L’aver fatto un uomo la parte della Franceschina, si può attribuire al ritegno che avevan sempre le donne di apparir sulla scena (e però più vivo per le parti di fantesca), ma fors’anche al fatto che un uomo, Battista degli Amorevoli (V.) aveva già recitato la Franceschina e s’era fatto celebre in tal parte.
Apparve sempre artista di gran pregio, e fatto a posta per recitar l’ Arlecchino…. nel cui costume egli era proprio ne’suoi panni.
ANTONIA BESEGHI AL BEL SESSO Donne gentili che verace esempio Mai sempre foste di bontà sincera, Voi che di grazie il cor rendeste un Tempio, Non sdegnate onorarmi questa sera : Essendo donna io pur conosco a fondo Che sia la donna, e come vada il mondo.
e Iddio mi darà vita, qto Carnevale verò ad esercitare con l’opere, quelli ossequij che hora con l’ Idea vo Riverentete esercitando verso il suo Gra merito, e col Ralegrarmi nouamente de’ suoi onori, Baciand :i con ogni Umiltà le mani, p sempre mi dichiaro Di V.
Luigi Vestri la volle sempre con sè ; le commedie del Goldoni più specialmente, come la Donna di governo, la Locandiera, la Donna vendicativa ed altre, ebbero in lei una interprete ottima.
Lo troviamo poi nel 1796 primo attore della gran Compagnia, sempre al S.
Fu ai Filodrammatici e all’ Armonia di Trieste, al Re Vecchio di Milano, al Corso di Bologna e ne’teatri principali di Padova, Brescia, Venezia, Verona, Trento e Ferrara, in cui si recò sempre nelle stagioni migliori.
Andò in Lisbona con sua madre Chiara, comica anch'essa, nella Compagnia di Onofrio Paganini, del quale sposò il figliuolo Francesco, restando sempre con lui, principale ornamento della propria compagnia.
E come ha sempre de lodar gran brama, sentila pur che con parole tonde Bravi Costanzo e Giulia ancuo la chiama.
Il nostro Prepiani, buon attore nella tragedia, non è degli ultimi nella commedia, avvegnachè in questa renda più sensibili que'difetti d’articolazione che quasi sempre sa nascondere con arte nella tragedia.
Emilia Varini è donna di fine intelligenza artistica ; alla quale forse non sempre rispondono le qualità esteriori.
Giuro per la bassetta sinistra di Marte, che questa notte invidiosa fa sempre delle sue al Capitan Maramao. […] C’ è la solita spacconata, la solita spavalderia, a cui fa sempre contrapposto una paura birbona. […] Mentre tu sarai si osservante de’ miei fatti preclari, sarai sempre de’primi alla mia tavola. […] Non sempre, come accadde di molte maschere, il Giangurgolo fu capitano. […] Qualche volta, pur restando sempre calabrese, muta anche il nome.
Gabbrielli Francesco, figlio maggiore del precedente, celebre sotto il nome di Scapino, « fu – dice il Barbieri – il miglior Zanni de’tempi suoi ; inventor de’fantastici instrumenti, & di canzonette, & arie gustevoli ; maestro di chitarra alla Spagnuola del Re Cristianissimo, della Reina Regnante, di Madama Real di Savoja, dell’Imperadrice, mentr’era a Mantova, e di tant’altri Principi e Principesse della Francia, e fu sempre accettato tra’grandi come virtuoso, e non come buffone. » E aggiunge ch’ ebbe figli tenuti a battesimo da serenissimi Principi. […] quale sarà sempre anteposta a qual si voglia interesse, strettezza di amicizia o vincolo di parentella che sia tra di noi, si come ogn’uno di Compagnia augurando a V. […] E coi Confidenti lo troviamo ancor nel ’18 a Venezia, di dove Don Giovanni De Medici scriveva al Duca di Mantova con data del 30 marzo, ricusandogli Mezzettino e Scappino (richiesti a istanza di Lelio e Florinda), sui quali egli dice fondata la Compagnia dei Confidenti, che mise assieme per suo gusto da circa sei anni, e che andava conservando sempre con ogni suo potere, tenendogli uniti et obligati (a me) come particolari servitori. […] ma sempre per servirla Francesco Gabrielli detto Scapino.
Ora vediam di tracciar qui cronologicamente l’itinerario dei Gelosi (coi quali però non si può affermare se fosse sempre il Pasquati, mutando egli, come tutte le celebrità, di compagnia anche per una sola stagione), riassunto sui varj studj apparsi in giornali e riviste e volumi dal D'Ancona, e arricchito poi di aggiunte dal Solerti nel suo studio in collaborazione col Lanza sul Teatro ferrarese nella seconda metà del secoloxvi. […] S'è detto che non si potrebbe affermare se il Pasquati fosse rimasto sempre coi Gelosi. […] L'huomo se può distinguer in tre parti : anima e spirito e carne : el spirito e la carne han tiolto in mezzo l’anema ; el spirito per farme intendere xe come el Principe nella republica : non spira e non respira che beni del ciel al qual sempre varda, la carne per contrario xe come la lega d’un popolo tumultuario e furfante, la scovazera e sentina dell’huomo, parte che cala sempre al mal.
Naturalezza, dunque intelligenza ; intelligenza, dunque naturalezza ; queste cose vanno sempre insieme.
« Sebastiano Asprucci-esso dice-in quest’anno solamente fece la parte di caratterista, e la sostenne con bravura, decenza ed applauso universale. » Il commediografo Antonio Sografi nella Prefazione alle sue Inconvenienze teatrali (Padova, Bettoni, 1816, pag. 9) scrive : « Fu insuperato ed insuperabile nella parte del napolitano Gennariello Sebastiano Asprucci, in ogni senso, di cara ed onorata memoria. » Sposò egli la Caterina Cesari, lodata nella stessa prefazione, dal Sografi, con queste parole : « Caterina Cesari Asprucci, e Maddalena Gallina, e Caterina Venier, attrici sempre di grande utilità ai miei componimenti, come di grata ricordanza al mio cuore. » Colpito da congestione cerebrale nel 1803, tornando di teatro, morì dopo poche ore, compianto dall’arte tutta, e da quanti lo conobbero come artista e come uomo.
Sarda, fornita a dovizia di doni naturali, ha sempre ottenuto il pubblico suffragio nella tragedia, che si adatta mirabilmente alla sua bella figura, alla sua fisonomia piena d’espressione, mercè due occhi neri, ed ampie ciglia egualmente nere.
Nel 1819 sosteneva in Compagnia Modena-Bellotti le parti di servetta con molto brio, applauditissima sempre dal pubblico, il quale vedeva in lei una forte promessa per l’arte.
Ridottosi vecchio in Padova, lontan dal teatro, vi fu dopo alcun tempo richiamato dalla passione dell’arte : ma la sua ricomparsa lo fe’battere per sempre in ritirata.
Attrice modesta e amantissima dell’ arte sua, fu sempre decoro delle compagnie in cui militò.
Lo rammento sempre con affetto di sorella e con ammirazione di compagna.
Ricci Orsola, sorella della precedente, entrò in arte e seguì sempre il padre e la sorella, recitando da Serva.
Morto il Ristori a Firenze il 3 settembre 1861, fu tumulato nel Cimitero del Monte alle Croci, ove la figliuola desolata fe' erigere, alla morte della madre, una cappella, co' medaglioni degli estinti, opera dello scultore Cambi, e con le seguenti epigrafi : AD ANTONIO RISTORI nato il 5 marzo del 1796 | mancato ai vivi il 3 settembre del 1861 || o mio dilettissimo padre | a te che mi fosti esempio | delle più belle virtù | che per generosità di cuore | e spirito di santa carità verso i miseri | fosti sempre benedetto dalla sventura | che fra gli stenti al lavoro | consacrasti tutta la tua vita | la tua figlia adelaide | che amavi tanto e che sì presto ti ha perduto | questo monumento | debole segno d’incancellabile affetto | tuttora in pianto poneva.
., – in geniali caricature ; dove, se difetta la correttezza del disegno, è pur sempre un sentimento e uno spirito de' più vivi, non raggiunti fin qui.
In queste farse dell’arte, nelle quali erroneamente varii oltramontani male istruiti sogliono far consistere la commedia Italiana, possiamo ravvisare qualche reliquia degli antichi mimi, la cui indole libera e buffonesca è stata sempre d’introdurre prima certo rincrescimento della buona e bella poesia scenica, indi di cagionarne la decadenza. […] Lasciamo stare i Greci, de’ quali non avrà egli certamente preteso parlare; perchè tra questi non vi fu schiera di commedianti, nella quale non entrassero gli stessi poeti, confondendosi gli uni negli altri nel libero popolo Ateniese sempre che gli autori non mancavano, come Sofocle, di voce e di disposizioni naturali proprie per comparire sul pulpito.
— Comedia stampata quasi sempre sotto ’l nome di Ruzzante (V.). […] Comunque sia, tolto il valore storico-autobiografico, riman sempre un valore storico relativameute alla generalità delle descrizioni di persone e di cose, descrizioni fatte con sicurezza di tinte, con pennellate da vero maestro, talora di una soavità ineffabile, talora, il più sovente, di una sensualità nuda e cruda.
L’ultima manifestazione artistica degli italiani a Dresda fu la recita della Vedova scaltra data il 26 febbraio del 1756 ; dopo la quale, lo scoppiar della guerra dei sette anni chiuse per sempre le porte del teatro italiano a Dresda. […] » Fu quasi sempre con Gerolamo Medebach e con Antonio Sacco, applauditissimo ; e Carlo Gozzi lo ricorda con onore nel suo ditirambo in lode del Sacco stesso, Truffaldino (V.) ; poi fu, nel 1762, con Pietro Rossi, poi di nuovo con Medebach, poi, dopo il carnevale del 1774, con Vincenzo Bugani e Giustina Cavalieri, che abbandonò a Bologna, per recarsi in Sardegna colla Compagnia di Andrea Patriarchi, trascinatovi dalle grazie allettatrici di una femina.
Nata il 1826 a Fano da Benedetto, artista drammatico e conduttore di compagnie meschinissime, crebbe in ristrettezze senza nome, vagendo, si può dire, in fasce parti di prima donna, come la Cesira nell’Aristodemo del Monti che recitò bambina a Toscolano con dilettanti diretti dal padre, il quale riceveva in compenso fuoco ed alloggio per la famiglia : il vitto, allora, fu sempre per essa una specie d’incognita. […] L’andata in iscena colla Maria Giovanna segnò l’ultimo gran trionfo dell’artista ; chè recatasi di là a Forlì, fu quivi raggiunta dal Bargellini che la tolse per sempre dalle scene per condurla all’altare.
Ma io protesto che lungi dall’esser mai montato in superbia per si rare qualità, io le ho sempre considerate effetti della mia buona stella, piuttostochè del mio merito ; e se alcuna cosa ha potuto lusingar l’animo mio in tali congiunture, ciò non fu che il piacere di sentirmi applaudito dopo l’inimitabile signor Domenico, il quale ha portato si alta l’eccellenza della goffaggine nel carattere di arlecchino, che chiunque l’abbia visto recitare, troverà sempre alcun che da osservare ne’ più famosi arlecchini del suo tempo.
Venuta nel suo paesello una piccola compagnia di comici, egli, da essi istigato, si diede al teatro, passando di peripezia in peripezia, ma acquistandosi pur sempre una crescente fama di buon attore. […] Questo lo stato di servizio di Napoleone Masi, il quale, senza elevarsi alle massime altezze, fu sempre attore assai festeggiato per una vena di comicità spontanea e vivissima, e per correttezza di dizione.
Si rifugiò egli allora a Salonicco, e sempre assieme a quello Zattini, col quale poi tornò in Italia, pellegrinando per un par d’anni ancora nelle provincie del mezzogiorno. […] Dopo un lungo pellegrinaggio di città in paese, di paese in borgata, di borgata in città, arrivò l’onesto padre alla fine del '96, dopo di che, per desiderio del figlio Vincenzo, allora capitano in Africa, lasciò per sempre il teatro, andando a stabilirsi a Rocca San Casciano, direttore di quella Società filodramatica, a cui diede tutto il suo ingegno e tutto il suo affetto, e da cui fu amato e venerato fino all’estremo giorno (30 marzo 1899) come un babbo.
Fu il Pertica ricco di grazie comiche ed argutissimo, sempre nobile e castigato ne'lazzi, di una verità prodigiosa.
Fu quasi sempre capocomico e de' più pregiati, e militaron con lui i migliori attori e le migliori attrici del suo tempo.
Enrichetta Zerri-Grassi, attrice di molta intelligenza, se non di molti mezzi, fiancheggiò sempre col maggior decoro le prime attrici, che per la lor giovinezza e la loro figura (chè un tempo si badava anche a questo) non poteau abbracciare tutto i repertorio, quali : Pia Marchi e Annetta Campi.
E la consegnerò tale e quanta ella è, sempre che mi sarà domandata in occasione di nullità o divorzio. […] Di questo celebre commediografo variamente giudicarono i critici e forse sempre con ingiustizia. […] Primieramente la prima voce da prendersi nella favola di Calderon è sempre il principio di un verso e non già di un periodo terminato. […] Ogni arte che si acquisti a forza di pratica materiale, s’impara errando; e gli errori de’ principi sono sempre fatali. […] Perciò (dirò sempre) si vogliono compatire alcuni forestieri, e fra questi M.
La versificazione è la più accetta a’ moderni, cioè il verso sciolto endecasillabo; ma la locuzione non è sempre pura e corretta. […] Ma sopra tutte le sue doti trionfa l’ eccellenza dello stile naturalmente bello e poetico, ricco nella frase, puro nel linguaggio, grande sempre, sempre elegante, e forse talvolta per questo appunto alquanto uniforme43. […] Il partire ed il restare de’ personaggi non sempre avviene giusta le regole del verisimile, ma secondo il bisogno dell’autore. […] il padre ignorerà sempre i miei arcani? […] L’atto V piacerà sempre per l’ oppressione repentina della tirannia, e pel ravvedimento del tiranno nell’atto di spirare.
Fritellino, il marito di lei, faceva sempre acquistare alla Compagnia nomi ignominiosi…. […] S. e conforme l’uso natio dell’heroica bontà di così gran Principessa fu sempre come figlia sacramentale dall’ A. […] Arlecchino non è informato di ciò facendo vita fuori del grembo dei compagni, et essendo sempre stato in casa del signor Ambasciatore e poi lui fuori de’ suoi interessi non capisce altra cosa. […] Levar dunque costei et pigliar quel Pavolino in Compagnia, mi par che siano due cose necessariissime, rimetendomi sempre a quanto l’A. […] 155]mandava proteste acerbissime, maravigliando come avesse ad ascoltarsi più tosto un mentitore che un povero giove che aveva sempre professato di essere servo di S.A.S. e servo d’honore.
Recatasi a Padova la Compagnia di Angelo Rosa, il Duse (aveva già sposato una Elisabetta Barbini, padovana, e ne aveva avuto il figlio Eugenio), vi si scritturò in qualità di primo attore giovine per un triennio, formando poi la famosa compagnia (che dal suo nome s’intitolò Compagnia Duse), colla quale, a Padova specialmente e a Venezia, passò di trionfo in trionfo, sia per la prontezza dell’ingegno e i pregi artistici, sia per la fortuna che gli arrise sempre e dovunque. […] Non sempre, specialmente a Padova, si pagava in danaro : questi recava un salame, e specialmente la studentesca, quegli un cappone, l’uno una resta di cipolle, l’altro altro, e sior Gigi bonariamente diceva : Porté, fioi, che tuto xe bon ! […] Cosi pago la cambiale, fazo bona figura col mio creditor, dago la paga a sti comisi che go da drio del sipario, e che i me sta sempre alle coste a domandarme soldi, posso portar allora la testa alta e fazo figura de galantomo.
Questo veridico quadro, porgendo allo sguardo dello scrittore un non so che di truce, venne dal medesimo con provetta arte episodiato di ridicoli caratteri, che nulla pregiudicano all’interesse dell’azione, e mantengono sempre vivace la scena.
Stando a quel che ne dice Francesco Bartoli, dopo di aver recitato per lungo tempo nella Compagnia di Domenico Bassi (1750), si diede al dolce far niente, stabilendosi in Venezia, vivendo alle spalle di un pubblico non sempre il più edificato dalle sue buffonate.
Accanto alle commedie del Goldoni e del Nota figuravan sempre come contrapposto i drammi lacrimosi del Federici quando non erano l’Incendio di Troja e la Navigazione di Enea del Chiari, o La Grotta del Misfatto del Signori, o La Vendetta d’Apollo c Diana dell’Avelloni, per dir de’ meno peggio : nè anche mi par bene stabilito se il pubblico più volentieri accorresse a veder questi che a sentir quelle.
Tolta questa fisima di trasformazione della maschera, in Alceste Corsini restava pur sempre una rara naturalezza di dizione e di gesto, e una spontaneità meravigliosa dell’ arguzia, due qualità che lo tolser presto dal primitivo guittume per collocarlo più alto, ove potè respirare liberamente l’aria sana dell’arte, e d’onde potè mostrare i suoi pregi a un pubblico degno di lui.
Bartoli – nella pubblica piazza di Bologna ad esercitare diverse forze colla propria vita sotto gl’insegnamenti di Daniele del Puppo padre di lei, che vendeva un balsamo in Banco, e faceva anch’esso colla spada varj equilibrj. » Sposatasi a Camillo Fracanzani, lo seguì sempre e dovunque.
Del '59 fondò il Comitato femminile per soccorso ai feriti delle patrie battaglie, e ne fu sempre il vice-presidente.
Fu poi in Compagnia di Goldoni e Riva, poi di Bon, Romagnoli e Berlaffa, coi quali stette più anni, applauditissimo ed amatissimo sempre.
Indi la fama del Perotti, conduttore di una Compagnia, la quale potè sempre competere colle più grandi d’allora, come Pellandi, Fabbrichesi, Dorati, Bazzi, e Goldoni.
Veramente la nuova divisione de'ruoli e delle parti ha fatto di lui un primo attore, ma, secondo le considerazioni antiche, oggi egli è sempre primo attor giovine ; come, secondo le moderne, si dee dire che primo attore egli è da un pezzo, almeno da quando, ammalatosi il Salvadori, egli lo sostituì nell’Armando con la Marini.
E quest’effetto è si meccanico e necessario, che l’uomo il più esperto non può nasconderlo, ond’è che l’occhio sempre verace smentisce pur sempre il labbro, o qualunque altro organo cercasse mentire. […] Oltre che per quanto perfetta riesca la loro espressione, essa è sempre simultanea, e a un punto solo si limita. […] Ed in caso di conflitto giova sempre piegar piuttosto dalla prima che dalla seconda. […] Ma anche ove questi la obbediscono ciecamente non fanno sempre quell’effetto che far dovrebbero. […] Sotto qualunque forma li facciano comparire gli accompagna sempre questo decoro.
Le apologie di codesto catalano respirano da per tutto sempre pari buona fede e saviezza. […] Este sôs foram sempre: ja vos deixam. […] Il sempre invitto felice apologista Lampillas ebbe a male che io avessi chiamate visioni le ciance del Nasarre sul Naarro. […] Dalla propria sempre riscaldata fantasia. […] Appressatevi pur l’ultima volta Al seno che suggeste, e che mai sempre Fora vostro alimento, ed or vi lascia.
Il signor D'Origny (non voglio discuter qui l’errore dell’affermazione sua sulla maggiore o minor riuscita di una scena d’amore recitata da due amanti), ha voluto alludere alla special condizione degli Scherli, i quali, non sappiam bene per colpa di chi, ma forse di entrambi, essendo l’uno tutto dedito agli studi e taciturno, e l’altra incline alle esaltazioni…. e ad altro, visser quasi sempre separati. […] A questa faccio seguire il sonetto in morte di un suo figlio, il quale ci dà ancor più chiara l’idea delle sue qualità poetiche, e del suo amore a' classici : Come candido fior, che nato appena, del vomere al passar cade reciso, Carlo, moristi, onde perpetua vena di pianto a me bagna le gote e il viso : C'ho sempre avante i tuoi dolci atti, e il riso, e i cari vezzi ; e per maggior mia pena, la Suora tua, ch'or vedi in Paradiso, la tua partita a ricordar mi mena.
Fu poi nella Compagnia Peracchi e Trivelli il ’58-’59, e in quella di Rossi e Trivelli dal ’63-’64 a tutto il ’67-’68, acclamata e festeggiata sempre da ogni specie di pubblico.
Fu sempre in ottime compagnie, fra cui, nel ’53, in quella condotta e diretta da Antonio Feoli, finchè sposato il brillante Amilcare Ajudi (V.), si fece capocomica ella stessa.
Il che potrebbe star a provare quanto la Catrolli tenesse, forse anche troppo, alla sua dignità artistica, a quelle benedette convenienze teatrali che furon sempre la disperazione del povero Goldoni.
Giovane colto, si adoperò con qualche suo scritto in pro dell’arte drammatica, alla quale, non ostante il posto che oggi occupa di rappresentante di una compagnia d’assicurazioni, è sempre legato di vivissimo affetto.
La seconda versione del 1755, pubblicata sempre dall’editore veneziano Pasquali e intitolata Saggio sopra l’opera in musica, riprende la redazione precedente ampliata con esempi che approfondiscono le questioni e con una struttura più articolata nell’esposizione degli argomenti. […] La bella semplicità che sola può imitar la natura, fu sempre preferita da chi ha fior di gusto a tutti i raffinamenti dell’arte19.» […] Queste parti dell’opera, che non abbisognano che d’occhi e d’orecchi negli spettatori per farne proseliti, raccorran sempre maggior numero di voti che le altre, delle quali non può misurare il merito che l’intelligenza e il raziocinio. […] Altri due testi, sempre di portata europea, intervengono nel dibattito negli anni successivi. […] La seconda redazione, pubblicata sempre nel 1755, è riprodotta in fac simile nel volume curato da Annalisa Bini e presentata come una versione più nota rispetto alla precedente verso la quale riporterebbe «differenze piuttosto formali che sostanziali39».
Vitellio resse l’Imperio quasi sempre a voglia degl’ istrioni176. […] Così ci avvezzammo a detestare indistintamente i teatri, e per fuggirne gli abusi, ci privammo ancor de’ vantaggi: a somiglianza di quegl’ impazienti coltivatori, i quali in vece di potare e recidere i rami lussureggianti, che fanno ombra inutile e perniciosa, danno al tronco e alle radici degli alberi, e privansi per sempre de’ loro frutti. […] Con più regolate e più magnifiche danze e canzoni i Messicani, quei di Chiapa, i Tlascalteti, mostransi più prossimi ad emergere dalle ombre, perchè non lontani a rinvenir l’arte del dramma, indizio sempre di qualche coltura. […] Ma Ifigenia, Alcestide, le Trojane, Ippolito s’ imitano sempre e non si oscurano mai. […] Essa si rimase sempre una festa sacra, nè mai divenne spettacolo teatrale, come altrove accadde ad altre feste.
