Nato a Roma il 1799, vi perdè, bambino, la madre, e dovè, giovinetto appena, seguire il padre in Sicilia, che era maestro di casa di una famiglia d’inglesi. […] Solo, caduto nella più squallida miseria, il giovinetto Pietro si offerì ai trionfatori in qualità di tamburino, per fuggir poi anch'egli alla prima occasione su di una nave che lo portò a Civitavecchia, d’onde recossi pedestre a Roma.
Semi primitivi della scena in Roma. […] Osci colle proprie Atellane in Roma. […] E se osceno è vocabolo Romano, come può stare che esso desse la denominazione agli Osci nazione più antica di Roma? […] Cinque o sei anni dopo che Livio ebbe introdotta la poesia teatrale in Roma, cioè verso l’anno 519, Gneo Nevio poeta nato nella Campania vi fe udire i suoi drammi tragici e comici. […] Lo spirito di verità che rende i componimenti rappresentativi interessanti, non regnava molto in Roma al tempo della Repubblica prima di Terenzio.
Semi primitive della scena in Roma. […] Osci colle proprie Atellane in Roma. […] E se osceno è vocabolo Romano, come può stare che esso desse la denominazione agli Osci nazione più antica di Roma? […] Mancava alla gloria di Roma vincitrice quella coltura dell’ingegno che dalle nazioni allontana la barbarie e ingentilisce i costumi; e toccò a questa prima vinta Grecia il vanto di erudirla e abbellirla colle lettere. […] Lo spirito di verità che rende i componimenti rappresentati interessanti, non regnava molto in Roma al tempo della Repubblica prima di Terenzio.
Fu la Civili di slanciata e imponente figura ; di fisionomia attraente e nobilissima ; nella tragedia specialmente esercitava sugli spettatori un fascino indicibile : e i pubblici di Torino, Roma, Parma, Milano, Genova le furon prodighi in ogni tempo di acclamazioni entusiastiche.
La Gemma, nata il 26 aprile 1843 in Livorno, attrice generica, poi madre e caratteristica ; moglie di Antonio Antuzzi, napoletano, generico e amministratore ; Pia, nata il 1847 a Roma, sposatasi il 1870 al brillante Serafini, prima attrice giovane nella Compagnia di Adamo Alberti ai Fiorentini di Napoli, morta il ’76 a Cremona ; Attilio, nato il 10 agosto 1850 in Napoli, primo attor giovine, poi generico primario ; poi, maritatosi, libraio, come dicemmo, a Trieste, poi di nuovo attore e amministratore di compagnie.
Sempre in Compagnia del Bazzigotti fu il carnovale del '70 in Ferrara, dove, scoperto alla fine, risolse di palesare il suo stato al Marchese Camillo Bevilacqua, coll’aiuto del quale potè ottenere la protezione del Cardinal Crescenzi, Legato di Ferrara, che inviollo a Roma a'piedi di papa Clemente XIV, dal quale ottenne la più ampia assoluzione di ogni sua colpa.
Pertica Nicola, nato a Roma nel 1769 da Antonio e da Rosa Rossi, onesti e laboriosi cittadini, e iniziato al mestiere di stampatore, si diede giovinetto al teatro, riuscendo in poco tempo il grande emulo di Luigi Vestri, a lui forse inferiore nelle parti promiscue, ma di gran lunga superiore in quelle di caratterista.
Da quella del Bianchi passò il 1809, socio, nella Compagnia del Dorati, e da questa il 1812, scritturato, in quella del Blanes, per formar poscia il 1816 un’ottima Compagnia assieme ad Angelo Venier, della quale era prima attrice Carolina Internari, fiorente di giovinezza e di gloria, e colla quale andò il '18 al Teatro Valle di Roma, scritturato per un triennio e per tre stagioni (primavera, autunno e carnovale) dal Duca Torlonia con 12,000 scudi romani ogni anno, destandovi il più schietto e vivo entusiasmo, giacchè allora, ad allargar la cerchia del suo repertorio, e ad acquistar nova gloria al suo nome, si diede alla interpetrazione e rappresentazione di quei caratteri così detti promiscui, che lo fecero in breve il signore assoluto della scena. Ma, ahimè, il carnovale del 1822 volle forse abbracciar troppo, abusando della idolatria che i romani avevan per lui ; e, proprietario di due Compagnie nella stessa Roma, impresario del Teatro Apollo per la messa in iscena di due opere e quattro balli, vide in un attimo, gli affari volti al male, perduto ogni suo risparmio, perduta per molti anni, volendo a ogni costo far fronte sino all’ultimo centesimo agli assunti impegni, la maggior parte del suo stipendio, ch'era di 16,000 lire. […] Il Byron nel suo diario, alla data del 6 gennaio 1821, a Ravenna, scrive : Parlato col conte Pietro Guiccioli del comico italiano Vestri, che è ora a Roma. […] Ebbe i suoi ludi, è ver, Roma ed Atene, ma di motti scurrili, ed immodesti lazzi contaminâr le patrie scene.
Dai registri di forestieri abitanti in Roma nell’anno 1658, e ripartiti secondo le rispettive parocchie, il Bertolotti cita fra gli altri, nella parocchia di S.
Annunzia al Grisanti che non potendo avere il carnovale di Roma, procurerà in ogni modo di ottenergli quello di Venezia, e raccomanda la pace in compagnia (il Grisanti con lettera delli 28 maggio gli aveva scritto di certi dissapori), minacciando di castigare i perturbatori alla forma che meritano.
Lo troviamo il 1647 a Roma, al servizio di Donna Olimpia Panfili, conduttor della Compagnia, insieme al Buffetto, Carlo Cantù (V.), nelle di cui lettere è riferita la storia dei subbugli, avvenuti in pubblico teatro, e la partenza per Napoli del Napolioni, che seco trasse buona parte di quei comici, da lui, come dice il Cantù, subornati. […] , 126, nota), si parla di un Flaminio Napoleone o Nobilione, che nel 1648 era a Roma coll’ambasciatore di Francia e aveva intelligenze coi ribelli napoletani.
Nella sua beneficiata al Valle di Roma, recitando la Maria Stuarda di Schiller, fu una pioggia non interrotta di fiori e sonetti ed epigrafi, con dono agli spettatori del suo ritratto, disegnato da Carolina Grasselli Scröther.
Formò pel triennio ’87-’88-’89 compagnia stabile al Manzoni di Roma.
Colpita a Roma d’influenza, che poi andò mutandosi in polmonite, vi morì il 29 aprile 1900, assistita dal marito, dalla sorella, dal figliuolo, desolati.
Nato il 4 ottobre 1839 a Roma, da parenti non comici, si diede al teatro giovanissimo, ove non fece i soliti progressi con la solita rapidità, forse per la tempra sua di uomo freddo, calmo, che si rispecchiava su la scena.
Per esempio, volendo asserire, che vennero i Greci nelle Spagne, non vi curate di mettere avanti la ignoranza, e la rozzezza de’ primi tempi della Città di Roma per averli discacciati. Roma guerriera non discacciava la Greca Sapienza, della quale cercò anzi di approfittarsi nella compilazione delle XII. […] In oltre quando voi parlate di una sola Città Spagnuola, comparatela con una sola Italiana; ma se vi stendete a tutta la Spagna, dovete riguardare a tutta l’Italia, e non alla sola Città di Roma. […] Questo (soggiungono gli Scrittori Cordovesi) è anteriore quasi di mille anni al sistema Peripatetico . . . . e la Spagna lo ricevè da’ Fenici molto prima della Grecia, e di Roma. […] Poterono venire, vennero, insegnarono; gli Spagnuoli dunque ricevettero il sistema degli Atomi molto prima della Grecia, e di Roma?
Quando ad una interrogazione del Rettore esaminante rispose Roma dev’essere la Capitale d’Italia, il pubblico entusiasta si levò in piedi, agitando i fazzoletti, urlando e applaudendo : e il piccolo Benini tutto compreso dell’effetto artistico ch’egli aveva saputo produrre con quelle parole, giù a profondersi in riverenze senza fine.
Ennio, la cui Medea esule fe dire a Cicerone (de Finibus) non potervi essere alcuno così nemico del nome Romano che ardisca sprezzar questa tragedia: Pacuvio che colle sue tragedie procacciossi rinomanza di dotto conservata anche a’ tempi di Augusto1: Accio tanto encomiato pel suo Atreo che meritò il nome di sublime per detto di Orazio, e di Quintiliano; che Acrone non esitò di anteporre ad Euripide; che fu in fine da Columella collocato accanto a Virgilio, riconoscendo in entrambi i poeti più grandi del Lazio: tali tragici, dico, esaltati da’ migliori scrittori di Roma, debbono convincerci che la maestà dell’idioma latino, l’eroismo proprio de’ Romani, lo spirito di sublimità che gli elevava sin da’ principii dell’arte, gli facesse assai più riescir nella tragedia che nella commedia. Di fatti, oltre alle nominate tragedie a noi non pervenute, ebbero i Romani eziandio in pregio la Medea di Ovidio, il Prometeo e l’Ottavia di Mecenate, il Tieste attribuito a Quinto Vario, a Virgilio, ed a Cassio Severo, tragedia da Quintiliano reputata degna di compararsi colle migliori de’ Greci, in oltre quelle di Curiazio Materno altamente comendate dall’autor del dialogo della corruzione dell’eloquenza, e di Pomponio Secondo stimate per l’erudizione e per l’eleganza, la Medea di Lucano, l’Agave di Stazio sì bene ascoltata in Roma ed encomiata dal satirico Giovenale, tutte queste buone tragedie danno a noi diritto di affermare che un genere di poesia maneggiato da’ migliori poeti latini, dovè trovare in quella nazione ordigni opportuni per elevarsi, ed in copia maggiore che non ne trovò la poesia comica. […] Carlo Denina, il quale (parte I del Discorso della Letteratura, art. 26) asserì che in Roma si stava peggio ancora nella tragedia che nella commedia.
