Quando colla Compagnia Coltellini fu al Teatro dell’ Aquila in Tolentino, s’ebbe nella sua beneficiata applausi e onori di epigrafi varie, tra cui la seguente : Antonio Feoli – Anconitano – Attore celebratissimo – pe’suoi modi cortesi caro ad ognuno – venne per la quarta volta – a dilettare i Tolentinati coll’arte sua – e da essi ottenne – onori e plausi – se non adeguati al suo merito – sinceri almeno – siccome quelli – che nascono dal cuore.
Nato a Milano il 2 maggio 1867, cominciò a recitar da ragazzo coi dilettanti, ed entrò in arte il 5 ottobre dell’ '87 nella Compagnia dialettale di Caravati e Cavalli, recitando da vecchio e da giovine, cantando, ballando, e anche capriolando sul trapezio volante sotto gli ammaestramenti del vecchio Ettore Baraccani, primo ballerino e mimo, un tempo, di gran rinomanza.
Nata – dice il Bartoli – da poveri parenti, cominciò per procacciarsi di che vivere, a montare in banco nella Compagnia dell’ Anonimo Ciarlatano Bonafede Vitali, col quale probabilmente si trovava il 1733 a Milano, se ben giovanissima, assieme al Casali e al Rubini (V.).
Figlio dei precedenti, esordì secondo amoroso nella Compagnia Mascherpa, passando poi primo attor giovine in quella De-Rossi, col qual ruolo formò prima società con Achille Dondini, poi fu scritturato dal fratello di lui Cesare, da Adamo Alberti pei Fiorentini di Napoli (1858-59-60), da Luigi Domeniconi pel seguente triennio ; ma, sciolta il Domeniconi la Compagnia nell’ agosto dell’ ultim’anno a Viterbo, egli formò società per condurla al termine dell’anno comico ; continuandola poi col Colomberti fino a tutto il carnovale '65.
In questo elenco dell’ '89 non figura più lo Zanetti (V.), mentre sappiam dalla lettera scritta da lui insieme al dottore Savorini essere stato nella Compagnia almeno dalla primavera.
Lo vediamo poi a Pavia il giugno del 1810, dove non avrebbe trovato modo di svincolar la condotta impegnata, se non gli fosse venuto in soccorso il proprietario dell’ Arena del Sole di Bologna che lo Zuccato andò a inaugurare il 5 di luglio con gran pompa di preavvisi-fervorini.
ra Beatrice vitelli Comica, nel corso delle fattiche, c’ha portato in Piemonte, et qua s’è stabilito merito tale appresso di me, che desideroso di fargliene rissentir gl’effetti non le ho potuto negare di procurar la protetione dell’ Em. […] za a compiacersi di concorrere nelle mie sodisfattioni, che di già mi persuado, che questi incontrerà nè suoi occorrenti l’assistenza delle gratie dell’ E.
Scelto dal Riccoboni per la Compagnia del Reggente, si recò il 1716 a Parigi, ed esordì alla « nuova Commedia italiana » nel teatro del Palais Royal (le riparazioni dell’ Hôtel de Bourgogne non erano ancora compiute) il 18 maggio nell’ Inganno fortunato (l’heureuse surprise), commedia a soggetto in tre atti, che il pubblico trovò assai buona, e in cui erano intercalate alcune scene tratte da altra commedia spagnuola : Visentini vi fu magnifico in quelle del Pittore. […] Sotto la maschera dell’ Arlecchino egli sapeva strappare le lagrime, glorioso predecessore in questo del non men glorioso Petito (V.).
Stanco dell’ arte sua, abbandonò la terra natale, e dopo alcune vicende si aggregò a una Compagnia comica di secondo ordine, recitandovi le parti di tiranno.
Dovè dunque concepirsi di tal modo, che le macchine per appagare la vista, l’armonia per dilettare l’ udito, il ballo per destare quella grata ammirazione che ci tiene piacevolmente sospesi agli armonici, graziosi, agili e leggiadri movimenti di un bel corpo, cospirassero concordemente colla poesia anima del tutto, non già qualunque o simile a quella che si adopera in alcune feste, ma bensì drammatica e attiva, ad oggetto di formare un tutto e un’ azione bene ordinata, e cantata dal principio sino al fine, e (per dirlo colle parole del più erudito filosofo e dell’ uomo del più squisito gusto che abbia a’ nostri dì ragionato dell’opera in musica, cioè del conte Algarotti) di rimettere sul teatro moderno Melpomene accompagnata da tutta quella pompa che a’ tempi di Sofocle e di Euripide solea farle corteggio. […] Bisogna dire che questi sieno i pretti originali degli eruditos à la violeta dell’ ingegnoso mio amico il signor Cadalso y Valle, e che appena leggano pettinandosi alcuni superficiali dizionarj o fogli periodici che si copiano tumultuariamente d’una in altra lingua, e che con tali preziosi materiali essi pronunziano con magistral sicurezza, che il canto rende inverisimile le favole drammatiche. […] Chi ne bandisce il vero per aprir campo vasto al capriccio e alla sregolata fantasia, ama i sogni, e non comprende la bellezza dell’ imitazione delle dipinture naturali. […] Ma che altro produce in tutti i secoli e in tutti i paesi quest’effetto maraviglioso, se non quella tacita convenzione tra l’attore e l’uditorio, la quale sussiste, e sussisterà mal grado di tutti i possibili mercenarii giornalisti, gazzettieri e declamatori sedicenti filosofi dell’ universo? […] Cantansi le nostre opere, e quando un Farinelli, un Niccolini, un Monticelli, un Cafarelli, un Egiziello, o la Tesi, la Mingotti, la Faustina, approfittandosi delle armoniche appassionate situazioni del Metastasio, e dell’ armonia incantatrice de’ Sarri, de’ Vinci, de’ Leo, degli Hass, de’ Gluck, de’ Jommelli e de’ Piccini, animano il canto e la poesia con quella vivace rappresentazione che tutto avviva, e gli animi tutti scuote e commuove, l’intera Europa gl’ invita, gli onora, gli colma di ricchezza, e si affolla ad ascoltargli, ed in tali attori musici si avvezza a compiangere Statira, Arsace, Demetrio, Mandane, Berenice.
A testimoniar dell’ arte sua metto qui il seguente sonetto, stampato in foglio volante a Modena dagli eredi di B.
Morto Alborghetti, lo sostituì con assai onore il 1733 nella maschera del Pantalone, e fu ricevuto in compagnia con decreto dell’ 11 febbrajo a un quarto di parte, e con-decreto del 4 maggio, a metà.
Esordì al Sannazzaro di Napoli in Compagnia Pietriboni, la quaresima dell’ '83 come amoroso, salendo dopo un triennio al grado di primo attor giovine con Lorenzo Calamai, per passar poi con Andò, nella nuova Compagnia di Eleonora Duse, dov'ebbe campo di farsi notare, per la eleganza e la correttezza della dizione, specialmente nella parte di Pinquet in Francillon di Dumas figlio, che creò con molto successo al fianco dell’illustre attrice, colla quale restò cinque anni.
Per invito del Comitato drammatico dell’ Esposizione di Torino (anno 1898) ella recitò a quel teatro Carignano il Pater di Coppée.
La Gaetana non ebbe mai chi la superasse nella Gabbriella di Vergy, e fu grandissima nella Merope del Maffei e in quella dell’ Alfieri, di cui recitò poi col maggiore dei successi la Sofonisba, l’ Ottavia e l’Antigone.
Attrice coscienziosa, ricca di sentimento e d’intelligenza, ottime doti non mai discompagnate da una gentile modestia, percorse i principali teatri d’ Italia e dell’ estero, al fianco de' più famosi artisti, quali la Fumagalli, la Cazzola, la Sadowski, i fratelli Salvini, Taddei, i due Rossi, ecc.
Ernesto Rossi lasciò scritto di lui : Piccinini, quantunque non levasse le ali a eccelsa mèta fu artista coscenzioso e distinto e interprete felice delle opere dell’ Alfieri, del Niccolini, di Pellico e del Marenco, opere ormai sconosciute alla presente generazione.
A compimento dell’ articolo sul Chiesa (V.), metto qui l’aneddoto, che l’Ottonelli riferisce nel libro primo, pagina 101, della sua Cristiana Moderazione del Teatro, inteso da Violone stesso, come testimonio oculare, e già riferito dal Beltrame nella sua supplica.
E il nuovo manifesto diceva : « Ora più che mai ferve la lotta ed il bisogno in quell’ Eroica parte dell’ Italia nostra : nessuna occasione noi sfuggiremo per prestarle il nostro fraterno soccorso ».
Volò il grido de’ suoi meriti sino a Parigi, e fu colà chiamato, perchè la parte dell’Innamorato egli recitasse nella Truppa Italiana. » Bartolommeo Camerani si recò a Parigi nel 1767 chiamatovi a recitare i secondi amorosi, alternativamente con Francesco Antonio Zanuzzi e Antonio Stefano Balletti, e vi esordì la sera dell’ 8 maggio, insieme all’ arlecchino Sacchetti nel Maître supposé, nuova commedia italiana che non ebbe veramente un gran successo. Sul successo dell’ attore Camerani abbiamo invece notizie controverse, dappoichè dice il Campardon (Les comédiens du Roi) ch’ egli esordì avec fort peu de succès, mentre il D’Origny (Annales du Théâtre italien), afferma ch’ egli fece l’amoroso avec une noblesse, une aisance et des graces peu communes.
Avverso all’applauso o alla risata prodotti da una inconsulta scurrilità, egli sopprime le soverchie arditezze, a scapito non sol dell’ effetto, ma dell’ interesse.
I patti di scrittura furon mantenuti da ambe le parti ; e se il buon successo delle commedie stabilì la fama dello scrittore, non meno formò la fortuna dell’ impresario. […] Ricorse allora il Medebach all’ opera dell’ Abate Pietro Chiari, il quale, se ben per nulla comparabile al Goldoni, ne fu tuttavia un formidabile antagonista.
Fra questi cito una parodia del Cantico de' Cantici di Cavallotti recitata l’autunno dell’ '81, al Teatro Manzoni di Milano, dalla Compagnia Pietriboni, appunto dopo il Cantico. […] Era l’ '87 al Valle di Roma con Petronio Zanerini, e creò il 16 gennajo la parte di Eumeo nell’Aristodemo, e il carnovale dell’ '88 quella di Zambrino nel Galeotto Manfredi di Vincenzo Monti (V.
Troviamo il suo nome citato nel 1762 fra le notizie dell’ Ufficio del Maresciallo di Corte, dalle quali resulta che « il Segretario Bertoldi il 25 agosto si era recato a Varsavia. » Segretario di che ?
Così duraron qualche anno ancora, studiando accanitamente, sfogandosi in crear parti di grande rilievo, e guitteggiando pei teatri delle Marche e dell’ Umbria, fino a che gli omai valenti artisti, saliti a grado a grado in rinomanza, condussero e diressero essi stessi una compagnia ricca di ottimi elementi, della quale era lei prima donna applauditissima e nelle commedie scritte e in quelle improvvise, e nelle parti comiche e in quelle tragiche ; e lui primo amoroso e incomparabile Arlecchino.
Morto il padre nel febbraio del '62, egli entrò di punto in bianco primo amoroso ai Fiorentini di Napoli, dove, mercè gli ammaestramenti del Taddei, dell’ Alberti, del Salvini, della Cazzola, della Pezzana, della Marini, salì a tal grado d’arte, che la quaresima del '70 partiva con la madre per Cremona a raggiunger la Compagnia di Alamanno Morelli, della quale egli era il primo attore assoluto.
Anche nel '54 pare vi fosse timore di smembramento della compagnia, e il Nelli avendo saputo che le carrozze eran già state licenziate, si rivolge il 3 di aprile a un famigliare del Duca per sapere se la compagnia debba andare a guadagnare, o pure aspettare in Bologna, a ciò possano tutti i compagni dipendere dai commandi dell’ A.
Angelo di Venezia ; e il settembre dell’ '87 le è ordinato di andar a recitare a Crema in occasione della fiera.
Recatasi colla stessa Compagnia a Livorno, e colà sgravatasi d’un bambino, fu colta da febbre d’infezione della quale morì, non ancor tocco il trentesimo anno dell’ età sua.
Balestri), e il 1594 a Firenze, come da una sua lettera in data dell’ 8 dicembre al cav.
