Le sei commedie che ne abbiamo leggonsi da’ fanciulli (o da quei che sono tali a dispetto degli anni) con una specie d’ indifferenza propria di quell’età: dagli uomini maturi con istupore e diletto: e con entusiasmo da’ vecchi instruiti. […] Terenzio nel prologo si discolpa, negando di aver mai saputo che Nevio e Plauto l’avessero posta in iscena; ma confessa ancora colla ingenuità che accompagna sempre gli uomini che non iscarseggiano di merito, che dal Colace di Menandro egli ha tratto i personaggi del parassito e del soldato. […] Nel II esce Fedria con Parmenone, e, come a tutti gli uomini avviene e spezialmente agl’ innamorati, in procinto di andar via ripete al servo che eseguisca i suoi ordini intorno al menare l’ancella e l’eunuco a Taide.
Questa purgazione, benché in varie guise s’esponga da molti interpreti ch’han cicalato sopra Aristotele, oramai dagli uomini dotti più non si dubita che non si possa estendere al regolamento d’ogni passione, perciocché per mezzo delle due predette commozioni si può correggere ogni difetto che soggiace a perniciose conseguenze. […] Io non saprei almeno ben difenderne alcune, in cui s’attribuiscono a persone ideali quegli avvenimenti straordinari per cui si son resi celebri fino a’ nostri giorni gli uomini più sepolti nelle tenebre dell’antichità. […] Una ragione che a ciò lo muove si è che se dalle tragedie degli antichi e de’ moderni si levassero i cattivi e quelli che sono contaminati d’alcuna macchia offensiva della virtù si ridurrebbon quasi al nulla: in prova di ché s’adduce che Orazio descrivendo i costumi degli uomini non attribuisce loro più perfezioni che difetti. […] A Racine, secondo il mio parere, conviene il vanto di fare gli uomini come debbono essere; Cornelio all’incontro per far gli uomini come esser debbono li fa sovente quali esser non ponno, sul qual metodo s’è lavorata la maggior parte delle francesi tragedie. […] L’unica opposizione di monsieur de la Motte, che sembra abbattere questa dottrina generale per tutte le lingue, è l’imputazione dell’inverisimile, dicendo egli che ove s’introducono a parlare uomini, essi debbon parlare come uomini, e che sconviene alla natura loro il soggettare i più gravi discorsi a certo numero di sillabe ed a regolati riposi.
Ma poi la tragedia greca trionfa per la vivacità dell’azione e pel vero colorito degli affetti, là dove la latina al paragone par dilombata e senza anima, e le passioni vi si veggono maneggiate più ad ostentare erudizione in una scuola di declamazione rettorica che a ritrarre al vivo il cuore umano e presentarne agli uomini la dipintura in un teatro. […] Io fuggo Dagli uomini, da numi, Da voi tutti e da me.
Orazio legge; è una lettera di Amlet che dice: “Orazio, come avrai letta questa lettera, dirigerai gli uomini che te la recano, al re, pel quale ho dato loro un altro plico.
Oh quanto conferisce una Buona Causa a somministrare agli uomini discorsi eloquenti!
Quindi è che dedicaronsi quasi generalmente gli uomini di lettere ad apprendere profondamente le due più famose lingue de’ dotti, ed anche a disotterrar nelle lontane regioni i Codici Greci e Latini, ed a moltiplicarne le copie, a correggerli, a confrontarli, ed interpretarli.
Quindi è che dedicaronsi quasi generalmente gli uomini di lettere ad apprendere profondamente le due più famose lingue de’ dotti, ed anche a disotterrar nelle lontane regioni i codici Greci e Latini, ed a moltiplicarne le copie, a correggerli, a confrontarli, ad interpetrarli.
Le donne di ogni ceto separate dagli uomini coperte dalle loro mantillas seggono unite in un gran palco dirimpetto alla scena, chiamato cazuela che congiunge i due archi della grada.
Per quanto inventato il fondo dell’opera, benchè di una realità non improbabile, le lettere poggiano pressochè tutte su fatti accaduti, e hanno giudizi e notizie su uomini e cose di non poco interesse.
Le sei commedie che ne abbiamo leggonsi da fanciulli (o da quei che sono tali a dispetto degli anni) con una specie d’indifferenza propria di quell’età: dagli uomini maturi con istupore e diletto: e con entusiasmo da’ vecchi istruiti che conservano le tracce del gusto. […] Terenzio nel prologo si discolpa, negando di aver mai saputo che Nevio e Plauto l’avessero posta in iscena; ma confessa ancora colla ingenuità che accompagna sempre gli uomini che non iscarseggiano di merito, che dal Colace di Menandro egli ha tratto i personaggi del parassito e del soldato. […] Nel II esce Fedria con Parmenone, e come a tutti gli uomini avviene, e specialmente agl’innamorati, in procinto di andar via ripete al servo che eseguisca i suoi ordini intorno al menare l’ancella, e l’eunuco a Taide.