Le lotte per ciò sostenute, i rammarichi senza fine, i propositi nuovi son descritti in articoli di lui stesso, di Vamba, di Boutet, di Gandolin, di Panzacchi, di Yambo il figliuolo di Novelli, che li raccolse in un album dedicato interamente a papà, arricchendolo di un centinaio di pupazzetti che ritraggon l’uomo e l’artista in ciascun momento della sua vita (Roma, 1899). […] Vi entrai di punto in bianco primo attor giovine ; e ricordo che in una recita di prova al Valle di Roma, del Suicidio di Ferrari, Novelli, col quale ci legammo da bel principio di forte amicizia sin qui immutata, mi dettava, dirò così, di tra le quinte, la controscena dell’ultimo atto avanti il riconoscimento del padre. […] Oggi Novelli è tutto vòlto alla erezione in Roma della Casa di Goldoni, di cui mise la prima pietra al Teatro Valle il 1° novembre del 1900 con pompa solenne e con accoglienze entusiastiche ; pensiero alto e generoso di cui gli deve saper grado ogni italiano.
Ne produsse ancora quella degli Umoristi di Roma cominciata dopo il 1600. […] Esse veramente non portano il nome dell’autore che le compose, cioè di Francesco d’Isa sacerdote erudito che dimorava in Roma, dove morì sull’incominciar del secolo. […] Non furono delle ultime a goderne Venezia, Bologna, Roma, Torino, Napoli. […] La di lui Arianna si rappresentò pure in Roma, dove da un Porporato si compose l’ Adonia lodato dal Crescimbeni. […] Roma non ha un teatro moderno corrispondente a sì famosa capitale.
Nato a Roma nel ’48 da modesto impiegato, lasciò a’ quindici anni la scuola (distruggendo i sogni del padre che volea fare di lui un gran dignitario della chiesa), per chiedere asilo al palcoscenico del Valletto, ove faceva gli annunzi e le comparse.
Questa farsa fu conservata nella Commedia dell’arte col titolo Li due porci che trovo tra gli scenari della corsiniana di Roma.
Nè i soli concittadini gli furon larghi d’encomio ; chè recatosi al Quirino di Roma e alla Canobbiana di Milano, vi ebbe dal pubblico e dalla stampa il migliore incoraggiamento.
Era a Roma il 1658, come da registro di forastieri (V.
Il 19 febbraio del ’60 sposò Maria Masi a Roma ; nata a Rimini il ’45 da Filippo Masi, già Capitano del papa, poi soldato della nostra Indipendenza, poi comico, e da Casilde Bocci, pur romagnola.
A Roma pe' 'l centenario di Voltaire gli fu coniata una medaglia d’argento, ed ebbe frequenti onori di rime.
Eccone l’elenco pel carnovale del 1820 al Teatro Apollo di Roma : UOMINI Nicola Vedova, padre e tiranno Francesco Pieri, caratterista nobile Pietro Pezzi, generico dignitoso Carlo Camisani, secondo amoroso Domenico Liparini Giuseppe Zanno ni Carlo Coltellini amorosi primi Giuseppe Mazzotti Lorenzo Pellegrini generici Agapito Angiolini, 2° caratterista Filippo Fontana, generico dignitoso Ant.
Giovanni Leone Sempronii da Urbino pubblicò in Roma nel 1724 la sua tragedia il Conte Ugolino. […] Sei ne produsse in Roma il dotto p. […] L’avversione di Roma traluce, nè foscamente nella scena quarta dell’ atto IV da i detti di Lorenzo. […] oh Roma ! […] Folle pensier, di Roma al genio invitto Chi può resister ?
Gimma nella sua Italia letterata pag. 479) da Giambatista della Porta fertile ed elevato ingegno, pregio delle scienze e delle arti, onore dell’Italia non che del Regno, pure fassene quì menzione, perchè parecchi individui di essa col loro capo vissero nel XVII, e furono aggregati nell’Accademia de’ Lincei instituita in Roma l’ anno 1603 dallo scienziato principe Federigo Cesi Duca di Acquasparta, il quale con raro immortale esempio (secondo l’eruditissimo ab. […] Quindi nell’anno 1699 fu incorporata in questa medesima Accademia una Colonia dell’Arcadia di Roma.
In fatti : nel luglio 1651 Tiberio Fiorilli era a Roma con la moglie Isabella : nello stesso mese e stesso anno vi erano Giovan Battista Fiorillo con la moglie Beatrice ; e tutti quattro, invitati dal Serenissimo di Mantova pel prossimo carnovale, risposero negativamente per averlo impegnato in Roma.
Cattolica nel consiglio di azienda, suo agente procurator generale e ministro plenipotenziario nella corte di Roma ec.
Nobilità che (quando ancora risalir non si voglia, come si potrebbe, all’epoca di Lotario Imperadore) risulse in Pisa, si distinse in Roma, ed a niuna cede di generosità in Napoli, e che meritò dovunque i più onorifici sublimi gradi militari, politici ed ecclesiastici, come, oltre del Pirro, dell’Inveges, dell’Aprile, compruovano l’illustre Marchese Emmanuele di Villabianca, e l’ornatissimo Canonico e Parroco Logoteta?
Ricordo la prima sera al Valle di Roma.
ma è stato nella quadragesima passata ricercato in Roma, et in altre parti, hora è in Genova, e mi fa a credere di certo che con poca fatica sarebbe con noi.
Poi libretti d’opera, come L'Esule di Roma e Belisario, musicati dal celebre Donizetti, e una infinità di traduzioni dal francese e riduzioni in prosa e in versi che furon vive per molti anni ne'repertorj delle nostre primarie compagnie.
Antonio Salsilli fu anche scrittore egregio di articoli e bozzetti di teatro, spesso col pseudonimo di Paron Toni, nella Gazzetta di Napoli, nella Rivista Subalpina, nel Corriere di Roma, nel Carro di Tespi ; autore di commedie, tra cui accolta con molto favore quella in un atto Cicero pro domo sua, e di monologhi, tra cui Il punto interrogativo, fatto celebre dall’arte meravigliosa di Claudio Leigheb, e divenuto poi la delizia di tutti i dilettanti maggiori e minori.
L’ebbero vari antichissimi popoli italiani, come gli etruschi e gli osci prima ancora della fondazione di Roma, e certamente non la ricavarono da’ greci. […] Il nome (non che altra cosa de’ greci) il nome del famoso Pitagora che, secondo Ovidio, visse a’ tempi di Numa Pompilio, secondo Tito Livio, di Servio Tullio, e secondo Cicerone, di Lucio Tarquinio Superbo, non era da Crotone penetrato fino a Roma.
l’ebbero varj antichissimi popoli Italiani, come gli Etrusci e gli Osci, prima della fondazione di Roma, e certamente non la ricavarono da’ Greci che conobbero più tardi. […] Il nome (non che altra cosa de’ Greci) il nome del famoso Pitagora, che secondo Ovidio visse a’ tempi di Numa Pompilio, secondo Tito Livio a quelli di Servio Tullio, e secondo Cicerone di Lucio Tarquinio Superbo, non era da Crotone penetrato sino a Roma.
L’ebbero varj antichissimi popoli Italiani, come gli Etruschi e gli Osci, prima della fondazione di Roma, e certamente non la ricavarono da’ Greci che conobbero più tardi. […] Il nome (non che altra cosa de’ Greci) il nome del famoso Pitagora, che secondo Ovidio visse a’ tempi di Numa Pompilio, secondo Tito Livio a quelli di Servio Tullio, e secondo Cicerone di Lucio Tarquinio Superbo, non era da Crotone penetrato sino a Roma.
Roma li 12 feb.º 1638. […] mo Signor Duca, ch’io non m’impegnassi, con nessuna Compagnia di Comici, intendendo Sua Altezza di seruirsi di me, per il Carneuale, et unirmi, con Beatrice, Trappolino et altri Comici. or’io, per guarire d’un mio male, uenni à padoua, e mi couenne recitare in una Compagnia che uiue sotto la prottetione del Signor Marchese Obizij. questa Compagnia si è obbligata per l’Autunno, è Carnouale al Signor Almoròzane ; la quale non à che far di me, mentre il Carnouale non possa essere con essi loro. et essendomi stato acertato, che Beatrice, con altri Compagni se ne ua per il Carnouale à Roma ; e che l’Angiolina si è obligata in altra stanza à Venetia ; non ueggo forma di Compagnia per seruir cotesta Altezza, et à me non istà bene, essendo pouer huomo uiuer sù l’incertezze. perciò suplico Vostra Signoria Ill. […] Ammettiam pure che a Parigi avesse diciotto anni ; a Roma e a Padova ne avrebbe avuti sessantaquattro o sessantacinque. – Dunque non faceva più gli amorosi : forse non recitava già più.
In esso egli lascia il Violino a Cremona, il Basso a Piacenza, la Viola a Milano, la Chitarra a Venezia, l’Arpe a Napoli, il Bonacordo a Roma, i Tromboni a Genova, la Mandòla a Perugia, la Tiorba a Bologna, il Liuto a Ferrara, e a Firenze tutti gli altri strumenti. […] Come abbiam visto al nome del padre, egli desiderò di entrare al servizio del Duca di Mantova, al quale fu raccomandato dal Cardinal Caetani con lettera da Roma in data 12 aprile del 1611. […] Aveva fatto istanza per recitare il carnovale del ’36 a Roma, ma pare non vi andasse altrimenti.
Il '47 è collo stesso Domeniconi, al fianco della Ristori, già forte promessa nel Paolo della Francesca da Rimini, nel Romeo di Giulietta e Romeo, nel Carlo del Filippo, nell’Egisto della Merope ; il '48 a Roma è consacrato attore tragico, suscitando nel pubblico l’entusiasmo coll’Oreste di Alfieri. […] Prende parte il '49 strenuamente all’assedio di Roma, ed è carcerato prima a Genova col Saffi, poi a Firenze, alle Murate…. […] Il dicembre '81 e gennajo '82 in Egitto, il marzo e l’aprile in Russia, l’ottobre nell’America del Nord ; poi in Italia, a Roma, Firenze e Trieste.