Da un quadro storico sulle Sette, tratto dalla Inquisizione istituita negli Stati Estensi, risulta che Romualdo Mascherpa fu aggregato alla massoneria nel 1818, per opera dell’ ex-officiale Carlo Zucchi e del capitano Sirelli. […] A complemento di questi cenni, metto qui l’elenco della Compagnia per la quaresima del 1842, secondo la distribuzione dell’ originale, e il suo repertorio : Prima amorosa Matilde Chiari Servetta Amalia Colomberti Prima attrice Adelaide Ristori Madre nobile Adelaide Fabbri Attrici generiche Angela Buccinieri Rosa Rizzoli Maria Leigheb Maria Mascherpa Altra amorosa Argenide Dondini Caratteristica Teodora Dondini Primo attore assoluto Antonio Colomberti Primo amoroso Giovanni Leigheb Altro amoroso Agostino Buccinieri Generici Ettore Dondini Enrico Ristori Giuseppe Bignami Francesco Paolini Parti brillanti Cesare Dondini Parti d’aspetto Luigi Cardarelli Parti ingenue Augusta Ristori Cesare Ristori Suggeritore Astorre Rizzoli Poeta Iacopo Ferretti Caratterista e Promiscuo Luigi Gattinelli Tiranni e Padri Paolo Fabbri Primo generico di riguardo Achille Dondini Generici Giorgio Vismara Antonio Ristori Paolo Riva Macchinista — Trovarobe — Due Traduttori — Apparatore repertorio Torquato Tasso di Goldoni – La discordia di quindici anni – Il figlio assassino per la madre – La fedeltà alla prova – Il diadema di Nota – Ditta Scaff e Clerambeau di Scribe – Un fallo – La finta ammalata di Goldoni – Il mulatto – Un matrimonio in Francia sotto Luigi XV – Rifiuto e vendetta – Il custode della moglie altrui – Il galantuomo per transazione di Giraud – Un bicchier d’acqua – Il dominó nero – Pamela nubile di Goldoni – Una catena di Scribe – Gl’ innammorati di Goldoni – Il flagrante delitto – Eulalia Granger – La calunnia di Scribe – Maria Stuarda – Don Cesareo Persepoli – La lettrice – La Pia de' Tolomei – La fuga dal forte di Sant’Andrea di Venezia – Il testamento di una povera donna – La cognata – Don Marzio alla bottega del caffé di Goldoni – Il proscritto – Malvina – Felice come una principessa – Filippo – Papà Goriot – I due Sergenti – Marion de l’Orme.
Nel Mattino di Napoli dell’ 11 agosto '97 un abbonato milanese dice che Meneghino trae la sua origine da Domenica, essendochè era uso in Milano, nei secoli passati, di chiamare in servizio, per tutta la giornata di Domenica, un uomo del popolo, il quale si prestava al disimpegno di molteplici faccende, acconciandosi anche a fungere da servo straordinario. […] Di lui si hanno alcune notiziole biografiche, pubblicate nel '58, delle quali principalmente si servì il Bertolotti nel distender la vita dell’ artista (Milano, Ricordi).
Entrata nella Società Cuore ed Arte, al momento della sua formazione, vi emerse in poco tempo, mostrando assai chiare attitudini alla scena : e fu gran ventura pei parenti ai quali non volgevan troppo al bene le cose, che Virginia potesse abbracciar l’arte drammatica : ciò fu il maggio dell’ '82 con Giovanni Emanuel, che le fu poi maestro, compagno, amico fino all’anno 1894. […] E alcuna volta, infatti, la sostituì, e, lei morta il marzo dell’ '83, ne prese il posto.
Recitò per molto tempo a Venezia, poi fu chiamato al servizio dell’ Elettore a Dresda, ove, incontrato il favor del pubblico, potè accumular molta fortuna, e ove, giunto in età avanzata, morì nel 1764.
È un libriccino di dieci pagine in 12°, compreso il frontespizio, e contiene ventitrè scipitaggini, di cui ecco un esempio : A far parere molte persone senza testa Piglia sale armoniaco, sale gemma, e sale di canfora tanto dell’uno, quanto dell’ altro, & acqua vita di sette cotte ; fa fondere tutto insieme, & ongi con quello la candela di sevo, o di cera ; col chiaro di detta candela pareranno senza testa.
Laccio ed arco ed ardor dell’ alme ancelle Tu se’ben ora, o crine, o labbro, o face ; l’uno annoda, quel punge, e l’altra sface freddo sen, freddo cor, voglie rubelle.
Fu in breve tempo acclamato come uno de’migliori artisti dell’ epoca sua, al fianco della Tessari, di De Marini e di Vestri.
Si sa che il Bellotti era retribuito con 600 fiorini annui, i quali pare non fosser punto sufficienti al suo quieto vivere, se fu costretto a muover suppliche per un impiego, magari di portinaio, che lo sottraesse alla miseria, accampando i suoi meriti d’Arlecchino per 17 anni : e il Directeur des Plaisirs, in una Istanza dell’ 11 febbraio 1734, indica il Dottore Malucelli e l’Arlecchino Bellotti, come coperti di debiti.
Relazione Fabbrichesi al Ministro dell’ Interno del Regno d’Italia sui comici della Compagnia Reale, in via di nuova organizzazione.
Tolta questa fisima di trasformazione della maschera, in Alceste Corsini restava pur sempre una rara naturalezza di dizione e di gesto, e una spontaneità meravigliosa dell’ arguzia, due qualità che lo tolser presto dal primitivo guittume per collocarlo più alto, ove potè respirare liberamente l’aria sana dell’arte, e d’onde potè mostrare i suoi pregi a un pubblico degno di lui.
Gli cascavan davanti gli amorosi, pallidi e allampanati, i suoi vecchi padri serii si trascinavan, moribondi, sul palcoscenico, Cola e Coviello ridevano giallo e la stretta sorveglianza degli Scrivani dell’ Udienza impostati, con tanto d’occhi aperti, sul palcoscenico, impediva alle servette la pratica fruttuosa de’loro infiniti adoratori.
Recitò con pari ardore e con pari coscienza la Madama Bonivard delle Sorprese del divorzio, in cui trasse assai profitto dall’antico studio della danza, e la Clitennestra dell’ Oreste, la Cesarina del Figlio di Coralia, e l’Ofelia dell’Amleto.
Voi siete brava e non ve n’ avvedete, perchè è natura dell’ augel che vola, canto e passione, e se non lo credete guardate quella mammola vïola ; benchè chiusa nell’orto in tra le foglie, l’odor la scopre e il passegger la coglie ; così la vostra luce, o fata bella, vi scopre a tutti che siete una stella.
L'autunno dell’ '86 era a Torino, raccomandato da Sua Altezza al signor Marchese di Dronero ; e 1' '88 a Milano, ove gli furon pagate lire 740 dal tesoriere Zerbini (V. l’elenco di quest’anno al nome di Torri Antonia).
Infatti un elenco della sua compagnia, senza data, ma certo prima assai dell’ '80, ci dà i seguenti attori : SIGNORE Anna Roffi Maria Zocchi Anna Cesari Amalia Gattolini-Brunacci, serva SIGNORI Gaetano Brunacci Giuseppe Mancini Angiolo Marchioni Luigi Lensi MASCHERE Gaetano Cipriani, Pantalone Baldassarre Bosi, Trastullo Nicola Bertoni, Arlecchino e subalterni.
Ancora due anni, e questa Compagnia che s’è conquistato il posto primo tra le prime, non solo per le parti che la compongono, ma anche, e più, per la bella armonia dell’ assieme, si sfascierà tutta per dare nuove missioni da compiere, nuovi ideali da tradurre in fatto, o nuove speranze di lucro.
(dice il Ciclope) il forestiere mi ha fatto bere, ed è egli quel perfido Niuno che mi ha privato del lume dell’ occhio. […] Il Mazzoni, il Vettori, il Beni, il Nisieli sono dell’ avviso del Patrizio. […] Scrivete pure, cianciate, stampate a vostra posta, che sarete sempre una dimostrazione evidente dell’ esistenza del volgo e de’ fanciulli canuti della vostra nazione. […] IV p. 369 della Storia dell’ America. […] Pag. 106 dell’ edizione Burmanniana.
La maschera qui riprodotta (pag. 985), è nelle Composizioni di Rettorica dell’ arlecchino Martinelli (V.), al nome del quale è pure la riproduzione di una lettera inedita ove si discorre del Garavini.
Fu poi con Giacinta Pezzana, col Bellotti (Compagnia n. 2), e finalmente ancora con Virginia Marini, per un triennio, dopo il quale (carnevale dell’ '83) si recò a Firenze, dove morì il 23 giugno dello stesso anno.
Ecco l’epitaffio del Tasso, non scritto dopo la morte del Verato (il Tasso avea già lasciato Ferrara dell’ '86), ma mentr'era in vita, e a istanza sua, come si legge nella didascalia di un codice estense : Fatto ad instanza del Verato eccellente istrione : Giace il Verato qui, che 'n real veste superbo, od in servil abito accolto, nel proprio aspetto, o sotto finto volto, come volle, sembrò Davo o Tieste.
La quaresima dell’ ’82 andò a sostituire Giovanni Ceresa nella Compagnia di Virginia Marini, passando poi primo attore, a vicenda i primi due anni con Luigi Biagi, e assoluto gli ultimi tre, in Compagnia Nazionale.
E a proposito dell’ arte sua, lo stesso Bartoli aggiunge : Il Fiorilli è sulla scena un gran Comico, e per tale fu adottato da tutta l’Italia.
Le commedie La bozzetta dell’ ogio, Le barufe in famegia, El moroso della nona, I recini da festa, La famegia in rovina, Mia fia, I oci del cuor furon la fortuna di Moro-Lin ; ma quest’ ultima segnò anche la sua nuova e non più mutabile sciagura.
Entrò il '78 nella Compagnia Iucchi, diretta da Giovanni Emanuel, e il '79, dato un addio alle scene, si ritirò nella sua Bologna, dove morì il 19 febbrajo dell’ '85.
Il celebre Ottone Vescovo di Frisinga, zio dell’ Imperador Federico I Barbarossa, nel ritratto che dopo la metà del XII secolo fece dell’Italia, frall’altre cose confessa (lib. […] L’eruditissimo Muratori conta dal soggiorno dell’ Imperadore Federico II in Sicilia, verso l’anno 1220, i primi buoni versi Italiani. […] Ma sebbene in Italia da qualche tempo suol farsi de’ Letterati e degli Artisti quell’uso che fassi de’ limoncelli, come diceva l’eloquente Cardinal Cassini, i quali, trattone il sugo, si gittano nel letamajo, pur con tutto ciò a disinganno di certi mal prevenuti e mal istruiti Oltramontani si vuol avvertire, che gl’ Italiani nell’opere d’alto ingegno, ove han posta cura, e in tutte le produzioni delle arti dell’ immaginazione, del genio, del sentimento, e del gusto, per la leggiadria, dolcezza, energia, e maesià della lingua, pe ’l propizio influsso del cielo, per la serenità, fervenza, e temperatura dell’aere, per le ridenti e maravigliose prospettive, per la vaghezza, amenità e fertilità del paese, o come diceva il buon vecchio Ippocrate, per l’arie, l’ acque, i terreni, per l’armonica tempera, e per la delicatezza de’ sensi, per la proprietà del loro temperamento, per la massima parte melancolico sebbene poco o niente apparente nell’esteriore, per la placidezza, avvenenza, e gentilezza de’ costumi, per lo sodo, nobile, e grazioso modo di pensare, e di fare, in somma per la natural vampa d’ingegno fervido, elevato, sagace, ed inventivo, sono stati, sono, e saranno in ogni età eminenti, ed a tutte le più culte nazioni moderne, uguali, e ad alla maggior parte, superiori; perchè (dicasi con altre parole dell’ anzilodato Ab.
.) — sul finire di ottobre 1490, scriveva al Marchese Francesco le difficoltà per la ripetizione a Marmirolo dell’ Orfeo, accennando Filippo Lapacino e Zafrano, che dovevano prendervi parte, oltre al Citaredo Atalante che si attendeva da Firenze.
L’Asti, giunto al parossismo, uscì precipitoso di scena, e per vendicarsi dell’ offesa per lui inqualificabile del pubblico, trafisse con terribile veemenza la tela di una quinta.
Ma dove il difetto della pronunzia siciliana, se non spariva, si nascondeva, sopraffatto, dirò così, dalla acuta interpretazione del testo e dalla fine cesellatura delle frasi e delle parole, rivelando al pubblico, colla maggior semplicità di mezzi il più riposto concetto dell’ autore, era nelle cose comiche.
E in gran conto dovè il Duca di Modena tenere il Cimadori, dacchè in due lettere del Duca di Mirandola al Principe Cesare D’Este in data dell’ ’81, è descritto il grande affanno patito dal Conte Cornelio Pepoli per la voce sparsasi di aver egli potuto mancare a Sua Altezza col far battere Finocchio comico.
Domani parto per Lione e ci metterò sei giorni, onde non sarò a Londra che alli 4 dell’ Entrante.
Da quel momento figure e squarci poetici si succedevan nella sua mente accesa : ora era un pezzo dell’ Otello, ora uno della Zaira che egli diceva ad alta voce con febbrile concitazione…. e da quel momento non ebbe più che uno scopo nella vita : salire sul palcoscenico.
Vissuto alcun tempo in una certa agiatezza, morì poverissimo a Pordenone il 1° aprile dell’ ’86, fulminato su la scena, mentre s’accingeva a mangiare nel 1° atto del Tiranno di S.
Non andrà dimenticato il grande avvenimento di una recita dell’ Otello al Paganini di Genova con Drago Otello e Salvini Jago, della quale metto qui a testimoniar del valore artistico di Adolfo Drago, il giudizio apparso nel supplemento al n. 82 del Caffaro, 13 marzo 1891.
Il Loehner nell’Archivio Veneto dell’ ’82 pubblica una Minuta di stromento fra il Duca di Mantova e lei, che mette ben conto io qui riferisca per intero : Essendo io restato così pienam.
Vagò per alcun tempo in accozzaglie di commedianti dell’ infima specie, finchè, udito da Bellotti-Bon, fu da lui scritturato, passando in breve al ruolo assoluto di primo attore giovine, in cui per l’ardore della passione e per la spontaneità non ebbe mai chi gli stesse a fronte.
Ma il Duca di Modena non si lasciò intimidire dalle minaccie di quei cavalieri, e diè ordini, col mezzo dell’ Obizzi, al Podestà di Padova, perchè senz'altro la sua compagnia si recasse a recitar colà, com’era già stabilito.