L’amicizia del D’Alembert, oltre alle cure morali e materiali prodigate ad una sua figliuola cieca, per sollevarlo di una perdita di 50,000 fr. per fallimento del depositario, gli procacciò, dopo morto, un elogio funebre, che resterà pur sempre il migliore attestato delle grandi qualità che il Bertinazzi possedeva e come artista e come uomo. […] Amante sempre dell’ordine, avrebbe dovuto formarsi una onesta fortuna : ma la bontà del suo cuore gli procurò sciagure da parte di coloro cui diede intera la sua fiducia. […] Ne ho dato sempre il giudizio a mente fredda, nè mi son mai lasciato sedurre dagli applausi. […] Il Des Boulmiers (ivi, pag. 498) che dell’opere goldoniane si mostra sincero e profondo ammiratore, dopo avere esposto l’argomento della favola, conchiude : Questa commedia è la prima data dal signor Goldoni sul Teatro italiano, dopo il suo arrivo a Parigi, ove i comici, sempre intesi a procacciarsi la benevolenza del pubblico, l’avean chiamato, per ridar vita alla lor Scena Italiana, che cominciava a essere negletta. […] In ogni modo, data l’indole dei nostri artisti, e date le condizioni del nostro paese, io credo si potrà sempre affermare, che se per rispetto di sè, dell’arte, del pubblico, le nostre Compagnie dovran cedere di fronte alle Compagnie forestiere, gli artisti forestieri debbono tutti per natural senso d’arte, per ingegno, per islancio, pel così detto fuoco sacro, insomma, cedere di fronte agli artisti nostri.
Si vede che tu conosci poco il mio carattere – per tua norma io sono seria sempre e non amo per nulla scherzare. […] Salutami tua moglie e credimi pure mai sempre Venezia il 31 10bre 1837. […] è vero che io non porto un nome Reale ma ho sempre fatto onore alla mia firma in modo da non invidiare quella del sig. […] Ricompare il Mascherpa, sempre al servizio di S. […] ad ogni piazza si teme che fuga si deve stare sempre in guardia e a dirvi il vero sono stanco di fare questa vita ; infelice quel Capo Comico che la prenderà…..
Ma questi rappresentatori non potevano mostrar sempre la loro eccellenza, perchè quando i Comedi rendevansi celebri nell’arte pretendevano passar per capi e regolatori di tutto lo spettacolo. […] La rappresentazione e la danza composero sempre un corpo solo con la musica e la poesia. […] Rimase al Coro il pensiero d’intrecciar carole cantando; ed in questo il canto fu più artificiale e la melodia più espressiva spiegandovi la musica tutte le sue forze e gli artificii armonici con sempre nuove combinazioni di tempi e di movimenti; la poesia per accomodarsi al canto fu più lirica ed ornata; e la rappresentazione per servire al ballo fu meno naturale. […] Criticastri infelici, che non meritando neppure per la vostra superficialità di essere ascritti tra più volgari eruditi vi vantate orgogliosamente sacri ministri della filosofia, che nominate sempre, e non conosceste mai; oserete voi gonfiando la bocca rinfacciare i Potini ad Atene, gli orsi e i funamboli a Roma, i duelli de’ galli, e il teatro della teste di parrucche di Fout a Londra, gli spettacoli delle fiere e de’ baluardi a Parigi e l’arlecchino all’Italia? Scrivete pure, cianciate, stampate a vostra posta; voi sarete sempre una dimostrazione evidente del volgo e de’ fanciulli canuti della vostra nazione.
Ma questi rappresentatori non potevano mostrar sempre la loro eccellenza, perchè quando i comedi rendevansi celebri nell’ arte, pretendevano passar per capi e regolatori di tutto lo spettacolo. […] La rappresentazione e la danza composero sempre un corpo solo con la musica e la poesia. […] Rimase al coro il pensiero d’intrecciar carole cantando; e in questo il canto fu vera melodia spiegandovi la musica tutte le sue forze e gli artificj con sempre nuove combinazioni di tempi e di movimenti; la poesia per accomodarsi al canto fu più lirica ed ornata; e la rappresentazione per servire al ballo fu meno naturale. […] Criticastri infelici, che non meritando neppure, per la vostra superfizialità, di essere ascritti tra volgari eruditi, vi vantate orgogliosamente sacri ministri della filosofia che nominate sempre e non conosceste mai, oserete voi gonfiando la bocca rinfacciare i Potini ad Atene, gli orsi e i funamboli a Roma, i duelli de’ galli e il teatro delle teste di parrucche di M. […] Scrivete pure, cianciate, stampate a vostra posta, che sarete sempre una dimostrazione evidente dell’ esistenza del volgo e de’ fanciulli canuti della vostra nazione.
Francesco Maja Materdonna in altro sonetto scritto per la rappresentazione d’una tragedia : Pon giù quel ferro ; invan vittoria attendi da rozzo e vile acciar ; se vincer vuoi, con un guardo gentil vincer tu puoi l’oste infedele, a cui dar morte intendi, anzi fingi, qualor su i palchi prendi il ferro per ferir : ma qualor poi rivolgi agli altrui lumi i lumi tuoi, sempre fai vere piaghe, e sempre offendi. […] E. ond’io avendo da questo preso ardire, e confidatomi nella benignità sua dico che mai ho auto bon stomaco con la Nespola per l’interesse passato tra lei e mio marito, e sempre ho cercato di passarmela alla meglio che per me sia stato possibbille, sperando pure che il tempo trovase rimedio per liberarmi. […] l’onor m’addita il premio, l’incostanza m’innaspra, l’empietà m’è presente, l’inganno ha vario aspetto, l’innocenza ho nel core, l’insidia nella mente, l’ira sta in mezzo al petto, la lealtà sen fugge, il martor non mi lascia, la memoria non manca, le minacce son pronte, la miseria m’abbraccia, necessità mi stringe, l’odio sta sempre meco, l’ostinazione è fissa, la pena mi tormenta, il pensier mi tradisce, il pentimento è certo, la perfidia è d’altrui, la pertinacia è mia il pianto è mia bevanda, la preghiera non giova, la purità non basta, le querele son sparse, la rabbia m’avvelena, il vigor mi percote, il rumor già m’assorda, lo sdegno in me s’accresce, il soccorso s’invola, la speranza vien meno, il timor mi travaglia, il tradimento ha l’armi, il valor lo respinge, la vendetta l’uccide, la vittoria m’innalza e mi corona ! […] Pazza cosa non c’è che dire ; la qual, nondimeno, per quel che concerne la recitazione, fa pur sempre pensare al valore artistico di quei comici.
Tale verità fu conosciuta, ed apprezzata mai sempre dai popoli più illuminati. […] In quel tempo l’attore e capocomico Pisenti fu messo in prigione per debiti ; e la Ristori, che fu sempre delle miserie de'compagni soccorritrice pietosa, architettò tre rappresentazioni straordinarie, che furono avvenimento di vera gloria, e la salvazione del povero carcerato. […] Vi han delle parti che non accetta, perchè le ripugnano ; ed ella vuol sempre identificarsi con le sue eroine…. […] E tutti i giornali comparavan ne' loro articoli i talenti delle due artiste, in verità si diversi, e le lor conclusioni non apparivan sempre favorevoli alla Rachel….
Egli si poneva sulle carni sempre il cilicio, quando andava al Recitamento, ciò facendo a fine, che tal mortificazione gli fusse avegliatojo, per usar cautela di non dire alcuna oscenità, e di non cooperare a chiunque de’ Compagni ne dicesse.
Sebbene ella non conoscesse pur le lettere dell’alfabeto, mostrò sempre tale spirito arguto, tanta giocondità spontanea, che fu un giorno notata, mentre faceva la spesa dal pizzicagnolo, da un filodrammatico dialettale, che la persuase a entrare nella Società di San Simone come attrice, dove ella dopo tre sole prove mandò in visibilio il pubblico.
Ernesto Rossi, col quale Giovanni Leigheb fu in società dalla quaresima del '49 a tutto il carnovale del '51, così ce lo descrive : ….. era una buona pasta d’uomo, giovialone, spensierato, ma onesto : era sempre stato in primarie compagnie, Mascherpa, Domeniconi, ecc., ecc.
A. il mio solito desiderio di sempre seruirla, le bacio con parzialissimo affetto le mani Di V.
Pare che a Modena si fosse sparsa, molti anni prima, la notizia della sua morte, poichè abbiamo un brano di lettera del 1° gennaio 1735 in quell’Archivio di Stato, così concepito : « Il povero Riccoboni, che avevamo mandato all’altro mondo, vive sempre, e sempre bravo modenese. » Molte sono le opere di teatro ch'egli scrisse, ma tutte ohimè giacenti nell’ oblìo. […] Tale opera comprende anche un catalogo di tragedie e commedie pubblicate per le stampe dal 1500 al 1600 ; e per comporla egli dovè far capo sempre al famoso raccoglitore e amico dei comici Gueullette, come si rileva dalle sue lettere, nelle quali ora domanda, per dar l’ultima mano al suo lavoro, Le livre sans nom, ora l’Arliquiniana, ora la Bibliothèque des théatres.
Della stessa maniera una tragedia languida, lenta, snervata, sarà sempre priva di forza tragica, tuttochè abbondasse di gravi sentenze politiche e morali. […] Combatto ora con chi voi combattete sempre. […] Tu senti che il tuo nome m’è sempre in bocca. […] Ma ora che finalmente vi ho ritrovato, poichè a me tolto vi siete, sconsolata e disperata per sempre desidero di morire. […] Or quali di queste ha lette il sempre lodato maestro di Poetica Francese?
Incantatrice d’ogni cor gentile, È ver, fu sempre l’armonia ; nè solo Nell’italo terren pregiati tanto Sono gl’itali Orfei. […] E fortunate, Se a que’ cantori desiati tanto Tutta la possa del valor canoro Piacque sempre spiegar !
Il resto, come sempre, è indecifrabile. […] Alla testimonianza Gabbrielli, va subito congiunta quella del Beltrame Barbieri, che nella Supplica (1634) chiama la Celia giovane di belle lettere e comica famosa ; alle quali poi tengon dietro quelle di letterati illustri, e, prima, del Cavaliere Marino, che, nell’ottave 68, 69 e 70 del Canto XVII dell’ Adone, la mette quarta fra le Grazie : Un’altra anco di più, che 'l pregio ha tolto D'ogni rara eccellenza a tutte queste, Aggregata ve n’è, non è già molto, E sempre di sua man la spoglia, e veste, Celia s’appella, e ben del Ciel nel volto Porta la luce, e la beltà Celeste ; Ed oltre ancor, che come il Cielo è bella, Ha l’armonia del Ciel nella favella.
ma per non hauerla potuto seruire questo Carneuale, et perche la riuerenza con la quale l’osseruo da tanti ani in quà supera ognaltra uedendomi così à uiua forza hauer mancato a chi tanto son tenuta, et hò desiderato sempre seruire, uiuo la piu scontenta donna che mai nassesse, et però à suoi piedi ricorro suplicandola ritornarmi nella sua gratia, et l’istesso dico di petrollino, poi che per mia causa è incorso in errore, il quale per l’affano che sente si può dir che facia la penitenza de l’errore, et accresse la mia col suo cordoglio : ma perche una sintilla de quella benignità, con la quale la mi ha sempre fauorita può render noi felicissimi io di nouo caldamente la suplico et humilissimamente me et questo suo deuoto benche basso seruo raccomando, oferendo me et la mia Compagnia suplire al mancamento et pregar Dio per la sua conseruatione, che nostro Signore la feliciti. di Venetia a di. 5.
Este sòs foram sempre: ja vos deixam. […] Ed in effetto i veri dotti onoratamente additano sempre i fonti ove beono, perchè manifestando gli arredi altrui son pur sicuri di non rimaner nudi. […] Il sempre invitto apologista Lampillas ebbe a male che io avessi chiamate visioni le ciance del Nasarre sul Naarro. […] Quattro anni in circa ebbe egli dunque presente il Signorelli, e tacque sempre ancor mentre se ne leggeva in Madrid il Discorso scritto pel Sig. […] Dalla propria sempre riscaldata fantasia.
Segue ella sempre con egual vigore a pregare il padre, ricercandogli in mille guise le vie del cuore; ma nulla ottiene. […] Certo è che la ripugnanza di morir per un altro, che mostra l’istesso padre di Admeto, fa trionfare sempre più l’amor conjugale di Alcestide. […] Nel che (soggiugne quel l’erudito) si scorge il progresso della mente umana che tende sempre alla perfezione. […] «L’amore d’Ippolito per Aricia vietato dal padre quanto non toglie al carattere del giovane eroe, virtuoso sempre, sempre degno di compassione in Euripide, debole qualche volta, qualche volta ozioso nel poeta Francese!» […] Deh la femmina rea sempre raminga Erri in balia de’ minacciosi flutti, Nè i patrii tetti a riveder mai giunga!
Senza ciò i critici boriosi e singolarmente i superficiali viaggiatori oltramontani privi della fiaccola della storia combatteranno sempre contro quest’ultime, e sempre crederanno di aver trionfato di tutte. […] Ma gli accidenti o le combinazioni del verisimile ben modificato producono in teatro la sempre bella e sospirata varietà. […] Secondo me l’arte di avviluppare consiste nel concatenare gli avvenimenti in maniera che vi si ravvisi sempre una ragione che soddisfaccia in ogni passo dell’azione. […] La moltitudine si affollava sempre con maggior diletto ed avidità alla scena musicale piena di magnificenze che allettavano potentemente più di un senso. […] Gl’ istrioni non furono sempre i migliori attori.
Ma è poi vero che alterò sempre la semplicità e verità della natura nell’imitare le greche tragedie, e che corruppe, come altri disse, quel vin Greco sì sano e sì grato colla sua mordente acquavite? […] Soprattutto nell’atto quinto si scopre la poca destrezza e pratica di teatro che avea l’autor latino; e sempre più si desidera il bellissimo e veramente tragico atto quinto del coronato Agamennone di Eschilo. […] Gli squarci più tragici vengono bruttati dal furore di presentar sempre pensieri maravigliosi. […] Sarà egli un giusto che non ami sempre la giustizia? […] Ovvero per essere sempre decantato come giusto, dovrà egli dire soltanto quel che vogliono gli apologisti, sieno essi di professione tali, o mascherati da storici e da filosofi?
Forse non si levò mai a grandi altezze, ma, diligente e intelligente, si conservò sempre attore de’ più coscienziosi e accurati.
Fu in società, o solo, sempre alla testa di compagnie di second’ordine, che sfasciava e rimetteva assieme da un momento all’altro, senza preoccupazioni di sorta.
Sotto la stessa data, troviamo in una lista di comici del Duca, e sempre al fianco della Fiala un’altra Angiola, che sappiamo essere stata l’Anna Marcucci, esordiente come comica, e appartenuta prima alla Compagnia del Palombi, cantimbanco napolitano.
Dell’ ’82, sempre secondo il Bartoli, recitava col vigore e il valore di trent’ anni addietro.
Veneziana, moglie del precedente, e attrice egregia nelle parti di serva, fu sempre col marito sotto il nome di Corallina, eccettuato un triennio, in cui se ne staccò, per inconsideratezza, come dice il Goldoni.
Egli incominciò a esercitar l’arte comica sotto il nostro celebre Pertici, e sostenne sempre con qualche decoro quei caratteri, che gli venivano destinati dal sopraffino discernimentò del suo direttore. » A ventidue anni perdè improvvisamente la vista, e si diè allora a scrivere poesie, specialmente bernesche, in cui riuscì egregio.
Il suo istituto è di “cercare la verità”, ma egli dissimula quasi sempre la verità delle mie ragioni, sopprime le pruove e travisa le mie opinioni per poterle poi presentare in quel lume che le renda men giuste. […] I Greci ebbero ancor essi i loro “guastamestieri” corruttori del buon gusto ecc,… e lo stesso è seguito e segue ancora fra noi; ma da tutto questo si deve forse arguire che non esiste più una buona musica, o si deve piuttosto confessare per nostra confusione che finché durerà il mondo vi sarà sempre il male accanto al bene, e vi saranno sempre autori mediocri e cattivi in tutte le arti e in tutte le sciente accanto a’ buoni? Sì, bisogna confessarlo, e ciò che è ancor più fatale ma che non è men vero, si è che non sempre gli stessi bravi autori hanno fatte opere perfette.» […] Dopo alcune righe dove c*ontinua sempre senza interruzione il sentimento medesimo, viene l’altra proposizione citata dal giornalista. […] La musica può regnar sola, ma non vuole, e sanno benissimo i bravi maestri che dessa ha sempre più efficacia ed espressione quand’è unita alla poesia.»
Nel 1770 usci in Madrid la commedia intitolata Hacer que hacemos, cui noi potremmo dare il titolo di Sex Faccendone, di uno che vuol mostrarsi sempre affaccendato, ma che nulla ha da fare. […] Essa appartiene a don Juan Melendez Valdès, e l’antispagnuolo preteso Napoli-Signorelli ne dà contezza in Italia, e provvede all’indolenza degli apologisti spagnuoli sempre ingrati, e declamatori, e sempre copisti desidiosi. […] La critica potrebbe sugerire che meglio forse risalterebbero gli effetti della pessima educazion di Pepita, se la di lei zia si mostrasse meno pungente in ogni incontro, e don Eugenio innamorato meno nojoso, che ostenta sempre una morale avvelenata da un’ aria d’importanza e precettiva. […] Nell’atto III son da notarsi le seguenti cose; un altro colpo di bacchettona allorchè parlando Chiara con Perrico delle sue nozze clandestine, si accorge che viene il padre, e senza avvertirne il servo muta discorso, e dice, io voleva mettermi tralle cappuccine per meritare con una vita più austera una corona più gloriosa, ma bisogna obedire al padre : la scena in cui don Luigi vorrebbe che ella si fidasse di lui e gli dicesse se inclinerebbe allo stato conjugale, ed ella punto non fidandosi continua sempre col tuono di bacchettona; l’artificio con cui si prepara lo scioglimento colla mutazione non prevista che fa un parente del suo testamento. […] Potè mai fare ch’egli non fosse sempre el poetilla La Cruz?
Variamente ne han giudicato i critici, ma sempre con ingiustizia. […] Senza dubbio questo poeta mostrò a prova di non conoscer veruna delle regole, le quali é più difficil cosa ignorare che sapere: non separò li tragico dal comico: dove elevò lo stile, si perdé nel lirico, e per lo più stravagante: abbellì i vizi, e diede un aspetto di virtù alle debolezze: se alcun componimento di mal esempio, qual é il Galàn sin Dama: molti ne scrisse estremamente spropositati, come il Purgatorio de San Patricio, e ’l Joseph de las Mugeres, e altri: cadde in mille errori di mitologia, di storia, di geografia: non vide gl’inconvenienti inevitabili nella rappresentazione de’ suoi autos sacramentales, ne’ quali si espongono i misteri della religione non rare volte con interpretazioni e allegorie fantastiche e con giochetti puerili sulle parole, e sempre con buffonate de’ personaggi ridicoli182. […] Il Desdén con el Desdén dell’istesso é una commedia sregolata, ma vi si trovano pennelleggiate con tal maestria le passioni di una donna bizzarra, che si farà sempre veder con piacere anche da’ rigidi censori dell’irregolarità. […] Inglese Una potente convulsione nell’incominciar del secolo XVII giva agitando gli umori del corpo britannico, sempre disposti a ribellarsi, e minacciava un prossimo sconvolgimento nella costituzione.
Delle pochissime tragedie di autori moderni o viventi che han cercato di osservar le regole, non vi ho veduto rappresentare se non l’Ormesinda e ’l Sancio proscritte per sempre dopo la prima rappresentazione. […] Tutta volta presso di una nazione per tante vie incoraggiata e premiata (fortuna invidiabile) e che abbonda di tanti modelli eccellenti, i quali non lascia di veder rappresentar di quando in quando, questa decadenza sarà sempre passeggiera e ’l gusto adulterato non debbe tardar molto a rinvenir dallo stordimento269. […] L’istesso é già principiato ad avvenire a’ sedicenti filosofi francesi della nostra età, uomini per lo più di poco ingegno, di cuore freddo e di gusto depravato, che col loro pretesto spirito filosofico, e con quella loro ventosa loquacità, «quae animos juvenum ad magna surgentes (come disse Petronio) veluti pestilentiali quodam sidere afflavit» tarpano le ali alla fantasia, mettono a soqquadro le belle arti, e deprimono i gran modelli; uomini (parlo sempre per sineddoche) scostumati e sciaurati, nemici della ragione e della verità; uomini mezzanamente instruiti e superlativamente fanatici che per mostrare la loro esistenza, cospirano a distrugger tutto, e alla soddisfazione interna di essere ragionevoli antipongono la vanità di comparire straordinari e spiritosi alla moda; uomini anche in mezzo al loro vantato scetticismo dogmaticamente decisivi che presumono di essere i precettori del genere umano, e che vorrebbero a lor talento governare il mondo; uomini perversamente pensanti che disonorano il cristianesimo, la patria, l’umanità e la filosofìa tutto a un tratto; uomini solidamente audaci e feroci che quando possono scoccare qualche velenoso strale contro l’Italia, la religione, il sacerdozio e ’l principato, se la godono e trionfano e si ringalluzzano; uomini fieramente superbi e boriosi che quando veggonsi tassati nelle loro stravaganze e bestemmie, arruffano il ceffo con rabbia cagnesca, s’inferociscono, s’inviperiscono, s’imbestialiscono; uomini naturalmente maligni e astiosi che con cinica declamazione calunniano alla dirotta, sapendo che il volgo e i più, non la verità, ma l’opinione risguardano; uomini in somma che sono un composto d’ignoranza, di presunzione, di orgoglio, d’impostura, di malvagità, di demenza, e di suprema temerità, e a’ quali può anche a buona equità appropriarsi tutto ciò che il dottor del Genti nelle due epistole a’ romani e agli efesi scrisse de’ filosofi idolatri. Si vede bene, che nel teatro di questo mondo gli attori al volger degli anni mutan faccia, lingua, e paese; ma la scena é sempre l’istessa, l’istesse passioni, gli stessi moti, quasi niuu divario.
Stabilitasi poi la Corte borbonica a Palermo, la Compagnia Negrini che n’era stipendiata, la seguì ; e l’Alberti vi rimase tre anni, sempre applaudito nelle parti di mezzo carattere, oggi brillante.
Giovanni visse fino ai 16 anni in mezzo alle tradizioni marinaresche ed ebbe un fratello maggiore che potè illustrare il nome degli Arrighi con azioni eroiche, riconosciute da compensi sovrani, dal 1866 al’70, sempre sul mare.
Cominciò ad acquistar nome di attore pregiato in Compagnia Fabbrichesi, il quale, incitatolo allo studio, e sovvenutolo sempre di consiglio e di ammaestramenti, gli fe’raggiungere il più alto grado dell’arte.
Lontano dal Modena, n’ebbe sempre i migliori consigli e le più intime confidenze, nonostante una certa disparità di carattere, la quale traspar viva da quelle lettere in cui il sommo artista battezza il Calloud di Sant’ Ermolao, di Michelaccio, di Trippa, ecc.
La concessione, in data del 25 gennaio 1831, aveva le seguenti parole : « Risultando che il detto con intelligenza non ordinaria tanto nelle rappresentazioni comiche che tragiche, e sempre con zelo e dignità si è saputo conciliare la pubblica lode, ecc.
E la promessa fu tenuta largamente, quando sei anni più tardi nella terza Compagnia di Bellotti-Bon, capitanata da Cesare Rossi, l’Amalia Checchi si presentò prima attrice assoluta, piacendo sempre, talora fanatizzando come nel Vero Blasone di Gherardi del Testa, e nella Dora, ch’ella creò, e che fu una vera e propria rivelazione.
Fu sempre al fianco di ottime artiste, quali la Bettini, la Robotti e la Ristori, la cui somma valentìa non valse mai ad attenuare il fascino ch’ella esercitava sul pubblico sia con le doti intellettuali, sia con quelle del fisico ; poichè la Chiari aveva elegante figura, volto piacevole, bellissima voce.
Se le tue ossa rimangono preda del micidiale Brasile, il tuo spirito eletto sarà sempre fra noi.
E infatti se fu sempre notevole in tutto il dramma, nel terzo atto apparve davvero sorprendente.