1548, fu deputato il Barlacchi, il quale, trattandosi di festa fiorentina, e di esecutori fiorentini, mutò il luogo di azione della commedia, di Roma che era, in Firenze, recando così sulla scena i leggiadri e ricchi vestimenti della sua terra : e tanto piacque la rappresentazione di detta Calandra, che fattasene la replica a preghiera de’ lionesi che non la poteron vedere la prima volta, il Re e la Regina e la Corte vi intervennero inattesi, e dichiararon esser loro piaciuta la commedia assai più che la prima volta : e innanzi di partirsi di Lione il Re fe’ dare a’comici 500 scudi d’oro, e 300 la Regina, dimodochè — chiude la descrizione — il Barlacchi et li altri strioni che di Firenze si feciono venire in giù se ne tornarono con una borsa piena di scudi per ciascuno.
Nel 1716 era a Bologna, come vediamo dal sonetto che qui pubblico per gentile comunicazione del signor Pietro Pieri, antiquario di Roma, fedelmente trascritto da un foglio volante largo 40 centim., alto 58, che contiene in cima il presente ritratto.
Al momento in cui scrivo, egli si trova in Società con l’attore Della Guardia al Teatro Valle di Roma ove ha creato in italiano la parte di De Cyrano Bergerac con tal successo, che Adelaide Ristori ha dichiarato essere a suo avviso la interpretazione di Andrea Maggi la più bella e completa interpretazione di attore ch'ella abbia sentito dacchè ha abbandonato il teatro.
E aggiunge che, dotato di buonissima voce e di simpatica figura, sapeva, specialmente nelle Arene, destar fanatismo : e al Mausoleo d’Augusto (Corea) di Roma, fu posta una lapide che ricordasse ai frequentatori i favolosi incassi dell’ estate del 1859.
282.) degli antichi Italiani: “I Poeti scenici Latini del secolo di Augusto non ebbero coraggio di opporsi al corrotto gusto del volgo di Roma”. […] Si fonda forse nelle rappresentazioni Carnescialesche della Città di Roma, in cui tuttavia si vede il Pulcinella, e la Popa? Roma oggi Metropoli del Cristianesimo ha lo spirito che avea essendo dominatrice di gran parte della Terra conosciuta. […] In questo medesimo passo ei dice: “Nelle Commedie Sacre Spagnuole compariva al più un solo Diavolo, ma sul Teatro Italiano ne vengono delle volte delle Legioni: non è gran tempo, che vidi in un Teatro di Roma dar principio ad una Commedia con un Concilio di Diavoli, i quali consultavano sull’ajuto da darsi a una Maga”. […] E in Costantinopoli, e in Roma si solea trionfare nel Circo: Hostes victi in Circo triumphabantur, ut e Zonara in Justiniano disces, ubi Belisarii Triumphum in Circo describit.
., in Roma erano in disonore 167., in Italia e in Francia anche persone di nome 219. […] Pantomimi Ballerine di Surate 17. di Roma 173. […] Riarj Pietro e Raffaello Cardinali promotori degli spettacoli teatrali in Roma 198. […] XV Sulpizio e Pomponio Leto insegnano a recitare i Drammi e per opera de’ Cardinali Riarj fanno rappresentare azioni teatrali in Roma 197.
Il Signor Bigottini, com’ è chiamato ne’ documenti pubblicati dal Campardon, nacque a Roma, ed esordì alla Comedia italiana di Parigi il 27 aprile 1757 nell’Arlequin maître de musique, ou le Capitaine Scanderberg.
Antonio Vestamigli : Ai meriti impareggiabili della Signora Lavinia Isola Comica Celeberrima Da una gemella prole ebbe il natale quella Roma, a cui dier le fasce Imperi ; e divenuta adulta a lustri interi partorille la fama aure immortali.
Oggi è capocomica, e maritata a Vittorio Zampieri ; e dopo un viaggio breve ma fortunato in America, tornò tra noi al Valle di Roma, ove interpretò mirabilmente Zaza, l’affascinante mosaico teatrale di Berton, per riprendere il largo verso la Spagna, ove l’attendevano onori non isperati.
Pieri Gaspare, fratello minore delle precedenti, nato a Roma il 1827, fu il più forte artista brillante del suo tempo.
Tornata in Italia, fu a più riprese con Ernesto Rossi, poi direttrice della Filodrammatica di Terni, poi a Roma, prima attrice al Teatro Capranica, ov' ebbe a rialzar le sorti della povera Compagnia che non faceva le spese dell’illuminazione.
Quel che però non sembra ammetter dubbio alcuno, si é, che in Roma nel 1264 fu istituita la Compagnia del Gonfalone (i cui statuti furono ivi pubblicati nel 1584), la quale si prefisse per oggetto principale di rappresentar i misteri della passione di nostro Signore, siccome per lungo tempo eseguì ciascun anno nella settimana santa122. […] Voi soggiogaste Roma, allorché ella ebbe posto in catena l’universo.»
Dopo essere stata alcun tempo prima attrice a Roma con Vestri e Belli-Blanes, tornò, il’ 18, a Firenze, ove diventò primo ornamento della nuova Compagnia Nazionale Toscana. […] Ma ancora due anni di pazienza, e avrà lasciato per sempre la galera comica, com’ella dice in altra sua da Roma del 20 luglio '44 allo stesso Niccolini, al quale si raccomanda perchè sia dato un impiego a suo figlio, alla cui sussistenza non può pensare, avendo appena il pane per sè.
Annojano parimente le frequenti declamazioni contro Roma, le quali a tempo e parcamente usate converrebbero a’ Numantini, ma colla copia e col trasporto manifestano troppo il poeta. […] Egli vuol essere incluso nella sortizione, cui resiste Dulcidio per questa ragione: perchè tocca solo a Roma il discacciar per politica i suoi Tarquinj. […] Chi vuole spaziarsi sullo stato di Roma, è costretto a rendere Marzio invisibile, come fece nella sua tragedia il nostro Cavazzoni Zanotti. […] Il Colomès ha unito lo stato di Roma, la vittoria di Vetturia, la morte di Coriolano, ma ne riduce l’azione ne’ contorni di Roma ora nel campo Marzio, or nel tempio di Marte, or nel campo de’ Volsci, e tutta la restringe con qualche violenza nel tempo prescritto dal verisimile. […] Salva entrambi, Ma se il figlio non puoi, Roma almen salva.
Il nonno, orefice, non avuto in troppo odore di santità, dovette abbandonare Roma, sua patria, col figliuolo, giovanissimo, e rifugiarsi a Buje nell’ Istria, dove continuò a esercitar l’arte sua, e dove Augusto, era il nome del figlio, si unì con Antonietta Mazzari, istriana, in matrimonio, dal quale nacque il maggio del 1841 Florido Bertini.
A dieci anni, quando i parenti si trovavan con Benferreri al Tordinona di Roma, esordì con molto successo in una piccola parte di pulcinellino : poi seguì i parenti in Sicilia, passando in mezzo alle tribolazioni di ogni specie pel lungo periodo di otto anni.
Gli si faccia parimente grazia del non aver conosciuta la storia letteraria Italiana, come dimostra proponendo per cosa tutta nuova all’Italia lo studio de’ Greci: a quella Italia, dove anche nella tenebrosa barbarie de’ bassi tempi fiorirono intere provincie, come la Magna Grecia, la Japigia e parte della Sicilia, le quali altro linguaggio non aveano che il greco, e mandarono a spiegar la pompa del loro sapere a Costantinopoli i Metodj, i Crisolai, i Barlaami: a quell’Italia, che dopo la distruzione del Greco Impero tutta si diede alle greche lettere, e fu la prima a comunicarle al rimanente dell’Europa, cioè alla Spagna per mezzo del Poliziano ammaestrando Arias Barbosa ed Antonio di Nebrissa, ed all’ Inghilterra per opera di Sulpizio, di Pomponio Leto e del Guarini maestri de’ due Guglielmi Lilio e Gray: a quell’Italia, dove (per valermi delle parole di un elegante Spagnuolo) la lingua greca diventò sì comune dopo la presa di Costantinopoli, che, come dice Costantino Lascari nel proemio ad una sua gramatica, l’ ignorare le cose greche recava vergogna agl’ Italiani, e la lingua greca più fioriva nell’Italia che nella stessa Grecia 22: a quell’Italia in fine che oggi ancor vanta così gran copia di opere nelle quali ad evidenza si manifesta quanto si coltivi il greco idioma in Roma, in Napoli, in Firenze, in Parma, in Padova, in Verona, in Venezia, in Mantova, in Modena ecc., che essa vince di gran lunga il gregge numeroso de’ viaggiatori transalpini stravolti, leggieri, vani, imperiti e maligni, tuttochè tanti sieno i Sherlock e gli Archenheltz23. […] Sherlock, era anche nato in Inghilterra) perchè Menenio senator di Roma faccia il buffone; e Voltaire crede che sia un violar la decenza il dipingere che fa in Hamlet l’usurpator Danese ubbriaco. […] Egli avea bisogno di un buffone, ed il prese dal Senato di Roma, ove fe ne sarebbe, come altrove, trovato più d’uno.
Luigi sposò poi la Luisa Valenti, comica anch’essa, dalla quale ebbe quattro figli, tutti comici ; tra i quali Teresita, promettentissima attrice, morta a Roma nel’ 93.
Fu chiamato Cossa da Roma, onde sull’animo suo fosse viva la voce dell’entusiasmo che Milano tributava al poeta.
Vi rimase un anno, poi emigrò a Roma ; e di là tornato in patria prese scrittura al teatro Partenope.
Soldato del '49 alle barricate di Roma, si ebbe attestazioni di lode da Garibaldi e dall’ Avezzana.
Con la propria coscienza egli potè transigere attenuando le decadi, e tal volta anche impegnando i cassoni de' comici inconsapevoli ; ma non mai con la tavola e con la gola : e si racconta che dopo una recita all’Argentina di Roma, una delle tante di addio, ch'egli era costretto a fare, dicean le gazzette, per trascinar meno peggio la vita travagliatissima, convitò tutti coloro che preser parte alla recita, dando fondo, in una gustosa cenetta, alle duecento lire che avea guadagnate nette per sè.
