Ma non potevo arrestarmi alla rievocazione del tipo immaginario ; mi bisognava assolutamente conoscere il professore, che, almeno da quel cartellone, m’aveva tutta l’aria di essere un natural discendente del gran Re. […] Non iscrivo ciò davvero per riabilitare Anzampamber ; ma è certo che mi pare strano che a lungo o di sfuggita, per quante ricerche io abbia fatte, non si trovi nulla su pe’giornali riguardante il tipo con tanta garbata comicità descritto dal Costetti. […] Io devo nove scudi a un certo Ravioli, perchè mi fece credito sei sacchi di fagioli, e più diciotto scudi a un certo Rangortoni per salame, presciutto, salacche e peperoni.
, 738) : « A’tempi nostri s’è visto un Fabio comico, il qual si trasmutava di rubicondo in pallido, e di pallido in rubicondo, come a lui pareva ; e del suo modo, della sua grazia, del suo gentil discorrere, dava ammirazione e stupore a tutta la sua audienza. » Forse a questo stesso Fabio accenna il De Sommi, là dove dice nel terzo dialogo sui recitanti : « Io mi ricordo averne veduti di quelli, che ad una mala nuova si sono impalliditi nel viso, come se qualche gran sinistro veramente gli fosse accaduto. » ?
Quando dopo molte, forse troppe prove, mi convinsi che la povertà dell’ingegno e la coltura insufficiente non mi consentivano di uscir dalla mediocrità, deposi la penna, pensando che con opere mediocri non val la pena d’ingrossare il ciarpame artistico-letterario d’Italia.
Perchè questo componimento ebbe assai felice riuscita sulle scene, e fu comendato da varj letterati, e si vide impresso nella collezione tragica del Maffei, mi venne amichevolmente rimproverato l’averlo omesso nell’edizione di questa istoria in un volume. […] E poi che il padre mio non mi marita, Maritar me per me mi son disposta. […] Ei parla meco ognora, E ride, e scherza, e non mi guarda in viso? […] Le pugna a mano a man, se tu non taci, Mi serviran per lingua e per favella. […] Tale è il discorso del finto Atlante nell’atto III, Dunque con forte destra, tale la confusione di Ruggiero, In qual antro mi celo; ma non è tale una spezie di molle elegia recitata da Alcina coll’ intercalare, Se Ruggiero è partito, Alcina è morta 64.
Di tutte l’illazioni surriferite, quella che più mi rincresce è l’ultima. […] Io non mi sono deciso né per l’una, né per l’altra opinione. […] [72] Quest’ultima riflessione mi giunge nuova. […] Ma esaminiamo ora quelle che mi vengono imputate, e incominciamo dalla prima. […] Mi vorrebbe inoltre costringere a venir alle prese con un letterato di tanto polso, qual è il Signore D.
Olà (grida in aria) non mi aprite? […] Mi guidò Teseo ecc. […] questo mi avviene per voi. […] … Che Giove non mi vegga! […] E chi mi chiama?
Un Letterato Spagnuolo mio amico anni sono mi diceva in Madrid, che Metastasio avea imitato alcuna cosa di Calderòn. […] Ma il Signor Lampillas mi fa una dimanda, a cui vò soddisfare, imitando “La gran bontà de’ Cavalieri antiqui.” “Mi dica, Signor D. […] Metastasio dunque nulla avrebbe potuto ricavarne, quando anche Calderòn si contenesse nella sobrietà Drammatica, e non cadesse, non dico in pensieri, ed ornamenti Lirici ed Epici, ma in metafore disparate, di cui mi sovviene un certo esempio dell’Auto intitolato la Vacante General, “Con la pluma de ese remo “en el papel de las ondas “dexarás tu nombre impresso.”
Felice, o me, se pria che in tutto io mora, mi sarà dato, anzi il partir di vita, un momento goder di sì bell’ Hora !
Ascoltato che mi avrai, promettimi vendetta. […] Mi conosci (replica Polonio)? […] Che mi comandate, o madre? […] E voi mi domandate con troppa perversità. […] … Chi mi ajuta, cieli… Pol.
Se io mi facessi a scrivere la storia teatrale dell’ultimo cinquantennio, dovrei cominciare da Tommaso Salvini, artista possente, formidabile, colossale, classico nel significato puro della parola. […] Chi mi suggerisce ora le parole e le imagini per dare non già un ritratto al vero, ma una pallidissima idea di questa gigantesca figura di Giove tonante ? […] Empio mi lascia ! […] E il Chi mi trattien di Orosmane ? […] Se mi fosse lecito un paragone, direi che l’anima del sommo artista era un superbo corridore, passante di vittoria in vittoria, sorretto dalla man forte di un savio condottiero : la mente.
La cosa mi arrivò così improvvisa e frizzante, che non so risovvenirmene senza ridere. » E trovata la commedia di Mantova poco buona, S. M. disse : « A Modena la commedia mi ha assai divertito, e vi è un Tartaglia (A. […] Non mi par qui il caso di dover rilevare la stupida osservazione del giornalista, come se l’arte comica in Italia fosse responsabile dello sperpero dei danari, degli ori, degli argenti, e delle gemme, che un attore, favorito dalla sorte fino agli ottant’anni, fa in amori senili degni di ogni dileggio…. […] Questa Commedia l’ho disegnata espressamente per lui, anzi mi ha egli medesimo l’argomento proposto, argomento un po' difficile in vero, che ha posto in cimento tutto il genio mio per la Comica artificiosa, e tutto il talento suo per l’esecuzione (V. anche nelle Memorie il Cap. […] Non mi pare possibile.
In quale angustia mi riduce l’accusa che son per proporre fattami dall’Apologista! […] Ma io, conoscendo me medesimo, mi dichiaro troppo debole per un Atleta sì esercitato e vigoroso. Concedo ancora, se piace al Signor Lampillas, che “nella mia Storia nulla io dico intorno agli affetti che debbe eccitare la Tragedia, che mi assicuri il vanto sopra il P. […] La Modestia δωρημα καλλιϛον ϑεῶν, il più bel dono degli Dei, secondo Euripide, mi consiglierebde a non parlar quì de’ nostri Poeti. Ma Plutarco mi avverte che havvi certa Verecondia viziosa, che bisogna superare, e perciò non mi asterrò dal favellarne.
La sua prima apparizione mi pare facesse il 1865 nell’ elenco della compagnia paterna, per le parti ingenue.
Indi in quantità sufficiente seminando Argenteo Sale nel fertile terreno della nostra Pouertà, già sterille l’hà reso ; Siamo dunque richi, perchè la Compagnia [è| senza debiti ; Infermità, che ci haueua ridotti poco [più] che alli estremi ; se con Aurei siroppi non ueniua cu[ra]ta ; Piaga così Vasta, che per medicarla Vna sol uol[ta] è stato neccessario Adoprare ottocento Pezze ; rissanati dunque, senza altra licenza del Medico, Vogliamo mutar aria à Dio Piacendo, è si i disgusti ch'io prouo dà questa turba di Compagni sregolata, non mi fanno ricadere, spero di ritornare con salute à riuedere il Panaro, terminato che haurò di piu mirare l’Abhorito Tamiggi ; Attendo perciò un Ostro fauoreuole per scostarmi quanto prima dà questi lidi ; Nel’ quali' tempo là prego di nouo à non scordarsi di me'è di quanto nel’ultima mia lè scrissi poichè là mia Flemma si è resa in tutto è per tutto in habile à poter più proseguire auanti ; ò mutatione di Compagni, ò libertà ; Londra li 17 febraro 1679. […] Altro non mi fu possibile rinvenire, specialmente per quanto potesse concernere un suo grado di parentela con Fichetto e col Dottor Baloardo, dei quali era contemporaneo.
Ammirisi l’eleganza dello stile e la patetica delicatezza che si scorge in tutte l’espressoni d’Alvida: …………… A lui sovente Prendo la destra, e m’avvicino al fianco; Ei trema, e tinge di pallore il volto, Che sembra (onde mi turba e mi sgomenta) Pallidezza di morte e non d’amore; O in altra parte il volge, o ’l china a terra Turbato e fosco; e se talor mi parla, Parla in voci tremanti, e co’ sospiri Le parole interrompe. Sofocle non avrebbe ritratte con più grandezza le agitazioni notturne della medesima Alvida: …………… Giammai non chiudo Queste luci già stanche in breve sonno Che a me forme d’orrore e di spavento Il sogno non presenti: ed or mi sembra Che dal fianco mi sia rapito a forza Il caro sposo, e senza lui solinga Gir per via lunga e tenebrosa errando, Or le mura stillar, sudar i marmi Miro, o credo mirar, di nero sangue; Or da le tombe antiche, ove sepolte L’alte regine fur di quello regno, Uscir gran simulacro e gran rimbombo Quasi d’un gran gigante, il qual rivolge Incontra il cielo olimpo e Pelia ed Offa, E mi scacci dal letto, e mi dimostri, Perché io vi fugga da sanguigna sferza, Un’orrida spelonca, e dietro il varco Poscia mi chiuda. […] Millet, se ben mi ricorda, e stampata in Parigi presso Fetil. […] Regnard, alla quale una simile non é mai, per quanto mi ricorda, scappata dalla bocca di niuno di coloro che abitano sulle rive del Manzanare e della Garonna: «Mons est la Capitale du Hainaut, et la première qui reconnaisse de ce côté la domination espagnole jusqu’a ce qu’il plaise à la France de lui faire sentir son joug». […] Sulzer; perché se ’l mio piacere mi riempie e trasporta, se l’affetto é vero, non mi trattengo a metterlo in musica, o cantandolo lo tradirò.
Non sarà infruttuoso questo mio Discorso, qualora le censure del Signor Apologista mi porgano occasione d’illustrare qualche punto curioso della Storia teatrale. In questa che alla prima mi si presenta, avrò motivo di aggiugnere alcune notizie su i Teatri da me descritti nel trattare del Voto della Storia teatrale. […] Nè mi stendo a rilevare che nel Teatro di Morviedro non apparisca indizio del luogo, ove situavansi i Vasi di rame ne’ Teatri Greci; ed è probabile che essendo costrutto alla Romana, non ne avesse punto, come non ne aveano quei di Roma, in ciò differenti da quei di Grecia.
Cardinale, et aggiustateui seco, che per me hauerò gusto d’ vdir qualche volta questa Compagnia, che mi piace ; ma non voglio commetter peccato mortale ; e così i Comici ricorsero dal buon Pastore, e furono subito introdotti, atteso che quelli istessi, che haueuano parlato, erano in quell’hora all’udienza dando parte al Superiore di quanto haueuano fatto col Sig. […] Da quella conca avventurosa e bella che fuor dell’onde l’alma Dea di Gnido allor portò, che dal Mar nacque, al Lido, degna d’esser nel Ciel fatta una stella : tolse le perle rilucenti, e in quella bocca le pose di sua man Cupido, cagion che da me stesso io mi divido, qualor si dolce ride ovver favella. […] MADRIGALI v Or ch'altro scampo al mio martir non trouo, Spero che il Tempo mi darà salute, Voi della giouentute Priuando e me d’affanni, E spiegarà l’insegne fra poch'anni Nel vostro vago volto, Al qual tosto che tolto Haurà le rose fresche, e matutine, Torrà fors’anco a me del cor le spine.
[1] Nel prender la penna per cominciar il presente capitolo io sento più che mai la difficoltà dell’impresa che mi sono forse imprudentemente addossato. […] [4] Dei pieni, rapidi e volubili dove si esprime il coraggio «Fiamma ignota nell’alma mi scende, Sento il nume: m’ispira, m’accende, Di me stessa mi rende maggior. […] L’entusiasmo cui mi sono abbandonato lodandolo, mi metterà, cred’io, al coperto di siffatta accusa. […] Mi fa tremare l’amore di Mitridate scortato dai furori, mi raffreddano le scene di pura galanteria tra Monima e Siffare. […] De’ detti tuoi Non mi querelo; anzi a parlar sincero, Credo ch’io dissi, e tu dicesti il vero. ec.»
Che mi promette l’inventore d’un ballo teatrale? […] Che mi promette l’esecutore del ballo? […] Ecco le belle parole che mi danno l’arte e gli artefici. […] Né mi fermerò a ribattere la falsissima opinione che i piaceri de’ sensi siano i maggiori anzi i soli piaceri della vita; ciò mi condurrebbe più oltre del bisogno. […] Mi pare che questa inrerpretazione faccia più onore a’ greci drammatici che non il crederli capaci di introdurre seriamente tali mostruosità in teatro.