Fu poi capocomico con varia fortuna ; e, or è qualche anno, fu nominato direttore dell’ Accademia de' filodrammatici di Milano, non lasciando ogni tanto, di mostrarsi al pubblico sotto le spoglie di quei personaggi che più gli acquistaron fama di eletto artista.
Ne uscì per formare una gran Compagnia, che durò quattr’anni (1847-’48-’49-’50) con grande fortuna, e della quale ecco l’elenco : ATTRICI Adelaide Ristori Socia dell’ Accademia di S. […] E dopo di avergli dato ragguaglio sull’esito delle due Pupille, della Bottega del libraio, dell’ Avaro, della Turca, commedie tutte dello stesso Benci, delle quali ebber le prime due le migliori accoglienze dovunque, dice : ….
Ed ora metto qui la terza e quarta ottava, che traggo da un suo poemetto, non citato da alcuno, ch’io mi sappia, il quale ci dà un’ idea dell’ ingegno poetico di lui, e del tipo ch’ egli rappresentava in teatro. […] III. 267 dell’ Università di Bologna) è IL MONDO | conquistato | di Silvio Fiorillo | detto il Capitano Mattamoros comico.
Non vi ha dubbio che la bellezza dell’ elocuzione sì nel verso, come nella prosa, imbalsimi sempre tutti i componimenti ingegnosi; ma nel genere comico richiedesi pur anche gran vivacità e piacevolezza, grazia e naturalezza, verità ed arte con un’ azione, una favola, e un vero ritratto de’ costumi del tempo: Un vers heureux & d’un tour agréable Ne suffit pas; il faut une action, De l’interet, du comique, une fable, De moeurs du temps un portrait véritable, Pour consommer cette oeuvre du démon, dice benissimo il Signor di Voltaire. […] Il Conte di Calepio, parlando del decoro, osserva in questa tragedia dell’ Ercole Eteo, che con giudizio vien mitigato da Seneca il discorso che secondo Sofocle fa al figliuolo per obbligarlo ad esser parricida e divenire consorte della concubina paterna. […] Il Gregge o la Caterva, fu chiamato da Orazio nella Poetica Cantor, perchè cantando e sonando (siccome nel fine degli atti si costumava) chiedeva al popolo il favor dell’ applaudere.
Ma negli scoppi d’ira selvaggia, in alcune scene dell’ Otello, nella imprecazione del Re Lear, nella scena capitale del Bastardo, quanta violenza, quanto fuoco, in quella spontaneità. […] A testimoniar dell’ingegno e degl’intendimenti artistici di Giovanni Emanuel, del suo metodo di studio, de’ suoi timori, della sua forza, della sua perseveranza, della sua alterezza, e soprattutto della sua sincerità, ecco alcuni brani di una sua lettera del 12 gennaio ’87, indirizzata al Direttore del Fieramosca di Firenze, a proposito appunto della interpretazione nuova e inattesa dell’ Otello, che generò discussioni e polemiche non più udite, e, direi quasi, non più visti accapigliamenti. […] E di lui direttore, per una recita della Fedora di Sardou al Valle di Roma, scrisse il D’ Arcais nell’aprile dell’ ’83 : Ad onor del vero, il merito del successo di Fedora è dovuto, in gran parte, all’esecuzione.
E al proposito del Belisario (ivi) : Per dire la verità gli attori contribuirono infinitamente alla riuscita dell’ opera e le parti erano bene distribuite : …… Teodora Imperatrice, vana, superba e feroce non potea esser meglio rappresentata : la Bastona la sosteneva a maraviglia ; e s’investiva si bene di quel carattere odioso, che più e più volte i Gondolieri, ch’ erano nel Parterre, la caricavan d’ingiurie, ch’erano insulti alla parte rappresentata, ed applausi alla brava attrice.
La morte di Vincenzo Cammarano fu cantata in uno scherzo poetico da Giulio Genoino che il Di Giacomo reputandolo inedito, pubblica per intero : L’invidia piena il cor di rabbia muove reclami a Giove contro il Cammarano che non era un uomo semplice ma un Demonio in forma umana (che giammai non fu possibile arte tanto singolare cui la forza dell’ Invidia non è giunta a denigrare !)
A queste dell’artista andavan congiunte le migliori qualità dell’uomo : laborioso ed onesto allo scrupolo, e buon soldato dell’ indipendenza italiana.
E se come attore e direttor di compagnie s’ebbe moltissime lodi, non minori furon quelle tributate al direttore de' filodrammatici, l’affetto e il rispetto dei quali l’accompagnarono fino all’ultimo giorno di sua vita che fu il 6 maggio dell’ '88.
Firmò alla fine dell’ '81 un contratto con cui gli si accordava di poter occupare con la sua Comica Compagnia un Teatro della Dominante per dieci anni di seguito e nelle stagioni di autunno e carnovale.
Fra i tanti miracoli compiuti dal Salsilli nell’arte sua, va segnalato questo : di aver suggerito dell’ '84 in Compagnia Nazionale, un po' a memoria e un po' improvvisando, con poche parti principali in mano, il Cuore ed Arte di Leone Fortis, al Teatro Gerbino di Torino, essendo stato involato il manoscritto, nuova riduzione dell’autore, sul punto di alzarsi il sipario ; e Paolo Ferrari, direttore della Compagnia, ignaro della cosa, si meravigliò, venuto più tardi in teatro, della esattezza e rapidità di esecuzione.
Oltre a quello di Padova, di Pesaro, dell’ altro presso il Lago di Bolsena rammentato nell’iscrizione pubblicata dal Muratori, di quelli della Toscana accennati dal Borghini, di quello di Anzio, di cui favella il P. […] Vedevansene eretti in quella parte dell’ Inghilterra, in cui si piantarono colonie Romane. […] Uno scrittore di favole Atellane per un verso ambiguo fu da Caligola fatto bruciar vivo in mezzo dell’ anfiteatro. […] Leandro Alberti nella descrizione dell’ Italia, dove parla del Ducato di Spoleto. […] Ciò che ce ne rimane consiste in una introduzione fatta da Mosè, e in un dialogo pieno di dignità fra questo legislatore e capo degli Ebrei e la Divinità nel roveto ardente, e finalmente in un racconto fatto da un messo della fuga di quel popolo e dell’ evento del mar rosso.
Perduta questi la vista, tentò la Cesira la via dell’ arte, scritturandosi amorosa in una compagnia di poco conto, e tanto vi riuscì, che il 1847 entrò prima attrice giovane in quella di Colomberti, Internari e Fumagalli.
E poichè immenso don di sua pietade ti pose il fido Beniamin d’appresso, che, conforto a' tuoi mali, or la metade è di te stesso ; appena il potrai tu, fa ch'ei ti guidi al tempio di Maria, madre di Cristo, se delle offese membra ti confidi riaver l’acquisto ; e udrem, nuovo miracolo di Cielo, la stessa di Gesù voce divina, ripeterti col suon dell’ Evangelo : Sorgi e Cammina.
Io dettava allora le appendici drammatiche sul Fieramosca, e il 5 luglio dell’ ’82, a proposito della rappresentazione di Frou-Frou, della quale era ancor vivo nel popolo fiorentino l’entusiasmo suscitato dalla Bernhardt, pubblicavo : Da un gran pezzo in qua non m’era accaduto di notare sul nostro teatro di prosa certi sgattajolamenti nervosi, certi contorcimenti serpentini, certi sfiaccolamenti veri, sentiti. […] Il 16 giugno dell’ ’83 scriveva da Bologna all’incomparabile amico Antonio Fiacchi, il Piccolet allora del Piccolo Faust : È sempre cosa gradita alla nostra vanità – o meglio alla nostra fibra – il non vedersi sconosciuti nel mondo ove viviamo – e per quanto io cerchi isolarmi – non lusingandomi troppo – nè degli elogi – nè delle affascinanti profezie sul mio conto – pure – una parola – una approvazione intelligente – mi rimettono in cammino con più lena – e con un coraggio che non è senza fiducia. […] Già io adoro i paesi di mare…… Il 19 luglio ’84 dalla montagna (Brozzo – Ivrea) : …… Da quest’altezza…. modesta e pur considerevole (900 metri) – da questo profumo – l’odore puro, direi immacolato della montagna, da questo verde che riposa l’occhio irritato dalla luce del gas della città – da quest’aria che rimette a nuovo i polmoni affaticati – e calma le febbri sorde che dà il contatto con la città…. mi sento rinascere – buona – senza pretesa – con poche vesti, con pochi quattrini – con molte idee – con molto senso di pietà e di perdono – verso tutto quello che ci turba e ci profana…… Il 23 luglio dell’ ’86 da Varazze : …… eccomi qua – con una mano scrivendo, e con l’altra dando giocattoli a una bella piccina – di cui non sono la mamma che a certe ore, mentre per il più della giornata, io faccio il possibile per essere bambina…. creatura di pochi anni e di molto sorriso, come lei. […] Questo scrisse il Duquesnel nel Gaulois dell’ 8 giugno ’97 dopo la recita della Magda di Sudermann ; e a ragione : poichè nessuna attrice possedè mai tanta mobilità di fisionomia, che è uno de’più rari pregi dell’artista drammatico. […] Dacchè si poteva notar colà un fenomeno maraviglioso e miracoloso delle forze e della nobiltà dell’ arte vera.
PROLOGO Per goder frà le selve almo ristoro, Scender sovente dall’Olimpo i Numi Vide già la felice Età dell’ Oro. […] E pur ora frà Voi ben cento e cento Saran, cui forse la Cittade appare Unica sede dell’ uman contento.
In effetto egli purga quest’argomento tanto dell’ episodio degli amori di Teseo e Dirce, alieni dall’avventura di Edipo, introdotto con mal consiglio dal padre del teatro francese, quanto di quello non meno eterogeneo della galanteria di Filottete che con rincrescimento si legge nell’Edipo del Voltaire. […] In fatti i Tartari e i Cinesi dell’Orfano della Cina, gli Arabi Musulmani e gl’ idolatri del Fanatismo, i Romani del Bruto e del Giulio Cesare, i Greci dell’ Oreste, si distinguono assai bene fra loro e da’ Parigini. […] Un eccesso di amore forma l’azione dell’una e dell’ altra, la gelosia ne costituisce il nodo, ed un equivoco appresta ad entrambe lo scioglimento; Otello s’inganna con un fazzoletto, Orosmane con una lettera; l’uno e l’altro ammazza la sposa e poi si uccide. […] Il tragico storico (che non è nè storico nè tragico) denigra la fama dell’ Avogadro formandone un basso traditore e un mezzano della propria figliuola, e con documenti istorici che alla storia contraddicono, pretende avvalorare le sue maligne asserzioni. […] “Tutto l’esercito (dicesi dell’ esecuzione dell’Avogadro in una Lettera istorica su di Gastone44) chiedeva ad alta voce il supplicio di lui e del figliuolo . . .
Sebastian y Latre uscì anche una riforma del Parecido en la Corte, in cui l’ autore procurò di guardare le unità, ma non ritenne le grazie dell’ originale, Nel 1770 uscì in Madrid una commedia intitolata Hacer que hacemos, cui noi potremmo dar il titolo di Ser Faccendone. […] Lodevoli singolarmente nell’atto I sono: la prima scena in cui si espone il soggetto, si dipingono i caratteri, e si discopre con senno la sorgente della simulazione di Chiara: le due seguenti ove si manifesta il carattere leggiero, stordito e libertino di Claudio gli artifizj dell’ astuto Pericco proprj della commedia degli antichi ed accomodati con nuova grazia a’ moderni costumi Spagnuoli. […] S’intitolano el Señorito Mimado, ossia la Mala Educacion, e la Señorita Mal-criada, impresse nelle opere dell’ autore, e poi separatamente nel 1788, argomenti felicemente scelti per instruire e dilettare. […] Mariano indicate ottimamente nella 2 scena dell’ atto I: la di lui vita oziosa descritta da lui stesso in pochi versi nella 7 del medesimo atto25: l’incontro comico della 13 dell’atto II di D.
Nelle farse istrioniche dette dell’ arte gli attori caratterizzati nella guisa già descritta, si coprivano di maschere, le quali s’inventarono a poco a poco parte nel decimosesto e parte nel seguente secolo; e fu un errore del Nisieli e del P.
Negli ultimi anni dell’ arte sua, a’ Fiorentini di Napoli, i compagni suoi, mossi forse da alcuna bizzarria del caso, gli dieder fama di jettatore, o apportator di sventura.
Oggi trovasi impiegato in comporre un lungo Poema di venti Canti in ottava Rima intitolato : Le quattro Età dell’ Uomo.
Ignazio Casanova le fu maestro egregio, e « volle – riferisco dal Bartoli – che si presentasse all’uditorio con una sortita, che pareva della commedia, ma che però alludeva a raccomandare sè stessa all’animo de’benignissimi Veneziani. » Il Pantalone Bissoni poi, che faceva scena con lei, aggiunse un’arguta raccomandazione, chiamando la Gavardina una tenera pianticella, che coltivata nel bel terreno dell’ adriache scene, ed innaffiata dall’ acqua di sì benefico cielo, non potea che crescere in poco tempo, e produrre dolci frutti.
Ma una ipotesi troppo rara discopre lo studio dell’ autore di mettere in tali circostanze un uomo virtuoso, che a stento si rinvengono ne’ processi criminali più famosi. […] Beaumarchais pubblicò anche i Due Amici del medesimo colorito dell’ Eugenia; ma si astenne di chiamarle commedie, contentandosi d’intitolarle rappresentazioni.
