Io devo nove scudi a un certo Ravioli, perchè mi fece credito sei sacchi di fagioli, e più diciotto scudi a un certo Rangortoni per salame, presciutto, salacche e peperoni. […] Si fece porta alle sei e mezzo e si cominciò alle sette e mezzo.
I primi studi egli fece a Lugo ov’erasi trasferita la famiglia, ma poi fu mandato a Bologna a perfezionarsi nell’arte d’ingemmare. […] Angelo Brofferio nel Messaggere torinese lamentava così il tristissimo avvenimento : Una gravissima perdita fece ne’scorsi giorni il Teatro drammatico italiano nell’ artista Luigi Gattinelli, il quale dopo Luigi Vestri era caratterista a nessuno secondo.
Di mente svegliatissima, egli fece ottime prove non solamente nella lettura di classici greci e latini, ma anche nell’arte del disegno. […] Quest’attore si applicò quasi esclusivamente alle tragedie del grande Alfieri, e fu dei primi che le fece assaporare sui pubblici teatri, ed in queste sviluppava tutte le sue qualità fisiche e morali.
Nella corte di Ferrara, dove fin dal secolo precedente fiorirono gli spettacoli scenici, il duca Alfonso da Este fece innalzare un teatro stabile secondo il disegno che ne diede l’immortale Ludovico Ariosto.
Talora l’esquilibrio della mente lo fece nervoso, intrattabile.
Ricoveratosi a Venezia, si fece maestro di recitazione, finchè, vinto dagli anni e dai fastidi, abbandonò il mondo la mattina del 9 febbraio 1898.
Era anch'egli a Parigi nella Compagnia del 1653, in qualità di secondo amoroso, sotto il nome di Virginio ; e, morto il padre, tornò a Modena, ove si fece Carmelitano scalzo.
[1] La universale ignoranza che oppresse l’Italia dopo la venuta de’ barbari, comechè danni gravissimi recasse a tutte le arti e le scienze, di niuna fece peggior governo che della musica. […] Cotal rinforzamento unito alla più lunga dimora della voce sulle rispettive sillabe, che ne era una conseguenza, fece rallentar tutti i’ tuoni, frapporre più lungo intervallo tra i passaggi non meno di sillaba a sillaba che di suono a suono, e alterar così la durata de’ tempi tanto nella poesia quanto nella musica. […] Fu dunque necessario trovar la maniera di significar non solo la differenza del tono, ma anche la durazione dei tempo in una nota rispetto all’altra, e ciò si fece colla diversa figura, che si diè ad esse note, la quale segnava il loro rispettivo valore; dal che ebbero origine la massima, la lunga, la breve, la semibreve, e la minima. […] Cotal abuso di consonanze e di dissonanze introdotte nella musica ecclesiastica servì a infrascarla a segno, che papa Giovanni XXII si vide astretto a proibirne la maggior parte, e a determinar il numero e la qualità di quelle che potevano usarsi, come fece con bolla espressa che trovasi fra le stravaganti. […] L’ignoranza di quei tempi fece altresì che i poeti destinati a comporre i motteti o gli inni li lavorassero senza la menoma idea di buon gusto, ond’è che ricercavansi da loro le parole più barbare, s’usavano i metri più esotici mai non ricevuti nell’idioma latino, e si riempivano di sentimenti inettissimi, o incompatibili fra di loro37.
Ma non essendo fornito abbastanza di quel talento, né di quella cognizione della musica antica, che abbisognavasi per così gran novità, e ignorando l’arte d’accomodar la musicabile parole nel recitativo, altro non fece che trasferir alle sue composizioni gli echi, i rovesci, le ripetizioni, i passaggi lunghissimi, e mille altri pesanti artifizi che allora nella musica madrigalesca italiana fiorivano. […] Il grido che questo musico avea levato fece parlar molto di lui, e del suo tentativo massimamente in Firenze in casa di Giovanni Bardi de’ Conti di Vernio, cavaliere virtuoso e liberale, di gran cuore, d’ottimo gusto, di gentilezza somma, di molta cognizione in ogni genere di lettere e conseguentemente stimatore giusto, e amante de’ letterati, a’ quali ogni aiuto e favore somministrava: qualità tutte che per la difficoltà di trovarsi riunite in una sola persona rendono egualmente stimabili ma forse più rari i veri mecenati che i veri geni. […] L’osservazione replicata di tal fenomeno fece considerar essi suoni come parti costitutive dell’armonia. […] Lo studio delle cose antiche fece loro conoscere che quella sorte di voce, che da’ Greci e Latini al cantar fu assegnata, da essi appellata “diastematica” quasi trattenuta e sospesa, potesse in parte affrettarsi, e prender temperato corsa tra i movimenti del canto sospesi e lenti, e quelli della favella ordinaria più spediti e veloci, avvicinandosi il più che si potesse all’altra sorte di voce propria del ragionar famigliare, che gli antichi “continuata” appellavano. […] L’autore fu un modenese che fece la musica e la poesia, chiamato Orazio Vecchi, il quale non si dee confondere con Orfeo Vecchi, musico e maestro di Cappella nel medesimo secolo.
Soccorso poi da Seneca, fece colla Medea un saggio delle sue forze, e spiegò il volo verso il tragico più sublime, fino a quel punto sconosciuto in Francia. […] Finalmente una terza compagnia fece più fortuna, e rappresentò alternativamente colla compagnia francese nel Teatro di Borgogna, nel Piccolo Borbone, e nel Palazzo Reale. […] l’istesso ministro fece rappresentar nel Louvre Ercole Amante, che non piacque a’ Francesi202. […] Baltassarino, colà chiamato Beaujoyeux, uno de’ migliori violini italiani, mandato dal marescial di Brisac alla regina Caterina de’ Medici, la quale lo fece suo valletto di camera, vi avea introdotti i balletti comici. […] Euripide e Archippo aveano trattato per gli Greci questo soggetto, che Plauto poi fece conoscere ai Romani, e Molière ai Francesi.
In tutti due questi Teatri fece valere Antonio Sacco la di lui abilità, mostrandosi un comico fondatissimo nelle cose dell’arte, e comparendo grazioso, arguto, e nelle facezie e nei sali spiritoso e bizzarro. […] Quivi fu l’estate del '59, e fece una delle solite recite, perchè fosse continuata la grande opera del Portico di S. […] Sul cadere dell’ 88 egli morì sopra una nave nel tragitto da Genova a Marsiglia ; ed ecco come la Gazzetta Urbana Veneta del 19 novembre 1788, n. 93 dà l’annunzio del triste caso : Quest’uomo famoso che ammirare si fece sino a'confini d’Europa : che fu chiamato fuori d’Italia, dove non intendesi la nostra lingua : che volar fece il suo nome appresso tutte le nazioni dove conoscesi e pregiasi la comic’ arte : che nelle nostre parti rese col suo valore angusti al concorso i maggiori teatri, è morto indigente nel suo tragitto da Genova a Marsiglia e il suo cadavere soggiacque al comune destino de'passeggieri marittimi, d’essere gettato in mare.
Arcelli Emilia, figlia del precedente, allieva di Gustavo Modena, col quale fece le sue prime armi come seconda amorosa e dal quale se ne andò per assumere il ruolo di prima donna giovane con Domeniconi, a fianco della Fumagalli, dell’Aliprandi, della Cazzola, del Morelli.
Guerrazzi, che assai lo amava, fece la campagna del’66 insieme a’suoi compagni con Garibaldi.
Moglie del precedente e figlia di Antonio Cortesi (Corteza, o Cortezzi, non so se comico anch’esso, ma, al dir della moglie, discendente nientemeno che del famoso Fernando Cortez, che fece la conquista del Messico) e di Barbara Minuti, attrice italiana col nome di Florinda.
Quello, generico primario assai pregiato per correttezza di dizione, per aristocrazia di modi, per intelligenza e coltura non comuni, fu poi marito di Eleonora Duse, dalla quale separato, si allontanò dall’arte, per darsi alla vita politica e alla diplomazia, in cui fece ottima prova.
A una di quelle rappresentazioni volle assistere la Marchionni : e tanto fu colpita dalle chiare attitudini del Diotti, che lo fece conoscere a Carolina Malfatti, nota maestra, e a Rosa Romagnoli, celebre servetta.
Lavaggi fece poi società con Zerri ; poi, sposatosi a Giuseppina Boccomini, diventò capocomico solo, con varia fortuna.
Si unì poi in società col Meneghino Preda ; poi, abbandonato questi le scene, si fece capocomico solo, conducendo una compagnia, non primaria, ma che salì in grande rinomanza, per l’armonia artistica, l’allestimento scenico, la cura minuziosa con cui eran presentati certi drammi popolari, fra i quali Il gobbo misterioso, che procacciò al Monti guadagni non isperati.
Fu anche inventore di fuochi artificiali, che fece più volte per uso della Compagnia.
Sposatosi finalmente, fece parte della Società Internari-Paladini, e si recò del '30 a Parigi, lasciando la moglie malata in Italia presso la sua famiglia, sostituita per favore nel suo carattere di serva dalla moglie del caratterista Taddei.
La proferta della protezione morale alla Ricci, le fece fare una smorfietta di ringraziamento ; la proferta di quella materiale, le fece spalancar tanto d’occhi, e mandar fuori certi oh !
Qui allude senza dubbio a’suoi quattro figliuoli i quali fece tutti Religiosi in Ferrara, « coll’assistenza e mediazione — scrive Fr. […] Gridato poco men che al miracolo, il pubblico fece assai buon viso alla Compagnia, tanto che il teatro fu a ogni rappresentazione pieno zeppo di spettatori, e Beltrame fece assai più denari che non avrebbe fatti, senza quell’accidente.
La dimora che Moliere fece in corte contribuì all’aumento de’ lumi di lui intorno al cuore umano e a’ costumi nazionali, e disviluppò sempre più il suo discernimento e buon gusto, e ne migliorò lo stile. […] Alla quarta rappresentazione che se ne fece il di 17 di febbrajo, morì in sua casa questo principe della commedia francese, essendovi stato trasportato dal teatro moribondo. […] Moliere condusse diversamente quest’argomento, lo spogliò delle mostruosità originali, e vi fece una dipintura dell’empio dissoluto tutta propria del pennello di Moliere. […] Baltassarino indi chiamato Beaujoyeux, uno de’ migliori sonatori di violino italiano, mandato dal maresciallo di Brisac alla regina Caterina Medici, che lo fece suo valletto di camera, v’introdusse simili balli comici. Uno se ne ballò nel 1582 ch’egli compose per le nozze del duca di Joyeuse e di madamigella di Vaudemont ajutato nella musica da Salmon e da Beaulieu, e ne’ versi do Chesnaye, a cui Giacomo Patin pittore del re fece le decorazioni; di che vedasi il trattato del p.
Siccome narra il Sansovino nella descrizione di Venezia pag. 168, fu favorito da Papa Leone Decimo in Roma, dove tenne il primo luogo fra’ Recitanti in iscena : onde per ciò fece acquisto del cognome del Terenziano Cherea.
Passò poi al ruolo de’ fratelli, nel quale non fu ad essi inferiore ; e sposatosi colla comica Malvina Simoni, egregia prima attrice giovine, si fece conduttore di una buona compagnia, in cui la moglie assunse il grado di prima donna assoluta.
Fu parte poi della Compagnia Pieri, e, cominciando a star male col petto, non fece che rare apparizioni sul teatro.
La cagione dell’andar Michelagnolo in Francia si fu, che essendo egli stato ascoltato da alcuni Signori Francesi in casa di un Titolato, parve loro tanto grazioso, come lo era in effetto, che ritornato in Francia ne discorsero in Corte, laonde s’invogliò di sentirlo il gran Re Luiggi XIV, allora giovane, e lo fece chiamare con onorato stipendio.
Fu socio per varj anni di Alamanno Morelli ; entrò in Compagnia dell’Adelaide Ristori, colla quale si recò fuor d’Italia, applauditissimo sempre ; e finalmente si fece egli stesso capocomico. […] In uno slancio di megalomania, profondamente convinto, non dubito, di farsi il grande benefattore dell’arte, se ne fece il monopolizzatore.
Bartolommeo Zamberti veneziano compose la Dolotechne, e Giovanni Armonio Marso la Stephanium commediaa, nella quale fece egli stesso da attoreb. […] Io non debbo dissimulare questo neo della tragedia del Tilesio; ma non è giusto poi lo spregiarla tanto, come altri fece, per tale episodio. […] Trasportò da Euripide Medea, Ippolito, le Baccanti, le Fenisse, il Ciclope; da Eschilo Prometeo; da Sofocle Elettra; dal Cristo paziente il suo Christus; da Aristofane il Pluto, e le Nubi; e con tal senno e garbo e buon successo egli il fece, che niuno de’ moderni latini drammi composti prima e dopo di lui può senza svantaggio venire a competenza colle sue libere imitazioni.
Trascelgo il breve cenno che ne fece l’artista Bon nel Bazar di Milano : adelia dei conti arrivabene La mattina dell’ 8 dicembre mori in Milano Adelia dei Conti Arrivabene di Mantova, giovine donna di bell’ingegno, di educazione fiorita e di generosi sentimenti. […] Pensar tu dèi che di chi fece il torto è più caro al Signor chi lo sostenne. […] L’Adelia, al fianco di un Puricelli, che sosteneva con singolare maestria le parti di primo attore, tanto da parere artista provetto, vi fece la prima attrice, acclamatissima dalla prima sera.
» Con tuttociò, pare che il Barlachia, citato sempre ad esempio come recitatore, non fosse, come tutti i suoi colleghi di scena un’arca di scienza : e nel Consiglio villanesco del Desioso (Siena, 1583) il dialogo comincia col chiedere scusa, per essere l’autore rappresentante, non letterato : « Chi fa l’arte che fece il Barlacchia non può come gli sdotti arrampicare. » A pagina 432 delle rime del Lasca curate dal Verzone (Firenze, Sansoni, 1882) abbiamo le due seguenti ottave : IN NOME DI CECCO BIGI STRIONE Alto, invitto Signor, se voi bramate ch’il Bigio viva allegro, e lieto moja, la grazia, che v’ha chiesto, omai gli fate, per ch’egli esca d’affanni e d’ogni noja ; ei ve ne prega, se vi ricordate delle commedie, ove contento e gioja vi dette già, e spera a tempo e loco farvi vedere ancor cose di fuoco.
Mi fece poi brevemente la narrazione delle sue avventure, che eran quelle di un povero diavolo ; e fini col dirmi ch’egli andava a Venezia, ov’era sicuro di far fortuna nel carnovale. » Povero Bassi !
18 » » Heri si fece nel palazzo del Sig.
[PAGE 153 MANQUANTE] l’importanza di una dizione drammatica, accentuata e vibrata nel canto, e rivelandole poi i misteri della Commedia improvvisa, nella quale essa fece in breve sorprendenti progressi.
De' moderni scrittori Michele Carrè fece rappresentare nel 1847 al Teatro Francese una commedia in un atto in versi, intitolata : Scaramouche et Pascariel, che ebbe ottimo successo.
