Amlet dà varj avvertimenti a’ commedianti per ben rappresentare; indi uscendo Orazio, di cui egli si fida, gl’ingiunge, che mentre si rappresenta la scena da lui aggiunta, tenga egli l’occhio attento su di suo zio; l’esamini con ogni cura; dice che egli farà lo stesso; uniranno poi le loro osservazioni per giudicare ciò che indicherà il di lui esteriore.
Alfonso d’Este per farle rappresentare se costruire un teatro stabile secondo il disegno dell’istesso poeta, il quale parimente ebbe la cura dell’ottima esecuzione ammaestrando alcuni gentiluomini; anzi più di una volta egli vi sostenne ancora la parte del prologo, come ci dice Gabriele suo fratello in quello della Scolastica: Quando apparve in sonnio Il fratello al fratello in forma e in abito Che s’era dimostrato sul proscenio Nostro più volte a recitar principii E qualche volta a sostenere il carico Della commedia, e farle serbar l’ordine Il prologo della Lena rappresentata in Ferrara al tempo di Leone X, ed anche l’anno dopo del sacco di Roma, si recitò dal principe don Francesco figliuolo del duca. […] Queste commedie non possono notarsi di veruna superstiziosa cura di rendere italiane le maniere latine, e non per tanto mancano di ogni vivacità; la qual cosa pruova (contro l’asserzione dell’Andres) che la lentezza ed il languore provengono da tutt’altra sorgente, che dallo studio di adattare le antiche frasi alle moderne lingue a. […] La Flora di Luigi Alamanni s’impresse in Firenze nel 1556 per cura di Andrea Lori che la fece recitare nella Compagnia di san Bernardino da Cestello con alcuni suoi intermedii a.
Alfonso d’Este per farle rappresentare fe costruire un teatro stabile secondo il disegno dell’istesso poeta, il quale parimente ebbe la cura dell’ ottima esecuzione ammaestrando alcuni gentiluomini; anzi più di una volta egli vi sostenne ancora la parte del prologo, come ci dice Gabriele suo fratello in quello della Scolastica: . . . . . […] Queste commedie non possono notarsi di veruna superstiziosa cura di rendere Italiane le maniere latine, e non pertanto mancano di ogni vivacità; il che pruova contro del Sig. […] La Flora di Luigi Alamanni s’impresse in Firenze nel 1556 per cura di Andrea Lori che la fece recitare nella compagnia di San Bernardino da Cestello con alcuni suoi intermedj124.
Vana cura sarebbe ancora metterne in vista più questa che quella bellezza, men bello di ciò che si sceglie non sembrando quello che si tralascia.
Vana cura sarebbe ancora metterne in vista più questa che quella bellezza, men bello di ciò che si sceglie non sembrando quello che si tralascia.
Si è già detto ch’ egli è un’ aquila, che si solleva sopra le nubi mirando il sole senza prender cura de’ baleni che si accendono e de’ fulmini che strisciano per l’ atmosfera.
S. sopra di questo cento ottave e quaranta sonetti del Cavalier Marino, l’ udrà sicuro, poi ch’ io faccio mia cura acciò che le capitino alle mani.
Nello stile cerca l’autore in ogni incontro con troppo superstiziosa cura la grandezza, la nobiltà, l’ eleganza, e la ritrova alcune volte, ma cadendo spesso nell’affettazione di Seneca, per volere essere sempre grave, sempre ricercato.
Qualhor tentate sotto nome finto spiegar su l’alta et honorata scena forti concetti d’amorosa pena, l’animo han tutti a mirar Lelio accinto ; ma quando poi dalla sant’aura spinto sciolto d’ogni mortal cura terrena notate in carta con feconda vena carco di laude, e gloria ornato, e cinto, prepongon tanto Gian Battista a quello, per cui cinque cittadi a garra foro, quanto è di quell’ il suo miglior soggetto.
Egli si prende l’immensa laboriosa cura di trascrivere le lodi generali date al Cueva dal Montiano.
Lampillas) niuna cura si prese de’ dotti giudiziosi contemporanei, e futuri.
Si è già detto ch’egli è un’ aquila che s’innalza sopra le nubi mirando il sole senza prender cura de’ baleni che si accendono e de’ fulmini che strisciano per l’atmosfera.
Monvel, Imbert, Cailhava ed altri hanno lavorato per la commedia con qualche cura senza farla risorgere.