Florinda e Flavia apparivan sempre meno accostabili, e più per cagion di questa che di quella.
to di doppie cento all’anno e lasciarla in libertà d’andar à recitare in qualsivoglia Teatro, ricevendone però sempre antecipatam.
Bartoli lo dice « Uomo di molto ingegno, che non solo in Teatro, ma al Tavolino ancora mostrar sapeva uno spiritoso talento. » Non ebbe alcuno mai in società, e cumulò denari quanti volle : ma proprio al momento, in cui credè la sua sorte assicurata per sempre cominciò a esser da essa perseguitato, e con siffatta costanza, che in capo a pochi anni fu ridotto in miseria.
Passò in seguito al ruolo di caratterista, e si fece sempre notare per una singolare nobiltà, anche ne'personaggi più ridicoli.
Col Majeroni e il Taddei formò poscia una Compagnia, colla quale girò l’Italia, acclamatissima sempre.
Lasciato il maggior figlio Alessandro a studiar belle arti all’Accademia di Firenze, si scritturò nella Compagnia di Bon e Berlaffa, conducendo seco il figlio minore Tommaso ; poi, sempre con lui, in quella di Gustavo Modena ('43-'44), a fianco del quale egli sosteneva Achimelech nel Saul, Lusignano nella Zaira, Andrea nella Pamela nubile, ecc., oltre a tutte le parti di primo attore assoluto in quelle opere di varia indole, in cui Modena non avesse parte.
Imitinsi questi venerabili maestri nella grande arte che ebbero di ritrarre quasi sempre al vivo la natura; sieguansi con critica e sagacità ne’ generi da essi maneggiati, ma non si escluda tutto ciò che dopo di essi può l’umano ingegno inventare con la scorta degli eterni principii della poetica ragione superiori sempre alla pedanteria scrupolosa. […] Cresco sempre più l’interesse nell’atto IV. […] Si è veduto come ben per tempo e più volte s’impresse e sì tradusse in Francia, prima che quivi si conoscessero Lope de Vega, Castro e Calderon; il che sempre più manifesta il torto del Linguet nel pretendere che le prime bellezze teatrali avessero i Francesi imparate dagli Spagnuoli. […] Ma il Pastor fido, malgrado de i difetti che vi si notano, sarà sempre un componimento glorioso per l’autore e per l’Italia. […] La lingua castigliana riuscirà sempre più della francese nel trasportare le poesie italiane, perchè oltre all’essere assai ricca, ed al possedere non poche espressioni che alle nostre si confanno, essa ha qualche parola poetica più della francese, e credo che ne avrebbe ancora più, se più conosciuto e secondato si fosse dalla propria nazione nel disegno di arricchire, ed elevare la patria poesia Fernando Herrera buon poeta Andaluzzo, e sovente armonioso e felice imitatore del Petrarca.
Le storie ragionate che per mano della filosofia si conducono per le varie specie poetiche e singolarmente teatrali, non son dettate per appagar soltanto una sterile curiosità: ma racchiudono in se mai sempre una Poetica a ciascuna di esse corrispondente, ed una Scelta de’ più cospicui esempj sì delle cadute che dei progessi che vi si fecero in diverse epoche. […] Non v’ha nemico più temuto dagl’impostori letterarj, politici e morali, quanto un buon teatro; per la qual cosa essi adopreranno sempre gli ultimi loro sforzi per avvilirne l’occupazione, temendo di esser su di esso scherniti, suo principal oggetto essendo il separar l’oro dall’alchimia, la maschera dalla realità, i veri utili scrittori da que’ larghi promettitori eterni di opere che non si producono, i quali sono gl’insetti divoratori della messe che dovrebbe alimentar la povertà meritevole, la modesta filosofia, la virtù infelice che dà riputazione fin anco a’ paesi corrotti, la quale mentre riscuote un apparente rispetto, vien lasciata languire nell’indigenza.
Ed avverta ancora, che quando anche ciò fosse dimostrato, non che dimostrabile, Roma ch’è una sola Città, benchè sempre chiara, non derogherebbe a tante Città Italo-Greche, che vantarono magnifici Teatri, di cui esistono le reliquie, che si addurranno colle dovute prove a suo luogo; e ciò nel tempo che fioriva l’antica Grecia transmarina. […] Il Signorelli sempre povero di cuore e di mente si fe troppo occupare da’ piccioli ornamenti del Teatro di Scauro, consumati poi in Villa dal fuoco per malignità de’ di lui schiavi, la cui valuta si stimò che ascendesse a cento milioni di sesterzj, cioè a due milioni e mezzo di scudi Romani moderni, o sia cinquanta milioni di reali Spagnuoli, oltre alle tremila statue di bronzo che si collocarono fralle trecensessanta colonne.
Detta la propria causa di scoprire la sorgente dell’errore, ma intanto ne soffre la moderazione sempre bella nelle difese. […] Pare a me che in queste si permetta il ragionare, ma non occultare il Vero e tradir l’Onesto: parmi che l’Onesto e il Vero debbano in queste preferirsi mai sempre alla meschina glorietta di confondere e soppiantare per qualunque via l’avversario.
L’armi portate da’ curachi in un luogo di pietà, e di pace e allegrezza, forse col fine d’inculcar a’ popoli di vegliar sempre a difesa della religione e della patria, destarono probabilmente l’idea della rappresentazione eroica e militare; e quelle maschere ridicole, le quali dovettero esser simboli satirici delle stravaganze delle passioni smoderate, poterono facilmente convertirsi in dipinture comiche delle umane ridicolezze. […] Cresce finalmente sempre più la probabilità delle nostre congetture sull’origine degli spettacoli del Perù, qualora si rifletta, ch’essi veniano rappresentati da’ medesimi curachi, inchi, e capitani, che si mascheravano nella festa Raymi.
Onde riuscire a diferenziare la sua fisionomia il suo volto fu sempre raso. […] De Marini però non sagrificava mai la verità all’effetto, perchè diceva : questo si ottiene sempre, seguendo quella.
Finalmente, dopo cinque anni d’incredibili peripezie, in cui la fame aveva pur sempre la più gran parte, a traverso plaghe inospitali, in barroccio, in carretta, a piedi, or cogli Stenterelli Serrandrei e Miniati, or con Benini e Gelich e De Carbonin e altri, recitando da vecchio e da giovine, da promiscuo e da mamo, e fin sotto le spoglie della maschera Faccanapa, contrapposto vivente e poco fortunato del Faccanapa di legno inventato dal Reccardini, che formava le delizie del popolo triestino, mentr' egli, Zago, era con Gelich, Tollo e Papadopoli al Teatro Mauroner, pur di Trieste, eccotelo – dico – finalmente di sbalzo (agosto '76) a Napoli con 5 lire al giorno, generico della Compagnia Veneziana di Angelo Moro-Lin, salutato da un fragoroso, unanime applauso al suo primo apparir sulla scena, dopo appena tre sere dal suo debutto. […] Io aspetto e spero. » E l’aspettazione e la speranza, quasi vane ormai, non gl’impediscono di portar sempre e dovunque il magistero dell’arte sua, con predominio di note schiettamente gaje, sia che il buon gusto del pubblico gli conceda di spiegar le sue doti ne'capolavori goldoniani (oggi [1905] ne ha oltre venti in repertorio), sia che dal palato avvezzo agli eccitanti, o dal bisogno nel pubblico lavoratore di una distrazione spensierata, egli debba mostrarsi nelle innocue e pur vilipese aberrazioni chiassone della pochade.
Ecco come il preteso antispagnuolo Napoli-Signorelli a proprie spese avendosene fatto rimettere, come della precedente, un esemplare da Madrid, ne dà contezza in Italia, e provvede così all’indolenza degli apologisti sempre ingrati e declamatori. […] Lo stile sobrio per la verità de’ sentimenti e dell’espressioni, ricco e copioso d’immagini e di maniere poetiche ammesse nel drammatico pastorale, appassionato ne’ punti principali della favola; la versificazione armoniosa di endecasillabi e settenarj alternati e rimati ad arbitrio; i caratteri di Basilio, Chiteria, Petronilla, Don-Chisciotte &c. ben sostenuti; la passione espressa con vivacità e naturalezza; lo scioglimento felicemente condotto sulle tracce dell’autor della Novella, l’azione che in ciascun atto dà sempre un passo verso la fine: tutto ciò raccomanda a’ contemporanei imparziali questo componimento, e l’avvicina alle buone pastorali italiane. […] Le due prime in tre atti ed in versi erano composte sin dal 1786; ma la prima s’impresse nel 1790, e si rappresentò con piena approvazione nel teatro detto del Principe, dopo aver sofferte mille contrarietà de’ poetastri La-Cruz ed altri, e de’ commedianti spesso inesperti e sempre caparbii.
Nel prologo di accettazione nella Zagnara era certo rappresentato al vivo il suo stato miserevole. « Le vicissitudini della mia fortuna » dice nelle parole al lettore (V. la Corona maccheronica) « dopo la mia nascita, hanno stillato sempre di farmi vivere in angoscie. […] Casali Gaetano, comico di rari pregi al servizio del celebre ciarlatano Buonafede Vitali, Bissoni Giovanni, e primo fra tutti il famoso Tabarrini, da cui poi la maschera di Tabarino, quasi sempre (V. […] Nella lista dei personaggi vi troviamo infatti un Giovanni bergamasco servidor, il quale nel corso della commedia è sempre chiamato Zane, e fa precisamente la parte dello Zanni. […] Ol Fascina fe Molena E Molena fe crosti Ol Crosti fe la Mezena La Mezena ol Tempari Tempari fe Scorteghi Scorteghi fe Pan Buffet Che fu pader dol Guazzet Ch’andò sempre a testa china. […] Torino, Paravia, 1826) : A Giovanni Boccomini fu genorosa natura ; di bella figura, di voce sonora, di avvenente aspetto ; quasi sempre applaudito, soventi volte encomiato, oltre le qualità fisiche possiede un tatto giusto e perfetta cognizione degli spettatori con che ha a fare.
Fatemene dunque la grazia, che ciò facendo vi resterò obbligato tanto di là, come di qua dal sempre obbligatissimo anco con mio scomodo Buffetto. […] A. mi metta con chi uole e facci di me quello che li pare che sempre sarò pronto a seruirla ma l’esser poi strapazato con quella pouerazza de mia moglie sono cose che fano catiuo, tanto più che il dottore per essere a l’ombra del patrone me a fatto questo che se non fusse me farebbe li ponti d’oro per riunirci in sieme come me fano tutti li altri compagni li quali aspeteno con grandissima diuotione se sono in Compagnia si ò nò acciò poseno fare el lor uiagio per le lor case caso che fuseno esclusi ; di questo io ne suplico con ogni Umilta posibile il Sere. […] Remetendoci sempre alla benignità di S. […] S. la prego a esermi mezano acio io non resti mortificata da questo mal omo contra ala mia inocenza che piu tosto con bona licenza del patrone morirei di fame perche mi figuro dale parole che lui dice di essere in compagnia al nostro dispetto di riceuere magiori mortifichazioni cosa che non ho mai riceuto perche o sempre auto protezioni ora mi par strano che ciò mi sia intreuenuto soto ala protetione di S. […] S. per la protecione di ciò di tutto core insieme con mia moglie me racomando restando per sempre obligatissimi a V.
Sommamente patetico in quest’atto è il silenzio dell’ingannata Dejanira alle accuse del figlio addolorato, silenzio eloquente artificioso che sempre in Sofocle precede le disperazioni e i suicidj. […] Per mettere con chiarezza sotto gli occhi quanto stimava necessario per intelligenza della favola, egli sempre fece uso del prologo, là dove Sofocle senza prologo esponeva a maraviglia lo stato dell’azione. […] Segue ella sempre con egual vigore a pregare il padre, ricercandogli in mille guise le vie del cuore; ma nulla ottiene. […] Nel che (soggiugne quell’erudito) si scorge il progresso della mente umana che tende sempre alla perfezione. […] L’amore d’Ippolito per Aricia vietato dal padre quanto non toglie al carattere del giovane eroe, virtuoso sempre, sempre degno di compassione in Euripide, debole qualche volta, qualche volta ozioso nel poeta Francese!”
ri, ho cercato col tener questa compagnia insieme che egli possa sostentarsi cavandone utile che veramente mi rincresce che resti tolto a questo povero galanthuomo che sempre è vissuto in maniera da capir per tutto. […] Però gli ho risposto che faccin bene che io gli aiuterò sempre, e così li ho licenziati. Mi sono ben fatto promettere da ciascuno in particolare, che sempre, che per qual si voglia accidente si disunischino, ogni uno di loro farà quel ch' io vorrò. […] S. gliene porgerà in quella maniera che è proporzionata al sommo desiderio che ho sempre di servire a S.
Il gusto che percepisce, confronta ed analizza i rapporti; la critica che ci rende sensibili alle bellezze e ai difetti e che, indicando gli errori altrui, ci premunisce contro alle inavvertenze proprie, sono non men necessari ai progressi dell’umano spirito di quello che lo siano gli slanci del genio sempre coraggioso, ma talvolta poco avveduto.
Vuolsi che un villanello, non potendo altramente dar segno di sua divozione al gran Serse, fatta coppa delle proprie mani, gli porse dell’acqua pura, ed il Re Persiano l’accolse con quella umanità che accompagna sempre la vera grandezza.
Il personaggio della Diamantina è quello vero e proprio della servetta, amante o moglie quasi sempre di Arlecchino, astuta, chiacchierina, birichina ; e che mutò nome col mutar delle attrici, doventando Colombina colla Biancolelli, Ricciolina coll’Antonazzoni, Franceschina colla Roncagli, Corallina colla Veronese, ecc. ecc.
E il 5 e il 16 gennaio dell’anno seguente lo vediamo sempre a’Crocicchieri prender parte a una bellissima commedia, over cosa d’amore…., poi il 3 gennaio 1525 all’Orba, in casa Querini Stampalia a S.
A. al signor Marsilio Papafava ; e poco dopo a Venezia raccomandato sempre da S.
Seppe mettersi in seconda linea, lui, che stette sempre e poteva stare ancora nella prima.
Ma io non saprei immaginare un’opera che discorra di comici italiani, discompagnata dal nome di Antonio Salsilli, che fu sempre e tuttavia si serba di essi amico fortissimo e strenuo difensore ; che vagheggiò per essi radicali riforme atte a levarne alto lo spirito, a rialzarne il senso morale, a farne comprendere coi sacri doveri i non men sacri diritti.
La piazza ov'egli agiva era piena sempre di gente a piedi e in carrozza ; ma, naturalmente, difettandovi i dotti, egli, all’intento di allettare la folla ignorante, ebbe l’idea peregrina e geniale delle quattro maschere italiane, che lo ajutavan co' lor lazzi nello smercio de'suoi specifici.
Egli vuol morire e vivere di bel nuovo e tornare a morire e rinascer sempre, Iterum vivere, atque iterum mori Liceat, renasci semper. […] Soprattutto nell’atto V si scopre la poca destrezza e pratica di teatro che avea l’autor latino; e sempre più si desidera il bellissimo veramente tragico atto V del coronato Agamennone di Eschilo. […] Gli squarci più tragici vengono bruttati dal furore di presentar sempre pensieri maravigliosi. […] Sarà egli un giusto che non ami sempre la giustizia? […] Ovvero per essere decantato come giusto dovrà far ecco sempre alla folta schiera degli apologisti Spagnuoli, sieno essi tali di professione o mascherati da storici e da filosofi?»
De le donne e degli uomini Sa trasformar sempre che vuole in varii Animali e volatili e quadrupedi. […] Della stessa maniera una tragedia languida, lenta, snervata, sarrà sempre priva di forza tragica, tuttochè abbondasse di gravi sentenze politiche e morali. […] Ma sapere abbigliar di moderno le antiche favole, sarebbe in una favola un pregio di più che renderebbe quegli antichi bei tratti naturali sempre più interessanti colla freschezza del colorito, e per conseguenza allontanerebbe sempre più la favola dalla languidezza. […] Combatto ora con chi voi combattete sempre. […] Tu senti che il tuo nome m’è sempre in bocca.
La Giurlì o La famiglia indiana, la Lauretta di Gonzales, e varie altre erano da lei con tale innocenza rappresentate, e nel tempo stesso con una verità si grande da far supporre che l’arte non vi aggiungesse nulla del proprio, quando invece era la sublimità di questa che le faceva raggiungere il vero ; e se questa somma attrice fu a tante superiore nella commedia e nel dramma, con non minore maestria seppe innalzarsi nella tragedia, poichè la Francesca da Rimini, ch'ella creò, la Pia de' Totornei, la Mirra, l’Ottavia, e tante altre le procuraron sempre nuovi trionfi. […] L'arte che professava fu sempre per lei una seconda esistenza.
A questa aggiungiamo le Memorie delle notizie più vere, e cose più notabili e degne da sapersi, accadute nella feliciss. entrata delle sempre gloriose Truppe Cesaree nel Regno, ed in questa Città di Napoli, pubblicata dall’ autore il 1708, in 12° ; e la Guida de' Forestieri per la Città di Napoli, stampata il 1725. […] Finito il carnovale a Modena, Florindo si restituì in patria, e il Duca lo raccomandò con ogni larghezza, il 3 marzo 1681, a Francesco Magnacavallo suo Agente a Napoli e al fratello di lui Ortensio, dei quali Florindo ebbe sempre a lodarsi.
Fur sempre i miei desiri, Ch’abito sacro li cingesse, a lui Rendendogli, che tiene il gran governo De la terra, e del ciel Motor immoto. […] Monsignor, io sono un, che sempre in comedia s’innamora : Ma così Dio della sua grazia il dono mi conceda benigno come mai non sento al cor d’Amor tempesta o tuono. […] Ma temendo sempre di esser troppo vicina al marito, si offri al capo comico Brangi, che con la sua Compagnia occupava il teatro di quella città, come generica giovine.
Il Fidenzi, oltre all’essere stato attore preclaro, fu preclaro poeta ; e pubblicò un volume di versi a Piacenza del ’52, ch’egli intitolò Poetici Capricci, e dedicò ad Alessandro Farnese, in cui sono, se non sempre, vivezza e semplicità di imagini, tanto più rare e pregiate, in quantochè apparse in mezzo al dilagar delle strampalerie del tempo, e di cui metto qui come saggio il principio del vigoroso canto : I fifgli famelici della Vedova Ebrea assediata Di Sion l’alte mura Tito ricinte havea di genti armate : E gli assediati Ebrei, Con dolorosi omei, Chiedean pietade a l’indurato Cielo : E di viveri affatto impoveriti Con lagrimosi inviti De la Morte chiedean l’orrida falce. […] Prima di questi Capricci aveva inserito del 1613 a Venezia alcune rime nella Raccolta funebre per la morte della comica Maria Rocha Nobili detta Delia (V.), poi pubblicato, sempre a Venezia, del ’28, un Effetto di Diuozione, consacrato al merito indicibile de i due famosi in amicizia, e per sangue e per l’opere Illustrissimi Nicolò Barbarigo e Marco Trivisano, composto di tre sonetti e un’ode in quartine. […] Fu poi col marito nella Compagnia di Giovanni Roffi, sempre applauditissima, a Milano, a Torino, a Genova, a Livorno.
Di tra i giudizi dati all’illustre Uomo, scelgo il seguente di Ernesto Rossi : Vidi Tommaso Salvini rappresentare la parte di Egisto nella tragedia classica, Merope di Maffei : e come lo vidi allora, lo tengo sempre scolpito in mente. […] Ho detto più su che Tommaso Salvini fu classico nel significato puro della parola, chè non mai s’ebbe da notare nella sua esposizione la esuberanza spontanea, e pur tal volta nella spontaneità grottesca de'romantici : ne'suoi scatti di passione, ne'suoi scoppi di furore era sempre la misura contegnosa, direi quasi plastica della forma : plasticità che non tradiva mai la fatica dello studio, ma usciva elegantissima e varia sempre e rapida in una spontaneità apparente.
Ma gli affetti universali dell’uomo trovandosi variamente in ogni nazione modificati, dovrà la drammatica in quanto al gusto sempre soggettarsi a certe regole relative e particolari dipendenti dal tempo, dal costume e dal clima. […] Ma la regola di giudicar dagli scritti del carattere dell’autore non sempre è sicura. […] Questa commedia con riuscita assai rara in Londra si rappresentò sempre con applauso circa trenta volte. […] Ben espresso è pure quello di sir Henns rustico occupato sempre de’ suoi cavalli. […] Terenzio e Moliere, dirò sempre, si leggono e si encomiano dapertutto, perchè dapertutto oggi s’imitano sì poco?
Per servir sempre al possibile all’istorica veracità in ogni parte di quest’ opera, conviene quì aggiugnere una nota al libro III contenuto nel presente volume, indi due correzioni, giunte, o miglioramenti al precedente.
» Con tuttociò, pare che il Barlachia, citato sempre ad esempio come recitatore, non fosse, come tutti i suoi colleghi di scena un’arca di scienza : e nel Consiglio villanesco del Desioso (Siena, 1583) il dialogo comincia col chiedere scusa, per essere l’autore rappresentante, non letterato : « Chi fa l’arte che fece il Barlacchia non può come gli sdotti arrampicare. » A pagina 432 delle rime del Lasca curate dal Verzone (Firenze, Sansoni, 1882) abbiamo le due seguenti ottave : IN NOME DI CECCO BIGI STRIONE Alto, invitto Signor, se voi bramate ch’il Bigio viva allegro, e lieto moja, la grazia, che v’ha chiesto, omai gli fate, per ch’egli esca d’affanni e d’ogni noja ; ei ve ne prega, se vi ricordate delle commedie, ove contento e gioja vi dette già, e spera a tempo e loco farvi vedere ancor cose di fuoco.
Ma neanche il successo di Roma (all’Anfiteatro Corea) fissò la sua carriera, sempre interrotta ; tanto che tornato a Firenze, dovette restituirsi all’antico asilo, alternando i lavori dell’oreficeria con rappresentazioni or al fianco di Papadopoli, or di Adalgisa Stacchini Santucci, or di Laura Bon.
Fu da principio al servizio del Duca di Mantova, poi dopo il 1708, passato quel Ducato in potere dell’Imperatore Giuseppe, il Cattoli portossi a Venezia, dove ebbe sempre impiego ; così Fr.
Ma Pasquariello (non so bene da chi inventato ; probabilmente da Salvator Rosa, e incarnato poi da Giuseppe Tortoriti) non è nè padre, nè vecchio, nè parte nobile di alcuna specie ; ma sempre servo : e caratteristica sua è più che la parola la mimica, apparendo prima ballerino da corda, come lo ritrasse il Callot insieme a Meo Squacquera, poi un de' più agili saltatori della Compagnia italiana di Parigi nella seconda metà del secolo xvii.
Felice se potrò far con essi, o che voi sempre con più vigore assaltiate, ed esterminiate i vostri avversarj, formando della Letteratura Spagnuola un’ Apologia da essere un monumento della vostra sapienza ære perennius; o se potrò almeno rimettere nel buon cammino qualche altro futuro Apologista traviato, sendo questo uno de’ benefizj chiamati innoxiæ utilitatis, che la Natura c’insinua di praticare, Ἐις ὀδὸν ἀλὐοντα ἀγε. […] Volete uscire sempre vittorioso dallo steccato? […] Ed ecco il modo di accreditarsi di benemerito della Nazione: secondare le sublimi vedute di sì benefico Monarca, e de’ patriotici zelanti Ministri, che con tanta alacrità e prontezza le mandano ad esecuzione, e de’ Filosofi nazionali, che non cessano dall’indagare sempre più utili sorgenti della ricchezza della Patria nel miglioramento dell’Agricoltura, e del Commercio, donde provengono le forze dello Stato. […] Mettete sempre alla vista le glorie effettive da lei acquistate, e non mai quelle incerte ed equivoche, che voi le attribuite. […] I Cartaginesi dominarono in Ispagna per ben poco tempo, e sempre con inquietudini e turbolenze; nè poi costa, che c’insegnassero cosa veruna.