Fu essa poi più tardi da un altro Francese rimpastata e riprodotta sulle scene, come diremo a suo tempoa, Quanto dunque comparve sulle scene francesi anche sotto Francesco I, era una mescolanza grossolana di satira, di religione e di scurrilità, che cominciò a scandolezzare e ristuccare il pubblico, e fece sì che i Confratelli perdessero il teatro, che tornò a convertirsi in ospedale. […] Pietro de Laudun Daigaliers fece stampare una sua tragedia Les Horaces; ma non avendola io veduta dir non saprei nè quanto egli dovesse a Pietro Aretino che il precedè coll’Orazia, nè quanto a lui dovesse Pietro Corneille che venne dopo dell’uno e dell’altro.
Quanto dunque comparve sulle scene francesi anche sotto Francesco I, era una mescolanza grossolana di satira, di religione e di scurrilità, che cominciò a scandolezzare e ristuccare il pubblico, e fece sì, che i Confratelli perdessero il teatro, il quale tornò a convertirsi in ospedale. […] Pietro de Laudun Daigaliers fece stampare una sua tragedia les Horaces; ma non avendola io veduta, dir non saprei nè quanto egli dovesse a Pietro Aretino che il precedè coll’ Orazia, nè quanto a lui dovesse Pietro Cornelio che venne dopo dell’uno e dell’altro.
Se i compositori che vennero dopo il Rinuccini avesser tenuto dietro alle pedate di quel grande ingegno, e con pari filosofia disaminato la relazione che ha il maraviglioso col melodramma, avrebbono facilmente potuto, dando la convenevol regolarità ed aggiustatezza alle lor favolose invenzioni, crear un nuovo sistema di poesia drammatica che aggradasse alla immaginazione senza dispiacer al buon senso, come fece dappoi in Francia il Quinaut, il solo tra tutti i poeti drammatici che abbia saputo maneggiar bene il maraviglioso. […] Ma il gran nome di Chiabrera legittimò tutti i difetti, e fece tacer ogni critica. […] Allo scoprirsi che fece il regio salone con grandissimo strepito di stromenti comparvero in cielo tutti gl’iddi propizi agli uomini, ciascun de’ quali cantò un breve recitatativo, cui rispondeva il coro. […] La musica fece il prologo. […] Mi fece Natura Nel viso Narciso E Marte in bravur: Pa-pa-ri è il valore alla bellezza: Io son colui, che taglia, buca e spezza.
Da ciò si deduce, che non vi è altro modo di rettificar le maschere moderne, che col bandirle d’un colpo dal teatro istrionico ancora, come si fece nelle accademie che coltivarono la commedia.
Da ciò si deduce che non vi è altro modo di rettificar le maschere moderne che col bandirle d’un colpo dal teatro istrionico ancora, ciò che si fece nelle accademie che coltivarono la commedia.
Ma egli adducendo d’ignorare una tal privativa e dichiarando, che dal momento che egli acquistò le sunnominate produzioni da altri comici, doveva necessariamente supporre, che fossero le medesime di piena loro proprietà, mi fece protesta di non credersi obbligato ad alcun compenso.
Non sappiamo se la triste e volgare stupidità gli abbia procacciato dolori ; ma dal Costetti sappiamo che sino a quando durò la società di lui coll’ Alberti, l’ impresa dei Fiorentini fece ottimi affari.
Ebbe l’incontro di dover recitare colla Maddalena Battaglia poco dopo comparsa in Venezia, e con essa fece maggiormente spiccare il di lui valore, sostenendo la parte d’Arsace nella Semiramide di Monsieur di Voltaire, e l’Amleto nella Tragedia di questo nome di Monsieur Ducis ; ambe tradotte da peritissimi Scrittori.
Venuto a conoscere la Gavardina, e offertole un posto nella compagnia, ch’ella subito accettò, la fece esordire colla piccola parte di Madama Giuseppina nel Medico olandese di Carlo Goldoni, da lei recitata con molta grazia – dice il Bartoli – e spirito non ordinario.
, V, 239) riferisce le parole del Barbieri, aggiungendo : « i quai privilegi gli fece pure il Duca di Mantova per li proprj suoi Stati ».
Il commercio fece stabilir le fiere; e la necessità di chiamarvi e trattenervi il concorso, v’introdusse le danze e i divertimenti. […] Il signor Apostolo Zeno di conosciuta erudizione, probità, ed esattezza istorica, ricavò da varie cronache, che in Padova nel prato della valle si fece una rappresentazione spirituale nel giorno di Pasqua di Resurrezione dell’anno 1243, o 1244120.
L'Impresa per sostenerla le fece rappresentare alcune tragedie da lei scelte, come la Rosmunda, la Medea ; ma il confronto colla signora Tessari era troppo fresco e la signora Pelzet cadde senza potersi alzare mai più ; tanto che ella stessa domandò di esser sciolta per l’anno venturo. […] — La si fece esordire dopo tutti gli altri artisti nuovi, come una generica, per lasciare che il pubblico accettasse qual vera prima attrice la Pieri-Alberti ; la si tenne inoperosa per molte sere ; le si fecero rappresentare varie parti nuove per lei e vecchie per il pubblico, non la si circondava dei migliori attori ; si trascuravano alcuni accessorj della scena ; le si faceva calare il sipario prima del tempo ; gli amici dell’ Impresa non l’applaudivano per non perdere l’ingresso di favore….
Quest’anima che tutto opera in simili posizioni consiste in renderle verisimili, naturali e necessarie; e tutto ciò manca all’ imitazione che ne fece nel suo Filosofo. […] Rinaldo Angelieri Alticozzi ne fece italiane tre, intitolandole il Testone, i Due Schiavi, e i Gemelli impresse nella Biblioteca teatrale di Lucca. […] Nato in tal città il celebre sig. avvocato Carlo Goldoni l’ anno 1707, che in età di otto anni fece una commedia, convinto in seguito delle irregolarità delle compagnie comiche Lombarde, educato dalle lettere a miglior gusto, ed avendo per buona sorte sin dall’età di 17 anni avuta nelle mani la Mandragola del Macchiavelli che lesse dieci volte, non tardò molto a desiderarne la riforma63. […] Havvi sei ordini di comodi magnifici palchetti al numero di 28 nel 4 e 5 ordine, e di 26 ne’ tre primi, e nel bel mezzo del secondo ordine si eleva il gran palco veramente reale e degno del Sovrano per cui si fece, e dell’Augusta Coppia che oggi forma la felicità de’ nostri paesi, e l’ornamento più caro de’ nostri scenici spettacoli. […] Ciò si fece con abbellirlo interiormente tutto di cristalli e di festoni pendenti di dipinta tela o di cartoni che siansi.
Oltre della traduzione ch’ella fece del Filosofo Inglese e del Don Quixote, e di varie sue poesie, ella compose pel teatro in più di un genere.
Di lei non abbiamo altre notizie che queste lasciateci dal Goldoni nelle sue memorie, che riproduco fedelmente per non sciuparle : …. la mia predilezione per le Cameriere mi fece fissare sulla signora Baccherini, ch’ era stata in quell’ impiego alla sorella di Sacchi sostituita.
La figlia maggiore, Giuseppina, sposata a un Ciabetti, attore mediocre, doventò la prima donna della Compagnia che suo marito formò nel 1835, e, specialmente nel Regno di Napoli, ebbe fama di attrice egregia ; l’altra, l’Elena, si fece conoscere, giovanissima, per buona servetta ; poi sposatasi al noto artista Nicola Medoni, divenne sotto a’suoi ammaestramenti prima donna di molto merito : morì in Genova a soli 35 anni.
Delle qualità della donna egli discorre così nella lettera dedicatoria : Quando dirò che una donna voi siete che fece onore al Teatro coll’abilità sua e col suo contegno ; che del medesimo nulla serbate, nell’ozio grato della vostra vita presente ; che alla vivezza dello spirito accoppiate la docilità del core, e alla finezza del discernimento l’indole di compatire ; che ne' divertimenti co' quali il secolo invita la freschezza della età vostra, mantenere sempre sapete la decenza muliebre, la eguaglianza de' modi, il tratto affabile, le maniere cortesi ; quando, ripeto, dirò tutto questo di Voi, non avrò dato che un saggio del vostro carattere, ma robusto di verità, mallevadori delle quali potranno farsi tutti quelli, che vi conoscono e trattano.
Scritturato da principio, si fece poi capocomico, interpretando acclamatissimo, in vario tempo, Don Cesare di Bazan, I Moschettieri, Cavalleria rusticana, Amleto, Romeo e Giulietta, Stormbeaten, La Causa celebre, Fromont e Risler, ecc. ecc.
Il miglior degli elogi gli fece nell’Italia di Napoli del 1865 (n. 189) Luigi Settembrini, il quale conchiudeva : « così si scrive, benedetto Iddio ; così lo scrittore ti afferra, e ti stampa nell’anima ciò ch’egli vuole. […] La Ristori fece inorgoglire gl’ Italiani delle loro domestiche glorie tanto ammirate fuori d’Italia ; Gustavo Modena, uomo di Plutarco, artista letterato, patriota e martire vero, fece nascere per l’arte drammatica un culto che non aveva avuto dapprima ; il libero pubblico italiano si affezionò ai suoi migliori allievi, e a quegli insigni che erano sorti a fianco della sua scuola, come la Ristori e il Morelli ; e poichè scarso era il numero dei grandi colleghi, diede la promozione in fama ed in paga agli artisti che più si appressavano a quelli, e spargendo anche sul teatro una tinta di patriotismo si vergognò di non accorrervi quando recitavano i più riputati artisti d’Italia.
La tragedia fu dedicata a Leone X, il quale con somma magnificenza la fece rappresentare prima dell’anno 1516 in Roma. […] Carlo ne fece una traduzione francese uscita in Parigi nel 1620, ristampata indi nel 1640, e di nuovo nel 1646. […] Il duca Alfonso d’Este, per farle rappresentare, fece alzare un teatro stabile secondo l’architettura diretta dallo stesso poeta; e furono eseguite a maraviglia, essendosi l’istesso Ariosto occupato a dirigerne la rappresentazione, e vi sostenne la parte del prologo, secondo che, ricavali dalle seguenti parole di Gabriele Ariosto, il quale terminò la commedia della Scolastica rimasta imperfetta per la morte di Lodovico avvenuta nel 1533. […] Né merita meno di esser mentovata quella del Bracciolini intitolata L’Amoroso Sdegno, come anche la Disperazione di Sileno e ’l Satiro di Laura Guidiccioni, dama Lucchese, rappresentata avanti al gran duca nel 1590, ai cui cori fece la musica Emilio del Cavaliere, romano. […] A quella favola pastorale il poeta medesimo fece poi gl’intermedi che furono dati alle stampe da Marco Antonio Foppa appié del secondo volume dell’opere postume del Tasso.
Parte del dramma esso non fece mai; è sempre forestiero nell’azione e il più delle volte ad essa ripugnante.
I primi passi nell’arte fece in compagnie di pochissimo conto ; ma il tempo del noviziato fu breve.
« Poldino, portati bene – disse una sera – l’altra volta si fece per chiasso, ma questa volta se ti mando via ’un ti ripiglio più. » E un’altra, alludendo alla minaccia di abolire lo Statuto : « Poldino, apri le Camere, se no ti finisce male. » E infinite della stessa risma.
Invitata da Adelaide Ristori, fece con lei un giro in Europa, festeggiatissima al fianco della gloriosa artista.
Il 9 febbrajo del 1522 fece a Venezia ai Crocicchieri gli intermezzi nella commedia di Philante inamorato in Caritea, recitata dal De Nobili (V.
Nel gennaio del ’70 vediamo il Ganassa prender parte alle nozze di Lucrezia d’Este in Ferrara, come è detto in questo brano di lettera riferito dal Solerti : con le confetture vi comparve Zanni Ganassa, e con un cinto in mano assai piacevolmente rintuzzò e fece cagliare un certo Ernandicco Spagnuolo…… Si recò la prima volta a Parigi nel 1571 colla sua compagnia, secondo un documento del 15 settembre pubblicato dal Baschet, ma pare non vi recitasse, per un divieto del Parlamento, non ostante le Lettere Patenti del Re di cui egli era munito.
Il ' 59 si fece conduttore di una Compagnia che intitolò Alessandro Manzoni, composta di una buona accolta di artisti, fra cui la Raspini, la Chiari, la Bianchi, la Miani, Venturoli, Giardini, Sobrio, Mazzocca.
Giovanni Rodriguez fece la Floriana che tratta degli amori del Duca Floriano con Belisea impressa nel 1544 in Medina. […] Se ne fece un’ altra edizione in Lisbona l’anno 1595 unita ad un’ altra commedia del medesimo autore da me non veduta intitolata Os Estrangericos, della quale edizione parla solo l’Antonio. […] Ma nè da lui nè dal Vega si fece menzione del dotto Toledano Giovanni Perez professore di rettorica ammirato da varii letterati Spagnuoli e dal nostro rinomato Andrea Navagero. […] Se ne sa solo che viveva in tempo di Carlo Quinto: che nel 1527 fece un opuscolo sulla nascita di Filippo II: che nel 1547 pubblicò una traduzione della storia di Paolo Giovio De Turcarum rebus intitolandola capricciosamente Palinodia: e che nel 1552 fe imprimere il riferito suo Giardino. […] Lampillas in punto di poesia drammatica si è accreditato di poco intelligente non solo colle sue critiche, ma colla scelta che fece di alcune commedie assai deboli e difettose nel voler mentovare le migliori della nazione; là dove l’avviso del Montiano al suo confronto ha troppo gran peso, tra perchè ne’ suoi Discorsi questo Spagnuolo mostrò saviezza, intelligenza e sobrietà, tra perchè come autore di due tragedie ben condotte è giudice competente in simili esami.
Riscalda ed avviva la stessa politica, come fece specialmente nel Sertorio e nell’Attila. […] Il più volte mentovato avvocato Saverio Mattei nel Nuovo sistema d’interpretare i tragici greci osservò ancora che la tragedia de’ francesi non è la tragedia de’ greci ; ma ne fece consistere la differenza nella mancanza de’ cori , la qual Cosa non là diversifica nell’essenza. […] Ciò si deduce dalla prima collezione che si fece de las Comedias de Don Pedro Calderòn da Don Joseph suo fratello, impresse in Madrid per Maria Quiñones nel medesimo anno 1636, non trovandosi fralle dodici che l’autore sino a quell’anno avea composte la favola del Tetrarca; la qual cosa sarebbe stata omissione rilevante, avendo tal componimento prodotto tutto l’effetto sulle scene. Noi al contrario possiamo più ragionevolmente assicurare, che se Calderòn non ebbe contezza della Marianna italiana composta cento anni prima, è ben più verisimile che l’autore spagnuolo tolto avesse questo argomento da’ Francesi, approfittandosi o della Marianne di Hardy rappresentata in Parigi nel 1610, o di quella di Tristano che fece recitare e stampò la sua prima che non comparisse il Tetrarca del Calderòn. […] Cirano di Bergerac nato nel Perigord nel 1620 e morto nel 1655 fece una tragedia della Morte di Agrippina, e nel personaggio di Sejano diede il primo esempio delle massime ardite usate poscia da moderni tragici della Francia con tal frequenza ed intemperanza, che, al dir del Palissot, ne sono essi divenuti ridicoli; or che diremo di certi ultimi Italiani che hanno portato al colmo questo difetto?