Non capit regnum duos col rimanente aggiunto da Tieste un tempo scellerato, che nella tragedia comparisce pentito, e corretto dalle sventure, e bramoso della vita privata, riflessioni filosofiche tratte con molta cura da varie epistole di Seneca. […] Or questo debbe con somma cura fuggirsi da’ poeti, perché lo spettatore che ha motivo d’ingannarsi sul di loro disegno, allorché si dispone a un oggetto, e ne vede poi maneggiato un altro, se ne vendica col disprezzo.
Licinio Stolone, nel primo anno della CIV olimpiade e nel 389 della sua fondazione, Roma afflitta da una crudelissima peste, sospesa ogni cura bellica, per liberarsi da sì fiero nemico domestico, contro di cui ogni umano argomento riusciva inefficace, pretese placare lo sdegno celeste con un nuovo rito religioso, e compose alcuni inni. […] Afferma non aver egli altra cura che lo crucii se non quella di riscattare dalle mani di un ruffiano una bella schiava ch’ egli ama.
Amlet dà varii avvertimenti a’ commedianti per ben rappresentare; indi uscendo Orazio di cui si fida, gl’ingiunge che mentre segue la rappresentazione di quanto egli ha aggiunto alla tragedia scelta, tenga l’occhio attento sopra del re e l’esamini con tutta la cura, e dice che farà egli lo stesso, e si communicheranno poi le osservazioni che ciascuno avrà fatte, per giudicare su ciò che indicherà il di lui esteriore.
S. di farglo intendere che abia cura de miei interessi mi farà una gran gratia V.
Licinio Stolone, nel primo anno della CIV olimpiade e nel 389 della sua fondazione, Roma afflitta da crudelissima peste, sospesa ogni cura bellica, per liberarsi da sì fiero nemico domestico, contro di cui ogni umano argomento riusciva inefficace, pretese placare lo sdegno celeste con un nuovo rito religioso e compose alcuni inni. […] Afferma non aver egli altra cura che lo crucia, se non quella di riscattare dalle mani di un Ruffiano una bella schiava che egli ama.
E per rappresentarsene al vivo i pregi inimitabili occuparonsi in prima gl’ Italiani con somma cura a calcar le stesse orme de’ Greci traducendone ed imitandone le favole; indi, assuefatti all’antico magistero, ad immaginarne altre nuove su que’ modelli. […] Rimettiamo i leggitori alle drammaturgie, all’opera del Quadrio ed a qualche altro che si ha presa la cura di spolverarli nelle biblioteche ove si tarlano, molti drammi sacri parte impressi e parte inediti del medesimo periodo.
[8] Allora si coltivò l’espressione anima e spirito dell’arte, la quale è alla musica ciò che l’eloquenza al discorso: s’imparò a subordinare l’una all’altre tutte le diverse e moltiplici parti che la compongono, e a dirigere il tutto verso il gran fine di dipingere e di commuovere; si studiò con maggior cura l’analogia, che dee sempre passare tra il senso delle parole e i suoni musicali, tra il ritmo poetico e la misura, tra gli affetti che esprimono i personaggi, e quelli che rende il compositore; si sminuirono considerabilmente le fughe, le contrafughe, i canoni, e gli altri lavori simili, i quali sebben provino, allorché sono eseguiti esattamente, la ricchezza della nostra armonia e l’abilità del maestro, nondimeno sogliono per lo più nuocere alla semplicità ed energia del sentimento.
Essi credettero, che il comporre pel Teatro fosse lo stesso, che scrivere per le Chiese, per le Accademie, per le Camere private, e tutta la cura posero a soddisfare i più celebri Cantori, i Bernacchi, i Nicolini, i Farinelli, i Cafarelli, gli Egizielli, i Manzoli, i quali attendevano ad accreditarsi per Musici squisiti colle più fine difficoltose arditezze felicemente superate colla loro voce.
Egli é solo da osservarsi nella tragedia del XVI secolo, che i soprallodati peregrini ingegni italiani, benché nel farla risorgere seguissero, e forse con cura anche soverchio superstiziosa e servile, l’orme de’ greci, non pertanto la spogliarono della musica che tra questi l’avea costantemente accompagnata; dappoiché essi altro allora non si prefissero se non di rimettere sui nostri teatri la forma del dramma de’ greci, non già il loro spettacolo con tutte le circostanze accidentali.
