Breve istrutione in generale a chi recita Comedie.
Il faut faire la guerre all’Imposteure, Monsieur; c’est une maxime generale, et que sied fort bien aux esprits qui aiment la verità depouillià de prejudices; et Vous qui etez Algebratique devez estre de la partie40. […] [4.64ED] E se mai tu mi negassi da accorto loico l’antecedente, ti convincerò con l’esempio sopraccennato, a cui non so quale cosa vorrai tu replicare in contrario. [4.65ED] Fondiamo ora su la stessa proposizion generale un altro argomento e diciamo: quello è verso che ha una sostanziale armonia inseparabile dal medesimo. […] [4.166ED] La proposizion generale non può essere più verisimile, né con periodo più sonoro e ritondo potrebbe esser espressa dal mio Demostene oppur dal tuo Cicerone. […] [4.179ED] Voltiamo ora scena e raziociniamo a pro dell’intenzion del tuo autore sovra la stessa sua proposizion generale. […] bizzarro: dal punto di vista metrico, essendo composto quasi esclusivamente di endecasillabi sdruccioli; strutturale, in quanto appunto generale e non introduttivo a una tragedia specifica; nonché, sembra di capire, anche argomentativo.
Sebbene pochi sieno gli Eruditi Spagnuoli che non abbiano poco o molto favellato del proprio teatro, tuttavolta se ne desiderava ancora una storia seguita prima ch’io l’abbozzassi nella generale de’ Teatri pubblicata nel 1777, ed i buoni nazionali urbanamente me ne seppero gradoa. […] Del resto simil difetto è generale in questo romanzo in dialogo.
Questa prevenzione fattale in generale è minor cosa ancora delle minacce e de’ rimproveri uditi dalla bocca stessa del padre. […] Rimproveri scambievoli, soverchieria degli Spagnuoli, arrivo de’ Mori alla chiamata di Adallano, il quale poco esperto generale si fa circondare. […] E quando pur tal voce potesse indicare l’arricciarsi de’ capegli, il sollevarsi de’ capegli per l’orrore, sempre sarà miglior vocabolo l’ arricciarsi in poesia, perchè particolareggia, là dove l’avvolgere azione inderminata rende l’idea troppo generale. […] Nel settentrione continuano i drammi regolari, e si rifiuta in generale la buffoneria grossolana che una volta viregnava. […] Senza dubbio i drammi Cinesi Spagnuoli e Inglesi contengono parlando in generale un’arte men delicata, ma pel gusto di que’ popoli hanno un merito locale.
Ma bisogna che un interesse personale determini il primo osservatore a fissarvi lo sguardo: che la sua osservazione per un interesse più generale si comunichi a’ circostanti: e che vada così di mano in mano continuando a prender forma, finchè pervenga a costituire un’ epoca notabile. […] Leviamo un pò più su il guardo ed osserviamo che Prometeo è un personaggio totalmente buono e benefattore dell’umanità, e che il buono effetto che se in teatro, c’ insegna, che sebbene Aristotile ci diede una bellissima pratica osservazione nel prescrivere che il protagonista debba essere di una bontà mediocre mista a debolezze ed errori, non debba però tenersi per legge generale inviolabile, altrimenti ne mormorerà il buon senno che ci porta ad ammirare giustamente il bellissimo carattere di Prometeo, quello di Ajace in Sofocle, ed altri ancora di ottime tragedie moderne (Nota V). […] Osserva in generale che la tragedia Francese è più complicata, più involta in vicende, in intrecci, in episodj, che la Greca.
Basti ormai accennare in generale che ne formano la prestanza ed il carattere una versificazione felice, armonica, maestosa: lo stile robusto, animato, sublime e poetico quanto comporta il genere: molte invidiabili bellezze di esecuzione: le passioni espresse col terribile pennello di Crebillon e di Shakespear ne’ loro migliori momenti. […] In oltre egli comanda le truppe di Rosmunda contro Almachilde, si pugna, e mentre ferve ancor la battaglia, il buon generale abbandona il campo e torna insulsamente nella reggia &c. […] Simili desiderj antiveduti mi spinsero, qualunque io mi sia, a formar de’ teatri una storia generale ma ragionata, che desse a un argomento sì trito l’utile novità degli esami sentiti e non fatti sull’altrui fede e come diceva Elvezio sur parole, copiando p.e. e trascrivendo alla cieca qualche articolo dell’Enciclopedia secondo la moda de’ nostri conosciuti plagiarj di mestiere.