Ma ormai egli aveva una spina nel cuore, che gli dava spasimo forte e continuo : all’applauso del pubblico mancava quello di suo padre, il quale risentitolo a Roma e a Firenze (non ne aveva più l’idea dall’'89 a Ferrara), non solamente gli die' col bacio del perdono il suo assenso a continuare, ma si mostrò con lui nel Saul e nell’Otello, lasciandogli in quello la parte del Protagonista, e in questo la parte di Jago.
Annojano parimenti le frequenti declamazioni contro Roma, le quali a tempo, e parcamente usate converrebbero a’ Numantini, ma colla copia e col trasporto manifestano troppo il poeta. […] Scipione senza ostaggi da pessimo capitano mettendo a rischio la sorte dell’armata e la speranza di Roma viene a parlare in mezzo a’ nemici disperati, i quali incolpano i Romani di tradita fede. […] Chi vuole spaziarsi sullo stato di Roma, è costretto a render Marzio invisibile, come fece nella sua tragedia il nostro Cavazzoni-Zanotti. […] Il Colomès ha unito lo stato di Roma, la vittoria di Vetturia, la morte di Coriolano; ma ne riduce l’azione ne’ contorni di Roma, ora nel campo Marzio, ora nel tempio di Marte, ora nel campo de’ Volsci, e tutta la ristringe con qualche violenza nel tempo prescritto dal verisimile. […] Salva entrambi, Ma se il figlio non puoi, Roma almen salva.
Grande è Zenobia nella prima scena, nè il carattere è smentito dallo stile: Correa con piè superbo Il Persian guerriero Le provincie dell’Asia, e fuggitivi Gli eserciti di Roma, Dirò senza mentir, nè pur da lungi Delle nemiche spade Sostenevano il lampo ecc. […] A Dite, ella dice nell’atto terzo, Anderò dall’Egitto, e non da Roma. […] Nobili sono i suoi sentimenti allorchè determina di morire supponendo che Augusto col pretesto di nozze voglia esporla in Roma al rossor del trionfo. […] Posteriore di alquanti anni alle tragedie del Delfino fu il Corradino del lodato Caraccio, essendosi pubblicato la prima volta in Roma nel 1694, cioè quattro anni dopo che ebbe dato fuori il suo poema l’ Impero vendicato ch’egli credeva men difficile impresa che il comporre una vera tragedia66. […] Vedasi la di lui dedicatoria della tragedia fatta a monsignore Spinola governador di Roma.
Fu il ’48-49 con Papadopoli, Lottini e socii, il ’50 con Antonio Giardini, col quale cominciò a salire in rinomanza, il ’51-52 con Carlo Romagnoli e Achille Dondini, sotto la direzione di Cesare Dondini, prima attrice assoluta, nella qual Compagnia sposatasi a Giacomo Brizzi, passò dal Teatro Grande di Brescia a quelli di Trieste, Milano, Torino, Bologna, Livorno, Padova, trascinando il pubblico all’entusiasmo, che nella primavera del’55 al Valle di Roma diventò esaltazione, delirio. […] Di lei così scrisse un acuto critico di arte, Enrico Panzacchi, ne’suoi Soliloqui artistici (Roma, Angelo Sommaruga, 1885) : La Cazzola aveva in favor suo tutti i fascini d’una figura oltre ogni dire simpatica, della quale pareva che tratto tratto si sprigionassero gli aneliti d’un’ anima nobile, tormentata, infelice. […] mi Cardinali mont’Alto, e monti doue sono stato e sono hora in Firenze, essendosi per la morte del Cognato partito per Roma lo Ill. […] Da una lettera del Forciroli, datata da Roma il 19 gennaio 1619, nella quale si annunzia l’arrivo in Roma da Napoli della Compagnia del Cecchini sappiamo anche la paga ch’egli aveva stabilito per ciascheduna rappresentazione in case particolari di nobili, cioè : 25 scudi per comedia col rinfrescamento appresso di robbe mangiative ; e aggiunge il Forciroli ch’eran soliti a recitarne due commodamente tra il giorno e la notte.
quando nego che in uno stesso Dramma nostrale i personaggi vanno da Roma a Madrid, e da Madrid a Roma?
Chiaramente da essa si ravvisa che dentro delle Alpi, dove appresero gli altri popoli a vendicarsi in libertà, e propriamente in Piacenza, in Padova, in Roma, colle rappresentazioni de’ Misteri rinacque l’informe spettacolo scenico sacro: che quivi ancora, e non altrove, nel XIV secolo se ne tentò il risorgimento seguendo la forma degli antichi coll’Ezzelino e coll’Achilleide tragedie del Mussato, e colle commedie della Filologia del Petrarca e del Paolo del Vergerio: che nel XV, il secolo dell’erudizione, continuarono a scriversi tragedie dal Corraro, dal Laudivio, dal Sulpizio, dal Verardo, e commedie dal Bruni, dall’Alberti, dal Pisani e dal Polentone, ed in volgare assicurarono alle italiche contrade il vanto di non essere state da veruno prevenute nel dettar drammi volgari, la Catinia, l’Orfeo, il Gaudio di amore, l’Amicizia, molte traduzioni di Plauto, il Giuseppe, la Panfila, il Timone: finalmente che gl’Italiani nel XIV e XV secolo nel rinnovarsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici della Grecia, eccetto che nella Progne, ma trassero dalle moderne storie i più terribili fatti nazionali, e dipinsero la morte del Piccinino, le avventure del signor di Verona, la tirannide di Ezzelino, la ferita del re Alfonso, la presa di Granata, l’espugnazione di Cesena. […] Dell’Encina si ha solamente impressa in Roma nel 1521 la Tribagia o Via sagra de Hierusalèm componi mento in versi detti eroici, ma non teatrale.
Chiaramente da essa si ravvisa che dentro delle alpi, dove appresero gli altri popoli a vendicarsi in libertà, e propriamente in Piacenza, in Padova, in Roma, colle rappresentazioni de’ Misteri rinacque l’informe spettacolo scenico sacro: che quivi ancora, e non altrove, nel XIV secolo se ne tentò il risorgimento seguendo la forma degli antichi coll’ Ezzelino e coll’ Achilleide tragedie del Mussato, e colle comedie della Filologia del Petrarca e del Paolo del Vergerio: che nel XV che fu il secolo dell’ erudizione, in latino continuarono a scriversi tragedie dal Corraro, dal Laudivio, dal Sulpizio, dal Verardo, e commedie dal Bruni, dall’Alberti, dal Pisani e dal Polentone; ed in volgare assicurarono alle Italiche contrade il vanto di non essere state da veruno prevenute nel dettar drammi volgari, la Catinia, l’Orfeo, il Gaudio d’amore, l’Amicizia, molte traduzioni di Plauto, il Giuseppe, la Panfila, il Timone: finalmente che gl’ Italiani nel XIV e XV secolo nel rinnovarsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici della Grecia, eccetto che nella sola Progne, ma dalle moderne storie trassero i più terribili fatti nazionali, e dipinsero la morte del Piccinino, le avventure del Signor di Verona, la tirannide di Ezzelino, la ferita del re Alfonso, la presa di Granata, l’espugnazione di Cesena. […] Dell’Encina si ha solamente impressa in Roma nel 1521 la Tribagia o Via sagra de Hierusalèm componimento in versi detti eroici, ma non teatrale.
Il Dottore vivente a quell’epoca e a noi noto sin qui era il Lolli ; ma egli, recatosi a Parigi nel 1653 per assumere nella Compagnia italiana la maschera di Dottor Baloardo, tornò in Italia, non so in che anno (nel’58 era certamente a Roma, come si vede ai nomi di Lolli e Bandinelli) per poi restituirsi una seconda volta a Parigi, ove e precisamente nel ’70, fece rappresentare una comedia intitolata Il Gentiluomo campagnuolo, ovvero Gli stravizzi di Arlecchino. […] Noto incidentalmente che a Roma nel 1658 era con lui nel distretto della Parrocchia di S.
Fu quindi nella Compagnia di Luigi Vestri, stipendiato dal vecchio DucaTorlonia per tre stagioni annuali in Roma, e quivi anche si rinnovarono i trionfi di Napoli.
Fargnoccola) erano il 1581 a Pisa, l’ '88 a Roma ove fu lor concesso di far comedie di giorno, però senza donne ; e il D'Ancona giustamente si domanda se quel senza donne voglia dire senza che le attrici recitassero, o senza presenza di donne ; e con ragioni che mi pajon irrefragabili trova più accettabile la prima spiegazione.
Il ' 46 si scritturò con l’Impresa Jacovacci pel teatro Argentina di Roma, e il ' 48 con Gandolfi e Landozzi in qualità di primo attor giovine.
Filippo Gherardelli scrisse una tragedia intitolata Costantino pubblicata in Roma nel 1653. […] A Dite, ella dice nell’atto III, Anderò dall’Egitto, e non da Roma. […] Nobili sono i suoi sentimenti allorchè determina di morire, supponendo, che Augusto col pretesto di nozze voglia esporla in Roma al rossor del trionfo. […] Posteriore di alquanti anni alle tragedie del Delfino fu il Corradino del lodato Caraccio, essendosi pubblicato la prima volta in Roma nel 1694, cioè quattro anni dopo che ebbe dato fuori il suo poema l’Impero vendicato che egli credeva men difficile impresa, che il comporre una vera tragediaa. […] Vedasi la di lui dedicatoria della tragedia a monsignore Spinola governador di Roma.
Cruciani, Teatro nel Rinascimento: Roma 1450-1550, Roma, Bulzoni, 1983, pp. 219-225. […] Altre feste furono organizzate a Roma per quella storica vittoria: F. […] Bellina, Roma, Salerno, 1994, vol. […] Crescimbeni, L’Arcadia, Roma, De’ Rossi, 17112, pp. 80-81. […] I, Roma, Salerno, 2001, pp. 433-451.