Io ho vedute ripetersi quasi sempre le medesime sarsuole composte per lo più dal lodato La Cruz, cioè las Segadoras (mietitrici) de Vallegas, las Foncarraleras, la Magestad en la Aldea, el Puerto de Flandes, e qualche Folla. […] Agamennone nella scena 5 domanda a Taltibio se abbia eseguiti i suoi ordini, quando pur vede Briseida ed Achille in quel luogo; ed il servo disubbidiente dice che gli ha enunciati, ma non è passato oltre per compassione, e canta un’ aria di un tronco che cede alla forza ma mostra colla resistenza il proprio dolore, sentenza che quando non fosse falsa, impertinente ed inutile per la musica, sarebbe sempre insipidamente lirica e metafisica. […] Ma per giustificare sempre più il mio racconto e per manifestare a un tempo la poca sincerità del sig. […] Con tal dottrina, solidità, buona fede, urbanità e logica combatteva in ogni incontro Huerta a se sempre uguale, tuonando nè caffè e ne’ passeggi e ne’ papelillos che produceva, e servendogli d’eloquenza l’arroganza. […] Manca ancora dopo di tal raccolta a sì culta nazione una scelta teatrale ragionata intrapresa da un letterato filosofo nazionale fornito di gusto, di buona fede, di lettura e di giudizio, il quale sappia sceglier bene i drammi ed indicarne meglio i difetti e le bellezze; e ciò all’ombra di quella parte critica detestata dall’Huerta come satira maligna, ma che io però pur vorrei che sempre nelle mie opere risplendesse, a costo di esser perpetuo segno di tutti i papelillos degli Huertisti, di tutti gli opuscoli de’ Don-Pedros, di tutte le biblioteche de’ Guarinos, e di mille opere teatrali del LaCruz munite di prolaghi, dedicatorie e soscrizieni.
Per sempre ! […] Serva sempre dei pessimi. […] La fazione Pigliapoco, e freme temendo di esserne sempre più maltrattata. […] Viene Prosperino, cui Lucrezina risponde sempre dispettosamente per disgustarlo. […] Giugne Odorico sempre pronto in lor difesa con soldati.
Sopra tutte le sue lodi trionfa l’eccellenza dello stile naturalmente bello e poetico, ricco nella frase, puro nel linguaggio, grande sempre, sempre elegante, e forse talvolta per questo appunto alquanto uniforme. […] Questa tragedia sveglia dolci speranze in Italia nel secolo XIX, e mostra sempre più che il sig. […] Il padre ignorerà sempre i miei arcani ? […] Agiziade Per sempre ? […] Egli ha mostrata sempre Mirra senza che parli del suo detestabile amore.
[3] Il politico, osservando unicamente gli oggetti per la relazione che hanno colla civile economia e coi fini dello stato, lo riguarda come un luogo atto a far circolar il danaro dei privati e a render più brillante il soggiorno d’una capitale; come un nuovo ramo di commercio, ove si dà più voga alle arti di lusso pella gara che accendesi scambievolmente di primeggiare negli abbigliamenti e pel maggior concorso de’ forastieri chiamati dalla bellezza dello spettacolo; come un ricovero all’inquieta effervescenza di tanti oziosi, i quali in altra guisa distratti potrebbono alla società divenire nocivi, impiegando contro di essa non meno i propri divertimenti che le proprie occupazioni; come un mezzo termine infine opportuno a dileguar i bisbigli de’ malcontenti, o a impedire le ragunanze sempre di torbidezza feconde e di pericolo. […] Ei paragonando insieme le diverse bellezze degli autori, delle nazioni e de’ secoli, si forma in mente una immagine del bello ideale, la quate poi applicata alle diverse produzioni degli ingegni gli serve, come il filo ad Arianna, per inoltrarsi nel sempre oscuro e difficile labirinto del gusto: contempla l’oggetto delle belle arti modificato in mille maniere secondo i climi, le costumanze e i governi, come la materia fisica si combina sotto mille forme diverse: conosce che tutti i gran geni hanno diritto alla stima pubblica, e che un sol genere di bello non dee, e non può donar la esclusiva agli altri. […] Quanto a me animato perfettamente da spirito repubblicano in punto di lettere ho sempre stimato, che la verità e la libertà debbano essere l’unica insegna di chi non vuol avvilire il rispettabile nome d’autore: ho creduto, che l’accondiscender ai pregiudizi divenga egualmente nuocevole agli avanzamenti del gusto di quella che lo sia ai’ progressi della morale il patteggiare coi vizi: ho pensato, che la verace stima verso una nazione non meno che verso le persone private non si manifesti con cerimoniosi e mentiti riguardi, figli per lo più dell’interesse, o della paura, ma col renderle senza invidia la giustizia che merita, e col dirle senza timore le verità di cui abbisognai ho giudicato, che siccome l’amico, che riprende, palesa più sincera affezione che non il cortigiano che adula, così più vantaggiosa opinione dimostra ad altrui chi capace il crede d’ascoltar ragione in causa propria che non faccia quell’altro, il quale tanto acciecato il suppone dall’amor proprio che non possa sostener a viso fermo l’aspetto della verità conosciuta: mi sono finalmente avvisato, che se il rispetto per un particolare mi sollecitava a usare di qualche parzialità, il rispetto vieppiù grande che deggio avere per il pubblico , mi vietava il farlo, facendomi vedere cotal parzialità biasimevole, e ingiusta. […] Che se ciò nonostante alcun m’attribuisse intenzioni che non ho mai sognato d’avere: se dalla stessa mia ingenuità si prendesse argomento a interpretare malignamente le mie intenzioni, come dall’aver Cartesio inventato un nuovo genere di pruove fortissime a dimostrar l’esistenza d’Iddio, non mancò ch’il volesse far passare per ateista: se altro mezzo non v’ha di far ricreder costoro, che quello d’avvilir la mia penna con adulazioni vergognose, ovvero d’assoggettarmi ad uno spirito di partito ridicolo; in tal caso rimangano essi anticipatamente avvisati, che non ho scritto per loro, e che la mia divisa per cotal genia di lettori sarà sempre quel verso d’Orazio: «Odi profanum vulgus, et arceo.»
La dimora ch’ei fece in corte contribuì all’aumento de’ lumi di Moliere intorno al cuore umano e a’ costumi nazionali, e disviluppò sempre più il suo discernimento e buon gusto, e ne migliorò lo stile. […] Ma si vuol notare che il Bernagasso ed il Tartuffo vennero dopo di due altri componimenti Italiani, ne’ quali si dipinse il carattere di un falso divoto, cioè dalla commedia latina del Vercellese Mercurio Ronzio De falso hypocrita & tristi, e dall’Ipocrito di Pietro Aretino, in cui nulla desidereresti per raffigurarvi il Tartuffo, se l’autore non avesse voluto nella sua favola aggruppare gli eventi che nascono da una somiglianza, e quelli di cinque coppie d’innamorati, le quali cose gl’ impedirono il rilevar tutti i tratti più vivaci di tal fecondo detestabile carattere sempre necessario di essere esposto alla pubblica derisione. […] Bisogna però mostrare maggiore ingenuità di codesti eruditi Francesi, e confessare che Moliere abbelliva le altrui invenzioni, accomodandole così acconciamente al suo tempo ed alla sua nazione, che quando non lavorava con fretta, gli originali sparivano sempre a fronte delle sue copie. […] Nondimeno il teatro francese conserverà sempre grata memoria di Scaramuccia e della Commedia Italiana dove andava Moliere a studiare l’arte di rappresentar con grazia nelle situazioni ridicole.
Quelli variavano la maschera giusta il bisogno di ogni favola; e questi si hanno inchiodate sul viso sempre le medesime maschere.
Quelli variavano la maschera giusta il bisogno di ogni favola; e questi si hanno inchiodare sul viso sempre le medesime maschere.
Ecco, signori, le obiezioni che mi permetto di farvi : esse mi paiono fondate su l’amore del vero che deve sempre essere la base delle arti….
Grisostomo, poi di nuovo col Lapy, poi col Perelli, col quale fu il 1781, col ruolo sempre di prima donna, a Bologna, Piacenza, Trieste e Padova.
Nullameno Teresa veniva ogni giorno a vederlo, ma sempre accompagnata dalla madre, vecchia attrice che s’era ritirata dal teatro, e che aveva santamente divisato di legare gl’interessi del cielo coll’ opere mondane.
A quindici anni, la Compagnia Diligenti-Pezzana l’accoglieva con amore ; e nel 1885 nella parte di Edith del Figlio di Coralia debuttava applaudita al teatró dei Rozzi di Siena ; continuando negli anni successivi, colle Compagnie Novelli, Pasta e Drago, a rafforzare sempre più la sua delicata fibra d’artista.
Trovandosi il '55 nella Compagnia di Astolfi, morto questi di colera a Pistoia, ne assunse egli la condotta e la direzione, fortunatissimo sempre come capocomico, l’ idolo del pubblico e delle imprese come attore.
Abbandonati allora gli studj sì di medicina, sì legali, Gaetano, padrone omai di sè, vinto dal fascino che avevan sempre esercitato su di lui le glorie teatrali del padre, si fece comico, esordendo con Luigi Domeniconi al Teatro Rossini di Livorno, e mostrando subito le più chiare attitudini alla scena, le quali poi sviluppò con gran successo al fianco di Gustavo Modena, che gli fu capocomico e maestro affezionato.
Il padre morto, la madre da sostentare, gli affari che volgeano sempre più al peggio, la costrinsero ad abbracciar definitivamente il ruolo di vecchia, scritturandosi con Ermete Novelli, e passando poi con Pasta, la Tessero e la Giagnoni, con Paladini, con Pasta, Garzes, Reinach, con Pasta e la Tina Di Lorenzo, con Leigheb e la Reiter, con Pasta e la Reiter, e con la Reiter sola, colla quale è tuttavia e sarà fino al principio del prossimo triennio '906-07-08, pel quale è scritturata colla Compagnia Talli, Re Riccardi : questo il lungo stato di servizio di Ermenegilda Zucchini, o, come la chiamano con affettuoso accorcimento i compagni tutti, della Gilda, che le ha procurato per la probità e la fedeltà e lo zelo con cui l’ ha disimpegnato il più ampio certificato del pubblico padrome. « Vi pare che basti ?
Quando al tempo antico io fui scacciato dal Regno da Gioue mio figliuolo, me n’andai vn gran pezzo ramingo pe ’l mondo, & il primo luogo, che mi paresse sicuro per habitarui, fù alle sponde del fiume, che hora si chiama Reno ; Quiui feci fabricare una Città, e conosciuto il paese per fertile, & abondante, la chiamai Felsina, quasi felix sinus, cioè luogo felice ; e perche gli abitatori di quella mi chiamauano Rè, io che sapevo d’essere stato scacciato dal Regno, rispondeuo Re nò, Re nò ; e di qui il fiume, che passa per la città di Felsina, fù dipoi sempre nominato Reno. […] che già haueua la bocca aperta per dire il fatto suo ; però fattolo accostare, gli diedi cenno, che parlasse ; Egli con la testa rossa per la collera, disse che quello, che era opera manarum suorom, quegli altri babbuassi se lo voleuano attribuire a sè stessi ; ma che la vera verità era, che egli già innamorato morto della Ninfa Dafne, non potendola con preghi, e promesse ridurre alle sue voglie, faceua quasi le pazzie per amore ; pure al fine risoluto di non star sempre come le zucche (co ’l seme in corpo) determinò di pigliarla per forza, e contrar seco legitimo adulterio ; la Ninfa, che era furba, auuedutasi della ragìa, à gambe fratello, e lui dietro ; corsero tanto, che arriuarono alle sponde del fiume Reno in Toscana, e non del fiume Peneo in Tessaglia (come dice quel minchione di ser Nasone), doue la Ninfa per opera di Gioue fù trasformata in alloro. […] Costoro, questi cujum pecus, senza l’aiuto mio non si ricordano dalla bocca al naso ; Igitur adunque sappia la Dottoraggine vostra, che Illa ego qui quondam sbalzata fuor del mazzucco di Gioue mio padre, cominciai à pascere tra gl’altri Dei, me ne scesi in terra, à far anch’io edificare vna Città, doue per sempre fusse la sedia, & abitation mia ; e perchè si riconoscesse per Città di Pallade Dea delle scienze, feci tutti i suoi abitatori dotti, e sapienti ; e per dimostrar l’istesso anco co’l nome, la chiamai, non Atene, nò, ma Bononia, che vuol dire Città che non ha ignoranti, dal nome Bò, o Bue, che volgarmente si piglia per ignorante ; dalla dittione non, e dal verbo hauere, cioè Bononia Bò non ha : è però meritamente è chiamata Mater Studiorum.
E’ stato sempre Suo vezzo antico il gir lontan dal gregge. […] ERRORI CORREZIONI pag. 54 Menestrier Menetrier, e così sempre si corregga pag. 209 fia sia Occorrendo di reimprimersi questo tomo III si supprima l’avviso segnato nelle pagine 310, 311, e 312, dovendosi ne’ luoghi notati inserire le Addizioni surrisetite.
Gli stessi capi d’opera dell’antichità si lessero pressoché in tutti i tempi e in tutti i luoghi; or perché non riprodussero sempre gli’ stessi effetti? […] Essa si rimase sempre una festa sacra, e mai non divenne spettacolo teatrale, come accadde ad altre feste in altri paesi.
S. la casa e per li morari la pregho auantaggiarmi s’e possibile non se ne seruendo lei, intendendomi sempre che per lei non intendo crescerli cosa alcuna e lo fo padrone di tutto. […] ne per parte di tutti di casa, a misura del suo merito, che ual a dire, colme di ogni bene, la nostra Quadragesima è quasi finita, con pioggie quasi ogni giorno, l’armata di marc già si prepara per andarsene, ne altro si attende che alcuni uascelli Inglesi per far un buon numero, e poi portarsi uerso Genoua è quest’anno si uol sentir belle cose, altro non ò che dirle solo che non mi lasci infrotuoso, accertandola che sempre sarò.
Molto dispiacque al pubblico di vedere una maschera su la faccia piacevole, se bene alquanto bruna, del Costantini ; ma egli serbò il ruolo di Arlecchino sino al successo di un nuovo arrivato, il Gherardi, che lo sostituì, recitando sempre a viso scoperto, sino alla soppressione del teatro nel 1697 ; dopo di che fu obbligato a recarsi a Brunswick ov’ era una compagnia italiana, colla quale recitò il Mezzettino. […] È certo però che dietro il racconto del Costantini furon fatte in Olanda, e sempre indarno, tutte le possibili ricerche per aver notizia di quel tal romanzo.
Formò poi società con Belli-Blanes per un altro triennio, sempre ammirata, festeggiata, acclamata. Ma alla metà dell’anno 1816 fu colpita da tale malattia che la toglieva per sempre alle scene, relegandola collo sposo nella sua villa di Avesa, presso Verona, che dovette pur troppo abbandonare, pei continui dissesti finanziari di cui fu causa il marito di sua figlia.
Maestà (senza speranza di riveder più l’Italia) « con provvigione di sedici mila franchi annui, oltre a quello si guiadagnano in far l’opre e le commedie, che tolto l’Aduento e la Quaresima sempre si fanno ; nè vi entra, senza pagare, se non la famiglia tutta del Palazzo del Re ». […] Zanotti detto Ottavio, celebre commediante nella sua parte di Primo Innamorato ch' haveva essercitato ne' primi teatri di Europa, e particolarmente in Francia ove quel Re lo haveva graziato d’ un’ annua provisione di ducento doppie sua vita durante, che li furono sempre puntualmente sborsate.
Non si trasporta con Sempronio, ma non cede con Lucio, e conchiude nobilmente: Siam sempre a tempo a chieder le catene. […] Ma la regola di giudicar dagli scritti del carattere dell’autore non sempre è sicura. […] Questa commedia, con riuscita assai rara in Londra, si ripetè sempre con applauso ben trenta volte in circa. […] Bene espresso è pure quello di sir Henns rustico occupato sempre de’ suoi cavalli. […] Terenzio e Moliere, dirò sempre, si leggono e si encomiano dapertutto, perchè dapertutto oggi s’ imitano sì poco?
Ognuno vi apprende con diletto che il linguaggio dell’ impostura è sempre misterioso. […] Non sempre il titolo indica un interlocutore, benchè sempre manifesti l’argomento. […] Io m’ingegno di comporne sempre delle nuove e spiritose con tal cura che l’una all’altra non rassomigli. […] Io credo (il creditore) che sia sempre lo stesso. […] Egli sempre lo condanna co’principj della commedia nuova ed io sempre dovrei ripetere che questa differisce di molto dalla farsa allegorica, cioè dalla commedia antica di Atene.
Quanto alle regole sino al 1640 si disputava ancora se dovessero per sempre rigettarsi.
Benchè gli Olandesi nelle antichissime loro assemblee di verseggiatori anche estemporanei, tra’ quali vuolsi che siasi distinto nel passato secolo il poeta Poot, hanno recitate ancora favole sceniche, nondimeno lenti colà saranno sempre i progressi di un’ arte che non si pregia, e che sdegnano di coltivare i buoni talenti.
Restò con quella impresa due anni, terminata la quale, subentrarono Pietro Monti, Adamo Alberti, e lo stesso Prepiani, coi quali rimase, sempre applaudito, fino al’51.
Tornato in Italia, fu accettato dal Riccoboni nella Compagnia del Duca di Orléans per le parti di Zanni, che egli sostenne col nome sempre di Scapino, fino al tempo della sua morte, che fu il 9 maggio 1723.
) : Per me, Cesare Dondini fu il più caro artista, che io mi avessi visto : allevato alla scuola del Vestri, ebbe sempre per guida la naturalezza.
Delle qualità della donna egli discorre così nella lettera dedicatoria : Quando dirò che una donna voi siete che fece onore al Teatro coll’abilità sua e col suo contegno ; che del medesimo nulla serbate, nell’ozio grato della vostra vita presente ; che alla vivezza dello spirito accoppiate la docilità del core, e alla finezza del discernimento l’indole di compatire ; che ne' divertimenti co' quali il secolo invita la freschezza della età vostra, mantenere sempre sapete la decenza muliebre, la eguaglianza de' modi, il tratto affabile, le maniere cortesi ; quando, ripeto, dirò tutto questo di Voi, non avrò dato che un saggio del vostro carattere, ma robusto di verità, mallevadori delle quali potranno farsi tutti quelli, che vi conoscono e trattano.
E viva Zan Buffetto, Brighella e Bagattin, Zan Polpetta e Guazzetto, Cappella e Trappolin : e viva sempre intera tutta la schiera de i Zagni al Mond, pur, che nel celebrar le nostre nozz, ciaschedun vegna a empir el so gargozz.
Ogni coppia di queste picciole scalinate conteneva uno spazio, che dall’andarsi sempre ristringendo nel calar giù presentava la figura di un cuneo, e secondo Giusto Lipsio167 diede il nome agli spartimenti de’ sedili assegnati a i diversi ceti degli spettatori. […] A render poi sempre più chiare e soavi le voci degli attori, immaginarono i Greci certi vasi di bronzo chiamati echei artificiosamente lavorati e collocati in alcune cellette sotto gli scaglioni. […] I selvaggi ignorano gli spettacoli scenici: i barbari vanno a ridere in un teatro rozzo e goffo e ne tornano quali vi entrarono; i soli popoli illuminati consacrando sempre le prime cure ai doveri, sanno promuovere la poesia rappresentativa e cangiarla (senza escluderne la parte che diletta) in un morale e politico sostegno.
E la duttilità dell’ingegno egli ha mostrato fino a qui, e mostrerà pur sempre, passando maestrevolmente dalla vasta tragedia shakspeariana alla inguantata commedia di Dumas figlio ; dal fosco dramma nordico dell’Ibsen, dello Strindberg, del Hauptmann alla saltellante comicità del Goldoni ; dall’aurea scoltura della terzina dantesca alle mute contrazioni spasmodiche di Al Telefono ; imperocchè non una parte lo alletti più di un’altra ; e, purchè l’opera sia elevata e umana, egli abbia provato e provi egual godimento intellettuale recitando la tragedia o la commedia : Shakspeare o Beaumarchais. […] In Demi-monde, Amico delle Donne, Resa a discrezione, Tristi amori, sono scene e descrizioni e squarci che, detti da lui possono esser sempre citati come modelli di perfetta recitazione, benchè più volte la dizione si vada offuscando in un ingrassamento di note, che voglion taluni attribuire alla cupezza dei tipi nordici ch'egli da più anni interpreta con tanto fervore, e si potrebbe anche dire con gran preferenza sugli altri tipi. […] Una volta imparata, l’abbandono, e non la riprendo più ; ma mentre continuo ad occuparmi di altro, vedo sempre il mio personaggio, ne analizzo l’anima, il carattere, i sentimenti, a traverso le parole che io già so ; e quando credo di possederlo interamente, di sentirlo, di viverlo, riprendo le prove.
., colorite senza dubbio dal medesimo pennello maestro che incanta e seduce i cuori, dimostrano, tutta volta che non sempre l’istesso genio vigila, e produce Alzire e Maometti. […] Le avventure delle persone eroiche chiamano sempre l’attenzione delle nazioni intere; dove che negli avvenimenti de’ cittadini prendono parte solo i particolari; quindi é che la tragedia detta cittadina, sì cara ai francesi di questi ultimi tempi, riesce meglio su’ piccioli teatri delle società private che sui pubblici. […] Ciò per altro potrebbe essere giustificato dalle circostanze de’ pensieri e dell’espressioni, sempre che si avesse cura, senza inoltrarla, di non far patire chi ascolta. […] Freron, che gli é andato sempre rivedendo i conti. […] Da quarant’anni in circa il comico si é andato sempre più allontanando dalle commedie francesi, e per sterilità d’ingegno vi é stato sustituito il patetico e l’orrido.
Non se ne ricava altro vantaggio se non il generale che sempre diletta, di porre alla vista senza errori un fatto istorico. […] Ivi lei solevamo quasi sempre Aspettar, mentre sen tornava a casa. […] È chiaro che Antifone avrà accompagnato l’azione e il volto ad ogni espressione, cangiandosi sempre per piacere al servo. […] Pagnini, che per l’eleganza e la venustà secondo me merita di rendersi sempre più noto: Ætate nostra pol nihil frequentius. […] Quegli sempre tranquillo e lieto, questi sempre agitato e collerico.
Ma la soverchia semplicità delle favole di Eschilo non sempre animata da quella interessante vivacità che può renderla accetta, qualche reliquia di rozzezza nella decorazione, e la scarsezza di moto, additavano a Sofocle una corona tragica non ancora toccata. […] Sommamente patetico in quest’atto è il silenzio del l’ingannata Dejanira alle accuse del siglio addolorato, silenzio eloquente artifizioso che sempre in Sofocle precede le disperazioni e i suicidii. […] E ne sono sempre più maravigliato in leggendo poco dopo (nella pagina 218) che dalla Greca tragedia aveano i Francesi e gl’Italiani con felice successo preso ed unito insieme tutto il bello . […] Può osservarsi in questa favola che i Cori del primo e del terzo atto sembrano più parlanti del secondo, il che trovandosi ancora in altre può valer di pruova che non sempre terminavano gli atti con un canto corale e sommamente lontano dalla declamazione del rimanente.