Da essa lettera, naturalmente, risulta evidente la onestà così di Angelica, proclamata dal compagno d’arte Leandro, come di lui homo dabene et che sempre fece onore alla sua patria, e la disonestà di Margherita, amante di Gasparo Imperiale, che, avuto il mandato di sfregiar nel volto l’Angelica, mentr'era in palco a recitare, lo aveva passato a un tal Piazza, che poi confessò tutto, non volendosi immischiare in sì losca faccenda.
Tentò la tragedia, alla quale sentivasi irresistibilmente trascinato ; e recitò l’ Aristodemo del Monti, o meglio, secondo il giudizio del padre, ne fece la parodia.
Nel 1864 egli fece erigere in Cuneo un teatro a proprie spese, e i trionfi durarono splendidi sino al '69.
Come direttore intelligente, valendosi del l’opera del l’architetto Agatarco, fece innalzare in Atene un teatro magnifico e assai più acconcio a rappresentare con decenza e sicurezza; là dove Pratina, e altri tragici del suo tempo montavano su tàvolati non solo sforniti di quanto può contribuire al l’illusione, ma così mal costrutti e mal fermi che sovente cedevano al peso e cadevano con pericolo degli attori e degli spettatori meno lontani. Eschilo abbigliò ancora le persone tragiche con vestimenti gravi e maestosi, fece ad esse calzare il coturno, e migliorò l’invenzione della maschera di Cherilo e di Frinico. […] Vuolsi in oltre che quando Eschilo si ritirò alla corte di Jerone, trovasse questo re occupato in riedisicare l’antica città di Catania rovinata da’ tremuoti cui diede il nome di Etna, e su di essa Eschilo fece un componimento poetico.
Un’altra rappresentazione se ne fece in Sassuolo con prologo del conte Fulvio Testi. […] Domenico Basile fece una traduzione napoletana del Pastor fido impressa nel 1628.
Pensò bene di mutar nome, e per conservare le iniziali ch’ egli aveva sulla biancheria, si fece chiamare Pellegrino Blanes. […] Figlio d’Arte dunque, il nostro Enrico fece le sue prime prove nei Due Sergenti, nell’Andromaca o Pirro e in altri lavoroni di simil genere che formavan la delizia de’pubblici d’allora, recitando or da maschio, or da femmina conforme se ne offeriva l’occasione.
Egli lo fece interiormente tutto rivestire di lamine di oro.
Si fece poi egli stesso conduttore di quella impresa, la quale dopo tre anni cedette ad Alamanno Morelli e Bellotti-Bon, e della quale restò sempre direttore, recitando ancora talvolta, benchè in età avanzata, la sua Trilogia di Ludro.
E in tempo di fiera si facevano, all’americana, sin cinque rappresentazioni nella sola mattina, cominciando alle 9, e rimandando il pubblico a ogni fin d’atto della stessa commedia, per dar posto al pubblico nuovo, talvolta accalcantesi alla porta d’ingresso, talvolta, il più spesso forse, costituito da pochi monelli : ma la scarsezza del pubblico non fece conoscer mai a quegli ottimi sciagurati il significato della parola forno nel gergo teatrale ; nè col forno nel significato suo proprio ebber mai troppa dimestichezza.
Fu l’anno dopo, 1576, che il Duca, forse a perenne ricordo di quella giocondità, omai dileguata per sempre, fece istoriare il soffitto della camera da letto, di cui diamo un saggio nella qui unita tavola colorata, e la grande Scala dei buffoni (Narrentreppe) con le più comiche e svariate scene della commedia dell’arte ; e di quella probabilmente rappresentata da Orlando di Lasso, da Giovan Battista Scolari e da Massimo Trojano, della quale ci ha lasciato quest’ultimo in un suo dialogo la descrizione particolareggiata.
Il primo anno fece società con Francesco Coltellini, da cui essendogli pervenute alla resa dei conti cinque o seimila lire di guadagno, oltre a quel tanto da vivere che s’ era assegnato giornalmente per sè e la moglie, si sciolse amichevolmente, e diventò capocomico solo, mettendo subito piede al primo teatro di prosa di Milano (ora Manzoni) il settembre, e all’Arena Nazionale di Firenze la primavera.
Nel 1883 — per un solo anno — fece parte della Compagnia Nazionale sotto Pierina Giagnoni.
In tutti gli oggetti egli spande la propria sensibilità: riscalda ed avviva la stessa politica, come fece specialmente nel Sertorio e nell’Attila: con un tratto di pennello imprime in chi legge o ascolta la più sublime idea. […] E quest’unico difetto trovava nella Fedra Arnaldo d’Antilly, il quale confessò che senza tale galanteria la Fedra (che fece fuggire dal teatro Parigino il dilicato Huerta) nulla conteneva che non conducesse alla correzione de’ costumi. […] Cirano di Bergerac nato nel Perigord nel 1620 e morto nel 1655 fece una tragedia della morte di Agrippina, e nel personaggio di Sejano diede il primo esempio delle massime ardite usate poscia da’ moderni tragici della Francia con tal frequenza ed intemperanza, che, al dir di M. […] Mattei nel Nuovo sistema d’interpretare i tragici Greci osservò ancora che la tragedia de’ Francesi non è la tragedia de’ Greci; ma non ne fece consistere la differenza in altro che nella mancanza de’ cori, la qual cosa non la diversifica nell’essenza.
Assai migliore fu la traduzione fedele che fece di tal tragedia il Veneziano Giustiniano. […] Nel 1566 se ne fece un’ edizione che conteneva Tieste, Giocasta, Didone, Medea, Ifigenia, Ecuba. […] Quasi a’ giorni nostri il celebre Marchese Maffei vi fece alcuni troncamenti del meno importante, e la fe rappresentare in Verona e piacque sommamente. […] Si contentarono i nostri di farne cantare i soli cori, come si fece in Vicenza, in Roma, in Ferrara, nel rappresentarsi Sofonisba, Orbecche ec.. […] Nella corte di Ferrara, dove fin dal secolo precedente fiorirono gli spettacoli scenici, il duca Alfonso da Este fece innalzare un teatro stabile secondo il disegno che ne diede l’immortale Ludovico Ariosto.
Non resteranno poco né molto commossi dal terribile e magnifico quadro della morte di Didone, ma ti faranno bensì una lunga diceria sull’anacronismo del poeta, che fece viver ai medesimi tempi Enea e la regina di Cartago. […] [8] Una fortunata combinazione, che con dolce compiacenza mi fo un dovere di palesar al pubblico, e che renderà tanto meno scusabili i falli miei quanto più mezzi ho avuti di schivarli, mi fece scoprire una miniera di notizie appartenenti alla musica nella conoscenza ed amicizia del reverendissimo padre maestro fra Giambattista Martini de’ minori conventuali. […] Prendendo io a narrare l’origine, i progressi e lo stato attuale del melodramma in Italia, ove più che altrove si è coltivato, e si coltiva pur ora, mi s’affacciò in sul principio una difficolta, che quasi mi fece venir manco il coraggio.
Sul successo dell’ attore Camerani abbiamo invece notizie controverse, dappoichè dice il Campardon (Les comédiens du Roi) ch’ egli esordì avec fort peu de succès, mentre il D’Origny (Annales du Théâtre italien), afferma ch’ egli fece l’amoroso avec une noblesse, une aisance et des graces peu communes.
Dal '68 al '70 fu con Luigi Bellotti-Bon, che nella quaresima del '69, più padre che capocomico, gli organizzò una grande rappresentazione per esonerarlo dal servizio militare, al Teatro delle Logge di Firenze, ove si recitaron Le smanie per la villeggiatura, col concorso del celebrato Cesare Dondini. « Ciò che fece Bellotti per me in quella occasione – egli mi diceva – non posso descrivertelo : un padre non avrebbe potuto fare di più !
A tredici anni abbandonò Roma con una compagnia di attori, e l’autunno del 1739 fece la sua prima comparsa a Venezia, ove agiva la Compagnia di ballerini da corda e comici insieme, diretta da Gasparo Raffi, dal quale fu scritturato, e del quale, divenuto poi direttore della Compagnia, domandò in moglie ufficialmente, il 15 gennaio 1740, la figlia Angela, Teodora, Giovanna, lucchese, di circa diciassette anni, che trovavasi da pochi mesi a Venezia.
Quindi è che il celebre Ottone vescovo di Frisinga zio dell’imperadore Federigo I Barbarossa nel ritratto che dopo la mettà del XII secolo fece dell’Italiab, fralle altre cose attesta che le città Italiane de’ suoi tempi erano senza dubbio più ricche di quelle di oltramonti . […] Ma ciò tralasciando, la Compagnia del Gonfalone istituita nel XIII secolo per rappresentare i Misteri, ne’ tempi più a noi vicini ciò fece con parole a tenere del suo istituto. […] Che se le parole vi si fossero introdotte non già dal XIII come a noi sembra, ma dal XV, in cui si compose indubitatamente il dramma del Dati, nell’imprimersi che si fece nel declinar del secolo XVI il libro degli Statuti della Compagnia, non avrebbe in essi dovuto esprimersi questa varietà essenziale, cioè, che le rappresentazioni da mute che si furono nel XIII, passarono poscia ad animarsi con parole? […] Con testimonii sicuri pruova l’illustre storico questi tre punti: che Carlo Magno a un Italiano fu debitore del primo volgersi ch’egli fece agli studii: che non mandò straniero alcuno in Italia a tenervi scuola; che da lui molti Italiani inviati furono in Francia a farvi risorgere gli studii . […] Egli dovrebbe sapere, quanto tardi si fece el postrer duelo en España, di cui ogni dì risuonano gli stessi teatri di quella penisola; dovrebbe sapere ancora che sino al XVI secolo per estirpare le bizzarrie della Cavalleria convenne al celebre Miguèl Cervantes prendere il partito di coprirla di ridicolo; ma ciò a parte.
Andrea Belmuro autore de’ due intermezzi recitati in Venezia nel 1731, la Contadina, ed il Cavalier Bertone, posti in musica il primo dal famoso Sassone, e l’altro dall’ugualmente chiaro maestro Francesco Mancini, fece pur fra noi commedie musicali. […] Commedie pur furono benchè di minor bellezza le opere di Pietro Trincera autore della Vennegna, dell’Abate Collarone, e singolarmente della Tavernola abbentorata cagione d’ ogni sua sventura, in cui fece una dipintura vivace di un Fra Macario simile al Tartuffo recitata colla musica di Carlo Cecere. […] chi fece Egisto più interessante di Ciro sotto il nome d’ Alceo? […] chi nol fece? […] Bisogna posseder critica, principj e riflessione per comprendere ancora quando gli autori s’incontrano per ventura, e quando si seguono a bello studio; Aretade presso i Greci fece un volume de’ pensieri degli scrittori che s’incontrano senza seguirsi73.
Le invenzioni di Girolamo Genga tanto magnificate dal Serlio, che nel teatro di Urbino fece gli arbori ed altre simili cose di finisssima seta, si riporrebbono oggigiorno tra le fanciullaggini quasi direi da presepio. […] Grandissimo fu il colpo ch’ella fece in virtù dell’imperio che sugli animi del pubblico ha il vero; e il Menagio ebbe a dire esser venuto il tempo di abbatter quegl’idoli dinanzi a’ quali avevano i Francesi sino allora abbruciato l’incenso.
Giovanni Rodriguez fece la Floriana che tratta degli amori del duca Floriano con Belisea impressa nel 1544 in Medina. […] Se ne fece un’altra edizione in Lisbona l’anno 1595 unita ad un’altra commedia del medesimo autore da me non veduta intitolata Os Estrangericos, della quale edizione parla solo Nicolas Antonio. […] Tralle commedie si contano ancora quelle che trasse o dalla Sacra Scrittura, come la Creacion del Mundo y primer culpa del hombre in cui discende sino ai fatti di Caino e alle invenzioni di Tubalcain, ovvero dalle Vite de’ santi, come El Animal Profeta, in cui san Giuliano fugge dalla patria, come fece Edipo, per non ammazzare i genitori, secondo la predizione di una cerva che parla, e che va in una terra lontanissima, ove appunto per errore gli uccide. […] Ma nè da lui nè dal Vega si fece menzione del dotto toledano Giovanni Perez professore di rettorica ammirato da varii letterati Spagnuoli e dal nostro rinomato Andrea Navagero. […] Quì dirò soltanto che il Lampillas in panto di poesia drammatica si è accreditato di poco intelligente non solo colle sue critiche, ma colla scelta che fece di alcune commedie assai deboli e difettose, mentre voleva far menzione delle migliori della nazione; là dove l’avviso del Montiano a suo confronto ha troppo gran peso, tra perchè ne’ suoi Discorsi questo spagnuolo mostrò saviezza, intelligenza e sobrietà, traperchè come autore di due tragedie ben condotte, in simili esami è giudice competente.
Ammalatasi nel Carnevale del 1840, fece ancor qualche rara apparizione sulla scena, che dovette abbandonar poi per sempre nell’aprile.
La Danneret fece apporre i suggelli su quanto possedeva il defunto, ottenendone la confisca.
Il 1824 si fece capocomico solo, e potè aver l’onore, mercè la sua probità e la buona accolta degli artisti, di mettere la sua Compagnia al servizio di Maria Luigia Duchessa di Parma, con uno stipendio annuo per quelle stagioni che doveva passar nella capitale.
La prima apparita sulla scena ella fece in convento.
Altrettanto fece a Corte Maggiore per altra malattia.
Se l’aver aggiunto una nota di più all’“ut re mi fa sol la” inventato, come si pretende, da Guido Aretino è di gran vantaggio per la musica, e se questa può dirsi una gran scoperta, che meriti, che si scriva un libro a bella posta per risaperne l’autore, come pur si fece da un musico chiamato De Nivers sul principio del nostro secolo; cotal onore è certamente dovuto a questo religioso spagnuolo, poich’egli ne fu l’inventore. […] [25] Fu dunque l’eccedente amor della patria (il più lodevole fra gli eccessi quando non vien disgiunto dalla giustizia) che mosse il Cavaglier Tiraboschi a dire, parlando della musica, che «agli Italiani del secolo decimosesto dovette il giugnere ch’ella fece a perfezione maggiore assai, che mai non avesse in addietro» 49. […] 51 [31] Nelle pastorali poi la musica fece gran via, e noto è l’apparato musicale con cui Don Garcia di Toledo vicere delle Sicilie fece rappresentare quella del Transillo, e nota è altresì la magnificenza con cui fu posta in teatro l’Aminta del Tasso cogl’intermedi lavorati dal poeta, e posti in musica dal gesuita Marotta, come ancora il Pastor fido con tante altre, delle quali parlano a lungo gli eruditi. […] Orfeo di bel nuovo si fece avanti menando seco Imeneo con una truppa di amorini. […] Se ne fece una qualche traduzione?
