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11. (1715) Della tragedia antica e moderna

[2.121ED] Ciò pure era con più decoro e con più profitto nelle sue stanze, tanto più che la madre il padrigno erano nella reggia. [2.122ED] Vi è ben di peggio. […] [3.105ED] Il mezzo termine per uscirne era appunto l’invenzione di un termine che nulla significasse, ma che nell’oscurità mostrasse involvere arcani, ed io fra me stesso rideva dello stralunamento degli occhi loro e de’ folli applausi delle lor lingue a ciò che essi io intendevamo. […] Nessuno degli scrittori del Trecento de’ loro coetanei e seguaci nel verso si astennero dall’usare la rima. […] , ma meno ameresti che ti tacciassero di satirico, e però esaminiamo la cosa a dovere. […] Di contro reputava il verso sciolto ‘ignobile’ o oscuro, appellandosi, infine, all’esperienza teatrale che avrebbe dimostrato che i versi non pregiudicano all’arte attorica alla commozione dello spettatore (p. 162).

12. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro II. — Capo III. La Poesia Drammatica nel Secolo XV fa maggiori progressi in Italia. In Francia cominciano i Misteri. » pp. 194-209

Arse l’Italia d’un grand’incendio di guerra in diversi suoi paesi nel secolo XV, ma le contese de’ pisani co’ fiorentini, de’ veneziani co’ duchi di Milano, degli angioini cogli aragonesi, non impedirono l’alto favore, la generosa protezione, e la magnanima liberalità e munificenza de’ nostri principi, ministri, generali, e grandi verso le lettere, scienze ed arti tutte, e verso i coltivatori di esse133, non la fervida e quasi generale applicazione di ogni uomo di lettera ad apprender profondatamente le due più famose lingue de’ dotti, non l’universale entusiasmo di quanti a quel tempo eruditi viveano, di andare da per tutto, anche in lontane regioni ricercando e disotterrando i codici greci e latini134, non l’ardente premura di moltiplicarli colle copie, confrontarli, correggerli, interpretarli, tradurli, comentarli, non il raccorre da ogni banda diplomi, medaglie, cammei, iscrizioni, statue ed altri antichi monumenti, non lo stabilimento di varie accademie, non la fondazione dì altre università, non l’istituzione di nuove cattedre, non l’aprimento di pubbliche biblioteche e di teatri, non la rapida e maravigliosa moltiplicazione delle stamperie per le città e sin anco per le più ignote contrade d’Italia, non il promovimento dello studio della platonica filosofia per mezzo di Giorgio Gemisto Pletone, e singolarmente di Marsiglio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola in Firenze, e del cardinal Bessarione in Roma, non il risorgimento dell’epopea italiana e i progressi dell’arte drammatica, non il felice coltivamento dell’eloquenza e della poesia latina, e di ogni altro genere di erudizione, precipuamente per le cure, l’ingegno e ’l buon gusto del degretario e vonsigliere de’ nostri re aragonesi Giovanni Pontano135, e del precettore di Leone X Agnolo Poliziano, e del nostro Regnicolo Giulio Pomponio Leto, non impedirono in somma l’acquisto e ’l dilatamento delle piacevoli ed utili cognizioni letterarie e scientifiche, l’attività e ’l progresso dello spirito umano136. […] Poggio Fiorentino fu tra i ritrovatori di antiche opere celeberrimo, ad alcun’altro in questo genere di gloria cedé Tommaso da Sarzana, che poscia sotto il nome di Niccolò V. montò sulla cattedra di San Pietro, oltre a molti altri, de’ quali parla colla sua solita dottrina ed esattezza il sopralodato storico della letteratura italiana. […] Ma questa sontuosa festa che sorprese l’Europa leggendone la descrizione, la Farsa del Sannazzaro rappresentata in Napoli nella Sala di Castel Capoano nel 1492 le feste di Versailles date da Luigi XIV, nel 1664, le feste mascherate degli arabi in tante occasioni, qualsivoglia altro simile spettacolo, in cui si profondono le ricchezze facendo uso del ballo, delle decorazioni, della musica e della poesia, compongono quel tutto concatenato ed uno che appresso portò il titolo di opera.

13. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro II. — Capo VI. Spettacoli Scenici Spagnuoli nel medesimo Secolo XVI. » pp. 252-267

Mentre tali cose avvenivano nel pubblico teatro, non mancò chi s’ingegnasse di far qualche traduzione e qualche commedia che non si trova mentovata da Cervantes, probabilmente, perché non si rappresentò, influì agli avanzamenti dell’arte. […] Di più quel letterato ci diede una notizia non vera, verisimile, allorché scrisse che si «rappresentarono con indicibile applauso in Roma e in Napoli» sotto Leone X. […] l’uno l’altro si avvide che un può essere in buona Loica mai non produce per conseguenza un é. […] ciò si dice perché importi gran fatto l’esser primo; ché io amerei piuttosto esser ultimo come Euripide, che anteriore come Cherilo, o Senocle. […] anco di costui si sa l’anno, in cui nacque; e solo il mentovato compilatore ne dice col solito pudo ser, che forse nacque nel 1497.

14. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Del teatro »

Onde la fabbrica potè riuscir bella agli occhi di alcuni, ma buona bella per chi dritto estima. […] Vuolsi ancora dall’interno del teatro sbandire quella maniera di ornati, tanto alla moda in Italia, che rappresentano ordini di architettura; pedanteria, che abbiamo redata dal secolo del Cinquecento, in cui scrivania facevasi, armadio senza porre in opera tutti gli ordini del Coliseo. […] qui ristà la cosa.

15. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo secondo »

[4] Ma i suoni della voce sono incommensurabili, vale a dire, non si distinguono fra loro per intervalli perfettamente armonici, possono misurarsi per alcuna delle note, che entrano nei nostri sistemi di musica. […] Non ha d’avere dittonghi di suono indeterminato, e confuso, perché non avendo essi un valore determinato nella pronunzia, non possono meno riceverlo dalle note, le quali non hanno in tal caso che una espressione insignificante. […] [7] La collocazione delle consonanti non può essere più opportuna, non essendoci alcuna sillaba, che ne contenga più di quattro, trovandosi tre in seguito senza l’aiuto di qualche semivocale, che temperi la rozzezza del suono. […] La francese è una matrona ma una matrona avvenente, la quale, benché savia, e modesta, nulla però ha dell’aspro del fiero» 18. Chi così parla intendeva egli la lingua italiana la spagnuola?

16. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — [Epigrafo] »

Imperocché è pur lecito il dar giudizio di quelle professioni, in cui furono eccellenti Apelle, Zeusi e Protogene, anche a coloro i quali ad essi non possono in verun patto agguagliarsi: fu interdetto agli altri artefici il dire il parer loro sopra le opere di Fidia, di Policleto e di Mirone, tuttoché ad essi di gran lunga fossero addietro.

17. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo undecimo »

[8] Niuno meglio di lui ha conosciuta l’indole dell’opera in musica accomodando lo stile lirico alla drammatica in maniera che gli ornamenti dell’uno nuocono punto all’illusione dell’altra, la naturalezza di questa s’oppone al pittoresco di quello. […] Osservisi l’arte colla quale informa gli spettatori in sul principio di ciò ch’è lor d’uopo sapere, esponendo le circostanze passate e presenti, e preparando per le future senza impaccio, stiracchiatura, ma con un’agevolezza che fa restare. […] Grande, ma senza        Quantità, misura. […] Ma più volte l’autore non ha avuto in vista l’uno l’altro. […] Catone stesso, quel seguace così rigido del giusto che la parola di lui aveva presso ai Romani la forza medesima che il giuramento fatto in presenza dei numi, niega a Cesare sotto un pretesto leggierissimo l’udienza che gli aveva dianzi promessa, si sdegna di mischiare fra le cure pubbliche e in giornata così decisiva il privato affare delle nozze di Marzia sua figlia; egli che scevro d’ogni domestico affetto non era padre, fratello, marito, ma cittadino.

18. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo quinto »