La dimora che Moliere fece in corte contribuì all’aumento de’ lumi di lui intorno al cuore umano e a’ costumi nazionali, e disviluppò sempre più il suo discernimento e buon gusto, e ne migliorò lo stile. […] Si vuol notare però che il Bernagasso mentovato ed il Tartuffo vennero dopo di due altri componimenti italiani, ne’ quali si dipinse il carattere di un falso divoto, cioè dalla commedia latina di Mercurio Ronzio vercellese De falso hypocrita et tristi, e dall’Ipocrita di Pietro Aretino, in cui nulla si desidererebbe per raffigurarvi il Tartuffo, se l’autore non avesse voluto nella sua favola aggruppare gli eventi che nascono da una somiglianza, e quelli di cinque coppie d’innamorati, le quali cose gl’impedirono il rilevar tutti i tratti piû vivaci di tal secondo detestabile carattere che sempre con utilità e diletto sarà esposto alla pubblica derisione. […] Bisogna però mostrare ingenuità maggiore di codesti Francesi eruditi, e confessare che Moliere abbelliva le altrui invenzioni, accomodandole così acconciamente al suo tempo ed alla propria nazione, che, quando non lavorava con fretta, gli originali sparivano sempre a fronte delle sue copie. […] Nondimeno il teatro Francese conserverà sempre grata memoria di Scaramuccia e della commedia Italiana frequentata da Moliere per istudiar l’arte di rappresentar con grazia nelle situazioni ridicole.
Parte del dramma esso non fece mai; è sempre forestiero nell’azione e il più delle volte ad essa ripugnante.
Benchè gli Olandesi nelle antichissime loro Assemblee di verseggiatori anche estemporanei, tra’ quali vuolsi che siesi distinto nel secolo XVII il poeta Poot, recitarono ancora favole sceniche; nondimeno lenti colà saranno sempre i progressi di un’ arte che non si pregia, e che da buoni talenti si sdegna di coltivare.
» Passò poi, sempre col Luzzi, nel ’64 alla Fenice, e di qui al Nuovo.
Viene intitolata : LA LUCERNA DI EPITETTO che scopre dalle tenebre il passato, il presente e l’avvenire ovvero la filosofia magica e il prodigioso morto palpabile ed invisibile Commedia Allegorica Filosofico-Magico-Portentosa Scenarj e Vestiarj Allegorici formeranno l’adornamento della Commedia di un genere sempre variato e sorprendente.
Condusse sempre compagnie, delle quali era egli il principale ornamento, e nelle quali fecer le prime armi artisti di grido, come il Raimondi, il Verzura e altri.
Di un’altra Diana trovo notizia nella lettera dell’Archivio di Stato di Modena, che qui riproduco : Ser.mo Sig.re Cugino Oss.mo Bramoso d’incontrare in ogni opportunità le soddisfattioni di Vostra Altezza, hò dato ordine alla Diana Auerara di portarsi à recitare in conformità di quelli dell’ Altezza Vostra, la qual pregando uiuamente à porgermi frequenti occasioni di seruirla, come ne sarò sempre ansioso, mi raffermo con tutto l’animo Di V.
Cominciò Achille a sostener nel '40 col padre, in compagnia Modena, le parti di Agostino nel Clermont di Scribe, di Gionata nel Saul, e di Roberto nei Due Sergenti, applauditissimo sempre.
Prese, ne l '54, il posto di Luigi Bonazzi nella Compagnia Lombarda, ammiratissimo dovunque, specialmente per la spontaneità e la verità della dizione che furon sempre le principali qualità dell’arte sua.
Passò da Livorno a Firenze, nel Teatro Niccolini, acclamatissima sempre, specie nella Medca, e dopo un anno tornò a Roma al Mausoleo d’Augusto sollevando in una lunga stagione il pubblico all’entusiasmo.
Lo vediamo il '79, Pantalone a Londra, non sappiam se solo o con la Compagnia, ma certo al servizio sempre di Don Alfonso,… come ci fa sapere la moglie Anastasia (probabilmente non comica), la quale, lontana dal marito, senza mezzi di sussistenza, e più con cinque creature da allevare, si raccomanda alla solita pietà e munificenza del Duca….
Dice Amlet che sempre egli l’ha presente. […] Udii dire che assistendo talvolta alla rappresentazione di una favola alcune persone malvage furono così vivamente ferite per l’illusione teatrale, che alla presenza di tutti manifestarono la propria reità, perchè la colpa, benchè priva di lingua, sempre si manifesta quando meno si attende. […] Tuo sempre Amlet. […] Se l’uomo al terminar di sua vita ignora sempre ciò che potrebbe avvenire da poi, che importa che la perda presto o tardi? […] Shakespear scrisse pure commedie, e gl’Inglesi veggono sempre con piacere il di lui Cavalier Falstaff, e le Commari di Windsor.
Mi farò dunque a ragionare paratamente di esse, lasciando per ora il parlare del ballo, il quale non sembra costituire parte essenziale dell’opera italiana, giacché quasi sempre si frappone come intermezzo, e di rado s’innesta nel corpo dell’azione. […] Ciò che dico della presente comparazione, dico di tutte le altre lavorate di simil gusto: potranno esse prese separatamente considerarsi come squarci bellissimi di poesia, sulle quali un gran musico potrà addattare una modulazione eccellente, ma sempre mancherà loro la primaria bellezza, che consiste nella fedele espressione della natura, e nella relazione col tutto. […] A tal fine giovano la prospettiva, e la decorazione ora rivestendo i personaggi di quella pompa, che l’occhio invaghisce cotanto, ora spiegando tutte le bellezze della pittura, ora dando maggior risalto alla grandiosità coll’intenso e artifizialmente variato chiarore, ora offrendo alla vista oggetti sempre nuovi, e sempre vaghissimi nelle frequenti mutazioni della scena. […] Così avverrà sempre che la critica anderà scompagnata dalla filosofia. […] Quindi è che poco fondata mi è sembrata mai sempre la rassomiglianza, che alcuni hanno preteso di ritrovare fra il nostro sistema drammatico-lirico, e quello degli antichi.
Chè tal è il porgere di Adamo Alberti, quale gl’Italiani (non parlo di quelli che si tagliano i pensieri alla francese) han sempre voluto che sia : quale la benigna natura glie lo ha largito, dotandolo di una voce scorrevolissima e sonora, d’un volto grazioso ed espressivo, d’un gesto pronto e vivace, d’un movimento libero e securo ; quale glie lo han raccomandato a prova nel suo tirocinio teatrale i due suoi maestri, cioè il proprio genitore, comico distinto a que’tempi, ed il celebre Francesco Augusto Bon, autore ed attore reputatissimo ; e quale finalmente più conveniva allo stile di Goldoni, su le cui commedie si è per dir così modellato sin dalla età sua prima.
Percorse poi colle Compagnie Lapy, Medebach, Battaglia, Zanerini, Goldoni e Perotti, le primarie città d’Italia, applauditissimo sempre nelle parti di primo amoroso.
., da repartirsi tra lui e i suoi compagni, sempre in considerazione del piacere che procuraron colle loro commedie a Sua Maestà.
Di Giacomo, nella quale è la storia documentata, animata pur sempre da un soffio di poesia, che or vi solleva tutto, e or vi stringe l’anima.
Ha egli banditi, soggiugne, dal teatro gli Ercoli divoratori famelici, poltroni, ingannatori, ed i servi, che sempre piangono o che sempre mostrano le piaghe ricevute e le lividure del bastone. […] Ognuno vi apprende con diletto che il linguaggio dell’impostura è sempre misterioso. […] Non sempre il titolo indica un interlocutore, benchè sempre manifesti l’argomento. […] Io credo (il creditore) che sia sempre lo stesso. […] Egli lo condanna sempre co’ principii della commedia nuova, ed io sempre dovrei ripetere che questa differisce di molto dalla farsa allegorica; cioè dalla commedia antica di Atene.
Martelli meritò gli elogi de’ giornalisti olandesi, e di quelli di Trévoux, i quali asserirono che pochi tragici francesi lo pareggiano; e sarà sempre ammirato da quanti comprendono le vere bellezze tragiche. […] Il marchese Scipione Maffei veronese, chiaro per gran dottrina ed erudizione, più felice degli anzilodati compose la Merope rappresentata sempre con ammirazione e applauso, e tradotta in tante lingue. […] Or il Regolo di quel poetastro é un Petit-Maître innamorato che si fa veder sempre colla sua Bella accanto221. […] La critica, qualor avrà per suo principal fine l’avanzamento delle lettere, e il far argine al cattivo gusto e al torrente de’ pregiudizi, sarà sempre laudevole, anzi necessarissima. […] Se all’incontro verrà adoperata da spiriti ottenebrati, invidiosi, maligni, inquieti, cavillossi, villani e superbi, farà sempre l’obbrobrio e ’l flagello delle lettere, e lo scoraggiamento e l’avversione degli animi studiosi e gentili.
Vedreste ancora che, quantunque varie Commedie si componessero felicemente fra noi imitando le Latine che pur son Greche, vi si ritrassero però al vivo gl’Italiani moderni; di che saranno sempre testimonio la Clizia del Machiavelli, i Fantasmi del Bentivoglio, e moltissime altre, nelle quali si palpano gl’Italiani del tempo degli Autori. […] Al contrario esse porteranno sempre incisa nel frontispizio un’ aria d’incertezza, di argomentazione precaria, di sospensione, che le cangia infine in pure declamazioni suggerite dalla paura di soggiacere, ed infonde brio e vigore negli emuli che se ne accorgono. […] Non tacquero i Teatri degli Strioni, che doveano cercar del pane, e seguirono colle loro favole dell’Arlecchino chiamate Dell’Arte, perdendo sempre più il concorso, tra perchè l’Arlecchino giva invecchiando, tra perchè l’Opera riempiva tutti i voti, benchè la Poesia vi andasse degenerando. […] Juan de la Concepcion approvando la dissertazione del Nasarre, non meno fondatamente diceva: “Sosterrò sempre che le Commedie che oggi si rappresentano (a riserba di alcuna raristima) sono abominevoli per l’intendimento. […] Da questi studj nacque in lui l’amore per la Commedia di Carattere, che coltivò poi sempre scrivendo quel gran numero di componimenti Comici, che formano la raccolta del suo Teatro.
Ma ricevé tal commedia tutta la sua perfezione dall’Attico Aristofane che sempre colla grazia e colle facezie temperava mirabilmente l’amarezza della satira. […] E comeché si pretenda da alcuni, che non morisse in mare, ma in Egina, e che dopo quel tempo avesse scritto altre favole, sempre é certo che per un editto di Alcibiade non si poté più nominare in teatro verun personaggio vivente, e così cessò la commedia antica 48. […] Filemone, poeta molto a lui inferiore, gli era sempre preferito. […] Lisicle, da venditor di montoni essendo diventato questore, o sia tesoriere della Repubblica, e contendendo di magnificenza co’ primi d’Atene che gli facevano una spezie di corte, perché la di lui mensa era dilicata, e la di lui borsa sempre aperta a coloro che l’adulavano, fu ancora esposto alla pubblica irrisione e beffe in questa commedia de’ Cavalieri. […] Laonde essendosi anche col progresso degli anni sempre più accresciuta tra i francesi de’ nostri giorni questa lusinghiera e vanitosa opinione del proprio merito, non é da stupirsi, se mettano quasi in non cale l’antica letteratura; quindi il dotto e giudizioso abate Arnaud ha ben ragione di dire: «On peut au temps où nous sommes, regarder, du moins à beaucoup d’égards la littérature ancienne comme étrangère».
L’autore del Cid, perseguitato e premiato, si vide ugualmente spinto dalle critiche e da’ benefici ad elevare sempre più il suo ingegno e fulminar i pedanti e criticastri cogli Orazi, col Cinna, e col Poliuto. […] Oltracciò egli invece di esprimer ne’ suoi amanti il carattere dell’amore, ha dipinto in essi il suo proprio carattere, e gli ha quasi sempre trasformati in avvocati, in sofisti, qualche volta in teologi189. […] Ma Racine vi accoppiò una versificazione mirabilmente dolce, fluida, e armoniosa, leggiadria e nobiltà di stile, e un eleganza sempre uguale, ch’é la divisa che sa distinguere i poeti grandi da tutto il resto191. […] Veggasi il Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, opera assai pregiata del conte Pietro di Calepio, cavalier Bergamasco, e ’l tomo I delle Osservazioni letterarie del marchese Maffei, ove si recano in mezzo moltissime locuzioni ricercate, strane, e difettose usate da Corneille e da altri tragici francesi; Egli é certo che l’arguzia é stata sempre il gusto dominante e ’l tentator tenebroso della nazione francese. […] I difetti dei grandi esemplari sono sempre fatali alle belle arti, perché accompagnati da molte bellezze e da virtù incomparabili; quindi é che le critiche fatte da uomini di molto sapere e di squisito discernimento giovano assai nella repubblica letteraria, perché formano il gusto, raffinano il giudicio, e producono altri buoni effetti.
[9] Lo squallido aspetto della natura ne’ paesi più vicini al polo per lo più coperti di neve, che ora si solleva in montagne altissime, ora s’apre in abissi profondi; i frequenti impetuosi volcani, che fra perpetui ghiacci veggonsi con mirabil contrasto apparire; foreste immense d’alberi folti e grandissimi credute dagli abitanti antiche egualmente che il mondo; venti fierissimi venuti da mari sempre agghiacciati, i quali, sbuccando dalle lunghe gole delle montagne, e pei gran boschi scorrendo, sembrano cogli orrendi loro muggiti di voler ischiantare i cardini della terra; lunghe e profonde caverne e laghi vastissimi, che tagliano inegualmente la superficie dei campi; i brillanti fenomeni dell’aurora boreale per la maggior obliquità de’ raggi solari frequentissimi in quei climi; notti lunghissime, e quasi perpetue; tutte insomma le circostanze per un non so che di straordinario e di terribile che nell’animo imprimono, e per la maggior ottusità d’ingegno che suppongono negli abitanti a motivo di non potervisi applicare la coltura convenevole, richiamandoli il clima a ripararsi contro ai primi bisogni, doveano necessariamente disporre alla credulità le rozze menti de’ popoli settentrionali. […] E siccome trascuravasi allora lo studio pratico della natura, senza cui vana e inutil cosa fu sempre ogni filosofica speculazione, così altro non era che un ammasso di bizzarre cavillazioni e di fantasìe. […] Ed ecco il perché fin dal principio di rado o non mai venne sola la musica, ma quasi sempre accompagnossi colla pompa, colla decorazione e collo spettacolo ne’ canti carnascialeschi, nelle pubbliche feste e ne’ tornei: benché tristo compenso dovea riputarsi questo nella mancanza d’espressione e di vera melodia. […] La destrezza è sempre dalla parte del seduttore, e lo sfortunio dalla banda della innocente.
Dice Amlet che sempre l’ha presente; Orazio che egli l’ha veduto effettivamente la scorsa notte, e ne racconta l’apparizione. […] Ma no: udii dire che assistendo talvolta alla rappresentazione di una favola alcune persone molto colpevoli, sono state così vivamente ferite per l’illusione del teatro, che alla presenza di tutti hanno manifestati i loro delitti; perchè la colpa, benchè priva di lingua, sempre si manifesta quando men si attende. […] Addio; tuo sempre Amlet”. […] Amlet dice, che egli si ride di tali presagj; pur nella “morte (aggiugne) di un uccellino interviene una provvidenza irresistibile; se è giunta l’ora mi, bisogna attenderla . . . . tutto consiste in trovarsi prevenuto allorchè giunga; se l’uomo al terminar di sua vita ignora sempre ciò che potrebbe avvenire dapoi, che importa che la perda presto o tardi?
Le scene per lo più lunghe, oziose, e quasi sempre fredde di quattro donne che v’intervengono, spargono per tutto, e specialmente ne’ primi tre atti, un languore mortale. […] Alessio Piron nato in Digione nel 1689 e morto in Parigi nel gennajo del 1755, fralle altre specie drammatiche, coltivò la tragica poesia, e diede al teatro francese il Callistene nel 1730, tragedia di semplice viluppo, che punto non riuscì sulle scene, e non vi tornò a comparire; il Gustavo Wasa più complicata nel 1733, che ebbe venti rappresentazioni successive, ed è rimasto al teatro ripetendosi sempre con ugual successo; ed il Fernando Cortes rappresentata nel 1744 senza applauso. […] Le Fevre, la quale vi si è veduta ricomparire sempre con egual diletto, e vi si è rappresentata di nuovo nel 1793. […] Una delle più stimate commedie di Pietro Marivaux è quella intitolata le False Confidenze lavorata sul medesimo conio delle altre sue favole, nelle quali si trova sempre una sorpresa dell’amore.
Ed anche lasciando stare le epidemie e le guerre disastrose, il brillante è sempre il beniamino del pubblico, che gli perdona quanto punirebbe in altri senza misericordia.
Magro quanto il diginno, con una faccia secca, e intagiuta, affettando una voce sottile, e camminando come le anitre che menano sempre la coda, non ci volle di più, perchè il Popolo gli battesse le mani.
Nemico di ogni convenzionalismo anche sul palcoscenico, egli ha saputo trasformare il trovarobe, i macchinisti, gli scenografi, portandoli tutti al suo grande concetto costitutivo della grande arte : verità, sempre verità in tutto e per tutto.
Ogni coppia di queste picciole scalinate conteneva uno spazio, che dall’andarsi sempre ristringendo nel calar giù presentava la figura di un cuneo e secondo Giusto Lipsioa diede il nome agli spartimenti de’ sedili assegnati ai diversi ceti degli spettatori. […] A render poi sempre più chiare e soavi le voci degli attori, immaginarono i Greci certi vasi di bronzo chiamati echei artificiosamente lavorati e collocati in alcune cellette sotto gli scaglioni. […] I selvaggi ignorano gli spettacoli scenici: i barbari vanno a ridere in un teatro rozzo e goffo, e ne tornano quali vi entrarono; i soli popoli illuminati, consacrando sempre le prime cure ai doveri, sanno promuovere la poesia rappresentativa e cangiarla (senza escluderne la parte che diletta) in un morale e politico sostegno.
L’uomo però inoltrato nella coltura tendente sempre mai irresistibilmente alla perfezione de’ proprj ritrovati, mal poteva limitarsi a quella semplice studiata filza di parole esprimenti rozze idee pastorizie, comunali, famigliari. […] Le poesie nomiche indirizzate ad Apollo, gl’inni ditirambici fatti per Bacco, le persone che sì sovente Omero introduce a favellare in sua vece, e la curiosità sempre attiva ed investigatrice dell’umana mente; tutte queste cose, dico, cospirarono col greco talento favoleggiator fecondo, espressivo, energico, ed al festevole motteggiar proclive, e da esse la grand’arte pullulò, con cui l’uomo prese a dipigner se stesso facendo i suoi simili alternativamente confabulare. […] Il Teatro così coltivato mancherà sempre di spontaneità e di energia originale.
Vn che sempre habbia stort, mai ha rason. […] Si chiami egli Partesana come il Bianchi, o Forbizon come il Bagliani, o Baloardo come il Lolli, o Spaccastrummolo come il Soldano, o Balanzoni come il Lombardi, o Grazian de’ Violoni come il Chiesa, o Scatolone come il Francesconi, o Campanaccio (le nuove Pazzie del Dottore), o Hippocrasso (l’Erofilomachia), o altro ancora, il Dottore è sempre il solito ignorantone, saccentone, che sputa sentenze, con mescolanza inevitabile di latino maccheronico, di citazioni spropositate, di etimologie bislacche. […] Ecco quel che il Riccoboni dice in proposito : La Città di Bologna, in Italia, che è il centro delle scienze e delle belle lettere, e dove sono una così celebre Università e tanti collegi di paesi stranieri, ci ha sempre fornito un gran numero di scienziati, e sopratutto di dottori, che avean le cattedre pubbliche di quella Università. – Essi vestivan la toga e in iscuola e per via ; e saggiamente si pensò di far del dottore bolognese un altro vecchio che potesse figurare al fianco di Pantalone, e i loro due costumi divenner, l’uno accanto all’altro, di una irresistibile comicità.
Ma lo starsi sempre in sul difficile è contra l’intendimento dell’arte; egli è un far divenir fine quello ch’essa adopera soltanto come un mezzo. […] Può riuscir noioso, egli è vero, il sentir replicar sempre così appuntino la medesima cosa; ed egli par ragionevole che si abbia a lasciare un po’ di campo aperto alla scienza, alla fantasia e all’affetto del cantore: ma dall’altra parte troppo difficilmente incontra, sia per ignoranza, sia per disordinata voglia di piacere, ch’egli sappia o pur voglia starsene legato al soggetto, e non ne esca fuori scordatosi di ogni decoro e di ogni verità.
ERRORI CORREZIONI pag. 66, lin. 7 Tu fra que’ dieci Te fra que’ dieci pag. 84, linea penultima ed ultima con felicità la secondano, sono copiate al naturale da lo pre con felicità la secondano, sono copiate al naturale dalle procedure pag. 113, lin. 19 sempre io t’ami sempre io ti amai pag. 190, lin. 1 Tum verò pavidâ sonipes Tum verò pavidâ sonipedes pag. 236, lin. 20 a un cenno del popolo doveano snudarsi a un cenno del popolo, nel tempo de’ Giuochi Florali, doveaao snudarsi *.
Essa si rimase sempre una festa sacra, nè mai divenne spettacolo teatrale, come altrove ad altre feste accadde. […] Vitellio resse l’imperio quasi sempre a voglia degl’istrionib.
Batta Niccolini e Francesco Avelloni il 13 ottobre 1823, dal quale, dopo una viva raccomandazione dell’anima nelle mani del Signore, della Beatissima e Gloriosa sempre Vergine Madre Maria, del Patriarca S. […] Gualtieri, passò a quelle di generico primario : da queste poi, a quelle di caratterista e promiscuo, ultimo grado della sua vita artistica, sul quale egli si trova tuttavia a fianco di Claudio Leigheb e di Flavio Andò, molte volte applaudito, sempre rispettato da ogni pubblico.
Il Rasi è sempre Direttore della nostra R. […] Mi voglia sempre bene : mi ricordi alla sua egregia Signora : perdoni alla fretta, e mi tenga Suo aff.
Un pregiudizio volgare va impiccolendo sempre più in noi l’idea della coltura delle altre nazioni a proporzione della loro lontananza.
Si fece poi egli stesso conduttore di quella impresa, la quale dopo tre anni cedette ad Alamanno Morelli e Bellotti-Bon, e della quale restò sempre direttore, recitando ancora talvolta, benchè in età avanzata, la sua Trilogia di Ludro.
Salvini la parte del vecchio Andreuve, nella quale mostrò come i suoi cinquantotto anni fosser sempre, al lume della ribalta, una giovinezza gagliarda.
Con questo piccolissimo, ma notabile cangiamento, unito però ad una total mutazione della voce e del portamento, cranvi molti che non poteano persuadersi che fosse sempre egli solo, che quei tre personaggi rappresentasse.
ma obligargli piu tutta la compagnia no lo posso e no lo deuo fare p i rispetti sudetti di tener sempre imoto tutti co in ventioni Masanieleschi et un Cattiuo ne fa cento io no prometto che p la mia casa, e saremo a Dio piacendo quest’Autunno umilmente a seruire V.
Fu l’anno dopo, 1576, che il Duca, forse a perenne ricordo di quella giocondità, omai dileguata per sempre, fece istoriare il soffitto della camera da letto, di cui diamo un saggio nella qui unita tavola colorata, e la grande Scala dei buffoni (Narrentreppe) con le più comiche e svariate scene della commedia dell’arte ; e di quella probabilmente rappresentata da Orlando di Lasso, da Giovan Battista Scolari e da Massimo Trojano, della quale ci ha lasciato quest’ultimo in un suo dialogo la descrizione particolareggiata.