Ma possono sentire le umane passioni, e ragionarne colla penetrazione naturale, non come filosofi, ma come uomini che le stanno soffrendo, ed esprimono al vivo ciò che sentono.
Ma possono sentire le umane passioni, e ragionarne colla penetrazione naturale, non come filosofi, ma come uomini che le stanno soffrendo.
Ne’ quattro tomi da me veduti del suo Teatro ha publicate quattro commedie in prosa, l’Impressario di due atti dipintura molto comica e naturale in ciascun personaggio introdotto: i Pregiudizj dell’amor proprio in tre atti, i cui caratteri sono più studiati di quelli che presenta la natura: la Scommessa, ossia la Giardiniera di spirito parimente in tre atti, la quale supplisce colla scaltrezza all’effetto che fanno Pamela e Nanina coll’ amore, e con poco fa perdere la scommessa alla Baronessa tirando il Contino di lui nipote a sposarla: i Pazzarelli ossia il Cervello per amore in due atti con ipotesi alquanto sforzate e con disviluppo non troppo naturale, che però è una piacevole dipintura di que’ vaneggiamenti che se non conducono gli uomini a’ mattarelli, ve gli appressano almeno.
Dalle solite vicende de’ serragli de’ Turchi ricavò la sua Zulfa, in cui si vede Seremeth il migliore de’ mariti, ed il più generoso degli uomini tradito ed offeso dagli amori della sua moglie Zulfa con Errico, per li quali si serba l’interesse della favola. […] Ma Oramzeb che poteva mai ottenere col manifestarsi il più furbo degli uomini ad un suo spregevole schiavo ? […] Unico mezzo di far da’ volgari soffrire in teatro simili atrocità de’ fatti antichi, sarebbe per ipotesi la forza irresistibile del fato, onde gli uomini cadono in eccessi per non potere con umane forze evitarle. […] Mille parodiette del di lui stile potranno scarabbocchiarsi come quella del Socrate ; ma quanti fra diecimila uomini di lettere per ogni popolazione si approssimeranno alle doti inarrivabili dell’ Alfieri ! […] Non credo che altri siesi avvisato di tenergli dietro, ad eccezion del signor Foscolo che occupa oggi un posto non comune fra gli uomini di lettere, scrittore tralle altre cose delle Lettere di Ortiz.
Non può, non lice, e la sua furia cresce; Serpe il dolce velen nel petto acceso; Fugge gli uomini, il dì fugge ed abborre; Erra solingo e seco sol favella. […] Tiraboschi coll’ usata sua moderazione e saviezza osservava, che la sincerità suol esser più frequente e maggiore negli uomini veramente dotti.
Stravaganti mutazioni di scena, macchine, voli non solo d’uomini ma di cavalli vivi han fatto vedere ciò che forse non avrebbe potuto operare la stessa Magia.
L’opinione degli uomini lascia sospeso il giudizio sull’innocenza o reità di quell’Ordine militare e religioso istituito l’anno 1118; giacchè da una parte vennero que’ prodi cavalieri dopo due secoli di glorie condannati in Parigi da Filippo il bello ed in Roma da Clemente V, ed in Vienna dal Concilio generale del 1312, e dall’altra parte reputati innocenti e sterminati solo per la rapacità del nomato re di Francia che aspirava alle loro immense ricchezze, dai Concilii di Ravenna, di Salamanca, e di Magonza del 1310, e di Tarragona del 1312, come ancora da S. […] V’ introduce i più grandi uomini de’ Romani del tempo di Cesare segnalandoli co’ distintivi del lor carettere tramandatoci dalla storia. […] Queste continue mode, queste eterne novità obbligano gli uomini alla fine a vendere i loro effetti per contentar le loro belle” ec. […] Non è nè tragedia, nè commedia, e porta il nuovo titolo di fisedia, cioè canto della natura ristretta agli uomini. […] Sarà ciò dipigner gli uomini quali sono ineguali, incoerenti ne’ principj, e che ravvisano una stessa cosa in aspetti differenti secondo chè gli aggira L’odio, l’amor, la cupidigia e l’ira; ma non quali, per salvarne il decoro e l’uguaglianza, si prescrive che fingansi in teatro.
Epigene, Tespi, e Frinico, furono tre uomini di talento, ognuno de’ quali sorpassò il predecessore, e diede un nuovo lustro alla tragedia. […] Esse furono avidamente accolte sempre nel Teatro di Atene e ammirate successivamente dalla più dotta posterità; ma nel certame olimpico cinque solo riportarono la corona, e nelle altre soggiacque alla solita (ventura de’ grandi uomini di esser posposti a competitori ignoranti.