E se il Malara fu uno Scrittore, che probabilmente si accomodò al gusto generale introdotto nella Penisola, pare al Signor Apologista, che, dove di molti Greci, Latini, Italiani, Spagnuoli, Francesi, de’ quali abbiam pure più fide memorie, ed anche opere, io tralasciai di far menzione, per non potersene, a mio avviso, trarre molto vantaggio per la gioventù, dovessi poi consumare il tempo sulle favole del Malara che non esistono, nè si sa che cosa fossero?
Vedasi l’introduzione al V libro delle Storie Fiorentine di Niccolò Machiavelli, il quale par che si appressi a ciò che quì si accenna, benchè egli nol renda abbastanza generale.
In generale Des Touches è uno de’ buoni comici della Francia, e qualche sua favola riesce dilettevole, e molte interessanti; ma la piacevolezza non è il pregio caratteristico di questo commediografo.
La declamazione generale di Megara nell’atto II fa desiderar il patetico che si ammira in Euripide, quando tutta la famiglia di Ercole spogliata del regno rifugge all’ara di Giove per evitar la morte. […] Comincia la prima scena con una declamazione o elegia generale di Ottavia, la quale esce e si ritira senza perché.
«Il nostro gusto e i nostri costumi (osserva l’autore delle Lettere sulla Letteratura moderna pubblicate dal 1759 fino al 1763) si rassomigliano più al gusto e ai costumi degl’inglesi che de’ francesi: nelle nostre tragedie amiamo di vedere e pensare più che non si pensa e non si vede nella timida tragedia francese: il grande, il terribile, il malinconico fanno sopra di noi maggiore impressione che non il tenero e l’appassionato; e in generale noi diamo la preferenza alle cose difficili e complicate sopra quelle che si veggono con un solo colpo d’occhio».
Vedasi l’introduzione al libro V delle Storie Fiorentine di Niccolò Macchiavelli, il quale par che si appressi a ciò che quì si accenna, benchè egli nol renda abbastanza generale.
L’intreccio delle sue favole (parla il medesimo Johnson) in generale è debolmente tessuto, e condotto senza arte.
Essa non pertanto allora si fece, e si rappresentò in Firenze contal plauso generale, che giusta il racconto di Paolo Giovioa, «i medesimi cittadini proverbiati, e punti altissimamente nella favola di Nicia soffrirono con pazienza l’ingiuria, e la marca che gli segnava, in grazia della mirabile urbana piacevolezza; e Leone X che da cardinale l’avea veduta nella patria, volle goderla anche in Roma essendo papa, e v’invitò gli attori stessi, e vi fe trasportar anche l’intero apparato comico, col quale erasi in Firenze rappresentata». […] Nel quinto intermedio Roma stessa comparisce scapigliata iucatenata innanzi ad un carro trionfale occupato da Alarico, Genserico, Ricimero, Totila, Narsete, e dal duca Borbone generale di Carlo V, i quali cantano una canzonetta che dice, Quella che il Mondo vinse abbiamo vinta, alla quale succede il lamento di Roma, in due ottave che conchiudono Già vinsi il Mondo, or servo a gente vile, Come fortuna va cangiando stile.
Essa non per tanto allora si fece e si rappresentò in Firenze con tal plauso generale, che giusta il racconto di Paolo Giovio120 “i medesimi cittadini proverbiati e punti altissimamente nella favola di Nicia soffrirono con pazienza l’ ingiuria e la marca che gli segnava, in grazia della mirabile urbana piacevolezza; e Leone X che da cardinale l’avea veduta nella patria, volle goderla anche in Roma essendo papa, e v’invitò gli attori stessi, e vi fe trasportar anche l’intero apparato comico, col quale erasi in Firenze rappresentata”. […] Nel quinto intermedio Roma stessa comparisce scapigliata, incatenata innanzi a un carro trionfale occupato da Alarico, Genserico, Ricimero, Totila, Narsete e dal duca Borbone generale di Carlo V, i quali cantano una canzonetta, che dice Quella che il mondo vinse, abbiamo vinto, alla quale succede il lamento di Roma in due ottave, che conchiudono, Già vinsi il mondo, or servo a gente vile, Come fortuna va cangiando stile.
Il gran nome, che questi famosi Cigni acquistarono per l’Europa, l’applauso generale che riscuotevano, arrestò verisimilmente il gran Poeta Cesareo dal tentare maggiori novità; e l’Opera non raccolse l’intero frutto di vedersi per la di lui mano condotta alla Greca verità.
Ma ne’ componimenti di quest’autore vedesi uno studio assettato (ch’é pur generale in Francia) di mostrarsi spiritoso, che fa sovvenire spesso del poeta, e perder di vista i personaggi236.
In prima è questa una risposta particolare ad una censura generale fatta agli amori subalterni, non di Marzia e Giuba soltanto, ma di sei personaggi.