Coll’ avanzar dell’ età, s’ andò sempre in lui allontanando l’ amore allo studio ; onde pervenne a vecchiezza guitto e misero.
e ce ne parla Niccolò Boldri in un sonetto (pag. 124) al raccoglitore Antonazzoni : ….. « Amico, i' godo il cielo, non dir ch' in verde età sia al mio fin giunta, chè grave è sempre all’alma il mortal velo. » Al quale rispondeva Antonazzoni (pag. seg.)
Italia Vitaliani non ha avuto prima d’ora la fortuna che meritava. « Se Italia Vitaliani volesse, – scriveva alcun tempo fa Alberto Manzi — vedrebbe i pubblici entusiasti di lei, come sempre, quando ha voluto, li ha veduti : se sinceramente volesse, tornerebbe ad essere, come anni or sono, la Vitalianina adorata…. » E oggi pare abbia voluto e voglia davvero, dacchè i pubblici nostri e quelli di Spagna e d’America s’inchinano ammirati all’astro di prima grandezza.
Quell’arte deliziosa, che i saggi dell’antichità risguardavano come il dono più grande che gli dei avessero fatto agli infelici mortali, formò mai sempre la passione delle anime bennate, e divenne insieme lo scopo delle meditazioni, e delle ricerche de’ più illustri filosofi. […] Farò ravvisare ad un tempo stesso l’intreccio felice de’ suoi modi, la finezza de’ suoi passaggi, la bellezza de’ suoi episodi uniti mai sempre al soggetto, e sopra ogni altra cosa l’artifizio ammirabile con cui sono sviluppati i motivi. […] Egli è non pertanto indubitabile che col mezzo della finzione e della favola, la poesia antica formava la principal sua imitazione, ed è perciò che gli antichi l’hanno mai sempre risguardata come l’essenza della poesia201. […] Amico dell’oscurità, il cui soave riposo m’è sembrato mai sempre più caro che non il fasto pieno d’inquietezze, e di noiosi fastidi, io non cantai, al dir d’un antico, che per me, e per le muse. […] Ecco perché gli Italiani hanno sempre considerata l’invenzione dell’aria come la scoperta la più brillante e la più doviziosa che potesse mai farsi nella musica drammatica, scoperta che ha dato loro senza contrasto la preferenza sulla musica delle altre nazioni, nonostante gli abusi a cui va frequentemente soggetta, e dei quali ho parlato a lungo nella mia opera.
Insomma il piacere patetico cagionato da quelle facultà ha sempre coll’illusione un medesimo grado. […] Ma, mi si permetta il vero, nelle arie propriamente dette egli non sempre è stato attento al linguaggio del cuore, e ‘l buon Omero alcuna volta sonneggia. […] Ciascuno ha in ciò una maniera sua propria, la quale, ove sia giudiziosamente adoperata, è sempre più bella di qualunque studiata e artifiziosa pronunziazione. […] Quando egli vada col pensiero sempre innanzi alle suo parole, adatterà a queste una naturale e spedita pronunziazione, prevedendo sempre qual voce e qual gesto dimandi il sentimento ch’è par proferire. […] Quindi il patetico della danza, o sia il pantomimo, dovrà sempre regnare in esso, congiunto però a tutte quelle grazie, nelle quali consiste l’estetico di questa disciplina.
Cresce sempre più l’interesse nel IV. […] Si è veduto come ben per tempo e più volte s’impresse e si tradusse in Francia, prima che quivi si conoscessero Lope de Vega, Castro e Calderon; il che sempre più manifesta il torto del Linguet nel pretendere che le prime bellezze teatrali avessero i Francesi imparate dagli Spagnuoli. […] Ma il Pastor fido, malgrado de i difetti che vi si notano, sarà sempre un componimento glorioso per l’ autore e per l’Italia137. […] La lingua Castigliana riuscirà sempre più della Francese nel trasportare le poesie Italiane; perchè, oltre all’ essere assai ricca, ed all’avere non poche espressioni che alle nostre si confanno, essa ha qualche parola poetica più della Francese; e credo che n’avrebbe ancora in maggior copia, se più fosse stato pregiato e conosciuto e secondato dalla propria nazione nel disegno di arricchire ed elevare la patria poesia Fernando Herrera buon poeta Andaluzzo e sovente armonioso e felice imitatore del Petrarca.
E sta in questo, che i palchetti, secondo che dalla scena camminano verso il fondo del teatro, vadano sempre salendo di qualche once l’uno sopra l’altro, e similmente vadano di qualche once sempre più sporgendo all’infuori.
Io ho vedute ripetersi quasi sempre le medesime sarsuole composte per lo più da Ramòn La Cruz, cioè las Segadoras (mietritrici) de Vallegas, las Foncarraleras, la Magestad en la Aldea, el Puerto de Flandes, e qualche altra, cui danno il titolo di folla. […] Agamennone nella scena quinta domanda a Taltibio, se abbia eseguiti i suoi ordini, quando pur co’ suoi occhi vede in quel luogo Briseida ed Achille; ed il servo, contro l’indole de’ Taltibii, disubbidiente dice che gli ha enunciati, ma non è passato oltre per compassione, e canta un’ aria al suo re di un tronco che cede alla forza, ma mostra colla resistenza il proprio dolore , sentenza che quando non fosse falsa, impertinente, ed inutile per la musica, sarebbe sempre insipidamente lirica e metafisica.
Le sublimi e vive dipinture, e le grandiose e robuste immagini d’Omero faceano dire al celebre Statuario Francese Bouchardon: sempre che ho letto Omero, ho creduto aver venti piedi di altezza; e una volta servirono anche di scusa a un bravo Disegnatore, che essendo stato ripreso di aver fatto una figura di Capitano d’esercito alquanto smisurata, rispose: Io avea letto pur dianzi Omero, e tutto pareami più grande dell’ordinario. […] Plutarco però nell’opuscolo de Poetis audiendis riconosce in Euripide una certa loquacità; ed Aristofane nella Pace lo tassa col nome di Causidico più che di Tragico, facendo maggiore stima di Eschilo e di Sofocle, perchè questi aspirano con molta felicit à sempre all’altezza elocutoria.
Non vi ha dubbio che la bellezza dell’ elocuzione sì nel verso, come nella prosa, imbalsimi sempre tutti i componimenti ingegnosi; ma nel genere comico richiedesi pur anche gran vivacità e piacevolezza, grazia e naturalezza, verità ed arte con un’ azione, una favola, e un vero ritratto de’ costumi del tempo: Un vers heureux & d’un tour agréable Ne suffit pas; il faut une action, De l’interet, du comique, une fable, De moeurs du temps un portrait véritable, Pour consommer cette oeuvre du démon, dice benissimo il Signor di Voltaire. […] Ma nelle materie letterarie è sempre miglior consiglio l’attenersi al sentimento de’ giudici saggi e di buon gusto, i quali son pochi, e la cui maniera di pensare trae seco finalmente quella del pubblico.
Altro vantaggio non se ne ricava se non che il generale che sempre diletta, di porre alla vista per quanto si può senza errori un fatto istorico. […] E perchè, per quanto gli si dice, egli rimane sempre più costernato, que’ duo fingono di voler partire e lasciarlo; alla qual cosa Antifone si scuote, s’incoraggia, e si sforza di far buon viso. […] È chiaro che Antifone avrà accompagnato l’azione e il volto ad ogni espressione, cangiandosi sempre per soddisfare al servo. […] Terenzio nel prologo si discolpa, negando di aver mai saputo che Nevio e Plauto l’avessero posta in iscena; ma confessa ancora colla ingenuità che accompagna sempre gli uomini che non iscarseggiano di merito, che dal Colace di Menandro egli ha tratto i personaggi del parassito e del soldato. […] Quegli sempre tranquillo e lieto, questi sempre agitato e colerico.
Scrisse varie tragedie regolari, benchè l’espressioni non sempre fossero naturali. […] risponde pieno d’imbarazzo, esse sono, come sempre furono, molto stimate . […] Non pertanto si accolse in Berlino con trasporto di piacere, e con quegli applausi che nelle società che conservano qualche idea di libertà spirante, tributerà sempre il patriotismo a chi ne fomenta l’amore.
Scrisse varie tragedie regolari benchè non sempre naturali nell’espressioni. […] risponde pieno d’imbarazzo, esse sono come sempre furono molto stimate. […] Non pertanto si accolse in Berlino con trasporto di piacere, e con quegli applausi che nelle società che conservano qualche idea di libertà spirante, tributerà sempre il patriotismo a chi ne insinua e ne fomenta l’amore.
[Intro.2] E però non sarebbe maraviglia se cotesto ingegnoso ordigno, fatto di tanti pezzi com’egli è, non sempre rispondesse al fin suo, ancorché a ben unire e a congegnare insieme ogni suo pezzo, venisse posta da coloro che il governano tutta la diligenza e tutto lo studio.
Aumentandosi sempre più verso la fine il movimento della musica, le danzatrici spiegarono nelle attitudini una forza e destrezza meravigliosa, che in certe posizioni parvero indecenti, ma che force altro oggetto non aveano che di manifestare la loro agilità estrema.
me Piante Vmilmente la suplicano ad esercitar seco in si urgente Ocasione gl’ atti di quella Generosità con cui assistè sempre a’ suoi Servi, accertandola, chè l’A.
Io son pur sempre d’avviso che come s’è detto pel Pasquati e per altri, le grandi personalità artistiche potessero essere sballottate da una compagnia all’altra, secondo il volere, o, almeno, il desiderio delle Loro Altezze capocomiche.
A tal proposito scrisse una lettera a Carlo Pevrault, controllore della Casa Colbert, chiedendo un passaporto per Roma, Venezia, Genova, Ferrara, Bologna, Padova, e una sovvenzione in danaro, per far fronte alle spese, facendo osservare che pel viaggio in due sole città, Bologna e Venezia, Ottavio avea sempre avuto 200 scudi.
con impazienza una risposta possa sempre con proprietà di rappresentazione darsi luogo alle battute musicali che debbono precedere. […] Tali sono pure secondo me le Donne son sempre donne, e qualche altra dell’ab. […] Cinna poi e Sesto sono veramente due ingrati per cagione di una donna; ma Cinna sempre considera Augusto come un tiranno, e i suoi rimorsi dell’atto III non provengono dalla conoscenza dell’ingiustizia del suo attentato, ma da’ benefizj ricevuti da Augusto. […] Ah tu che sai Tutti i pensieri miei: che senza velo Hai veduto il mio cor: che fosti sempre L’oggetto del mio amor, dimmi se questa Aspettarmi io dovea crudel mercede. […] Dopo ciò, studiosi giovani, che amate la poesia scenica e Metastasio, non vi potrete consolare del molesto ronzio di qualche povero mendicante, che, avendo sempre scritto scorrettamente in italiano e prose e versi, ardisse esitare intorno al valersi di qualche vocabolo non da altri usato che da Metastasio?
Il padre trafitto dal dolore ma sempre eroe gli getta dalle mura la propria spada perchè esegua la minaccia. […] Solo vi ho sempre desiderato che la richiesta del Moro fosse preparata con più arte. […] Chi ha poi insegnato a codesto bibliografo che il poema epico aver debba sempre un esito felice? […] Dulcidio parte; e seguitando le donne a contrastare, Terma grida, Numantinos, ed Aluro sempre la crede Olvia, e ferisce l’altra da lui mattamente creduta Giugurta. […] Non importa; Aluro la crede sempre il traditore Giugurta .
Battista Andreini, degno figlio di così degna madre, non si può dire a bastanza, poichè se Cleante mendicava la notte il vivere per potere poi il giorno impiegarlo nell’ udire i filosofi di Atene ; questo ne’ travagli della sua gioventù, tra le maggiori avversità, tenendo sempre in pronto la penna, ha fatto con le sue opere chiaro che il vero comico deve affaticarsi, se vuole giungere al termine d’onoredove egli è arrivato. […] E dopo le poesie in lode dell’autore e delle attrici che rappresentaron Marta e Maddalena è stato aggiunto a queste indicazioni un AVVERTIMENTO NELL’APPARENZA DEL PROLOGO, CHE DATO NON S’ERA (Subito alzata l’antitela, si dovrà sentir da tutte parti del teatro, uccelletti garrire, quaglie, cucchi ; e queste voci imitate da quelli istromenti di terra, che d’acqua s’empiono da quagliaruoli e cucchi di terra ; e sempre dovran suonare, sin che la nuvola dov’ è il Favor Divino sia discesa, accompagnando li suoni di questi uccelli, l’armonia delle sinfonie ; e cosi, finito il Prologo, allorchè la nube ascenderà, pur delle sinfonie al suono, dovransi gli uccelli sentire). […] E benchè agli occhi altrui t’ assembri esser celata, sappi, misera, sappi, che non t’ ascondi al gran saver di Dio, il qual con occhio terno e sempre desto, vigila, mira, e vede ; e non pur che pareti e tetti, i monti penetra, passa il mar, giunge a gli abissi, verissima del Ciel perpetua Lince. […] Io so che molti professori del ben parlare troueranno molti luoghi dove ne men’ io debbo dir bene, si come anche mi accorgo, che quelli, che non sanno parlar bene non conosceranno s’ io dica bene, o male ; onde anderanno sempre dicendo peggio, si che da questi non desiderarei altra sodisfatione se non che si dichiarassero di non saper ciò ch’ io mi habbia detto.
E già parvero cose pur troppo secche quelle strade, que’ viali, quelle gallerie che corrono sempre al punto di mezzo, dove insieme con la veduta se ne va anche a finire la immaginativa dello spettatore. […] Mirabili cose farebbe il lume, quando non fosse compartito sempre con quella uguaghanza e così alla spicciolata, come ora si costuma.
In mezzo ai cantici del coro e alle danze giulive esce Cassandra, verace sempre e non creduta mai, la quale profetizza come quel giorno è l’ultimo giorno di Troia, e consiglia di gittare in fondo del mare il cavallo: … timeo Danaos et dona ferentes.
Parmi nondimeno, che questo dottissimo uomo non sempre abbia ragione quando é portato a credere, che le rappresentazioni de’ sacri misteri ed altre pie farse, fatte nel XIII e XIV secolo, fossero state quasi tutte mute, cioé che in quelle gli attori si componessero negli atteggiamenti propri de’ personaggi, cui rappresentavano, ma non venissero tra loro a dialogo.
Io per me, a quanto cotesti sentenziar potessero intorno a’ drammi, preferirei sempre, e senza tema di fallare, l’unanime sentimento di un popolo che non fosse del tutto incolto, o nella crisi di una febbre passeggiera.
Quanto alle regole sino al 1640 si disputava ancora se dovessero per sempre rigettarsi.
Incoraggir bisogna innanzi altro i poeti che sono l’anima degli spettacoli teatrali; cercare ogni via perchè si sollevino dalla turba de’ versificatori; instruirli della ragion poetica stella polare delle rappresentazioni; essi così formati sapranno l’arte di dipingere i caratteri e le passioni, e guidati da un soprio discernimento inspireranno il proprio entusiasmo agli attori, i quali pieni di questo spirito rappresenteranno con energia, naturalezza e sensibilità quanto la natura umana loro presenta; là dove copiando unicamente gli attori stranieri confonderanno gli eccessi e le bellezze per mancanza di vero lume e rappresenteranno sempre con istento e durezza.
Quindi gran confusione ; quindi lo scoraggiamento del Cotta, la sua sconfitta, il suo abbandono del teatro per sempre.
Da la Guera o pas di Garelli, è passata sempre trionfalmente a Gigin a bala nen, a Giors’l Sansuari, a Le sponde del Po.
Ma uno stato dove la passione s’esprime per reticenze e dove l’alternativo silenzio frapposto alle parole è il miglior indizio possibile della dubbiezza dell’animo, non potrebbe rappresentarsi con una sempre costante e non mai interrotta modulazione: quindi la regola dettata dal buon senso e dalla esperienza d’usar cioè vicendevolmente della poesia e degli strumenti come di due interlocutori che parlano l’uno dopo l’altro. […] Sarà vero talvolta questo difetto ne’ compositori, ma ciò non basta a scolparne i cantanti, che quasi sempre lo cantano male oltre l’inciampar che fanno in mille altri vizi, i quali nulla hanno di comune col movimento del basso. […] Come crederle in una union di persone, le quali per lunghissima e non mai smentita esperienza veggonsi applaudir sempre al cattivo e trascurar il buono? […] Siccome la ricerca può sembrare curiosa e non del tutto aliena dallo scopo di quest’opera, così mi lusingo che non isgradiranno i lettori il trovar qui radunato sotto un punto dì vista quanto di più verosimile intorno a questo quesito può dirsi, il quale per altro resterà sempre oscuro a motivo delle poche notizie sicure che abbiamo intorno all’economia degli antichi teatri, e la natura intrinseca della loro musica. […] Ma rispetto ai teatri grandi la difficoltà rimane sempre la stessa, né si sciolge ricorrendo alla diversità degli spettacoli che s’eseguivano nel tempo medesimo, imperocché sminuendovisi il numero delle persone non si sminuiva punto la distanza tra il proscenio e i corridori dove sedevano gli spettatori, eccettuati i senatori e qualche altra famiglia distinta che avevano il loro posto più vicino alla orchestra, né si chiudeva quel gran vuoto scoperto d’aria nel quale necessariamente doveano disperdersi gli ammorzamenti della voce in un canto delicato e gentile.
Ond’è che i posteri sempre sospireranno coll’ erudito Scaligero la perdita delle opere Enniane degnissime degli encomii di Lucrezio Caro e di Vitruvio Pollione48. […] Gli Spagnuoli nelle commedie del passato secolo, che in questo continuano a rappresentarsi, fanno che il loro Grazioso quasi sempre narri al popolo ascoltatore i disegni del poeta. […] Questa favola tutta decente e nobile e condotta con regolarità e piacevolezza, dimostra, che se Filemone inventava sempre con simil grazia accoppiando alla ben disposta tela lo stile, certamente con molta ragione venne tante volte in Grecia coronato. […] Quest’artificio riesce mirabilmente in ogni specie di commedia, ed è la più ingegnosa fonte del ridicolo, sempre che i sentimenti equivoci sieno naturali e non già tirati al proposito cogli organi. […] Osservatore non sempre esatto delle regole dell’ illusione teatrale, è non per tanto sempre vago, semplice, ingegnoso, piacevole e faceto, versando a piena mano a ogni passo sali e lepidezze capaci di fecondar largamente l’immaginazione di chi voglia coltivare un genere di commedia inferiore alla nobile.
Gli Spagnuoli nelle commedie del XVI secolo che nel seguente continuarono a rappresentarsi, fanno che il loro Grazioso quasi sempre narri al popolo ascoltatore i disegni del poeta. […] Saria certo minor la maldicenza, E i malvagi ciarloni assai più pochi, Che sanno sempre quel che mai non sanno. […] Questo artificio riesce mirabilmente in ogni specie di commedia, ed è la più ingegnosa fonte del ridicolo, sempre che i sentimenti equivoci sieno naturali, e non già tirati al proposito con gli argani. […] Osservatore non sempre esatto delle regole dell’illusione teatrale, è non per tanto sempre vago, semplice, ingegnoso, piacevole e faceto, versando a piena mano ad ogni passo sali e lepidezze capaci di fecondar largamente l’immaginazione di chi voglìa coltivare un genere di commedia inferiore alla nobile. […] Abbondano anche oggi, ed abbonderanno sempre simili Ennii critici di que’ medesimi che essi saccheggiano.
Or chi non ignora la storia teatrale potrà mai senza infastidirsene leggere gli arzigogoli de’ sedicenti filosofi e critici declamatori d’oggidì, i quali sostengono sempre massime singolari contraddette dal fatto e dall’evidenza? […] Per la stessa ragione non doveasi appresso far dire che egli si è perduto, e che non si sa dove sia; ma col tragico latino dirsi alla prima ch’è morto; perchè questa notizia ben accreditata dal dolor materno toglieva ad Ulisse ogni speranza; là dove l’essersi perduto stimola sempre più all’inchiesta. […] E’ notabile nella scena quarta dell’atto II l’orrore che protesta di aver Nino per l’incesto, nel che si mette sempre più in vista il tragico contrasto del carattere di Nino colla passione di Semiramide, e si prepara la di lui disperazione per lo scioglimento. […] Qual orrore non cagiona sì tremenda notizia a Nino che ha sempre manifestato spavento particolare per l’incesto! […] Sarebbe a desiderare che la bell’ opera di questo Spagnuolo erudito sopra ogni letteratura al pregio di essere ottimamente scritta congiungesse sempre l’ altro indispensabile della veracità e sicurezza ne’ fatti e della solidezza ed imparzialità ne’ giudizj.
L’ Italia, la Spagna, l’Inghilterra empieronsi di piccioli tiranni gelosi degli acquisti e sempre pronti a guerreggiar sotto di un capo contro gli stranieri, o ad avere in conto di stranieri ora i compagni ora lo stesso sovrano per difendere i proprj diritti. […] Vuole altresì con fondamento che il nominarsi versi recitati su’ teatri non sempre additi un’ azione drammatica. […] Ma tendendo sempre la costituzione di tal regno alla divisione, al fine i gran ducati si suddividono in contati subalterni numerosi ma piccioli di mole e di potere. […] Diciamo ciò per ausiliar colla verità certa filosofia che sempre ragiona prima di assicurarsi de’ fatti, e che in conseguenza si avvolge per un mondo fantastico e combatte in altri le proprie chimere.
Si risponde che ciò è provenuto dalla natura dei secoli dediti alla rustichezza e alla ferocia, dove nulla pregiavansi le opere dell’ingegno, perché neppur si sospettava della loro utilità: dal niun commercio tra popoli confinanti, non che tra i lontani, onde avveniva che i nuovi ritrovati nelle scienze e nelle arti, o si smarrivano nei viaggi disastrosi, e poco sicuri, o si chiudevano nella tomba per sempre insiem coi loro inventori, o si giacevano fra l’eterno silenzio delle monastiche biblioteche polverosi e negletti: dal considerarsi in allora la musica non come un’arte di genio, gli avanzamenti della quale dovessero interessare il lusso e la voluttà nazionale, ma come una spezie di liturgico rito, ovvero sia di pattuita ecclesiastica cerimonia, cui bastava aggiugnerne quello soltanto, e non più, che richiedevasi per soddisfar al bisogno: dalla mancanza insomma di scritture, e di libri, la quale vietava di poter ad altri luoghi trasmettere, e di render note le proprie invenzioni. […] [16] Memoranda sarà mai sempre la festa detta “dei Pazzi” celebrata per molti secoli in quasi tutta l’Europa, dove le più ridicole rappresentazioni si framischiavano a delle cerimonie cotanto licenziose che sarebbero affatto incredibili se attestate non venissero da un gran numero di scrittori saggi ed accreditati. […] «Diffatti (dicevano essi, appigliandosi a quella ragione, ch’è stata mai sempre lo scudo della ignoranza, e il baloardo del fanatismo) i nostri Maggiori persone illibate e santissime, la celebravano, perché non dovremo celebrarla ancor noi? […] Ma siccome io non mi rendo mallevadore di ciò che altri mi fan dire, ma di ciò soltanto che realmente ho detto; così ho lasciata come si stava la mia proposizione, la quale non ha altro senso se non che ne’ secoli chiamantisi illuminati, o filosofici il carattere generale della filosofia applicata agli oggetti religiosi è quello di render probabili le cose più dubbie agli occhi del volgo, e di sparger dubbi sulle altre che al medesimo volgo sembrano verità incontrastabili, dalche nascono in seguito il raffreddamento del popolo verso la propria religione, e l’affettata incuriosità ovvero sia scetticismo dei pretesi saggi due circostanze che hanno caratterizzato finora, e caratterizzeranno mai sempre qualunque secolo filosofico. […] Havvi sempre a temere, che le verità più evidenti acquistino dalla discussione un’aria di problema poco vantaggioso per esse.»
