivo la natura; seguiamoli con critica e giudizio ne i generi da essi maneggiati: ma non escludiamo tutto ciò che dopo di essi può l’ingegno umano inventare colla scorta degli eterni principj della poetica superiori alla scrupolosa pedanteria.
Questi componimenti saranno sempre le più preziose gemme del tragico teatro, e faranno sì che Racine si acclamerà come il principe de’ tragici del secolo XVII dovunque regnerà gusto, sapere, giudizio, sensibilità ed ingegno.
In essa i Peruviani sono delineati a capriccio, e la storia dello scoprimento di Pizarro vi è adulterata ed involta in miracoli ed apparenze senza oggetto e senza giudizio, divenuta tutta fantastica per mezzo dell’Idolatria personaggio allegorico, che si agita, medita, eseguisce mille incantesimi senza perchè e senza sapere ella stessa nè quel che si voglia nè quel che intenti. […] E chi non vede quanto più la Marianna di Tristano rassomigli quella del Dolce, il quale, se ne togli qualche languidezza ed espressione troppo famigliare, formò con giudizio di quella storia una vera tragedia regolare ed interessante? […] Ma qual vantaggio o diletto apporterebbe un catalogo di favole per lo più mancanti d’arte, di gusto e di giudizio?
In essa i Peruviani son dipinti a capriccio, e la storia dello scoprimento di Pizzaro v’è adulterata ed involta in miracoli ed apparenze senza oggetto e senza giudizio, e divenuta tutta fantastica per mezzo dell’Idolatria personaggio allegorico, che si agita, medita, eseguisce mille incantesimi senza perchè e senza sapere ella stessa quel che si voglia nè quel che intenti. […] E chi non vede quanto più la Marianna di Tristano rassomigli a quella del Dolce, il quale se ne togli qualche languidezza ed espressione troppo famigliare, formò con giudizio di quella storia una vera tragedia regolare ed interessante? […] Ma qual vantaggio o diletto apporterebbe un catalogo di favole per lo più mancanti d’arte, di gusto e di giudizio?
Marino : e però io credo che relativamente più esatto sia il giudizio che ne dà Luigi Riccoboni, il grande erede del nome teatrale dell’ Andreini, il quale nel suo Teatro italiano (pag. 71) dice : « Gio.
Dal quale principio si ricavano alcune conseguenze, che possono a mio giudizio servire a spiegar lo scadimento presso di noi delle belle arti in generale, e più immediatamente di quelle che contribuiscono a formar il melodramma. […] Ma siccome nel numero dei lettori haccene ancora di quelli che facendo professione di vivere eternamente attaccati ai pregiudizi della lor nazione e del loro secolo come le cariatidi al piedistallo delle statue, m’accuseranno di troppa baldanza per aver osato chiamar in giudizio la moderna musica, così a costoro incapaci di sentir per se stessi la forza d’una pruova, fa d’uopo venir avanti coll’autorità spezie di argomento che l’inerzia adotta volentieri perché la dispensa dal ragionare, e che il pregiudizio accarezza talvolta a fine di nasconder colla stima che mostra verso le opinioni d’un solo, il disprezzo che ha per la capacità di tutti gli altri.
Tanto è vero che il giudizio de’ contemporanei è poco sicuro per gli autori, come lo è pei sovrani; che il pregiudizio a quelli, a questi l’adulazione tributano sovente degli omaggi insensati, o talvolta l’invidia gli calpesta con ingiuste criminazioni; e che alla imparziale posterità solamente appartiensi il diradar con quel raggio di luce regolator del pubblico sentimento la nebbia che intorno agli oggetti si sforzano d’avvolgere le nostre passioni.
Fralle altre cose rare vi si trova paragonato con somma finezza di giudizio Aristofane a Catilina e a Narciso, e antiposto Lucano a Virgilio, il quale anche graziosamente viene accusato dal signor Marmontel di aver comparato Turno a un asino, comparazione che non rinviensi affatto presso il poeta latino.
Questi componimenti saranno sempre le più preziose gemme del tragico teatro, per le quali Racine si acclamerà come principe de’ tragici del secolo XVII dovunque regnerà gusto, sapere, giudizio, sensibilità ed ingegno.
Or faccia il Lampillas il confronto di ciò che asserisce il Bettinelli col riferito giudizio del Montesquieu.
Filippo Nericault Des Touches nato in Tours nel 1680 e morto nel 1754, le cui commedie cominciarono a rappresentarsi nel 1710, possiede arte e giudizio, ed anche spirito comico, benchè non possa sostenere il confronto della piacevolezza di Regnard, non che dello stile e delle grazie di Moliere.