Ma non essendo fornito abbastanza di quel talento, di quella cognizione della musica antica, che abbisognavasi per così gran novità, e ignorando l’arte d’accomodar la musicabile parole nel recitativo, altro non fece che trasferir alle sue composizioni gli echi, i rovesci, le ripetizioni, i passaggi lunghissimi, e mille altri pesanti artifizi che allora nella musica madrigalesca italiana fiorivano. […] Dal che ne veniva in conseguenza che i cantori, nel pronunziar le parole, le storpiassero in così fatto modo che il significato loro si capiva dagli ascoltanti, quelli si curavano di esprimere la differenza delle vocali in lunghe, e brevi. […] Le ragioni sono perché vi precede la sinfonia, perché il basso seguita tutte quante le note del cantore, perché si accompagna con altri stromenti, perché si fa il ritornello alla seconda parte, perché il metro è diverso da quello del recitativo, perché manifestamente è un canto, per tutte le condizioni insomma che le arie a dì nostri distinguono. si veggono soltanto ne’ drammi del Rinuccini. […] L’Anfiparnaso venne poi in tal dimenticanza presso agl’Italiani che Appostolo Zeno, comecché in tal genere d’erudizione fosse versatissimo, confessa in una sua lettera al Muratori d’ignorarne persin l’esistenza. il Muratori ebbe altra notizia che quella che ricavò dalla mentovata iscrizione. […] A me pure è venuto fatto d’averla alle mani fra le carte musicali, ove sempre rimase. la musica la poesia meriterebbono che se ne facesse menzione, se la circostanza d’esser la prima nel suo genere non m’obbligasse a darle qualche luogo in questa storia.

19. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo V. Teatro Francese nel medesimo Secolo XVIII. » pp. 355-388

In tal guisa mescolandosi si allucinano a vicenda, fanno uso promiscuamente de’ medesimi caratteri e affetti, o più non si riconoscono, si distinguono dall’occhio più acuto. […] Non può terminar sì vaga scena con una osservazione più vera, più gloriosa per l’umanità. […] Difetto é quello veramente da non perdonarsi a un attore, il quale non dee pensar a se stesso, al poeta, allo spettatore, ma unicamente all’affetto ch’esprime e al personaggio che imita. […] «Ecco Agamennone (ei dice) col cappello e colla parrucca francese fino al collare; dal collo poscia in giù in giubbone e in brache dintornate da gioielli, ricamate d’oro, snello, ridevole, francese, greco, di nazione che si sappia finora scoperta nell’universo. […] Questa spezie bastarda, quantunque abbia spesso il merito di commuovere gli spettatori, non essendo comica, tragica, non purga a dovere i vizi e le passioni, e manifesta abbastanza non solo l’impotenza, in cui sono gli autori, di creare vere commedie e vere tragedie, ma il loro gusto eteroclito e depravato.

20. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo ottavo »

Nella invenzione del dramma siccome i ritrovatori pretesero d’imitar i Greci, presso a’ quali le rappresentazioni non erano mai interrotte dal principio sino alla fine, così non introdussero intermezzi, balli, e riempirono gli intervalli coi soli cori; ma tosto degenerando fra le mani degli altri compositori, sapendo questi come fare per sostener l’attenzione degli spettatori cori azioni prive di verosimiglianza e d’interesse, cominciarono a tagliar i componimenti in più parti frammezzandovi tra atto ed atto intermezzi di più sorta. […] Ma tosto inoltrandosi la corruttela, gli accessori divennero l’azion principale, si moltiplicarono gli intermedi senza modo regola, e lo spettacolo divenne un mostro. […] personaggi fantastici, numi ed eroi mischiati tra buffoni, un miscuglio di tragico e di comico, che non aveva la vivacità di questo il sublime di quello, ne facevano allora il più cospicuo ornamento del dramma. […] Non giudico pertanto pregio dell’opera il trattenermi intorno agli autori che scrissero in secolo così sventurato79 intorno ai titoli dei drammi loro, de’ quali può a ragione asserirsi che ne perisse la memoria col suono. […] I ghiribizzi della musica e della poesia si trasfusero nel canto eziandio, poteva avvenire che la melodia fosse naturale, ove le note e le parole nulla significavano.

21. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Del libretto »

Il maraviglioso di essa darà campo al poeta d’intrecciarla di balli e di cori, d’introdurvi varie sorte di decorazione; e per esser semplice e nota, di tanto lavoro egli avrà mestieri, di così lunghe preparazioni per dare a conoscere i personaggi della favola e per far, come si conviene, giocar le passioni, che sono la molla maestra e l’anima del teatro. […] mancherebbono altri simili argomenti di una eguale convenienza e fecondità.

22. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo terzo »

“Organari” nello stile degli scrittori del basso secolo non vuol dire suonar l’organo, fabbricarlo, cosa che s’assomigli: significa inserire alcune terze nel progresso del canto fermo cantato all’unisono in maniera per esempio che mentre una parte del coro cantava queste quattro note “ut, re, si, ut”, l’altra parte cantava al medesimo tempo “ut, re, re, ut”21. […] Tutt’erano d’ugual valore in quanto alla durata, ricevevano a questo riguardo altra diversità che quella delle sillabe lunghe o brevi del linguaggio a cui s’applicavano. […] O che dunque il valor delle note sia stato ritrovato dal Francone, o che riconoscasi per inventore Guglielmo Mascardio, o che debbasi, come io fortemente sospetto, risalir ancora a’ tempi più antichi, certo è che il Muris non ebbe parte in così fatta scoperta. fu altrimenti, come si pretende, una sua invenzione la misura musicale, ch’era stata per secoli intieri trascurata, ma senza la quale non può trovarsi canto regolare melodia, siccome quella che serve a dividere i tempi esattamente, a far valere le intonazioni, a dar un significato, un ordine a1 tutto, come fa la fintassi grammaticale nel discorso, e che dal valor delle note principalmente deriva. […] Sapevano essi dalla pubblica tradizione, che la natura loro non liberava gli dei i Semidei dagli affetti perversi, e dalle inclinazioni, onde vien tante volte l’umana debolezza agitata e sconvolta, cosicché potevano prender interesse nelle vicende loro, come noi lo prendiamo nelle sciagure di Zenobia, e di Mitridate. troppo era strano anche il deriderli sulle scene, come vediamo pur qualche volta aver fatto Aristofane. Basta leggere nel primo atto d’una delle sue commedie intitolata le Rane il burlesco e licenzioso dialogo tra Ercole e Bacco per conoscere qual conto facessero degli dei tanto il poeta, che metteva in bocca loro simili oscenità, quanto il popolo, che ne applaudiva. minori prove d’irreverenza si trovano ne’ poeti tragici.

23. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Discorso preliminare premesso alla prima edizione »

Non resteranno poco molto commossi dal terribile e magnifico quadro della morte di Didone, ma ti faranno bensì una lunga diceria sull’anacronismo del poeta, che fece viver ai medesimi tempi Enea e la regina di Cartago. […] Se la filosofia le aggiugne giustezza e profondità, l’erudito anch’egli concorre con braccia poderose, e con incessante fatica: dal che avviene che se la gloria di quest’ultimo è meno luminosa e brillante, non è perciò men solida meno sicura. […] Senza incolpar i lettori di malivolenza d’ingiustizia (frase inventata dagli autori infelici per vendicarsi dal giusto disprezzo con cui sono stati ricevuti dal pubblico ) io veggo quante accuse mi si possono fare parte provenienti dalla ragione, parte dal pregiudizio di coloro che il proprio gusto vorrebbero a tutti far passare per legge, e parte ancora da quegli uomini incomodi, i quali veggendo le altrui fatiche esser un tacito rimprovero della loro dappocaggine, si sforzano di consolar il loro amor proprio dispregiandole essi stessi, e cercando che vengano dispregiate dagli altri: somiglianti appunto a que’ satiri che ci descrive Claudiano, i quali esclusi per la loro petulanza e schifezza dal soggiorno delle grazie, si fermavano dietro alle siepi sogghignando maliziosamente a quei felici mortali che venivano per man d’Amore introdotti ne’ dilettosi giardini. […] Avrebbono forse desiderato, ch’io fossi stato più circospetto: cioè nella significazione che danno essi a tal parola, che non avessi osato, di profferir il mio sentimento se non colla timidezza propria d’uno schiavo, che avessi incensato gli errori e i pregiudizi del secolo, e che avessi fatto l’eco vituperevole di tanti giudizi stoltissimi, che sentonsi ogni giorno ne’ privati discorsi e nelle stampe. vi mancheranno di quelli, i quali, ricorrendo a’ luoghi topici della ignoranza, troveranno nel titolo di straniero una suspizione d’invidia contro l’Italia. […] Nientedimeno senza derogar al merito d’un libro, ch’io credo il migliore di quanti siano usciti fin’ora alla luce massimamente nella parte didascalica, parmi che i pensieri dell’autore intorno alla parte poetica del dramma non abbiano la giustezza la profondità che campeggiano in altri luoghi: mi sembra, che abbia poco felicemente indagati i distintivi fra l’opera e la tragedia, e che non venga dato gran luogo alla critica e molto meno alla storia, ond’è che molto ei ci lascia a desiderare si nell’una che nell’altra.

24. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo duodecimo »

La terza, che non avendo il poeta il musico alcuna ingerenza negli affari dello Stato, anzi riuscendo loro troppo pericoloso il mischiarvisi, non hanno potuto esercitar il loro talento se non se intorno ad argomenti di puro diletto, e di niuna o pochissima utilità. […] Avrebbe veduto che la musica più bella che si canti nelle lingue viventi, il più bravo poeta dramatico-lirico della Europa, l’ampiezza e magnificenza de’ teatri, lo studio perfezionato della prospettiva bastano nel paese delle belle arti a destare in un popolo che cerca solo il piacer passaggiero di poche ore quelle commozioni vive e profonde, quel pathos che pur dovrebbe essere il gran fine di tutte le arti rappresentative. […] La poesia non ebbe più quel perfetto combaciamento che aveva dianzi avuto colla musica, questa colle affezioni dell’animo. […] S’ampliò il numero delle corde e de’ suoni negli strumenti, si confusero insieme le proprietà dei generi, dei modi e delle voci, più sì conservò per l’avvenire l’applicazione delle cantilene ai loro rispettivi uffizi. […] Quindi non è da maravigliarsi che ridotta quest’arte a trattar pochissimi generi non abbia acquistata la perfezione, la varietà di quella degli antichi, presso a’ quali non mai disgiugnendosi l’una dall’altra, i confini della musica erano gli stessi che quelli della poesia.

25. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo IX. Stato presente degli spettacoli teatrali. » pp. 426-437

«Non vi si rappresentano (diceva) se non le antiche favole, alcune insipide imitazioni delle commedie e novelle francesi, scritte senza ingegno e senza spirito, e un gran numero di farse satiriche» 264 La satira sotto quel cielo nata dal potente entusiasmo di libertà che vi predomina, non rispetta particolari, ministri, il governo, e non poche volte porta il suo fiele fin sulle scene. […] Les tragédies sont dans un style ampoulé sur des plans sans vraisemblance, presque toujours sans intérêt, ou avec un intérêt qui naît du jeu et non pas de la piéce. […] Diderot a fait naître par ses paradoxes sur l’art dramatique, mais qui n’aura qu’une existence très éphémère dès que le caprice des Français les aura ramenés au bon sens.

26. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Avvertimento al lettore per la presente edizione »

I pratici di questa nazione non l’hanno considerata finora se non come un affare di puro istinto e d’abitudine, si sono inalzati al di là della sua parte grammaticale.

27. (1772) Dell’opera in musica 1772

solamente esse nacquero in mezzo alle passioni, ma pure possono essere esercitate se non da uno spirito che da questa attualmente sia posseduto. […] questa azione riman nello spirito, ma passa alla nostra macchina altresì. […] I quali effetti della pittura, della scultura, si narraron mai di qualunque altra delle belle arti. […] si troverà mai, che un canto composto d’una moltitudine di note sia riuscito patetico sul teatro, proprio ad aggiugner forza al sentimento delle parole. […] ogni punto che termina il periodo ha una cadenza medesima.

28. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo settimo »