Ma v’è chi per riuscirvi si vale di troppe ipotesi, mostrando in un sol luogo differenti paesi, e in due ore di rappresentazione il corso di molti lustri e talvolta di secoli interi, come avviene in Madrid e in Londra; e chi all’opposito se ne permette pochissime, come si usava anticamente in Atene e in Roma, ed oggi usasi in Italia e in Francia.
Roma li 13 feb.º 1630.
Andò poi a Roma a recitare (che allora non era colà interdetto alle donne il prodursi sul teatro), ed ivi diede alla luce una commedia in prosa intitolata : Il Ruffiano in Venezia, e Medico in Napoli, stampata per Bartolommeo Lupardi l’anno 1672 in forma di dodici.
Un Erve di Roma ti parla Bolognese vestito da [illisible chars], e tu non lo [illisible chars] Non si [illisible chars]scene attore [illisible chars].
Di più quel letterato ci diede una notizia non vera, né verisimile, allorché scrisse che si «rappresentarono con indicibile applauso in Roma e in Napoli» sotto Leone X. […] Paolo Giovio, minuto biografo di questo Pontefice, che tante particolarità ci riferisce degli Spettacoli da lui fatti rappresentar in Roma, non parla punto di commedie spagnuole ivi rappresentate. Don Nicolas Antonio altro di lui non dice, se non che dimorò in Roma in tempo di Leone X, e vi scrisse alcune satire contra de’ cardinali (e nella Propaladia ancor se ne legge una) e dovette scapparne via e rifuggirli in Napoli in casa di Don Fabrizio Colonna.
Morto il padre Lapy, passò con la moglie nella Compagnia di Maddalena Battaglia, ove stette sino all’autunno del 1795, per recarsi poi a Roma ove stette tutto il carnevale ’96. […] Alle suppliche della moglie atterrita, alle sue lagrime incessanti egli dovè cedere finalmente : e, passando di pericolo in pericolo, potè varcare il confine e recarsi a Roma sottraendosi così a morte sicura alla quale, per le sue idee liberali, era già stato dalla Commissione reale condannato.
Fu dedicata a Leone X e rappresentata magnificamente nel 1514 in Vicenza ed anche in Roma, ma s’ impresse la prima volta nel 1524. […] Egli trasse dalla storia de’ re di Roma l’eccesso della spietata Tullia per esporlo sulle scene. […] Nel II Tazio venuto dal campo racconta a Publio Orazio l’esito della pugna, nella quale Roma ha trionfato, ed egli ha perduti due figli, dal qual racconto è abbattuta la misera Orazia colla notizia della morte dello sposo. […] Si contentarono i nostri di farne cantare i soli cori, come si fece in Vicenza, in Roma, in Ferrara, nel rappresentarsi Sofonisba, Orbecche ec.. […] fa solo menzione dell’edizione di Roma del 1726.
Per rappresentare al Valle di Roma in una sola stagione di Carnevale il Mondo della Noia, sborsò a Giovanni Emanuel cinquemila lire in oro.
Dal '25 si passa a una lettera del '35, in cui dopo di avere accennato a un nuovo sputo di sangue avuto il '29 a Padova, racconta come la passata quaresima (1734) tornando da Roma fosse caduto con tutto il calesse in mezzo a un fiume, e avesse dovuto restar due giorni in una casa di contadini per asciugarsi, dalla quale partì a cavallo, essendo il calesse infranto, con vento e neve così terribili, che credette morirsi per via.
Figlia del precedente e di Elisa Duse, nacque a Torino (tolgo la seguente cronologia artistica da un album in onore di lei – Roma, Voghera, 1900) il 20 agosto del 1866.
Se non diciamo come l’enciclopedista che questa tragedia sia un capo d’opera e la più bella che sia comparsa sulle scene, ravvisiamo pure nel Catone dipinto da Addisson quel gran Romano della storia che solo osò contendere colla fortuna e colla potenza di Cesare e prolongare i momenti della spirante libertà di Roma, quell’uomo prode, per valermi dell’espressione di Pope, Che lotta col destino Tralle tempeste e grandemente cade Misto a ruine di cadente stato. […] Perchè un punto anzi tempo cadria Roma? […] Roma è quella che chiede il nostro pianto. Roma nutrice di eroi, donna del mondo, Roma non è più! […] Altro il valore Non ti lasciò degli avi Nella terra già doma Da soggiogar che il Campidoglio e Roma.
Nelle opere di Antonio Conti si afferma che furono cantati a Roma e a Vicenza i cori della Sofonisba e che tuttavia resta la musica de’ cori della Canace . […] Una traduzione eccellente se ne fece in bei versi castigliani da Giovanni Jauregui uscita in Roma nel 1607, ed in Siviglia nel 1618 a. […] Le Pompe funebri del celebre Cesare Cremonino, e le pastorali di Laura Guidiccioni dama lucchese ornata di molto merito letterario, cioè la Disperazione di Sileno, il Satiro, il Giuoco della Cieca, e la Rappresentazione di anima e di corpo recitata in Roma colla musica di Emilio del Cavaliere, furono pastorali degli ultimi anni del secolo dettate, sì, con istile lirico, ma non tale da recarci rossore. […] Gli si perdonino i suoi difetti, per non guastar sì bell’opera ponendovi mano Roma e Atene vorrebbero averne una pari.
Nelle opere di Antonio Conti si afferma che furono cantati a Roma e a Vicenza i cori della Sofonisba; e che tuttavia resta la musica de’ cori della Canace. […] Una eccellente traduzione se ne fece in bei versi castigliani da Don Giovanni Jauregui uscita in Roma nel 1607, ed in Siviglia nel 1618134. […] Le Pompe funebri del celebre Cesare Cremonino, e le pastorali di Laura Guidiccioni dama Lucchese ornata di molto merito letterario, cioè la Disperazione di Sileno, il Satiro, il Giuoco della Cieca, e la Rappresentazione di anima e di corpo recitata in Roma colla musica di Emilio del Cavaliere, furono pastorali degli ultimi anni del secolo dettate, sì, con istile lirico, ma non tale da recarci rossore. […] Roma e Atene vorrebbero averne una pari.
Fu dedicata a Leone X e rappresentata magnificamente nel 1514 in Vicenza ed anche in Roma, ma s’impresse la prima volta nel 1524. […] Egli trasse dalla storia de’ re di Roma l’eccesso della spietata Tullia per esporlo sulle scene. […] Perdendosi l’impresa, ella dice, ognuno in Roma altro non perde che la libertà, Ma io, io, se Roma vince, perdo Il marito dolcissimo e i cognati. […] Si contentarono i nostri di farne cantare i soli cori, come si fece in Vicenza, in Roma, in Ferrara, nel rappresentarsi Sofonisba, Orbecche ec. […] Il Fontanini nel l’Eloquenza Italiana fa solo menzione dell’edizione di Roma dal 1726.
Costui, al riferir del medesimo Patrizi, fiorì nell’Olimpia. de XXXVIII, cioè l’anno innanzi Cristo 628, e della fondazione di Roma 126. […] Euripide l’anno primo dell’olimpiade LXXV, cioè 479 anni innanzi alla venuta del Redentore, e 224 della fondazione di Roma, nacque in Salamina, ove per la famosa spedizione, che preparavasi da Serse contra la Grecia, si erano ritirati i suoi genitori Mnesarco e Clitona, i quali gli diedero il nome di Euripide per la celebre vittoria dagli Ateniesi di loro compatriotti riportata sopra i Persiani presso alla bocca dell’Euripo in quel medesimo giorno ch’egli uscì alla luce del mondo.
Metastasio, che Le disposte senz’arte Semplici là del Palatino colle Natie piante selvagge, eran la scena delle prime rappresentazioni teatrali che si fecero in Roma. […] Egli è certo, che quando Tiberio cacciò da tutta Italia gl’ istrioni per la loro somma petulanza e immodestia, e che quando Nerone medesimo, alcun tempo dopo averli richiamati, fu costretto per timor di qualche grave periculo a bandirli da Roma, non cessarono le rappresentazioni delle favole teatrali, segno evidentissimo che non vennero compresi nel bando sotto il nome d’ istrioni i tragedi e comedi, cioè coloro che recitavano e cantavano drammi regolati.
E di lui direttore, per una recita della Fedora di Sardou al Valle di Roma, scrisse il D’ Arcais nell’aprile dell’ ’83 : Ad onor del vero, il merito del successo di Fedora è dovuto, in gran parte, all’esecuzione. […] A Roma del ’70, poco innanzi l’entrata delle truppe italiane, egli, caduto di leva, desiderò di abbandonar la compagnia per tema di esser dichiarato disertore.
Antonio Conti Nobil Veneto, che in Vicenza, e in Roma furono cantati i Cori della Sofonisba, ciò che ci addita le due rappresentazioni. […] Siasi poi, o no, rappresentata in Roma, è una cosa fuori della presente questione col Signor D. […] venne da un suo zio chiamato in Roma, e vi dimorò tre anni.
Non furono delle ultime a goderne Venezia, Bologna, Roma, Torino, Napoli. […] La di lui Arianna si rappresentò pure in Roma, dove da un Porporato si compose l’Adonia lodato dal Crescimbeni. […] I suoi drammi di argomento cristiano recitati in Roma con applauso s’intitolano, la Comica del cielo, la Vita umana, la Sofronia, la Datira, oltre ad altri due di soggetto morale intitolati Dal male il bene, e Chi soffre spera.
Allora solamente saranno i virtuosi sotto regola e governo; e noi potremmo sperare a’ giorni nostri di veder quello che a’ tempi de’ Cesari e de’ Pericli vedeano Roma ed Atene.
quella che correva tra Atene emula di Serse e tra quella della Grecia avvilita sotto i Macedoni, o tra quella di Roma donna del Mondo noto, o della Francia che noi ammiriamo?