Patriota, critico, drammaturgo (1970), che ne fornisce un giudizio decisamente negativo16, senza tuttavia inquadrarlo nel suo contesto e senza menzionare la fonte principale del Salfi, le Lettere sulla mimica di Engel, la cui influenza lo situa in una posizione di innovazione in area italiana. […] In primo luogo, Salfi sottolinea la centralità della messa in scena nella formulazione di un giudizio in merito a un testo drammatico: La rappresentazione è uno dei mezzi più sicuri, per giudicare massimamente dell’effetto di una tragedia. […] Nonostante egli affermi la sua diffidenza verso il sistema tragico romantico, il giudizio sulla pièce non è del tutto negativo. […] [8.4] Ma questa medesima osservazione deve esser fatta con giudizio e con metodo. […] E questa opinione, che confermavano ognor più le difficoltà dell’arte e la meraviglia de’ suoi effetti, la fece abbandonare al solo talento della natura, ed in questo modo si trascurò e degradò l’arte, la quale non era né dovea essere che la natura medesima, quantunque si voglia ben disposta e organizzata, e quindi dal giudizio osservata, migliorata dalla riflessione, e dall’esercizio perfezionata.
Io vi credo assai saggio per capire come debba parlare un attore; ma pochi sono in Italia atti in questo a dar buon giudicio; e però appena pubblicate, le tengo come suppresse, sì perché ne ho in prova altre due che voglio aggiungere a queste quando usciran dalla lima, sì ancora perché in queste voglio prima udire il giudizio de’ giornalisti franzesi, a’ quali procurerò di farle avere a suo tempo4. […] La revisione del 1714 Tornato a Roma nell’ottobre del 1713, Martello si rituffa nella torbida vita intellettuale capitolina: il ventidue ottobre del 1713 avverte Muratori dell’uscita delle Tragedie cinque di Gravina, accompagnando la notizia con un giudizio preciso sulla loro irrappresentabilità33. […] — [3.37ED] — Siasi questa — io soggiunsi — o parzialità tua o ben fondato giudizio, o per l’uno o per l’altro titolo la tua approvazione mi è sempre cara ed accetta, e, giacché di ciò abbiam parlato a bastanza, passerò a nuova interrogazione. […] Gravina, Tragedie cinque, cit.; si confronti però questo giudizio con quello, più sfumato, del Segretario Cliternate, III, 55-78; scolari: allusione a Gravina, Tragedie cinque, p. b1v (Prologo); senza… cattedra: ivi, p. b4v; e cfr. lo stesso prelievo in Martello, La rima vendicata e Il Femia sentenziato (in Id., Teatro, a cura di H. […] Ma questo giudizio sull’Edipo tiranno va confrontato con quello ben più severo affidato al proemio dell’Edipo tiranno di Martello (in Id., Teatro, II, pp. 562-564).
Potrei citare Filippo di Comines, che lo dice, potrei aggiugnere l’Abate du Bos, che di proposito lo pruova, autori entrambi di sommo grido e di sicura critica; ma essendo eglino stranieri, come son io, non debbono chimarsi in giudizio contro all’Italia, essendo tale la debolezza degli uomini, alla quale gl’Italiani al paro degli altri, e forse più degli altri partecipano, che chiunque di patria e di linguaggio è diverso si stima, qualora non parla a grado nostro, che debba esser acciecato dall’odio o dall’ignoranza. […] Ma contenti di dirlo, niuno ha voluto prendersi la briga di spiegarci partitamente le circostanze, dalle quali però, siccome dipende sovente la formazion delle cose così non si può senza risaperle formar intorno ad esse cose un diritto giudizio.
Nulladimeno a rischio di passare per un quakero della Pensilvania, o per un non ancora civilizzato pampa del Paraguay, io ripiglierò francamente che, ove si tratta di pronunziar un fondato giudizio su ciò ch’è bello nelle arti rappresentative, quel pubblico “signorile e rispettabile” non differisce poco né molto dal volgo. […] Gli è vero che si trovavano dei teatri coperti, ma in questi non si recitavano tragedie o commedie almeno nelle pubbliche feste e nelle grandi solennità; erano soltanto destinate ai divertimenti della musica lirica, e qualche volta vi concorrevano anche gli autori a provare i loro componimenti prima d’esporli al pubblico giudizio nei teatri grandi, come fecero tante volte Eschilo ed Euripide, Filemone e Menandro.
Or faccia il Lampillas il confronto di ciò che si fe insegnare dal Bettinelli col riferito giudizio del Montesquieu.