Il severo e religioso contegno del papa Innocenzo XI trattenne in seguito per qualche tempo il corso a siffatti divertimenti, ma dopo la sua morte incominciò di nuovo la corte ad assaporarli, dando a ciò occasione il concorso di tanti stranieri e la magnificenza di tante famiglie principesche, le quali si pareggiavano coi sovrani nella sontuosità e nelle ricchezze. troppo era strano il vedere i cardinali stessi impegnati nell’accrescer lustro e splendore a’ teatrali spettacoli; tra essi basti annoverare il cardinal Deti, il quale in compagnia di Giuglio Strozzi istituì l’anno 1608 nel proprio palazzo l’Accademia degli Ordinati, destinata a promuovere le cose poeti che e le musicali, come anche un altro porporato illustre scrisse, e fece rappresentar l’Adonia, melodramma di cui Giammario Crescimbeni fa ne’ suoi Commentari un magnifico elogio, ma che debbe riporsi tra i molti insensati panegirici, che il bisogno o la voglia di farsi proteggere detta non poche fiate a quelli scrittori che fanno della letteratura un incenso onde profumare gl’idoli più indegni di culto. […] Furono poi maggiormente promosse sotto la regenza di Caterina de’ Medici, la quale chiamò musici e suonatori italiani per rallegrare con balli, mascherate e festini la corte, ove gran nome s’acquistò il Baltassarini conosciuto dai Francesi col nome di Beaujoieux colle sue leggiadrissime invenzioni, onde ottenne l’impiego di cameriere della regina, e in seguito di Arrigo Terzo. dee tralasciarsi Ottavio Rinuccini inventore del dramma in Italia, il quale allorché accompagnò la regina Maria de’ Medici, di cui ne fu perdutamente innamorato, col titolo di gentiluomo, il gusto delle cose musicali grandemente promosse. […] Le loro antiche fiere, ovvero siano feste carnascialesche chiamate Wirschaft, che con grandissimo apparato di comparse e di suoni vi si celebravano; la musica strumentale da loro coltivata con impegno; la magnificenza degli elettori di Baviera, di Sassonia, dell’Imperador Leopoldo, e d’altri principi che non risparmiavano spesa diligenza affinchè riuscissero sontuosissimi gli spettacoli che si davano alle loro corti, aveano di già appianata la via al melodramma. […] Ma per quante ricerche abbia io fatte affine di verificar l’epoca indicata dal Grillo non mi è avvenuto di poterlo fare, ho ritrovato notizia alcuna del dramma musicale avanti ai tempi di Carlo Secondo, nelle nozze del quale con Marianna di Neoburg si rappresentarono alcuni drammi colla musica del Lulli, il primo dei quali fu intitolato l’Armida. […] Ogni arte che dipende dal gusto, ha la ragione della sua eccellenza nel clima, nei costumi, nel governo, e nell’indole non meno fisica che morale di quelle nazioni che la coltivano, può altrove trapiantarsi senza perder molto della sua attività.

29. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo quarto »

L’impiego loro principale era lo stesso che sempre hanno avuto i poeti , ovunque la poesia non è il veicolo della morale lo strumento della legislazione, ma un passatempo ozioso, che non conduce agli onori, alle ricchezze. […] Più comune dovea essere siffatto costume a que’ tempi, ove i gran signori ignoranti per educazione e orgogliosi per sistema non conoscevano altro merito al mondo se non quello della nobiltà, altro mestiere fuorché la guerra. […] Gli argomenti delle loro canzoni sono meschini per lo più, mai s’inalzano alla sublimità degna del linguaggio dei numi. […] [38] Che che ne sia di ciò, cotali spettacoli altro non furono appunto che abbozzi, alcuno di essi ci dà l’idea d’un dramma eroico cantato dal principio fino alla fine. […] A due generi egli riduce le sue accuse contro di me, al non aver cioè lette, attentamente esaminate le sue ragioni, e all’aver avanzato delle proposizioni, che a lui non sembrano abbastanza fondate.

30. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Capitolo decimosettimo, ed ultimo »

ho difficoltà di asserire che fra tutte le materie questa è forse quella intorno alla quale gli uomini si sieno vieppiù esercitati. […] mi dimenticherò di riflettere che ogni sorta di misura ha l’energia sua propria, e che siffatte energie non ponno trasferirsi, scomporsi, o simplificarsi, ove non se ne alteri l’espressione. […] intralascierò di indicare i luoghi ove queste suppliscono in un modo vantaggioso e superiore ancora ad una delle maggiori bellezze della lingua greca, voglio dire all’onomatopea, di cui Quintiliano ne fa tanto conto, che si lagna forte perché la lingua latina non ne sia abbastanza doviziosa. […] Soggiugnerò che le forme del canto italiano non sono più abbondanti più varie di quelle del nostro, ma che la musica italiana debbe in gran parte l’interesse e l’incanto ch’ella produce, al contrasto che v’è fra la maniera secca e quasi direi urtante del suo recitativo colle grazie e colle dolcezze dell’aria199. […] I pochi mezzi, ch’io avea per le mani mi faceano cader d’animo intieramente, mi lasciavano altro conforto che quello d’abbandonarmi a delle querele inutili.

31. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro I. — Capo IV. Teatro americano. » pp. 19-25

Tali rappresentazioni si faceano nelle sacre festività più solenni (una delle quali era la sopraccennata Raymi), e vi assisteva il maggior inca con tutta la corte; e perciò erano decenti e gravi e degne del luogo, del tempo, e degli spettatori, mai gli amauti avvilirono i loro talenti all’oscenità di Aristofane, e degl’inglesi. […] Così le arti, i costumi, le maniere, le imitazioni, e fino il bestiame e le produzioni vegetabili, vi sono piuttosto avveniticce che naturali; reca più maraviglia il vedervi abbarbicato quanto si conosce nell’antico continente.

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