Un sogno simile, se ben m’appongo, fece Castilhon nelle sue Considerazioni, asserendo che in Ispagna e in Italia i poeti comici , toltone il solo Goldoni, non hanno ancor pensato a dare alle donne caratteri nobili . […] Quando io era più giovine, io sono stato molto randagio, e non si fece mai la fiera a Prato, che io non vi andassi, e non ci è castel veruno all’intorno, dove io non sia stato; e ti vo’ lire più là; io sono stato a Pisa e a Livorno, o và! […] La Virginia che il secondo Bernardo Accolti fece sulla sua serva, dal Fontanini è collocata tralle commedie in prosa, ma si scrisse in versi e per la maggior parte in ottava rima, la qual cosa osservò prima il Zeno. La Flora di Luigi Alamanni s’impresse in Firenze nel 1556 per cura di Andrea Lori che la fece recitare nella Compagnia di san Bernardino da Cestello con alcuni suoi intermedii a. […] Veramente una nazione, che fece risorgere in Europa tutte le belle arti e le scienze, il gusto, la politezza e la libertà stessa (come è provato) meritava un poco più di diligenza in quell’erudito maestro di Poetica Francese.
Eschilo abbigliò ancora le persone tragiche con vestimenti gravi e maestosi, fece ad esse calzare il coturno, e migliorò l’invenzione della maschera di Cherilo e di Frinico. […] Vuolsi in oltre che quando Eschilo si ritirò alla corte di Jerone, trovasse questo re occupato in riedificare l’antica città di Catania rovinata da’ tremuoti cui diede il nome di Etna, e su di essa Eschilo fece un componimento poetico. […] Per mettere con chiarezza sotto gli occhi quanto stimava necessario per intelligenza della favola, egli sempre fece uso del prologo, là dove Sofocle senza prologo esponeva a maraviglia lo stato dell’azione. […] Egli stesso non fece di più nel tradurre questa medesima scena in maniera diversa dalla Salviniana. […] Lodovico Dolce che ne fece una libera imitazione, ne tolse il prologo, e fe che Giocasta narrasse a un servo tutti gli evenimenti passati di Edipo.
Ma ciò lasciando, la Compagnia del Gonfalone istituita nel XIII secolo per rappresentare i misteri, ne’ tempi più a noi vicini ciò fece con parole a tenore del suo istituto. […] Che se le parole vi fossero introdotte non già dal XIII, come a noi sembra, ma dal XV, in cui si compose indubitatamente il dramma del Dati, nell’imprimersi che si fece nel declinar del secolo XVI il libro degli statuti della Compagnia, non avrebbe in essi dovuto esprimersi questa varietà essenziale, cioè che le rappresentazioni da mute che furono nel XIII, passarono poscia ad animarsi con parole? […] Con testimoni sicuri pruova l’illustre storico questi tre punti: che Carlo Magno a un Italiano fu debitore del primo volgersi ch’ei fece agli studj; che non mandò straniero alcuno in Italia a tenervi scuola; che da lui molti Italiani inviati furono in Francia a farvi risorger gli studj. […] Egli dovrebbe sapere, quanto tardi si fece el postrer duelo en España, di cui ogni dì risuonano gli stessi teatri di quella penisola; dovrebbe sapere ancora che sino al XVI secolo per estirpare le bizzarie della Cavalleria convenne al celebre Miguèl Cervantes prendere il partito di coprirla di ridicolo; ma ciò a parte.
Valendosi dell’opera del famoso architetto Agatarco, fece innalzare in Atene un teatro magnifico, e assai più acconcio a rappresentarvi con decenza e sicurezza, dove che Pratina e altri tragici del suo tempo si servivano di alcuni tavolati non solo sforniti di tutto ciò, che può contribuire all’illusione, ma così mal costrutti, che soleano sovente cedere al peso e cadere con pericolo degli attori e degli spettatori. […] Nell’atto V trovasi quel pezzo maraviglioso, che latinamente, e con molta eleganza tradotto, adorna il libro II delle Tusculane di Cicerone «O multa dictu gravia, perpessu aspera» etc., di cui Ovidio nel IX delle Metamorfosi fece una bellissima imitazione. […] L’espressione dunque d’Ifigenia non dee tradursi letteralmente per l’istessa misura de’ versi, ma sì bene per lo medesimo lamento, e così fece il Dolce: Madre, misera madre, Posciaché questa voce Di misero e infelice Ad ambedue conviene, ec. […] Vieni, ben mio, ricevi Gli ultimi amplessi; i tuoi sospiri estremi Fa ch’io raccolga… Oh barbari, spietati, Inumani, tiranni, e che vi fece Un misero fanciullo? […] Lodovico Dolce che ne fece un’imitazione libera, ne tolse il prologo che trovasi nel greco, e fece che Giocasta narrasse a un servo tutti gli avvenimenti passati di Edipo: e perché?
Per coltura inventò e fece fiorir negli estesi suoi domini tante arti di comodo e di lusso. […] Il rapporto manifesto della riferita poesia romana gesticolata coll’arte ludicra etrusca fece pensare d’invitar a Roma uno degli attori di quella nazione, il quale colla sua nuova, graziosa, e piacevole agilità riuscì molto grato a’ romani. […] Poté dunque, come fece, arricchir quest’ultima col soccorso delle altre; e in fatti i latini ebbero in lui solo l’epico, il tragico, e ’l comico di que’ tempi. […] Egli fu ancora il primo che nelle azioni teatrali osò di togliersi dagli argomenti greci, e di prender dalla storia romana soggetti tragici, come fece in una tragedia intitolata Scipione 70. […] Terenzio neppure di tal gregge fece uso; ond’é che né anche da ciò poté derivare il farfallone di quel letterato francese, il quale, per quanto rapporta madama Dacier, estatico lodava i cori delle commedie di Terenzio90.
In somma il carattere di Alfonso è picciolo ed inconcludente; ed il poeta Diamante un secolo prima ne fece una dipintura più uguale. […] Rachele si consola alla meglio, si asside un’ altra volta sul trono, parla de’ pubblici affari, decreta, e fa quello stesso ch’ella un secolo prima fece nella favola di Diamante la Judia de Toledo. […] Questo medesimo cavaliere nel 1776 fece imprimere la sua versione del Fernando Cortes di Alessio Piron. […] Chi vuole spaziarsi sullo stato di Roma, è costretto a render Marzio invisibile, come fece nella sua tragedia il nostro Cavazzoni-Zanotti. […] La Motte ne fece la felice sua Inès.
Me ne rimprovera l’impeccabile Apologista, benchè sapesse, che l’impressione non si fece sotto gli occhi dell’Autore.
Una catena d’idee, uniformi fece spuntar la poesia rappresentativa in tanti paesi che non comunicavano insieme; e ’l concorso di altre simili idee sopravvenute a moltissime società pur senza bisogno d’esempio, le condusse a produrre alcuni fatti comuni a tutti i teatri.
Nell’istessa abbiezione vivono le commedianti nella China, avvegnaché non manchino ne’ fasti di questa nazione esempli di regnanti che vinti da’ vezzi delle sirene teatrali, giunsero all’eccesso di prenderle per conforti, come fece l’imperador Kingn che regnò quarant’anni in circa prima dell’era cristiana6.
Il terzo Cherilo seguì Alessandro in Asia, e fece alcuni poemi in di lui lode; ma questo principe lo stimava sì poco, che soleva dire che avrebbe voluto essere piuttosto il Tersite de’ poemi di Omero che l’Achille di quelli di Cherilo.
Soprattutto si dilettava della storia, e singolarmente di quella di Augusto e degli altri Cesari, e di Alessandro, di Costantino e di Teodosio che aveano regnato ne’ paesi a lui soggetti, e ne fece fare le traduzioni in lingua Turca76.
L’affare si fece serio, e ne volle essere giudice lo stesso Re, che ascoltò gli avvocati delle due compagnie : Baron e Biancolelli.
Egli si ritirò in questo tempo a Napoli, e vi si fece mercante sotto il nome di Napolioni.
Si fece poi comico di professione, e fu alcuni anni a Venezia (San Gio.
Giovanni Sulpizio da Veroli, il quale sotto il pontificato d’Innocenzo VIII teneva scuola dì belle lettere in Roma, vi fece rappresentare un’altra tragedia. […] Si fece pure rappresentare dal cardinal Riario nel suo palazzo in un teatro erettovi espressamente, e si ascoltò con grande applauso. […] Il famoso Matteo Maria Bojardo conte di Scandiano, ad istanza del medesimo duca, compose in terzarima e in cinque atti il Timone commedia tratta dal dialogo così chiamato di Luciano, la quale trovasi impressa la prima volta senza data, ma certamente si scrisse prima del 1494, anno in cui seguì la morte dell’autore, e se ne fece nel 1500 una seconda edizionea.
Il Porta lo fece suo particolar retaggio maneggiandolo con piacevolezza, ingegno, nobiltà e giudizio, senza infrangere le regole, e senza ricorrere a’ soliti partiti di manti, nascondigli, evenimenti all’oscuro e case che si compenetrano. […] Di essa si fece un’edizione in foglio nel 1726 colle annotazioni del dotto Anton Maria Salvini.
Lulli famoso violinista, maestro di musica e poi segretario del re di cui ebbe in seguito tutto il favore sino alla sua morte, fece tosto sentire la superiorità del suo ingegno e con alcune arie di balletti composti pel re e colla musica posta ad alcuni versi di Quinault nella tragedia balletto di Psychè. […] Dopo l’Armida Quinault rinunziò al teatro, e Lulli ricorse a Campistron, che fece per lui Aci e Galatea rappresentata pochi mesi dopo, e piacque al sommo.
Nell’edizione che se ne fece in Venezia nel 1525, si vede questa favola preceduta da un prologo in prosa, nel quale l’autore confessa di avere in essa seguitato Terenzio nell’ Eunuco e Plauto ne’ Cattivi. […] La Virginia che il secondo Bernardo Accolti fece sulla sua serva, dal Fontanini è posta tralle commedie in prosa, ma è scritta per la maggior parte in ottava rima, il che osservò il Zeno. La Flora di Luigi Alamanni s’impresse in Firenze nel 1556 per cura di Andrea Lori che la fece recitare nella compagnia di San Bernardino da Cestello con alcuni suoi intermedj124. […] Veramente una nazione che fece risorgere in Europa tutte le belle arti e le scienze, il gusto, la politezza e la libertà stessa, meritava un poco più di diligenza da questo scrittore. […] Un sogno simile, se ben m’appongo, fece M.
Fu assai migliore la traduzione fedele che fece di tal tragedia il veneziano Giustiniano. […] Nel 1566 se ne fece una edizione che conteneva Tieste, Giocasta, Didone, Medea, Ifigenia, Ecuba. […] Questa tragedia non tardò molto ad essere conosciuta in Francia per la traduzione che ne fece Carlo Vion parigino signor di Delibrai, che si stampò in Parigi nel 1626, e si ristampò nel 1640 e nel 1646. […] Quasi a giorni nostri il celebre marchese Maffei vi fece alcuni troncamenti del meno importante, e la fe rappresentare in Verona, e piacque sommamente. […] Si contentarono i nostri di farne cantare i soli cori, come si fece in Vicenza, in Roma, in Ferrara, nel rappresentarsi Sofonisba, Orbecche ec.
Cornelio Scipione Nasica vietò che si terminasse, e fece vendere all’incanto tutti i materiali a tale oggetto da essi accumulati72. […] Fu altresì pittore non ignobile, e dagli antichi si trova commentata la pittura che fece pel tempio di Ercole nel Foro Boario77. […] Egli de’ di lui versi che sommamente pregiava, volle ornare l’ingresso de’ tempj e de’ monumenti ch’egli fece costruire delle spoglie de’ nemici81. […] La sesta volta sarebbe questa che si è rappresentata in Parma da’ giovani studenti di quell’università l’anno 1784, e vi fece un nuovo prologo il prelodato P. […] Il Bayle osservò l’altra che fece il medesimo Moreto per ingannare Giuseppe Scaligero con due finti frammenti del tragico Accio e del comico Trabea.
In somma il carattere di Alfonso è picciolo ed inconcludente, ed il poeta Diamante ne fece una dipintura più uguale. […] Pietro de Guzman duca di Medina Sidonia mancato nel 1778 pubblicò nel 1768 una buona versione dell’Ifigenia del medesimo Racine che per Huerta è così dozzinal poeta; e nel 1776 fece imprimere la sua versione del Fernando Cortes di Alessio Piron. […] Chi vuole spaziarsi sullo stato di Roma, è costretto a rendere Marzio invisibile, come fece nella sua tragedia il nostro Cavazzoni Zanotti. […] La Motte ne fece la felice sua Inès. […] Huerta, non sapendo per avventura che egli altro non fece che versificare in nuova forma la Judia de Toledo, nella guisa che il sig.
Soprattutto si dilettava della storia, e singolarmente di quella di Augusto e degli altri Cesari e di Alessandro e di Costantino e di Teodosio, i quali aveano regnato ne’ paesi a lui soggetti, e ne fece fare le traduzioni in lingua turca a.
ª Anna Pellandi Altra 1 ª donna Laura Civili Madre Francesca Fabbrichesi Servetta Maddalena Gallina 2e Attrici : Lucrezia Bettini – Marietta Pertica ATTORI 1 º attore tragico De Blanes 1 º attore comico De Marini Giuseppe Tiranno (quello che fece Filippo) Tessari Altro 1 º attore Bettini Amoroso giovine Visetti Caratterista Pertica Padre Belloni 2i Caratteristi : Pietro Pincristiani – Fausto Marzocchi – Fabbrichesi fratello (sic).
Così fece in Perugia nel 1835 una celeberrima cantatrice.
Ardita musa, taci, frena i pensieri audaci : chi si distilla in pianti ragion non è che canti : e'l suon d’umana lira lodar beltà celeste indarno aspira Accolse questi accenti la fama, e per sua gloria intorno fece risuonar Vittoria.
se Decio, il quale lungamente lo fece languire, e li disse più volte che non sapea cosa dirli, alfine che li darebbe una lettera per Bologna, e che gli augurava buon viaggio, che non si potè mai haver la lettera, e che parti doppo aver di ciò parlato in Modena, e sino à Cavalieri, c’erano nell’anticamera di S.
Per mettere con chiarezza sotto gli occhi quanto stimava necessario per intelligenza della favolà, egli fece uso del prologo, là dove Sofocle con miglior consiglio senza prologo esponeva a meraviglia lo stato del l’azione. […] Non debbesi adunque l’espressione d’Ifigenia tradurre letteralmente per la stessa misura di versi, ma sì bene per Io medesimo lamento, come ben fece il Dolce, Madre, misera madre. […] Egli stesso non fece di più nel tradurre questa medesima scena in maniera, com’egli dice, diversa dalla Salviniana. […] Vieni, ben mio, ricevi Gli ultimi amplessi, i tuoi sospiri estremi Fa ch’io raccolga… Oh barbari, spietati, Inumani, tiranni e che vi fece Un misero fanciullo? […] Lodovico Dolce che ne fece una libera imitazione, ne tolse il prologo, e fe che Giocasta narrasse a un servo tutti gli evenimenti passati di Edipo.