Ma anche la poesia aveva avuto qualche torto in quella sorta di degenerazione edonistica che era diventato, a giudizio di Planelli, lo spettacolo teatrale. […] Di che, senza assegnar precetti, basta rimettersene al giudizio dell’udito. […] Onde di tutti i progressi di quell’arte profittò il solo suo estetico, al quale basta il giudizio dell’orecchio. […] E d’allora in poi, convinto dalla propria e ben umiliante esperienza, e dal giudizio d’un popolo dilicato, nella sola pronunziazione stimò (come fu detto poc’anzi) che consistesse tutta l’arte dell’oratore. […] Calzabigi registrò con soddisfazione il giudizio di Planelli nella sua verbosissima autodifesa del 1789 contro l’Arteaga (e Metastasio), Risposta che ritrovò casualmente nella gran città di Napoli il licenziato Don Santigliano di Gilblas y Guzman y Tormes y Alfarace (cap.
Più grazioso è poi il giudizio che ne diede il chiarissimo Bettinelli. […] Che, se per dare a conoscere il teatro de’ Francesi, dimenticato Moliere e Racine, se ne fondasse un giudizio diffinitivo su Jodelle ed Hardy, o su i cartelloni delle Fiere Parigine?
L’Angelo Custode è il difensore, e quasi era sul punto d’ottener la liberazione, allorché giugne San Lazzaro, il quale informandosi del giudizio, si volta dicendo: «Che!
Ciò sarebbe lo stesso che se dall’avere il parlamento d’Inghilterra citato talvolta in giudizio il proprio re come facevano sovente gli efori in Isparta, altri argomentasse che la costituzione anglicana fosse perfettamente simile a quella di Licurgo. […] Due proposizioni hanno dei rapporti alquanto lontani, ma conciliabili fra loro, non si scorge da chi legge il filo che le avvicina o per pochezza d’ingegno, o per precipitazione di giudizio, e tosto grida “contraddizione”.
Altri rapporti ne trova il citato gesuita, appoggiato ai quali stabilì il suo famoso clavicembalo oculare, dove i colori doveano fare lo stesso effetto che i suoni, e la musica dovea essere di luce, ma il progetto svanì, perché nella esecuzione mostrò più ingegno che giudizio.
Dell’Orfeo è fama che dicesse Metastasio dopo averlo letto: «In questo dramma vi sono tutti i quattro Novissimi eccettuato il giudizio.»
Sono state sepolte sino a’ nostri giorni, e la Filli si occulta ancora; ma le altre due si pubblicarono nel VI tomo del Parnasso Spagnuolo, in cui se ne dà nobilmente un giudizio imparziale.
Benchè in versi, non toccherò della Mirtilla, Pastorale scritta nella età giovanile, che ha i soliti lambicchi, i soliti contrasti, non però peggiori di quelli onde son seminate quasi tutte le produzioni sceniche del genere e del tempo ; trascriverò dalle Rime (Milano, Bordone, 1601) per dare un saggio del suo poetico stile, due sonetti amorosi (pag. 59 e pag. 144), de’quali parmi vi sieno di assai meno valore in poeti del suo tempo e di maggior grido, e ai quali farò seguire come chiusa una canzone, la seconda delle poesie funebri (pag. 217) nitida e piana a mio giudizio, e soavissima quant’altre mai.
Sono state sepolte sino a’ nostri giorni, e la Filli si occulta ancora; ma le altre due si pubblicarono nel VI tomo del Parnasso Spagnuolo, in cui se ne dà un giudizio imparziale.
Conobbe egli che bisognava dar alle donne le virtù degli uomini perché quelle non dassero a questi le proprie debolezze, che faceva d’uopo ispirare ad esse il coraggio, la toleranza, la fuga de’ piaceri, e l’amore della fatica affinchè il loro consorzio non ispirasse agli uomini la pigrizia, l’effemminatezza, la voluttà, e lo spirito di frivolezza; che il soverchio pudore non andando mai disgiunto da una certa timidezza non era opportuno per agguerrir le donne fino al segno ch’egli voleva, onde bisognava sminuirlo fino ad un certo punto, che l’avezzarsi a riguardar certi oggetti colle dovute cau-tele era lo stesso che rintuzzare in non piccola parte la loro attività, e che però la totale nudità delle donzelle Spartane esposta agli occhi in tali circostanze col correttivo del giudizio pubblico era meno pericolosa ad uomini induriti dalla educazione contro ai piaceri che non lo è per uomini avviliti e degradati quali noi siamo, l’affettata modestia di tante nostre civette, le quali non velano una parte del loro corpo se non per rendere più seducente l’altra che scuoprono.