Lo Scardeone (de antiquitate urbis Patavii) lo chiama il Plauto e il Roscio dell’ età sua. […] Nella scena del primo atto di dichiarazione amorosa fra Bettia e Tonino, e nella quarta degli atti secondo e terzo fra Bettia e Ruzzante, il Beolco ha raggiunto il colmo della dolcezza e della forza, della comicità e dell’ effetto.
Luigi Riccoboni dopo di avere parlato delle condizioni artistiche, dell’ignoranza dei comici, della sudiceria dominante nelle commedie di allora (1690) dice : Una sola Compagnia in questa spaventosa decadenza serbò la modestia sul teatro ; ma il buon esempio non durò gran tempo per poter essere seguito dagli altri : essa lasciò l’Italia per recarsi in Germania a servizio dell’ Elettor di Baviera a Monaco e a Bruxelles, d’onde poi passò a Vienna in Austria al servizio dell’ Imperator Leopoldo e di Giuseppe Re de’ Romani.
Il 26 dicembre dello stesso anno, recitò in italiano nel Banqueroutier la parte del Conte Constantin, cantando la canzone dell’ Usignuolo, che ricantò poi al suo riapparir sul teatro de’ Nuovi Comici Italiani nel 1729. […] Fu anche voce comune che la chiusura del Teatro italiano nel 1697 (ritratta dal Watteau in uno splendido quadro che riproduco dalla superba incisione originale del Jacob), dopo la quale egli dovette andarsene in Germania, si dovesse alle allusioni mordaci da lui fatte alla Maintenon nella rappresentazione della Fausse Prude ; dopo le quali, il signor D’ Argenson, luogotenente generale di polizia, il 4 maggio 1697, accompagnato da gran numero di commissarj, si recò alle 11 del mattino al Teatro dell’ Hôtel de Bourgogne, e fece apporre i suggelli su tutte le porte, non solo di strada, ma dei camerini degli attori, ai quali fu vietato di presentarsi per continuar gli spettacoli, non giudicando più Sua Maestà opportuno di ritenerli a’ suoi servigi.
Tu pur, di Febo e di Minerva amica, decente gioventù che accresci e spargi dell’ Euganeo saper la fama e ’l vanto. […] Cesarotti, che appena, per così dire, uscito dal teatro, prese la penna in mano per rendere italiano l’Oracolo del Saint-Foix ; in poche ore compi il suo lavoro, e mandollo tosto in dono a chi più d’ogni altro potea far conoscere il merito dell’ originale e quello insieme della versione.
Stringemmo insieme amicizia, avendo bisogno l’uno dell’ altro : io lavoravo per la sua gloria, ed essa dissipava le mie malinconie.
E tuttavia nel vigore degli anni, al colmo della gloria, più che circondata, assediata dal favore del pubblico, abbandonò l’arte, dopo il carnovale del 1774, fermandosi in Venezia, in cui viveva floridamente ancora dell’ '81, tutta intenta all’austera educazione dei due suoi figliuoletti.
Si recò in America dell’ '82 con Ernesto Rossi, interprete fra lui e gli artisti inglesi.
Ma lasciam discorrere il Gozzi : …… Alla sedicesima scena dell’ atto primo, ch' è la penultima di quell’ atto, uscì il Don Adone cugino del Duca.
E ora, com’ è principale intento dell’ opera pubblicare le cose che contribuiscono a dar più compiuta la storia della nostra scena, metto qui dalla Storia di Perugia le pagine che trattano delle condizioni dell’arte (vol. […] Per queste, più che per la forza di commozione, egli cangiava di colore a sua voglia, tremava di tutta la persona, si faceva rizzare in testa i capelli, irti come le penne dell’ istrice. […] E il tristo andazzo durò per altri anni ; e Salvini rappresentava l’Orosmane, e Rossi l’Oreste, e la Ristori rappresentava tutto ; ed essendo tutti nel pieno vigore dell’ età dovevano fare anche meglio.
Al proposito delle due Compagnie che recitavano alla Cantina e al Giardiniello, il Croce riferisce un brano dell’ Uditor dell’esercito (19 agosto 1740), dal quale sappiamo che quelle erano in estremo miserabili, e facevano tal vile professione solamente per vivere, non lucrandosi se non poche grane per ciascheduno il giorno, li quali, qualora li mancavano, si riducevano in una strettezza, che faceva compassione.
Fra la più grande illusione della (per così dire) Magica Azione, il valente Poeta ha saputo costantemente condurci alla conoscenza dei più nobili sentimenti, al più moral disinganno, ed al trionfo più bello dell’ umana moderazione.
Pubblicò in gioventù molte poesie, nelle quali, più che la elevatezza della forma son da ammirare una freschezza e spontaneità che non si attenuarono in lui col sopravvenir degli anni, come può far fede la lirica seguente dettata in sul cader dell’ ’89, e pubblicata or non ha molto con altri versi in un volumetto fuor di commercio.
La domenica 24 dicembre dell’ ’82, la Compagnia di Francesco Pasta chiuse il corso delle sue recite al Teatro Manzoni di Milano con una commovente solennità artistica a favore del povero Ceresa, al quale pervenner oltre duemila lire.
Metto qui intero il breve e bello articolo che il dottor Icilio Polese, direttore dell’ Arte drammatica, pubblicava nel suo giornale, il 21 gennaio del 1888 : Achille Majeroni è morto a Bologna ieri (20) alle sei pomeridiane.
Lo ricordo nel secondo, in cui, nonostante certi difetti di recitazione, emergeva l’antico pregio dell’originalità per alcune parti specialmente, come dell’ Oliviero di Jalin nel Demimonde, in cui non ho mai trovato chi per la eleganza e la verità, lo facesse dimenticare, o del Cavaliere d’ Industria, a proposito del quale, l’ Arte del 28 gennaio '55, in una lettera a Fanny Sadowski, dice : Vi ricordate di Peracchi nel Caralier d’Industria !
Sappiamo dalla Corilla Olimpica dell’ Ademollo, ch'egli aveva cantato nel 1731 e 1742.
» Proprio così : la verità, la spigliatezza, la spontaneità gli mancano tal volta ; e come gli sarebbe agevole riacquistarle potè far fede la parte di Jago, recitata sotto la guida del padre con tal chiarezza e vivacità e sobrietà insieme, che la magnifica figura shakspeariana, troppo sovente fatta consistere in un artifizioso, leccato strisciar delle parole a viemmeglio insinuar la gelosia per vendicarsi o dell’ oltraggio maritale di Otello, o della superiorità di Michel Cassio, balza viva e saltante, quale essa è veramente : figura di cinico, egoista, maligno, calcolatore, sottile, feroce, che va diritto al suo scopo, serbando in quella sua servilità tutta la libertà del pensiero e dell’azione ; e, come al bel tempo, in cui la prima volta la incarnò il padre al Niccolini, è rivissuto nell’arte del forte scolaro tutto il genio selvaggio di Shakspeare.
Le lagnanze dell’uno trovan sempre a riscontro le lagnanze dell’ altro. […] Le cagioni della morte del De Vecchi sono chiaramente spiegate, nella dedicatoria al Marchese Ottavio di Scandiano delle Lettere facete e morali, in cui egli dice : Un’ altra cagione (pur di momento) mi ha persuaso a raccomandarli questo puoco Volume, et è stato lo raccordarmi, ch’ io stesso fui caramente raccomandato alla protettione dell’ Illustrissima Sua Casa nel tempo, che riscaldandomi gli ardori della gioventù, mi rendevano tal’ hora bisognoso di un saluo ricouero per fuggir non so s’io debba dir lo sdegno, o pur il costume della Giustitia, la quale con il mezo dell’autorità, et bontà della felice memoria dell’ Illustrissimo Sig. […] Non mi par cada dubbio sul significato dell’ honorate cagioni. […] Ma se in onta di ciò ; se in onta alle requisitorie dell’ Andreini, del Martinelli, del Gabbrielli, ecc. ecc., egli potè artisticamente restar saldo sul suo piedistallo di bronzo, ammirato, onorato da Re, da Principi, da popolo, è segno manifesto che i pregi dell’artista soverchiavan d’assai i difetti dell’uomo.
Chi riflette alla vittoriosa forza della religione su gli uomini, non istupirà dell’ universale accettazione ch’ebbe sì importante argomento per tutta l’Europa Cristiana. […] Chiaramente da essa si ravvisa che dentro delle alpi, dove appresero gli altri popoli a vendicarsi in libertà, e propriamente in Piacenza, in Padova, in Roma, colle rappresentazioni de’ Misteri rinacque l’informe spettacolo scenico sacro: che quivi ancora, e non altrove, nel XIV secolo se ne tentò il risorgimento seguendo la forma degli antichi coll’ Ezzelino e coll’ Achilleide tragedie del Mussato, e colle comedie della Filologia del Petrarca e del Paolo del Vergerio: che nel XV che fu il secolo dell’ erudizione, in latino continuarono a scriversi tragedie dal Corraro, dal Laudivio, dal Sulpizio, dal Verardo, e commedie dal Bruni, dall’Alberti, dal Pisani e dal Polentone; ed in volgare assicurarono alle Italiche contrade il vanto di non essere state da veruno prevenute nel dettar drammi volgari, la Catinia, l’Orfeo, il Gaudio d’amore, l’Amicizia, molte traduzioni di Plauto, il Giuseppe, la Panfila, il Timone: finalmente che gl’ Italiani nel XIV e XV secolo nel rinnovarsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici della Grecia, eccetto che nella sola Progne, ma dalle moderne storie trassero i più terribili fatti nazionali, e dipinsero la morte del Piccinino, le avventure del Signor di Verona, la tirannide di Ezzelino, la ferita del re Alfonso, la presa di Granata, l’espugnazione di Cesena.
Pasquali) : Il popolo interessato per essa, non so se per il carattere che rappresenta, o per il merito singolarissimo dell’ eccellente attrice, la valorosa signora Catterina Bresciani, mi andava continuamente eccitando per una seconda commedia. […] …. malgrado il suo accento toscano, aveva cosi bene imparate le maniere e la pronunzia veneziana, che recava un egual piacere, tanto nelle commedie dell’ alto comico, quanto in quelle del più volgare.
Quando Molière tornò il ’58 a Parigi, dovuto abbandonare dopo la sua prigionia pei debiti ch’egli s’era assunti della Società dell’ Illustre Teatro, dovè divider con Scaramuccia e gl’ Italiani l’uso della Sala del Petit-Bourbon. […] una figlia battezzata col nome di Anna Elisabetta il 29 luglio dell’ ’81 da una certa Duval, che fu poi, come vedremo, la disperazione del povero artista e come amante e come moglie. […] Il vecchio rimbambito dice vendere i Luoghi del monte del sale, si come questi di qua dell’ Hostel di Villa2 e come costà muore la Marietta, volere sposare la sua donna che è a Scaliot, ma fra tre mesi sarà per mezzo della Granduchessa trasferita in un convento di Parigi. […] A queste tengon dietro altre dell’ Archivio di Firenze non men di quelle importanti per le notizie che lo stesso Fiorilli dà del figliuolo, e per la data che vi troviamo del suo ritiro dalle scene. […] xvii e xviii, in cui il glorioso artista occupa sempre un de’ posti primi, quando non è il primo, come nelle graziose figure dell’ Herisset, e nelle incomparabili scene del Gillot, di cui ho messo qui i preziosi frontespizi.
Or se v’ha tra’ lumi somministrati dalla ragione rischiarata (oltre delle scienze esatte e delle leggi e della stessa moral filosofia) un Educatore di simili circostanze rivestito, non merita egli al pari delle scientifiche cognizioni gli applausi degli amici dell’ uomo? […] Chi al pari di esso accoppia il diletto del passatempo all’utile dell’ insegnamento? […] Dirò solo quanto allo stile, che dopo l’autorevole approvazione dell’ elegantissimo Bettinelli 6 non avrei osato dipartirmi da quella energica facile schiettezza che invita a leggere un libro istorico.
Leone Fortis delineò l’uomo politico nel Capitan cortese del 12 aprile '96 con queste parole : Fu tutto di un pezzo : repubblicano sin dalla prima giovinezza, fiero nemico così dell’ oppressione straniera, come di qualunque arroganza anche tribunizia che mirasse ad imporsi, sia con la dittatura della piazza, sia con quella della Reggia. Mi ricordo di averlo veduto nell’Assemblea Toscana in cui era deputato, capitanare un giorno un tentativo di rivolta dell’Assemblea Toscana in cui era deputato, capitanare un giorno un tentativo di rivolta dell’ Assemblea contro la dittatura di Guerrazzi – dittatura acre, aspra, sgarbata, che non salvava nemmeno le apparenze, e che trattava la Rappresentanza del popolo a scudisciate. – Il tentativo falli. – L'Assemblea era troppo sfiaccolata per reggervi. – Il dittatore impose il voto di fiducia e l’ottenne. – Ma l’urto fra i due uomini, entrambi di ferro, fra i due caratteri irti di punte e di angoli, fu terribile. – Guerrazzi rispose alla interpellanza di Modena, secco, sdegnoso, iracondo, e chiuse dicendo : E così rispondo al discorso Recitato (e marcò sprezzante la frase) dal Deputato Modena. […] Era uomo di passione, ma il sentimento dell’ onestà e della rettitudine prevaleva sempre in lui alla passione politica e ai rancori personali.
Quanto al tipo ch’ egli rappresentava, esso non fu, credo, che una delle solite varianti dell’ Arlecchino.
