Non vi fu più chi superasse il Demarini per virile bellezza, per potenza di voce, e per miracolose particolarità d’organismo. […] Che anzi, erano già molti anni dacchè al teatro del Pavone era stata posta la lumiera con quattro grandi pavoni dorati, che poi furono tolti perchè dalla sua luce si pavoneggiavano quei soli quattro animali, quando io nel 1843, assistendo ad una rappresentazione della compagnia Reale di Torino, trovai il teatro Carignano senza lumiera, e in cosi fitta oscurità, ch’ io distingueva appena la fisonomia di chi mi stava vicino, mentre la luce concentrata tutta sopra gli attori li faceva sembrare figure magiche, e la commedia era ascoltata con religioso silenzio. […] Che la Pezzana e la Tessero, anime artistiche, recitassero egualmente bene in italiano e in piemontese, lo si comprende facilmente ; ma che quegli che per anni ed anni fu sempre un attore da museruola recitando in italiano, diventi ad un tratto artista, cavaliere e milionario recitando in piemontese, ciò non si comprende, se non supponendo che chi recita in dialetto non faccia un’ arte. Chi recita in dialetto, il quale non è altro che una monotona ripetizione di pochi accenti, se non è vero relativamente al suo personaggio, è sempre vero relativamente a sè stesso, il che non è poca cosa, ed è dispensato dalla creazione di quell’ ideale, che costituisce la vera essenza dell’arte.
. : quelle parti insomma con le quali, per quanto sieno eseguite con dignità, è d’uopo sostenere una posizione imbarazzante verso il pubblico, e le quali il signor Righetti potrebbe far eseguire da chi meglio credesse. […] E le lodi non mancarono, non mancarono gli applausi ;… ma chi mancava era il pubblico. […] Chi non ricorda il modo con cui s’avvolgeva nel suo manto alla fine del secondo atto di Mirra ? Chi non senti bagnarsi gli occhi di lacrime vedendola inginocchiarsi davanti al Crocifisso in Maria Stuarda ?
Zan Farina dunque non solamente fu maschera del teatro italiano, ma vi ebbe chi sotto quel nome recitò con grido, se fu proposto dal Martinelli per una Compagnia che doveva recarsi a Parigi.
E chi avrebbe detto che in quell’anno e a Venezia, il Gallina avrebbe avuto un clamoroso trionfo per venticinque sere nell’orribile drammone Giuseppe Mastrilli ?
Quindi s’ alterava non poco, ed acremente riprendeva chi le proferiva, protestandosi che avrebbe cessato di recitare.
Chi non ricorda le sue crinoline, le sue cuffie, i suoi scialli, gli scozzesi inverosimili de’suoi vestiti, che erano spesso piccoli capolavori di imitazione e di ricostruzione di mode dimenticate ?
Chi mai ha potuto come lui dar vita alla parte di Ludretto nel Ludro e la sua gran giornata di F.
Chi morde, chi impallidisce all’udirle lodate, chi si scaglia in pubblico o in segreto contro di esse; ma quelle superiori alle bassezze della timida malignità e dell’arrogante ignoranza poggiano in alto e s’incaminano all’immortalità.
Ma quest’opera, così bene e solidamente piantata, richiedeva a fondamento una raccolta teatrale, quale il Rasi ha saputo raccogliere per formare un vero museo del Teatro Italiano, che dovrebbe diventar cosa pubblica, a documento delle nostre glorie passate, se si trovasse chi fosse disposto a compensare delle sue spese e delle sue fatiche il provvido collettore. […] La lettura ad alta voce, di cui egli è un apostolo convinto, diventa così un mezzo d’istruzione e di educazione, facile e aperto a tutti : esso dovrebbe sostituirsi anche nelle scuole a quel tedioso e forzato esercizio della memoria, che avvezza i ragazzi a non capire quello che recitano, e che riesce, certamente, a renderlo a tutti noioso, anche a chi è costretto ad ascoltarli. […] Perdona alla scorbellata franchezza di chi ti vuol bene davvero.
Nel primo chi canta non ha altro disegno che di eccitar in se stesso o in altrui quel diletto meccanico che risulta dalla dolcezza inerente a qualunque tuono. […] Questi mostri erano la più bizzarra cosa del mondo; ma non si può dir a chi non gli ha visti, com erano. […] Quello di rappresentare coi gesti un’azione in maniera che s’ecciti in chi la guarda l’interesse e l’illusione. […] Balli dove niuna convenienza si serba al paese, al grado, al luogo e alla età dei personaggi, dove s’atteggiano nella stessa foggia il freddo svedese e l’Asiatico voluttuoso, il severo Bruto e il leggiadro Alcibiade, l’attempata e dignitosa regina e la fanciulla vivace, dove non si mette veruna differenza tra chi danza nel proprio gabinetto e che si diverte in sollazzevole compagnia, tra chi si trova oppresso da un amaro cordoglio e chi s’abbandona ad una spensierata allegrezza. […] Eppure ancora dopo la mia esposizione chi è quel lettore che abbia capito rappresentarsi in questo ballo le Feste d’Imeneo?
[9] Metastasio (chi lo crederebbe?) […] Chi così credesse viverebbe in inganno. […] L’uomo austero ma sensibile mischierà alle significazioni del suo dispiacere pel male accaduto i rimproveri sulla imprudenza di chi non seppe sfuggirlo. […] Quindi è che qualora si cavino le parole dallo spartito, la composizione da sé sola non offre per lo più veruna rassomiglianza, verun linguaggio intelligibile per chi che sia. […] Chi scrive sa benissimo che ogni regola patisce la sua eccezione e che in ciascuno dei rami della facoltà musicale può questa nazione vantare più d’un professore di sommo merito.
Non mi parlar qual parla chi più non si rivede. […] A chi è ignota la Merope del Maffei ? […] O torre amica, Chi mi ritorna a te ? […] Chi glieli svelse ? […] Chi sa ?
I lati retti della platea congiunti alla strettezza della bocca del palco occultano a chi siede lateralmente buona parte della scena. […] Il proscenio per ogni lato ha due pilastri con una nicchia nel mezzo di essi colle figure di Pallade, e nel mezzo vi è scritto Theatrum Fortunae, Si osserva da chi ha veduto questo teatro che non è sottoposto al difetto comune quasi a tutti gli altri, che la voce si perda ne’ buchi de’ palchetti, perchè tutti convengono che vi si sente egregiamente ogni parola.
. – Onorevole risposta, per chi la diede, e per chi la ricevè !
Al merito distintissimo dell’attore, le virtù dell’uomo si ammiravano in lui congiunte, chi lo conobbe lo amò, chi lo udì sulle scene non si stancò dall’applaudirlo.
Essa non perdeva sillaba della Cazzola, che, per eleganza, naturalezza, profonda intuizione d’arte, si collocò fra la Ristori e la Sadowsky, e in certe parti non trovò chi riuscisse a superarla ; e più tardi, a Firenze, quando la Cazzola ammalò, Tommaso Salvini ricorse alla signora Virginia ; e la signora Virginia, improvvisando sera per sera un’interpretazione, cominciò a spiccare il gran salto, sempre sotto gli auspici del gran colosso Salvini, artista completo, dividendo il regno dell’arte con la Tessero e la Pezzana, e tutte tre facendo credere con i grandi successi fatti ottenere alle commedie di Gherardi Del Testa e di Achille Torelli, ai proverbi del Suner, ai drammi del Costetti, ai lavori mastodontici dell’ultima maniera di Paolo Ferrari, al medio evo di Giacosa, alla romanità di Pietro Cossa, alle galanterie di De Renzis, di Martini, di Castelnuovo, e tutto il resto di Cuciniello, di Muratori, di Montecorboli, di Castelvecchio, di Sabbatini e di tanti altri, facendo credere all’esistenza d’un moderno teatro italiano. […] Chi in quella bonaccia profonda indovinerebbe la tempesta del quarto atto ?
Dovere del Padre El Padre, che vive spensieratamente, senza provveder ai so fioi, usurpa indebitamente vivendo el nome de padre, e acquista giustamente morendo quel de tiranno : do cose deve lasciar el padre, podendo, ai proprj fioi, una necessaria ; è l’altra utile ; la necessaria l’è la morigeratezza ; e l’utile l’ è el ben star : la prima pol star senza la seconda, ma la seconda senza la prima l’è un vetro che traluse, ma che ghe manca la fogia per esser specchio ; chi di tutti do le provede, vive contento, e mor felice, contento in vita, perchè l’ha fatto quel che el doveva : felice in morte, perchè el lassa quei, che da lu derivan, nei boni costumi, e nel ben star tutto el pagamento di quei debiti, che l’aveva contratti, quando ghe diede el ciel el rispettabile nome de padre. […] Per esempio : Battendo alla porta della donna Donna dice : Chi batte ?
Esse risvegliano il fremito dell’umanità, e giustificano il gusto di chi detestando il fatto ne ammira la dipintura. […] Ma da chi fuggi? […] Ma da chi fuggi? […] A chi vive in lieta sorte È sollecito il morir! […] Or chi lo spinse a mettere alla vista codeste bellezze neglette, se non la propria candidezza e giustizia?
Dunque (chi ’l crederia?) […] Tra’ Celti cacciatori chi avrebbe sospettato di trovare un informe idea della poesia scenica, mancante per altro di un piano, rozza, senz’arte, ma non priva d’interesse? […] E chi lo saprà? […] Stà bene l’essere delicato a chi non ha pane! […] Come attore Garrick non ebbe colà chi lo pareggiasse; ebbe bensì chi gareggiò con lui.
Chi non vi ravvisa una copia esatta di ciò che per introduzione ai loro pas-de-deux i ballerini Europei hanno a sazietà rappresentato sulle nostre scene?
Il Capelli vive oggidì a Bologna, passando le notti al Caffè del Corso tacito, isolato, guardando i cerchi di fumo che s’alzano dal suo sigaro, e nè men forse ascoltando chi parla intorno a lui.
Nelle cose improvvise non aveva chi le stesse appetto : e nelle premedicate fu tale il valor suo. che il Goldoni e il Chiari serisser più epere a posta per lei : quegli La serva amorosa.
Chi voglia avere notizie particolareggiate e dell’indole sua e del suo poetare, specialmente improvviso, veda il forbitissimo articolo di Cece nel Piovano Arlotto del febbrajo 1859, pag. 97.
Dio perdoni a chi per sordido interesse mi a dato questo disgusto, e mi a reso a l’idea di V. […] mo Signor mio Signore e Padrone Colendissimo Non avendo a chi potere confidare questa mia letera per poterla fare recapitare a mio figlio cosa che asai mi preme ò preso ardire confidandomi nella infenita bontà di V. […] E perchè per l’ amor grande che li portavo li fece in el suo matrimonio donacione dopo la mia morte e li fu venduta la carica sopra la mia donacione e perchè lui si era obligato pagarli 7cento franchi l’anno credendo di esercitare la detta carica, e come questo interesse andava inace (= inanze) senca sodisfare al venditore della carica venduta 14 mila frachi lo fece ritornare per agiustarsi con il venditore e per g[i]ustarlo à bisog[n]ato che io le dia 9mila fra[n]chi che avevo su l’otel de Villa e lui li diede una G[u]erra che ebe chon ingano dal fratello de la moglie per 10 mila franchi che il fratello era erede della terra e perchè la terra aveva molti debiti prestai dechontanti 9mila e sei cento franchi che ò apreso di me l’obligatione per notaro dicendo vendendo la terra mi sarebe pagati, e cosi si è ag[i]ustato il venditore con darli la terra senza mia saputa e nel darli li sudeti prima 9 mila fra[n]chi mi rinviò la caricha a dove io la vedei, la vendei 8mila fra[n]chi e ne perse mile de’ 9 che li diede e avendo il notaro in mano il denaro il furbo me lo sequestrò con dire ch’ è roba sua per averli io fato la deta donacone ed io in colera lo sgridai e venesimo a parole e l’ultima parola mi dise ch’ero un becho e fugi ne la sua camera e se serò e la notte nel Ripo fugi cho le sue robe ed io con il comesario chon testimoni cavai una presa di corpo e lui sapendo ciò se ne parti per Italia. […] Non li scrivo le chave false e latrocini che mi à fato e goderli con le done, non scrivo le svirgenature fatte, ve n’ è 2 fatte che farebe rizare i capelli a chi le sentise, ma a bocha spero di tratenerlo nelle sue infamità e fenito questa lite meterò le ale e verò a casa. […] Così va chi à un figlio ingrato ; spero in breve liberarmene.