Accostatevi a me, voglio appoggiarmi, Ch’io mi sento mancare, e già la notte Tenebrosa ne vien negli occhi miei. […] E vincendo Alba, qual vincer potria, Oltre il dominio de la libertate, De i fratelli privata mi rimango. […] giammai non chiudo Queste luci già stanche in breve sonno, Che a me forme di orrore e di spavento, Il sogno non presenti, ed or mi sembra Che dal fianco mi sia rapito a forza Il caro sposo, e senza lui solinga Gir per via lunga e tenebrosa errando, Or le mura stillar, sudare ì marmi Miro, o credo mirar di nero sangue, Or da le tombe antiche, ove sepolte L’alte regine fur di questo regno, Uscir gran simulacro e gran rimbombo Quasi di un gran gigante… E mi scacci dal letto e mi dimostri, Perchè io vi fugga da sanguigna sferza, Un’ orrida spelonca, e dietro il varco Poscia mi chiuda. […] E Torrismondo è questi, Questi che mi discaccia, anzi mi ancide, Questi ch’ebbe di me le prime spoglie, Or l’ultime ne attende, e già sen gode. […] Io non sono cieco ammiratore di questa buona tragedia di tal modo che non mi avvegga di varie cose che oggidì nuocerebbero alla rappresentazione.
Perchè questo componimento ebbe assai felice riuscita sulle scene, e su comendato da varii letterati, e si vide impresso nella, collezione tragica di Scipione Maffei, mi venne amichevolmente rimproverato l’averlo omesso nell’edizione di questa storia in un sol volume. […] Ella le dice: Il padre mio ben sai che a maritarmi Pensa assai poco… È poichè il padre mio non mi marita, Maritar me per me mi son disposta. […] Ei parla meco ognora E ride e scherza, e non mi guarda in viso? […] Le pugna a mano a man, se tu non taci, Mi serviran per lingua e per favella. […] Tal mi sembra il discorso del finto Atlante nell’atto III, Dunque con forte destra ; tale la confusione di Rugiero In qual antro mi celo ; ma non è tale una specie di molle elegia recitata da Alcina coll’intercalare, Se Rugiero è partito, Alcina è morta a.
Serenità non puo più aggiutare la sua famiglia, la quale è in necesita grandissima, io mi spiace non potere solo che in cosa minima soleuarli : V.
Lo rimpiangerai…. ma io già non credo che tu voglia davvero voltargli le spalle : sospetto bensì che tu tiri il roccolo per farti esibir maggior paga da X e poi dire con tuono flebile a Domeniconi : Papà mio, mi piange il cuore, ma vedi, mi offrono 500 di più ; io sono pover’uomo, crescimi tu i 500 ed io resto con te fino alla morte.
E. ne sia auisata e se cio è la uerita, altro non posso significarle se non che Vicenza non fa per noi in modo alcuno per esser non solo stata sbatuta l’anno scorso, et per non esser hora la sua staggione, mi dò a credere che tutti li compagni insisteranno di non dare la parte alla Moglie di Bertolino, mentre non reciterà, e se ne starà a casa p. la sua insuficienza, non so che cosa andare a fare a Bologna con duoi Morosi che non li uogliono ne sentire ne uedere, e fuori di tempo ruuinando l’Autuno, quando la Compagnia ui debba andare. […] So che lei mi compatirà perche le miserie dell’anno passato m’hanno a bastanza adotrinata, et io che sono pouera Vedoua, agrauata da tanti figli e famiglia, ho di bisogno di solieuo e non d’agrauio, e stimo più utile il stare a Casa che l’andar fuori senza speranza di guadagno, le mie raggioni sono tante euidenti, che so ueranno approuate da V.
Io credo che niuno abbia capito e rivelato ai posteri l’arte somma di Giovanni Toselli, meglio di quanto facesse il compianto Luigi Pietracqua, del quale mi piace riferir qui tradotte le belle parole : I posteri riconoscenti, artisti e ammiratori, gli dedicaron monumenti marmorei così a Cuneo sua terra natale, come al Teatro Rossini di Torino, dove si ammira un suo busto assai rassomigliante ; ma il più bel monumento se lo eresse da sè, creando un teatro popolare, che prima non esisteva ; inventando, per dir così, un nuovo genere d’arte così viva e possente, che per bestemmiar che facciano certi ipercritici della moderna tubercolosi artistica (leggi : teorica nova) non morrà più mai nè nella memoria nè nel cuore del nostro popolo che pensa colla sua testa e giudica col suo buon senso, infinitamente superiore a tutte le fisime più o meno isteriche di certi scrittorelli, più o men camuffati da Aristarchi Scannabue. […] L'artista per me è stato a un tempo rivelazione e ispirazione : egli è stato causa di studi profondissimi sul teatro vecchio e moderno, e nobilissimo incitamento a coltivar quell’arte, che mi diè tanti piaceri e trionfi, e pur tanti dolori nella mia povera vita artistica e avventurosa.
Udii da alcuno che il nome di Polacchi venne da un intermezzo o da una tonada di personaggi polacchi rappresentata con applauso nel teatro del Principe; ma nulla di positivo avendone ricavato, non mi curai d’insistore più oltre iu simili bagattelle. […] Io mi era accinto e preparati avea sessantasei no saben verificati in lui ed in ogni sorta di Huertisti; ma la di lui morte mi reca il vantaggio di risparmiar la spesa di farli imprimere. […] Se in castigliano ed in italiano questo primo saben significa che di questi partiti non si sono ancora aboliti i nomi, io vorrei che mi si rinfacciasse, dove abbia io detto il contrario. […] Mi dicano gli Huertisti, giacchè il loro archimandrita ha cessato di spacciar fanfaluche, in quallibro ciò suppone o dice il Signorelli? […] Ma lasciando ciò, mi dicano gli Huertisti (se pure oggi ve n’ha alcuno oltre del sig.
S. la quale portarò quanto prima se mi appresenterà l’occasione ; et con questo humilmente me gli inchino, baciandole le invitte mani, pregandoli dal Cielo ogni felicità e contento. […] A voi mi pertant che ti set l’Asen, ma col cavezon meæ disciplinæ. […] In sto mod, ti t’ sarà l’Asen, al Porc, al Papagal, al Boja, e mi al Cavezon, al Beveron, al Maester, e la forca par fet pratic int ’al mstiir. […] Mi servo della traduzione di Giuseppe Fracassetti (Firenze, Le Monnier, 1869, Vol. […] Le parole del Petrarca dicon davvero troppo poco ; e non mi pare sia il caso di dedurne recisamente la conseguenza del Signorelli.
S. che questo è un bordello d’ innamoramenti di p…… con questi furfanti ; e questo è quanto mi occorre per hora.
Ma mi tengono anche in dubbio le date lasciateci dall’oroscopo, secondo le quali ella avrebbe avuto il 1605 dodici anni (V.
Serbo una vaga, pallida idea di quegli artisti, tranne più quà, più là, di Cesare Rossi, grandissimo nella parte di Cesare ; ma una assai chiara ne serbo di Luigi Bellotti-Bon, del quale una intera scena mi si confisse nel cervello, e colla scena l’impressione profonda che n’ebbe il pubblico : ….. la scena VIII dell’ atto I, in cui il Conte Carlo insegna al figlio Paolo il modo di salutar da cavallo una signora. […] Lui morto, mi capitò sott’occhi un volume di Edmondo De Amicis « Costantinopoli, » nel quale è la seguente dedica autografa, colla data di Torino 1 settembre ’77, che sotto la celia gentile ben compendia, nella infinita modestia del geniale poeta, le grandi qualità dell’artista : Al Pascià dai mille amori, Al Muftì dei commedianti, Al Sultano dei brillanti Il Rajà degli Scrittori. […] Il Duca d’Herrera Cesare Rossi La Duchessa Amalia Fumagalli La Baronessa d’Isola Giacinta Pezzana-Gualtieri Emma Annetta Campi La Marchesa di Riva Costanza Ciotti Fabio Regoli Francesco Ciotti Di Riverbella Gaspare Lavaggi Marchese di Riva Luigi Bellotti-Bon Barone d’Isola Enrico Belli-Blanes Duchino Alfredo Antonio Bozzo E si capisce, mi pare, come il pubblico accorresse ogni sera a empire il teatro….
Ned io mi traggo fuor di tal genìa Che da’ lor detti inzampognar mi feci. […] Che mi dì tu! […] Vuoi tu che io sia conosciuto da altri che da chi mi dà da mangiare? […] Ah vendi me ancora, purchè tu mi venda satollo. […] Non permette il destin che mi fa serva, Che del mio mal meravigliar mi debba.
Di un’attrice Aliprandi, cremonese, sua ava, non mi fu dato trovar notizie.
Il ’47 si recò a Siena a far la quaresima, nella stessa compagnia e collo stesso ruolo, al fianco della Ristori, prima attrice, e di Tommaso Salvini, amoroso ; il quale mi raccontò com’ella fosse veramente grande nelle amorosine goldoniane in genere ; e grandissima poi nella Contessa d’ Altenberg, in quella scena famosa in cui le sorge il dubbio che la madre le sia rivale, e per cui Salvini, spettatore tra le quinte, si commoveva alle lagrime.
Se il solito spazio tiranno non mi impedisse di volgere al fine, molti ed interessanti aneddoti potrei narrare ; mi limiterò al seguente, che fa comico contrasto a'molti atti veramente eroici, ai quali si lasciò non di rado : Si provava un dramma in cui il Pilla doveva lottare con uno degli interlocutori e soccombere.
Ella ben mille a me alme rubelle mi darà col suo dir, allor che ornato sarà il teatro di sue fiamme belle. […] L'ammirai come Nume, e come Dea mi fu strale d’amor, face e saetta, mèta de' miei pensier giusta e perfetta Lei, non febo, per me luce spargea.
Gran parte vi ha l’Eco, il quale comincia a farsi sentire in un lungo monologo di Pantalone al primo atto, tutto a bisticci : La sorte s’urta, e fa che morte m’urta se vago vuogo, e se sto fermo formo affanni, e fanno che me liga e laga la fina funa, che me strinze e stronza e moro, e miro se con passi posso far scherno e scorno, a chi mi tira in tara le parche porche se le fila il filo della mia vita, vota d’ogni degni contenti……… e via di seguito per trentacinque versi, dopo i quali comincia una comica lotta di parole con l’Eco, che torna poi in scena, per dir così, con Titiro al secondo atto, e con Montano, poi con Graziano e Bergamino, e con Fiammella e Ardelia, al quarto. […] Dopo che Fiammella ha promesso a Titïro, se cessi dalla sua crudeltà, un vaso per attinger acqua, fatto d’un teschio d’un uccello, ch'in aria si nutrisce di rapina, ………… e n’è intagliato con sottil lavoro tutt’all’intorno d’ogni sorte uccelli, ………… Ardelia dice : E tu, Titiro mio, se mi compiaci, ti vo' donar una bella ghirlanda da verginelle mani ben contesta di Rose, di Ligustri, e d’Amaranti, con molte foglie d’Ellera e d’alloro, nelle quali son scritte le mie pene, e come fui per te d’amor trafitta, con fregi che circondano le foglie ch'in esse si comprendono il trionfo del faretrato Dio, e di sua madre.
A questo punto ci lasciano i documenti, e niun’altra notizia mi fu dato rintracciarne.
Se io abbondassi di ozio e di talenti (posso aggiungere) e fossi più verde, occupar mi vorrei da buon senno in sì utile poesia, e con novelle invenzioni vivacemente colorite destar sulle moderne scene quando il riso e quando la compassione. […] Mi contenterò intanto di narrare più pienamente di quel che altra volta non feci, gli sforzi fatti sino a questi tempi ne’ paesi conosciuti per dipignere sui teatri ora grandi sconcerti ora picciole ridevoli avventure. […] Egli è vero che io usai ancora nella prima edizione e ritengo in questa, forse senza esempio, il termine tecnico della danza piroettare tratto del francese, che mi fu notato dal medesimo purissimo Bettinelli come vocabolo inusitato fra’ Toscani; ma io il seci senza pentirmene (peccatore ostinato!) […] La parola gergone mi su parimente dal medesimo letterato ripresa, che oggi ancora a me sembra pura italiana. […] Al che stringendomi nelle spalle mi acqueterò col volgar motto Spagnuolo: nadie tiene mas opinion de la que le quieren dar .
al que es mi hermano! […] Quindi nella scena seguente comandandole Giusto che cosa mai pensi di ciò che si va disponendo, ella con tenerezza risponde, . . . . . . que à mi padre me manda obedecer el santo cielo: si tu remedio encuentras, sin que tenga pesar Cortines, me daràs contento. Pero vè que es mi padre. […] el valle dura, Y acabò mi ventura!