.° 3 di Bellotti-Bon, diretta da Cesare Rossi ; dal '77 all’ '81 in quella della Città di Torino, l’'82 con la Marini, dall’ '83 all’ '87 con la Compagnia Nazionale di Roma, dall’'88 al '90 con la Marini, dal '91 al '93 in Società con Novelli, dal '94 al’96 con Andò, dal '97 al '99 con la Reiter.
Se non diciamo come l’enciclopedista, che questa tragedia sia un capo d’opera e la più bella di qualunque teatro , ravvisiamo pure nel Catone dipinto da Adisson quel gran Romano della storia che solo osò contendere colla fortuna e colla potenza di Cesare e prolongare i momenti della spirante libertà di Roma, quell’uomo grande, per valermi dell’espressiòne di Pope, Che lotta col destino Tralle tempeste, e grandemente cade Misto a ruine di cadente stato. […] Perchè un punto anzi tempo cadria Roma? […] Roma è quella che chiede il nostro pianto. «Roma nutrice di eroi, donna del mondo, Roma non è più! […] Altro il valore Non ti lasciò degli avi Nella terra già doma Da soggiogar che il Campidoglio e Roma!
Galbert de Campistron, Arminio…, Roma, F. […] , XI, 1452b5-8; Agrippa… Quinault: Philippe Quinault, Agrippa ou le Faux Tibérinus (1663), ripetutamente tradotta e rappresentata, sia a Bologna (1695) sia a Roma (Agrippa…, recitata… Collegio Clementino nelle vacanze del Carnovale nell’anno MDCCXI, Roma, F. […] Sartori, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1997, p. 84. […] M., Alceste, in Id., Teatro, Roma, per Francesco Gonzaga, 1709, p. 318 (ora in Id., Teatro, a cura di H. […] Crescimbeni, Comentarj intorno alla sua Istoria della volgar poesia, I, Roma, per Antonio de Rossi, 1702, pp. 24-25.
Leone X che illustrò i primi anni di sì bel secolo, amando l’erudizione, la poesia e gli spettacoli scenici, gli promosse in Roma come gli avea favoriti nella sua patria; e ciò bastò per eccitare i più grand’ ingegni a coltivar la drammatica. […] Vedi l’epistola 35 del libro XXIII di Erasmo, il quale però parmi che lo chiami Pietro; ma Giano Parrasio che lo commenda assai, e lo considera come il restauratore dell’antica decenza del teatro, e Paolo Giovio, e Pierio Valeriano, e Leandro Alberti che lo conobbe in Roma, tutti lo chiamano Tommaso.
Di fuori : Auisi di Roma di 28 di luglio 1582. […] Io credo, per esempio, si debba senz'altro riconoscere il Pasquati nel Pantalone del documento Romano riferito dall’Ademollo ne'suoi Teatri di Roma, che è un Processo dell’archivio del Governatore pel 1565, nel quale, accanto a cotesto Pantalone, figura Soldino : quel Soldino che noi vediamo del 1570 a Vienna congiunto a un Julio, a cui furon pagati l’ 8 aprile dodici talleri, e che molto probabilmente è il nostro Pasquati.
Sei ne produsse in Roma il dotto Carpani nel 1745. […] L’avversione contro di Roma traluce, nè foscamente, nella scena 4 dell’atto IV da i detti di Lorenzo. […] E’ il dio di Roma ... […] E’ il dio di Roma ... […] Oh Padre . . . oh Roma!
Ella gli apparisce e gli fa il vaticinio prima de’ suoi errori, poscia della fondazione di un nuovo imperio: e in questo mezzo tra il fumo di Troia si vede nel fondo del teatro risplendere l’aureo Campidoglio; e seguita un coro degli dei e un ballo degli geni protettori di Roma.
Ma v’é chi per riuscirvi si vale di troppe ipotesi, mostrando in un sol luogo differenti parti del mondo e in due ore di rappresentazione il corso di molti lustri, come si suol fare in Madrid e in Londra; e chi all’opposito se ne permette pochissime, come si usava anticamente in Atene e Roma, e oggi usasi in Italia e Francia.
, nata il 1732, morta il 10 gennaio 1800 a Dresda, vedova dal 16 febbraio 1787 di quell’organista di Corte Pietro Augusto ; Un figlio, di cui lo scrittore di memorie non ci dà il nome, nato dopo la morte del padre, morto povero a Roma, circa il 1783, prete e maestro di francese.
Questo capo lavoro venne rappresentato per 20 sere in Parigi per la prima volta l’anno scorso, e venne bene accolto nei principali Teatri di Torino, Milano e Roma ; il cui titolo è MARCELLINO GIOVINE TAPPEZZIERE personaggi attori Marcellino Sigg.
Degli otto figliuoli avuti dal suo matrimonio, tre perirono, fra i quali Arturo, attore prima con Salvini, poi con Cesare Rossi e con la Duse, con cui stette quindici anni, morto a Roma l’aprile del '901.
Giovanni Leone Sempronj da Urbino produsse in Roma nel 1724 la sua tragedia il Conte Ugolino. […] Giovanni Antonio Bianchi minore osservante nato in Lucca nel 1686 e morto in Roma nel 1758, conosciuto per gli sforzi perduti contro la Storia Civile del Giannone, e pel libro de’ vizj e de’ difetti del moderno teatro uscito in Roma nel 1753, pubblicò sotto il nome Arcadico di Lauriso Targiensé nel 1761 in quattro volumi dodici tragedie regolari, decenti e giudiziose, ma non vigorose, eccellenti e sublimi. […] Egli pur ebbe molte situazioni interessanti e teatrali in mezzo alle stranezze; egli fu dunque calzando il coturno ciò che era il nostro Cerlone nelle sue chiamate commedie mostruose e talvolta interessanti reimpresse in Roma colla falsa data di Bologna. […] Biamonti seguendo le tracce di Euripide ha prodotta in Roma nel 1789 un’ Ifigenia in Tauri, uno de’ due argomenti tragici della Grecia, che Aristotile antiponeva ad ogni altro. […] Di questa tragedia recitata in Roma nel 1782 m’incresce singolarmente l’introduzione priva di verisimiglianza e proprietà.
Quel che però non ammette dubbio veruno, è che in Roma nel 1264 fu istituita la Compagnia del Gonfalone, che per oggetto principale si prefisse il rappresentare i misteri della passione di N. […] Nel XV secolo rappresentava pubblicamente nel coliseo di Roma la passione; e le parole del dramma si composero dal vescovo di S. […] I cori Dionisiaci in Grecia non erano vere azioni teatrali; nè tal fu la ludrica degli Etruschi introdotta in Roma; ma di quelli e di questa si conservano le memorie da quanti imprendono a favellare dell’origine e del progresso della poesia teatrale greca e latina; essendo come le povere scaturigini de’ gran fiumi, che con ogni diligenza e con diletto curiosamente si rintracciano. […] La pubblicazione poi degli Statuti di essa seguì nel 1584 nella stessa Roma, cioè trecentoventi anni dopo dell’istituzione.
Orazio Benevoli, Anton-Maria Abbattini, Francesco Foggia, Pietro Picerli e il rinomatissimo Cesti cominciarono in Roma i primi a ripolire alquanto e simplificar l’armonia dagl’ispidi intrecci del contrappunto, a concertar con più esattezza le parti, a connetter fra loro i passaggi secondo il luogo, che debbono occupare nella modulazione, a scegliere e regolare gli accordi secondo la relazione che hanno essi col tutto. […] Allora si svegliarono dappertutto gli ingegni, ed ecco sorgere a debellar il gusto fiamingo, che da lungo tempo vi dominava, il Cassati, e il Melani a Roma, il Segrenzi a Venezia, il Colonna a Bologna, il Bassani a Ferrara, e lo Stradela a Genova celebre non meno per l’abilità sua che per i suoi amori e tragico fine. […] Roma, dove la particolar esecuzione della musica sacra avea da lungo tempo introdotta la necessità degli studi e de’ maestri, fioriva allora per l’industria e pe’ talenti dei Fedi, e di Giuseppe Amadori, i quali uniti con esempio non troppo comune ai letterati in fratellevole amicizia cogli altri uomini valenti nell’arte del suono e della composizione, comunicavansi a vicenda i lor sentimenti e le osservazioni loro al comune giudizio esponevano, onde poi copiosi lumi ritraeva ciascheduno per corregerne i propri difetti, per migliorarne il piano di educazion musicale, e per dilatarne i confini dell’arte. Serve d’argomento a provar la diligenza di questi eccellenti maestri il costume che avevano, siccome riferisce il Buontempi illustre allievo della scuola romana, di condurre a spasso i loro discepoli fuori delle mura di Roma colà dove si ritruova un sasso famoso per l’eco, che ripete più volte le stesse parole. […] [18] Il primo fu Baldassarre Ferri perugino, creato poi cavaliere, che imparò la musica in Napoli e in Roma verso la fine dello scorso secolo, e in gloria del quale benché morto in fresca età si conservano tuttora varie raccolte di poesie, produzioni dell’entusiasmo che ovunque eccitava quel sorprendente cantore.
Leone X che illustrò i primi anni di sì gran secolo, amando l’erudizione e gli spettacoli scenici, gli promosse in Roma in varie guise, come gli avea favoriti nella sua patria. […] Nel 1513 si rappresentò ancora pomposamente in Roma il Penulo di Plauto, quando Giuliano de’ Medici, di lui fratello, fu dichiarato cittadino romano; benché non ci si dice da Paolo Giovio, se il pontefice vi assistette. […] La tragedia fu dedicata a Leone X, il quale con somma magnificenza la fece rappresentare prima dell’anno 1516 in Roma. […] La musica, costante amica dei versi ancor de’ selvaggi, la quale nell’oriente si frammischia senza norma fissa neller, e in Atene e in Roma avea accompagnata or più canoramente, come ne’ cori, or meno, come negli episodi, la poesia rappresentativa, nelle grandi rivoluzioni dell’Europa se ne trovò divisa. […] Marmontel, autore di una Poetica che più non si legge in Francia, e s’ignora da per tutto, hanno trovato luogo in una per altro non dispregevole operetta intitolata Del Teatro, proscritta in Roma nel 1771; e ristampata in Venezia nel 1773 presso Giambatista Pasquali.
