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32. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro I. — Capo VII. Teatro Latino. » pp. 109-171

Egli solea dire, che avea tre cuori, perché possedea perfettamente tre lingue, la greca, l’osca, e la latina. […] ma perché? […] Perché tarda é mai la morte Quando é termine al martir. […] Comincia la prima scena con una declamazione o elegia generale di Ottavia, la quale esce e si ritira senza perché. […] La tragedia di Medea, espressa tutta mirabilmente per gesti da Mnestere, poteva far vergogna alla ragione, perché la vita del pantomimo era libertina, o perché le matrone romane s’innamoravano di tali istrioni-ballerini, o perché essi prendevano dominio fu gl’imperadori, e influivano negli affari del governo?

33. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Della maniera del cantare e del recitare »

Lo studio delle maggiori difficoltà della musica dee senza dubbio farsi anch’esso da’ giovani cantori, perché la voce divenga in ogni occasione ubbidiente, perché si dirompa a far quello che pare al di là di sua portata, che pare infattibile. […] E se una melodia espressiva accompagnata da strumenti convenevoli avesse per base una bella poesia, e fosse dal cantore eseguita senza affettazione e animata con un gesto decente e nobile, la musica avria potere di accendere a voglia sua e di calmare le passioni; e si vedrebbe ai dì presenti rinnovare forse anche tra noi quegli medesimi effetti che cagionava anticamente, perché accompagnata appunto e fortificata dai medesimi sussidi della espressione, del conveniente accompagnamento, della energia dei versi, dell’azione e dell’arte del cantore.

34. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo III. Progressi Teatrali in Francia tardi, ma grandi nel medesimo Secolo XVII. » pp. 291-315

Non so adunque, perché Lope de Vega, che mori nel 1635, al pari della censura d’Italia, per non aver osservato le regole, temeva quella della Francia, la quale avea allora un teatro tanto sregolato, quanto lo spagnuolo e ’l cinese, e inferiore di gran lunga a’ componimenti di Lope per invenzione, ingegno, nobiltà, e decenza. […] L’amore, perché sia tragico, dee esser forte, disperato, funesto, dominante: se é subalterno, mediocre, episodico, allora é ciò che i Francesi chiamano galanterie famigliare192. […] Il gusto di quel tempo correva dietro al viluppo romanzesco, agli avvenimenti notturni, errori di nomi, travestimenti, e lettere intercettate e perché spiccano in questo genere le commedie spagnuole, Scarron, Boisrobert, Desmaret, Tommaso Corneille, ed altri, ne tradussero un buon numero. […] Perché dunque con un gusto contraddittorio ammettono tutte quelle cose nella poesia drammatica, dove parlano gli uomini e non il poeta, e dove si rendono incredibili perché smentite da’ sensi? […] I difetti dei grandi esemplari sono sempre fatali alle belle arti, perché accompagnati da molte bellezze e da virtù incomparabili; quindi é che le critiche fatte da uomini di molto sapere e di squisito discernimento giovano assai nella repubblica letteraria, perché formano il gusto, raffinano il giudicio, e producono altri buoni effetti.

35. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Del teatro »

E perché in tale occasione molte e varie cose furono disputate intorno alla materia di che convenga fabbricare il teatro, intorno alla grandezza e figura di che ha da essere, intorno alla disposizione dei palchetti e ornato loro, non sarà fuori del presente argomento toccare anche di simili particolari alcuna cosa; acciocchè se, per quanto era in noi, si è dichiarata la vera forma dell’opera in musica, si venga a dichiarare eziandio la più accomodata forma del luogo ove si ha da vedere et udire. […] Perché, oltre ai vasi di bronzo che rinforzavano le voci, le bocche delle maschere che usavano i loro attori, erano quasi una foggia di tromba parlante; e cosi veniva la natural portata della voce ad accrescersi di assai. […] [6.4] Ma perché gli uomini vanno generalmente presi a ciò che ha del grande e del magnifico, hanno pensato a un modo di avere il teatro oltre misura grande e a potervi, ciò non ostante, comodamente udire.

36. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo settimo »

[2] Roma, che in ogni tempo si dichiarò protettrice delle arti e delle lettere, sì perché le une e le altre servono ad abbellire il maestoso edifizio della religione, come perché questa nuova maniera di signoreggiare negli animi si confà molto alle mire di quella Capitale del mondo cristiano, e perché gli avanzi non anco spenti della sua grandezza la richiamano ogni giorno allo studio dell’antichità il quale tosto o tardi conduce al buon gusto, doveva parimenti promuovere la musica e la poesia. […] La Gusli, stromento più nobile perché usato nelle città eziandio, rassomiglia nella fabbrica interna, nella grandezza e nella figura ad un clavicembalo senza tasti.

37. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo V. Teatro Francese nel medesimo Secolo XVIII. » pp. 355-388

Tuttavolta perché la gioventù non creda di scavar da questa ricca miniera incessantemente oro puro, osserveremo, che il difetto caratteristico di M.  […] Egli é bene annunziato prima che comparisca in iscena, cosa che importa assai, perché lo spettatore prenda interesse al personaggio principale. […] Ma perché quell’ingegnoso autore di due commedie siffatte ha avuto riguardo a non dargliene il titolo, contentandosi di quello di Rappresentazione? […] Ma il soprallodato autore dei tre Secoli della Letteratura Francese la pone nella classe delle riprovate commedie piagnevoli; e perché mai? […] «Io preferisco (si dice nell’ Anno 2440 di Voltaire) quest’italiani a’ vostri insipidi commedianti francesi, perché essi rappresentano più naturalmente, e per conseguenza con maggior grazia, e perché servono il pubblico con più attenzione».

38. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo VI. Teatro inglese, alemano, e spagnuolo del medesimo nostro secolo. » pp. 389-417

E perché? […] Si richiedeva però maggior destrezza nel prepararli, acciocché mostrassero di avvenire naturalmente, non perché il poeta ne abbisogna. […] Terenzio e Molière si leggono e si encomiano da per tutto: perché da per tutto s’imitano sì poco250? […] Appresso si sente soffocare, ha una difficoltà di respirare e perché, senza accorgersene, ha tenuto il seno scoperto, allora Simone torna a baciarla con più fervore, esclamando, «che seno alabastrino! […] Fu la prima e l’ultima opera seria spagnuola, perché l’autore non si ricordò del precetto oraziano: Sumite materiam vestris qui scribitis aequam Viribus, et versate diu quid ferre recusent, Quid valeant humeri.

39. (1732) Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia

Nelle tragedie greche non è notabile tale inconvenienza sì perché il costume di que’ tempi permetteva al medesimo il famigliarizzarsi con li re, come perché alla loro condotta non era per lo più necessaria la segretezza. […] Una simile maniera si puote osservare anche in molte altre favole, per la quale di vero ogni rappresentazione riman priva de’ mezzi naturali che perfezionano l’assomiglianza della vera azione, parendo che le persone si mostrino sulla scena perché il poeta le fa venire, non perché gli affari ne diano loro la spinta. […] Inoltre laddove Orazio ci prescrive di dipingere Medea fiera e perfido Isione eccetera, non perciò intende egli dire altro se non che conviene serbare i costumi delle persone quali sono dati e reca esempli di tali persone, perché il loro carattere è de’ più noti, non perché non si potesse citarne dì migliori. […] Piacque allui la forma di questi perché, come egli dice, altro essi non hanno di verso che la misura e la rima, e fu dallui approvata la lor misura per la lunghezza comoda per esprimere intieramente qualunque difficile sentimento e perché non lascia da vicino sentir le rime. […] Inoltre perché fingere che cento braccia sieno per ferirlo in una fiata, mentre bastava uno o due soli?

40. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo VII. Spettacoli scenici della Russia. » pp. 418-421

All’incontro nell’opera comica francese, che pur vi si rappresenta, bisogna cambiar spessissimo il dramma, perché non tedii.

41. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro I. — Capo VI. Continuazione del Teatro Greco. » pp. 82-108

Non vi fu ipocrita o sia attore che ardisse di rappresentare, il personaggio del potente Cleone, né artefice che ne volesse far la maschera, come si dice nell’atto I; per la qual cosa Aristofane dovette egli stesso montare in palco, e rappresentarlo, tingendosi alla meglio il volto, e studiandosi di contraffarlo in tutto, perché si ravvisasse. […] Or perché eccitato una volta in qualunque guisa lo spirito filosofico, rinasce l’ordine, e ogni cosa rientra nella propria classe, il gabinetto allora si separò dal teatro, e più non si agitarono questioni politiche in uno spettacolo di puro divertimento. […] Rifiutò ogni dipintura particolare, perché appresa dalla filosofia che i difetti d’un sol privato sotto una potenza che tutto adegua, non chiamano la pubblica attenzione. […] Piacque molto al popolo d’Atene il personaggio di Anfiteo introdotto in questa commedia, perché gli sembrava essere insultato dall’alterigia di questo magisrato del Pritaneo, che quantunque povero fosse parlava spesso della sua genealogia, e vantavasi di essere disceso del sangue degli Dei. […] Lisicle, da venditor di montoni essendo diventato questore, o sia tesoriere della Repubblica, e contendendo di magnificenza co’ primi d’Atene che gli facevano una spezie di corte, perché la di lui mensa era dilicata, e la di lui borsa sempre aperta a coloro che l’adulavano, fu ancora esposto alla pubblica irrisione e beffe in questa commedia de’ Cavalieri.

42. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Commento »

Nella storiografia si considera questo episodio la prima vera coreografia della danza italiana, perché tutti i balletti erano legati da un’idea unitaria. […] Fontenelle: la celebre frase «Sonata perché mi ossessioni?» […] Pygmalion: il balletto Pygmalion fu intonato da Jean-Philippe Rameau e rappresentato per la prima volta il 27 agosto 1748 all’Académie royale de musique di Parigi, su testo di Antoine Houdar de La Motte Delle scene [commento_5.1] Canziani: Giuseppe Canziani fu un noto ballerino e coreografo attivo in diversi teatri in Italia e all’estero nella seconda metà del Settecento; è oggetto di critiche presso i contemporanei perché realizzava grandi balli storici scissi dall’azione del dramma all’interno del quale erano rappresentati. […] xv, «Dei caratteri della tragedia»: «Un esempio di perversità di carattere… di carattere incoerente ce lo dà Ifigenia in Aulide, perché la donna che supplica non assomiglia per niente a quella che vuole morire alla fine del dramma.»

43. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « [Dedica] » pp. -

Tra le grandi greche invenzioni si é quella de’ teatri, perché ponendosi in iscena il vizio, si preferita più orroroso. […] Ognuno che va a teatro, o volge tralle mani qualche dramma, vuol piccarsi di spirito e di sapere, e favella di sentimenti, di espressioni, di passioni, e nel suol decidere ex cathedra; ma pochi son quelli, che intendono ciò che si dicono, perché pochi si son dati la pena di consultar le sorgenti.

44. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Discorso preliminare premesso alla prima edizione »

Come la regola loro di pensare e di vivere non è il sentimento ma l’uso, così non vanno al teatro a fine di risentire il piacevole incanto dell’arte drammatica, ma perché vi vanno gli altri soltanto. […] Sarebbe operosa e inutil fatica il risponder a quelle perché la verità non ammerte risposta, e a queste perché taluni non cangiano opinione giammai ove si tratta di vilipendere.

45. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Conchiusione » pp. 438-442

Potrebbero da ciò gl’inesperti dedurre una falsa conseguenza, e fuggir la fatica necessaria per mettersi in istato di scriver componimenti simili all’Atalia e al Misantropo, perché non furono quelli la prima volta ricevuti favorevolmente dagli spettatori.

46. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo ottavo »

perché meco a saettar non prendi L’aspro smalto onde Cefalo s’indura?» […] [16] Minore fu il contagio nelle opere buffe sì perché avendo in esse meno luogo il maraviglioso più ne rimaneva pei caratteri, e sì perchè il loro stile più vicino al familiare non ammetteva le frascherie e gli stravizzi dell’eroico. […] Un soldato fa la medesima cosa perché la verità lo beffeggia per le sue millanterie. […] [19] Come non può a meno di non recar meraviglia la pena che si prese il Pardieri, compositore ignoto d’un più ignoto componimento rappresentato in Bologna, e che aveva per titolo L’Amore in cucina, di esprimere colla orchestra il suono del papagallo e dell’artiglieria unicamente perché nel dramma si faceva menzione del canto dell’uno, e un personaggio diceva dell’altra.

47. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro I. — Capo II. In quali cose si rassomigli ogni teatro. » pp. 8-13

Quindi si scorge perché tutte le prime composizioni sceniche, come non molto lontane da’ primi passi delle nazioni verso la coltura, si trovino scritte in versi, ch’é il secondo fatto generale che notasi ne’ teatri.

48. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro I. — Capo III. Teatri orientali. » pp. 14-18

Il dramma cinese non si spazia in episodi che son fuori dell’azione principale, perché tutti prende a rappresentare i fatti più rilevanti d’una lunga storia.

49. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Introduzione »

Vedono la luce in questi anni: Saggio sopra la giornata di Zama (1749), Saggio sopra l’Imperio degl’Incas (1753), Saggio sopra il Gentilesimo (1754), Saggio sopra quella quistione perché i grandi ingegni a certi tempi sorgano tutti ad un tratto e fioriscano insieme (1754), Saggio sopra Orazio (1760), Saggio sopra la quistione se le qualità varie de’ popoli originate siano dallo influsso del clima, ovveramente dalle virtù della legislazione (1762), Saggio sopra il commercio (1763), Saggio sopra l’Accademia di Francia che è in Roma (1763). […] Le opzioni tematiche sono uno degli argomenti centrali del discorso, perché da esse derivano le scelte drammaturgiche e lo sviluppo dell’azione; il tema non deve essere né troppo attinente alla storia per l’eccessiva severità di alcuni soggetti e per l’incongruenza legata all’accostamento tra soggetti storici, cori e balli e nemmeno essere troppo debitore a un meraviglioso mitologico che richiederebbe, come nel Seicento, troppo dispendio di macchinari e suggerirebbe un’inclinazione eccessiva verso la spettacolarità e l’artificio come avviene nelle opere francesi, dalle quali Algarotti, rifacendosi ad argomentazioni diffuse nella trattatistica di questi anni, prende la distanza. […] Così nella Conclusione egli ricorda «non altro essendo stato l’intendimento mio, che di mostrar la relazione, che hanno da avere tra loro, le varie parti constitutive dell’opera in musica, perché ne riesca un tutto regolare, ed armonico». […] Il marito frattanto (perché fra il Popolone de’ pigmeiha scroccato fama di savant come l’Algarotti e il ***) gemmando il suo pretto favellare toscano di mille frasi francesi, magnificava il prezzo di quelle inezie, e il buon gusto della sua sposa.»

50. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo II. Teatro Spagnuolo, Inglese, e Alemano nel medesimo Secolo XVII. » pp. 276-290

Vi debbe certamente serpeggiare un perché, uno spirito attivo, vivace, incantatore, pel quale, come dice Orazio, i poemi piaceranno, ripetuti dieci e cento volte. Egli é questo perché, questo spirito elettrico che sfugge al tatto grossolano di certi freddi censori di Calderòn e degli scrittori di componimenti regolatissimi e noiosissimi che muoiono appena nati.

51. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro II. — Capo III. La Poesia Drammatica nel Secolo XV fa maggiori progressi in Italia. In Francia cominciano i Misteri. » pp. 194-209

Primieramente potrebbero esprimere rappresentare e declamare, perché cantare dicesi pure da’ latini e da noi il recitar versi, per quella spezie di canto, con cui si declamano; ed oltracciò, io canto, dice ogni poeta che prende a narrare; cantano alternando i pastori siracusani, e mantuani, e gli arcadi romani. […] Leon Battista Alberti, uno de’ più gran valentuomini de’ suoi tempi, nato secondo il Manni e ’l dottor Lami nel 1398, secondo il Bocchi nel 1400, e, secondo che con maggior probabilità congettura il Tiraboschi, nel 1444, scrisse anche in latino nell’età di 20 anni una comedia, intitolata Philodoxeos, che per due lustri fu creduta opera di antico scrittore «perché (al dir del prelodato Tiraboschi) comunque scritta in prosa, ha nondimeno alquanto dello stile de’ comici antichi, e pruova lo studio che l’Alberti avea fatto della lingua latina».

52. (1783) Discorso storico-critico da servire di lume alla Storia critica de’ teatri « DISCORSO STORICO-CRITICO. — ARTICOLO VIII. Degl’Inventori del Dramma Pastorale. » pp. 86-94

Così l’egregio Signor Lampillas aspirando (senza saper perché) all’anteriorità della Pastorale, che è l’Itaca che fugge davanti al nostro Catalano Ulisse, ha trasformata una bell’Ecloga in molte parti, tenera, e delicata, in un informe, difettoso, meschino Dramma Pastorale1.

53. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo IX. Stato presente degli spettacoli teatrali. » pp. 426-437

Si dispera di pervenire all’altezza del drammatico romano, perché s’ignorano le cose che meritano riforma nell’ottima sua carriera; e che si é pensato?

54. (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — Di Venezia, 21 marzo 1620.Venezia, 16 di giugno 1618. » pp. 513-520

i et ambiziosi di dominio et d’impero, talchè questi poveri huomini usi a una fratellanza fra di loro, mai si ridurrebbon con essi in una servitù pacifica et quieta, et questi altri mai si divezzerebono dal voler dominare et comandare, perchè si san troppo usi, et hanno rotte troppe scarpe in quel mestiero, et io gli ho per scusati, perché ancor' io più volentieri ho comandato che ubbedito, et questo è desiderio innato in ciascun’ huomo, et però ardisco di dire immutabile, anzi che cresce cogli anni.

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