Ma chi si attacca alla falde della mia veste, e mi trattiene?” […] Convien confessare che questo innocente, semplice, patetico congedo, desti in chi legge una tenera commozione; e pur si tratta di un congedo da un cavriuolo! […] Che, come, se rapisce un buon boccone Correndo in giro cerca la gallina Dove sicura il becchi, e intanto celere La segue un’ altra, ed essa più si affretta, Non altramente chi si avvenne il primo Nella delizia del prezioso pesce Ghiotto saltella col bel tondo stretto, E fugge intorno e ’l van seguendo gli altri. […] Se alcun veggiam che prodigo banchetti, Gozzovigli alla grande, interroghiamo Tosto chi sia, che ordisca, di che entratæ Ei si mantenga.
Forse questa seconda volta si sovvennero, in ragione di chi prese parte alle commedie ?
Ci fu persino (e fra questi il Duca di Ventignano, soprintendente de’ reali teatri) chi lo giudicò un nuovo De Marini.
Sorpreso e stupefatto il marito per tanta audacia e tanta viltà scoperte improvvisamente in chi fin allora egli ebbe in concetto di sant’ uomo, pensò bene di affrontare il detto Gazotti e dirgli intero l’animo suo.
Tra le ultime parti che Angela Beseghi creò e che la fecer cara a ogni pubblico, fu quella della Suocera nelle Sorprese del divorzio, per la quale ella non è e non sarà certo, da chi ebbe il piacere di sentirla e di vederla, dimenticata.
Esordì colla parte del fratello vendicatore nel dramma : Prestatemi cinque franchi ; e tanto vi dispiacque, a cagione specialmente della pronuncia siciliana, accentatissima, che il Marchese Imperiali, deputato della sopraintendenza a quel teatro, ne volle cancellato il nome dall’elenco degli attori pel nuovo anno comico, rispondendo rigidamente a chi glie ne vantava le doti : « quando il signor Bozzo parlerà italiano potrà tornare al Teatro dei Fiorentini.
Se fosse rimasta nell’arte, chi sa quale artistona se ne sarebbe fatta.
Separatasi dal marito, un po’per la incompatibilità di caratteri, un po’per la condotta di lui, entrò (1836) collo stesso ruolo nella Compagnia di Romualdo Mascherpa, col quale la troviamo e il’ 39 e il’ 42 : e tanto progredì nell’arte sua, che non ebbe chi la superasse, pochissime che l’uguagliassero.
1ª sera Quando io penso al primier tempo passato, qual mi facea stentar più del dovere, dico fra me ; ch’il ciel sia ringraziato che diede alla mia figlia un gran sapere : per opra sua mi trovo in altro stato, ma in oggi così va ; chi vuol potere vestir lindo e mangiare a crepapelle ci vuol per casa almen due reginelle.
Ma se Flavia, come non è a dubitare, fu veramente la Luciani, non pare davvero, a chi scorra le lettere del Martinelli, il più bel tipo di rassegnazione femminile.
Vagò per alcun tempo in accozzaglie di commedianti dell’ infima specie, finchè, udito da Bellotti-Bon, fu da lui scritturato, passando in breve al ruolo assoluto di primo attore giovine, in cui per l’ardore della passione e per la spontaneità non ebbe mai chi gli stesse a fronte.
Bell’ impresa ell’è questa, e bel valore egli è oltraggiar chi sol si strugge in pianti ?
A proposito della Saffo, le fu indirizzato il seguente sonetto di anonimo, inserito nella citata Galleria : Tragico, puro spirto in te sfavilla, qualora sciogli il ben vibrato accento : Tien, chi t’ascolta, immota la pupilla, teco divide l’aspro tuo tormento.
Riaperte le porte della scena al nostro Goldoni anche alcuni moderni scrittori presero ad imitarlo, ed il personaggio della servetta tornò ad essere importante, e necessario ; ma non si trovava più chi sapesse con disinvoltura, con brio, con grazia, e colla necessaria finezza rappresentarlo.
E chi era il Capitan Matamoros che vediam nel quadro dei Buffoni francesi e italiani (riprodotto poi dall’Huret nell’incisione che qui riferisco), di cui do nella testata la riproduzione, per gentil concessione del signor Rambaud, che fu anima dell’esposizione drammatica di Parigi (1896), e di cui non esistono che due esemplari : uno che è nel foyer della Comedia Francese, l’altro appartenuto già al signor De la Pilorgerie, che sarebbe, secondo il Baron de Wismes, di quello una copia ; ma anch’esso, a parer mio, originale ? […] ) che lo dice inventore di questa stragofissima parte ; mentre del Fiorillo Matamoros il Cecchini medesimo ci dà un’ ampia testimonianza, dicendo ch’ egli fu huomo in altri comici rispetti di una isquisita bontà, posciacchè per far il capitano spagnuolo non ha havuto chi lo auanzi, & forse pochi che lo agguaglino.
Nella terza scena del III, in cui si parlano la prima volta dopo la lor divisione Basilio e Chiteria, la tenerezza disgraziata aumenta a maraviglia l’interesse, commuove, e ricerca l’intimo dell’animo di chi legge o ascolta. […] Al medesimo Capo pag. 41, lin. 2, dopo le parole, di chi vuol persuadere. […] Se v’ha tra gli esteri chi abbia con proprietà espressa in altro linguaggio, senza alterar l’originale, l’energia dell’Inglese, secondo me debbe contarvisi il sig.
E però più forte appariva la Di Lorenzo, a chi la giudicasse con mente riposata, in quelle opere in cui dominava soavità di sentimenti. […] Chi se ne occupa è uno sciagurato : non ha nè il criterio, nè il sentimento dell’arte…… E finalmente ci sono coloro che hanno detto semplicemente e sinceramente così : La Tina Di Lorenzo ha le doti naturali, ma non ha l’arte ; farà la gran conquista quando ai mezzi che la provvidenza le ha elargito avrà aggiunto la formazione dell’intelletto d’arte, che è studio tenace, serietà di proposito, fermezza di volere. […] Non ho sentito dal ’93 Tina Di Lorenzo ; e però cedo la parola a chi s’occupò dell’arte di lei in questi ultimi tempi.
Chi ha meditato sulla natura dello spirito, non dubiterà di paradosso nelle nostre parole. […] La qual ripetizione, comeché scusabil fosse in chi della tragedia in generale impreso avesse trattato, non così certamente sarebbe in chi alla sola opera in musica destinò le sue osservazioni. […] Richiede tutto ciò solo chi è tratto all’opera in musica dal piacer teatrale: chi da quel dell’udito vi fosse principalmente condotto, ben poca melanconia si darebbe di tutto questo. […] Par opposto, chi non sa a quante sconvenevolezze induca una memoria infedele? […] Chi ha i piedi eruditi, e chi sa il dominio della musica sullo spirito e sulla macchina dell’uomo, non dubiterà d’esagerazione in ciò che asseriamo.
Chi a queste avvinto Orride rupi ed al rigor del verno Tal giace esposto o sventurato o reo? Chi sei? […] La condotta n’è così giudiziosa che il leggitore dal principio alla fine vi prende parte al pari di chi nacque in Grecia; tale essendo l’arte incantatrice degli antichi posseduta da ben pochi moderni, che la più semplice azione viene animata dalle più importanti circostanze con tanta destrezza, che il movimento e l’interesse va crescendo a misura che l’azione si appressa al fine. […] I Persi è tragedia da leggersi attentamente da chi voglia impadronirsi della grand’arte d’interessare, e in conseguenza di commuovere e piacere.
I quali nel pronunciarsi con certa cantilena e con espressivo atteggiamento diedero la vita anche alla pronunziazione, che è la prima musica della natura, e poi alla musica stessa artificiale; da che l’uomo solingo posto in mezzo alla silenziosa amenità della campagna sentesi sensibilmente invitato e rapito a mandar fuori di se i versi e a modular la propria voce per incantar dolcemente i sensi di chi l’ascolta; prendendone l’esempio dal concorde suono del grato mormorar de’ ruscelli, del susurrar dell’aure leggiere, del frascheggiar de’ teneri frondosi virgulti, e del lieve aleggiare e del gorgheggiar soave de’ canori augelletti. […] Chi avrebbe mai a que’ tempi potuto immaginare che l’uomo non contento delle omeriche ricchezze inventerebbe in seguito qualche genere poetico più utile e più dilettevole alle società? Chi detto avrebbe che le favole e le grandiose immagini del gran Cieco di Smirne fecondando la greca immaginazione, darebbero nascimento ad una poesia più universale, più artificiosa e più coltivata dovunque fiorisce la coltura? […] Essa si conosce e si spande per tutto, perchè deriva immediatamente dalla natura del l’uomo, il quale avvezzo ad osservare quei della sua specie, attissimo ad imitarli, e disposto a riprendere in altri le ridicolezze e gli eccessi, da’ quali si chi de lontano, gode della somiglianza de’ ritratti che se ne forma, e si compiace di farsene un giuoco.
[2] Ma a chi non può inalzare da pianta un novello edifizio rimane pur anco il non isteril compenso d’osservare, ed illeggiadrire i già fabbricati.
Chi meglio di lei in Italia recitò la Semiramide del signor di Voltaire ?
Il bell’ inganno che diletta e piace chi può mai dir d’una Maestra Scena, che sovra i nostri cor troppo efficace i più svegliati spiriti incatena ?
Infatti, il ruolo della servetta vera e propria era finito : subentrava la seconda donna, ossia un ruolo di comicità più oggettiva, come chi dicesse la donna emancipata, spesso vedova, desiderosa di nuove nozze, ed alla quale per solito annodavasi l’intrigo galante delle commedie nuove.
Egli si chiamò Ferrari, e fu primo innamorato di sommo merito : tale, secondo il Bartoli, che non ebbe nell’arte del teatro chi lo superasse.
E chi era quel Giuseppe Fortunati assieme a lui, Toto, caratterista al San Cassiano di Venezia nel 1796 e ’97 con Fr.
Ma chi si nascondeva sotto questo nome di Lidia ?
Rimando chi volesse maggiori notizie del Vitali alla biografia che ne dà il Tipaldo, e allo studio di A.
Il canonico Carlo Celano nato in Napoli nel 1617 e morto nel 1693, col nome di Don Ettore Calcolona tradusse con libertà e rettificò varie commedie spagnuole, come può osservarsi nelle sue date alla luce più Volte in Napoli ed in Roma, l’Ardito vergognoso, Chi tutto vuol tutto perde, la Forza del sangue, l’Infanta villana, la Zingaretta di Madrid, Proteggere l’Inimico, il Consigliere del suo male ecc. […] Quanto poi al Rosa (aggiugne il citato Baldinucci che ciò racconta) non è chi possa mai dir tanto che basti, dico della parte ch’ei fece di Pascariello e Francesco Maria Agli negoziante Bolognese in età di sessanta anni portava a maraviglia quella del Dottor Graziano, e durò più anni a venire a posta da Bologna a Firenze lasciando i negozii per tre mesi, solamente per fine di trovarsi a recitare con Salvadore, e faceva con esso scene tali, che le rise che alzavansi fra gli ascoltatori senza intermissione o riposo, e per lungo spazio, imponevano silenzio talora all’uno talora all’altro ed io che in que’ tempi mi trovai col Rosa, ed ascoltai alcuna di quelle commedie, sò che verissima cosa fu che non mancò alcuno che per soverchio di violenza delle medesime risa fu a pericolo di crepare.
E a vederlo e sentirlo nel Maester Pastizza e nella scena musicale a soggetto, chi crederebbe ch’egli sappia o poco o niente di musica ? […] Chi potrebbe nel sur Càmola, con quelle guancione di ovatta, trovar segni di raffronto colla faccia impresciuttita del maester Pastizza ?
V’è chi sospettò che fosse opera di Cassio Severo Parmigiano, del quale parla Orazio nell’epistola ad Albio Tibullo115. […] Esse risvegliano il fremito dell’ umanità, e giustificano il gusto di chi detestando il fatto ne ammira la dipintura. […] Torna innocente Chi detesta l’error. […] Ma da chi fuggi? […] Or chi lo spinse a mettere alla vista queste neglette bellezze, se non la propria candidezza e giustizia?
Ma chi è quel vecchio, Che veggo là nel fondo della piazza? […] Egli non sa chi fu Stilfon? […] Chi mi chiama? […] Chi? […] Da chi preso abbia questo vestimento?