La ragion mi abbandona, è vero! […] Ti avvicina, amica, Ricomponi i miei veli onde mi avvolga. […] L’error mi piace; La ragion mi rattrista. […] Qual furor mi trasporta? […] Quello dell’atto terzo mi sembra il più patetico, ed il Dolce ne ha fatto una troppo libera imitazione.
A volte mi par di vedere in lui l’asino di Buridano.
.), è questo brano che si riferisce al Marchetti : …… pongo auanti gl’occhi di Vostra Signoria Ill.ma che sono in Napoli con cinque persone carico di debiti fatti per uenir in questa Città, non con altro ogetto che di leuarmi dalla tirannia e persecutione di Lelio marchetti e suoi adherenti, che è stato la rouina di mia casa, che se io hauessi hauto minimo comando nel tempo sono dimorato in modona non mi sarei partito e non sarei cosi consumato.
,143) riferisce i particolari della uccisione del famoso musico Siface, dallo Zibaldone di Anton Francesco Marini, il quale alla data 10 luglio 1704, dice : « Discorrendosi questo dì 21 luglio 1704 di Siface musico celebre ; mi disse Giuseppe Sondra detto Flaminio, comico del Principe di Toscana, che il Quaranta Marsilio lo facesse egli ammazzare tra il Ferrarese e il Bolognese, ecc. » Sperandio Bartolommeo, mantovano, sostenne con molto successo, e in varie compagnie di giro, la maschera di Arlecchino, nella seconda metà del secolo xviii.
Pari verità e sobrietà di stile e giudizio si scorge nell’imitazione del Ciclope di cui mi sembra singolarmente notabile il coro dell’atto I da noi tradotto e recato nel IV t. delle Vicende della Coltura delle Sicilie. […] Accostatevi a me, voglio appoggiarmi, Ch’io mi sento mancare, e già la notte Tenebrosa ne vien negli occhi miei. […] Questo, e l’introduzione di molti personaggi subalterni dipinti scioperatamente, e non poche scene vuote ed oziose e slogate, ed i racconti di cose che meglio avrebbero animata la favola poste alla vista ed in azione, e ’l non essersi l’autore approfittato de’ rimorsi che doveano insorgere in Canace e Macareo ne’ loro mortali pericoli; questi, dico, mi sembrano i veri difetti sostanziali della Canace; e pur questi difetti appunto, per quanto mi ricorda, sfuggirono a’ censori contemporanei che in essa criticarono le rime, i versi corti e cotali altre pedanterie. […] E mi scacci dal letto, e mi dimostri, Perchè io vi fugga da sanguigna sferza, Un’ orrida spelonca, e dietro il varco Poscia mi chiuda. […] Io non sono cieco ammiratore di questa buona tragedia di tal modo che non mi avvegga di varie cose che oggidì nuocerebbero alla rappresentazione.
Ma invano mi adoperai presso i Preti regolari della Sacra Famiglia, fra’ quali trovansi non pochi alunni Cinesi, per farne tradurre una almeno. Alquante etimologie ricavate da qualche parola Cinese e infilzate in certi libercoli mi diedero speranza per un momento. Mi avvidi che non è la stessa cosa sapere gl’ idiomi antipodici, che aver notizia che il Ludolfo ha fatto un lessico Etiopico, l’Antequil uno del linguaggio Zend, Haex del Malaico, Clodio dell’ Ebraico, Giorgi un alfabeto Tibetano, ed il Bajero un dizionario Cinese.
S’incomincia dopo il primo verso a ripeter due vole “mi si spezza in seno il cor, si spezza in seno il cor”. […] Indi collo stesso tritume di note si ripiglian di nuovo i due primi versi “Nel lasciarti, o Prence ingrato mi si spezza in seno il cor”, impiegando qualche minuto in gorgheggiar su quel povero core. […] Se il lettore mi domanda la ragione di cotal diversità, io confesso di non saperla. […] Mi si risponderà (e a che non rispondono i maestri?) […] Io mi sento lacerar.»
Se io abbondassi d’ozio e di talenti, occupar mi vorrei da buon senno in sì utile poesia, e con novelle invenzioni vivacemente colorite destar sulle moderne scene quando il riso e quando la compassione. […] Mi contenterò intanto di narrare più pienamente di quel che altra volta non feci, gli sforzi fatti sino a questi tempi ne’ paesi conosciuti per dipignere su’ teatri ora grandi sconcerti ora picciole ridevoli avventure. […] Egli è vero che io usai ancora nella prima edizione e ritengo in questa, forse senza esempio, il termine tecnico della danza piroettare tratto dal Francese, che mi fu notato dal medesimo chiar. […] La parola gergone mi fu parimente dal medesimo letterato ripresa che pure oggi a me sembra pretta Italiana. […] Al che stringendomi nelle spalle mi acqueterò col volgar motto Spagnuolo: nadie tiene mas opinion de la que le quieren dar.
L’uscio ch’io tocco appena, mi sento aprir pian piano, poi cheta indi mi mena una invisibil mano : io con tremante passo lieto guidar mi lasso. […] Dolc’ella sorridendo, mentre mi legge in viso l’alto desio che ardendo tien me da me diviso, rende all’alma il vigore che per dolcezza more. E con le belle braccia mi cinge il collo e tace : e’l cor con l’alma allaccia che di desìo si sface ; ond’io di piacer pieno, le bacio il petto e il seno.
Alcuno mi disse che il nome di Polacchi venne da un intermezzo, o da una tonada di personaggi Polacchi rappresentata con applauso nell’ultimo teatro; ma nulla di positivo avendone ricavato non mi curai d’insistere più oltre in simili bagattelle. […] Aggiugne che anche i meno affezzionati alle commedie saben (sanno) ciò che ignora il Signorelli, e questo saben si ripete ben sei volte; contro i quali sei saben io avea preparati sessantasei no saben verificati in ogni sorta di Huertisti, ma la di lui morte mi reca il vantaggio di risparmiar la spesa d’imprimerli. […] Se ciò in castigliano e in italiano significa che di questi partiti non si sono ancora aboliti i nomi, io vorrei che mi si rinfacciasse dove abbia io detto il contrario. […] Mi dicano gli Huertisti, in qual libro ciò suppone o dice il Signorelli? […] Ma ciò lasciando mi dicano gli Huertisti (se pur ve n’ha qualche altro secreto oltre di Don Pedro suo fratello, e de’ Guarinos e de’ La Cruz) codesta profonda erudizione tutta chamberga, cioè che cade da tutti i lati, che cosa fa mai al caso nostro?
Mi si permetta scoprir l’abbaglio di questi critici. […] Niuno, cred’io, pretenderà che mi trattenga a tutte narrarle minutamente, potendosi ciò ampiamente vedere in altri autori che ne parlano più di proposito; aggiugnerò bensì, che gran parte di esse scoperte non hanno altro fondamento se non quello appunto della comun tradizione. […] E.: S’io sapeva niente, che il diavolo mi porti.» […] Ergo mi Jesu, mi Creator, mi Salvator, dimitte culpas, parce peccatis meis ec.» […] Imperocché il primo inciso “Peccavi, Domine, mi severe mei” tutto spirante compunzione e mestizia è d’indole affatto diversa del “te diligit anima mea”, nel quale spicca, un’amorosa tenerezza, come il “te quaesivit cor meum”, ch’esprime uno slancio d’amore, non ha niente che fare col “demitte culpas”, che si dovrebbe render in tuono d’umiliazione.
Se gli uomini mi negheranno il compenso del loro sterile suffragio, io il ritroverò dentro di me medesimo nella soddisfazione di averti servito.
Quest’uomo, Chiamato Ferramonti, non mi avea mai lasciato in tutto il tempo del mio soggiorno a Bologna.
Come scomparirono a'miei occhi que'difetti di pronunzia che qualche volta mi ferivano l’orecchio nella Commedia !
Ned io mi traggo fuor di tal genia Che da’ lor detti inzampognar mi feci. […] Che mi dì tu, quegli risponde; è qui venuta la moda che i poveri servi amoreggino? […] Se mi vendo intero intero, Sa Dio se raccorrò quanto tu chiedi. […] Non permetto il destin che mi fa serva, Che del mio mal meravigliar mi debba. […] Mi porrò a negoziar con grosse navi In mare.
Olà (grida in aria) non mi aprite? […] O Nuvole, o Nuvole, questo mi avviene per voi. […] Che Giove non mi vegga! […] E chi mi ajuterà? […] E chi mi chiama?
de’ nostri detti io mi sovvengo, Tu l’obbliasti, e vuoi ch’estinta io cada? […] Ti avvicina, amica, Ricomponi i miei veli onde mi avvolga. […] L’error mi piace, La ragion mi contrista. […] Qual furor mi trasporta? […] Quello del l’atto terzo mi sembra il più patetico, ed il Dolce ne ha fatto una troppo libera imitazione.
Mentre mi si martellava da per tutto l’orecchio coi venerandi Martelliani, ella sola me ne nascondeva ìnteramente la monotona cadenza.
Mi si assicura esser egli debitore in gran parte della sua comica naturalezza ad alcune lezioni di Simeone Sografi ; e certamente un buon terreno con tale e tanto cultore produr non poteva che bellissimi frutti.
L’orrida Fellonia, l’ingiusto sdegno Nel suo sangue lasciò l’aspre memorie ; Sono vostre però le mie Vittorie, Or che del vostro amor mi rendon degno.
Su di lui, come attore e come uomo, mi piace riferir le parole di Virginia Marini che gli fu compagna delle più care : Suo fratello, col quale ebbi il piacere di stare qualche anno, era un gentiluomo perfetto, un bravissimo artista ed un compagno buono ed amoroso.
Morto il Ristori a Firenze il 3 settembre 1861, fu tumulato nel Cimitero del Monte alle Croci, ove la figliuola desolata fe' erigere, alla morte della madre, una cappella, co' medaglioni degli estinti, opera dello scultore Cambi, e con le seguenti epigrafi : AD ANTONIO RISTORI nato il 5 marzo del 1796 | mancato ai vivi il 3 settembre del 1861 || o mio dilettissimo padre | a te che mi fosti esempio | delle più belle virtù | che per generosità di cuore | e spirito di santa carità verso i miseri | fosti sempre benedetto dalla sventura | che fra gli stenti al lavoro | consacrasti tutta la tua vita | la tua figlia adelaide | che amavi tanto e che sì presto ti ha perduto | questo monumento | debole segno d’incancellabile affetto | tuttora in pianto poneva.
Io ho qui sott’occhio la prolusione alle sue lezioni di arte drammatica recitata nella solenne apertura della scuola la sera del 9 novembre 1859 ; e molto mi maraviglio che nulla vi apparisca di quel pedante, che in un maestro di oltre mezzo secolo a dietro parrebbe doversi inevitabilmente trovare.
Egli mi ricordò, quasi alla testualità, il sommo Gustavo Modena, ed è tutto dire.
Ciò io ho potuto rilevare con fondamento, nè altro scrittore nazionale prima di me mi ha sugerito nè cosa più ragionevole nè questo che io ho indicato a. […] No verà à quien buscaba: verà Ilenas Las casas y paredes de mi sangre… Ah veote morir, mi bien, por mi. Mi bien, ya que yo muero, vive tua. […] In somma ha questa favola tali e tanti difetti, che mi parve di un altro autore, ancor quando ignorava che la prima fosse una semplice copia o traduzione, malgrado dell’uniformità che si scorge nello stile e nella versificazione di entrambe. […] Invan con gli occhi Mi cercherà: queste pareti intrise Scorgerà del mio sangue.