Milano n’ebbe già una prova solenne, che poteva riuscire per lui troppo fatale, allorquando del 1821 su quelle scene rappresentando l’ Emone nell’ Antigone dell’ Alfieri, nell’atto ch'ei dovea simulare di uccidersi, veramente si feri del pugnale nel fianco.
Gran numero di scrittori e nostri e forestieri si occupò della origine della sua persona e del suo nome : in taluni prevalse l’idea che la maschera fosse invenzione moderna ; in altri, specie dopo la scoperta del famoso Macco dell’ Esquilino, ma non ho ancora capito bene con qual fondamento, che fosse discendente in linea retta dal Mimus albus della farsa atellana, come l’arlecchino dal Mimus centunculus ; quelli fecer derivare il nome or da Puccio d’ Aniello, or da Paolo Cinelli, or da pulcino, pulecino, puleciniello ; questi, or da Πολλή ϰιησις (molto movimento), or da Πόλις città, e ϰἔνός o in forma jonica ϰεινός, vuoto, sciocco, come se si dicesse buffone della città.
Monti, che io stesso gli sentii fare, quand’egli era fuor dell’ arte a Firenze, di cui serbo ancora il ricordo di un insieme ampolloso di esposizione. – Vittorio Cavalieri (Trieste, 1864) e Cesare Calvi (Firenze, 1872) dettarono di lui alcuni cenni biografici ; ma a quelli del Calvi non troppo, secondo il solito annotatore (Brunone Lanata) sarebbe da prestar fede, essendo essi una iperbolica apologia dell’artista e dell’uomo.
Sicario da Originali, osa con quella roano vilissima, che la saponata faceva per i biricchini del suo Paese, d’aggiungere, di cangiare, di deturpare i sudati scritti de' Poeti, senza rispettare nemmeno il Moliere dell’ Italia, il famoso Goldoni, a cui egli è debitore di tutto quello che al mondo possede.
ª Isabella Servili detta Eularia Comica modestissima mentre recita in Bologna il Carnevale dell’ anno 1700.
Formò poscia a Torino il Teatro di famiglia con animo di rappresentar le vecchie commedie morali del Teatro dialettale ai Teatri d’Angennes e Scribe ; ma l’ '80 ritornò nella Compagnia piemontese diretta da' suoi due allievi Gemelli e Milone, e dopo il carnovale dell’ '82 abbandonò il teatro seguendo le sue figliuole Clara e Carlotta, attrici della Compagnia Pedretti (aveva preso in moglie da giovine una Anna Dogliotti), e vivendo di una piccola pensione che gli accordava il Consiglio dell’ordine dei Cavalieri dei SS.
Le opere che riscuotono gli applausi dell’ Europa e gli encomj degli uomini di gusto e di buon senso, eccitano alle censure la vanità e l’invidia. […] Sin dal principio dell’ atto II desta curiosità il ben colorito amor fanciullesco di costei e del suo Tirsi in Tracia; e nel racconto che se ne fa niun belletto nè arditezza si scorge, ma sì bene una verità d’espressione che diletta e invita a leggere.
Ecco il brano ch’egli riporta dalle memorie mss. del Ghiselli : È da sapersi che due sere prima che questi istrioni terminassero le loro comedie furono gettati sul Teatro sonetti in biasimo della Beatrice, una delle recitanti, dalli Cavalieri parziali dell’ Eularia altra comica.
Pasquali) : …. il cambiamento più rimarcabile fu quello della Bastona madre nella Bastona figlia, moglie di Girolamo Foccheri, comica eccellente quanto sua madre ; ma che oltre l’avvantaggio dell’ età aveva quello di una maniera più nobile di recitare.
Fu la Costanza amantissima dell’ arte, attrice accurata, elegantissima della persona, e dell’aspetto leggiadra.
Ei lasciava dubitar se fosse lui davvero, ingannava gli occhi i più avvezzi a vederlo, e giustificava l’entusiasmo di Garrick, uno de’ primi comici dell’ Europa.
Era quello dell’ ascensore !
Lo stesso suo amante, il nido della tolleranza umana, la bontà personificata, un uomo di miele, fu costretto più volte a batterla come un tappeto, ed erano poche sere che prendendo seco il fresco di notte vicino alla Porta orientale, le aveva scossa la polvere dell’ andrienne co' colpi della sua canna.
E se la regolarità, il buon gusto, la verisimiglianza, l’ interesse e l’unità di disegno, pregi che si ammirano spesso nella francese, si vedessero congiunti alla robustezza e all’attività dell’ inglese oggi che questa ha deposte le antiche buffonerie che ne deturpavano il coturno, sarebbe forse a suo favore decisa la lite della preferenza. […] Il Mendico che nell’ultima scena torna sul teatro col commediante, gli dice: “nel corso dell’ opera avrete notata la grande rassomiglianza che hanno i grandi co’ plebei; è difficile decidere, se ne’ vizj di moda la gente culta imiti i ladroni di vie pubbliche, ovvero se questi ladroni imitino la gente culta”. […] Questo teatro non manca di scale, corridoi e commodi ingressi; ma (dicesi nel trattato del Teatro) tralle varie logge de’ palchetti e e dell’ anfiteatro manca quel necessario ricorso delle linee e quella concatenazione di parti, donde risulta l’unità e l’armonia di tutto l’edificio. […] Questa scena si vide con ammirazione in Londra ed in più di una città dell’ Italia; ma in Parigi assicurava Voltaire a Milord Bolingbrooke che non si sarebbe sofferta. […] V. il Giornale straniero dell’ ab.
I Russi ad esempio dell’ Alemagna cominciarono a far contribuire al proprio diletto le nazioni più ingegnose, l’Italiana e la Francese, le quali da gran tempo si disputano la preferenza nell’arte di piacere.
Il Bartoli, contemporaneo del Coralli, dice : « Nella maschera dell’ arlecchino non piacque pel troppo disuguale paragone del tanto ben veduto ed accreditato Bertinazzi.
La musa di questo grand’uomo si distingue per molti pregi, e singolarmente per la grazia, la facilità, la naturalezza dell’ espressione, per la precisione, la chiarezza e l’armonia dello stile (Nota III) per l’eleganza permessa al melodramma, e per la grandezza e la sublimità69. Di grazia a chi mai cede egli, sia che alla maniera di Sofocle migliori i grand’uomini dell’ antichità nel ritrarli, ovvero sia che gareggi di sublimità col gran Cornelio dipingendo Greci e Romani, e di delicatezza coll’ armonioso Racine facendo nelle passioni che maneggia riconoscere a ciascuno i movimenti del proprio cuore? […] Ha bisogno che Sesto strascinato dalla passione alla congiura, e richiamato da un resto di virtù e dalla gratitudine a salvar Tito, nel tempo stesso che contro di lui conspira, corra a difenderlo: che chiamato da Tito non ardisca presentarglisi col manto macchiato di sangue: che Annio gli dia il suo: che quest’amico col manto di Sesto segnato colla divisa de’ congiurati arrivi alla presenza dell’ imperadore in tempo che la virtuosa Servilia ha scoperto il segreto del nastro, e che il suo amante all’apparenza risulti colpevole, e ponga in confusione l’inconsiderato Sesto, ed Annio nella necessità di comparir reo o di accusar l’amico. […] Udite per vostro meglio ed a gloria dell’ Italia, di cui Metastasio è il più caro ornamento, udite gli esteri, gli emuli stessi oltramontani, udite il vostro cuore, e coll’ Algarotti a piena man spargete Sopra lui fiori, e del vivace alloro Onorate l’altissimo poeta. […] O Nitteti, ricca figliuola di nobil padre e sforzo felice dell’ arte che sa arricchirsi nell’immenso campo della natura di sì varie e vaghe e preziose pompe, ad onta de’ valorosi ingegni che fra noi pur fioriscono, non avrai tu una compagna nel regno dell’armonia?
Solimano avido di gloria e geloso della propria autorità e dell’ impero, nel cui animo facilmente allignano i sospetti, dipigne al naturale il genio de i despoti Ottomani che non risparmiano il sangue più caro ad ogni minima ombra. […] La sesta scena dell’ atto III del loro nobile contrasto è piena di vigore e di moto, mal grado di qualche espressione lirica. […] Forse quì si desidererebbe veder la pugna dell’eroismo e dell’ umanità con pennellate più decisive, più tragiche, e spogliate di quell’ aria di ragionamento che rende men viva l’azione. […] Vigoroso e senza lirico belletto è il linguaggio di Arsinda nella seconda scena dell’ atto terzo.
Forse il brutto fatto si collega a quello bruttissimo dell’ '82, in cui, graziati, voller per rappresaglia far colla commedia dei gobbi allusioni men che rispettose ? […] Furono il maggio dell’ '89 a Firenze, e il settembre a Milano, ove tornaron poi il novembre del '90.
Rimane ora a ribattere un altro argomento dell’ Apologista.
E la ragione di tale impossibilità è così descritta dal Gherardi stesso nel principio della premessa all’opera sua : Non si creda di trovare in questa raccolta delle intere comedie, poichè la comedia dell’ arte non potrebbe essere pubblicata distesamente.
E nell’ Omnibus di Napoli del 14 gennaio 1841 a proposito dell’ interpretazione dello Chatterton di M.
A. mi dà una carità convenevole, volere andare a trovare la sacra M. della Regina sua sorella, e portarli un santo Ritratto qual dovevo portare alla felice memoria dell’ Imper.
Quanti capri avranno rose e guaste tante volte le viti delle montagne dell’ Attica senza produrre veruna novità! […] Nella condotta delle Danaidi Supplichevoli si osserva una regolarità così naturale che con tutta la gran semplicità dell’ azione tiene sospeso il leggitore sino all’atto V, quando le Danaidi passano dall’asilo alla città, venendo discacciato l’araldo dell’ armata Egiziana nemica di queste principesse. […] Eschilo in questa favola trasgredì le regole del verisimile, facendo passare una parte dell’ azione nel tempio di Apollo in Delfo e un’ altra in Atene. […] Dove si conosce il pregio dell’ arte, si premiano i talenti. […] Medea è una delle più terribili tragedie dell’ antichità, donde trassero la materia tante e tante altre che portano il medesimo titolo.
Era tale presso a poco l’aspetto dell’ intera Europa sino all’undecimo secolo. […] Uno spirito generoso d’indipendenza e di libertà fermentava nel cuor dell’ Italia con tal vigore, che prima di terminare l’ultima crociata tutte le città considerabili aveano dagl’ imperadori comperati e ottenuti tanti privilegj che si potevano chiamar libere 8. […] Così dietro le ardite tracce dell’ Italia libera videsi quel terribil mostro in tanti luoghi perseguitato e mortalmente ferito. […] Si mentovano nelle Spagne i versi cantati da’ pellegrini che visitavano in Galizia il sepolcro dell’ Apostolo San Giacomo, da’ quali seppe Don Blàs de Nasarre rintracciar la famosa origine delle orazioni de’ ciechi.
Moliere avrebbe forse meglio scelti i lineamenti speciali e proprj dell’ irrisoluzione per rendere quella pittura vera e naturale e chiara e per conseguenza piacevole. […] Traspare nella scena sesta dell’ atto III la grazia comica di Moliere oggidì perduta totalmente in Francia. […] Tralle scene bene scritte dee contarsi la 4 dell’ atto IV, in cui Aristo (personaggio virtuoso copiato dal Cleante del Tartuffo) volendo distaccar Valerio dall’amicizia di Cleone entra a dipingere i malvagi culti che affettano di dare il tuono negli spettacoli, quei che prendono l’aria beffarda e quei che vogliono parer gravi e laconici. […] Ciò mosse alcuni Francesi a comporre per essi qualche favola nella propria favella in cui cercarono di unire la ragione e la novità alle grazie dell’arlecchino; e quindi nacque un genere di commedia che partecipava della francese e dell’ italiana istrionica.
Piuttostochè dal Bartoli, trascrivo letteralmente parte delle notizie dell’ Andreini dall’opera magistrale di Alessandro D’Ancona, che quelle del Bartoli restrinse e tradusse in lingua umana. […] III, 268, della Biblioteca dell’ Università di Bologna), intitolata : Povertà – d’un giovine – cadutoui per segui – tar la sua signora. […] Chillo che frange li monti e spacca lo monno – per lo mezzo & insomma l’arci – bravura, terrore e tremore della Tier – ra e dell’ Inferno – Con la capricciosa e ben compita Livrea del detto – Smedola vosi. […] E tutto questo in virtù dell’ opinione di quel filosofo, che tiene che l’anime vadino passando da un corpo nell’altro, laonde l’istessa anima, che informò prima Ercole, e poi gli altri suddetti, è passata finalmente in questo mio corpo, e però coloro ed io siamo gl’istessi, anzi con la medema dottrina io ti potrei giurare di tenermi nel corpo non solo l’anima di quei bravacci, ma quella ancora del più forte Leone, della più spietata Tigre, dell’Orso più arrabbiato, e del più fiero Drago, che nodrissero giammai le selvose montagne dell’Asia, o le arenose campagne della Libia. […] « Non è pur anche cessato il corso del sangue, ch’ io mandai per tributo al Danubio l’anno che quasi distrussi la setta maometana con quel brando, ch’io cinsi poi a Carlo quinto, quando che Trionfante entrò in Tunisi. » Queste sono tutte cose da non credersi, ma si ben à da comportar, che le credino quelli, che sono auuezzi andar il transito per la mente a questi ridicolosi fantasmi, i quali non sono totalmente improprij a chi esercita la natura nell’ impossibilità dell’ imprese.