Qui non si son fatte se non tre comedie nuove le quali si sono non solo per miei affari ma per altri lette particolarmente, havendosi contentato chi le ha fatto durare questa fatica ; ne per cagion mia, ne di altri vi è stato detto pure una parola. […] Chi vorà Fritellino bisognerà pagare le antigaglie e pigliare l’istessa discordia in compagnia, e finalmente chi vorà il Pantalone della podagra haverà un zocco di natale.
Saverio, in tutta la vostra diceria contro l’Opera Italiana si vede che vacillate, ora appressandovi a chi vitupera assolutamente il Canto, ora a chi ne riprende l’abuso. […] Quest’altro anacronismo venne fuor di dubbio da chi commise tal Pittura. […] Antonio Abate, ed oggi, a perpetua maraviglia di chi l’osserva, l’ho veduto collocato nella famosa Accademia di Parma. […] Gl’inverisimili ammassati nelle Commedie Spagnuole da quasi tre secoli hanno prodotta tutta l’illusione sufficiente per chi le ascolta, ed oggi giorno la producono. […] Il mostro Oraziano non ha più sconcezze; ed è un embrione fantastico fuori della quistione e della natura, a cui mai non risponderà chi fa conto del tempo.
Castilhon avesse avuta più pratica della storia letteraria drammatica, avrebbe evitato quest’errore, il quale, per se stesso leggiero, diviene sproposito grave in chi mettendosi a filosofar sulle nazioni, da falsi dati non può dedurre se non falso conseguenze e fondarvi sopra principi non meno falsi. […] Quanto allo stile, l’Ariosto abbonda di sali é motteggi graziosi senza buffoneria da piazza: é naturale senza lasciar di esser elegante: é poetico quanto basta per allontanarsi dalla prosa naturale, senza degenerare in lirico o in altro genere di poesia elevata e sonora, Vedasene un saggio nel seguente squarcio del prologo della Cassaria, dove dipinge i vecchi che vogliono parer giovani: ………………………… Per nascondere L’età, dal mento e dal capo si svellono Li peli bianchi: alcuni se li tingono, Chi li fa neri e chi biondi, ma vari e divisati in due o tre di ritornano. […] E bene, chi ’l crederia! […] Chi ne bandisce il vero per aprir campo vasto al capriccio e alla fregolata fantasia, ama i sogni, e non comprende la bellezza delle dipinture naturali: Chi freddo ragionatore e insipido sofista tutto riduce rigorosamente al vero per ostentar filosofia, distrugge tutte le arti d’immaginazione. […] Chi sente puerilità, crede subito, ch’egli parli del concetto; ma non la chiama puerilità perché (gran ragione!
Chi oggidì non fremerebbe alle parole d’Elettra che incoraggisce Oreste a replicare i colpi, παῖσον διπλῆν? […] Di sostegno privo, In man del crudo inesorabil Greco, Chi può rapirti al precipizio orrendo? […] Chi é mai egli? […] Chi ardirà giudicar l’un genere e l’altro? Chi preferii il moderno all’antico senz’aver in testa un guazzabuglio di fosche idee?
Ma chi potevan essere questi Bassi ?
ma Altezza Non Auendo potuto Auer l’onore di seruire l’Altezza Vostra Serenissima questo Carnouale per eser io impegnato in Ferrara à Benche il male sia deriuato dà chi poteua impegnarmi Auanti di Ferrara Auendone io fatto là Ricerca ; Tutta Via esendo io disochupato quest’Autunno, se mai l’A.
Ma Pasquariello (non so bene da chi inventato ; probabilmente da Salvator Rosa, e incarnato poi da Giuseppe Tortoriti) non è nè padre, nè vecchio, nè parte nobile di alcuna specie ; ma sempre servo : e caratteristica sua è più che la parola la mimica, apparendo prima ballerino da corda, come lo ritrasse il Callot insieme a Meo Squacquera, poi un de' più agili saltatori della Compagnia italiana di Parigi nella seconda metà del secolo xvii.
[1] Tra i fenomeni letterari che si presentano avanti a chi vuol osservare le rivoluzioni del teatro italiano non è il minore a mio avviso quel maraviglioso strabocchevole, che accoppiandosi col melodramma fin dalla sua origine, lo seguitò passo a passo per tutto il secolo scorso e parte ancor del presente, non solo in Italia ma nelle nazioni oltramontane ov’esso fu trapiantato. […] A dir però qualche cosa non mi pare ch’errar potesse di molto chi le riducesse a’ capi seguenti. […] E ciò non solo colle parole e col tatto, ma con misteriosi caratteri ancora, i quali aveano virtù d’allontanare ogni guai da chi li portava seco: onde trassero origine i talismani, gli amuleti, e tai cose. […] Non parlo di quelli del Chiari, quali per la scipitezza loro non possono far né bene né male: nemmeno di quella folla di romanzi francesi, frutto della dissolutezza e dell’empietà, che fanno egualmente il vituperio di chi gli legge, e di chi gli scrive: parlo soltanto dei due più celebri, che abbia l’Europa moderna, cioè la Clarice, e la Novella Eloisa.
Chi non sente a un tempo stesso elevarsi e commuoversi a ciò che dice Orazio al cognato Albe vous a nommè, je ne vous connois plus? […] L’una è che da Augusto vien Cinna troppo avvilito con dirgli: “tu faresti pietà anche a chi invidia la tua fortuna, Si je t’abbandonnois à ton peu de merite; per la qual cosa non ebbe torto quel maresciallo de la Feuillade, che ciò udendo esclamò; oimè! tu mi guasti il soïons amis, Cinna, potendosi bene un uomo clemente indurre a perdonare una persona spreggevole, ma non già a divenire amico di chi manca di merito e di virtù. […] Conviene all’imparzialità di uno storico l’avvertire, che la ridevole stravaganza degli abiti teatrali eroici derisa meritamente dal celebre Martelli, e osservata da altri in Francia sino a quindici anni fa in circa, vuolsi (se non s’ingannò chi vide Parigi nel 1787, e e nel 1792, e mel riferì con asseveranza) che oggi sia interamente bandita da quelle scene. […] Non increscerà a chi legge, che per dare una idea de’ teatri francesi del tempo del Mairet, io accenni una parte di ciò che ne disse ne’ suoi Dialoghi il sig.
Ora chi direbbe che l’autore dell’Eumenidi avesse inventata una maschera per far ridere ? […] «Essendo Socrate mostrato sulla scena e nominato tratto tratto (della qual cosa non è da stupirsi perchè egli era ancora raffigurato nelle maschere degl’istrioni per essere stato spesse volte ritratto fin da’ Vasai) i forestieri andavano nel teatro domandando chi mai fosse quel Socrate.»
Ora chi direbbe che l’autore dell’Eumenidi avesse inventata una maschera per far ridere? […] Confermasi ancora questa verità istorica con un passo di Eliano, il quale nel ragionare della commedia delle Nuvole, in cui compariva il personaggio di Socrate, scrive così144: “Essendo Socrate mostrato sulla scena e nominato tratto tratto (della qual cosa non è da stupirsi perchè egli era ancora raffigurato nelle maschere degl’ istrioni, essendo stato spesse volte ritratto sin da’ vasaj) i forestieri andavano in teatro domandando chi mai fosse quel Socrate” ecc.
Or chi gli terrà dietro, fosse anche un Lope? […] Ma di un Esaminatore così iperbolico, e sospetto, anzi convinto di falsità nel numero, chi si può fidare circa il genere? […] Ma di questo chi mai l’accusa? […] Questo veramente è troppo pretendere da chi riferisce l’altrui Critica, da chi ha confessato di non aver potuto leggere le Tragedie del Cueva. […] Io adotto la imparzialità di chi non indora i difetti de’ morti per ingannare i vivi: ma voglio poi un libero esercizio della mia facoltà di pensare, e una scelta non precaria, non dipendente, circa le opinioni letterarie da ammettere o rifiutare.
In tutto ciò chi non ravvisa il procedere e l’esprimersi di un don Giovanni Tenorio, o di un Uffizialetto a quartiere d’inverno, che passa da questa a quella bellezza, come l’ape va di fiore in fiore? […] Mustafà dice: Fugga chi ha il cuor nocente, a me conviene Sostener di fortuna il duro incontro. […] Non quella di Euripide che da prima teme la morte, e poi l’affronta coraggiosa; ma bensì una Ifigenia sempre grande e costante nell’amore del pubblico bene, che si fa ammirare in tutte le vicende della sua sorte: vanto che sinora si è dato solo al celebre Racine da chi non seppe che l’aveva prima meritato il Dottori. […] Quest’energia questo tragico trasporto tratto destramente dal fondo del cuore umano, desta l’utile terrore della tragedia, e non poteva esser negletto da chi cerca le bellezze tragiche ne’ componimenti de’ trapassati. […] Egli seppe rendere teatrale e interessante la violenta morte su di un palco data al legittimo padrone del reame di Napoli e di Sicilia, con fare, che l’Angioino Carlo I tra Federigo duca di Austria, e Corradino duca di Svevia e re di Napoli suoi prigionieri, ignorasse, Chi Corradino siasi, e chi il Cugino, È ben rancida la gara generosa di due amici di morir l’un per l’altro, e il cambiamento del nome per ingannare le ricerche del tiranno.
Tornata in Lombardia, dopo di avere recitato vari anni con poca fortuna, avanzando ella in età, e in lei scemando il valore, non trovò più chi la scritturasse, e dovè ritirarsi al Finale di Modena, ove morì poverissima nel’60 circa.
Capocomico Andolfati a render conto da chi abbia avuto le teatrali produzioni, delle quali fa cenno il pregiato di lei foglio, 7 corrente, N.° 375 ; depose di avere acquistata l’opera « Il piano di fortificazione, » da certo Sig.
Chi erano i Gandini a cui accennano i dizionari e almanacchi teatrali di Parigi ?
Chi volesse dare un giudizio su Angelo Zoppetti con poche parole, forse non s’ingannerebbe, qualificandolo : « un gran brillante senza saperlo ».
E chi potrebbe Travalicar si paludoso campo? […] Io ti educai più pronta, Gelosa più di chi suggesti il latte; Non che germana, io ti fui balia e madre.
Tutte le doti sono stimabili, purchè chi le possiede sappia farle valere. […] Bartoli dice che egli « sapeva giocar di scherma, ed insegnavala a chi voleva da lui impararla.
ta Comp.ª, sopra della scena, che si auerebbe da esser fratelli, sono come nemici chi da un ochiata torta, chi ride dietro al altro, e tra l’altre ogn’un dice, scriverò al Sig.
A chi volle alludere in quel passo al Duca : con tutta la mia povera famiglia ? […] il seguente sonetto che riferisco dal Bartoli : No, che non sa qual su gli umani affetti abbia possanza amor, chi te non vede co i vezzi a lato, e i teneri amoretti mover d’Alcide in sulle scene il piede.
Chi vuole ch’ei morisse povero in Stinfalo d’Arcadia; chi afferma ch’egli naufragò di ritorno dalla Grecia, e perirono con lui cento e otto commedie greche che avea tradotte. […] Risvegliano il fremito dell’umanità e giustificano il gusto di chi ne ammira la dipintura, detestando la realità. […] Torna innocente Chi detesta l’error. […] Ma da chi fuggi? […] A chi vive in lieta forte E’ sollecito il morir.
L’impareggiabil coro, O bella età dell’oro, per eleganza e per armonia maraviglioso meriterebbe che si trascrivesse interamente; ma chi l’ignora? […] Or chi potrebbe dir, come in quel punto Rimanessero entrambi? fatto certo Ciascun dell’altrui vita, e fatto certo Aminta de l’amor de la sua ninfa, E vistosi con lei congiunto e stretto; Chi è servo d’amor, per se lo stimi. […] Ma chi riconoscerà un’ opera musicale in un componimento senza cori, in cui oltre ad una canzonetta, si cantarono cinque madrigaletti per trattenimento negl’intervalli degli atti? […] Sotto nome di Flori egli pretese introdurre la signora Campiglia, come egli stesso a lei scrive, e sotto quello di Celia la signora Barbara Torelli, facendole fare insieme una scena in lode delle donne virtuose, ed in biasimo di chi non le ossequia.