Roma stessa vantò un Lelio e uno Scipione Affricano come coadjutori di Terenzio, un Cornelio Silla dittatore, il gran Germanico, e Cajo Claudio imperadore scrittori di commedie; Giulio Cesare, Cesare Augusto, Tito Vespasiano, e Mecenate e Vario e Ovidio e Lucano e Stazio e Seneca che coltivarono la tragedia, e Orezio Flacco che si fe ammirare non meno come grande emulo di Pindaro, che come critico incomparabile di teatral poesia.
Fu lo Scherli, dopo la pubblicazione delle rime nell’anno 1760, acclamato pastore arcade di Roma col nome di Anassandeide Caristio, e dopo quella delle Notti, Pastore Ereino di Palermo col nome di Dendrio Ipsisto.
Da Milano andò a Venezia, da Venezia a Napoli, da Napoli a Roma, a Firenze, a Torino, campando la vita col fare il comico e il saltimbanco.
Catone pretese in Roma la censura, e i nobili corrotti formarono un partito per contrastargliela. […] I Toscani in ogni tempo dissero eloquio, eloquenza, loquela, loquace, loquacità, interlocutori; or perchè per acconcia analogia non dirassi anche interloquire ammesso in Lombardia, in Roma, ed in Napoli, se non nella Toscana?
Ne produsse ancora quella degli Umoristi di Roma cominciata dopo il 1600. […] Esse veramente non portano il nome dell’autore che le compose, cioè di Francesco d’Isa sacerdote erudito che dimorava in Roma, dove morì sull’ incominciar del secolo.
E poi : Righetti dovrebbe obbligarsi a firmare un contratto annuo per una stagione a Roma, e per l’autunno nel primo anno '53. […] E la via del cuore la trovò infatti : chè il 28 del '52 la Ristori gli scriveva da Roma : « Nei nostri cuori fece gran senso la Sua lettera, ed in modo speciale nel mio, chè cresciuta, allevata, ed iniziata nell’arte da cotesta Regia Compagnia, me la figuravo un’istituzione imperibile, ed andrei superba di contribuire all’esistenza di questa, come una figlia riconoscente a quella della propria madre. » Ma l’onorario annuo portò, ultima concessione, a 20,000 franchi, che le furon dal Righetti accordati assieme a quanto d’altro chiedeva, in alcun punto solamente e lievemente modificato.
Restaurato a Roma il teatro Pallaccorda, oggi Metastasio, Giacomo Job vi tenne compagnia per due anni, con l’Anna prima donna, ruolo ch’ella non lasciò più sino al ’48.
Fu con Ermete Zacconi e con Giovanni Emanuel…. poi…. mutati i tempi, mutati i sistemi, mutati gl’indirizzi, mutate le scuole, si ritirò dall’arte in Roma, ov'è tuttavia, chiamata a coprire la cattedra di arte della recitazione nel Liceo musicale di Santa Cecilia, creata per decreto del Ministro Baccelli.
mo Del 1590 abbiamo questa lettera da Roma comunicatami da Angelo Solerti, autore con Domenico Lanza del Teatro Ferrarese nella seconda metà del secolo xvi : Ser.
Si recò poscia a Palermo, dove conobbe e sposò Lorenza Elisabetta o Isabella Del Campo, pregiata serva sotto il nome di Marinetta ; e di là a Roma, ov’ebbe le più festose accoglienze, e dove Marinetta si sgravò di un maschio che gli fu tenuto a battesimo dal cardinal Fabio Chigi, poi Papa Alessandro VII. […] Alla fine del ’47, o al principio del ’48, il Fiorilli, insieme agli altri comici abbandonò la Francia pei torbidi della Fronda ; e lo vediamo il carnovale del ’52 a Roma, colla moglie Marinetta e colla coppia Fiorillo, come appare dalle loro lettere indirizzate al Duca di Mantova (V. […] [http://obvil.github.io/historiographie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img135.jpg] Il ’69 lo troviamo in un teatro pubblico di Roma : e andava ogni tanto, con tutta la compagnia, a recitare dalla Regina di Svezia. […] La Granduchessa domandò del Principe7 et il quale presto anderebbe a Roma.
Catone pretese in Roma la censura, e i nobili corrotti formarono un partito per contrastargliela. […] I Toscani in ogni tempo dissero eloquio, eloquenza, loquela, loquacità, loquace, interlocutori; or perchè per acconcia analogia non dirassi anche interloquire ammesso in Lombardia, in Roma ed in Napoli, se non nella Toscana?
Girolamo Gigli Sanese ingegnoso e brillante letterato sin da’ primi anni del secolo consacrò qualche ozio alla poesia comica, insegnando in qual maniera potevano recarsi in italiano le comiche bellezze de’ migliori Francesi, e nel 1704 pubblicò in Venezia i Litiganti, ossia il Giudice impazzito franca ed elegante versione de’ Plaideurs di Racine, e nel 1711 impresse in Roma in tre atti il suo Don Pilone imitata anzi che tradotta dal Tartuffe di Moliere. […] Il teatro degli Aliberti in Roma costruito da Ferdinando Bibiena, e quello di Tordinona eretto da Carlo Fontana, appartengono allo scorso secolo, benchè quest’ultimo siasi restaurato sotto Clemente XII. […] Se ne sono occupati di proposito e scientificamente il conte Enea Arnaldi Vicentino nell’opera Idea di un Teatro nelle principali sue parti simile a’ teatri antichi all’uso moderno accomodato in Vicenza 1762: l’Anonimo nel trattato Del Teatro impresso in Roma del 1772: il nominato Vincenzo Lamberti nella Regolata Costruzione de’ Teatri stampata in Napoli nel 1787.
Roma stessa vantò un Lelio e uno Scipione Affricano come coadjutori di Terenzio: un Cornelio Silla dittatore, il gran Germanico, Cajo Claudio imperadore, furono scrittori di commedie: un Giulio Cesare, un Cesare Augusto, un Tito Vespasiano coltivarono la tragedia, non che un Mecenate, un Varo, un Ovidio, un Seneca, e uno Stazio: Orazio Flacco si fece ammirare da’ contemporanei e da’ posteri come critico inimitabile di teatral poesia.
Dice il Quadrio che fosse una rozza rappresentazione sacra la Tragedia dell’erudito Giovanni Sulpizio rappresentata in Roma sotto il Pontificato d’Innocenzio VIII.?
Non erano adunque gli attori peruviani schiavi abbietti, come nella China e nell’antica Roma, ma persone nobili e decorate, come in Atene.
Roma, 1893).
Si si o bon tia al più bon rutori al più bel vrlador pr dir la to intintation, che sia ma vsci dalla scola d’Zezaron, potta d’Zuda, s’Roma perdes qstù, a mi la free po castrà da vera, va mit zo qste rob, e tua quel cha t’hò dit, e vsa bona salcizza da Vdine di gratia intorno à Fiora, che vaga a cà d’la sorella d’la patrona, sat Pocintesta garbat ?
Così vuol Roma, ed Alba: Obbedir lor conviene. […] Tragedie, commedie, pastorali nella drammaturgia europea fra Cinque e Seicento, a cura di Silvia Carandini, Roma, Bulzoni, 2000, pp. 13-28; Valeria Merola, «Il piacere obliquo e la meraviglia. Sulla Poetica di Lodovico Castelvetro», in Lodovico Castelvetro: filologia e ascesi, a cura di Roberto Gigliucci, Roma, Bulzoni, 2007, pp. 305-318. […] Utile anche, in proposito, il profilo storico sui diversi significati assunti dal termine «classico» offerto da Silvia Tatti, Classico: storia di una parola, Roma, Carocci, 2015. […] I letterati e la scena, Atti del XVI Congresso Nazionale Adi, Sassari-Alghero, 19-22 settembre 2012, a cura di Guido Baldassarri, Valeria Di Iasio, Paola Pecci, Ester Pietrobon e Franco Tomasi, Roma, Adi editore, 2014).
Se ne fecero varie edizioni31 e traduzioni; ma la prima di queste fu quella Italiana impressa in Roma pel Silber o Franch l’anno 1506, indi reimpressa in Venezia cinque altre volte sino al 1553. […] Ci diede poi il Nasarre una notizia nè vera nè verisimile, allorchè scrisse che esse si rappresentarono con indicibile applauso in Roma e in Napoli sotto Leone X. […] Don Nicolàs Antonio che parla distesamente del Naarro di Torres, afferma solo che dimorò in Roma in tempo di Leone X, e vi scrisse alcune satire contro i cardinali (e nella Propaladia ancora se ne legge una), e dovè scapparne via e rifuggirsi a Napoli in casa di Don Fabrizio Colonna. […] Era poi verisimile che farse così triviali, languide, insipide e magramente scritte, si tollerassero in Roma, quando in essa e nelle altre più chiare città Italiane si rappresentavano tante dotte, eleganti, ingegnose e vivaci commedie del Machiavelli, dell’Ariosto, del Bibiena, del Bentivoglio? […] Altre sei delle sue favole volle denominar tragedie, cioè el Duque de Viseo, Roma abrasada, el Castigo sin venganza, la Bella Aurora, la Sangre inocente, el Marido mas firme.