Ibraim Gran Visir e genero dell’imperadore Acmet III, è stato un poeta che ne’ versi fatti per la sultana che poi fu sua moglie, ha mostrato d’ intendere e sapere esprimere le delicatezze dell’ amore78.
Io non rimpiango in Carolina Internari la perdita della donna, ma mi addolora la mancanza dell’ attrice tragica !
Andata lei con Romualdo Mascherpa, e andato il Boccomini con Angelo Rosa, Nardelli si ritirò a Verona, ove comprò il teatrino dell’ Accademia, e de' vigneti in Valpolesella ; non tardando poi a formare una società per un triennio con Carlo Re, proprietario dell’antico teatro di questo nome in Milano, e con un caffettiere presso San Carlo, per nome Gottardi, i quali, saputa la provata esperienza di lui, gli affidaron la direzione dell’azienda.
Di pace amico stuol quà dalle rive dell’ Adria, cinto il crin di rose e allori vantando il suo valor tra Fole argive sen venne a sollazzar gli alfei Pastori.
Mori a Parigi il 6 settembre dell’ ’83. […] Tomo XII, dell’ Ediz. dello Zatta, Venezia, 1788), data a Parigi la prima volta il 4 febbraio 1763, e che se segnò un nuovo grande trionfo per l’Arlecchino Bertinazzi, non pare ne segnasse uno per l’autore. […] Quanto alla lettera indirizzata al signor Di Meslé per aver da lui una traduzione francese dell’estratto dell’ Amor paterno, puoi vederla nella citata opera del Masi : è la xxxiv della raccolta.
Non ho, come ho detto da principio, avuto la sorte di sentire Ernesto Rossi al culmine della sua gloria : l’ho sentito quando io era troppo giovine per poter giudicare dell’ opera sua, e quando egli era troppo vecchio, perchè potessi farmi un’idea chiara della grandezza passata : certo l’una volta e l’altra ebbi nell’animo impressione profonda. […] Vedremo come l’assassino si cattiva l’amore della moglie dell’ ucciso, si alza turbatissimo e si avvia frettoloso alla porta d’uscita.
Alla testimonianza Gabbrielli, va subito congiunta quella del Beltrame Barbieri, che nella Supplica (1634) chiama la Celia giovane di belle lettere e comica famosa ; alle quali poi tengon dietro quelle di letterati illustri, e, prima, del Cavaliere Marino, che, nell’ottave 68, 69 e 70 del Canto XVII dell’ Adone, la mette quarta fra le Grazie : Un’altra anco di più, che 'l pregio ha tolto D'ogni rara eccellenza a tutte queste, Aggregata ve n’è, non è già molto, E sempre di sua man la spoglia, e veste, Celia s’appella, e ben del Ciel nel volto Porta la luce, e la beltà Celeste ; Ed oltre ancor, che come il Cielo è bella, Ha l’armonia del Ciel nella favella.
I successi dell’ Oreste e della Virginia, ma più ancora del Saul, che tenner con altre pochissime opere per un intiero carnovale i cartelloni del teatro di Santa Maria a Firenze, furon tali ch'esso d’allora innanzi s’intitolò dal nome di Alfieri.
Agnelli) contiene una Lettera di ragguaglio dell’ arrivo in Torino da Madrid di S.
Nel trattare il fatto degli Orazj egli prese migliore scorta, o che ne dovesse a dirittura all’Orazia dell’ Aretino l’argomento, o che lo togliesse dall’imitazione di questa tragedia italiana fattane venticinque anni dopo da Pietro de Laudun Degaliers. […] Ma Racine al tenero, al seducente accoppiò il merito di una versificazione mirabilmente fluida e armoniosa, correzione, leggiadria, e nobiltà di stile, ed un’ eloquenza sempre uguale, ch’è la divisa dell’ immortalità onde si distinguono i poeti grandi da’ volgari. […] Cornelio, per avviso de’ più scorti critici, trionfano l’Ifigenia rappresentata nel 1675, in cui con singolar diletto da chi non ignora il tragico tesoro greco si ammirano tante bellezze di Euripide, malgrado dell’ evenimento di Erifile che muore in vece di Ifigenia senza destar pietà, trovando lo spettatore disposto unicamente a compiangere la figliuola d’ Agamennone; l’Atalia uscita nel 1691, ove il poeta s’ innalza e grandeggia imitando alcuna volta il linguaggio de’ profeti; il Britannico rappresentato nel 1670, in cui si eccita il tragico terrore per le crudeltà di un mostro di tirannia nascente in Nerone, e di passaggio s’insegna a’ principi ad astenersi da certi esercizj disdicevoli alla maestà; e la Fedra comparsa sulle scene nel 1677, la quale per tanti pregi contenderebbe a tutte il primato senza il freddo inutile innamoramento d’Ippolito ed Aricia5.
É permesso a chi non è architetto l’ avventurare il suo avviso in pro del teatro dell’ Anonimo? […] = fu spedita al concorso dell’ anno passato, prima che uscisse alle stampe, quantunque per una strana combinazion d’accidenti non fosse poi esaminata; non ha creduto potersi dispensare dal farne la dovuta rappresentanza all’augusto Real Mecenate; il quale derogando al tempo e a qualunque contraria legge o costumanza si è degnato permetterne, anzi ordinarne l’ intempestivo scrutinio. […] Ill. acciocchè si compiaccia significarmi per qual mezzo desidera, le sia trasmessa la Medaglia, quando però non si risolvesse di venire a riceverla dalle mani stesse del Real Protettore, come ne la invito da parte dell’ Accademia; la quale compensa per qualche modo il dispiacere di non avere per cinque anni potuto assegnare il premio, col vederne finalmente decorato un soggetto di tanta capacità, e per altre produzioni del teatro sì benemerito”.
La differenza che v’incontra l’erudito Decano di Alicante, consiste nell’essere gli scaglioni che servivano per sedere, più alti di due palmi e mezzo, benchè la larghezza fosse conforme a’ precetti dell’ Architetto Latino; cioè di tre palmi e un quarto.
Del Buonarrotti il giovane e de’ di lui drammi leggasi quanto ne dice il conte Mazzucchelli, a cui si può aggiugnere il giudizio, che della Tancia portò il Nisieli in questa guisa: Ridicolosa, accomodata e ingegnosissima invenzione mi par quella dell’ autor della Tancia commedia, ove per cori all’usanza delle antichissime commedie de’ Greci, inventò alcuni intermedj nel fine d’ogni atto, i quali contengono fragnolatori, uccellatori, pescatori, e mietitori, tutte persone opportunissime alla scena, e convenevolissime al subjetto rusticano.
Gli abitatori di Venezia, e dell’ Italia tutta, non erano per lei che goffi, dozzinali, ignoranti, insopportabili.
Il Watteau, uno de’ più geniali illustratori della Commedia italiana, del quale verrò riproducendo le principali opere, ci ha dato il costume dell’ Arlecchina in una delle sue incomparabili acque-forti (pag. 441) : e ce lo ha dato Geremia Wachsmuth col suo Inverno (pag. 439), nel quale, come si vede, figurano, a lato di Arlecchina, il Dottore, Scaramuccia, e altri tipi del nostro antico teatro.
mo mio padrone Quando ch’ io intesi che la protecione dell’ inocenza di mio frattello era stata presa dall’A.
È certo però che il Valerini non ne faceva più parte nell’aprile dell’ '84, secondo l’elenco che abbiam dato al nome di Pelesini.
L’uomo adunque procede per gradi ne’ lavori dell’ ingegno, ed è naturalmente prima poeta che filosofo.
Serbo una vaga, pallida idea di quegli artisti, tranne più quà, più là, di Cesare Rossi, grandissimo nella parte di Cesare ; ma una assai chiara ne serbo di Luigi Bellotti-Bon, del quale una intera scena mi si confisse nel cervello, e colla scena l’impressione profonda che n’ebbe il pubblico : ….. la scena VIII dell’ atto I, in cui il Conte Carlo insegna al figlio Paolo il modo di salutar da cavallo una signora.
E questa chiusa, questo giudizio dell’ illustre igienista ci richiama alla memoria un altro grande attore della commedia dell’arte del secolo xviii, Carlo Bertinazzi, celebre arlecchino, più noto sotto il nome di Carlin.
La maschera adunque presso gli antichi servì per occultare il volto dell’ attore, per imitare quello del personaggio rappresentato, e per ajutar la voce; nè mai nelle tragedie e commedie si adoperò per eccitare il riso colla stravaganza, come s’intonò parecchi anni sono dalle scene e per le stampe in prosa e in versi martelliani dall’Ab.
I molti amici dell’ autore e del severo gusto greco contrarj al Maffei l’applaudirono nella lettura, ma il teatro non l’ammise, mal grado della regolarità, dello stile, della versificazione, e della nobiltà de’ cori. […] La virtù di Augusto, come quella di Tito dell’ inimitabile Metastasio, trionfa sopra tutto. […] Ottima è la scena 4 d’Egisto con Merope, e felice e naturale il candido racconto che a lei fa dell’ ucciso che singhiozzando domandava la madre sua, alla cui immagine si desta il palpito di Merope che si sovviene del figlio. […] Se ne dee pur lodare, oltre del pregio dell’ invenzione, quello di un ottimo oggetto morale, cioè di distruggere un colpevole pregiudizio che si occulta spesso sotto l’aspetto del dovere. […] Delle tragedie del Pansuti trovasi una testimonianza onorevole dell’ immortale Alessio Simmaco Mazzocchi nel capo I del dottissimo suo comentario dell’Anfiteatro Campano.
Ad onta della grazia de’ caratteri, della felice arditezza dell’idea, dell’ eleganza e purezza dello stile, questo bel componimento non piacque la prima volta che si rappresentò, e Moliere scaltramente si avvisò di accompagnarlo colla farsa piacevole del Medico a forza, e con tal mezzo il Misantropo si riprodusse e piacque. […] Ma la filosofia di Moliere non fu quella che orgogliosa e vana sdegna di piegarsi al calore della passione, o ignora l’arte sagace di mostrar di perdersi in esso per celare i suoi ordigni e le sue forze; non fu quella filosofia che fa pompa del suo compasso, de’ suoi calcoli e dell’ austerità della sua dottrina.
Vi si motteggia contro di un falso analista e metafisico che tiene stipendiato un professore che scrive per lui; ed attribuisce gli errori politici dello stato all’ignoranza dell’ algebra. […] V. il tomo V della Gazzetta letteraria dell’ Europa.
Mi avvidi che non è la stessa cosa sapere gl’ idiomi antipodici, che aver notizia che il Ludolfo ha fatto un lessico Etiopico, l’Antequil uno del linguaggio Zend, Haex del Malaico, Clodio dell’ Ebraico, Giorgi un alfabeto Tibetano, ed il Bajero un dizionario Cinese.
Egli non meno che Congreve vollero opporsi ma con poca riuscita al Collier che nel 1698 produsse contro il teatro inglese il suo Quadro dell’empietà e dell’ irreliglone.
Egli fuggì alla fine di giugno, e si restituì a Mantova, a godervi la pace sospirata nella sua casetta di via dell’ Aquila ; pace, che non fu, pare, di molta durata ; giacchè vediamo il Martinelli co'Fedeli a Venezia il carnovale del '23 ; e il luglio del '26 accennava ancora al desiderio di comparir novamente in Francia.
— La si fece esordire dopo tutti gli altri artisti nuovi, come una generica, per lasciare che il pubblico accettasse qual vera prima attrice la Pieri-Alberti ; la si tenne inoperosa per molte sere ; le si fecero rappresentare varie parti nuove per lei e vecchie per il pubblico, non la si circondava dei migliori attori ; si trascuravano alcuni accessorj della scena ; le si faceva calare il sipario prima del tempo ; gli amici dell’ Impresa non l’applaudivano per non perdere l’ingresso di favore….
Creò lo Zanarini al Valle di Roma la parte di Aristodemo nella tragedia di tal nome di Vincenzo Monti il 16 gennajo 1787 ; e pochi giorni appresso Volfango Goethe ne' Ricordi dell’ Italia scriveva : « L'attore principale in cui si concentra tutta la tragedia, si rivelò nella parola e nell’azione artista egregio.
All’altro promette il possesso dell’ innamorata, purchè si faccia trasportare nella di lei casa in una cassa. […] Si espone nel primo la qualità della favola, ed in fine si dà una graziosa discolpa dell’ accusa che si potria fare all’autore di essere ladro di Plauto. […] La prima intitolata l’Amor costante fu recitata nel 1536 in presenza dell’ imperador Carlo V quando entrò in Siena, e s’impresse nel 1559. […] Ciò serva di norma ancora ad altri sedicenti filosofi de’ giorni nostri disprezzatori dell’ erudizione di cui scarseggiano tanto, e di cui tanto abbisognano per ragionar dritto. […] Lampillas come pernicioso lo studio delle commedie dell’ Ariosto.
Forse il giudizio altrove mostrato da Ennio potrebbe indurci a credere che nell’Ecuba avesse schivata la duplicità dell’ azione di quella di Euripide e delle Troadi di Seneca. […] Se si trattasse poi di un amore in qualche modo renduto meno illecito, meriterebbe tutta la lode il tratto patetico della divisione di Argirippo e Filenia nella terza scena dell’ atto terzo. […] Notabile a mio avviso in questa commedia scritta con vivacità e piacevolezza è singolarmente la terza scena dell’ atto II per la graziosa competenza di Carino e del padre offerendo all’ incanto nella compera di Pasicompsa. […] Gl’ istrioni la perpetuarono sulle scene recitando le loro commedie dell’ arte, e l’intitolarono i Simili di Plauto. […] Il parlare allo spettatore, il chiamare alla memoria la persona dell’ attore nel più bello del dramma, è cosa comune nelle favole di Plauto.