Ma gli si attraversò un altro ingegno, il noto signor abate Chiari, il quale, non volendo fecondare il sistema del Goldoni riguardo allo smascherare i commedianti, impedì forse la cura radicale degli abusi.
Il leggitore avrà cura di confrontarle, giacchè a me sinora non è dato di poterla leggere.
Questo insidiatore strappa dalla bocca di Leovigildo la sentenza della morte del figliuolo, se non rinunzj al culto cattolico; e colla di lui astuzia contrasta la nobile franchezza di Recaredo, che al fine gli dice: Udito ho sempre Ch’uomo al cui senno sacri riti ed alme Commesse furo, se con voglia ingorda Alle profane cose intende, e lascia All’altrui cura il gregge, e sol da quello Toglie da lungi il ricco frutto, è indegno Del sacro grado, e ’l profan male adempie. […] Ma si è desiderato in entrambe maggior verisimiglianza nelle circostanze, maggior cura in certe espressioni, più attività nel capo de’ ribelli nella tragedia de’ Coloni, meglio accreditata ne’ Baccanali la guisa onde il vecchio Ebuzio trafitto da cento colpi pensò a tramandare, fidandosi di una baccante, la notizia del proprio eccidio a un figlio allora fanciullo, scrivendo su di un cuojo col proprio sangue.
Dal che nascono due inconvenienti: il primo che essendo il linguaggio della musica troppo vago e generico, e dovendo conseguentemente per individuare l’oggetto che vuol esprimere, far lunghe giravolte, e scorrere per moltiplicità di note; l’azione diverrebbe d’una lunghezza insoffribile se il poeta non si prendesse la cura di troncare le circostanze più minute.
Carlo poi viene a riprendere la figlia, e le mostra i due cadaveri che ha fatto trasportare nelle regie stanze con istrana cura e contro la storia, e Geldippe toglie a un soldato il pugnale, e si uccide. […] Perchè Sofia che non osservata è venuta ed ha in quel punto parlato alla regina, non esce dalla reggia, lasciando a Rodolfo la sola cura di salvar la madre che è piena di coraggio virile? […] Era egli andato nella scena quinta ad animar le sue squadre, degna cura d’un generale; or come di sera in quel luogo co’ suoi domestici?
Perchè Sofia che non osservata è venuta ed hà in quel punto parlato alla regina, non esce dalla reggia e lascia a Rodolfo la sola cura di salvar la madre che è piena di coraggio virile ? […] Abbiansi i Guastatutto come poveri l’ uso della rete ; i Pigliapoco la cura di rattopparla e custodirla ; Pigliatutto che l’ ha inventata, ne sarà l’arbitro. […] Ciò si osservava nel’ Sistema Melodrammatico che ho avuto cura di rescrivere e che spero di produrre.
Ve ne ha di più sorta nella maniera d’eseguire i recitativi, intorno alla natura dei quali essendosi parlato in più luoghi di quest’opera, e dovendosi parlare in altri capitoli, non mi tratterrò per ora se non quanto basta per far vedere la poca cura che hanno i maestri di seguitar in essi la natura e il significato delle parole.
Olvia viene (dice il poeta) con algun disfraz che si lascia immaginare al discreto lettore, o alla cura del capo di compagnia.
Rimettiamo i leggitori alla Drammaturgia, all’opera del Quadrio, ed a qualche altro che si ha presa la cura di spolverarli nelle biblioteche, ove si tarlano, molti drammi sacri parte impressi e parte inediti del medesimo periodo.
Questo insidiatore strappa dalla bocca di Leovigildo la sentenza di morte del figliuolo, se non rinunzii al culto cattolico ; e colla di lui astuzia contrasta la nobile franchezza di Recaredo che al fine gli dice : Udito ho sempre Ch’uomo al cui senno sacri riti ed alme Commesse furo, se con voglia ingorda Alle profane cose intende, e lascia All’altrui cura il gregge, e sol da quello Toglie da lungi il ricco frutto, è indegno Del sacro grado, e’l profan male adempie. […] Si è però desiderato in entrambe maggior verisimiglianza nelle circostanze, maggior cura in certe espressioni, più attività nel capo de’ ribelli ne’Coloni, più accreditata ne’Baccanali la guisa onde il vecchio Ebuzio trafitto da cento colpi pensa a tramandare per una baccante la notizia del proprio eccidio ad un figlio allora fanciullo scrivendola su di un cuojo col proprio sangue.