L’impareggiabil coro O bella età dell’oro per eleganza e per armonia maraviglioso, meriterebbe di esser trascritto interamente; ma chi l’ignora? […] Or chi potrebbe dir, come in quel punto Rimanessero entrambi? fatto certo Ciascun de l’altrui vita, e fatto certo Aminta de l’amor de la sua ninfa, E vistosi con lei congiunto e stretto; Chi è servo d’amor, per se lo stimi; Ma non si può stimar, non che ridire. […] Ma chi riconoscerebbe un’ opera musicale in un componimento senza cori, in cui oltre ad una canzonetta, si cantarono cinque madrigaletti per trattenimento negl’ intervalli degli atti? […] Sotto nome di Flori egli pretese introdurvi la signora Campiglia, come egli stesso a lei scrive, e sotto quello di Celia la signora Barbara Torelli, facendole fare insieme una scena in lode delle donne virtuose e in biasimo di chi non le riverisce.
.°, et seràno di gusto, per quello che può essere in questo tempo, et forsi chi sa ?
Del resto poi il più attento, il più zelante comico della Compagnia ; sempre il primo al teatro, sempre il primo alle prove ; vestendosi colla maggior verità, secondo i caratteri, che dovea sostenere, e tanto internandosi in quelli, che quando aveva intorno l’abito di Giustiniano, non degnava rispondere a chi gli parlava.
Lui stesso confessa che li sbiri l’assalirono per pigliarlo in Piazza, e che nel correre in detta speciaria, vedendosi seguire da essi sbiri pose mano alla spada contro di loro, ne voleva che lo pigliassero, e che voleva sapere prima d’ordine di chi lo volevano pigliare, sì che poi loro li dissero essere per ordine di Vostra Altezza Serenissima, onde si rese a detti Esecutori, che condussero prigione, che sono le formali della di lui confessione.
Con coloro, chi grida più ha più merito, e dove trovare tra i comici una voce da stali e premi più sonora di quella ?
Chi può soffrire Melibea che in procinto di precipitarsi si trattiene a ridursi alla memoria varii evenimenti istorici di Tolomeo, Oreste, Clitennestra, Nerone, Agrippina, Erode, Fraate, Laodice, Medea? Chi il di lei Padre che, a vista della tragica morte della figliuola, apostrofa ed insulta ad amore, perchè si chiami dio, perchè si dipinga nudo, armato, cieco e fanciullo? […] E chi di que’ chiari individui che la componevano potè smentirlo? […] V’è almeno chi ne ha detto di più? […] Ma fingasi pure che Cervantes avesse effettivamente composto quell’ auto, ciò in grazia gioverebbe a chi volesse rintracciare l’epoca fissa dell’origine di tali auti?
A chi di vita ormai Non riman che un momento, Il simular che’ giova il suo tormento? […] Ma l’atto III è quasi tutto fantastico e miracoloso; e gli osservatori di buona fede confesseranno, che il dialogo dell’Odio con Armida è per lo spettatore ciò che è un sogno per chi è sveglio. […] Tutto ciò nulla ha di mitologico, ed è quello appunto che commuove ed interessa, e che il Marmontel e chi l’ha seguito in encomiar Quinault, non hanno saputo osservare.
Chi ne bandisce il vero per aprir campo vasto al capriccio e alla sregolata fantasia, ama i sogni, e non comprende la bellezza dell’ imitazione delle dipinture naturali. Chi poi freddo ragionatore e insipido sofista tutto riduce rigorosamente al vero per ostentar filosofia, distrugge tutte le arti dell’immaginazione. […] Chi sente puerilità, crederà subito, ch’egli parli del concetto stesso; ma no; la chiama puerilità, perchè (grande argomento!
Il funesto arcano A te sola confido: ho finto assai: A chi di vita ormai Non riman che un momento, Il simular che giova il suo tormento? […] Tutto ciò chiama l’attenzione; ma l’atto III è quasi tutto fantastico e miracoloso, e gli osservatori di buona fede confesseranno che il dialogo dell’Odio con Armida è per lo spettatore ciò che è un sogno per chi è sveglio. […] Tutto ciò nulla ha di mitologico, ed è quello appunto che commuove ed interessa, e che il Marmontel e chi l’ha seguito in encomiar Quinault, non par che abbiano saputo osservare.
sai chi sono? […] L’uditorio si scompiglia; chi grida da’ palchi, chi dalla cazuela, chi dalla grada; il Grazioso marito della Baltassarra ed Eredia capo della compagnia vengono fuori confusi e disperati per le loro perdite, e termina l’atto. […] Ma chi lo salva dalla morte? […] Chi riconosce più in tal conflitto e strano inseguimento l’Ottaviano del resto della favola? […] Giugne chi se ne ingelosisce e lo disfida; egli accetta, ma vuol battersi senza levarsi da sedere.
sai chi sono? […] L’uditorio si scompiglia, chi grida da’ palchi, chi dalla cassuela, chi dalla grada, il Grazioso marito della Baltassarra ed Eredia capo della compagnia vengono fuori confusi e disperati per le loro perdite, e termina l’atto. […] Ma chi lò salva dalla morte? […] Chi riconosce più in tal conflitto e strano inseguimento l’Ottaviano del resto della favola? […] Giugne chi se ne ingelosisce e lo disfida; ed egli accetta, ma vuol battersi senza levarsi da sedere.
Qual pro da un cangiamento che mena il poeta a lottare colle opinioni radicate negli animi di chi ascolta, e per conseguenza a rendere poco interessante perchè non credibile la loro generosità verso del padre? […] Un disertore Francese poi, che piove dal cielo nell’atto V, scopre la congiura; ed a chi s’indirizza? […] Come principe e come politico chi può rimproverargli l’amore del suo paese? […] E chi più del Belloy ingegnoso in immaginar vendette atroci? […] E chi ha imbrattate le moderne scene francesi di maggiori atrocità?
Egli tradusse poi in atto le speranze che di lui si eran concepite ; ma se Bellotti non accettava il lavoro, se Milano non era all’altezza dell’autore, chi sa se l’umile maestro avrebbe potuto diventare il pittore di quell’epoca, a cui poteva egli solo dar vita sulla scena.
Veri affetti d’amor palesè ben a chi ve varda in viso, perchè portè in tei occhi el Paradiso.
E sapete chi faceva parte della rinomata Compagnia Lombarda di Giacinto Battaglia nell’anno 1846 ?
Anche vi ebbe chi non riconobbe la grandezza dell’arte in lui, come quegli che non lasciò alcuna di quelle creazioni che eternan la rinomanza di un artista.
za a chi comandera e presentera la presente riceuta.
In tutto ciò chi non ravvisa il procedere e l’esprimersi di un Don Giovanni Tenorio, o di un Uffizialetto a quartiere d’inverno, che passa da questa a quella bellezza, come l’ape va di fiore in fiore? […] Mustafà dice: Fugga chi ha il cuor nocente, a me conviene Sostener di fortuna il duro incontro . . . […] Non quella di Euripide che da prima teme la morte, e poi l’affronta coraggiosa; ma bensì una Ifigenia sempre grande e costante nell’amore del pubblico bene, che si fa ammirare in tutte le vicende della sua sorte; vanto che sinora si è dato solo al celebre Racine da chi non seppe che l’avea prima meritato il Dottori. […] Quest’energia, questo tragico trasporto tratto destramente dal fondo del cuore umano desta l’utile terrore della tragedia, e non dovea esser negletto da chi cerca le bellezze tragiche ne’ componimenti de’ trapassati. […] Egli seppe rendere teatrale e interessante la violenta morte su di un palco data al legittimo padrone del reame di Napoli e di Sicilia, con fare che l’Angioino Carlo I tra Federigo duca di Austria e Corradino duca di Suevia e re di Napoli suoi prigionieri ignorasse, Chi Corradino siasi e chi’ l Cugino.
Il palazzo del Sole, la reggia di Plutone, divinità, fate, silfi, incantatori, apparenze, miracoli, trasformazioni, edifizj alzati e distrutti in un istante, anelli che rendono invisibili le persone che pur si vedono, pugnali vibrati nel seno altrui che ammazzano chi li vibra, uomini miracolosi dalla barba turchina, ed altre simili stranezze, sono i tesori del teatro lirico della Francia. […] Al contrario chi avesse l’umore di codesto Francese, ben potrebbe con maggior fondamento dubitare che simile disgrazia avvenisse in Francia per lo stile serio e grave che può accreditare appo gl’ incauti le loro rappresentazioni liriche ripiene delle stesse mostruosità che alimentano l’ ignoranza e gli errori popolari.
., et che mi fusse concesso mi sarebbe oltre modo caro, non soggiungo altro perchè scrivo a chi molto intende. […] Chi fosse il Dottore citato dall’Allori, che con iscusa pare di malattia non voleva recitare in una fatica particolare, non so dire.
Nel’46 risolse di far rivivere il teatro, più specialmente dialettale, di Goldoni, scegliendo a ciò attori provetti, e le commedie allestendo con minuziosità di particolari, e decenza e fedeltà di arredi, e interpretazione accurata, e recitazione viva e spontanea : e tanto vi riuscì, che la sua Compagnia si acquistò allora fama di Compagnia modello ; e le rappresentazioni della Casa Nova, delle Morbinose, delle Donne Gelose, del Campiello, del Maldicente, del Bugiardo, della Puta onorata, della Bona Mugier, del Ventaglio, del Sior Todero Brontolon, delle Done de Casa Soa, delle Baruffe Chiozzote, del Molière, dei Quattro Rusteghi, non ebbero più chi le superasse nè chi le uguagliasse.
Chi avrebbe mai allora indovinato che in queste nuove lingue doveva col tempo rifiorire la più sfoggiata eloquenza Ateniese e Romana? […] E chi volesse andar più oltre troverebbe in tali esercizii ed in simili amiche i semi di tutte le Nici, Clori, Lidie, Iri immaginarie e Dulcinee del Toboso e di ogni paese Europeo. […] Per supplire al difetto di lettura dell’apologista, e di chi sacò per lui la cara, e il nominò, per far noto che era il Lampillas sotto la di lui protezione, ne accennerò almeno i titoli. […] Lampillas, e chi gli ha accordato il suo autorevol patrocinio, che questo bel bacio era una legge non de’ Longobardi, ma de’ Borgognoni, e leggesi ne le addizioni ad Ll. […] Per chi si contenta di averne qualche leggiera notizia, accenniamo soltanto, che tal festa stimossi una imitazione de’ Saturnali de’ Gentili.
Chi in tanta luce mostrerebbe nell’atto I un eroe giovane in Bisnagar, e nel III canuto nel Senegal? […] Alcune traduzioni di qualche commedia del Goldoni, come della Sposa Persiana e del Bourru Bienfaisant son piaciute moltissimo al popolo, e dovea esserne lodato (fuorché in alcune alterazioni fatte senza gusto agli originali) qualunque egli siasi chi ha impreso a mostrare sulle scene spagnuole queste commedie; ma sul medesimo teatro sono state motteggiate da soliti piccioli compositori di saynetes, e ricevute con freddezza da alcuni pochi, che invecchiati in un certo lor sistema di letteratura, sdegnano di approvar dopo il popolo ciò che lor giugne nuovo, Vel quia nil rectum, nisi quod placuit sibi, ducunt, Vel quia turpe putant parere minoribus, et quae Imberbes didicere, senes perdenda fateri. […] Oggi in Francia si produce ancora alcun componimento applaudito in teatro e letto senza noia; e benché non vi sia chi possa degnamente compararsi con veruno de’ quattro gran tragici di questo e del passato secolo, pure oltre alle poche di sopra già mentovate tragedie, merita distinta lode la Didone del signor le Franc marchese di Pompignan265.
E chi poteva amare e coltivare una poesia che menava alla morte e all’infamia del supplizio per l’apparenza di un delittoa? […] L’opinione di chi lo fissa all’imperio di Teodosio è la più comune; ed il lodato Pietro Daniele l’avea abbracciata come semplice congettura, nè disconvennero il Taubman e qualche altro. […] E quì vuolsi avvertire da chi legga o censuri con oscitanza, che perduta libertà, non vuol significare perduto il Governo repubblicano (come pensa no i Censori non fatti per esser tali); ma nel dire perduta la libertà, quella libertà s’intende che si gode sotto gli ottimi Regnanti, e si godeva sotto Augusto, Tito e Trajano Imperadori, e che produsse Orazii, Maroni e Stazii.
Chi ne bandisce il vero per aprir campo vasto al capriccio, e alla sregolata fantasia, ama i sogni, e non comprende la bellezza dell’imitazione delle dipinture naturali. Chi poi freddo ragionatore, e insipido sofista tutto riduce rigorosamente al vero per ostentar filosofia, distrugge tutte le arti dell’immaginazione. […] Chi sente puerilità, crederà subito ch’egli parli del concetto stesso; ma no; la chiama puerilità, perchè (grande argomento!