Dal Discorso CV – De’Formatori di spettacoli in genere, e de’Ceretani e Ciurmatori massime (pag. 550 e segg. dell’ edizione di Venezia, Miloco, 1665). […] (Dalla Miscellanea della Biblioteca dell’ Università di Bologna, 266.
Le buffonate descritte dal Lasca tra il padrone e il servo, i due principali tipi della Commedia dell’ arte, troviamo identiche dappertutto, e particolarmente alla Corte della bassa Baviera in Landshut, quando su al Castello di Trausnitz, Venturino da Pantalone e Battista Scolari da Zanni faceano smascellar da le risa i nobili astanti. […] Del Signor MAVRITIO TENSONIO accademico hvmorista Allude á gli Amori dell’ Autore ; Loda le di lui virtù, Tocca l’ordine, che da un Grande ebbe di portarsi in Parigi.
Con tutto ciò, per quanto gli eunuchi venissero perseguitati dalle leggi, avviliti negli esercizj più immondi, spregiati nella società, scherniti dagli scrittori amici dell’ umanità86, non mai si giunse ad estirpare quest’abuso inumano, ch’empie la terra di mostri imbelli, schifosi e detestabili. […] Ha sei ordini di palchetti; ma (dice l’autore dell’ opera del Teatro) de’ comodi interni, e dell’abbellimento esteriore, non vi è occasione di poterne fare neppure un cenno. […] Nella Real Chiesa dell’ Incarnazione pur di Madrid allevasi altro simil coro di evirati. […] Era al contrario un ritratto naturale del volto di un villano dell’ Acerra brutto e naturalmente buffonesco ma non mostruoso.
La vittoria si dichiarò per gli comici, se ad altro non si miri che al pregio dell’ invenzione e al piacere prodotto dalla novità degli argomenti. […] Ognuno vi apprende con diletto che il linguaggio dell’ impostura è sempre misterioso. […] Ma se la copia (aggiugne l’avveduto scrittore) è più conforme a’ nostri costumi, non per tanto essa è men vivace dell’ originale. […] Cleone era cuojajo, Iperbolo artefice di lanterne e l’anzi nominato Lisicle co’ suoi montoni non era pet origine più illustre dell’ allegorico pizzicagnolo de’ Cavalieri. […] Il più onorevole testimonio del merito di questo comico filosofo, si è il verso di una sua commedia che leggesi nella I Epistola dell’ Apostolo San Paolo ai Corintii.
Belli Paolo (Blanes Pellegrino), figlio di Vincenzo Belli e di Maria Romei, fu trascinato dall’ amore dell’ arte comica, tenuta in non troppo alto conto al suo tempo, a fuggire di casa per iscritturarsi non sappiamo più in quale compagnietta di zingari.
Correva il primo giorno di quaresima dell’anno 1860, allorchè i comici da lui condotti salpavano da Livorno sulla Luisa, vapore dell’Amministrazione Marsigliese (qui v’ è errore, poichè la Luisa apparteneva alla Compagnia Valery) alla volta di Bastia, porto dell’ isola di Corsica.
E nell’acquisto di un’alabarda egli mette lo stesso entusiasmo che in una recita dell’ Otello.
A. il Riccoboni, che aveva già cominciato a far tanto parlar di sè pe' suoi tentativi di Riforma del Teatro Italiano, sostituendo alla Comedia dell’ arte, buone opere scritte, tolte dall’ antico repertorio, quali Sofonisba del Trissino, Semiramide di Muzio Manfredi, Edipo di Sofocle, Torrismondo del Tasso, e altre, e altre, che troppo sarebbe voler qui enumerare, le quali allestì al pubblico con molto decoro, e recitò con molto valore. — A proposito della recitazione tragica, è opportuno riferire quel che dice Pier Jacopo Martello nel volume I delle sue opere (Bologna, Lelio dalla Volpe, MDCCXXXV) : ..… ti vo'dar gusto con sentenziare, che l’ Italiano va a piacere con più ragione degli altri, se più commozione dagli Franzesi, e più gravità dagli Spagnuoli prenderà in prestito nelle Scene.
Intanto osserviamo sull’Egle stessa del Giraldi che messer Sebastiano da Montefalco che ne fu il principale attore, era l’istesso che recitò nella tragedia dell’ Orbecche, ed il Giraldi ne favella con lode speciale, enunciandolo come attore eccellente, e non già come musico. […] Al l’ebreo Leone di Somma che dovea inventar gli ahiti, raccomanda che sieno convenienti a’ personaggi Assiri; diligenza che si vede trascurata nel grottesco vestito eroico degli attori tragici francesi, ed in quello pure stravagante de’ cantori dell’ opera in musica.
In lingua illirica fu anche trasportato da Domenico Slaturichia celebre in Dalmazia per questa, e per la traduzione dell’ Elettra, e di Piramo e Tisbe, ed altre in lingua schiava. […] Nel medesimo anno 1587 comparvero due altre pastorali il Satiro dell’ Avanzi, e la Diana pietosa del Borghini.
Rollin dicono, Euripide dovette morire il secondo anno dell’olimpiade XCII, e non nella XCIII; perciocchè Aristofane nelle sue Rane, le quali furono certamente rappresentate nell’olimpiade XCII, parla di Euripide come di un uomo ch’ era già morto; e Sofocle, per quanto ci assicurano parecchi autori, sopravisse di sei anni ad Euripide, e morì nonagenario nel quarto anno dell’ Olimpiade XCIII.
Passò di là a Caserta, Capua e Santa Maria Vetere ; poi (con Luigi Ferrati, al fianco dell’ Anna Pedretti), al Rossini di Napoli, ov’ebbe la fortuna d’interpretare con successo strepitoso la parte di protagonista in un nuovo dramma del Duca Proto di Maddaloni « Ruit-hora.
L’autore di questa storia teatrale straniero, oltraggiato dall’Huerta (se Huerta potesse colle native villanie oltraggiare altri che se stesso), perseguitato dagl’ ingrati apologisti come antispagnuolo a dispetto della verità e dell’ evidenza, questo straniero, io dico, si accinge a rilevare i pregi di tal tragedia che avrebbe potuto impunemente dissimulare come negletta da tanti nazionali. […] Tralle altre vien lodata la Costanza, la quale trovasi manoscritta nella Libreria dell’ Escuriale39. […] Molti sono i drammi di Lope destinati a celebrare il mistero sacrosanto dell’ Eucaristia con feste teatrali intessute d’invenzioni allegoriche. […] Molte sono le azioni: di undici interlocutori ne muojon nove: bassi e indecenti sono i caratteri di Acoreo e di Alessandra: le atrocità si operano alla vista dell’ uditorio: le membra di Luperzio, il cuore, il sangue, si presentano ad Alessandra, che è obbligata a lavarsi in quel sangue: i nomi stessi de’ personaggi sono incompetenti; Luperzio, Remolo, Ostilio, Fabio non convengono ad Egiziani: lo stile s’innalza fuor di tempo in bocca del nunzio e si deprime in bocca di Alessandra e di Acoreo ec.
La nominata Venatoria è appena incominciata, e mostra che altro non sarebbe divenuta che una copia delle pastorali Italiane; perchè il prologo fatto da Cupido imita in parte quello dell’Aminta, e nelle due sole scene che lo seguono si narra l’avventura del bacio dato da Mirtillo del Guarini ad Amarilli col pretesto di esser guarito della puntura dell’ ape. […] Cristoforo Suarez de Figueroa giureconsulto si distinse colla traduzione del Pastor fido impressa in Valenza nel 1609; ed il Sivigliano Giovanni Jauregui buon pittore e poeta emulo di Quevedo e di Gongora impresse in Roma la bella sua versione dell’ Aminta nel 1607, ed in Siviglia con nuova cura nel 1618. […] Verisimilmente l’autore ne tolse l’argomento dalle favole di Moreto, o dell’ Anonimo o di Matos. […] La durata dell’ azione passa di poche ore le ventiquattro. […] Se per apprendere ogni arte si richiede disposizione naturale, studio ostinato e pratica ragionata, di grazia l’arte di regnare ch’è l’ultimo sforzo dell’ umana ragione, si dovrà attendere dalla sola presenza de’ casi, i quali sempre sono infinitamente scarsi e fra se diversi, e quindi insufficienti a darci principj applicabili ad ogni evento?
Bella in Euripide è la narrazione dell’ incendio e della morte di Creonte e della figliuola, che serve a far trionfare Medea per la ben riuscita vendetta; ma forse non men bellamente Seneca se ne disbriga in quattro o sei versi, scorrendo più rapidamente alla tremenda strage de’ figliuoli per trafiggere nella più tenera parte il cuor del padre. […] Esse risvegliano il fremito dell’ umanità, e giustificano il gusto di chi detestando il fatto ne ammira la dipintura. […] E con ciò si prepara per l’atto terzo un lunghissimo racconto dell’ evocazione delle ombre e di Lajo.
Quell’uomo raro, che accoppiò la speculazione più fina alla pratica più coraggiosa, non fu prima ributtato in Portogallo, indi ingannato e tradito dal Vescovo di Ceuta e da i due medici e geografi Ebrei Portoghesi, i quali per ispogliarlo dell’onore e de’ vantaggi del suo glorioso progetto, dopo averlo tormentato (sono espressioni dello storico Inglese dell’ America) con cavillosi interrogatorj per indurlo per tradimento a spiegare il suo sistema, suggerirono al re Giovanni la bassa viltà di spedire in segreto un vascello per tentare la proposta scoperta?
Trascelgo il breve cenno che ne fece l’artista Bon nel Bazar di Milano : adelia dei conti arrivabene La mattina dell’ 8 dicembre mori in Milano Adelia dei Conti Arrivabene di Mantova, giovine donna di bell’ingegno, di educazione fiorita e di generosi sentimenti.
e in questi altri dell’ Essagerazione : Me contra ’l maritarsi ira non punge, benchè de’ suoi dolor mi viva a parle ; dico per vero dir ; di mille a pena una ne’ lacci suoi vita ha serena.
A lode dell’ artista poi la canzone ha infine queste tre strofe : — È fama, che le scene Il lugubre colore Giurassero a Scappin loro Signore, E che nell’auuenire, E che nell’auuenire, Tragici casi sol faranno vdire, Faranno vdire.
La primavera dell’ '85 in Ukrania ; alla fine dell’anno, per la quarta volta, nell’America del Nord con una compagnia inglese, prima a New-York, poi a San Francisco di California, poi di nuovo a New-York, Filadelfia, Boston, recitandovi l’Otello con l’illustre Edwin Booth, Jago.
È pure da riprendersi l’inverisimiglianza dell’ equivoco preso nella scena 8 da Rosmunda. […] Anche Ruben si diverte con una enumerazione lirica delle perle di Oriente, dell’oro dell’ Arabia, delle sete del Catai, delle porpore di Tiro, degli odori Sabei, de’ tapeti di Turchia, delle tele di Persia, e in fine aggiugne, quanto oro encierra en sus abismos el bondo mar, y quanta plata, cuentan, sudaron los famosos Pirineos quando Vulcano liquidò sus venas. […] Perchè non imitare la vivacità dell’ originale nella riconoscenza di Oreste in vece di raffreddarla con fanciulleschi enigmi? […] dice l’Elettra dell’ Huerta; ed il di lui Oreste risponde a maniera di oracolo, Un hombre soy que en su sepulcro sulca los mares de fortuna.
» Da quella dell’ Internari passò ancora in altre Compagnie, sinchè, avanzato in età, dovè darsi a’caratteristi, in cui non fece quelle prove che sperò.
Giuoco dell’ Amore.
Da quel punto ch'egli entrava sulla scena fino a che non ne fosse uscito, era tutto immedesimato nel personaggio che prendeva a rappresentare : nè v' era imprevista circostanza che mai potesse farlo uscire dalla qualità ch' ei vestiva : non lo vedevi dardeggiare gli sguardi nei palchi o nella platea, mentre l’altro attore ch'era in scena con lui favellava ; non ammiccare al suggeritore ; non mendicar le parole ; non distrarsi insomma in quelle cose, da cui anche gl’ infimi tra' nostri comici sarebbe ormai tempo cessassero, perchè non addimandano sublimità d’ingegno, ma solo diligenza nei proprj doveri, amore dell’ arte che professano, rispetto verso quel tremendissimo giudice innanzi a cui stanno.
All’incontro la ruvidezza di quella del Tasso vien raddolcita dal concorso di vocali piene e sonanti, la disposizione dell’“a”, e dell’“o” oltre l’esprimer che fa mirabilmente la vacuità, e il silenzio delle caverne infernali, mitiga la pronunzia delle “rr”, e delle “tt” a bella posta replicate affine di rappresentare il suono grandioso di quella tromba: il chiaroscuro de’ colori vedesi a maraviglia osservato, onde ne risulta un tutto, che riunisce il colorito alla evidensa, e l’espressione poefica alla musicale armonia.
Trovansene ne’ libri dell’ Architettura di Vitruvio: nel Gallucci della Tragedia e Commedia: nel Calliachio de’ Giuochi Scenici: nel Mazzocchi dell’Anfiteatro e Teatro Campano: nel Bulengero del Teatro: nel Dizionario del Pitisco: nel tomo VI dell’opera del Quadrio: nel Cavalier Fontana dell’Anfiteatro Flavio: nella dissertazione del Boindin inserita nel tomo I delle Memorie dell’Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere di Parigi.