Scarlati, Vinci, Porpora, Leo, Corelli, Veracini, Tartini, Bucarini, il nobile Marcello, l’eccellente storico della musica e maestro Martini, il Buranelli introduttore del gusto della musica italiana in Alemagna, il Mancini, il Sarro, il Durante gran maestro di gran maestri, l’ impareggiabile Pergolese, il maestoso ed infelice Gaetano Latilla, il profondo armonico Logroscino, il grande Jommelli, il gajo, vivace, dilicato Piccini, che ha prodotto in Parigi la felice rivoluzione predetta sin dal 1777 dal Signorelli (ne frema pure il Lampillas) il dotto Cafora, l’armonioso Majo, il felice Traetta, il pieno e grande Sacchini, il dolce Anfossi, l’espressivo e dotto Giuseppe Sarti, il graziosissimo Paiselli, e tanti e tanti altri per la maggior parte figli di Partenope, faranno confessare a’ posteri imparziali (secondochè affermò l’Inglese autore del Parallelo della condizione e delle facoltà degli uomini) che la perfezzione di sì bell’ arte è confinata nella parte più occidentale dell’Europa.
Gli uomini sanno fare le commedie, e Dio le Commedie e Tragedie.
Con ugual nitore e leggiadria si descrive la trasformazione di quest’oro in un vaghissimo giovanetto che si palesa pel gran padre degli uomini e degli dei. […] Colla stessa signoril maniera è cangiato in latino il Prometeo al Caucaso di Eschilo, benchè con più libera imitazione, specialmente nel descriver che fa la situazione di Tifeo atterrato dal fulmine di Giove e sepolto sotto l’Etna, nella narrazione fatta da Prometeo de’ beneficj da lui procurati agli uomini, e nelle veramente tragiche querele d’Io.
E come potevano un Muratori, un Maffei, un Crescimbeni, un Martelli, un Gravina, uomini forniti della più riposta erudizione antica, dichiararsi contro il canto teatrale, sapendo che Atene e Roma, le maestre dell’Universo colto, l’aveano usato costantemente, producendo con esso su’ cuori quegli effetti, che non ci fanno sperare i moderni?
Dalle solite vicende de’ serragli de’ Turchi ricavò la sua Zulfa, in cui si vede Seremeth il migliore de’ mariti ed il più generoso degli uomini tradito ed offeso dagli amori della sua moglie Zulfa con Errico, per li quali si serba l’interesse della favola. […] Ma Oramzeb che poteva mai ottenere col manifestarsi il più furbo degli uomini ad un suo spregevole schiavo?
In fatti quella città marittima della Tracia era popolata di gente stupida e grossolana per testimonianza di Cicerone, Giovenale e Marziale, sebbene di tempo in tempo non avesse mancato di produrre diversi uomini illustri, quali senza dubbio furono Protagora, Democrito, Anassagora, Ecateo storico, Niceneto poeta ed altri mentovati da Stefano Bizantino alla voce Άβδηρα e da Pietro Bayle nel Dizionario Critico.
Noi intanto lasciando ad uomini siffatti i versi Punici di Plauto per confrontarli colle sillabe di tutti i linguaggi a noi e ad essi medesimi sconosciuti, e adorando senza seguirle le orme di cotali oracoli, con maggior senno e vantaggio osserveremo che nella seconda scena del medesimo quinto atto il servo Milfione che appena sa qualche parola Punica, va a parlare al Cartaginese, ma appunto per lo poco che sa del di lui idioma ne interpreta le risposte alla maniera degli etimologisti imperiti e di Arlecchino; per la qual cosa Annone gli parla nella lingua del paese, e viene a sapere che vive in Agorastocle il perduto suo nipote.
Noi intanto lasciando ad uomini siffatti i versi punici di Plauto per confrontarli colle sillabe di tutti i linguaggi a noi e ad essi medesimi sconosciuti, e adorando senza seguirle le orme di cotali venditori di fole, con maggior senno è vantaggio osserveremo che nella seconda scena del medesimo V atto il servo Milfione che appena sa qualche parola punica, va a parlare al Cartaginese, ma appunto per 10 poco che sa del di lui idioma, ne interpreta le risposte alla maniera degli etimologisti imperiti e di Arlecchino; per la qual cosa Annone gli parla nella lingua del paese, e viene a sapere che vive in Agorastocle il perduto suo nipote.
Se apprenderanno a ben ragionare, a sapere i doveri di ogni classe di uomini, a scemare i loro bisogni e per conseguenza i loro delitti, in vece di aumentarli, e si faranno istruire da’ veri filosofi, da’ Leibnitz, da’ Volfii, da’ Locki, da’ Montesquieu, da’ Genovesi, applicandone le dottrine al maneggio degli affari, ed imitando i regnanti benefici e scienziati, essi riscuoteranno gli applausi universali e l’approvazione di se stessi.