Abate, quest’arte di eludere gli argomenti contrarj variando i termini calzava bene ne’ Circoli Scolastici, dove gli urti, la furia, il trasporto, e talora le pugna, e i ceffoni, non permettevano di attendere alle parole più essenziali della controversia; ma nella scrittura le proposizioni, i termini sussistono, vengono sempre sotto gli occhi, per quanto un Apologista si sforzi di sopprimerli, e per quanto s’ingegni di mostrar la propria agilità, e destrezza in far degli scambietti. […] Compiè l’Opera il celebre Pietro Metastasio, riducendosi sempre più alla verità e maestà tragica, ed animando le situazioni patetiche colla magia dello stile, e colla dipintura al vivo delle passioni. […] Sofocle aggiunse sempre nuova proprietà alla rappresentazione. […] Ciò si nega, di ciò appunto si questiona: che se non mostrate il modo di superare gl’inconvenienti in parte dal Signor Iriarte, e da me sopraccennati, la rappresentazione dee sempre essere imperfetta, e rimarrà sempre all’Uditorio qualche cosa da supplire per passare il tempo senza noja. = Dove essa (vostre parole ancora) è un ammasso d’inverisimili, non sarà convenzione, che basti a produrla =.
In secondo luogo dal risorgimento delle Lettere gl’Italiani hanno sempre recitate Tragedie, Commedie, Pastorali, e Drammi Musicali, di sorte che i forestieri vedendo sulla Scena incessantemente tutti questi generi, non potevano essere cotanto irragionevoli e ingiusti che volessero non vedere quello che pur vedeano, e doveano confessare che tutte le accennate specie di Poesie Drammatiche fossero ben note agl’Italiani.
I cinesi non distruggono questa bella imitazione colle maschere sempre nemiche della vera rappresentazione, le quali si adoperano unicamente ne’ balli e ne’ travestimenti di ladro.
Le storie ragionate che per mano della filosofia si conducono per le varie specie poetiche, e singolarmente teatrali, non sono dettate per appagar soltanto una sterile curiosità: ma racchiudono in se mai sempre una Poetica a ciascuna corrispondente, ed una Scelta de’ più cospicui esempli de’ progressi e delle cadute che vi si fecero in diverse epoche; la qual cosa per lo suo peggio veder non seppe nella mia Storia teatrale certo picciolo autore di un tumultuario Discorso accompagnato ad un Pausania meschina tragedia obbliata ed estinta nel nascere.
Tespi contemporaneo di Solone provveduto di competente gusto e discernimento gli separò; e perchè si attenne sempre al solo tragico, gli fu attribuita l’invenzione de’ la tragediaa, avvegnacchè altri l’avessero precedutob.
E quantunque da alcuni si pretenda che dopo quel tempo Eupoli avesse altre favole composte, e che egli non morisse in mare ma in Egina; pure è sempre certo, che per un editto de’ Quattrocento sotto Alcibiadeb, o de’ Trenta Tiranni nell’olimpiade XCIII o XCIVc, non si potè più nominare in teatro verun personaggio vivente; e così cessò la commedia greca chiamata antica.
Il di lui figliuolo Maometto II sempre dipinto con nerissimi colori mostrò senza dubbio molta moderazione in permettere che il padre ripigliasse l’impero, e dee contarsi tra’ più grandi conquistatori, e tra’ principi magnanimi e prudenti.
Dominique, stando sempre al Cicalmento (pag. 46) non si recò allora a Parigi per la prima volta : egli vi andò sul finire del’45, quando da quella Cristianissima Maestà vi fu chiamato Buffetto, il quale anche ci fa sapere come, presentate le commendatizie e ricevuti con ogni degnazione da’Sovrani e dall’eminentissimo Cardinal Mazzarini, fosser dati a Menghino e denari e un vestito bellissimo.
Quanto è bella la reliquia che ora voglio fargli fare la bustina, quanto cara la corona con quel bel Cristino e quella medaglietta ; il pezzetto di cera e la candelina mi saranno utili nei temporali, che Iddio ci guardi ; insomma che tu sii benedetta per sempre.
Compagnia Sarda, andò la Bettini a sostituirla, e il Nardelli si ritirò per sempre in Verona, ove si diede al commercio de' vini forestieri.
Il Sand discorre di un tipo, esistito a Bologna fin oltre il 1850 e passato poi nel dominio delle marionette, che rappresentava un vecchio mercante di circa sessant’ anni, ignorante e orso, col nome di Tabarino, il quale soleva cominciar le frasi in italiano e finirle in dialetto bolognese. « Padre quasi sempre di Colombina e alleato del Dottore, egli era – dice – il Cassandro o il Pantalone bolognese.
Ma dico bensì che la lingua che avrà il vantaggio della trasposizione farà in uguali circostanze progressi più sensibili nelle belle arti ora per la facilità maggiore d’accomodar le parole al sentimento, onde nasce l’evidenza dello stile: ora per la maggior attitudine a dipignere cagionata dal diverso giro, che può darsi alla frase, e dalla varietà, che da esso ne risulta, onde si sfugge la monotonia, e il troppo regolare andamento; ora schivando la cacofonia nel rincontro sgradevole delle vocali, o l’asprezza in quello delle consonanti inevitabili spesse fiate nelle lingue, che hanno sintassi sempre uniforme: ora questo medesimo accozzamento a bello studio cercando, come lo richiede la sostenutezza e gravità dell’oggetto: ora facendo opportuna scelta di quei suoni, che più alla mimetica armonia convengono: ora per la sospensione, che fa nascer nello spirito lo sviluppo successivo d’un pensiero, di cui non si sa il risultato sino alla fine del periodo. […] Ma assai si è detto onde si conoscano le sue prerogative per la musica, e l’ingiustizia altresì con cui parlano di essa alcuni scrittori francesi, tra quali il gesuita Bouhours colla leggerezza sua solita nel giudicare non ebbe difficoltà di dire: «Che è una lingua affatto giochevole, che altro non intende che di far ridere coi suoi diminutivi», e notisi, che molti di quelli ch’ei nomina non si trovano frale parole toscane: «Che le continue terminazioni in vocale fanno una musica molto sgradevole», quando le principali bellezze della musica italiana nascono appunto da queste: «Che la lingua italiana non può esprimere la natura, e ch’essa non può dare alle cose l’aria, e vaghezza lor propria, e convenevole: Che le metafore continue, e le allegorie sono le delizie degl’Italiani, e degli Spagnuoli ancora: Che le loro lingue portano sempre le cose a qualche estremo: Che la maggior parte delle parole italiane, e spagnuole è piena d’oscurità, di confusione, e di gonfiezza», come se la gonfiezza, e l’oscurità fossero un vizio delle parole, e non degli autori: «Che i Chinesi e quasi tutti i popoli dell’Asia cantano, i tedeschi ragliano, gli Spagnuoli declamano, gli Inglesi fischiano, gli Italiani sospirano, né ci ha propriamente che i Francesi, i quali parlino». Dopo i quali spropositi non ci dobbiamo punto maravigliare dello spiritoso, e leggiadro giudizio, che dà intorno alle tre lingue sorelle: «Cioè che la lingua spagnuola è una superba di genio altiero, che vuol comparir grande, ama il fasto e l’eccesso in ogni cosa, l’italiana è una fraschetta, e una vanerella sempre carica d’ornamenti e di belletto, che altro non cerca che piacere ad altrui, e che ama molto le bagatelle. […] Se l’italiana ha la prerogativa stimabilissima di finir quasi sempre in vocale, la spagnuola ha l’altra non meno pregievole d’esser più varia nelle terminazioni, contandosi in lei da quattro mila in circa maniere diverse di finir le parole.
Per sempre? […] Per sempre? […] Per sempre? […] Lo spettatore esige sempre il motivo dell’entrare e dell’uscire de’ personaggi. […] Per sempre!
Si delinea qui una spiccata preferenza per la semplicità tipica delle tragedie greche e classicistiche, sempre in opposizione all’eccessiva artificiosità delle prove barocche. […] Racine mostrò di conoscere questo errore e d’amar però meglio la semplicità, ma non seppe sempre usarla quanto era d’uopo per non violare la verisimiglianza. […] Li Francesi quasi sempre l’osservano e si possono dire inventori di sì bella legge, benché a dir vero certi moderni non abbiano sempre un ordine sì naturale, come Cornelio e Racine. […] Il medesimo Tebano poco appresso racconta che i suoi concittadini si lusingavano che le felici mani d’Edippo legassero per sempre i destini al suo trono. […] Gli altri all’incontro non pur fanno sempre cesura nel luogo medesimo, ma la metà posteriore non è che una repetizione della metà precedente.
Shakespear scrisse anche commedie, e gl’ Inglesi veggono sempre con piacere il di lui Cavaliere Falstaff, e le Commari di Windsor. […] Da quel tempo spiegarono una propensione particolare al grande, al terribile, al tetro, al malinconico più che al tenero, ed una vivacità, una robustezza e un amor deciso pel complicato più che per la semplicità; e questo carattere di tragedia si è andato sempre più disviluppando sino a’ dì nostri.
Di tal guisa egli si mostrò nella vita un po' sempre personaggio di commedia, e nelle sue grandi interpretazioni un po'sempre Ernesto Rossi. […] Vagheggiò la morte su la scena fra lo splendore dei lumi, il fragor degli applausi, come quella d’un generale sul campo di battaglia : il fato che gli fu prodigo di tante dolcezze, gli serbò la più amara delle delusioni : su la grande arte sua, in mezzo agli urli della folla esaltata, al teatro di Odessa, calò il sipario per sempre ; e abbandonato, forse già dimenticato, il grand’uomo nella piccola Pescara esalò l’ultimo respiro alle 11,45 del 4 giugno 1896.
Questi stranieri furono i Provenzali, popolo celebre nella storia pella piacevolezza del suo temperamento sempre vivace, alla giocondità, e al riso inchinevole che abbonda di vini spiritosi e di donne galanti, e ch’educato sotto un cielo per lo più sereno e ridente, e in un paese amenissimo sembra fatto a bella posta dalla natura per non aver altro impiego che quello di cantare e ballare. […] L’impiego loro principale era lo stesso che sempre hanno avuto i poeti , ovunque la poesia non è il veicolo della morale né lo strumento della legislazione, ma un passatempo ozioso, che non conduce agli onori, né alle ricchezze. […] Dico più a lungo e non sempre, perché appena prese voga il contrappunto, la musica provenzale restò anch’essa infettata dalle solite stravaganze39. […] «Questi sono (dice, parlando de’ Fiaminghi) i veri maestri della musica, e quelli che l’hanno restaurata e ridotta a perfezione, perché l’anno tanto propria, naturale, che uomini e donne cantan naturalmente a misura con grandissima grazia e melodia, onde avendo poi congiunta l’arte alla natura fanno e di voce e di tutti gli strumenti quella pruova ed harmonia, che si vede ed ode, talché se ne truova sempre per tutte le corti de’ principi Cristiani. […] [NdA] Al Tiraboschi sempre intento ad esaltar i suoi nazionali con discapito degli esteri si potrebbero appropriare quei versi del Catilina tragedia d’un celebre moderno francese.
Conveniente, che nell’adattare ai personaggi i rispettivi gesti abbia sempre in vista l’indole della passione, i caratteri, il tempo, il luogo, e le circostanze171. […] Comunque voglia intromettersi sarà sempre una mutilazione che si fa al melodramma, uno svagamento straniero che fa perdere il filo al restante, un riempitivo fuori di luogo che tronca il tutto musicale e poetico in parti independenti, le quali non producono l’effetto perché vien loro impedito lo scambievole rapporto. […] Ma quello che dirò sempre e costantemente affermerò si è che tali effetti della mimica, come si coltiva fra noi, sono accidentali, ch’ella ha dei vizi intrinseci che non potranno estirparsi giammai, e che se riesce bene una qualche volta per mille altre volte è uno spettacolo assurdo. […] Ma la necessità d’un sì meschino ripiego che spesso è insufficiente a capir l’orditura, e che sempre ne distrae l’attenzione dello spettatore dividendola fra lo spettacolo e il libro, non pruova ella più d’ogni altra cosa che i balli sono altrettanti enimmi, i quali hanno bisogno di commento e d’interprete? […] Il primo e più immediato effetto della pantomima sarà sempre quello di disgustarci d’ogni altro spettacolo drammatico agguisa dei liquori forti che incalliscono, a così dire, il palato, e insensibile il rendono al gusto più indebolito degli altri vini.
Or chi non ignora la storia teatrale, potrà mai senza infastidirsene leggere gli arzigogoli de’ sedicenti filosofi e critici declamatori di oggidì i quali sostengono sempre opinioni singolari mal digerite contraddette dal fatto e dall’evidenza? […] E notabile nella scena quarta dell’atto II l’orrore che protesta Nino di avere per l’incesto, per cui si mette sempre più in vista il tragico contrasto del carattere di Nino colla passione di Semiramide, e si prepara la di lui disperazione per lo scioglimento. […] Quale orrore non cagiona sì tremenda notizia a Nino che ha sempre mostrato spavento particolare per l’incesto! […] Oltre di ciò facea ridendo un attoa Che la regina il fa sempre che ride. […] Sarebbe a desiderare che la bell’opera di questo erudito gesuita Spagnuolo sopra ogni letterature, al pregio di essere ottimamente scritta congiungesse sempre l’altro indispensabile della veracità e sicurezza ne’ fatti e della solidità ed imparzialità ne’ gìudizii.
Ma la magnificenza, la vastità, l’artificio onde è costrutto, per cui, mal grado di tante centinature, colonne isolate, agetti e risalti, parlando ancor sottovoce da una parte si sente distintamente dall’altra tutto ciò farà sempre ammirar questo teatro come uno de’ più gloriosi monumenti dell’amor del grande e della protezione delle arti che mostrarono i principi Farnesi.
Il di lui figliuolo Maometto II sempre dipinto con nerissimi colori mostrò senza dubbio molta moderazione in permettere che il padre ripigliasse l’impero, e dee contarsi tra’ grandi conquistatori e tra’ principi magnanimi e prudenti.
Forse ci è sempre stato, e forse si aggira anche adesso nei botteghini dei teatri a controllare gli incassi, o freme sulle rupi di carta rimesse in onore dai moderni drammi.
Mise in mezzo terze persone, si raccomandò, supplicò, ma sempre in vano.
Appena Sua Maestà si presentasse in palco, uno dei granatieri doveva fare un passo fuori del sipario, col fucile al piede, ed immobile tener sempre fisso lo sguardo sul volto del re.
Recitava come sempre nel dialetto napoletano, e alla scena XVI del primo atto, in cui tutti i Comici fanno « un paragone della Comedia ad altra cosa » egli, dopo il discorso del primo innamorato Ottavio, e del Pantalone Girolamo, dice : Platone nel settimo della sua Repubblica, obliga i Capitani d’eserciti ad essere buoni aritmetici, però io che rappresento la parte del Capitano, sosterrò che la Comedia costa di questa scienza matematica, e che sia il uero : l’aritmetica si diuide in prattica, e speculatiua ; la Comedia e composta di numero semplice non douendo uscire da i termini assegnati da Aristotile, di ventiquattr' hore ; e di numero diuerso, partito in tre parti che sono gl’Atti, ne quali si racchiude.
Il Gozzi dice : Atanagio Zannoni, che sostiene con rara abilità il personaggio del Brighella tra le maschere nella Truppa Sacchi, rappresentava cotesto vecchio con quella perfetta imitazione nel vestito, nella voce, negl’intercalari, nel gesto, e nella positura, che suol far sempre ne' Teatri un grand’effetto con indicibile applauso.
Ma gli affetti universali dell’uomo trovandosi variamente in ciascuna nazione modificati, la drammatica, quanto al gusto, dovrà sempre soggettarsi a certe regole relative, e particolari, e dipendenti dal tempo, dal costume, e dal clima. […] Dal 1745 fino agli ultimi giorni si é sempre rappresentata con sommo applauso Sigismonda e Tancredi, bellissima tragedia di Thompson, il cui argomento, tratto da una novella inserita nel pregiatissimo romanzo di Gil Blàs del sig. le Sage, é stato anche bene maneggiato in Francia da M. […] Quello di sir Henns, d’un rustico occupato sempre de’ suoi cavalli, é ben espresso. […] Egli naturalmente ha lo stile umile e dimesso, e batte lo stramazzone tosto che vuol nobilitarlo, ma ciò non gli nocerebbe gran fatto sempre che sapesse scegliere il genere di commedia conveniente alle sue forze.
L’Italia, la Spagna, l’Inghilterra empieronsi di piccioli tiranni gelosi degli acquisti e sempre pronti a guerreggiare sotto di un capo contro gli stranieri, o ad avere in conto di stranieri ora i compagni ora lo stesso sovrano per difendere i proprii diritti. […] Vuole altresì con fondamento che il nominarsi versi recitati pe’ teatri non sempre additi un’azione drammatica. […] Ma tendendo sempre la costituzione di tal regno alla divisione, al fine i gran ducati si suddividono in contadi subalterni numerosi ma piccioli di mole e di potere. […] Diciamo ciò per ausiliar colla verità certa orgogliosa filosofia dello spagnuolo Arteaga che sempre ragiona prima di assicurarsi de’ fatti, e che in conseguenza si avvolge per un mondo fantastico, e combatte in altri le proprie chimere.
La musica dunque fu sempre compagna della poesia. […] Questo perdono si è sempre conceduto.
Nei sette anni di esilio di Gustavo, egli, con sacrifici di ogni maniera, privandosi quasi del pane per sè e i suoi, gli fu largo di soccorsi in Francia e in Isvizzera, sopportando sempre con rassegnazione i molti dolori che per tristizia di tempi ebbe a patire nel corso non breve della sua vita. […] Era uomo di passione, ma il sentimento dell’ onestà e della rettitudine prevaleva sempre in lui alla passione politica e ai rancori personali.
Intanto le opere del Goldoni e del Chiari andavan acquistando sempre maggior grido, e il pubblico s’era diviso in due parti, disertando il teatro del povero Sacco. […] La sera dopo egli era al teatro in Mantova ; e lo Spinelli riferisce questo brano di lettera di Luigi Galafassi a suo padre Consigliere ducale : L'Imperatore disse che a Modena la Commedia era ottima, e quell’arlecchino molto vivace e bravo, e che una sua facezia gli sarebbe sempre stata impressa, ma che non voleua dirla.
e sbandiva dal palco l’inverisimile desolazione delle gran piazze e contrade; là dove in ogni altro paese per un ridicolo miracolo poetico si veggono sempre i soli due o tre personaggi che piace allo scrittore d’introdurvi. […] L’anno 1753 cercando sempre nuovi argomenti e nuove vie di piacere coll’ accoppiar lo spettacolo alla piacevolezza e all’interesse, compose la Sposa Persiana, e negli anni susseguenti Ircana a Julfa ed Ircana a Ispahan che ne seguitano il romanzo, tutte e tre in cinque atti ed in versi martelliani. […] E per conseguirlo ricorse al solito comune rifugio del maraviglioso delle machine e trasformazioni e degl’ incantesimi molla sempre attivissima su gli animi della moltitudine.
Dovunque oggi splenda ancora qualche favilla dello spirante patriotismo, sarà sempre cara la memoria di un letterato, il quale ha sostenuto diciotto anni in Parigi ed il resto della vita in Italia l’onor della lingua e della letteratura Italiana.
vii Vanne picciol mio parto Se ben pochi ornamenti hai dentro, e fuore, In mano a lei, ch'è de l’Italia honore ; Così t’auesse, acciò le fossi grato, Orfeo composto, e Dedalo legato, O almen fosse a l’Autore D'esser il libro suo dal Ciel concesso, Per viuer sempre a sì gran Donna appresso.
Contuttociò egli seppe, sempre che gli piacque, scherzare e dipinger con grazia senza cadere nelle troppo sceniche buffonerie. […] Egli vuol morire, e vivere di bel nuovo, e tornare a morire, e rinascer sempre, ………………… Iterum vivere, atque iterum mori Liceat renasci semper. […] Soprattutto l’atto V manifesta la poca destrezza e pratica di teatro che avea l’autor latino; e fa sempre più desiderabile il bellissimo e sommamente tragico atto V del coronato Agamennone di Eschilo. […] Uno studio continuato di mostrar ingegno ad ogni parola, fa che l’autore si affanni per fuggir l’espressioni vere e naturali e per correr dietro a un sublime talvolta falso, spesso assettato, e sempre noioso per chi si avvede della fatica durata dall’autore a portar la testa alta e sostenersi sulle punte de’ piedi. Gli squarci più tragici vengono bruttati dal furore di presentar sempre pensieri maravigliosi.
Quanto agli studi teatrali divennero sempre più comuni in questo secolo, e ne sieno testimoni parlanti le tante produzioni erudite che presentiamo a’ poco instrutti dell’italica letteratura. […] Nelle chiese si recitavano le farse sulle vite de santi, così ripiene di scurrilità che verso la fine del secolo ne furono per sempre escluse per un canone del concilio toledano tenuto nel 1473.
Con tal dottrina, solidità, buona fede, urbanità e logica combatteva in ogni incontro Huerta a se sempre uguale, tuonando ne’ Caffè e ne’ passeggi e ne’ papelillos che scarabbocchiava, servendogli d’eloquenza l’arroganza. […] E tutto questo sarebbe da intraprendersi all’ombra di quella parte critica non conosciuta e detestata dall’Huerta come satira maligna, ma da me con predilezione amata e studiata, e che vorrei che sempre nelle mie opere risplendesse , a costo di esser perpetuo segno di tutti los papelillos del signor Vicente, di tutti i possibili opuscoli del signor Don Pedro, di tutte le biblioteche de los Guarinos, e di mille scartabelli teatrali di Ramòn La Cruz muniti di prologhi, dedicatorie, e soscrizioni.
Il teatro vi resta quasi sempre solitario; se già non si voglia porre nella schiera degli attori quella marmaglia di comparse che nelle nostre opere sogliono anche dentro al gabinetto accompagnare i re.
Quando anche la magnificenza conveniente a una Corte di sì possente, e ricca Monarchia, richiedesse che alcuno di nuovo, e in migliore stato che non è quello de la la Cruz, se n’edificasse, per mio gusto sempre riterrei le medesime scalinate, e le divisioni di Cazuela, Barandillas, Gradas, Tertulla, Patio, e Lunetas, come proprie della nazione, che in fatti per i forestieri formano un certo vario giocondo spettacolo.
[8] Allora si coltivò l’espressione anima e spirito dell’arte, la quale è alla musica ciò che l’eloquenza al discorso: s’imparò a subordinare l’una all’altre tutte le diverse e moltiplici parti che la compongono, e a dirigere il tutto verso il gran fine di dipingere e di commuovere; si studiò con maggior cura l’analogia, che dee sempre passare tra il senso delle parole e i suoni musicali, tra il ritmo poetico e la misura, tra gli affetti che esprimono i personaggi, e quelli che rende il compositore; si sminuirono considerabilmente le fughe, le contrafughe, i canoni, e gli altri lavori simili, i quali sebben provino, allorché sono eseguiti esattamente, la ricchezza della nostra armonia e l’abilità del maestro, nondimeno sogliono per lo più nuocere alla semplicità ed energia del sentimento. […] [10] Simile al secondo ei maneggiò con felicità incomparabile i diversi stili de’ quali si fa uso nella musica, mostrandosi grave, maestoso, e sublime nello Stabat mater, vivo, impetuoso e tragico nell’Olimpiade, e nell’Orfeo, grazioso, vario e piccante, ma sempre elegante e regolato nella Serva padrona, la quale ebbe il merito singolare, sentita che fu la prima volta a Parigi, di cagionare una inaspettata rivoluzione negli orecchi de’ Francesi troppo restii in favor della musica italiana. […] L’Europa avrebbe perduto per sempre quel gran poeta se la famosa Marianna Bulgarini cantatrice di professione nol ritraeva dalla indigenza, e nol rimetteva in sentiero. […] II bibliotecario estense è quasi sempre più erudito che filosofo; ma questa volta è una eccezione della regola.