L’ osservai attentamente sopra la Scena, l’ esaminai ancora meglio alla tavola, alla conversazione, al passeggio, e mi parve uno di quegli attori, che io andava cercando. […] Circa all’ incontro di questa Commedia, è necessario che prima di parlarne racconti una burletta, una bizzarria che mi è caduta in capo in quel tempo.
che l’oro ti dichiari la guerra, tu allora, novello stoico, appagati degli applausi…. ma tu sogghigni, e mi dici che gli applausi sono una moneta in commercio non ricevuta…. ebbene recita allora le trentatrè disgrasie di Meneghino…. […] E mi par dovrebbero bastare queste parole a dar l’idea esatta dell’arte del Moncalvo e del fascino ch' egli esercitava sul pubblico.
Dell’andata di lui in Sassonia non mi fu possibile rintracciar notizie.
A. ma che la bizzaria di questa gente non mi prometteua quella consolatione che tanto ambisco in pontoalmente seruire a suoi cenni, escusandosi chi con uno chi con altro pretesto ; dopo di che insistendo nel mio debito hò condotto da M.
Non lo dire a Marchi, chè non mi perdonerebbe la bestemmia.
Non mi è riuscito di veder traccia di questo Rubini in Italia.
Con lettera del 12 agosto '37 domandava a Ferdinando Pelzet, scadendogli una cambiale, il prestito di otto scudi. « Gli affari – scriveva – poco favorevoli del mio Capocomico, mi pongono nel caso di non poter soddisfare al contratto impegno. » Ma non ho potuto sapere il nome di quel capocomico.
Ecco le sue parole : « Graziosissimo nelle sciocchezze facendo da Policinella, ho conosciuto un Francesco Baldi imitatore d’Andrea Calcese detto Ciuccio, che mi dicono essere stato impastato di grazia ; e pur costoro non sapeano che fusse rettorica, nè arte di facezie, nè sali per arte ; ma per natura. »
Il signor Bettini dacchè è stabilita la Compagnia Reale fa sempre il primo amoroso giovine : e quantunque qualche cosa siasi sempre detto sul suo conto, si è sempre concluso che era il meno cattivo, e fu ed è il più ben pagato di tutti gli amorosi attuali nella Comica Italiana, quindi niuno mi ha mai detto di cangiarlo, bensì io più che altro in obbligo di conoscere i bisogni della mia Compagnia, ho cercato fra gli Accademici, se si poteva trovare uno che con decoro potesse servirgli di supplemento ; nei Commedianti era inutile cercarlo ; non ci è assolutamente : trovai, per mala mia ventura, il sig.
Accanto alle commedie del Goldoni e del Nota figuravan sempre come contrapposto i drammi lacrimosi del Federici quando non erano l’Incendio di Troja e la Navigazione di Enea del Chiari, o La Grotta del Misfatto del Signori, o La Vendetta d’Apollo c Diana dell’Avelloni, per dir de’ meno peggio : nè anche mi par bene stabilito se il pubblico più volentieri accorresse a veder questi che a sentir quelle.
Ma ventiquattr’anni di distanza mi paion troppi.
Le mie vicende che poscia mi balzarono in Francia donde dopo la dimora di un anno discesi in Italia di bel nuovo, hanno prodotto nuove osservazioni da me fatte su nuovi materiali raccolti. […] Sanno ben essi di non doversi il Buon Teatro considerar come semplice passatempo, ma sì bene come saggio espediente sugerito dalla filosofia per diffondere, per la via del diletto, la coltura e la virtù e la morale nella società, e per secondar le vedute de’ legislatori; di che mi occupai ne’ miei Elementi di Poesia Drammatica impressi in Milano.
Voi mi pingete bella e mi adulate ; io non vi adulo e il vostro bel dimostro ; voi fingete di me l’avorio e l’ostro ; io non fingo di voi le glorie ornate.
Ma fra i timori suoi par che mi dica il core : Non si stancò per questo il provvido cultore. […] A questa faccio seguire il sonetto in morte di un suo figlio, il quale ci dà ancor più chiara l’idea delle sue qualità poetiche, e del suo amore a' classici : Come candido fior, che nato appena, del vomere al passar cade reciso, Carlo, moristi, onde perpetua vena di pianto a me bagna le gote e il viso : C'ho sempre avante i tuoi dolci atti, e il riso, e i cari vezzi ; e per maggior mia pena, la Suora tua, ch'or vedi in Paradiso, la tua partita a ricordar mi mena.
Home (non Hume congiunto dell’Istorico) che tuttavia vive, come mi assicura il mio degno amico Giuseppe Cooper Walcker di Dublino, compose &c.
A. mi favorisca che non venghi altro che la nostra….
Di lei mi scrisse Tommaso Salvini : Non aveva l’attraente prerogativa della bellezza, ma i suoi occhi vivacissimi, e la folta e leonina capigliatura la facevano simpatica, sebbene tutto l’insieme tendesse al volgare : era il tipo della popolana romana.
Lucifero Chi dal mio centro oscuro mi chiama a rimirar cotanta luce ? Quai meraviglie nove oggi mi scopri, o Dio ? […] Battista Andreini (mi servo della traduzione di Francesco Righetti, pag. 107-108) compose egli solo 18 commedie, secondo la raccolta della Drammaturgia dell’ Allacci ; ma tutte sanno della decadenza del gusto, ed alcune sono oltremodo oscene. […] Ma è da avvertire, che le parole susseguenti all’ imparate, vogliono hauer uniformità con le prime, acciò che il furto paja patrimonio, et non rapina ; onde per far ciò non mi pare auiso sprezzabile una frequente lettura di libri continuamente eleganti, poi che rimane a chi legge una tale impressione di amabilissima frase la quale ingannando chi ascolta, vien creduta figlia dell’ ingegno di chi fauella. […] Io so che molti professori del ben parlare troueranno molti luoghi dove ne men’ io debbo dir bene, si come anche mi accorgo, che quelli, che non sanno parlar bene non conosceranno s’ io dica bene, o male ; onde anderanno sempre dicendo peggio, si che da questi non desiderarei altra sodisfatione se non che si dichiarassero di non saper ciò ch’ io mi habbia detto.
Alle quali dimande non mi par facile il rispondere.
Dice il Beltrame Barbieri : Morì dieci anni sono il Capitan Rinoceronte nostro compagno, e gli trovammo un asprissimo cilicio in letto : e pur recitava ogni giorno : par veramente che contrasti cilicio e comedia : penitenza e trastullo ; mortificazione e giocondità ; ma non è strano a tutti chè molti sanno benissimo che l’uomo può star allegro e anche far penitenza de’ suoi peccati…… E il Padre Ottonelli in quella parte della sua Cristiana moderazione del Teatro (Firenze, Bonardi, 1652) che tratta delle Ammonizioni a’ Recitanti : Voglio aggiungere intorno al nominato Capitano Rinoceronte quel poco che da un prudente e dotto padre spirituale, e teologo della compagnia di Gesù mi fu detto in Fiorenza l’anno 1645 a’ 25 di giugno ; e fu questo.
Per quante ricerche fatte, non mi è riuscito di aver notizia su questo comico, tranne la lettera seguente, che traggo dall’Archivio di Modena : Ser.
Sul mio primo apparire alle tue case Tu mi accogliesti appena Con un cotal sorriso, A cui non rispondea per gli occhi il core. Poscia nell’abbracciarmi Colle braccia cadenti Non mi stringesti il seno, e dall’estremo Delle gelate labbra Parve cader, non iscoccare, il bacio. […] Tali passi mi furono comunicati in Parma dal prelodato P.
Eran anche tra gli oggetti due ritratti del Belli a olio su tela, che per quante ricerche io abbia fatte, non mi fu dato rintracciare ; e figurava tra’suoi crediti un’obbligazione di Luigi Ve stri di L. 5754 in data 7 febbraio 1822. […] oh de’ natali miei fortunato soggiorno omai chiesto favor di stelle amiche e a’voti miei seconde, a voi mi porta salubre a ricercar dolce riposo alle mie lunghe tragiche fatiche. […] E dall’Archivio di Milano (Presidenza Melzi, – Polizia, Carta 19), il conte Paglicci-Brozzi mi manda questa nota e questo sonetto : Ieri sera al teatro della Scala si riprodusse il Cincinnato, e non furono tralasciate le espressioni proibite dal Presidente Lucini : al terzo atto fu gettato dal loggione il sonetto del quale unisco copia.
Olvia trafitta grida, ai de mi . […] Nobleza de este reyno, asi la diestra Armais con tanto obbrobrio de la fama Contra mi vida? […] Chi vide rappresentar la tragedia, mi assicurò che il pubblico si stomacò di vedere quell’insipida figura rimasta sì lungo tempo col pugnale alla mano. […] Amor en aquel tiempo mi tirano Algo templò lo lugubre y guerrero. […] Io non poteva ignorare il nome di chi per più anni mi onorò della sua amicizia, e volle prima di pubblicarla udir sulla sua tragedia il mio qualunque avviso.
Il Brighella mi piace, e in fede mia che un pari ad esso qui non è mai stato. […] Bartoli ho qui sott’occhio una Tragicommedia intitolata : Il silenzio ovvero L’Erasto (Padova, mdcclxxx), scritta in prosa, per soddisfare — dice l’autore ai lettori — al solo suo capriccio e non per altro motivo, che non mi par peggiore di tante altre.
Ma se al rigor, cui pudicizia infonde, Risguardar la ragion pur mi consiglia, Soggiungo : al nome fier, che altera or piglia, Il rigor delle Selve ahi ben risponde. […] O pur mi concedesse amico il Cielo Morir nuovo Leandro in sì bel Mare, Perir nuovo Fetonte in sì bel Cielo.
No verà à quien buscaba: verà llenas Las casas y paredes de mi sangre . . . Ah veote morir, mi bien, por mi. Mi bien, ya que yo muero, vive tu ecc. […] In somma ha questa favola tali e tanti difetti, che mi parve di un altro autore, ancor quando ignorava che la prima fosse una semplice copia e traduzione, malgrado dell’uniformità che si scorge nello stile e nella verisificazione di entrambe. […] Dovea io passando il mare recarne meco, quando per le solite avverse combinazioni che mi perseguitano, ho dovuto soggiacere alla perdita di tanti miei proprj scritti per averli colà lasciati?
Il lettore mi risparmierà l’entrare in più profonda ricerca intorno a questo punto. […] mi si spenga il cor: Non son più madre, oh Dio! […] Mi sembra egualmente ingiusto lo sbandirle affatto dal dramma, che il volerle tutte senza eccezione difendere. […] Orazio mi susurra all’orecchio «pulcrum est, sed non erat hic locus». […] Quindi è che poco fondata mi è sembrata mai sempre la rassomiglianza, che alcuni hanno preteso di ritrovare fra il nostro sistema drammatico-lirico, e quello degli antichi.
Ove mi traggi ?
Ma vinse il duol, ma sull’ incerto ciglio Luce stilla di pianto ; un brividio Mi ricerca le membra, e l’alma anch' essa, L'alma rifugge sbigottita e muta, E ad altra sponda….
E vuolsi anche fosse lui, che solea dire di sè : mi son el primo tirano dopo Cristo.
Le mie parole: E se a ragion mi doglio Piangete al mio cordoglio. […] Amor non sò, ma voi ben mi vincesti, Quando vi fei Signore Di questa vita, di questo core. […] Decidme; mi Segnora, De quien son estas tetiglias? […] O muy tambien amado, Y de mi dama muy avventurado!» […] Son mi, son mi, messir Aron.
Non mi conosci affè, Gente a vedere eroi po-poco avvezza; Io son colui che taglia, buca e spezza. […] Mi fece Natura Nel viso Narciso E Marte in bravur: Pa-pa-ri è il valore alla bellezza: Io son colui, che taglia, buca e spezza. […] bene, bene Mi cavasti di pene [9] Gli amori introdotti sempre come principale costitutivo dei drammi non solo erano ricercali, falsi e puerili, ma in siffatta guisa indecenti che sembravano rappresentaci a bella posta sulle scene per giustificar il rimprovero che diè il Conte Fulvio Testi ai poeti italiani di quel tempo: «Fatto è vil per lascivia il Tosco inchiostro.» […] Aggiugnerò soltanto che fra i moltissimi componimenti che mi è convenuto leggere per formarmi una giusta idea del gusto di que’ tempi, a fatica ho trovato alcuni pochi che non partecipano quanto gli altri della universal corruzione. […] Il trasporto di codesta nazione pel canto e le voci di tai cantori proporzionate alla mollezza, o per dir meglio, alla effemminatezza della nostra musica mi fa credere che gl’Italiani se ne prevalessero subito dopo l’invenzione del melodramma.