In età di otto anni fece una commedia. […] Chi fece Egisto più interessante di Ciro sotto il nome di Alceo ? […] chi nol fece ? […] La gioventù vedrà volentieri i progressi che egli fece nel seguire il sistema istorico di colui ch’egli maltrattava indegnamente. […] Prima dell’efimera repubblica napoletana, ed ancor dopo, si fece ammirare per varii balli da lui inventati Gaetano Gioja napoletano.
Il celebre Ottone Vescovo di Frisinga, zio dell’ Imperador Federico I Barbarossa, nel ritratto che dopo la metà del XII secolo fece dell’Italia, frall’altre cose confessa (lib. […] Dante Alighieri, che col sumministrare all’ Italica favella per mezzo delle sue dotte e ingegnose produzioni non poca robustezza, vivacità ed energia, e coll’ arricchirla di molte e varie immagini, e di molti e varj colori poetici, mostrò con effetto, siccome disse il Boccaccio nella di lui Vita, con essa ogni alta materia potersi trattare, e glorioso sopra ogni altro fece il volgar nostro; Dante che perciò fu dal Petrarca chiamato ille eloquii nostri dux, da Paolo Giovio il fondatore del Toscano linguaggio, e da altri il Poeta de’ Pittori; Dante afferma nel capitolo X del suo Convivio, che per l’Italico idioma altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente, e acconciamente si poteano manifestare, quasi come per l’istesso Latino; e loda in esso l’ agevolezza delle sillabe, la proprietà delle sue condizioni, e le soavi orazioni che già fin d’allora se ne faceano, le quali chi ben guarderà, vedrà esser piene di dolcissima e amabilissima bellezza.
Firenze, Bemporad, 1900) – a cui l’enfasi dello stile guerrazzeggiante non scema vigore e non toglie efficacia. » Dell’ Insegnamento popolare egli riferisce il sunto che ne fece il Lami al Presidente del Buon Governo e ch'egli dice fedele ; e quella parte del dialogo riguardante il Canosa, a proposito della quale egli sarebbe incline a credere che lo spiedo immaginato dal Modena generasse la Ghigliottina descritta dal Giusti (Ivi, 112, 113). […] E già sacro l’invidia de'pedanti lo fece, e lo consola l’eco possente della tua parola.
Pare ch’ ella fosse di rara bellezza ; e Alessandro Allori (il Bronzino giovine) le fece in Firenze un tal bellissimo ritratto, che ispirò al Cav. […] Non il primo Cintio, di cui s’ ignora il nome, e che si fece conoscere a Roma nel 1550 (V. […] l’Imperatore e l’Imperatrice a favore della figlia Eleonora : mentre otto anni prima succedeva in Compagnia quel famoso scandalo per la Baldina, che fece scappar la Virginia come spiritata !
Roma stessa vantò un Lelio e uno Scipione Affricano come coadjutori di Terenzio: un Cornelio Silla dittatore, il gran Germanico, Cajo Claudio imperadore, furono scrittori di commedie: un Giulio Cesare, un Cesare Augusto, un Tito Vespasiano coltivarono la tragedia, non che un Mecenate, un Varo, un Ovidio, un Seneca, e uno Stazio: Orazio Flacco si fece ammirare da’ contemporanei e da’ posteri come critico inimitabile di teatral poesia.
L’Autore dell’accennata storia risponde, che del Teatro di Balbo fece menzione con ogni altro Scrittore, ed invoca la testimonianza del pubblico.
Forse il piacere prodotto in questa festa da’ balli, dal canto, e dalle maschere, fece nascere il disegno di formar di tali cose un tutto e un’imitazione più ragionata.
Scrisse con de Lisle, e fece rappresentare con non molto successo a la Commedia Italiana, nel 1726 e 1729, Il Naufragio e Abdilly, Re di Granata.
Il buon Prelato ascoltò le ragioni de'Comici : non mancauano li dua di portar Testi contro le Comedie, e non voleuano, che i Comici altercassero ragioni ; quasi volendo che l’autorità dell’habito potesse far autentica legge alle loro opinioni : ma l’amoreuole Superiore diceua, lasciateli dire, il douere è, ch'ogn’ vno dica la sua ragione ; ma perchè la cosa andaua in lungo, si trasportò il ragionarne all’altro giorno ; e così il giorno seguente all’hora deputata comparuero i Comici con l’autorità segnata ne' libri, e così fecero gl’altri che si trouarono inuitati, chi da vna parte, e chi dall’altra, oue che si contrastò vn pezzo, in vltimo il benedetto Cardinale decretò, che si potesse recitar Comedie nella sua diocesi, osseruando però il modo che scriue San Tomaso d’Aquino ; et impose à Comici che mostrassero i Scenarij delle loro comedie giorno per giorno al suo foro, e così ne furono dal detto Santo, e dal suo Reuerendissimo Signor Vicario molti sottoscritti, ma in breue i molti affari di quell’ Vffizio, fece tralasciar l’ordine, giurando i Comici, che non sarebbero stati gli altri suggetti meno honesti dei riueduti : il Braga (così chiamano il Pantalone di quella Compagnia) et il Pedrolino haueuano ancora (e non è molto) di quei suggetti, ò siano Scenarij di Comedie sottoscritti, e quelli segnati da San Carlo, si tengono custoditi, e nella Compagnia, oue hora sono vi è chi ne ha due, e li tiene à casa per non li smarrire.
Confessa in oltre che allora si unirono gl’interessi delle due compagnie, e si fece una cassa sola; ma sostiene però che per questo non divennero esse un corpo solo. […] Venghiamo all’ultimo e VI Saben, cioè «che il sombrero chambergo non è in Ispagna più antico della Guardia Chamberga che ne fece uso in tempo di Carlo II».
Il Porta lo fece suo particolar retaggio maneggiandolo con piacevolezza, ingegno, novità e giudizio, senza infrangere le regole e senza ricorrere a’ soliti partiti di manti, nascondigli, evenimenti all’oscuro e case che si compenetrano. […] Prima che Napoli e Sicilia avessero un’ opera tutta cantata, ebbero una festa teatrale composta di danza, di musica e di machine eseguita nel 1639 sotto il vicerè Ferrante Afan de Ribera nella sala del real palazzo di Napoli nel passar che vi fece l’infanta Maria sorella di Filippo IV, che andava in Ungheria a trovare il re Ferdinando suo sposo. […] Il famoso pittore e poeta satirico Napoletano Salvador Rosa morto in Roma nel 1673, empì questa città non meno che Firenze di maraviglia per la copiosa eloquenza estemporanea, per la grazia, per la copia e novità de’ sali, e per la naturalezza onde si fece ammirare nel carattere di Formica personaggio raggiratore come il Coviello, ed in quello di Pascariello. […] Quanto poi al Rosa (aggiugne il lodato Baldinucci che ciò racconta) non è chi possa mai dir tanto, che basti, dico della parte ch’ei fece di Pascariello; e Francesco Maria Agli negoziante Bolognese in età di sessant’anni portava a maraviglia quella del Dottor Graziano, e durò più anni a venire a posta da Bologna a Firenze lasciando i negozj per tre mesi, solamente per fine di trovarsi a recitare con Salvadore, e faceva con esso scene tali, che le risa che alzavansi fra gli ascoltanti senza intermissione, o riposo, e per lungo spazio imponevano silenzio talora all’uno talora all’altro; ed io che in que’ tempi mi trovai col Rosa, ed ascoltai alcuna di quelle commedie, so che verissima cosa fu, che non mancò alcuno, che per soverchio di violenza delle medesime risa fu a pericolo di crepare. […] La memoria di questo spettacolo ci è pervenuta per una bella dipintura che ne fece il famoso pittore Napoletano Domenico Gargiulo dotto Micco Spataro.
Di fatti ognun sa che i Romani stessi studiavano le lettere Etrusche; e secondo Dionigi Alicarnasseo il Greco Demarato fece non meno nelle Greche che nell’Etrusche lettere ammaestrare i figliuoli.
Una catena d’idee uniformi fece spuntar la poesia rappresentativa in tanti paesi che insieme non comunicavano; ed il concorso di altre simili idee sopravvenute a moltissime società pure senza bisogno di esempio le condusse a produrre alcuni fatti comuni a tutti i teatri.
A tal proposito, ben fece la Perseveranza in un articolo su l’Annada in umid.
Nè questa le impedì d’essere figlia amorosissima, perchè non volle mai separarsi dalla sua genitrice ; e quando la morte glie la tolse, le fece innalzare nel Campo Santo di Torino un monumento che racchiuse, dopo varj anni, anche le di lei spoglie mortali.
Si fece il carnevale a Trieste, e gli venne in mente di tradurre un lavoro piemontese in veneziano : « Maritemo la putela » (Mariuma Clarin), e di affidare a me la servetta.
L’Adamo che l’Andreini fece stampare in Milano, illustrato dal pittore bolognese Carlo Antonio Procaccini, oltre al valore intrinseco ha un valore istorico, poichè vuolsi da alcuno che ad esso e non ad altro pigliasse Milton l’ispirazione pe ’l suo Paradiso Perduto. […] Per intercessione di suo padre, Giovan Battista ebbe l’onore nel 1618 di esser fatto comico ai servizi del serenissimo Francesco Gonzaga II ; e fece con magnificenza di allestimento scenico recitare in Casal Monferrato la sua Turca, in occasione delle nozze di esso Duca con Margherita di Savoja, primogenita del Duca Carlo Emanuele. […] In una tragicomedia poi nella città nostra, vidi non ha molto, rappresentar la battaglia delli tre horatij, con li tre curiatij, con tanto arteficio condotta a tempo di moresca, con arme da filo ; che fece un superbissimo vedere.
L’altra l’energia del ballo pantomimico riconosciuta persin nel guasto che dava ai costumi, e nell’oscurar che fece la tragedia e la buona commedia con ogni altro spettacolo drammatico più giudizioso. […] Conseguentemente non deve innestarsi nel melodramma fuorché nelle circostanze accennate, e i poeti che si sono dimenticati di farvi riflessione hanno mancato alla filosofia dell’arte propria, come fece il Signore de’ Calsabigi introducendo a ballare nell’Orfeo le furie e le figlie di Danao insiem coi demoni nell’inferno quantunque nessuno al certo dovesse in tal luogo e da tali persone aspettarsi volteggiamenti e carole. […] Atlante fece sortire coll’ordin medesimo l’altre parti del mondo, lo che formò una divisione naturale e semplice del balletto, ciascun atto del quale fu terminato cogli omaggi, che dalle mentovate nazioni furono resi alla giovine principessa d’Inghiltera e coi magnifici presenti che le furono fatti. […] Nella medesima corte si fece mostra d’un altro ballo assai leggiadro nel 1634. celebrandosi la nascita del Cardinal di Savoia. […] La sua Semiramide inoltre cavata da Voltaire, posta in musica dall’immortale Gluck e rappresentata in Vienna fece quasi fremere dallo spavento e dalla sorpresa gli spettatori lasciando in dubbio gli astanti se il prodigioso effetto che risentivano provenisse dal terribile argomento, o dalla forza e semplicità dell’azione, oppure dalla espressione e verità dell’armonia.
Boyer l’anno stesso ne fece in Londra una traduzione in prosa pur francese. […] Di poi egli fece una risposta in cui perdè di vista l’oggetto vero della tragedia che è di commuovere col terrore e colla compassione. […] Garrick figliuolo di un Francese rifugiato in Inghilterra, ebbe per maestri il dottor Johnson e Colson di Rochester, e dopo avere esercitato varie professioni si unì al fine nel 1741 a una compagnia comica, e fece per lo spazio di circa quarant’anni la delizia e l’ornamento delle scene Inglesi, e morì di anni 63 in Londra nel 1779. […] Il dottor Swift intimo amico di Gay nel suo Gazzettiere non meno che il Pope nella Dunciade e che il Warburton nelle note che fece a questo poema satirico, l’esaltarono come un capo d’opera.
Una catena d’idee uniformi fece spuntar la poesia rappresentativa in tanti paesi che insieme non comunicavano; ed il concorso di altre simili idee sopravvenute a moltissime società pure senza bisogno di esempio le condusse a produrre alcuni fatti comuni a tutti i teatri.
Ma quei cori non erano tuttavia ciò che poscia si disse poesia drammatica, e quando questa cominciò a pullulare da que’ semi, l’attore fece uso della feccia, delle capigliature ed indi delle scorze, delle foglie e di simili cose, per imitare il personaggio rappresentato, e non già quell’antica buffoneria villesca.
Ma quei cori non erano tuttavia ciò che poscia si disse poesia drammatica; e quando questa cominciò a pullulare da que’ semi, l’attore fece uso della feccia, delle capigliature e indi delle scorze, delle foglie e di simili cose, per imitare il personaggio rappresentato, e non già quell’antica buffoneria villesca.
» E dopo avere esaminata e magnificata l’opera, trascrivendone un brano, riportato poi a sua volta dal Bartoli stesso nelle sue Notizie de’ Comici italiani, conclude : « noi non possiamo se non consigliar questo giovane autore a proseguire la carriera dello scrivere, in cui può avanzarsi cotanto per avventura, quanto non ha fra Comici italiani e difficilmente può avere chi lo superi nel sostenere le Parti più ardue ed interessanti, e nel produrre quell’ illusione impegnante ch’è la sola prova della perfezione. » Ecco l’elenco su citato : SIGNORE SIGNORI Anna Andolf ati Pietro Andolfati Gaetana Andolfati Luigi Delbono Antonia Andolfati Giovanni Delbono Maddalena Nencini Gaetano Michelangeli Rosa Foggi, da Serva Giovanni Ceccherini Lorenzo Pani Giulio Baroni Filippo Nencini, caratterista MASCHERE Bartolommeo Andolfati, Pantalone Giorgio Frilli, Dottore Gaspare Mattaliani, Arlecchino, e subalterni A questo elenco, ne farò succedere uno del 1820, il quale mostra chiaramente il progredire che fece l’arte nel non lungo periodo di circa trent’ anni : DONNE UOMINI Andolfati Natalina Andolfatti Pietro Garofoli Giuseppa Andolfatti Giovanni Pollina Margherita Garofoli Luigi Cappelletti Laura Cavicchi Giovanni Cavicchi Carlotta Carraro, Giovanni Bonsembiante Bianca Bonuzzi, Francesco Maldotti Adelaide Bonsembiante Giovanni Maldotti Marietta Maldotti Ermenegildo Lensi Anna Cappelletti Gaetano Astolfi Marianna Astolfi Giuseppe Coccetti Antonio Maldotti Eugenio Andolfatti Luigi Nastri Leopoldo Astolfi Tommaso, suggeritore Tommaselli Luigi, macchinista La Compagnia recitava a Bologna all’Arena del Sole, di giorno, e al Teatro del Corso, di sera ; e aveva cibo conveniente ai due palati.