In generale Des Touches è uno de’ buoni comici della Francia, e qualche sua favola riesce dilettevole, e molte interessanti; ma la piacevolezza non è il pregio caratteristico di questo commediografo pregevole.
In prima è da avvertirsi esser questa una risposta particolare ad una censura generale fatta per gli amori subalterni, non di Marzia e Giuba soltanto, ma di sei personaggi.
Egli osserva in generale che la tragedia francese è più complicata, più involta in vicende, in intrecci, in episodii, che la greca.
Dulcidio è il più savio sacerdote del mondo; egli ha persuasa Olvia, ha spedito un soldato a Giugurta senza saputa del generale, si è trattenuto sull’affare per cinque pagine, ed al fine si ricorda di domandare ad Olvia, se Megara sappia nulla del trattato.
Dulcidio è il più savio sacerdote del mondo; egli ha persuasa Olvia, ha spedito un soldato a Giugurta senza prevenirne il generale, si è sull’affare trattenuto per cinque pagine, ed al fine si ricorda di domandare ad Olvia, se Megara sappia nulla del trattato.
Perché una general corruttela avea tarpate le ali dell’entusiasmo, come quelle della virtù; perché la poesia fu riguardata soltanto come ministra di divertimento e di piacere, non mai come strumento di morale o di legislazione; perché essendo disgiunta dalla musica aver non poteva un vigore che non fosse effimero, né una energia che non fosse fattizia; perché trar non si seppe alla unione di quelle due arti il vantaggio che sarebbe stato facile il ricavare in favore della religione, mal potendosi eccitar l’entusiasmo religioso nelle cerimonie ecclesiastiche colla musica semibarbara, che allora regnava, applicata ad una lingua, cui il popolo non intendeva, onde mancò la poesia innale, e con essa uno dei fonti più copiosi del sublime poetico; perché i governi non pensarono a dar all’impiego di poeta e di musico l’importanza che gli davano i Greci, giacché invece degli Stesicori e dei Terpandri, che in altri tempi erano i legislatori e i generali delle nazioni, si sostituirono ne’ secoli barbari i monaci e i frati che convocavano a grado loro il popolo, intimavano la guerra e la pace, si mettevano alla testa delle armate, ed erano non poche fiate l’anima de’ pubblici affari; perché finalmente, non potendo la lirica eroica giugnere alla perfezione, di cui è suscettibile, se non quando vien considerata come un oggetto d’interesse, e di generai entusiasmo, i poeti italiani d’allora non potevano eccitar né l’uno né l’altro per l’indole della loro lingua troppo fiacca per inalzarsi alla sublimità de’ Greci e degli orientali, e per le circostanze altresì della loro nazione troppo divisa perché lo spirito di patriotismo vi si potesse vivamente accendere, e troppo agitata da intestine discordie, e dalla inquieta politica di certe corti, perché vi si potesse sviluppare quell’interesse generale, che fu mai sempre il motore delle grandi azioni.
Ma in generale lo stile è puro, sobrio, e più di una fiata grave e vigoroso, e sparso di utili massime or sulla legislazione or sul governo or sulla religione.
Non se ne ricava altro vantaggio se non il generale che sempre diletta, di porre alla vista senza errori un fatto istorico.
In una nazione dove non si è convenuto finora quale sia la vera lingua degli scrittori; dove la sanese contrasta il primato alla fiorentina e la romana vorrebbe sottrarsi dal giogo di entrambe; dove la lombardia vanta anch’essa scrittori di sommo grido proposti come modelli nel frasario generale della nazione; dove la diversità dei popoli, dei governi e delle leggi, l’affluenza di persone e di libri stranieri, i gusti ognor rinascenti e ognora cangiantisi rendono vario tuttora e indeterminato il gusto comune di parlare e di scrivere; dove una porzione di letterati adoratori della veneranda ruggine del Trecento e della battologia per lo più insipida del Cinquecento è sempre alle busse coll’altra porzione di colte persone, le quali amando la moderna foggia di esprimersi più disinvolta e meno impacciata, più spedita e men boccacevole, ne deridono l’antica superstizione e s’appigliano al detto d’Orazio, che la fuga delle lingue è come quella delle stagioni, le quali veggono sfrondarsi nell’autunno quegli alberi, che aveano osservato vestirsi di foglia nella primavera, in questa nazione, io dico, non può così di leggieri condannarsi un autore per ciò solo che non abbia scritto secondo la Crusca.
Altro vantaggio non se ne ricava se non che il generale che sempre diletta, di porre alla vista per quanto si può senza errori un fatto istorico.