Mi perdoni il Signor Lampillas questa mia discredenza. […] Perchè però (mi stringe l’Apologista) non ne accennaste anche i pregi coll’istesso testimonio? […] Ciò mi animava a sperare che la di lui Tragedia potesse essere regolare. […] Non mi distendo di vantaggio, non essendo mio intendimento di mettere in vista tutte le pruove, che ha dato in questa favola il per altro famoso Poeta Argensola, e della poca età in cui la scrisse, e del gusto al suo tempo dominante nella Penisola, che non gli permise maggiore esattezza. […] Ma con questi principj capricciosi, con tali assurdi e difetti ne’ caratteri, mi parve che riescir dovesse poco accetta a’ posteri la memoria di alcun pensiero elevato che vi si trovasse; che quanto alla concatenazione naturale degli accidenti, e alla proprietà della locuzione, mi sembrano cose che neglette partoriscono vergogna, ed osservate con tutta diligenza non producono lode.
al que es mi hermano! […] Pero vè que es mi padre. […] el valle dura, Y acabò mi ventura! […] Dopo un sì fido amor, dopo tanti anni, Dopo tante speranze ecco qual premio Mi preparò la sorte! […] Il cuor mi scoppia; Tardi ne piango.
L’impugnò Saverio Lampillas, ma in un modo così grazioso nel suo Saggio Apologetico, che mi diede motivo di rilevare la piacevolezza delle sue opposizioni nell’articolo XII del mio Discorso Storico-critico. […] Neppure, secondo le di lui regole critiche; perchè se la mia allegrezza mi riempie e mi trasporta, se l’affetto è vero, non mi darà luogo a metterlo in musica, o cantandolo lo tradirò io stesso.
Nel sottoporre questo mio giudizio alla sua autorità le bacio divotamente la mano, e mi dichiaro.
La commedia piacque bastantemente ; e mio padre che rappresentava la parte di un uomo flemmatico, diverti l’uditorio e fu anche applaudito ; ma, lo ripeto, egli era malaticcio ; e, benchè si vedesse in lui l’avanzo di un grande artista, io mi accorsi che non era più in caso di sostenere un posto principale al Teatro de’Fiorentini, e fin d’allora pensai di farlo ritirar dal teatro e procurargli una vita tranquilla in famiglia.
Io mi voglio vendicar di costoro.
Egli invocava aiuto al Modena, il quale da Palmanova rispondeva : la posizione tua e di tutti voi mi lacera le viscere ; ma io non posso aiutarvi per ora….
E la servitù alla Casa di Francia, fu provata mi pare a esuberanza col sagrificio della vita…. altrui.
Dopo di avere sostenuto in Compagnia Mascherpa il ruolo di generico e secondo brillante, passò brillante assoluto in quella che Cesare aveva formato il ’53 ; e poco mi resta da dire sul miglior tempo della sua vita artistica, essendo essa legata intimamente a quella del fratello.
ra Lucrezia sua Madre, mi sono volontieri e di buon animo risoluto di mostrare ad esse un attestato della mia munificenza à loro utile e vantaggio, con le ingionte Propositioni.
L'avere scritto quelle tre lettere accennate a Fichetto, e non ad altri, e l’avere scritto l’Obizzi di « comandare a Fichetto e compagni, ecc. ecc. » prova mi pare che il Lolli avesse in quella compagnia principalissima parte.
La Cantrice di Grecia ora ti vedo pinger con retta veritade tanto, che d’essere in Leucadia ormai mi credo ; e libero disciolgo mia favella, gridando, fra il terror, la gioja, il pianto : Non la Polvaro, ma la Saffo è quella.
Il quale onorario, considerati i tempi, fa fede, mi pare, del gran conto in che Giuseppe Salvini era tenuto dal sommo artista.
Ma mi dica il Signor Quadrio, o il Signor Lampillas per lui, le composizioni di Livio Andronico, di Ennio, di Nevio, di Pacuvio, di Accio, erano meno Drammi scritti ad imitazione de’ Greci, per non essere esenti da difetti? […] Di buona fede, se è possibile, Signor Lampillas, mi direste, se, prima di leggere i Libri del Tiraboschi, e del Signorelli, sapevate che avessero mai esistiti al mondo nostro tali Drammatici Italiani del XV. secolo, che inutilmente fingete di non sapere ancora?
Il solo scrivere questo nome mi mette il buon umore e mi rifà il sangue.
Morpurgo) che è, per quanto io mi sappia, inedito.
Di lui, morto, disse il Costetti, del quale mi piace riportar le parole che indirizzò alla figliuola Lina il Io giugno del ’96.
Bartoli col dato di una intera quartina non si sia ancora trovato questo intero sonetto, mi pare un po'strano : e oserei supporre esser opera inedita dello stesso buon concittadino Garzoni.
Mi ha superato, dice, nell’arte mia; di me più fiera ha trucidato il figlio; me ’l porgi, lascia che me ’l divori. […] Muori prima di me; non mi fido della tua debolezza. […] Per essere eletto non mi son fatto vedere per un mese più ubbriaco del mio cocchiere? […] Non metto poi a conto quella maladetta cicalata che mi convenne recitare! […] Io non sapeva dove mi avessi la testa.
E abbandonar mi vuoi ? […] Ay vive, y siempre » de mi te acuerda… Yo fallezco ! […] Allora che le riferite commedie videro la luce, ed alcuni anni dapoi, non mi permisero di vederle le vicende che mi agitarono ; e così non posso oggi quì rammemorarne altro, e mi attengo alla riputazione letteraria che godono meritamente i loro rispettabili autori. […] Mi perdoni : Piritose concrezioni Son… cioè… mi spiego… Mac. […] Ah voi tacendo Sento dir, tu mi sei madre, Nè colui mi generò.
Pubblico la lettera intera, perchè mi pare uno de' più strani e interessanti documenti del nostro teatro. […] Il Zani, diceua mi mi, Il Magnifico diceua esser stato lui, et Gratiano uoleua la palma, pensando ogn’uno d’hauerne un grasso premio.
Ecco poi le due enunciate correzioni al tomo II che presento a’ miei gentili lettori, approfittandomi delle dotte insieme ed obbliganti insinuazioni di un valoroso nostro Letterato che mi onora della sua preziosa amicizia.
E se i Vettori, i Barlacchi, e i Visini di là son iti a veder ballar l’orso, altri poeti, altri strion più fini non mancheranno per l’usato corso ; non è morto ne’petti fiorentini lo scenico valor, ma ben trascorso ; io so quel ch’io mi dico, e fia dimostro alla tornata del principe nostro.
Questa era la cameriera, e questa era la parte che mi piaceva.
Mi hanno gli Dei concessa tanta grazia ; e spero che anche il pubblico che diè continue prove di benevolenza verso di me, vorrà oggi partecipare alla mia gioja. » (V.
Fratel, che tante lagrime mi costi, solo un conforto hai tu nel tuo malore ; che almen felice nel dolor tu fosti fra tanto amore.
Mi pare sarebbe molto meglio ve ne faceste uno nuovo…. » L'attore lo guardò umilmente, e balbettò : « Si fa presto a dirlo…. ma…. » E Tessari di rimando : « Ho capito. » E senza perdere un istante lo condusse da un mercante di panni.
Olvia ferita grida, ai de mi; non importa; Aluro non dee conoscerla per altri che pel traditore Giugurta. […] Nobleza de este reyno, asi la diestra armais con tanto obbrobrio de la fama contra mi vida? […] Chi vide rappresentar la tragedia mi assicurò che il pubblico si stomacò di vedere quell’insipida figura rimasta sì lungo tempo col pugnale alla mano. […] Mi permetta però di dirgli ch’egli ha indebolito codesto suo argomento, per avere ignorato che non i soli nominati gran poeti, ma tutti i Francesi fanno versi rimati. […] E come io poteva ignorare il nome di chi per più anni mi onorò della sua amicizia e volle prima di pubblicarla udir sulla sua tragedia il mio qualunque avviso?
Ma poichè con tanta garbatezza v’ingegnaste di dissipare certi miei Pregiudizj con un ben lungo paragrafo, e mi correggeste gl’importantissimi errori di Critica, e di Storia, cioè l’aver chiamati Colloquj Pastorali tutte le favole del Rueda, quando egli fece anche alcune commediole, e l’avere collocato nel secolo XV. Luis de la Cruz, io che mi pregio di esser grato, non potendo in altra guisa, vi ricambierò con alcuni pochi Avvisi amorevoli. […] Ma (dirà qualche Apologista) quando scarseggiano i fatti istorici favorevoli, che mi farò io? […] Ma ecco su di ciò come ragiona l’erudito Autore della Lettera, che ci risparmia il travaglio di far quì delle riflessioni: “Quello che più mi fa stordire è l’ammasso di supposizioni aeree, dalle quali si deducono asserzioni positive. […] Mi accommiato.
I lettori che amano di farne i confronti tanto giovevoli agli avanzamenti del gusto mi sapranno forse buon grado ch’io esibisca loro un qualche saggio dello stile di questo poeta pressoché sconosciuto in Italia. […] Io l’ho fatto vedere parlando della Euridice del Rinuccini, e l’ho trovata costantemente osservata in quanti mi sono capitati alle mani di quel secolo. […] Voi tacendo Sento dir: tu mi sei madre, Nè colui mi generò.»
Il solerte Conte Paglicci-Brozzi mi comunica con l’usata gentilezza il seguente documento, tratto dall’Archivio di Stato di Milano (Spettacoli pubblici — Teatri Comuni — Parma) : Elisabetta da Flisio (sic) detta la Passalacqua, supplica accordarli il teatro di Parma colla graziosa condizione accordata a Bartolo Ganascetti e Crosa (sic) Compagni.
Ma egli adducendo d’ignorare una tal privativa e dichiarando, che dal momento che egli acquistò le sunnominate produzioni da altri comici, doveva necessariamente supporre, che fossero le medesime di piena loro proprietà, mi fece protesta di non credersi obbligato ad alcun compenso.
a Firenze : Sti ;mo Signior Ferdinando Eccomi di nuovo ad’ incomodarlo con la presente, per pregarlo di mandarmi tre monete dovendo comperare della roba, che mi sarà necessarissima.
Fra la folla dei discreti attori, passai anch'io, raccogliendo qualche loro bricciola : il che significa senza lode e senza infamia : ecco tutto. » Ma che bricciola mi vien ella bricciolando !
me l’empio Ciclope Divorerà di poi, o in mezzo a l’onde Mi scaglierà da la più eccelsa balza. […] Ah vindice io sperai Che venir tu dovessi: un nume avverso Di te mi rende un’ ombra, un sogno, un nulla.
Pagina 57 : Songe le me suis insomniato ce matin, Qu'un fachin d’importanza mi tiroit par la panza, et mi disoit, Monsieur Arlequin, Habebis medagliam & colanam.
L’error mi piace, La ragion mi rattrista. […] Il greco mi sembra assai più occupato della verità dell’accidente. […] Qual furor mi trasporta? […] Quello dell’atto IV mi sembra il più patetico, e ’l Dolce ne ha fatto una troppo libera imitazione. […] VI pag. 46, e mi é slato ultimamente sumministrato da un Letterato amico per consiglio del signor D.
Dove ho seguito Racine mi san servito, per quanto ho potuto, delle sue parole medesime; e dove Euripide, della traduzione del Brumoy; ben sicuro che il poeta greco non si poteva meglio esprimere in francese.
E a un de’ comici che dimandò se i suoi compagni sarebbero stati i primi a rappresentare il Belisario, il Casali rispose con aria di sicurezza : sì signore : il signor Goldoni mi ha fatto l’onore di lavorare per me : e prendendo l’opera ch’era rimasta in tavola, vado, disse, con permission dell’autore, a copiarla io medesimo ; e senz’aspettar la risposta, la portò via.
) : Per me, Cesare Dondini fu il più caro artista, che io mi avessi visto : allevato alla scuola del Vestri, ebbe sempre per guida la naturalezza.
Mai dimenticherò l’accento caldo, convinto, di reverenza, col quale una giovanissima e valorosa attrice, alla quale di Adelaide Falconi chiedevo, mi rispose tout-court : una santa !
Non ho mai sentito la gentile attrice che par s’avanzi a gran passi nella via della gloria, e mi bisogna spigolar dagli egregi che hanno scritto di lei.