Transferita dipoi in Venezia, in Roma, in Bologna ed in Napoli come nel nativo suo paese, vi fece nelle due trascorse età tali e tanti progressi, che nelle nostre scuole pur dovettero i forestieri venire ad apprenderla. […] Cosi che quella rivoluzione che non poterono operare per lunghissimi anni in Parigi tante nostre elaboratissime composizioni, tanti passaggi, tanti trilli, tanti virtuosi, la fece in un subito un intermezzo e un paio di buffoni.
Una cognizione più intima del teatro gli fece avvertire che l’aria, essendo quasi l’epifonema o l’epilogo della passione, non dovea collocarsi sul principio, o tra mezzo ad una scena, giacché non procedendo la natura per salti, ma bensì colla opportuna graduazione ne’ suoi movimenti, non è verosimile che sull’incominciare d’un dialogo si vedesse di già il personaggio nel colmo della passione per rientrar poi immediatamente nello stile pacato che esige il recitativo. […] Il marchese Scipione Maffei nella Ninfa fida fece vedere che i talenti per la poesia tragica sono diversi dai talenti per la poesia musicale, imperocché niun crederebbe che l’autore di quella pastorale scritta senza interesse, senza dolcezza di stile e senza spirito teatrale fosse lo stesso che avea composto la bellissima Merope.
Prima che Napoli e Sicilia avessero un’opera tutta cantata, ebbero una festa teatrale composta di danza, di musica, e di macchine eseguita nel 1639 sotto il vicerè Ferrante Afan de Ribera nella sala del real palazzo di Napoli, nel passar che vi fece l’infanta Maria sorella di Filippo IV, che andava in Ungheria a trovare il re Ferdinando suo sposo. […] La memoria di questo spettacolo ci è pervenuta per una bella dipintura che ne fece il famoso pittore napoletano Domenico Gargiulo detto Micco Spataro.
r Fulvio senti questo disse e fece ciò che da altri haurà inteso, nè giovò humiltà di alcuna sorte, e protesti dal Sig. […] r Flavio dunque, veduta questa perfidia, scrisse e fece che noi scrivessimo a Leandro ch’era a Napoli, dandoli parola di compagnia : là dove il povero giovane, credendo alle nostre parole, ma più alle promesse del Sig.
Ma se l’emulazione rendè gloriosa questa commedia, la fece oltremodo ardita il governo popolare Ateniese, nel quale i comici e gli spettatori erano membri della sovranità.
Lasciando da parte il non rinvenirsi di esse indizio veruno nelle di lui opere, i critici più accurati sospettano fortemente che esse sieno opere supposte al Petrarca, come fece prima di ogni altro l’abate Mehus, il quale recò un saggio dello stile di esse molto lontano da quello del Petrarcaa.
Nella stessa abjezione vivono le commedianti della China, avvegnachè non manchino ne’ fasti di questa nazione esempli di regnanti, che vinti da i vezzi delle sirene teatrali giunsero all’eccesso di prenderle per consorti, come fece l’Imperadore Kingn che regnò quaranta anni in circa prima dell’Era Cristiana25.
Lasciando da parte il non rinvenirsi di esse indizio veruno nelle di lui opere, i critici più accurati sospettano fortemente che esse sieno opere supposte al Petrarca, come fece prima d’ogni altro l’Ab.
…… chi si propose di scrivere la storia dei comici italiani fece opera nobile.
E. non uol saper niente, si che non si pol far un opera che sia bona, ma non solo le opere anche le comedie ; l’altra sera appunto si fece ti tre finti turchi e recito il secondo Zanni nouo che andò così bene che tutti si partirno inanzi fornita ; dicendo che se si fariano di quelle ci daranno delle Pomate. dove che ardisco suplicarla il dar ordine à qualcheduno che regoli la compag.ª pchè ò bisogno di studiare è tirarmi inanzi non di star à spasso p. i capricci d’altri ; la Sig.ª Flaminia à dato una delle sue parte che ne faceva due à mia sorella addesso pare che la Sig.ª Ippolita con la colega fatta tra di loro abbiano disgusto è la uoriano far fare alla guercina basta doppo dificultà si sono contentati ma però di nouo lo suplico il scriverli che la facciano recitare è la lettera onorarssi d’inuiarla à me però diretta alla Comp.ª non dirò più per non incomodarla, solo che se segue così non occorre uenir a Ferara p. che so che se non fosse in riguardo alla protetione di V.
Fu in processo di tempo il Del Buono preso da tal manìa religiosa, che datosi tutto a Dio, fece solenne promessa di abbandonare il teatro, scuola, diceva lui a’compagni, di turpitudini, al quale non sarebbe certo tornato mai più, se un’opera di carità, sciolto dal voto per intercessione di un alto sacerdote, non ve lo avesse ricondotto.
A questo infatti, col mezzo del signor di Rohan suo cugino, allora in Firenze, fece, il 21 dicembre '99 da Parigi, l’invito formale di recarsi nel suo regno, promettendogli ogni buon trattamento : e l’invito fu accettato per la Pasqua vegnente, e il Duca Vincenzo I il 19 aprile raccomandava con ogni calore al Duca d’Aiguillon e al Duca di Nevers i suoi bonissimi recitanti.
E il Fantuzzi (Notizie degli Scrittori bolognesi) scrive : L'incontro colà (a Parigi) non fu minore che in Italia, e si fece distinguere ancora pel suo carattere civilissimo ed onesto, e pel genio di coltivare l’amicizia de' principali drammatici di Parigi, e fra quelli, che frequentò con maggiore premura, e di cui captivò l’animo in singolar modo, fu il famoso Pietro Cornelio.
Boyer l’anno stesso ne fece in Londra una traduzione pur francese in prosa. […] Di poi l’enciclopedista fece una risposta, in cui perdè di vista l’oggetto vero della tragedia, il commuovere col terrore, e la compassione. […] Garrick figliuolo di un Francese rifugiato in Inghilterra, ebbe per maestri il dottor Johnson e Colson di Rochester; e dopo avere esercitate varie professioni si unì al fine nel 1741 ad una compagnia comica, e per lo spazio di circa anni quaranta fece la delizia, e l’ornamento delle scene inglesi, e morì d’anni sessantatre in Londra nel 1779. […] Il dottor Swift intimo amico di Gay nel suo Gazzettiere non meno che il Pope nella Dunciade, e che il Warburton nelle note che fece a questo poema satirico, l’esaltarono come un capo d’opera.
Ennio con certa invida rivalità ne’ suoi Annali volle motteggiar Nevio come poco elegante ne’ libri della prima guerra Punica, ne’ quali fece uso de’ versi Saturnii. […] Egli instruì la gioventù nella buona letteratura, interpretando i migliori autori Greci46, e possedendo perfettamente tre lingue l’Osca, la Greca e la Latina, per la qual cosa solea dire di aver tre cuori, potè, come fece, arricchir l’ultima col soccorso delle altre. […] Girolamo Colonna gli pubblicò sin dal 1590 e la sua raccolta si reimpresse in Amsterdam nel 1707, Paolo Merola nel 1595 gli diede alla luce in Lione, e Bernardo Filippino tradusse la di lui collezione in Italiano, e la fece imprimere nel 1659 in Roma. […] Ireneo Affò ne fece ancora menzione in una nota alla prefazione premessa all’ Orfeo, p. 16. […] Gio: Burmeistero nel 1625 ne fece una imitazione volgendola al fatto di Saulle che promette la figliuola a Davide.
del quale Ovidio nel nono delle Metamorfosi fece una bellissima imitazione. […] Sulle quali parole fece il critico Modanese in questa guisa la sua esposizione: Tespi, secondo Laerzio, trovò un contrafacitore, che contrafaceva ballando, sonando, e cantando l’azione della tragedia … Eschilo trovò il secondo, cioè un’altra maniera di contrafacitori… dividendo il ballo dal canto e dal suono … E Sofocle trovò il terzo, e divise la moltitudine in tre classi, cioè in ballatori, cantori e sonatori .
Intorno al medesimo tempo Baïf fece una commedia intitolata il Bravo, ch’é il Miles di Plauto, e La-Peruse una Medea d’infelice riuscita.
Questo medesimo apologista (su di cui si fondò il più volte lodato Andres suo confratello) di tale festa teatrale dell’Encina ne fece diversi componimenti drammatici sacri e profani del XV secolo , convertendo al solito la storia in romanzob.
Nelle sere di riposo della Fenice, la più alta nobiltà accorreva in folla a rifarsi il sangue dal buon Giacometto ; e tanta fu la simpatia del pubblico di Venezia ch’egli vi fece quattordici stagioni di seguito, alcuna delle quali comprendeva autunno, carnevale e quaresima, con grave danno delle maggiori compagnie sulla Piazza, quali di Mascherpa con l’Adelaide Ristori, di Robotti, e la Reale Sarda.
Un certo Polinneste accorciando al suo piacimento, e stangando le corde della lira, fece sentire dei suoni sconosciuti avanti a lui. […] [9] Il genere ditirambico divenuto alla moda fece coi suoi canti tumultuosi un misero governo della poesia, del ritmo e della musica. […] Accompagnando il suo canto col primo fece il famoso Alfarabi in presenza del Gran Visir passare un gran numero di persone radunate in un salone dalla indifferenza al tripudio, da questo alla tristezza, e dalle lagrime al sonno senza che alcuno potesse resistere a quell’incomprensibile incantesimo. […] Come fece Aristofane nella commedia degli Acharnensi, dove a motivo del metro che vi si adopera, sembra che venga mancando di mano in mano il vigore ai vecchi che ballano nel coro. […] Però a misura che l’armonia fece dei progressi trovossi ognor più difettoso il metodo d’impararla, al quale volendo ovviare i maestri, stabilirono di mano in mano regole nuove che palliavano gl’inconvenienti presenti senza prevederne i futuri, e che non recidendo il vizio nella sua radice, raddoppiavano le difficoltà moltiplicando i mezzi termini.
Non ostante l’autor giovane non ancora avea acquistata l’arte di pulir lo stile e di tornir meglio i suoi versi; ond’è che nella lettura che se ne fece, gli si notò la durezza della versificazione e la scorrezione dello stile. […] Al contrario se il poeta spagnuolo non ebbe contezza della Marianna italiana del Dolce prodotta cento anni prima, è assai più verisimile che egli anzi tolto avesse quest’argomento da’ Francesi, e che si fosse approfittato o della Marianne di Hardy, rappresentata in Parigi nel 1610, o di quella di Tristan, che fece recitare e stampare la sua prima della favola del Calderòn.
In Lisbona sotto il Padre dell’attuale regina fedelissima Maria Francesca l’opera italiana fece le delizie di quella corte. […] Confessa in oltre che allora si unirono gl’ interessi delle due compagnie e si fece una cassa; ma non vuol per questo che componessero un corpo solo.
Andò in iscena la Carolina con Sedici anni sono e fece un fiasco deciso – andò lui di seconda sera col Filippo e fece doppia damigiana.
Diceva a tal proposito assai piacevolmente il Salvini che quella recitazione che per essere intesa ha bisogno di esser letta, è simile a quelle pitture sotto le quali faceva di mestieri scrivere, questo è un cane, questo è un cavallo; e quadrerebbe a noi assai meglio che non fece ai Francesi una caricatura che fu fatta in Parigi di un’opera senza parole, come se le parole nell’opera fossero veramente un soprappiù47.
Che Gneo appartenne alla Campania, è cosa troppo trita; nè questo paese in tempo veruno fece parte della Magna Grecia.
Nella stessa abjezione vivono le commedianti della China, avveguachè non manchino ne’ fasti di quella nazione esempli di regnanti, che vinti dai vezzi delle sirene teatrali giunsero al l’eccesso di prenderle per consorti, come fece l’imperadore Kingn che regnò quaranta anni in circa prima del l’era Cristianab.
Uomo, invece di aggiustare e ridipinger le scene, fece parrucche e vestiti all’antica, e fabbricò acque odorose, recitando sempre bene.
Ennio con certa invida rivalità ne suor Annali volle motteggiar Nevio come poco elegante ne’ libri della prima guerra Punica, ne’ quali fece usò de versi Saturnii. […] Che Nevio appartenne alla Campania, è cosa troppo trita, nè questo paese in tempo alcuno fece parte della Magna Grecia. […] Girolamo Colonna gli pubblicò sin dal 1590, e la sua raccolta si reimpresse in Amsterdam nel 1707, Paolo Merola nel 1595 gli diede alla luce in Lione, e Bernardo Filippino tradusse la di lui collezione in italiano, e la fece imprimere nel 1659 in Roma. […] Ireneo Affò ne fece anche menzione in una nota alla prefazione premessa all’Orfeo, p. 16. […] Giovanni Burmeistero nel 1625 ne fece una imitazione volgendola al fatto di Saule che promette la figliuola a Davide.
Cornelio Scipione Nasica vietò che si terminasse, e fece vendere all’incanto tutti i materiali a tale oggetto da essi accumulatiaCresciuta poi la potenza Romana, le ricchezze apportatrici di ozio e di riposo rendettero più necessarie le arti di pace. […] Fu altresi pittore non ignobile, e dagli antichi si trova commentata la pittura che fece pel tempio di Ercole nel Foro Boarioa. […] Volle egli de’ di lui versi che sommamente pregiava, ornar l’ingresso de’ tempj e de’ monumenti che delle spoglie nemiche fece costruireb. […] Si dice ancora che il novello autore male in arnese arrivò in tempo che Cecilio giaceva per cenare, e sul principio si fece sedere in una panca accanto al letto; ma dopo alquanti versi maravigliato Cecilio e dall’eleganza e proprietà dello stile rapito, l’invitò a cenar con lui, e dopo la cena si prosegui l’intiera lettura della commedia consomma continuata ammirazione del vecchio poeta. […] Ed ella tutta sciogliendosi in la grime, gli si lasciò cadere in braccio, con un atto di tanta confidenza e di tanto affetto, che fece ben conoscere non esser queste le prime tenerezze del loro amore.
Ciò che diffinisce i primi progressi della tragedia italiana sin dal principio del XVIII secolo, è appunto la saggia imitazione che fece il Martelli dell’ Ifigenia in Tauri e dell’ Alceste di Euripide. […] Vinse egli per gravità, e per versificazione il Gravina, e scorger fece non di rado elevatezza e sublimità, e quel patetico e terribile tragico che agita ed interessa. […] Non si può dire quale indignazione prese taluno che potè leggerla per lo strazio che ne fece. […] Gaspare Mollo quindici anni prima fece un Corradino ; che l’anonimo o il Salfi produsse prima di lui un altro Corradino. […] Ne mostra forse il fine che fece ?
Dee a lui il coturno non solo varie favole degne di mentovarsi al pari del Cinna, dell’Atalia e del Radamisto, ma una poetica piena di gusto e di giudizio, talora superiore a molte sue favole stesse, sparsa nelle sue opere multiplici e nell’edizione che fece del teatro di Cornelio. […] L’autore nel seguente anno cangiò questo genere di morte in quello con cui il Dolce in Italia fece morir questa reina, e la tragedia si rappresentò quaranta volte. Giambatista Rousseau fece allora anch’egli una Marianna, che fu l’origine della lunga contesa ch’ebbe con lui il Voltaire. […] La Chapelle fece anche una Cleopatra non lontana dal merito della sua Merope.