Costui prima del 1735 non conobbe cosa veruna del teatro italiano, e ne avrebbe ignorato per sempre ancora quelle scarse mal digerite notizie che ne reca, se non si fosse immerso nel laborioso studio del Mercurio di Francia; e pur volle affibbiarsi, come dicesi, la giornea, e giudicare e condannare il Torrismondo. […] Ma poco giova che l’etade neghino, Quando il viso gli accusa, e mostra il numero Degli anni a quelle pieghe che s’aggirano Intorno agli occhi, agli occhi che le fodere Riversan di scarlatto, e sempre piangono, O a li denti che crollano, o che mancano Loro in gran parte, e forse mancherebbono Tutti, se con legami e con molt’opera Per forza in bocca non si ritenesseno. […] In quelle farse dell’arte possiamo ravvisare qualche reliquia degli antichi mimi, la cui indole buffonesca é stata sempre d’indurre prima insensibilmente un certo rincrescimento della vera poesia, e poi di cagionarne la decadenza. […] A me pare che ciò addivenuto sia, perché «chi poco considera (secondo che dice il proverbio), presto parla e presto scrive», e perché i francesi facendo sempre da suffisants (voce caratteristica che manca alla nostra lingua) hanno, come glielo va rimproverando con somma ragione il presidente di Montesquieu nelle Lettere Persiane, «la fureur d’écrire avant que de penser, et de juger avant que de connaitre», per servirmi delle parole di M. d’Alembert.
All’opposto nelle nostre legislazioni che s’aggirano sopra un perno tutto diverso, la musica e la poesia, lontane dall’esser considerate come oggetti di somma importanza, si considerano al più come una occupazion dilettevole bensì, ma sempre inutile al bene religioso e politico degli Stati. […] Ci vengono indicati i diversi suoni che corrispondevano a ciascuna delle vocali e delle consonanti ora dolcemente sonori, ora scorrevoli e pieni, ora mollemente scabri, e sempre opportunamente variati; ci si fa vedere la scelta che di essi facevano i compositori, e la scrupolosa esattezza altresì con cui venivano adoperate dai poeti secondo il diverso oggetto che prendevano a dipignere117. […] Rilevando che l’energia dell’effetto è sempre in ragione dell’opportunità e della convergenza delle cause, si studiarono con sommo impegno d’adattare ad ogni effetto particolare che dovea generarsi dalla musica l’individuale cagione che dovea generarla. Però sempre gli vediamo intenti a trascegliere quei tuoni, quelli intervalli fra gli altri, quei menomi componimenti specifici che sembravan loro acconci ad eccitar piutosto certa classe di affetti che d’un’altra. […] Non si niega che da siffatto contrasto non possa per opera d’un valente compositore cagionarsi talvolta una combinazione dei suoni che diletti l’udito per la sua vaghezza ed artifizio e tale è appunto il merito intrinseco della moderna musica, dove l’arte d’intrecciare le modulazioni, la bellezza delle transizioni e dei passaggi, l’artifiziose circolazioni intorno al medesimo tuono, la maestria nello sviluppare e condurre i motivi, in una parola le bellezze estetiche dell’armonia sono pervenute ad un grado d’eccellenza sconosciuto affatto agli antichi; ma egli è indubitabile che siffatto artifizio non è atto ad eccitar le passioni, e che l’intrinseca ripugnanza che regna nel sistema della nostra armonia (ripugnanza nata dal comprendere insieme più spezie contrarie di movimento) le toglierà sempre mai il diritto di gareggiar colla greca nella quale siccome non trovavansi le squisitezze armoniche della moderna, così non si trovavan nemmeno le sue contraddizioni; il tutto era anzi al suo scopo maravigliosamente diretto.
Il padre trafitto dal dolore ma sempre eroe gli getta dalle mura la propria spada perchè esegua la minaccia. […] Solo vi ho sempre desiderato che la richiesta del Moro fosse preparata con più arte. […] Secondo lui il poema ha sempre un esito felice, e la distruzione di Numanzia funestissima ad esso non conviene. […] Ma è poi sicuro codesto bibliografo che il poema epico debba aver sempre un esito felice? […] Chi avrebbe (diamone un esempio) omessa nelle favole dette eroiche o la Judia de Toledo, o Dar la vida por su Dama, o los Amantes de Teruel, le quali sempre riempiono di spettatori le scene spagnuole, per eleggere Eco y Narciso nojosa favola mitologica di Calderon che più non si recita?
Con tutto ciò questa favola si rappresentò la prima volta avanti al re Errico II con indicibile applauso, e si replicò sempre con grandissimo concorso.
Con tutto ciò questa favola si rappresentò la prima volta avanti al re Errico II con indicibile applauso, e si replicò sempre con grandissimo concorso.
Qui la Partenopea vivace Fronda, Che alta ventura al Tosco Giglio unio, Goda placida sempre aura seconda, E il Giglio eccelso….
Ingegnose molto e leggiadre furono per lo più le invenzioni de’ drammi a Firenze e a Torino, quella per isquisito gusto di ogni arte bella sempre distinta in Italia, questa pella gara de’ più celebri artefici italiani e francesi ivi quasi in centro di riunione di entrambi paesi insieme raccolti. […] bene, bene Mi cavasti di pene [9] Gli amori introdotti sempre come principale costitutivo dei drammi non solo erano ricercali, falsi e puerili, ma in siffatta guisa indecenti che sembravano rappresentaci a bella posta sulle scene per giustificar il rimprovero che diè il Conte Fulvio Testi ai poeti italiani di quel tempo: «Fatto è vil per lascivia il Tosco inchiostro.» […] Non si può meno di non ridere nel vedere nella musica fatta dal Melani sul dramma intitolato il Podestà di Coloniola affaccendato sommamente il compositore per rendere cogli strumenti il suono dei rispettivi animali descritti ne’ seguenti versi: «Talor la granocchiella nel pantano Per allegrezza canta qua quarà: Tribbia il grillo tre, tre, tre: L’agnellino bè, bè, bè: L’assiuolo uhu, uhu, uhu, Et il gal cucchericcù; Ogni bestia sta gaia, io sempre carico Di guidaleschi a ugni otta mi rammarico.»
Sisara, Tobia, Naaman, Giuseppe, le Profezie d’Isaia, Daniello, Davide umiliato, Gerusalemme convertita, l’Ezechia colle altre saranno sempre le migliori rappresentazioni che abbia l’Italia fino a’ tempi di Metastasio. […] Come il gran segreto delle belle arti è quello di presentar gli oggetti in maniera che la fantasia non finisca dove finiscono i sensi, ma che resti pur sempre qualche cosa da immaginare allo spettatore allorché l’occhio più non vede e l’orecchio non sente, così il discostarsi talvolta dalle prospettive che corrono al punto di mezzo, che sono, per così dire, il termine della potenza visiva e della immaginativa, fu lo stesso che aprire una carriera immensa alla immaginazione industriosa e inquieta di coloro che guardano da lontano le scene.
E se il Signor Lampillas volesse saperne anche la sorgente, rifletta e alla traduzione fatta dal Trissino del Libro di Dante De Vulgari Eloquentia scoperto dal Corbinelli, la quale amareggiò non poco col Varchi tutti i Fiorentini, e all’avere sempre il Trissino sostenuto che il Dialetto Fiorentino non dovea considerarsi come lingua generale Italiana. […] Si vorrebbe talvolta in qualche pasio che il Perez si fosse più attaccato all’originale (perchè sempre è meglio tradurre che peggiorare).
Nell’atto III son da notarsi le seguenti cose: un altro colpo di bacchettona allorchè Chiara parlando delle sue nozze clandestine con Pericco, si accorge che viene il padre, e senza avvertirne il servo muta discorso, dicendo, io volea mettermi tralle cappuccine per meritare con una austerità maggiore più gloriosa corona, ma bisogna obedire al padre: la scena in cui Don Luigi vorrebbe che ella si fidasse di lui e gli dicesse se inclini allo stato conjugale, ed ella punto non fidandosi continua sempre col tuono di bacchettona: l’artificio con cui si prepara lo scoglimento colla mutazione che fa un parente del suo testamento. […] Eugenio innamorato meno nojoso, che ostenta sempre una morale avvelenata da un’ aria d’importanza e precettiva: che egli non dovrebbe continuare nè a moralizzare nè a corteggiar Pepita promessa ad un altro, a cui il padre ha già contati diecimila scudi per le gioje: che Pepita in tali circostanze non dovrebbe nell’atto II innoltrarsi in una lunga e seria conferenza deliberativa col medesimo e con la Zia: che il carattere di Bartolo portato a tutto sapere e tutto dire non dovrebbe permettergli di tacer come fa in tutta la commedia l’ importante secreto della finta lettera posta di soppiatto in tasca di D.
Figlie della pubblica prosperità, voi siete sempre ne i più bei giorni degli stati.
La commedia antica però ricevè tutta la perfezione dall’Attico Aristofane che sempre colla grazia e colle facezie temperava – l’amarezza della satira.
Una potente convulsione nel cominciar del secolo XVII giva agitando gli umori del corpo Britannico sempre disposti a ribellarsi, e minacciava un prossimo sconvolgimento nella costituzione.
I Cinesi non distruggono questa bella imitazione colle maschere sempre nemiche della vera rappresentazione.
Una potente convulsione nel cominciar del secolo XVII giva agitando gli umori del corpo Britannico sempre disposti a ribellarsi, e minacciava un prossimo sconvolgimento nella costituzione.
Non si vedono nel Figlio naturale se non che situazioni semitragiche prese in prestito altronde ed attaccate al piano del Vero Amico, e vi regna tale affettata nojosa saviezza in tutti i personaggi e specialmente nel Figlio naturale ed in Costanza, che farà sempre sbadigliare sulla scena.
Stenterello non ha carattere spiccato : esso può esser tal volta amante fortunato, tal altra marito ingannato ; ora servo sciocco spaventato dai morti, ora arguto dispensator di morale ; ma sempre, nelle quistioni più vive politiche o sociali, de’grandi e piccoli errori satirico flagellatore.
Facendo altrimenti crederebbonsi banditi dal consorzio degli uomini, e scaduti per sempre dalla protezione del nume, che presiede ai musicali piaceri. Ma, s’avessero eglino ricavati i principi dell’arte loro non da una sciocca e ridicola usanza, ma dagl’intimi fonti della filosofia, si sariano agevolmente avveduti che se bene convenga talvolta far precedere il ritornello, non perciò sempre e in ogni occasione diventa opportuno. […] Attalchè la sinfonia non sempre dovrebbe essere un preambolo dell’aria, ma deve e può essere talvolta una continuazione o conseguenza del senso anteriore. […] A che giova quel tanto stritolarne i periodi sempre aggirandosi dintorno alle stesse parole? […] Per un effetto della prima avviene che l’uomo, non sapendo stabilire dei limiti alle proprie facoltà e restando sempre con ciò che desidera al di sopra di quello che ottiene, ama sul principio nell’armonia gli accordi più naturali e più semplici, tali cioè che nascano espontaneamente dall’argomento, e possano con facilità ritrovarsi dal compositore.
Anche esprimendo i caratteri principali non può far a meno di non coincidere spesso e ripetere le cose medesime, perché le situazioni sono a un dipresso le stesse in tutti i drammi, e perché gli uomini posti ineguali circostanze sempre si spiegano nella guisa medesima. […] Tutto ciò deriva dalla eterna providenza di colui che, reggendo con invariabil sistema le cose di quaggiù, mette un perfetto equilibrio fra gli esseri morali, amareggiando col sospetto, col rimorso, colle spinose e tacite cure la condizione de’ potenti schiavi sempre della fortuna e del pregiudizio nell’atto stesso che alleggerisce i disagi involontari del povero colla maggior apertura di cuore, indizio d’un’anima più ingenua, e colla non mentita allegrezza, indizio d’uno spirito più contento. […] Il teatro non ha altra poetica che quella delle usanze, e poiché queste vogliono che deva ognor comparir sulle scene un martuffo con un visaccio da luna piena, con una boccaccia non differente da quella de’ leoni che si mettono avanti alla porta d’un gran palazzo, con un parruccone convenzionale, e con un abbigliamento che non ha presso alla civile società né originale né modello; poiché è deciso che cotal personaggio ridicolo abbia ad essere ognora un padre balocco, od un marito sempre geloso e sempre beffato, od un vecchio avaro che si lascia abbindolare dal primo che gli sa destramente piantar le carote, poiché il costume comanda che per tariffa scenica devano mostrarsi in teatro ora un Olandese col cappello alla quakera che sembri muoversi colle fila di ferro a guisa di burattino, ora un Francese incipriato e donnaiuolo che abbia nelle vene una buona dose d’argento vivo, ora un goffo tedesco che non parli d’altro che della sciabla e della fiasca, ora un Don Quisciotte spagnuolo che cammini a compasso come figura geometrica, pieno di falsi puntigli, ed abbigliato alla foggia di due secoli addietro, poiché insomma tutto ha da essere stravagante, esagerato, eccessivo e fuori di natura, voi mi farete la grazia d’accomodarvi mandando al diavolo quanti precettori v’ammonissero in contrario.
L’ultimo pentametro indica la curiosità di Orfeo, che contro il divieto si volge a mirar la moglie, e la perde di nuovo per sempre. […] Nel Diario di Jacopo Volterrano pubblicato dal Muratoria si parla di un dramma intorno alla vita di Costantino rappresentato a’ cardinali nel carnovale del 1484, nel quale sostenne il personaggio di Costantino un Genovese che da quel tempo sino alla morte fu sempre chiamato l’Imperadore.
L’ultimo pentametro indica la curiosità d’Orfeo, che contro il divieto si volge a mirar la moglie, e torna a perderla per sempre. […] Nel Diario di Jacopo Volterrano pubblicato dal Muratori62 si parla di un dramma intorno alla vita di Costantino rappresentato a’ cardinali nel carnovale del 1484, nel quale sostenne il personaggio di Costantino un Genovese nato e cresciuto in Costantinopoli, che da quel tempo sino alla morte fu chiamato sempre l’imperadore.
Ma non si perda d’animo, Signor Lampillas: trovi qualcheduna delle sue sugose congetture per distruggere il racconto dell’Antonio: veda se vi fosse stato più di un Agostino de Roxas, più di un’opera col medesimo titolo, impressa nel medesimo Madrid, nel medesimo tempo: veda se può dire, che il testo dell’Antonio sia viziato: pensi se qualche Stampatore (come per la sua scoperta apologetica avvenne alle Commedie di Cervantes) avesse cambiato il Libro del Roxas: in somma faccia egli, che farà sempre bene al solito.
I Cinesi non distruggono questa bella imitazione colle maschere sempre nemiche della vera rappresentazione.
Anche circa lo stile la giusta critica non è sempre contenta della Filli, perchè oltre al raffinamento, diciam così, originario delle pastorali, si veggono in essa molti falsi brillanti ed alquante metafore ardite alla maniera Marinesca e Lopense.
Non si vedono nel Figlio naturale se non che situazioni semitragiche prese in prestito altronde, ed appiccate al piano del Vero Amico; e vi regna tale affettata nojosa saviezza in tutti i personaggi, e specialmente nel Figlio naturale, ed in Costanza, che farà sempre sbadigliare sulla scena.
Anche circa lo stile la giusta critica non è sempre contenta della Filli; perchè, oltre al raffinamento, diciam così, originario delle pastorali, vi si veggono molti falsi brillanti ed alquante metafore ardite alla moda Marinesca.
L’opere degli antichi in questo genere (toltone alcune cose, che non sono, so non relative ai costumi de’ loro tempi) sono state e saranno mai sempre i nostri modelli: tutto l’oro, che più lampeggia fra noi, é stato tratto dalle loro miniere; e i moderni tanto più lusingar si possono di non mettere il piede in fallo, quanto più dappresso a questi grandi originali si accostano.
Cintio dice a Fulvio : Nel crociuolo della fede l’oro della nostra amicizia a fiamme d’amore è stato molte volte copellato, et i sophistici moltiplicamenti di sdegni o disgusti si consumeranno mai sempre a si pure fiamme.
Se voi fate una tela lugubre di persone private che ecciti il terrore, producete la tragedia domestica o cittadina: se a tal favola frammischiate alcuni tratti comici, cadete nella sempre riprensibile alleanza del pianto e del riso della commedia lagrimante che distrugge l’unità dell’interesse contro l’oggetto del poeta: se le comiche dipinture non contrastano con situazioni terribili, ma servono a dar moto a’ dilicati interessi famigliari ed a quel patetico che nasce dalle amorose debolezze combattute dagli eventi; voi spogliate la commedia lagrimante de’ suoi difetti, e la cangiate in una lodevole commedia tenera. […] Istruttiva è la commedia del Dissipatore e di sicura riuscita, e i caratteri vi sono assai ben dipinti: ma si vorrebbe che la di lui ruina venisse affrettata per altri mezzi, e sempre per le sue inconsiderate prodigalità, anzi che per un giuoco precipitoso di dubbio evento, che poteva eludere i disegni dell’innamorata divenuta scrocca all’apparenza. […] Oggi sempre più fiorisce quella scuola dell’Abate de l’Epèe, e vi si contano molti che si sono innoltrati nelle matematiche e nelle altre scienze e nelle storie e nell’erudizione e nelle belle arti.
E chi sa che le armi portate da’ curaci in un luogo di pietà, di pace e di allegrezza, sia per pompa sia per cautela, sia per insegnare a’ popoli col l’esempio di vegliar sempre a difesa della religione e della patria, non destassero l’idea di una rappresentazione eroica e marziale?
La regolarità, la convenevolezza del costume, la verità delle passioni dipinte, l’eleganza, il candore e la vaghezza mirabile dell’aureo stile, salveranno sempre dall’obblio questa favola; la languidezza e l’episodio poco tragico dell’atto III ne sono i nei che possono rilevarvisi, e che forse tali non parvero all’autore pieno della lettura degli antichi.
E chi sa che le armi portate da’ Curaci in un luogo di pietà, di pace e di allegrezza, sia per pompa sia per cautela sia per insegnare a’ popoli coll’ esempio di vegliar sempre a difesa della religione e della patria, non destassero l’idea di una rappresentazione eroica e marziale?
Ma se un solo testimonio loda un nazionale, è sempre in certo modo sospetto di condiscendenza. […] Masticate le altrui parole, Signor Apologista, altrimenti, giusta il vostro proverbio, voi tornerete sempre tosato nel voler tosare.
di aver passato di età in età più di venti secoli sempre con ammirazione estrema de’ suoi Posteri? […] Le sue Opere-Tragedie non saranno mai sempre da chi ha senno, e buon gusto collocate accanto a quelle composte nella Caverna di Salamina?
Se voi fate una tela lugubre di persone private che ecciti il terrore, producete la tragedia domestica o cittadina: se a tal favola frammischiate alcuni tratti comici, cadete nella sempre riprensibile alleanza del pianto e del riso della commedia lagrimante che distrugge l’unità dell’interesse contro l’oggetto del poeta: se le comiche dipinture non contrastano con situazioni terribili, ma servono a dar moto a’ dilicati interessi famigliari ed a quel patetico che nasce dalle amorose debolezze combattute dagli eventi, voi spogliate la commedia lagrimante de suoi difetti, e la rendete una lodevole commedia tenera. […] Instruttiva è la commedia del Dissipatore e di sicura riuscita, e i caratteri vi sono dipinti assai bene: ma si vorrebbe che la di lui rovina venisse affrettata per altri mezzi, e sempre per le di lui inconsiderate prodigalità, anzi che per un giuoco precipitoso di dubbio evento, che poteva eludere i disegni dell’innamorata divenuta scrocca all’ apparenza.
Francesco Andreini marito della famosissima Isabella mi fece imparare un Prologo, che da me recitato fu il pronostico che sempre dovevo perseverare in questo esercizio, poichè il prologo fu questo : (V.
La Compagnia Fabbrichesi è reputata la migliore in Italia, e infatti essa ha un pajo di artisti – De Marini e Vestri – che nel loro genere non lascian nulla a desiderare ; ma delle commedie che furon date finora una fu sempre peggio dell’altra….
Il drammatico sagace dee sempre ciò mitigare almeno con un sembra.
La musica dunque fu sempre compagna della poesia.
Il drammatico ciò dee sempre mitigare almeno con un sembra.
A me pure è venuto fatto d’averla alle mani fra le carte musicali, ove sempre rimase. né la musica né la poesia meriterebbono che se ne facesse menzione, se la circostanza d’esser la prima nel suo genere non m’obbligasse a darle qualche luogo in questa storia. […] Sentasi nell’atto secondo il gentil dialogo fra Isabella e il capitano spagnuolo, il quale per antica benivolenza della nazione italiana verso di noi debbe esser sempre posto in ridicolo sul teatro: Cap.
Il movimento della musica aumentando sempre più verso la fine, le danzatrici spiegarono nelle loro attitudini una forza e destrezza maravigliosa, che in certe posizioni parvero indecenti, ma che forse non aveano altro oggetto che di manifestare la loro agilità estrema.
Così ci avvezzammo a detestare indistintamente i teatri, e per fuggirne gli abusi ci privammo ancor de’ vantaggi: a somiglianza di quegl’impazienti matti coltivatori, i quali in vece di potare e recidere i rami lussureggianti, che fanno ombra inutile e perniciosa, danno al tronco e alle radici degli alberi, e privansi per sempre de’ loro frutti.
Bettinelli) oggi senza favor de’ Principi, senza emulazione, senza ricompense, nella decadenza di tutto, e nel languore delle artistesse, hanno elleno sempre in Italia gran voga, e continuano a far l’ammirazione degl’ intelligenti e disappassionati Oltramontani per lo singolar talento, che in esse posseggono i nostri a quel grado che vuole il migliore entusiasmo.
D’allora in poi quella città fu sempre uno de’ principali seggi del dramma, e qui si rappresentava colla pompa più illustre, massimamente nel Carnovale a fine di tirare a se l’oro de’ forestieri.
L’episodio degli errori della misera Io trasformata in giovenca accresce il terrore di questa favola, e benchè vi sia introdotta senza manifesta necessità o immediato vantaggio del l’azione principale, pure dà luogo a sviluppare sempre più il carattere del benefico infelice protagonista.
I talenti possono mai far vergogna alla ragione, sempre che i costumi sieno puri?
I talenti possono mai far vergogna alla ragione, sempre che i costumi sieno puri?
Le Commedie sempre sregolate 411.
Nelle ultime vicende dell’Europa si è sperato con più fondamento, Risuonò, è vero, sulle scene del Teatro Reale di Napoli la voce del musico Velluti che vi cantò sino agli ultimi dì della state dell’anno 1808 ma ne partì in fine, e l’eccellente cantatrice Sessi provò col fatto che le donne istruite e dotate di voci felici esprimeranno sempre con verità ed energia le passioni de’ personaggi principali dell’opera eroica.
Nota alla nota d’autore n. 7: «Il primo di questi è Benedetto Marcello, il quale per l’inimitabile originalità, profondità e completezza stilistica rimarrà sempre il più alto esempio tra tutti i compositori ecclesiastici.