Ecc.ª non si vede per tutto lunedì, haurà mie lettere di quello la Compagnia risolverà : e mi dedico di V.
Al presentarsi di quel personaggio, la parte di cui era stata appoggiata al comico Vitalba col baratto sopraddetto, m’avvidi tosto della serpe che mi s’era tenuta occulta con una malizia impenetrabile, e ch' io non averei mai potuto nè sospettare, nè immaginare.
Io tanto più di buon grado ne trascriverò qualche osservazione, quanto più mi sembra conducente a far meglio conoscere per mezzo di un nazionale il carattere del poeta Inglese. […] Mi vieta il mio argomento l’andar ricercando dietro ad ogni particolarità della scrittura di costui, nella quale trovansi sparse senza citarsi moltissime cose che leggonsi altrove, ed altre non poche a lui da questo e da quello suggerite in Italia le quali ha egli registrate senza esame e senza ben ricucirle col rimanente del suo libretto. […] Sulle prime io non sapeva intendere, come gl’ Inglesi potessero ammirare un autore così stravagante; ma in progresso mi accorsi che aveano ragione . . . .
“Mi consigliate (gli dice il servo) a far quello che voi avreste vergogna di praticare?” Ah questa vergogna appunto (ripiglia Wilmot) mi ha rovinato. […] Muori prima di me, non mi fido della tua debolezza”. […] Per essere eletto non mi son fatto veder per un mese più ubbriaco del mio cocchiere? […] Io non sapeva dove mi avessi la testa.
» A Ruzzante che nell’Anconitana, dopo aver cantato gli dice : « Caro frello, cantane un’altra ; e nu dà cantémola in quattro, mi solo a cantare ben pre dù, ecc. ecc.
Consumai 4 notti ad impararne la parte, che mi piaceva assai.
Io venni al mondo in tristissimi tempi, ed educato alla meglio seguii modestamente l’arte del padre mio, che mi lasciò per patrimonio la volontà del lavoro e dello studio.
Oh piombi di Grecia il furor, se mite mi doni un sorriso s’io bacio la chioma tua d’or !
Ser.mo Sig.re mio Sig.re e Pron. sempre Coll.mo Questa passata notte alle X hore mi sono comparse le lettere di V.
Io Antonio Rico Bon mi confermo uero e legitimo Debitore et obliga ogni mio Avere.
Egli stesso con amorevole modestia scriveva, a' primi del '900, di sè : « …. lo studio mi aveva reso più forte nelle interpretazioni, ma io adesso posso confessare candidamente che come ho recitato gli ultimi anni in Compagnia Morelli-Pieri non reciterò mai più.
Nell’atto V della medesima commedia dice un dissoluto a una dama: «Grande era in me l’appetito delle vostre bellezze, ma grande ancor la paura che mi cagionava la vostra riputazione». […] Nel Laberinto del Mondo l’innocenza rappresentata dalla Graciosa che corrisponde alle nostre buffe e servette, avanti a Theos ch’é Gesù Cristo venuto su di una nave a redimere il mondo, dice del mare: … Por mi cuenta he hallado, Que no es gracioso el mar, aunque es salado Mas fuera dicha suma, Que el chocolate hiciera tanta espuma; il che pruova una grande antichità del cioccolato. E queste sono le colpe leggieri degli auti, per le quali mi é piaciuto di darli in parte a conoscere più che per gli gravi inconvenienti che risultano dall’analizzare certe materie dilicatissime ed esporle con interpetrazioni e raziocini arbitrari e sofistici.
[Sez.II.1.2.32] Mi rimarrebbe a parlar della rima. […] Non rincresca al lettore, ch’io mi richiami sì spesso al gusto de’ Greci. […] Aristea: Perché così mi dici, / anima mia perché? […] / tu mi trafiggi il cor! […] / tu mi trafiggi il cor!»
Quando si rappresentò per la prima volta la commedia del Malvagio, mi ricorda (scrive colla solita ingenuità l’eloquente filosofo GianGiacomo Rousseau) che non trovavasi che il principal personaggio corrispondesse al titolo.
Bon, cominciò a essere da lui protetto ; tanto che fu accolto nella Compagnia con due lire austriache al giorno, nella quale esordì a Parma col semplice annunzio : « Signor Conte, la carrozza è pronta : » annunzio che egli, ad attenuare la triste figura che avrebbe fatta d’innanzi a’compagni, allargò nel modo seguente : « Signor Conte, sapendo che Ella doveva andare in città per disbrigare molte faccende importanti, mi sono dato tutta la premura per fare approntare la carrozza ; e quando Ella comanda, è prontissima ed a sua disposizione.
A. potrà sapere ; et di più per haver saputo che 'l mobile che è nella suddetta casa, è maggior parte mio et che io lo vorrò quando mi tornerà comodo.
Attrice, cantante, danzatrice, schermitrice esimia, e conoscitrice perfetta di più lingue, ispirò non poche poesie, che metto qui testimoni del valor suo e della sua virtù, e che mi furon gentilmente comunicate dal chiaro amico A.
Fra le testimonianze del valore artistico di Cammilla mi piace di riferir quello di Carlo Goldoni.
Mi ristringo solo a domandare, se pare al Sig. […] Mi dica solo; questa trasformazione de’ Dialoghi del Roxas su la vita de’ Commedianti Spagnuoli in Istoria Teatrale antica e Spagnuola, è un errore di lettura, o malignità?
Sul mio primo apparire alle tue case Tu mi accogliesti appena Con un cotal sorriso, A cui non rispondea per gli occhi il core. Poscia nell’abbracciarmi Colle braccia cadenti Non mi stringesti al seno, e dall’estreme Delle gelate labbra Parve cader, non iscoccare, il bacio.
E questo mi par provi in quale stima fosse tenuto da S. […] Di questo mescolamento mi dà grande speranza Luigi Riccobuoni detto Lelio Comico, che con la sua brava Flaminia si è dato non solo ad ingentilire il costume pur troppo villano de' vostri Istrioni, col rendere l’ antico decoro alla comica professione, ma recitando insieme co'suoi compagni regolate e sode tragedie, le rappresenta con vivacità, e con fermezza conveniente ai soggetti, che tratta, dimodochè potete voi dargli il giusto titolo di vero Riformatore de' recitamenti Italiani.
Castilleso Castillejo p. 97. v. 32. ne rinfaccia mi rinfaccia p. 100. v. 3. dal Naarro del Naarro p. 100. v. 20. di un buon in un buon p. 104. v. 25.
Recitava con somma abilità una commedia intitolata : La Pazzia ; talchè Andrea Baruzzi volle onorare i suoi meriti col seguente sonetto tolto alle rime di lui, stampate in Verona per il Rossi l’anno 1675 : Beato esser credea col suo bel volto, e poi mi diede un infernal dolore, poichè con finti vezzi a me rivolto, da dovero il crudel m’impiagò il core.
Marini [http://obvil.github.io/historiographie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img042.jpg] Al finire della sua vita artistica, il Corriere della sera di Milano del 14-15 febbraio dedica al caro artista un lungo articolo dal quale trascrivo i seguenti brani che mi par compendino in poche parole le belle e rare doti di lui.
Fu estremamente gustato ed applaudito, e mi feci un vero piacere di dar a lui tutto il merito dell’imaginazione.
A dare un saggio della mente poetica e della prontezza di spirito di Iacopo Corsini, metto qui le tre ottave cantate nelle tre recite delle Donne curiose : 22 maggio 1778 Quanto rider mi fe’ quell’ assemblea di Donne fisse all’ uscio unitamente, che una dal posto l’altra rimovea, e l’altra l’una ne traea sovente ; felice era colei che più vedea dallo spiraglio la racchiusa gente : e ve n’era una sì ostinata e dura che ceder non volea la sua fessura.
Mi sovviene, che rappresentandosi il mio Bellisario (in cui sosteneva egli un tal personaggio), nella scena tenera e dolente, in cui comparisce senz'occhi, con un bastone alla mano, moralizzando sulle vicende umane, diede un colpo di bastone a una guardia per far ridere l’uditorio.
« Non mi chiedete – ella disse una volta – se io preferisca l’arte antica o l’arte moderna.
Partendomi da Vercelli mia patria l’anno 1596, mi accompagnai con un mont’inbanco sopranominato il Monferino, e passando per Augusta, o sia Aosta, città del Serenissimo di Savoja, questo Monferino chiese licenza di montar in banco al Superiore ; ma perchè non era in uso il montar in banco in quei paesi, il Superiore non sapea come deliberarne : però quello mandò da un Superiore spirituale, il qual negò la licenza collericamente, dicendo che non voleva ammettere le Negromanzie in quei paesi : il Monferino stupefatto, gli disse (come era vero) che non sapeva manco leggere, non che saper di Negromanzia : il Superiore gl’impose che non altercasse con parole ; che egli ben sapeva come si fa, e che in Italia aveva veduto ciarlatani prender una picciola pallotta in una mano, e farla passar dall’altra ; che un picciolo piombo entra da un occhio, e per l’altro salga, tener il fuoco involto nella stoppa buona pezza in bocca, e farlo uscir in tante faville, passarsi con un coltello un braccio, e sanarsi per incantesimi subito, ed altre cose del Demonio ; e non voleva che il Monferino parlasse, e da sè scacciollo, minacciandolo di carcere. […] Battista, Fidenzi Cintio, Malloni Maria, Zecca Niccolò), dice di sè stesso : Ed io più infimo di tutti, fui fatto dalla benignità di Ludovico il Giusto Re Cristianissimo soldato della sua guardia, e di maggior onore mi voleva far degno, s’io ambiva, come ne può far fede l’Ill.
Per Bacco (risponde) mi è giunto fino a’ piedi. […] (dice il Ciclope) il forestiere mi ha fatto bere, egli è quel perfidoNiuno,che mi ha privato del lume dell’occhio.
Per bacco (risponde) mi è arrivato fino a’ piedi. […] (dice il Ciclope) il forestiere mi ha fatto bere, ed è egli quel perfido Niuno che mi ha privato del lume dell’ occhio.
S. certo campo et pezzo di terra quale certo suo confinante fondato sopra cotesto statuto, intende di potere et uolere comperare, il che tornando in molto disconcio di detto Petrolino mi ha pregato ch' io uoglia raccomandarli questa sua differenza si come fo con tutto l’affetto dell’animo supplicandola a compiacersi per amor mio et per compiacerne me et obligarne singolarmente di derogare a detto statuto non comportando che contra sua uolontà uenga uenduto detto campo.
Mi conviene qui ripetere, che giusta il Casiri, gli Arabi non rappresentarono, secondo il costume Europeo, nè Tragedie nè Commedie, e che niuno Scrittore dice che ne avessero scritte.
Mi presi la libertà di farla rappresentar sulla scena da sè medesima.
A. mi dà una carità convenevole, volere andare a trovare la sacra M. della Regina sua sorella, e portarli un santo Ritratto qual dovevo portare alla felice memoria dell’ Imper.
Mi riconvenite ancora perchè dissi che in Italia alla prima piacquero i componimenti Spagnuoli, benchè purgati da’ difetti principali. […] Mi resta ancora un buon numero di savj nazionali, veri amatori della Patria, i quali riprovano quelchè l’Apologista prende a difendere; ma non vò stancare i miei Leggitori. […] Io non mi fermerò gran fatto su di ciò. […] “Oyes, oyes, tu alcahuete “a’ mi, quando yo callè “tu nombre, siendo muger “de estas que se usan ogaño, “donde el sentido comun “es el sentido del tacto?”
Quando sperava porre quì il termine a queste mie osservazioni antiapologetiche, mi veggo arrestato da alcune altre coserelle del vostro Volumetto in questa disamina, in cui mal volentieri mi occupo per quella breve famigliarità, che contraemmo, e che io bramo di conservare. […] Saverio, voi già non pretenderete, che io pieghi le spalle, e qual servo antico, mi riceva le vostre busse con istoica pazienza. […] (notate, Signor Lampillas: oh se leggeste, quante parole mi avreste fatto risparmiare!)