Tra’ componimenti in Vaudeville vien singolarmente esaltata la parodia che si fece dell’opera eroica di Prassitele intitolata Bilboquet. […] Nel teatro du Marais fece molto strepito senza valerne la pena la favola intitolata i Ciarlatani letterarii per le pretese allusioni.
Debbe a lui il coturno non solo varie favole degne di mentovarsi al pari del Cinna, dell’Atalia e del Radamisto, ma una poetica piena di gusto e di giudizio, talora superiore a molte sue favole stesse, sparsa nelle sue opere moltiplici e nell’edizione che fece del teatro del Corneille. […] Nel seguente anno l’autore cangiò questo genere di morte in quello onde Ludovico Dolce in Italia fece morire questa reina, e la tragedia si rappresentò quaranta volte. Giambatista Rousseau fece allora anch’egli una Marianna, che fu l’origine della lunga contesa che ebbe con lui il Voltaire. […] Non ostante l’autor giovane non ancora avea acquistata l’arte di pulir lo stile e di tornir meglio i suoi versi; ond’è che nella lettura che se ne fece, gli si notò la durezza della versificazione e la scorrezione dello stile. […] Si ripetè questa tragedia nell’anno IX della libertà, e l’autore sin dalla prima ripetizione vi fece varii cangiamenti che accrescono la rapidità dell’azione e l’energia dello’ stile.
In Lisbona sotto il padre della regina Maria Francesca, l’opera italiana fece lungamente le delizie di quella corte.
Fu posta sulla tomba di Sofocle la figura di uno sciame di api per perpetuare il nome di ape, che la dolcezza de’ suoi versi gli avea procacciato; il che probabilmente fece immaginare, che le api si erano fermate sulle di lui labbra quando stava in culla.
Negatogliene il permesso, si fece presso alla ribalta, mentre si recitava l’ Elisabetta d’ Inghilterra, e si diede a discorrer de’ fatti suoi al pubblico in cosiffatta guisa che poco dopo fu arrestato e imprigionato.
Senza dubbio questo poeta (per accennarne alcuna cosa in generale prima di scendere alle particolarità di qualche sua favola) mostrò di non conoscere, o almeno non si curò di praticare veruna delle regole che è più difficil cosa ignorare che sapere: pensando far pompa di acutezza nell’elevare lo stile, si perdè, non che nel lirico, nello stravagante, e, per dirla col signor Andres medesimo suo compatriota, ne’ ghiribizzi e negli agguindolamenti: abbellì i vizii (errore sopra ogni altro inescusabile) e diede aspetto di virtù alle debolezze: fece alcun componimento di pessimo esempio come el Galàn sin Dama: cadde sovente in errori di mitologia, di storia, di geografia. […] Osserviamo ancora che l’Italiano nello scioglimento produsse assai meglio l’effetto tragico di quello che fece lo spagnuolo colla morte di Marianna seguita all’oscuro per un equivoco mal congegnato. […] Si fece ammirare in seguito la Carreras nella rappresentazione fattasene nel 1781 per la viva imitazione delle maniere di quel ceto da non potersi migliorare. Stando poi nella convalescenza di una grave infermità si destinò l’anno 1782 a rappresentarla nel passar che fece il Conte d’Artois per Madrid andando al campo di San Roque; ma dopo la prima scena ella cadde in un profondo deliquio e convenne che la Graziosa per nome Apollonia supplisse sul fatto la parte di Preziosa; nè poichè si riebbe dalla nuova infermità volle la Carreras, benchè giovane, tornar più sulle scene. […] Se s’illumineranno co’ viaggi, co’ libri savii e colla conversazione de’ sapienti e de’ buoni, come fece Pietro il grande di Russia, e come hanno fatto a’ nostri giorni diversi altri principi, essi sapranno in pochi anni, rifondere e rigenerare le nazioni, e divenirne i creatori.
Un anonimo arriva fino a rimproverare al Voltaire qualche errore di lingua e di rima; lo chiama copiatore e traduttor della Merope del Maffei; e asserisce che ne peggiorarla maggior parte, e se ne allontana con isvantaggio, come fece nell’atto V che non piacque a’ Francesi. […] Aretade pressi i greci fece un volume de’ pensieri di vari scrittori che s’incontrarono senza seguirsi219. Il calor della disputa con un altro ha trasportato, anni sono, un letterato italiano ad affermare in Londra che Metastasio ha tolto il Demoofonte dalla Inès de Castro dell’ingegnosissimo La Mothe che fece una ridicolissima versione dell’Iliade di Omero220; ma l’ingegnosissimo La-Mothe ha posto in francese l’argomento della tragedia spagnuola di Bermudez; e ’l di lui plagio é manifesto, perché non esce dalla nazione portoghese, dagli affetti e dalla semplicità della favola spagnuola.
Così fece in Cadice il Pretore Balbo, il quale essendosi straricchito con inaudite estorsioni, rapine e ingiustizie, fe costruirvi un teatro con quattordici ordini di scalini per l’ordine equestre; e per potersi millantare di essere la scimia di Giulio Cesare, nell’ultimo giorno de’ giuochi donò l’anello d’oro all’istrione Erennio Gallo e lo fe sedere tra’ cavalieri164. […] E perchè Apelle indugiò alcun poco a rispondere, lo fece battere aspramente, insultando frattanto al di lui dolore, con dire che nel tuono lamentevole ancora spiccava la dolcezza della di lui voce175.
Agostino Dolce fece imprimere nel 1605 la sua Almida da me non veduta. […] In questa guisa fece l’ immortal Metastasio, quando dietro le orme singolarmente dell’Ariosto rinnovò tali gare e cangiamenti di nomi nell’Olimpiade e nel Ruggiero.
E più giù : In Bologna, dove per lo più si recita il Verno, et dove sono sempre chiamate le buone compagnie ; al mio arrivo, già anni sono, mi fu detto da un Mastro Dionisio Bruni padrone d’ una bottega di carte da giuoco, le precise parole : « S’ io non amassi tanto voi e le vostre virtù, e s’ io non avessi qualch’ altro comodo fuori del mestier delle carte, non potrei fare di meno di non vi maledire, et desiderarvi ogni male, acciò lasciaste di venire in questa città, poichè siate cagione, che i ridotti si chiudono, e che con essi la mia bottega fallischi. » Le Lettere facete e morali (ivi, m dc xxii) gli procacciaron da molti poeti una bellissima corona di sonetti, che poi non fece imprimere, egli dice modestamente, essendosi accorto, che per abbassare il suo povero stile non ci voleva altro che l’altezza de’ loro concetti (Lett. […] E ciò fece perchè quello et altri comici moderni, non sono del numero di coloro che poco intendendosi di comedie pervertiscono l’arte, rendendosi indegni d’ esser posti nel numero de’ buoni, tal che, è necessario lo studio, e studio assiduo.
Il Duca li fece pigliar tutti 3 et furno condannati alla forca, le gentildonne radunate insiemme tutte di Mantoua suplicaro per la gratia, et non fù possibile mai d’hauerli, solo che ottenero di farli i lacci, a lor modo i quali furno di fune così fragida che tutti 3 cadero in terra, et la città gridò gracia gracia, et benche i meschini fossero condotti alle prigioni semiuiui et che fossero tosati et salassati nondimeno il Duca staua anchor risoluto di uolere che fossero impiccati di nouo, et così, ni e, stata detta da bon autore, ma non gia scritta da quelle bande.
Ma morto il padre, il desiderio di calcar le scene lo vinse, e a sedici anni fece le sue prime prove col celebre Taddei, scritturandosi poi col Pellizza, secondo amoroso, poi, nello stesso ruolo col Domeniconi, sotto il fratello Tommaso primo attor giovine.
Agostino Dolce fece imprimere nel 1605 la sua Almida da me non veduta. […] In questa guisa fece l’immortale Metastasio quando dietro alle orme singolarmente dell’Ariosto rinnovò tali gare e cangiamenti di nomi nell’Olimpiade e nel Rugiero.
Le recite con dilettanti della città, tra' quali ei fu non ultimo mai e tal volta primo, lo esaltarono, specie quella del Filippo, che Alfieri fece in sua casa, rappresentando egli stesso il protagonista, e affidando a lui il Gomez.
Fra i nojosi prologhi di Domenico Bruni (V.) s’ attribuisce a Francesco Andreini il nojosissimo prologo di un ragazzo. » [http://obvil.github.io/historiographie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-01_1897_img015.jpg] Veramente il Bruni (Fatiche comiche di Domenico Bruni detto Fulvio, Comico di Madama Serenissima, Principessa di Piemonte) dice che il signor Francesco Andreini marito della famosissima Isabella gli fece imparare un Prologo, ecc. ecc. ; non sappiam dunque perchè lo si debba attribuire alla penna dell’Andreini. […] Chi scornò il superbo Acheloo, chi fra le proprie braccia fece crepar quel gigantonaccio di Anteo, e chi finalmente diè fine al resto di quelle dodici famosissime imprese, delle quali son piene l’istorie e le favole ? […] Brami il Colascione che fece d’una tartaruga Mercurio ?
Tra’ primi che in quel secolo si distinguessero, fu Alfonso dalla Viola Ferrarese, che verso il 1555 fece la musica al Sacrifizio, dramma pastorale d’Agostino Beccari, poeta ferrarese. […] Egli fece la musica alla Disperazione di Sileno e al Satiro, drammi di Laura Guidiccioni, virtuosa dama lucchese, i quali furono nel 1590 rappresentati avanti al granduca. […] Alla Dafne fece il Rinuccini succedere L’Euridice e L’Arianna, quella nel 1600, questa nel 1608, messi anche in musica dal Peri. […] Ora questa degradazione di statura e di musica, fece sul teatro il più bel giuoco. […] [Sez.VI.2.3.3] Ma sopra un altro teatro un mal accorto maestro fece passare una truppa di gente a cavallo sopra un lontanissimo ponte, il quale era più picciolo della persona che su vi passava; disproporzione, che offese l’occhio de’ meno intendenti.
Di maniera che se taluno in vece di ragionare volesse scarabbochiar epigrammi, come altri fece, potrebbe per tanto fango chiamar pantanosi siffatti suoi bei componimenti.
Lulli celebre violinista maestro di musica, e poi segretario del re, di cui ebbe in seguito tutto il favore sino alla sua morte, fece tosto sentire la superiorità del suo ingegno, e con alcune arie di balletti composti pel re, e colla musica posta ad alcuni versi di Quinault nella tragedia-balletto di Psychè.
Orazio Vecchi Modanese verseggiatore e maestro di cappella, animato dalla felice unione della musica e della poesia che osservò in tante feste e cantate e ne’ cori delle tragedie e delle pastorali, volle il primo sperimentare l’effetto di tale unione in tutto un dramma149, e nel 1597 fece rappresentare in musica alle nominate maschere il suo Anfiparnaso, stampato l’anno stesso in Venezia appresso Angelo Gardano in quarto, e di note musicali corredato dal medesimo autore.
E la via del cuore la trovò infatti : chè il 28 del '52 la Ristori gli scriveva da Roma : « Nei nostri cuori fece gran senso la Sua lettera, ed in modo speciale nel mio, chè cresciuta, allevata, ed iniziata nell’arte da cotesta Regia Compagnia, me la figuravo un’istituzione imperibile, ed andrei superba di contribuire all’esistenza di questa, come una figlia riconoscente a quella della propria madre. » Ma l’onorario annuo portò, ultima concessione, a 20,000 franchi, che le furon dal Righetti accordati assieme a quanto d’altro chiedeva, in alcun punto solamente e lievemente modificato.
In ciò si spendono ben centoventicinque versi, ne’ quali entra una scarsa vena del Tamigi che si fa un salasso di neve, una folta chioma arruffata di un boschetto pettinata dal vento con difficoltà, l’incertezza del conte in discernere, se le gambe della dama che si bagnava correvano sciolte in acqua, o se l’acqua congelata formava le di lei gambe, come ancora il bere ch’ella fece dell’acqua colla propria mano, per la quale azione il conte si spaventò temendo non si bevesse parte della mano. […] Senza dubbio questo poeta (per accennarne alcuna cosa in generale prima di scendere alle particolarità di qualche sua favola) mostrò di non conoscere, o almeno non si curò di praticare veruna delle regole che è più difficil cosa ignorare che sapere: non separò mai il tragico dal comico: pensando di mostrare acutezza nell’elevar lo stile si perdè, non che nel lirico, nello stravagante106: abbellì i vizj (errore sopra ogni altro inescusabile), e diede aspetto di virtù alle debolezze: fece alcun componimento di mal esempio, come el Galàn sin Dama: cadde sovente in errori di mitologia, di storia, di geografia. […] Osserviamo ancora che l’ Italiano nello scioglimento produsse assai meglio l’effetto tragico di quello che fece lo Spagnuolo colla morte di Marianna seguita all’oscuro per un equivoco mal condotto; ma ci sembra nel tempo stesso che il Dolce avrebbe meglio eccitato il terrore, se non iscemava l’odiosità prodotta dall’ insana sevizia del tiranno coll’ infruttuoso suo pentimento, o se dopo l’ eccidio egli avesse con tutta evidenza fatto conoscere al geloso il suo inganno e l’innocenza di Marianna. […] Stando poi nella convalescenza di una grave infermità si destinò l’anno 1782 a rappresentarla nel passar che fece S. […] Se s’illumineranno co’ viaggi, co’ libri savj e colla conversazione de’ sapienti e de’ buoni, come fece Pietro il Grande di Russia, essi sapranno in pochi anni rifondere le nazioni ed esserne i creatori.
La regina Elisabetta che l’amava, e che volle fin anche spirare con un concerto di musica, fece fare a quell’arte qualche progresso maggiore, prendendone in parte il gusto dall’Italia, dove fioriva. […] Ella fece parimente un dramma pastorale intitolato, Il Trionfo della Fedeltà, che ancor ella stessa pose in musica, e fu rappresentato con grande applauso.
Il conte di Chesterfield fece in quest’occasione un discorso notabile, sostenendo che bisognava governare il teatro colle leggi stabilite, senza metter nuove catene alla libertà.
Orazio Vecchi modanese verseggiatore e maestro di cappella, animato dalla felice unione della musica e della poesia che osservò in tante feste e cantate e ne’ cori delle tragedie e delle pastorali, volle il primo sperimentare l’effetto di tale unione in tutto un dramma a; e nel 1597 fece rappresentare alle nominate maschere il suo Anfiparnaso, stampato nell’anno stesso in Venezia appresso Angelo Gardano in quarto, e di note musicali corredato dal medesimo autore.
Erano alle prove, e poichè pareva che Ernesto Rossi desse ragione quella volta al Gattinelli, mio padre se la prese anche con lui, fece baruffa, protestò il contratto, e andò a casa infuriato dicendo a mia madre, servetta nella Compagnia, che facesse su la poca roba, perchè voleva andar via.