E per non essere un Capitan degenerato, appena trova chi voglia tenergli fronte, si ritrae spaventato, ma senza abbandonar l’innata arroganza.
Chi pingendo natura, al paragone starà di te, cui l’orrido subbietto sul brando micidial tragge boccone, tal che piaga non fìnta apri nel petto ?
Se dell’ '82 ell’era già la celebre Diana, del 1605, epoca in cui la troviamo al servizio del Principe della Mirandola, come dalle seguenti lettere, ella doveva correr verso la cinquantina : e assai probabilmente, avendo perduto il fascino della giovinezza, e il vigore dell’artista, non trovò più chi la volesse nel ruolo assoluto di prima donna, e fu costretta a farsi ella stessa conduttrice di compagnie.
Ora a chi dovranno prestar fede i lettori a Tartini o all’estrattista? […] Due proposizioni hanno dei rapporti alquanto lontani, ma conciliabili fra loro, non si scorge da chi legge il filo che le avvicina o per pochezza d’ingegno, o per precipitazione di giudizio, e tosto grida “contraddizione”. […] «De’ quali pregi (seguita il nostro Margita musicale) se gli stranieri giusti ed imparziali non fossero persuasi, non verrebbero sì spesso in Italia, chi per vederla e goderla, chi per istruirsi.» […] Per esempio, nella prima scena dell’Atto IV. dell’Ecuba d’Euripide tradotta dal Signor Mattei con molto brio e molta disinvoltura, trova egli un duetto in due versi greci d’Euripide tradotti da lui in questa guisa: Ecuba ed uno del coro } a 2: «Ahi chi udì, chi vide mai Chi provò di quel ch’io sento Un affanno, ed un tormento Più terribile e crudel? […] Ho cercato di provarlo adducendo delle ragioni, e indicando delle viste filosofiche su tal proposito, che mi lusingo non saranno riputate triviali da chi è qualche cosa di più che cattivo compilatore di estratti.
Come principe e come politico chi può rimproverargli l’amore del proprio paese? […] E chi più del Belloy ingegnoso in immaginar vendette atroci? […] E chi ha imbrattate le moderne scene francesi di maggiori atrocità? […] Chi dunque (Montcassin) cagiona i nostri mali? […] E chi è colui che hai tu scelto (dice Contarini)?
Chi può dubitarne? […] Dopo ciò e simili altri esempi chi fonderà il giudizio delle opere teatrali sugli applausi popolari e sulla lor durata ne’ pubblici teatri? […] Il palazzo del Sole, la regia di Plutone, divinità, furie, silfi, fate, incantatori, trasformazioni, apparenze, edifici alzati e distrutti in un instante, anelli che rendono invisibili le persone, che pur si veggono dallo spettatore, pugnali che vibrati nel seno altrui, danno la morte a chi li vibra, uomini prodigiosi dalla barba turchina ec. sono le ricchezze del teatro lirico francese. […] Chi poi gli ha detto che le donne in Grecia e in Italia erano talmente allontanate dalla società che non se ne potevano ricavar caratteri per la scena? […] A chi é ciò ignoto?
Pietro Marivaux nato in Parigi nel 1688 e morto nel 1765 autore di romanzi e di commedie pare che riuscisse meno de’ contemporanei, benchè fuvvi in Alemagna chi tradusse le sue opere50. […] Anche il commediante la Noue autore del Maometto II riuscì in tal carattere nella sua Cochetta corretta, in cui si trova questo giudizioso avviso a chi crede aver motivo di lagnarsi della leggerezza donnesca, Le bruit est pour le fat, la plainte pour le sot, L’honnête-homme trompé s’èloigne & ne dit mot. […] Valerio risponde: E chi può dubitarne? […] Senza tale affettazione, parlando essi secondo che esige la natura del dialogo stesso, le parole profferite con vivacità conveniente giungeranno meno sonore dal fondo della scena, e più spiccate a misura che si avvicini l’attore; l’arte che non sappia combinare il comodo di chi ascolta colla verità dell’espressione, è la madrigna della natura. […] Dorat scrive ancora: “Io avrei coperti di ridicolo i nostri attori ossessi, i quali caricano tutto, e non sanno parlare se non per convulsioni, e fanno patir chi gli ascolta per gli strani loro sforzi di voce e pel dilaceramento del loro petto”.
Chi non sa che nel XV secolo foriero dell’aureo seguente divenne l’Italia l’emporio del sapere, chi nella propria casa non vide spuntare altrettanta luce, stenterà a crederea che dentro delle Alpi gli studii teatrali nelle mani di molti cospicui letterati fossero divenuti comuni e maneggiati con arte maggiore. […] Ma io che penso di avere una coscienza un pò più delicata de’ gazzettieri di queste contrade, le dico che si astenga di trarre il capo fuori del suo telonio e di frammischiarsi in ciò che ignora, e stia ad ascoltare chi sa più in là delle gazzette. […] E chi allora metterebbe più in confronto una ventunesima parte di una novella in dialogo come la Celestina (che ebbe nel secolo vegnente per altra mano il componimento e mai non si rappresentò nè per rappresentare si scrisse) a tanti per propria natura veri drammi Italiani rappresentati con plauso e per tali riconosciuti, cioè alla Catinia, al Cefalo, al Gaudio d’amore, alla Panfila, ai Menecmi, all’Anfitrione, alla Casina, alla Mostellaria, all’Amicizia, al Timone?
Essi investigheranno ancora chi sia quel poetilla ridiculo autor de comedias goticas, todas aplauditas en el teatro, todas detestables à no poder mas, y todas impresas por suscripcion, con dedicatoria y prologo 31. […] Ciò si disapprovò da i più, tra perchè si tolse a chi entrava la prima vaga e dilettevole occhiata di tutta la gran sala illuminata e abbellita dalle maschere, tra perchè il luogo ne divenne assai freddo, umido e nocevole alle maschere vestite di leggiera seta. […] Qualche sconcerto nato tralle due fazioni, e l’ animosità che ne risultava, determinò la prudenza di chi governava a troncare questa scenica rivalità, formando delle due compagnie un solo corpo, una sola cassa e un solo interesse. […] Chi crederebbe che ciò si producesse a provare che tali partiti non apportarono contese e sconcerti?
Pietro Calderone, tradotta nell’idioma d’Italia, intitolata : Con chi vengo, vengo, e fu impressa per Alfonso e Gio.
Sprezzatore dell’altrui merito, non fa mai conto de'Personaggi, che recano decoro e vantaggio alla sua Compagnia, crede di bastar egli solo al sostentamento della medesima, lascia andar chi vuole andare, mai non prega nessuno, è villano ed insolente con tutti.
Chi a tant’Armi, a tant’Arti oppor si pote ?
Tutte le altre città chi più presto chi più tardi s’affrettarono anch’esse ad accoglierlo. […] [NdA] Chi fosse vago di sapere la serie di drammi italiani posti in musica da questo gran maestro la troverà nel libro intitolato: A catalogue of musick containing all the vocal and Instrumental musick.
Siccome non si schiva il frequentare la Casa dell’Orazione per l’abuso fattone talvolta da chi vi amoreggia con cenni, sorrisi, e parolette; nè si bandisce il ferro, perchè con esso si versa il sangue umano; nè dobbiamo fisicamente cavarci gli occhi, perchè per essi può entrar la morte: così pensava il Signorelli non doversi trascurare lo studio di un eccellente modello dell’arte, quando anche alcuna cosa vi si dicesse con qualche libertà. […] Or chi non crederebbe che l’Apologista parlasse secondo che pensa, a quella gravità e serietà con cui afferma simil cosa? […] Chi ci assicura ancora, che le di lui lodi non rassomigliassero a quelle date da Cervantes alle Tragedie difettose dell’Argensola?
Mentre tali cose avvenivano nel pubblico teatro, non mancò chi s’ingegnasse di far qualche traduzione e qualche commedia che non si trova mentovata da Cervantes, probabilmente, perché non si rappresentò, né influì agli avanzamenti dell’arte. […] Di grazia, chi scrivea serafine, e tinellarie, e soldatesche, cosa potea insegnare all’Italia che facea risorger l’eloquenza ed erudizione ateniese, e producea Sofonisbe ed Oresti 171? […] Subito viene la curiosità di domandar dove sono, o chi l’afferma?
Ma Laberio che non cedeva all’Arpinate nel motteggiare, rispose che non si meravigliava che stimasse di stare a disagio in un solo sedile chi era solito di occuparne due in un tempo, satireggiando in tal guisa la doppiezza ed incostanza dell’Oratore. […] Chi mai, se non costui, senza pruova veruna, confondendo fatti ed idee e passando di un salto leggero sulle terribili vicende dell’Europa, che, per così dire, la fusero e rimpastarono di nuovo, chi, dico, avrebbe francamente scritto che le fazioni per gli pantomimi perpetuaronsi perpetuaronsi per mille e dugento anni sino a produrre (che cosa mai?)
Ciò si disapprovò da i più, tra perchè si tolse a chi entrava la prima vaga e dilettevole occhiata di tutta la gran sala illuminata e abbellita dalle maschere, tra perchè il luogo ne divenne freddo, umido, e nocevole ai mascherati vestiti di seta leggera. […] Qualche sconcerto nato tralle due fazioni, e l’animosità che ne risultava, determinò chi governava a troncar colla prudenza questa scenica rivalità, formando delle due compagnie un sol corpo, una sola cassa, un interesse solo. […] Chi crederebbe che ciò si allegasse a provare che tali partiti non produssero contese e sconcerti?
Ma Laberio che non cedeva all’Arpinate nel motteggiare, rispose che non si maravigliava che stimasse di stare a disagio in un solo sedile chi era solito ad occuparne due in un tempo; satireggiando in tal guisa la doppiezza ed incostanza dell’oratore. […] Chi mai, se non costui, senza pruove, confondendo fatti ed idee, e passando di un salto leggiero sulle terribili vicende dell’Europa che per dir così la fusero e rimpastarono di nuovo, chi, dico, avrebbe francamente scritto che le fazioni per gli pantomimi perpetuaronsi per mille e dugento anni sino a produrre, che cosa?
L'ufficio dunque di chi concerta non è di leggere il soggetto solo ; ma di esplicare i personaggi coi nomi e qualità loro, l’argomento della favola, il luogo ove si recita, le case, decifrare i lazzi e tutte le minuzie necessarie, con aver cura delle cose che fanno di bisogno per la comedia. […] Rimediare alle scene vuote e mute si può altresì più all’improvviso, che al premeditato, potendo ciascuno uscire sopra il tenore della scena antecedente, e parlare fin a tanto che venga a chi toccherà d’uscire. […] r mio, son povero sì, ma son generoso, et confesso il vero, son persona dolce, ne so far male a chi mi riverisce.
Presto dunque bisogna che lasciasse di fiorire chi prolongò la vita sino al 1596., sopravvanzandogli ben cinquautasei anni infruttuosi per le Lettere. […] Or chi avrebbe pensato che il Lampillas, il quale volle escludere dal numero delle pastorali il Cefalo, e l’ Orfeo, non che i due Pellegrini degl’Italiani, ad onta poi di Garcilasso, e tutta la Nazione Spagnuola, avesse motu proprio a stimare, e nominar Dramma (nel rigore di tal voce) un’ Ecloga?
Ma chi si attacca alle falde della mia veste e mi trattiene?» […] Convien confessare che questo innocente, semplice, patetico congedo, desti in chi legge una tenera commozione; e pur d’altro non si tratta che di prender commiato da un cavriuolo.
Chi truce il ferro in sen materno caccia Vendicatore de l’inulto Atride ? […] Chi fra i rimorsi in trono egro s’asside Torvo il guardo, irto il crin, pallido in faccia ?
Non v’ha chi ignori a quali inconvenienti soggiaccia l’impressione de’ Libri, dopo ciò che si esperimenta alla giornata, e che ne avvertirono Giovanni Clerico nell’Arte Critica, Antonio Genovesi nella Logico-Critica, e il chiar.
E chi era il Padre Francesco ?
E vi fu chi l’accusò, tanto per fare, di non saper mettere in iscena che opere proprie.