Di grazia questi due prodigiosi principi dell’ eloquenza, si sono mai trovati in un caso simile?
L’eleganza, le grazie dello stile, la facilità dell’ espressione, l’armonia del verso di Quinault, davano ampio campo agli slanci mirabili dell’ingegno e del gusto del musico: la sagacità, la proprietà, la delicatezza, la forza delle note di Lulli, l’arte ch’egli possedea di concertar le parti di una grande orchestra, svegliavano l’ estro, le immagini, l’eloquenza del poeta.
Sul cadere dell’ 88 egli morì sopra una nave nel tragitto da Genova a Marsiglia ; ed ecco come la Gazzetta Urbana Veneta del 19 novembre 1788, n. 93 dà l’annunzio del triste caso : Quest’uomo famoso che ammirare si fece sino a'confini d’Europa : che fu chiamato fuori d’Italia, dove non intendesi la nostra lingua : che volar fece il suo nome appresso tutte le nazioni dove conoscesi e pregiasi la comic’ arte : che nelle nostre parti rese col suo valore angusti al concorso i maggiori teatri, è morto indigente nel suo tragitto da Genova a Marsiglia e il suo cadavere soggiacque al comune destino de'passeggieri marittimi, d’essere gettato in mare.
Egli (non senza il solito ricco corredo di villanie) conchiuse che nella mia Storia io dovea verificare le importanti particolarità istoriche da lui accennate (vale a dire, se il nastro dispensato dalla Ladvenant era di color di solfo o di oro, se i commedianti facessero un solo corpo come aveano una cassa, se il nome di Chorizos venisse dalle salcicce che mangiava Francho, e se quello di Polacos veniva dalla notizia che Huerta sapeva e che non voleva dire ) in vece di perdere il tempo nella parte critica que tanto resplandece nell’opera del Signorelli, perchè critica (si noti la sapienza in ogni cosa che proferisce don Vicente) nel vocabolario di lui equivale a satira, a maldicenza, ed è pruova della poca istruzione e dell’ intenzione poco retta del Signorelli.
Perchè de ti non se possa dir : Asinus ad liram, Porcus ad glandes, Psittacus in Nemore et Carnifex in Furcis ; ma Asen cargà de sapienza per andar al mulin del Tribunal a smasenar el frument de le ciàciare ; Porc gras de Dutreina per ingrassar le Pentole dell’ Accademie ; Papagal int la gabbia de la Cort par saver adular el prossim, e Boja nel pubblic par struzer l’ignuranza, avend’i applaus d’i ragazz : e così ti sarat l’Asen d’or d’Apulei, ch’ l’era Asen, ma filosof ; el Porc d’ Enea, ch’al fu prognostic del Regn ; el Papagal ch’el dsè ad ottavian : Ave Caesar Imperator, e al Boja di Tedesc, che avend tajà più melone, al divien cavalier.
Gabbrielli Francesco e Onorati Ottavio) non che lo Scala, rassegnandosi a vedere lo sfascio della Compagnia ; chè senza tali personaggi essa sarebbe stata priva dell’ anima e dello spirito.
Quanto al di lui Cristo, ben possiamo con compiacenza e sicurezza affermare che per sì maestosa e grave tragedia debbe in questo Cosentino raffigurarsi un Sofocle Cristiano; sì savio egli si dimostra nell’economia dell’ azione, e sì grande insieme, patetico e naturale nelle dipinture de’ caratteri e degli affetti, e sì sublime nello stile. […] L’errore che dà motivo a tanti disastri (ottimamente affermò il dottissimo Marchese Maffei nel II tomo del Teatro Italiano) non potendo essere più umano, nè più compassionabile, non saprebbe incontrar meglio l’idea dell’ arte. […] Risparmiar tante ciarle sarebbe stato pregio dell’ opera. […] E ciò avremmo desiderato che il Signor di Calepio avesse allegato per uno degli ottimi esempj delle tragedie Italiane, dopo di avere in alcune di esse ripresa la poca congiunzione dell’atto II col I, e il vedervisi li trattati d’una scena non di rado diversissimi da quelli dell’ altra 98.
Poche parole ci ha lasciate nelle sue notizie Francesco Bartoli di questa comica ; ma di essa abbiamo un largo studio in due articoli di Achille Neri (Gazzetta letteraria dell’ 11 e 18 maggio 1889) dei quali ci varremo non solo restringendo, ma qua e là trascrivendo.
Il piano del Fernando fu dal Verardo ideato in occasione dell’ attentato di un traditore contro la vita del re che per miracolo di San Giacomo sanò della ferita; ma fu disteso in versi esametri da Marcellino suo nipote.
La figura di quello del Principe si scosta meno dall’ellittica: dell’ altro è mistilinea, congiungendovisi ad un arco di cerchio due linee che pajono rette perchè s’incurvano ben poco, onde avviene che da una buona parte de’ palchetti vi si gode poco commodamente la rappresentazione.
Il 14 gennaio 1838 Camillo Ferri da Milano propone alla Bettini il posto di prima attrice assoluta nella propria Compagnia alle stesse condizioni che ha col Nardelli, e soggiunge : Mi si dice che quest’ultimo non prosegua oltre il 39 ed è perciò che le avanzo questa proposizione, in caso contrario mi guarderei bene dal tentare di rapirle uno dei primi ornamenti dell’ arte nostra.
— Tutte Le opere del famosissimo Ruzante di nuovo con somma diligenza rivedute e corrette Et aggiuntovi un sonetto et una Canzone dell’ istesso Auttore.
Fa uso principalmente dell’“e” e dell’“i”, lettere delle più tenui e quasi cascanti.
Il merito singolare (p. 104.) dell’“Autore . . . . può bastare a collocarla fralle regolate opere teatrali”.
Oltre a ciò tutto il racconto e della non curanza da prima avuta del nuovo poeta, a cagione dell’ abito, da colui che stava cenando, e dell’attenzione che in lui cagionarono i primi versi, e della giustizia subito renduta al merito, e dell’ammettersi il giovane poeta a cenare confidentemente, e dell’ammirazione colla quale dopo la cena fu ascoltata la commedia, tutto ciò, dico, sembra meglio adattarsi a un veterano conoscitore di poesia comica di pari condizione col novello scrittore, che ad un Edile di classe più elevata. […] Perchè pensa con ragione che costretta a rispondere quel che il caso esige, la verità senza il belletto dell’ arte più vivace si presenterà agli occhi di Cremete.
Il lodato autore ha la mira alla Sofonisba del Trissino, alla Rosmunda dell’ Rucellai, e ad alcune commedie dell’Ariosto, a quelle del Macchiavelli, alla Calandra del Bibbiena. […] All’altro promette il possesso dell’ innamorata, purchè si faccia trasportare nella di lei casa in una cassa.
Mai abbastanza a costoro non si ripete che il tuono decisivo e inconsiderato è quello della fatuità, e che debbono apprendere e ritenere, per sovvenirsene nelle loro decisioni, che questo Aristofane era un Ateniese, e che fioriva sul principio del quarto secolo di Roma nell’ olimpiade LXXXV, pochi annimeno di quattro secoli e mezzo prima dell’ era Cristiana. […] I servi alla bella prima prevengono l’uditorio della strana malattia del vecchio, e dell’ espediente preso dal figliuolo di tenerlo chiuso.
Il fondatore dell’ Impero Romano Giulio Cesare scrisse una tragedia intitolata Edipo, oltre ad alcune altre chiamate Giulie, delle quali il di lui successore proibì di poi la pubblicazione.
Vero è che la Pazzia piacque tanto al pubblico e agli attori, che restò poi nel patrimonio delle Compagnie drammatiche, mutando semplicemente di nome, a seconda dell’ attrice che la rappresentava.
Molti contemporanei del Cervantes e del Vega coltivarono la drammatica senza discostarsi da’ principii dell’ Arte Nuevo, cioè lambiccandosi il cervello in lavori sregolatissimi con istile affettato e capriccioso e sommamente disdicevole al genere scenico.
Anche Ruben scherza facendo in tal punto pericoloso una enumerazione lirica delle perle di Oriente , dell’ oro dell’Arabia , delle sete del Catai , delle porpore di Tiro , degli odori Sabei , de’ tapeti di Turchia , delle tele di Persia , e aggiunge infine, quanto oro encierra en sus abismos el hondo mar, y quanta plata, cuentan, sudaron los famosos Pirineos quando Vulcano liquidò sur venas.
Però senza ammettere cotali accuse, né rigettarle, mi contento di dire che sebbene a imparar, come va, la lingua toscana, e a formarsi uno stile elegante e robusto fosse miglior pensiero l’appigliarsi ad altri scrittori che non a Metastasio; non per ciò lascia d’essere pedanteria ridicola il vituperarlo per non aver fatto uso dell’“quanco”, del “piùe”, del “chente”, e di simili altre leziosaggini dell’antico parlar fiorentino.
Il viaggio a Parigi e la stesura dell’‘Impostore’ Nel marzo del 1713, poco prima della partenza al seguito dell’ambasciatore pontificio a Luigi XIV Pompeo Aldrovandi17, Martello fu raggiunto da una stringata lettera di Manfredi: «Mi giunse nuova che vi sia chi scriva contro le vostre tragedie, le quali, per quanto sieno censurate, si difendono assai da se stesse. […] [commento_3.25ED] un … ascolti: descrive la convenzione dell’‘a parte’, in cui un attore in scena pronuncia una battuta che convenzionalmente non è udita dall’altro attore in scena.
Luigi Roverelli l’Amante imprudente del medesimo; di Antonio Simon Sografi il Tartufo del Moliere; di Francesco Tortosa l’Avaro del medesimo; di Elisabetta Caminer Turra l’Ammalato imaginario del medesimo; dell’ ab.
Introduzione Quando iniziai a lavorare su Pietro Calepio, stendendo il progetto di ricerca per l’ammissione al corso di dottorato, più di tre anni or sono, intuivo le potenzialità che offriva il suo Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia per sviluppare una ricerca vasta e complessa, che non si risolvesse semplicemente in un lavoro d’archivio volto a indagare il percorso biografico e culturale di uno dei tanti letterati «minori», quando non decisamente minimi, dell’Italia che usciva dalla guerra di successione spagnola e si affacciava timidamente sul palcoscenico dei Lumi. Ciò che mi spingeva a studiare l’opera di questo conte bergamasco, nato nel feudo di Calepio nel 1693, e autore di alcuni saggi critici che avevano ottenuto maggior fortuna al di là delle Alpi che non in patria, era un concorso di moventi di diversa natura. In primo luogo mi incoraggiava il fatto che Calepio avesse destato, nel secolo scorso, l’attenzione di interpreti molto raffinati, da Benedetto Croce, il quale si prodigò per riportare in Italia i manoscritti di questo autore, ammirato per la portata originale della sua estetica letteraria1, a Sergio Romagnoli, colui che promosse quella ripresa degli studi calepiani fra gli anni Cinquanta e Sessanta da cui scaturirono le edizioni della Descrizione de’ costumi italiani e del carteggio col Bodmer2, sino a Laura Sannia Nowé, che a Calepio aveva dedicato la propria tesi, nonché una serie di approfondimenti successivi sull’asse Maffei-Calepio che sono stati per me determinanti3. Secondariamente mi stimolava il fatto che il Paragone, trattato che si imponeva per ricchezza e vastità dei riferimenti culturali del suo estensore, rimanesse inedito dopo le due edizioni settecentesche, scarsamente diffusa la prima, filologicamente trascurata la seconda, postuma; latitavano in effetti anche esplorazioni specifiche su questa preziosa miniera di informazioni in ambito di teoria tragica europea sei-settecentesca: il Paragone veniva osservato come attraverso gli squarci di un lenzuolo perforato, per impiegare l’immagine di apertura dei Figli della mezzanotte di Salman Rushdie; era stato analizzato soltanto per piccole porzioni, utilizzate, talvolta anche brillantemente, all’interno di studi che riguardavano per lo più altri autori e non elette a specifico oggetto di indagine4. Infine mi affascinava l’idea che il Paragone potesse essere attraversato a partire da molteplici prospettive, come testo di critica e storiografia letteraria tra i più rilevanti nell’Europa del tempo — e in questo senso devo ringraziare soprattutto Andrea Fabiano e i membri dell’equipe del progetto di ricerca Historiographie théâtrale à l’époque moderne 5; come documento di evoluzione dell’estetica settecentesca europea che presentava indizi di un dialogo fecondo con i capisaldi della critica sei-settecentesca (Boileau, Pallavicino, Bouhours, Gravina e Muratori), ma che conteneva anche spunti di assoluta originalità circa la natura del gusto e la percezione del bello — interpretati da alcuni come segnali di una precoce ricezione delle tesi del Du Bos — che ponevano il bergamasco in una linea di rinnovamento settecentesca che precorreva la strada tracciata, fra gli altri, oltre che dal Bodmer, da personalità del calibro di Charles Batteux, David Hume, Edmund Burke, Gotthold Ephraim Lessing e Immanuel Kant; come tentativo, infine, di piegare i cardini della poetica aristotelica a un’esigenza religiosa che si poneva tuttavia in profondo conflitto con le soluzioni del teatro, marcatamente anti-aristotelico, di matrice gesuitica, promossa dalla sperimentazione tragica corneilliana e in generale barocca.