Imperocchè io pensava che i Poemi Comici si dovessero esaminare dall’arte, dal colorito, dal piacevole, e dallo stile, e circa l’oscenità di alcuno di essi bastasse accennarla, come ho fatto io, ad esempio del dottissimo Brumoy che così trattò nelle Commedie di Aristofane, e come fece D.
Terenzio neppure di tal gregge fece uso; ond’è che nè anche da ciò derivare il farfallone di certo Francese, il quale, come narra Madama Dacier, lodava i cori delle commedie di Terenzio .
Terenzio neppure di tal gregge fece uso; ond’è che nè anche da ciò potè derivare il farfallone di certo Francese, il quale, come narra Madama Dacier, lodava i cori delle commedie di Terenzio (Nota XVII).
Se dunque l’ottava maccaronica riferita dal Banchieri ha qualche fondamento nella tradizione, se il comico che la fece, ed è quasi impossibile credere il contrario, verificò una genealogia del dottore da Francolino accettata ed ammessa nel teatro e nelle sue tradizioni, questo Graziano figlio di una Bambagi ed il dottor Graziano de’ Bambagiuoli potrebbero avere vincoli di parentela così stretta da scambiarla per identità.
A essa, come ho già detto, preluse con parole di molta lode Francesco Andreini, tra cui queste : Che il signor Flaminio Scala detto Flavio in Comedia, per non far torto all’ordine suddetto, e tanto da buoni filosofi lodato, nella sua gioventù si diede all’ esercizio nobile della commedia (non punto oscurando il suo nobile nascimento) e in quello fece tanto e tale profitto ch' egli meritò d’esser posto nel numero de' buoni comici, e fra i migliori della comica professione.
Lo che egli fece imitando la musica sacra qualmente si trovava allora ne’ bravi compositori italiani, e trasferendola al proprio idioma ed al teatro con quelle mutazioni che esigeva il genio dell’uno e dell’altro. […] Il suo raro merito invece di renderlo «il caposcuola, e il Marini della moderna licenza», come a torto il chiama il Conte Algarotti 90, il fece anzi comparire uno de’ più rinomati cantori del suo tempo.
Don Nicolas Antonio afferma soltanto che tali scritture autografe si trovarono morto il Perez, e il Morales le raccolse, e fece imprimere nel 1585.
Zelante osservatore delle regole ne fece una tragedia regolare; freddo, depresso e poco nobile verseggiatore la vestì umilmente.
E volgo è ancora l’aggregato degli uditori maggiore assai di quello che comunemente si crede, i quali indifferenti per natia rigidezza d’orecchio al piacere della musica, e disposti a pesar sulla stessa bilancia Gluck e Mazzoni, Pugnani e un dozzinale suonator di festino, potrebbero interrogati sul merito degli attori rispondere come fece quel bolognese che, trovandosi in Roma in una veglia presso ad un tavolino dove giuocavano certi abbati di condizione sconosciuti a lui e insorto fra i giuocatori un litigio intorno ad una giuocata cui egli non aveva potuto badare per aver dormito fino a quel punto, richiesto all’improviso da un abbate: «Che ne dice ella, signore? […] [60] Dirò soltanto che la varietà delle opinioni e il rapido loro cangiamento nasce dal principio medesimo che fece degenerar il teatro italiano nel secolo scorso. […] Ammiano Marcellino (lib. 14. c. 6.) attribuisce cotal invenzione a Semiramide, la quale lo fece forse col fine di potersi abbandonare più liberamente e senza rischio alla dissolutezza di cui viene oltre modo accagionata.
Il principe Farnese l’onorava di tal dimestichezza che, venuto a formar la compagnia per le solite recite in Parma li fece grazia d’una sua carrozza per andare a pigliare la Colombina a Bologna.
Da ciò ne ricevono ancora una ulteriore conferma i principi stabiliti altrove152 circa gli argomenti propri del melodramma e circa la natura dei personaggi dove si fece più diffusamente vedere che i lunghi racconti, le deliberazioni, le trame, i consigli, le discussioni politiche, morali e filosofiche, tutto quello che v’ha nell’umano discorso di tranquillo e d’indifferente non si conviene al canto, come non gli si convengon neppure le passioni sordide e cupe, i caratteri freddi, contiposti, severi e dissimulati, quegli oggetti insomma i quali benché non siano afoni di sua natura, lo sono tuttavia rispetto alla musica vocale, perché non le offrono varietà né chiarezza di accento. […] Esso non sarà tutto di mia invenzione; tale a un di presso è stato fatto anni sono anche a me con un aria di persuasione capace di ottener il suo intento se il Messer Pandolfo, che mel fece avesse trovato il Damone di Boeleau per proselito, o le orecchie di Mida per ascoltatrici.
Nota alla nota d’autore n. 5: Cattaio: la villa del Catajo fu costruita tra il 1570 e il 1573 a Battaglia Terme nei Colli Euganei dalla Famiglia degli Obizzi; Pio Enea II degli Obizzi (1592-1674) vi fece costruire un teatro privato nelle scuderie che nell’Ottocento fu trasformato in un oratorio dedicato a San Michele.
Il Morto racconta, come suo fratello innamorato della moglie e del regno suo, lo fece avvelenare mentre dormiva nel giardino versandogli nell’orecchio certo velenoso licore sì contrario al sangue dell’uomo, che a guisa di mercurio s’insinua, penetra tutte le vene, gela il sangue, e ammazza prontamente.
Ma poichè con tanta garbatezza v’ingegnaste di dissipare certi miei Pregiudizj con un ben lungo paragrafo, e mi correggeste gl’importantissimi errori di Critica, e di Storia, cioè l’aver chiamati Colloquj Pastorali tutte le favole del Rueda, quando egli fece anche alcune commediole, e l’avere collocato nel secolo XV.
Ma se l’emulazione rendè gloriosa questa commedia, la fece oltremodo ardita il governo popolare Ateniese, nel quale i comici e gli spettatori erano membri della sovranità. […] Eupoli nella sua commedia intitolata Marica, altro non fece che trasformare la mia che nominai i Cavalieri, e solo vi aggiunse una vecchia ubbriaca che faceva un ballo lascivo, e questa ancora egli tolse da Frinico. […] Aristofane induce la gente a conculcare e a perseguitare i corruttori della gioventù, gl’ impostori irreligiosi e i precettori di sofisticherie e cavillazioni, ed in ciò fece gran senno essendo il suo disegno utile e lodevole. […] Per convincersene; oltre alle cose dette, si può riflettere che nel paragone di Eschilo ed Euripide fatto nelle Rane si discusse il loro merito intorno alla poesia e alla musica, ma niun motto si fece del ballo; il che non si sarebbe omesso, se il ballo fosse stato il primo oggetto de’ Greci drammi.
Lampillas che l’istesso Virues fece la sua confessione nel Prologo della Semiramide, manifestando di aver mancato all’arte antica, e insieme alla usanza moderna.
Egli dunque prese a studiare, non già il gusto del volgo, come fece Lope, ma il Mondo, cioè i costumi, i caratteri, e le passioni degli uomini (che questo vuol dir Mondo, Signor Lampillas, e non già, come voi credeste, il gusto volgare); ed anche il Teatro, cioè la pratica osservazione degli artificj comici che più sogliono risvegliare gli Spettatori (che questo vuol dir Teatro); ed a questi due Libri Mondo e Teatro, due cose distantissime dallo studio di Lope, accompagnò il Goldoni gl’insegnamenti d’Aristotile e di Orazio, ch’egli trasse dalle Riflessioni di Rapin da lui citate, e soprattutto la lettura di Moliere.
Il divino Euripide, che tirava al Teatro anche un Socrate, che da Quintiliano vien detto il Filosofo coturnato, che fa uno de’ più stimabili ornamenti delle più famose Biblioteche, dispiacque forse al Popolo, o fece anzi le delizie degli Ateniesi, e di tutti gli altri Greci?
Ma se l’emulazione rese tal commedia gloriosa, la fece oltremodo ardita il governo popolare ateniese, nel quale i comici e gli spettatori erano membri della sovranità.
Per natura egli ha lo stile dimesso ed umile assai accomodato a ritrarre, come fece, la plebe di Lavapies e de las Maravillias (contrade di Madrid abitate solo da un popolo minuto insolente) i mulattieri, i furfanti usciti da’ presidii, i cocchieri ubbriachi e simile gentame che alcuna volta fa ridere e spesso stomacare, e che La Bruyere voleva che si escludesse da ogni buon teatro.
Palissot mostra dispiacere di non vedersi più sulle scene di Parigi il di lui Falso Sincero, ed il Geloso vergognoso d’esserlo, a cui il prelodato Collé fece alcune felici correzioni49.
Il Morto segue a raccontare come suo fratello innamorato della sua moglie e del regno lo fece avvelenare mentre dormiva nel giardino versandogli nell’orecchio certo licore velenoso sì contrario al sangue dell’uomo che a guisa di mercurio s’insinua, penetra tutte le vene, gela il sangue e ammazza prontamente.
Tutto ciò non so quanto sembrerebbe conforme ai costumi nazionali in Pecchino; quanto a me credo, che chiunque abbia fior di senno riporrà queste esimili licenze accanto al quadro di quel pittore, il quale dipignendo Gesù Cristo che predicava al popolo, lo fece accompagnar da paggi vestiti alla spagnuola, o insiem con quei versi del portoghese Camoens, dove Venere e Bacco vengono in soccorso di un re del Capo di Comorino travagliato dalle armi di Vasco di Gama. […] La Grecia avrebbe divinizzato il suo nome, come già fece di quello di Lino e d’Orfeo.
Qui l’aure il caldo, qui la stanchezza i riposi, Qui le gelanti acque puonti levar la sete» e lega ne fece, e compagni trovò di sommo grido, che la invenzione sua più oltre condussero, tra quali il gran Fracastoro non disdegnò di concorrere alla riforma con quella stessa penna che in versi tanto armoniosi e virgiliani la Sifillide scrisse.
Per dare un saggio della declamazione teatrale e della melopea de’ greci, egli ne fece recitar senza veruna fonte di canto le parole; e la musica, esprimendo gli affetti del personaggio, secondandone i movimenti, dipingendone la situazione, riempiva soltanto gl’intervalli e le pause della declamazione.
Egli fece osservazioni, paragoni e trattati sull’arte del commediante; ma la sua opera giovò più agli stranieri che ai suoi nazionali, i quali o neglessero o disprezzarono ciò che gli altri ne appresero e ne emularono. […] Era di questa natura quel gesto che Vanni Fucci fece per dispregiare Iddio: Alfine delle sue parole il ladro Le mani alzò con ambedue le fiche Gridando: Togli Dio, ch’a te le squadro. […] Per lo qual magistero lo stesso uso che delle parole fu fatto convertendole di proprie in improprie, si fece pure e de’ tuoni e di gesti, i quali di propri divennero anch’essi impropri e metaforici. […] A quanti di loro potrebbe farsi la stessa dimanda che fece a non so chi quel tal danzatore di cui parla Elvezio: Di qual paese sei tu? […] Si dice che Le Kain avesse risposto in tuono tragico all’inchiesta che gli si fece su la salute di non so chi.
Eupoli, nella sua commedia intitolata Marica, altro non fece che trasformare la mia che nominai i Cavalieri, e solo vi aggiunse una vecchia ubbriaca che faceva un ballo lascivo, e questa ancora egli tolse da Frinico. […] Aristofane induce la gente a conculcare e a perseguitare i corruttori della gioventù, gl’impostori irreligiosi e i preccttori di sofisticherie e cavillazioni; ed in ciò fece gran senno essendo il suo disegno utile e lodevole.
Palissot mostra dispiacere di non vedersi più sulle scene di Parigi il di lui Falso sincero, ed il Geloso vergognoso di esserlo, a cui il prelodato Collè fece alcune felici correzioni.
Sotto Augusto, il quale pure incominciò un Ajace, Aristio Fusco scrisse commedie togate: un altro Cajo Tizio (diverso dall’oratore soprannomato) secondo Orazio fu buon poeta lirico e scrisse ancora tragedie: Ovidio fece una Medea, della quale abbiamo un frammento in Quintiliano: e il famoso Mecenate, oltre a’ varii poemi, compose alcune tragedie, come il Prometeo citato da Seneca, e l’Ottavia mentovata da Prisciano.
Vinse egli per gravità e per versificazione il Gravina, e fece spesso intravedere elevatezza e sublimità, e quel patetico e terribile tragico che agita ed interessa. […] Il non esser esse però accomodate al bisogno de’ pubblici teatri, fece che ne fossero escluse, e che si rappresentassero solo nel collegio di San Luigi di Bologna nel 1732 e ne’ due seguenti anni, e si ripetessero in teatri privati dalla nobiltà Bolognese.
Sotto Augusto, il quale pure intraprese a scrivere un Ajace, Aristio Fusco compose commedie togate: un altro Cajo Tizio (diverso dall’oratore soprannomato) secondo Orazio fu buon poeta lirico, e scrisse ancora tragedie: Ovidio fece una Medea, della quale abbiamo un frammento in Quintiliano: e il famoso Mecenate, oltre a varii poemi, scrisse alcune tragedie, delle quali da Seneca si mentova il Prometeo, e da Prisciano l’Ottavia.
Marcantonio Ducci fece imprimere in Roma nel 1707 l’Ermenegildo; Giovanni Lascari nel 1709 Stanislao Koska; monsignor Gian Lorenzo Lucchesini di Lucca Maurizio Imperadore e Artavasdo oltre di altre due tragedie italiane. […] che cosa gli disse la madre nel partire ch’egli fece; ed Iroldo ne descrive il dolore, e ne ripete le parole quasi ad altro non fusse venuto, o ciò importasse all’azione. […] Neli’ edizione che ne fece l’impresario, trovo che Ricimero partiva prima, e restava per un poco Almonte a dire, Incauta donna!
E perchè non v’asconda invidia o zelo, Ella, che fece il bel sembiante in prima, poscia il nome formò che i vostri onori porti e rimbombi e sol bellezza esprima.
In vero siccome fu l’uno incestuoso, l’altro dalla tragedia stessa di Sofocle si vede non innocente: perciocché, se non conobbe il padre quando l’uccise, egli nondimeno fece un temerario risentimento d’un lieve affronto, trucidando quattro persone. […] Non così fece il Trissino nostro, nel cui dramma non solamente si rende ella in ogni incontro aggradita al popolo, ma non abbandona il marito che con ribrezzo, vinta dalla necessità. […] Però con ragione fu da Platone45 biasimato per simili mancanze di decoro anche Omero, che fece scorto al poeta latino. […] Che se Virgilio narra avere egli sposata Aricia, ciò però non fece secondo lui che dopo essere risorto sotto nome di Virbio. […] Il suo inganno è venuto (come comprendo per lo quarto discorso) dal giudicare ch’Edippo appresso Sofocle non sia reo d’alcuna delinquenza, il che è falsissimo: perciocché nella favola del greco il risentimento che fece Edippo uccidendo Laio non fu senza notabile reità.
Plutarco nel suo dialogo sulla musica ci assicura che la prima «applicazione che nella Grecia si fece della musica fu alle cerimonie religiose in onore degli dei».