Egli mi ha fatto spesso ridere e piangere : effetti non facili entrambi da prodursi ora sul mio animo, almeno da un commediante. […] Delle sue tante lettere riferisco in fac-simile, ma un po' rimpicciolita, questa, indirizzata all’impresario Pietro Somigli, in cui è accennato al come si trovasse male nella Real Compagnia di Torino : alla quale si riferisce un’altra a Domenico Righetti da Torino, senza data, in cui risponde negativamente alla domanda di lui di voler conoscere il motivo della sua partenza dalla Compagnia, e conclude : « Ciò che ora mi ha determinato si è di tal peso che niuna cosa potrebbe rimuovermi, ed il maggior dispiacere lo forma il non potertene ora manifestare il motivo. » Recitando egli nel R.
Forse io solo tra gli Stranieri ho cercato con diligenza rinnovare di tali poche Tragedie la memoria: e questa cura, che non può al certo nascere da un animo avverso e invidioso delle glorie letterarie della Spagna, non mi ha salvato da’ morsi Lampigliani per quel poco di compassione da me mostrata.
Non mi fu dato rintracciare il titolo della commedia colla quale egli esordì : si sa solo che il primo Zanni della compagnia era Locatelli (Trivelino), e il secondo Biancolelli ; che, recitando con istraordinaria verità, finì col vincerla sulla recitazione raffinata, ma un po’manierata di Trivelino ; morto il quale, nel 1671, egli ne prese il posto, conservando la maschera di arlecchino, e diventando in breve l’idolo del pubblico.
Lascio finalmente agli altri le liti circa l’introduzione della rima nella poesia moderna, quantunque molte cose potrebbono forse in mezzo recarsi contro alle opinioni più ricevute degli eruditi, e mi restringo ad esaminare soltanto i vantaggi che ha la lingua italiana per la musica: circostanza che più d’ogni altra cosa ha contribuito all’incremento di essa, ai progressi della poesia drammatica, e allo splendore di codesto leggiadrissimo ramo della italiana letteratura. […] Mi contenterò d’osservare che in qualunque sentenza a cui ci appigliamo (nè trovasi alcuna, che alla proposta quistione in ogni sua parte risponda) il canto si distingue specificamente dalla voce pei seguenti caratteri. […] Nel far questa nota non mi sfugge quanto larga materia di riso abbia io preparato a’ zerbini, e a’ saccenti italiani; ma non mi sfugge altresì, che i saccenti, e i zerbini d’Italia sono, come quelli di tutti gli altri paesi, la più ridicolosa genia, che passeggi orgogliosamente sulla faccia della terra.
Ma onde sia venuta in mente a’ poeti siffatta idea; per qual istrano cangiamento di gusto una nazione sì colta sene sia compiacciuta a tal segno, che abbia nel teatro antiposta la mostruosità alla decenza, il delirio alla verità, l’esclusione d’ogni buon senso alle regole inalterabili di critica lasciateci dagli antichi; se il male sia venuto dalla poesia ovver dalla musica, o se tutto debba ripetersi dalle circostanze de’ tempi, ecco ciò che niun autore italiano ha finora preso ad investigare, e quello che mi veggo in necessità di dover eseguire a continuazione del metodo intrapreso, e a maggior illustrazione del mio argomento. […] A dir però qualche cosa non mi pare ch’errar potesse di molto chi le riducesse a’ capi seguenti. […] Altri disputerà quanto vuole per contrastar la loro opinione; io che l’attribuisco più che a mancanza d’ingegno al non aver gli organi ben disposti a ricever le impressioni del bello, mi contento di dire che siffatto giudizio non si sconverrebbe alle orecchie di Mida, il quale trovava più grati i suoni della sampogna di Pane che della lira d’Apollo.
Mi par di vederlo quando entrava in iscuola tutto burbero e accigliato ; eppure, al suo apparire, un lampo di gioia brillava nel viso di noialtri scapati. […] Che anzi, erano già molti anni dacchè al teatro del Pavone era stata posta la lumiera con quattro grandi pavoni dorati, che poi furono tolti perchè dalla sua luce si pavoneggiavano quei soli quattro animali, quando io nel 1843, assistendo ad una rappresentazione della compagnia Reale di Torino, trovai il teatro Carignano senza lumiera, e in cosi fitta oscurità, ch’ io distingueva appena la fisonomia di chi mi stava vicino, mentre la luce concentrata tutta sopra gli attori li faceva sembrare figure magiche, e la commedia era ascoltata con religioso silenzio.
In compenso i suoi caratteri mi sembrano pennelleggiati con molta vivacità. […] Che mi ha egli fatto? […] Questa macchina prediletta del teatro spagnuolo e dell’inglese, mi sembra nella tragedia francese meno artificiosaa dell’ombra di Dario ne’ Persi di Eschilo. […] Finchè io mi trattenni in Parigi l’autore avendo richiamato a se il suo componimento per ritoccarlo, più non curò di renderlo al teatro o di pubblicarlo per le stampe. […] Questi dice al Collega, perchè mi riveli in questo punto che Montcassin è mio rivale?
Io mi lsingava del contrario sin dal 1777: ma essa ha pure applaudito il Bouru bienfaisant, e non per tanto dopo tanti altri anni non osa rientrar nel camino della buona commedia e ne’ confini prescritti dall’invariabile Ragion Poetica.
Immaginarsi la gioia di entrambi : Colombina gli fe’dono d’un suo ritratto in miniatura, del quale aveva già fatto promessa per lettera, e sul quale egli scrisse la seguente ottava : Già fu il mio primo nome d’Isabella, Franchini nel cognome fui chiamata, Colombina tra’comici son quella, Ch’ora qui tu rimiri effigiata, Mi mutai di Franchini in Biancolelli, Quando in Francesco già fui maritata : Vedoa restai, & hora non son più, Che son moglie a Buffet Carlo Cantù.
eppure mi fu narrato da un antico cuscinario di platea che ne ebbe il danno, essendo tre gli addetti a portare i cuscini in platea.
Questi è il solo valente artista con cui, nella mia carriera teatrale, mi sia trovato in contatto fino che non fui aggregato alla drammatica compagnia al servizio di S.
Circa furberia La lassa far a mi, che per servirla, metterò in ordine la balestra delle furberie ; tirerò la corda dell’inganno ; piegherò l’arco dell’astuzia ; metterò la balla delle invenzion, la scaricherò colla violenza dei raggiri ; la raccomanderò ai vento dei strattagemmi, per far che la colga nel segno dell’ardente suo desiderio.
Passerò quindi alle considerazioni che mi sembreranno opportune circa il costume, circa l’elocuzione e circa il metro. […] La Polissena del Marchesi mi pare che fra l’altre lasci assai prevedere il suo esito. […] Non mi ricordo d’avere osservato tra francesi qualche viziosa frequenza che nelle tragedie di monsieur de La Fosse. […] Al qual proposito mi sovviene esser parimenti biasimevoli alcuni per una ostentazione vana d’erudizione. […] Pubblico e catarsi», in «Mai non mi diero i Dei senza un egual disastro una ventura».
Secondo lei gli attori mi sarebbero grati di tutto cuore se mi mettessi all’opera ed elaborassi una teoria dell’azione mimica100. […] Mi stanno In mente ancor, bench’io fanciul partissi, Queste mie soglie. Il giusto cielo in tempo Mi vi rimena. […] Ed ei mi trafugava Per quella porta più segreta, tutto Tremante: e dietro mi correa sull’aure Lungo un rimbombo di voci di pianto, Che mi fean pianger, tremare, ululare, E il perché non sapea. […] E dietro mi correa sull’aure Lungo un rimbombo di voci di pianto, Che mi fean pianger, tremare, ululare.
Ma chi si attacca alla falde della mia veste, e mi trattiene?” […] Il caro padre che mi ha rilevata, prenderà di te cura nella guisa che io ho fatto, poichè ci saremo separati.
Pure io mi credo di rinvenirne i principi in una festa solenne celebrata in Cusco.
Del Buonarrotti il giovane e de’ di lui drammi leggasi quanto ne dice il conte Mazzucchelli, a cui si può aggiugnere il giudizio, che della Tancia portò il Nisieli in questa guisa: Ridicolosa, accomodata e ingegnosissima invenzione mi par quella dell’ autor della Tancia commedia, ove per cori all’usanza delle antichissime commedie de’ Greci, inventò alcuni intermedj nel fine d’ogni atto, i quali contengono fragnolatori, uccellatori, pescatori, e mietitori, tutte persone opportunissime alla scena, e convenevolissime al subjetto rusticano.
Il 5 gennaio 1830 scrive da Firenze : mi sono state date 10 commedie da leggere.
Ed ora metto qui la terza e quarta ottava, che traggo da un suo poemetto, non citato da alcuno, ch’io mi sappia, il quale ci dà un’ idea dell’ ingegno poetico di lui, e del tipo ch’ egli rappresentava in teatro.
Quanto poi al Rosa (aggiugne il citato Baldinucci che ciò racconta) non è chi possa mai dir tanto che basti, dico della parte ch’ei fece di Pascariello e Francesco Maria Agli negoziante Bolognese in età di sessanta anni portava a maraviglia quella del Dottor Graziano, e durò più anni a venire a posta da Bologna a Firenze lasciando i negozii per tre mesi, solamente per fine di trovarsi a recitare con Salvadore, e faceva con esso scene tali, che le rise che alzavansi fra gli ascoltatori senza intermissione o riposo, e per lungo spazio, imponevano silenzio talora all’uno talora all’altro ed io che in que’ tempi mi trovai col Rosa, ed ascoltai alcuna di quelle commedie, sò che verissima cosa fu che non mancò alcuno che per soverchio di violenza delle medesime risa fu a pericolo di crepare.
…………… …………… ……… o delle Muse verace figlia, e delle Grazie alunna, a Te mi volgo, in Te conforto e speme giovami por ; che Tu Roscia de' palchi, Tu del bello imitar casta, decente, affettüosa, amabile, maestra farai le scene di lor meglio accorte ; e sarai vivo specchio, in che guardando attori e spettator, prendano forma d’ogni sincera teatral virtude.
Imperocché ove la musica non mi farà sentire che intervalli, consonanze, proporzioni, accordi, e rapporti, ove tutta la sua possanza si ridurrà a titillare unicamente i nervi auditori con certe vibrazioni metodiche e insignificanti, io applaudirò bensì alla scienza del musico, ammirerò quell’algebra sonora, come ammiro i calcoli di Ricatti e d’Eulero, goderò tinche dello stesso materiale diletto che mi arrecano i gorgheggi d’una lecora o d’un canario, ma rassembrerò altresì a que’ vecchi descritti da Omero, che formavano il consiglio di Priamo, i quali ammiravano la bellezza di Elena senza sentirsi commossi, perché non vi ravviserò punto quel principio d’imitazione, che di tutte le belle arti ne è il fondamento, non troverò alcun segno di convenienza tra gli accordi armonici e le mie proprie affezioni, né sentirò ricercarmi l’anima e il cuore da quei movimenti improvvisi e forti, che dalle arti di genio ha ogni uomo sensibile diritto di esigere. […] Non essendomi permesso il nominar tutti, mi restringerò a due soli, che successivamente riempirono di stupore e di meraviglia i teatri. […] [22] A queste due mi si permetta aggiungere una terza, di cui farò in particolar modo menzione meno pel merito del suo canto che per un altro più insigne e più rispettabile agli occhi del filosofo.
In compenso i suoi caratteri mi sembrano pennelleggiati con molta vivacità. […] Io mi volgo piangendo a Dio (dice Zaira) ma, o Fatima, ben tosto les traits de ce que j’ aime Se montrent dans mon ame entre le ciel & moi. […] Che mi ha egli fatto? […] Stravagante, e senza utilità pel tiranno mi sembra la seconda scena dell’atto V, in cui egli vien fuori unicamente per dire all’ardito eroe: vieni a piè dell’altare Me jurer à genoux un hommage éternel. […] Questa machina prediletta del teatro spagnuolo e dell’inglese, mi sembra nella tragedia francese meno artificiosa38 dell’ombra di Dario ne’ Persi di Eschilo.
Il cuor mi scoppia; Tardi ne piango. […] Por eso, quando ha dicho algo Mi madre sobre buscarme Destino, se lo he quitado De la cabeza . . .
Nell’atto V della medesima commedia un cavaliere dissoluto dice a una dama: ”Grande era in me l’appetito delle vostre bellezze, ma grande altresì il timore che mi cagionava la vostra riputazione.
Nell’atto V della medesima commedia dice un cavaliere dissoluto a una dama: “Grande era in me l’appetito delle vostre bellezze, ma grande altresì il timore che mi cagionava la vostra riputazione.