Si riputava dotto fra essi chi sapeva leggere, e molti ignoravano persin la maniera di scriver il proprio nome. […] E ciò che dovrebbe recare stupore (se pur v’ha qualche cosa che debba recarlo a chi conosce la natura dell’uomo, e la debolezza inconcepibile delle sue facoltà) si è che cotali stravaganti follie sembravano agli occhi di quella gente tanto conformi allo spirito del cristianesimo che chiunque osava vituperarle, era tenuto eretico e degno di scomunica. […] Così vorrebbesi far credere a chi non ha letto il mio libro, ch’io porto la stravaganza a segno di condannar l’uso della filosofia nelle produzioni letterarie, nonostante che le Rivoluzioni del teatro musicale formino una serie di pruove convincentissime del mio pensare incontrario. […] Lascio giudicare a chi è qualche cosa di più ch’erudito se questo mio sentimento debba chiamarsi una profanazione del sacro nome della filosofia, e non piuttosto una proposizione verissima appoggiata sulla cognizione dell’uomo, sulla lettura riflessa della storia, e sulla quotidiana esperienza. […] [NdA] Chi amasse d’informarsi più minutamente intorno a festa cotanto singolare, vegga il libro intitolato Mémoires de du Tillot pour servir à l’histoire de la fête des fous stampato in Losanna.
Ma di ciò, come ancora delle cagioni morali, che contribuiscono ad alterar i linguaggi, si farà di proposito più ampiamente discorso in un saggio filosofico sull’origine della espressione poetica, e musicale, che da chi scrive si conserva inedito. […] Chi non sente subito il musicale nell’artifiziaìe combinazione de’ suoni, che compongono la seguente ottava? […] Ogni lingua dunque, la quale sarà doviziosa di accenti, sarà ricca parimenti d’espressione, e di melodia, come all’opposto, chi ne scarseggia avrà una melodia languida, fredda, e monotona. […] chi vi ravvisa più il pennello dell’immortal ferrarese? […] Chi così parla intendeva egli la lingua italiana né la spagnuola?
Chi può soffrire Melibea, che in procinto di precipitarsi si trattiene a ripetere varii evenimenti istorici di Tolomeo, Oreste, Clitennestra, Nerone, Agrippina, Erode, Fraate, Laodice, Medea? Chi il di lei padre che a vista della tragica morte della figliuola apostrofa ed insulta amore, perchè venga chiamato nume, perchè si dipinga nudo, armato, cieco, fanciullo? […] Mentre tali cose accadevano nel pubblico teatro, non mancò chi s’ingegnasse di tradurre e di comporre alcuna commedia non mentovata da Cervantes, forse perchè non si rappresentò nè influì ai progressi dell’arte. […] E chi di que’ chiari individui che la componevano potè smentirlo? […] Bello è il patriotismo che ci lega alla propria nazione; lodevole lo zelo di difendere i compatriotti, ma esso è colpevole cieco mal collocato a favore di chi inorpella la verità.
Il palazzo del Sole, la Reggia di Plutone, divinità, fate, silfi, incantatori, apparenze, miracoli, trasformazioni, edifizi alzati e distrutti in un istante, anelli che rendono invisibili le persone che pur si vedono, pugnali vibrati nel seno altrui che ammazzano chi li vibra, uomini miracolosi dalla barba turchina, ed altre simili stranezze, sono i tesori del teatro lirico della Francia. […] Al contrario chi fosse dell’umore di codesto Francese, ben potrebbe con maggior fondamento dubitare che simile disgrazia avvenisse in Francia per lo stile serio e grave che può accreditare appo gli incauti le loro rappresentazioni liriche ripiene delle stesse mostruosità che, a suo giudizio, alimentano l’ignoranza e gli errori popolari. […] Non incresce tanto in tal componimento un buon numero d’incoerenze, ed il piano mal congegnato, quanto il pessimo esempio che ne risulta per chi v’assiste, per cui meriterebbe d’escludersi dalle scene mal grado della riuscita che ebbe sul teatro dell’Opera comica della strada Favart. […] Chi approverà un esempio siffatto sulla scena?
Ma chi era codesto Cintio, pel quale la Signora Cecchini faceva addirittura frenesìe ? […] tà dell’Imperatore, grazie come tutto giorno fanno in figliuolette che prive di protezione non hanno chi chieda e supplichi per loro. […] Da Galeotto a Marinaro, non c’è che dire : facevano a chi poteva dirsene di più grosse ; e francamente non saprei affermare chi avesse il disopra nella tenzone.
Blandire in ogni modo le orecchie, allettarle, sorprenderle, è il primo pensiere degli odierni compositori, non muovere il cuore o scaldar l’immaginativa di chi ascolta. […] Con che si persuade, oltre all’aver dato alle parole quel sentimento che si conviene, di aver anche condito la composizione sua di varietà; ma noi diremo piuttosto che egli l’ha guasta con una dissonanza di espressione da non potersi in niun modo comportare da chi ha fior di ragione; chè già non si ha da esprimere il senso delle particolari parole, ma il senso che contiene il tutto insieme di esse, e la varietà ha da nascere dalle modificazioni diverse del medesimo soggetto, non da cose che al soggetto si appiccino e sieno ad esso straniere o repugnanti. […] Chi fu più acceso dall’estro e più regolato insieme di lui?
Più profondo insieme e più maligno nelle sue mire egli lo prenderà come un diversivo offerto talvolta al popolo spensierato per nasconder agli occhi suoi l’aspetto di quelle catene che la politica va lavorando in silenzio, per infiorare gli orli del precipizio, dove lentamente lo guida il despotismo, e per mantenerlo più agevolmente in quella picciolezza e dissipazione di spirito, che tanto comoda riesce a chi vuol soggiogare. […] Quanto a me animato perfettamente da spirito repubblicano in punto di lettere ho sempre stimato, che la verità e la libertà debbano essere l’unica insegna di chi non vuol avvilire il rispettabile nome d’autore: ho creduto, che l’accondiscender ai pregiudizi divenga egualmente nuocevole agli avanzamenti del gusto di quella che lo sia ai’ progressi della morale il patteggiare coi vizi: ho pensato, che la verace stima verso una nazione non meno che verso le persone private non si manifesti con cerimoniosi e mentiti riguardi, figli per lo più dell’interesse, o della paura, ma col renderle senza invidia la giustizia che merita, e col dirle senza timore le verità di cui abbisognai ho giudicato, che siccome l’amico, che riprende, palesa più sincera affezione che non il cortigiano che adula, così più vantaggiosa opinione dimostra ad altrui chi capace il crede d’ascoltar ragione in causa propria che non faccia quell’altro, il quale tanto acciecato il suppone dall’amor proprio che non possa sostener a viso fermo l’aspetto della verità conosciuta: mi sono finalmente avvisato, che se il rispetto per un particolare mi sollecitava a usare di qualche parzialità, il rispetto vieppiù grande che deggio avere per il pubblico , mi vietava il farlo, facendomi vedere cotal parzialità biasimevole, e ingiusta.
L’intreccio veramente manca di vivacità, e i colori assai delicati non possono recar pieno diletto a chi è avvezzo alle tinte risentite che diconsi zingaresche. […] E chi gli negherà il talento filosofico ove ponga mente a quella sagacità, che lo mena ad entrar da maestro nel mecanismo delle umane passioni? […] Mentre egli fioriva altri scrissero ancora farse e commedie; ma noi non ci arresteremo su quelle di Poysson, Montfleury, Boursault, Hauteroche, Champmelè, Vizè, Baron ed altri commedianti, i quali o ne composero in effetto o prestarono il nome a chi non volle comparire.
Chi non vi ravvisa una copia esatta di ciò che per introduzione ai loro pas-de-deux i ballerini Europei hanno a sazietà rappresentato sulle nostre scene?
Il giovialone colla certezza della netta sua coscienza ; il serbino colla noncuranza e sufficienza del suo carattere a chi ebbe l’audacia di accusarlo.
Ma chi soltanto prese diletto di te, come artista teatrale, non conobbe che la minor parte della mente e dell’animo tuo.
ii) pubblicò un articolo Chi era Pedrolino ?
Degne di certo interesse a chi fosse dotato di molta pazienza, sono alcune poesie nelle quali egli dà la spiegazione dell’oroscopo.
Alle porte della città, il povero ramingo dovette fermarsi, chè non era permesso l’entrata a chi veniva dalla Savoja, senza un chiaro esame sul suo nome, sul suo stato, sui suoi disegni.
E chi poteva amare e coltivare una poesia che menava alla morte e all’infamia del supplizio senza delitto178? […] Fu Eschilo che oscurando Epigene, Tespi e Frinico, divenne il padre della tragedia, ed insegnò il sentiero a chi dovea su di lui stesso sollevarsi. […] La poesia d’Aristofane da non paragonarsi punto con chi trattò un’ altra specie di commedia199, e degna degli applausi d’ una libera fiorente democrazia, appunto perchè osò intrepidamente inoltrarsi nel politico gabinetto e convertir la scena comica in un consiglio di stato, nulla ha di rassomigliante nè alla nuova de’ Latini nè alla moderna commedia. […] E chi poteva dopo di lui calzar degnamente il greco borzacchino?
Or chi non vede quanto sia necessario che la fantasia del pittore sia regolata dall’erudizione e da un molto discreto giudizio? […] Ed anche chi non fosse di gran fantasia fornito farebbe gran senno a ricopiare così a puntino que’ loro paesaggi, imitando quel valentuomo il quale, piuttosto che far del suo delle cattive prediche, imparava a memoria e recitava quelle del Segneri.
Ciascuno (dice in Euripide nell’atto I il Pedagogo alla Nutrice) ama più se stesso che gli altri, e chi ciò fa per giustizia e chì per proprio comodo. […] Non insinuarmi (dice Elettra a Crisotemi) di non serbar la fede a chi la debbo.
Per le commedie non v’ha tra tanti e tanti commedianti chi uscisse dalla mediocrità, ove se n’accettui il solo Moliere, che colse le palme prime, ed il Dancourt assai debole attore, che pur dee contarsi tra’ buoni autori; là dove contansi fuori della classe de’ commedianti di mestiere tanti stimabili scrittori comici, come Des Touches, Regnard, Du-Freny, Saint-Foi, Piron, Gresset e cento altri Qual commediante nelle Spagne (senza eccettuarne Lope de Rueda, che fu il Livio, Andronico di quella penisola) si è talmente accreditato che contar si possa tra’ migliori scrittori al pari del Vega, del Calderòn, del Moreto, del Solis, del Roxas, di Leandro, de Moratin?
Tutti non pensano che chi parla all’ improvviso non dice sempre le stesse cose, e molti non badavano che il suo discorso era sempre il medesimo ; e gli credevano.
Cioè: «Nessuno può far progressi in amore se non a forza di menzogne, e chi sa meglio impiegarle ottiene prima d’ogni altro il suo piacere. […] Tra le altre bastine recar in mezzo la seguente, che mi è avvenuto di ritrovare, e che certamente non è stata da chi che sia pubblicata finora. […] Non però che alle genti sia nascoso: Ma per farne cruccioso, Chi d’amor per innanzi si nudrica. […] Fermiamoci noi non per tanto un poco più di quello, che non è stato fatto finora a maggior lume di questa materia, sperando che le nostre ricerche non siano per riuscire ingrate o inopportune a chi vorrà approfittarsene. […] Che da molte nazioni fosse conosciuto l’uso della rima non può negarsi se non da chi voglia negare che il sole è sull’orizzonte nel mezzo giorno.
L’intreccio veramente manca di vivacità, e i colori assai delicati non possono recarpieno diletto a chi è avvezzo alle tinte risentite che diconsi zingaresche. […] E chi gli negherà il talento filosofico ove ponga mente a quella sagacità che lo scorge ad entrar da maestro nel mecanismo delle umane passioni? […] Mentre egli fioriva altri scrissero ancora farse e commedie; ma noi non ci arresteremo su quelle di Poysson, Montfleury, Boursault, Hauteroche, Champmelè, Vizè, Baron ed altri commedianti, i quali o ne composero in effetto o prestarono il nome a chi le scrisse e non vole comparire.
Chi avrebbe mai allora indovinato che in queste nuove lingue dovea col tempo rifiorire la più sfoggiata eloquenza Ateniese e Romana? […] Per supplire al difetto di lettura dell’apologista e di chi sacò per lui la cara e ’l nominò, per far noto che era il Lampillas sotto la di lui protezione, ne accennerò almeno i titoli. […] Sappia il Lampillas e chi gli ha accordato il suo autorevol patrocinio, che questo bel bacio era una legge, non de’ Longobardi, ma de’ Borgognoni, e leggesi nelle Addizioni ad Ll. […] Per chi si contenta di averne qualche leggiera notizia, accenniamo soltanto, che tal festa stimossi un’ imitazione de’ Saturnali de’ gentili.