Bartoli – i suoi modi graziosi e la di lei teatrale abilità forse non del tutto al teatro saranno tolti, essendo sparse alcune voci, che ci fanno sperare di rivederla ben presto sulle scene d’Italia. » Ma dal 1781 in poi non mi fu dato rivederne il nome in alcun elenco.
A proposito della quale mi sia lecito por qui una quistione.
Quanto or mi rivedete, quanto da me diversa, Non di lagrime liete, ma di funeste aspersa! […] Ultimamente vi si é impressa e rappresentata parimente con applauso un’altra commedia degna di nominarli tra le buone «per essere (mi scrive un letterato che fa onore all’Italia) molto bene scritta, ben condotta, e ben condita e cospersa di sali naturali». […] L’anima mi trafigge, e non sel crede. […] Metastasio é quegli, ……………… Alla cui mente spira Degli erranti fantasmi ordinatrice Aura divina, e ch’or nel molle Sciro Or d’Affrica sul lido, ora mi pone Sull’aureo Campidoglio, ed or di speme Or di vani terrori il petto m’empie.
Se quest’ultima notizia è vera (di che non mi si è presentato sinora verun documento), non sarà avvenuto perchè Medea è malvagia e Giasone un perfido. […] Sola mi avanza (E il miglior mi restò) la mia costanza. […] Le chiome in fronte Mi sento sollevar.
Io nato Son di cui non dovea: ho un letto offeso Cui d’innalzar anco un pensier fugace Era scelleratezza: il giorno ho tolto A chi mi diè la vita. […] L’opinione ch’io porto sulle novità introdotte di mano in mano da Tespi, da Eschilo e da Sofocle intorno agli attori, si allontana dal l’avviso di molti valorosi critici, e mi è questa volta paruto espediente additarne a’ miei leggitori la ragione.
(L’anima mi trafigge e nol sel crede!) […] Ah voi tacendo, Sento dir, tu mi sei madre, Nè colui mi generò.
Se quest’ultima notizia è vera (di che non mi si è presentato sinora verun documento) non debbe essere avvenuto perchè Medea è malvagia e Giasone perfido e senza onestà. […] una res superest mihi, Odium tui; la qual cosa vedesi da Metastasio emulata, … Sola mi avanza (E il miglior mi restò) la mia costanza. […] Ciò è stato nobilmente imitato da Metastasio nel Demofoonte, e forse migliorato per la facilità maggiore di rinvenirvi i rapporti de’ gradi di parentela: …..Le chiome in fronte Mi sento sollevar; Suocero e padre M’è dunque il re!
Quel pregevole ufficioso letterato mi avvertì che le reliquie indicate sono opera de’ bassi tempi; e ciò si rileva dal lavoro troppo minuto nelle cornici di alcune basi di colonne colà rimaste.
Vi entrai di punto in bianco primo attor giovine ; e ricordo che in una recita di prova al Valle di Roma, del Suicidio di Ferrari, Novelli, col quale ci legammo da bel principio di forte amicizia sin qui immutata, mi dettava, dirò così, di tra le quinte, la controscena dell’ultimo atto avanti il riconoscimento del padre.
Che mi rileva errar per gli ermi boschi che contiene cinque stanze colla rigorosa legge del metro regolare. […] Lo stile è nobile ma lirico come quello di tutte le altre; e l’azione, benchè non mi sembri abbastanza interessante, è pure regolare.
Dovè parimente cantarsi la canzone di Selvaggio nell’atto I, Che mi rileva errar per gli ermi boschi, che contiene cinque stanze colla rigorosa legge del metro regolare. […] Lo stile è nobile, ma lirico come quello di tutte le altre; e l’azione, benchè non mi sembri molto interessante, è pure regolare.
Graziosa è la di lui determinazione di non voler suscitare una guerra civile contraddetta dall’aria tutta minaccevole, nella quale paragona se stesso al mar tempestoso, e medita vendetta, e nella seconda parte, che non ha che fare col primo pensiere, si dice, Sin tus perfecciones serà à mis pasiones dificil la calma, quando à mi alma la quietud faltò.
Degne di essere singolarmente notate mi sembrano le seguenti scene: la terza dell’atto II piena di pitture naturali del gran mondo di Parigi; la settima dell’abboccamento di Valerio con Cleone; la nona dell’atto III che contiene un giuoco di teatro, in cui Cleone sottovoce ora anima Valerio a farsi credere uno stordito, ora fa notare a Geronte le di lui sciocchezze ed impertinenze; mentre che Valerio adopra tutta l’industria per riuscire a screditar se stesso; e Geronte s’impazienta, freme, si pente e risolve di rompere ogni trattato. […] Nel loro gestire apparisce certo non so che di originale e di facile che mi diletta, e diletterebbe ognuno se non venisse sfigurato dal loro dialogo insipido, e dall’intreccio assurdo» . […] Degli attori La Rive, Manhove ed altri simili, mi rimetto a quanto ne accennano Despazes nelle Quattro Satire, e Piniere nella sua Le Siècle.
Ed io mi ricordo, in occasione di uno di quei sepolcri che soglionsi fare in Bologna, di alcune grossolane pitture di quadratura ch’erano su per li muri della chiesa, e di alcune statue che meglio si direbbero fastellacci di carta, le quali ricevendo similmente il lume a traverso di certe carte oliate poste ne’ lunettoni, parevano finite con l’anima, benché vicine all’occhio, e di purissimo marmo.
Gli attori però sono tutti Americani, e tra essi intorno a cinque o sei lustri indietro (per quel che mi narrò in Madrid un negoziante di Cadice che vi avea passata una parte della vita) spiccava una bella e giovane attrice figliuola di una Peruviana e di un Italiano chiamata Mariquita del Carmen, e conosciuta pel soprannome di Perrachola.
Pari verità e sobrietà di stile e giudizio si scorge nell’imitazione del Ciclope di cui mi sembra singolarmente notabile il Coro dell’atto I da noi tradotto e recato nel t.
Gli attori però sono tutti Americani, e tra essi intorno a diciotto anni fa (per quel che mi narrò un negoziante di Cadice che vi avea passata una parte della vita) spiccava una bella e giovane attrice figliuola di una Peruviana e di un Italiano chiamata Mariquita del Carmen, e conosciuta pel soprannome di Perra-chola.
Mille pruove di fatto mi fornirebbe la storia loro se il mio scopo fosse quello di far pompa d’erudizione121. […] S’io volessi fare un processo formale alla nostra musica, larga messe mi si presenterebbe di riprensione disaminando l’imbarazzata e difficil maniera d’impararla, l’imperfezione delle chiavi che servono di regola all’armonia, i vizi radicali del nostro solfeggio, e la falsità di tanti principi ricevuti come incontrastabili unicamente perché nessuno ha voluto chiamarli a contrasto. […] Ma siccome a sviluppar bene tante e sì spinose materie vi si vorrebbe un intiero volume, e che altronde il fermarsi su tali cose non è necessario al mio assunto, così mi restringerò a toccar brevemente quei difetti che nella nostra musica impediscono, secondo il mio avviso, i maravigliosi effetti che dovrebbono attendersi dalla sua unione colla poesia. […] I loro racconti mi sembrano avere la stessa autorità che le Relazioni del famoso inglese Valtein Raleing sul paese del Dorado nel Perù.
Tragico é lo stato di Torrismondo, e disperato il suo amore: ………………………………… Ove ch’io volga Gli occhi, o giri la mente e ’l mio pensiero, L’atto che ricoprì l’oscura notte, Mi s’appresenta, e parmi in chiara luce A tutti gli occhi de’ mortali esposto. Ivi mi s’offre in spaventosa faccia Il mio tradito amico: odo le accuse ec.
Degne di essere singolarmente notate mi sembrano le seguenti scene: la terza dell’atto II piena di pitture naturali del gran mondo di Parigi; la settima dell’abboccamento di Valerio con Cleone; la nona dell’atto III che contiene un giuoco di teatro di Cleone il quale sottovoce ora anima Valerio a farsi credere uno stordito, ora fa notare a Geronte le di lui sciocchezze ed impertinenze; mentre che Valerio adopera tutta la sua industria per riescire a screditar se stesso, e Geronte s’ impazienta, freme, si pente e risolve di rompere ogni trattato. […] Nel loro gestire apparisce certo non so che di originale e di facile che mi diletta, e diletterebbe ognuno se non venisse sfigurato dal loro dialogo insipido e dall’intreccio assurdo”.
Posso dire di doverle molto, poichè, soccorso dal ricordo di quanto le vidi fare, mi son servito bene spesso de' suoi giuochi di scena e di fisionomia.
Queste imprese, secondo che io mi avviso, cantavansi da’ ciarlatani così denominati, siccome ben osserva il Muratori, dal cantare che per lo più facevano, le gesta di Carlo Magno.
Ma per quante ricerche abbia io fatte affine di verificar l’epoca indicata dal Grillo non mi è avvenuto di poterlo fare, né ho ritrovato notizia alcuna del dramma musicale avanti ai tempi di Carlo Secondo, nelle nozze del quale con Marianna di Neoburg si rappresentarono alcuni drammi colla musica del Lulli, il primo dei quali fu intitolato l’Armida.
e si consola dell’eccesso con questa scandalosa ragione: Porque si yò la matare, morirà christianamente, yò morire penitente, quando mi fuerte llegàre.
Io colla mia debolezza mediterò, ridurrò a metodo le osservazioni della poesia teatrale e della pronunciazione; Voi mi animerete col l’assiduità ed attenzione, ed eseguirete a suo tempo componendo e rappresentando con mira di sorpassare le mie speranze ed i miei voti, e di erudirvi ne’ greci esemplari, per corrispondere coll’evento felice alle paterne provvide cure de’ grandi Cittadini che vi governano.
Se io pretendessi difendere gli abusi del nostro Canto, non mi varrebbe l’antico esempio, e direste bene. […] Io mi esibisco a mostrare, quando che il desideri qualche incredulo Ant’Italiano, che un’ Opera stessa del Zeno, o del Metastasio tante volte posta in Musica, si può, senza alterarla nella Poesia, animare colle novelle idee circa la Musica, riducendola alla verità, senza veruno de’ difetti musici.
L’amor d’Oreste, e quello d’Elettra mi sembrano il fianco debole di tal componimento, mentre essi con pena del leggitore lo distolgono da un oggetto che tutto lo debbe occupare, e accrescono circostanze che gli rendono penosa l’attenzione senza aumentar l’interesse dell’azione principale. […] Diderot) rappresentano con più franchezza de’ francesi… Nel loro gestire apparisce un certo non so che d’originale e facile che mi diletta, e diletterebbe ognuno, se non venisse sfigurato dal loro dialogo insipido e dall’intreccio assurdo».
Io nel fior degli anni miei ascoltai cantare per le chiese di Napoli el tiple (il soprano) Pepito castrato Spagnuolo, prima che mi recassi in Ispagna e poi il rividi, ed ascoltai in Madrid per più anni in compagnia di Narciso, di Pellegrino ed altri più oscuri castrati tutti Spagnuoli.
Fontenelle: la celebre frase «Sonata perché mi ossessioni?»
tu mi guasti il soïons amis, Cinna, potendosi bene un uomo clemente indurre a perdonare una persona spreggevole, ma non già a divenire amico di chi manca di merito e di virtù.
Ireneo Affò, da cui mi fu in Parma cortesemente comunicato nel 1779.
Ireneo Affò, da cui mi fu in Parma cortesemente comunicato.
Aspettate, e ditemi per grazia; mi sapreste insegnare dove potrei trovare dodici bottiglie di vin vecchio di Cipro, che ho finito il mio?
tu mi guasti il soyons amis Cinna.
una res superest mihi, Odium tui, emulato dal Metastasio, ……………… Sola m’avanza, (E ’l miglior mi restò) la mia costanza. […] Le mostruose nozze con Giocasta son ben espresse dal medesimo Edipo: Avi gener, patrisque rivalis sui, Frater suorum liberum, et fratrum parens; Uno avia partu liberos peperit viro, Ac sibi nepotes; il che si trova nobilmente imitato dal Metastasio nel Demofoonte: Le chiome in fronte Mi sento sollevar.
Io che mi risento più d’ogni altro degli abusi del nostro teatro di musica, più d’ogni altro vi son tenuto del coraggio col quale ne intraprendete la cura.