Se alcun veggiam che prodigo banchetti, Gozzovigli alla grande, interroghiamo Tosto chi sia, che ordisca, con quai fondi Ei si sostenti. […] Uomo alfin sei, Ne dell’uom v’ha chi più repente ascenda, O più repente giù piombar si vegga E strisciar per lo suolo.
Però non manca chi il dice monotono in alcuni suoi lazzi e movenze : pur v'è chi risponde esservi in lui la stessa monotonia che nella natura.
“Se dovesie adottarsi questa ragione, sarebbe compatibile chi avanzasse, che gl’Italiani non conobbero la Tragedia nel secolo XVI., poichè poche sono le ben regolate Tragedie Italiane in confronto delle tante migliaja di componimenti teatrali”.
All’emergere dalla seconda barbarie le moderne nazioni europee, prima d’aver chi potesse dettare uno squarcio di prosa competente, abbondarono di trovatori provenzali e di rimatori siciliani.
Chi non ricorda la Pezzana al glorioso tempo della Compagnia di Bellotti-Bon, della quale ella fu principale ornamento ?
Il signor D'Origny (non voglio discuter qui l’errore dell’affermazione sua sulla maggiore o minor riuscita di una scena d’amore recitata da due amanti), ha voluto alludere alla special condizione degli Scherli, i quali, non sappiam bene per colpa di chi, ma forse di entrambi, essendo l’uno tutto dedito agli studi e taciturno, e l’altra incline alle esaltazioni…. e ad altro, visser quasi sempre separati.
Ma chi voglia più e meglio addentrarsi in questo laberinto di notizie e di genealogie io rimando allo Jal, che al nome di Tabarin, mette il resultato delle sue lunghe ricerche, colle quali, per lo meno, ha potuto accertare chiamarsi il Tabarin di Parigi Giovanni Salomon, e non aver niun vincolo di parentela con quello di Venezia.
Chi non sa che nel XV secolo foriero dell’aureo seguente divenne l’Italia l’emporio del sapere: chi nella propria casa non vide spuntar altrettanta luce, stenterà a credere42 che dentro delle alpi gli studj teatrali nelle mani di molti cospicui letterati fossero divenuti comuni e maneggiati con maggior arte. […] E chi allora metterebbe più in confronto una ventunesima parte di una novella in dialogo, che ebbe nel secolo vegnente per altra mano il compimento e mai non si rappresentò, a tanti per propria natura veri drammi Italiani, rappresentati con plauso e per tali riconosciuti, cioè alla Catinia, al Cefalo, al Gaudio d’amore, alla Panfila, ai Menecmi, all’Anfitrione, alla Casina, alla Mostellaria, all’Amicizia, al Timone?
Che in arte vi sia chi impotente a far del suo, cammina servilmente sull’orme altrui, è indiscutibile : ma quegli non è più artista ; è semplicemente attore. […] D'altra parte, capisco, ecco subito riaffacciarsi quella benedetta faccenda della teatralità, che si vorrebbe, non so con quanto criterio, sbandire dal teatro, fatto tutto di convenzioni : chi dovrebbe giudicare della genialità o realità di quegli spasimi ?
Morì d’idrope pettorale a Firenze ; e sulla pietra che sigillava il suo sepolcro nel chiostro di Santa Croce, a destra e in prossimità della cappella Pazzi, toltane alcun tempo pei lavori di restauro, e ricollocata poi, ma sebben sempre a destra di chi entra, non più allo stesso luogo, fu incisa la seguente iscrizione che dettò Giovanni Battista Niccolini, il quale non l’ebbe in vita troppo nel suo libro : qui riposa antonio morrocchesi di san casciano nell’i. e r. fiorentina accademia di belle arti professore di declamazione fra i tragici attori del suo tempo per consentimento d’italia a nessuno secondo e luogo gli tenga di maggior elogio l’essere nell’arte sua piaciuto a vittorio alfieri maddalena morrocchesi al consorte desideratissimo non senza lacrime q. m. p.
mo di Cell, « ch'è un Principe così grande – dice il Sacco nella prefazione – così giusto, e così pio, e ci grazia non solo dell’alta sua protettione, ma ci comparte una mercede così copiosa, che può far la fortuna, anche a chi pretende distintione assai superiore a quella di Comico », è forse la più importante opera del Sacco, sì per la varietà imaginosa delle scene, sì per la comicità ond’è piena, e anche per lo stile men reboante del solito.
Spiritoso e giudizioso è l’avviso che in essa si dà a chi crede aver motivo di querelarsi della leggerezza donnesca: Le bruit est pour le fat, la plainte pour le sot, L’honnéte homme trompè s’èloigne et ne dit mot. […] Valerio risponde: E chi può dubitarne? […] Senza tale affettazione parlando essi secondo che esige la natura del dialogo stesso, le parole profferite con vivacità conveniente giungeranno meno sonore dal fondo della scena, e più spiccate a misura che l’attore si avvicini; l’arte che non sappia combinare il comodo di chi ascolta colla verità del dialogo, è la madrigna della natura. […] È un infelice attore colui che ignora l’arte di accomodarsi alla convenienza richiesta nel favellar con gli altri, alla decenza teatrale ed al comodo di chi ascolta. […] Il signor Clement nelle sue Osservazioni critiche sul poema della Declamazione teatrale di Dorat scrive ancora: «Io vorrei coperti di ridicolo i nostri attori ossessi, i quali caricano tutto, e non sanno parlare se non per convulsioni, e fanno patire chi gli ascolta per gli strani loro sforzi di voce e pel dilaceramento del loro petto.»
Chi volesse sapere più alla distesa a quali strani ghiribizzi si conducessero in que’ tempi i musici vegga il libro XXII della dottissima benché prolissa opera di Pietro Cerone intitolata Maestro y Melopeo scritta in linguaggio spagnuolo quantunque l’autore fosse bergamasco. […] Chi violetta, o rosa Per far ghirlanda al crine Togliea dal prato, e dall’acute spine, E qual, posando il fianco Sulla fiorita sponda, Dolce cantava al mormorar dell’onda. […] Osservarono infine que’ modi e quegli accenti particolari che gli uomini nel rallegrarsi, nel dolersi, nell’adirarsi, e nelle altre passioni adoprano comunemente, a misura de’ quali conobbero che dovea farsi movere il basso or più or meno secondo che richiedeva la lor lentezza o velocità, e tenersi fermo fra le false e buone proporzioni, finché passando per varie note la voce di chi ragiona, arrivasse a quel punto dove il parlar ordinario intuonandosi apre la via a nuovo concento. […] Chi ha pulset a sto porton?
Ben quaranta fiate al popol denso sua recitata favola non spiacque : parte n’ebbe suo merto, io parte, e parte v’ebbe una sua già favorita attrice, che colle finte lagrime le vere sapea svegliar di chi l’udìa ne’ lumi : ma nè per questo il saziò sua lode.
Chi sei dimmi ?
Eccoci il giorno, ma chi mi ha portato qui senza mia licenza, & m’ha riuestito, che paio vn huomn di legno ?
Due ben differenti aspetti, contraddittori all’apparenza, sogliono d’ordinario presentare a chi le esamina, quelle colte Nazioni che si sono rendute chiare per le cose operate o patite nella pace e nella guerra. […] Chi desidera esatta notizia delle rappresentazioni de’ sacri misteri fatte in questo XV secolo, legga il Tiraboschi tom.
Infatti, chi sapesse pigliare con discrezione il buono de’ soggetti favolosi dei tempi addietro, ritenendo il buono dei soggetti dei nostri tempi, si verrebbe quasi a far dell’opera quello che è necessario fare degli stati: che, a mantenergli in vita, conviene di quando in quando ritirargli verso il loro principio.
Vuol egli con tali parole in prima insinuare, che io gli abbia con malignità così descritti per tacciar di cattivo gusto gli Spagnuoli (nel che al solito combatte colle ombre impalpabili): in secondo luogo mette in dubbio la veracità di chi gli descrive.
All’emergere dalla seconda barbarie le moderne nazioni Europee, prima di avere chi potesse dettare uno squarcio di prosa competente, abbondarono di Trovatori Provenzali e di Rimatori Siciliani.
Ma Florindo scrive da Mantova il 23 agosto : « le mie Robbe consistenti in cinque casse, per un ordine fattomi fare ad un de' miei compagni a Verona, sono state consegnate non so a chi, mentre nell’ ordine s’esprimeva che si dassero al Cav.
Chi l’avesse detto !
Le frondi degli alberi, l’albeggiante azzurro dell’orizonte, le punte delle roccie inerpicate, le lontananze e i chiaroscuri delle valli dipinti sul quadro sebbene invaghiscano l’occhio de’ riguardanti, nulla dicono però allo spirito loro; laddove una voce solitaria, che risuoni dolcemente nel silenzio di solinga valle, annunzia tosto a chi l’ascosta, che colà soggiorna un essere socievole, compagno nelle sciagure e nei diletti, e creato al paro di lui dalla natura per fruir l’aura della vita, e per godere le delizie dell’universo. […] Chi ha sentito eseguire i. celebri mottetti del Carissimi e del Cesti da qualche bravo cantore, vi ravvisa per entro la sorgente onde ricavò Lulli il suo recitativo, se non in quanto lo svantaggio che ebbero quelli lavorando su parole sconnesse e mezzo barbare d’una lingua morta, non lo ebbe già il musico fiorentino cui toccò in sorte un poeta francese inimitabile. […] Partendo dal principio della unità accennata di sopra, conobbero essi che essendo fatto non il canto per gli strumenti, ma piuttosto gli strumenti pel canto, non doveano quelli primeggiar sulla voce del cantore, ma regolarla soltanto, sostenerla, e rinvigorirla; che essendo ciascuno stromento necessario in parte al fine propostosi, non dovea l’uno impedir l’azione dell’altro cosicché il basso, per esempio, affogasse la voce di tutta l’orchestra, o gli stromenti da fiato signoreggiassero su quelli da corda, o questi all’incontro su quelli; che non convenendo mischiare fra loro suoni di diversa natura, faceva di mestieri collocar insieme gli strumenti della medesima spezie, acciò si accordassero meglio e con maggior esattezza suonassero; che i bassi però si dovessero interpolare or qua or là per tutta l’orchestra, giacché da essi dipende la movenza, e l’andamento d’ogni buon’armonia; che non essendo a proposito qualunque sgomento per produrre qualunque suono, bisognava studiar bene la natura di ciascuno per meglio combinarli fra loro, e farli muovere a luogo e tempo; che i subalterni dovevano esser intieramente subordinati al maestro, e posti in maniera che potessero esser tutti insieme veduti e veder anch’essi scambievolmente chi suona il clavicembalo; che bisognava avvezzar di buon ora i sonatori alla giustezza del tempo, e a regolar il loro movimento colla mossa generale degli altri, affinchè l’aggregato de’ suoni avesse quell’unità, senza cui non havvi senso o significato alcun nella musica. […] Però nella mossa generale del buon gusto musicale in Italia l’arte del canto se ne dovette spogliare, e se ne spogliò infatti del cattivo metodo antico, e contribuì a rinforzar vieppiù l’espressione, non già facendo strazio della poesia, come nel secolo passato, né aggirandosi intorno a’ vani arzigogoli, come a’ tempi nostri, ma ponendo ogni suo studio nell’immitar l’accento naturale delle passioni, nell’acquistar una perfetta intonazione, che è il cardine d’ogni melodia, nell’imparar la maniera di cavare, modulare, e fermare la voce a dovere, nell’eseguir maestrevolmente i passaggi da nota in nota colla debita gradazione acciochè tutte quante spicchino le diverse inflessioni del sentimento, nell’appoggiar a tempo e luogo sui tuoni trattenuti, ove il richieda la espression del dolore o della tristezza, scorrendo poi leggiermente sugli altri, che generati vengono da affetti contrari, nel preferir il naturale al difficile, e lo stile del cuore a quello di bravura, nel far uso di quelli abbellimenti soltanto, che necessari sono alla vaghezza e brio della voce senz’adoperarli tuttavia con prodigalità nuocevole alla espressione, nell’attemperar l’agilità naturale di essa voce non già all’arbitrio di chi la possiede fecondo per lo più di capricci, ma all’indole della natura e della passione, nell’accomodar la prosodia della lingua coll’accento musicale in maniera che vi si distingua nettamente ogni parola, se ne comprenda il sentimento e la forza, e si ravvisi il quantitativo valor delle sillabe, nell’accompagnar col gesto appropriato e convenevole i movimenti del canto, e il carattere de’ personaggi, in una parola nel portar il più lontano che sia possibile l’interesse, l’illusione, e il diletto, que’ gran fonti della teatrale magia.
Non poche cose di questo gran tragico verrebbero acremente censurate da un M. de la Lindelle; ma un tranquillo e ingenuo osservatore si spazia con più piacere nelle bellezze, difficili da percepirsi da chi non ha l’occhio fino, che ne’ difetti, messe riserbata alla critica comunale. […] Il Figlio naturale del medesimo autore é tolto in gran parte dal Vero Amico del Goldoni; ma per dirla vi si vede peggiorata la favola italiana, e annegata fra varie situazioni semi-tragiche prese in prestito altrove; e soprattutto vi si trova cotal assettata ristucchevole saviezza in tutti i personaggi, e specialmente nel figlio naturale e in Costanza, che farà sempre sbadigliare chi, pensando di leggere una produzione comica, si trova per le mani un noioso componimento serioso. […] Ciò per altro potrebbe essere giustificato dalle circostanze de’ pensieri e dell’espressioni, sempre che si avesse cura, senza inoltrarla, di non far patire chi ascolta. […] Chi fosse vago di sapere quasi tutti i plagi commessi dal signor di Voltaire, dovrebbe dare una scorsa agli Anni letterari del di lui fiero antagonista M.
All’emergere dalla seconda barbarie le moderne nazioni Europee, prima di avere chi potesse dettare uno squarcio di prosa competente, abbondarono di Trovatori Provenzali e di Rimatori Siciliani.
Empietevi, e cadete, Dirà il dio d’Israel; né sia chi sorga, Dal lampo della spada, Che strisciare su voi farà il mio sdegno. […] Chi di voi lo vuol per padre?
Chi avrebbe mai allora potuto indovinare che in quelle nuove lingue dovea col tempo rifiorire la più sfoggiata eloquenza ateniese e romana?
La bella poesia che somministra alla buona musica il vero linguaggio delle passioni, col quale parlasi nel medesimo tempo al cuore e allo spirito, occupava l’ultimo luogo fra tante cose destinate unicamente a solleticare i sensi; e la fina rappresentazione che da essa ancor dipende, fin d’allora fu un oggetto o non veduto o disprezzato dagl’istrioni musici; Qual differenza, non dee immaginarti che si troverebbe da chi potesse paragonarle, tra la musica e la rappresentazione dell’opera moderna, in cui la verità é sì negletta dagli eutropi teatrali, e della tragedia ateniese, nella quale, secondo che ben si esprime ateneo, trasportato da un divino entusiasmo rappresentava e cantava l’istesso Euripide!
Chi ama di essere minutamente informato di siffatte cose, consulti le opere de’ riferiti scrittori.
Di ciò non dubiterà punto chi ne legga la narrazione del Villani recata dal lodato Tiraboschi tom.
Di ciò non dubiterà punto chi ne legga la narrazione del Villani recata dal lodato Storico t.
Altri drammi piangolosi non molto riusciti nel pubblico teatro, e meno nella lettura, per chi non ama la confusione de’ generi, si sono veduti sulle scene francesi.
Ed in vero ho veduto in questa città molte madonne, tanto inordinatamente acconcie ed ornate, che se a loro stesse fossero così note come a chi le mira, si andariano tutte a riporre.
…… chi si propose di scrivere la storia dei comici italiani fece opera nobile.
Fu questa l’ultima commedia in cui egli ebbe parte : e l’enorme successo annunciato dal Mercure de France non parve confermato da chi assistette a quelle rappresentazioni, dicendolo anzi, a cagione specialmente della tarda età, successo assai mediocre.
Già sopra notai che li discorsi narrativi s’espongono da loro assai più brevemente e ristringonsi quelli che per essere nudi d’affetto stancano agevolmente chi ascolta, e finalmente non si veggono sì d’ordinario come negli Italiani delle particolarità che sono o disadatte alla passione di chi favella, o superflue al proposto. […] Certo chi leggerà le tragedie di Pier Jacopo Martelli incontrerà non solamente de’ caratteri più esemplari e più propri, ma più vivi ancora e più vari. […] Per mio avviso vi sono lodevoli solamente quando giovano allo scopo di chi vi favella. […] Chi dunque vi trattiene? […] Ma spogliarsi della pietà chi può farlo, senza spogliarsi dell’humanità?
Arrestato da queste meschinità secentiste, che fanno di un remo una penna, di un mare un pezzetto di carta, in somma che avviliscono gli oggetti proprj con traslati poverissimi, chi si curerà di pescare in uno stagno fangoso, lasciando il vasto mare, e tanti copiosi fiumi ricchi di abbondante saporosa pescagione?
Di essa però afferma saviamente uno scrittor francese, che per quanto si esageri dagli zelanti antiquari il merito e l’eleganza di tal componimento, la perdita fattane non apporterà molta pena a chi considera le pietose buffonerie teatrali che si componevano in tal tempo da’ francesi, inglesi, e alemani.
Chi riflette alla vittoriosa forza della religione su gli uomini, non istupirà dell’ universale accettazione ch’ebbe sì importante argomento per tutta l’Europa Cristiana.
Chi dunque poteva scrivere al Duca in persona lettere di così aperta famigliarità, parlando degl’ interessi di Compagnia, accusando compagni, reclamando rimproveri, dando commissioni intime e delicate, e svelando fatti, di cui potrebbe arrossire una donna maritata, se non una donna, artisticamente al meno, a capo della Compagnia ?
Tristatello, risponde, Madama, chi vi permette di prendervi questa libertà? […] V’é chi vuole che quello di polacchi venne da un intermezzo, o tonadilla di polacchi rappresentata con applauso da una delle due compagnie. […] Qualche sconcerto nato tralle due fazioni e l’animosità che ne risultava, determinò chi governava a troncar questa rivalità teatrale, formando delle due compagnie un sol corpo, una sola cassa, e un solo interesse.
A tutti scioglierne i dubbi paratamente, e a metter chi legge in istato di giudicare della decadenza attuale del melodramma, d’uopo è fermarsi alquanto intorno alle cause generali di essa per discender poscia a delle particolarità più interessanti. […] Imperocché ove le cose non hanno altro interesse se non quello che nasce da passaggiero e insignificante divertimento, la misura della lor perfezione altra appunto non è che il capriccio di chi vuol divertirsene. […] Chi sostiene che il modo significasse lo stesso che il ritmo; chi ripon la sua essenza in una spezie differente di diapason; circa gli strumenti ci è del tutto ignota la maniera con cui collocavano essi le corde, se queste salissero per via di quarti di voce, di semituoni, di tuoni intieri, o con maggiore distanza; cosa fossero le loro tibie, o flauti semplici, doppi, obliqui, destri, o sinistri, trovandosi gli autori discordi a segno, che al medesimo strumento, cui veniva da alcuni assegnato il tuono acuto venga accordato da altri il tuono grave, come alla stessa cantilena s’attribuiscono più volte effetti opposti non che dissimili. […] Non posso finire questa lunga nota senza rapportare un curioso aneddotto, il quale fa vedere quanto ridicolamente si giudichi su questa materia da chi non vi porta altri lumi che quelli d’una pesante e inutile erudizione.
Si calmi adunque di talun l’iraconda impazienza, e mentre da un lato trova in questa compagnia chi per assoluta perizia può soddisfarlo, si appaghi dall’altro della tenera capacità e delle belle speranze, onde a buon dritto l’Itala scena può attendere in questa ragazza una novella esimia attrice. […] Il Niccolini le dice : la natura vi ha privilegiata di mente arguta, d’animo forte e gentile : e non conosco chi abbia più dottrina e sentimento di quello ch’è bello.
E in ciò principalmente consiste quel fior di espressione che scolpisce le parole nella mente e nel cuore di chi ascolta.
Altri drammi piangolosi si erano presentali sulle scene francesi alcuni anni indietro non molto riusciti nella rappresentazione e meno nella lettura, riprovati da chi non ama la confusione de’ generi.
.), che vi ha delle sillabe lunghe più lunghe delle une e dell’altre, e così delle brevi più brevi; “pallentes” per esempio, e “divini” sono del pari composte di tre lunghe: ad ogni modo e chi non s’accorge che la prima parola va più lentamente della seconda? […] Mi fo lecito d’assicurarvi, o Signore, che trattando siffatta materia, io cercherò di farlo con quel candore e con quella imparzialità che si richiede da chi ama e tiene in pregio il bello, ovunque lo ritrova. […] Il Signor Burette fra gli altri ha esposta quest’opinione con un’erudizione così profonda che parve non lasciar più adito alcuno a chi volesse sostenere il sentimento opposto; ma per quanto rispetto io porti alla memoria di questo sapiente accademico non posso aderire ciecamente al giudizio di lui.
Essi investigheranno ancora chi sia quel poetilla ridiculo autor de comedias goticas, todas aplauditas en el teatro, todas detestables à no poder mas, y todas impresas por suscripcion, con dedicatoria y prologo a.
Chi ne desidera più ampla e distinta notizia, legga la dissertazione intorno alla vita di Pacuvio pubblicata in Napoli l’anno 1763 dal Canonico Annibale di Leo.
Nella terza scena del III in cui si parlano la prima volta dopo la lor divisione Basilio e Chiteria, la tenerezza disgraziata aumenta a meraviglia l’interesse, e commuove e penetra nell’intimo dell’animo di chi legge o ascolta. […] L’avea l’autore molti anni indietro composta e destinata a recitarsi in musica in una casa particolare; ma non essendo venuto a capo tal disegno, corse per alcun tempo manoscritta con più applauso che non isperava chi la scrisse.
Era cosa comune a’ tempi di Calderone, che un cavaliere prendesse di notte il mantello, la spada e ’l pugnale, e andasse in ronda corteggiando in istrada le finestre della casa della sua dama, e si battesse per nulla con chi passava.
Dante Alighieri, che col sumministrare all’ Italica favella per mezzo delle sue dotte e ingegnose produzioni non poca robustezza, vivacità ed energia, e coll’ arricchirla di molte e varie immagini, e di molti e varj colori poetici, mostrò con effetto, siccome disse il Boccaccio nella di lui Vita, con essa ogni alta materia potersi trattare, e glorioso sopra ogni altro fece il volgar nostro; Dante che perciò fu dal Petrarca chiamato ille eloquii nostri dux, da Paolo Giovio il fondatore del Toscano linguaggio, e da altri il Poeta de’ Pittori; Dante afferma nel capitolo X del suo Convivio, che per l’Italico idioma altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente, e acconciamente si poteano manifestare, quasi come per l’istesso Latino; e loda in esso l’ agevolezza delle sillabe, la proprietà delle sue condizioni, e le soavi orazioni che già fin d’allora se ne faceano, le quali chi ben guarderà, vedrà esser piene di dolcissima e amabilissima bellezza.
Ma è da credersi, che la frase a lui detta, se pure fu detta, quando salì sul palco, dopo ascoltato il Saul :« no g' avè rispeto gnanca de vostro pare » ebbe più un tuono di amorosa compiacenza, che di sciocco risentimento ; dacchè pare irrefragabilmente provato da chi lo avvicinò, che egli fosse d’indole buona e avesse un amore sviscerato per la famiglia (sposò il 1801 la valorosa attrice Luigia Bernaroli (V.), vedova Lancetti, da cui ebbe due figliuoli) ; e che la serenità dell’uomo e la coscienza dell’artista non mai venissero meno in lui, mostrandosi in ognun de'casi (o attore stipendiato, o socio, o capocomico solo), direttore eccellente e galantuomo rarissimo.
Lettere risorgono in Italia 188. per mezzo di chi 195.
[commento_3.7] rapsodisti: chi mette assieme idee non originali, prese da altri.
Primieramente conviene osservare, che chi va a mercatare, non è sicuro, che vada ugualmente a comunicare le proprie cognizioni; il che si potrebbe provare con moltissimi esempj.
— Frutti delle moderne Comedie et avisi a chi le recita.
Chi desiderasse distinte notizie degli antichi teatri vegga Vitruvio, il Gallucci de Tragoed. et Comoed.