NEI rimanente della Repubblica e sotto i primi Imperadori applicaronsi alla poesia rappresentativa, non che i liberti e gli stranieri eruditi, i più cospicui personaggi di Roma. […] Se di tragedie intenda favellare quest’ultimo nell’ode che a lui indirizzaa, Pollione ebbe anche il merito di uscire da soliti argomenti tratti da Omero e dalle favole Greche, ed esporre con nobile intrepidezza sul teatro di Roma la civile querela di Cesare e Pompeo, ed il giogo imposto dal vincitore a tutta la terra, fuorchè al gran cuore di Catone, Et cuncta terrarum subacta Praeter atrocem animum Catonisb. […] In fatti Ennio (non c’incresca ripetere alcune delle cose già dette) diede a Roma una Medea esule, che fe dire a Cicerone (de Finibus) non potervi essere alcuno così del nome Romano nemico che ardisca sprezzar quella tragedia. […] Aggiungansi a ciò le nominate tragedie di Curiazio Materno esaltate dall’autore del dialogo sulla corruzione del l’Eloquenza; quelle di Pomponio Secondo distinte per l’erudizione e per l’eleganza; la Medea di Lucano; l’Agave di Stazio sì bene accolta in Roma, ed encomiata dal satirico Giovenale. […] Ora tutto ciò si oppone perfettamente all’idea che della latina tragedia formata si avea Carlo Denina, il qualea asseri che in Roma si stava peggio ancora nella tragedia che nella commedia .
Quindi al facondo dir Roma si tacque, E gli fregiò di uerde alloro i crini.
Se ne fecero varie edizioni a, e traduzioni; ma la prima di queste fu quella italiana impressa in Roma pel Silber e Franch l’anno 1506, indi reimpressa in Venezia cinque altre volte sino al 1553. […] Ci diede poi il Nasarre una notizia nè vera nè verisimile allorchè scrisse che esse si rappresentarono con indicibile applauso in Roma e in Napoli sotto Leone X. […] Don Nicolas Antonio che parla distesamente del Naarro de Torres, afferma solo che dimorò in Roma in tempo di Leone X, e vi scrisse alcune satire contro i cardinali (e nella Propaladia ancora se ne legge una) e dovè scapparne via e rifuggirsi a Napoli in casa di don Fabrizio Colonna. […] Era poi verisimile che farse così triviali languide insipide magramente scritte si tollerassero in Roma, quando in essa e nelle altre più chiare città dell’Italia si rappresentavano tante dotte eleganti ingegnose vivaci commedie dell’Ariosto, del Machiavelli, del Bibiena, del Bentivoglio? […] Altre sei delle sue favole volle denominar tragedie, cioè el Duque de Viseo, Roma abrasada, el Castigo sin venganza, la Bella Aurora, la Sangre inocente, el Marido mas firme.
Oh Roma (egli esclama) oh patria! […] Quest’ultimo scrittore col Triumvirato, coll’ Elettra, coll’ Atreo apprestò ancora la materia alla di lui Roma salvata, recitata nel 1752, all’Oreste, a’ Pelopidi. […] Dopo di queste meritano il titolo di buone, Merope, Marianna, Roma salvata, Oreste, Edipo, l’Orfano Cinese, Semiramide, Tancredi, Olimpia. […] Va, non t’indebolir: porta al supplizio Tu quel maschio valor che in me non trovo; Più Romano di me mostrati a Roma. Roma di te si vendichi e ti ammiri.
Mai abbastanza non si ripete a costoro, che il tuono decisivo e inconsiderato é quello della fatuità, e che debbono apprendere; e sovvenirsene allorché son tentati di decidere, che questo Aristofane era un atenieso, il quale fioriva sul principio del IV secolo di Roma, tempo in cui i romani niuna cognizione aveano, non che dell’altre belle arti, della poesia teatrale, la quale pure da gran pezza coltivavasi in Italia dagli osci, e dagli etruschi, ed anche con più felice successo da i popoli della magna Grecia, e della Sicilia, che, come dice e mostra il dottissimo Tiraboschi, «in quasi tutte le parti della letteratura furon maestri ed esemplari agli altri greci» 35. […] N’ebbe Atene, n’ebbe Roma, ne han le patrie de’ Newton, de’ Descartes, de’ Galilei. Criticastri meschini, per ispacciarvi da uomini d’importanza, di spirito, di gusto, di buon senso, rinfaccerete, gonfiando la bocca, i potini ad Atene, gli orsi e i funamboli a Roma, i duelli de’ galli e ’l teatro delle teste da parrucche di M.
N’ebbe Atene, n’ebbe: Roma, ne hanno le patrie de’ Newton, dei Leibnitz, dei Des-Cartes, de’ Galilei e da’ Borrelli. Criticastri infelici, che non meritando neppure per la vostra superficialità di essere ascritti tra più volgari eruditi vi vantate orgogliosamente sacri ministri della filosofia, che nominate sempre, e non conosceste mai; oserete voi gonfiando la bocca rinfacciare i Potini ad Atene, gli orsi e i funamboli a Roma, i duelli de’ galli, e il teatro della teste di parrucche di Fout a Londra, gli spettacoli delle fiere e de’ baluardi a Parigi e l’arlecchino all’Italia?
N’ebbe Atene, n’ebbe Roma, ne hanno le patrie de’ Newton, dei Des-Cartes, de’ Galilei e de’ Borelli. Criticastri infelici, che non meritando neppure, per la vostra superfizialità, di essere ascritti tra volgari eruditi, vi vantate orgogliosamente sacri ministri della filosofia che nominate sempre e non conosceste mai, oserete voi gonfiando la bocca rinfacciare i Potini ad Atene, gli orsi e i funamboli a Roma, i duelli de’ galli e il teatro delle teste di parrucche di M.
E perchè egli parlando della rappresentazione che fecesi in Roma della Calandra del cardinal da Bibiena (assai più licenziosa della Mandragola) dice quasi scusandola, che “i papi, i cardinali e i prelati non si facevano scrupolo d’assistere a quelle licenziosità di gusto antico, perchè consecrate quasi da’ Greci e da’ Latini”?
Li tre finti turchi è fragli scenari di Basilio Locatelli, conservati alla Corsiniana di Roma (Acc. de’ Lincei).
Internari) ; ma più ancora in un libretto di poesie a Carolina Internari, impresso in Roma il 2 di maggio del 1818, la prima delle quali è del Ferretti, e diretta Ad Anna Fiorilli Pellandi Se ancor sovra le cento ali leggera Dalle bionde del Tebro acque sonanti Remigando ver te Fama non giunse Da che il socco ridevole calzato Nel giovinetto piede, e il sanguinoso Coturno Sofocléo, novella apparve Carolina la tua figlia d’ amore Orme a stampar su le Romulee scene, Arduo certame, che dal verde Eliso Tornando a ber con vivi occhi la luee Temerebbero ancor Roscio ed Esopo, Mentre su questi candidi papiri Della tua figlia a delibar le sacre Non vendevoli laudi impazïente Si sbramerà la vivida pupilla ; Certo di vena in vena a poco a poco Scender ti sentirai soavemente Il tuo core a tentar gioia materna.
Creò lo Zanarini al Valle di Roma la parte di Aristodemo nella tragedia di tal nome di Vincenzo Monti il 16 gennajo 1787 ; e pochi giorni appresso Volfango Goethe ne' Ricordi dell’ Italia scriveva : « L'attore principale in cui si concentra tutta la tragedia, si rivelò nella parola e nell’azione artista egregio.
Il carnovale la Compagnia era in Parma, dove si fecero i più magri affari ; e da Parma passò a Roma, d’onde fu inviata una lettera al Duca il 27 febbrajo, sottoscritta dallo Zanotti, da Marco Napolioni e da Carlo Cantù (V.), perchè interponesse i suoi buoni offici presso certo Messer Gio.
Nel 1711 fe imprimere in Roma in tre atti il suo Don Pilone imitata anzi che tradotta dal Tartuffo di Moliere. […] La prima in cinque atti acclamata in Roma, nel 1807 non piacque altrove. […] Si recitò con applauso la prima volta nel 1808 in Roma. […] Tito è l’odio di Roma. […] Trovasi il Socrate impresso in Roma nel 1790 nel tomo IV del Saggio Poetico del Galfo.
Vedono la luce in questi anni: Saggio sopra la giornata di Zama (1749), Saggio sopra l’Imperio degl’Incas (1753), Saggio sopra il Gentilesimo (1754), Saggio sopra quella quistione perché i grandi ingegni a certi tempi sorgano tutti ad un tratto e fioriscano insieme (1754), Saggio sopra Orazio (1760), Saggio sopra la quistione se le qualità varie de’ popoli originate siano dallo influsso del clima, ovveramente dalle virtù della legislazione (1762), Saggio sopra il commercio (1763), Saggio sopra l’Accademia di Francia che è in Roma (1763). […] La prima delle due edizioni del 1755, conclusa nel 1754, fu pubblicata all’inizio di una raccolta che comprendeva i seguenti discorsi: Sopra la durata de’ regni de’ re di Roma; Sopra la giornata di Zama; Sopra il Cartesio; Sopra la pittura; Sopra la rima e le Epistole in versi. […] Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, Buagni, 1700.
Però se un qualche Pindaro si fosse presentato nella piazza di Firenze col disegno di voler conciliare fra loro con un’oda i guelfi e i ghibellini, o se un Orfeo fosse venuto colla lira in mano in mezzo agli abitatori della moderna Roma per richiamare al loro spirito le spente idee di libertà e di gloria, il primo avrebbe fatta la figura di cantambanco o di giullare da piazza, e il secondo avrebbe corso rischio d’esser di nuovo messo a morte, ma non dalle baccanti. […] [24] Nè soltanto Fiaminghi e Francesi furono avidamente cercati dalle corti italiane, ma gli Spagnuoli eziandio, e gran riputazione acquistarono questi in Roma presso ai papi, e grande autorità presero nella Cappella Pontificia, i soprani della quale fino a’ tempi di Girolamo Rosini, perugino, erano stati tutti spagnuoli, secondo che rapporta l’italiano Andrea Bolsena nelle osservazioni per ben regolar il canto nella Cappella Pontificia45. […] Siffatta scoperta sconosciuta non meno al pubblico che al citato scrittore che ne ha ricercata l’origine, si ritruova nel compendio del sistema di esso Uregna fatto, e pubblicato in Roma in lingua spagnuola l’anno 166947 così per un destino che sembra proprio della nostra nazione, mentre si cerca vanamente in Germania, in Francia, e in Italia a chi debba attribuirsi la gloria di cotal ritrovamento, giace polveroso e dimenticato in qualche biblioteca il vero inventore. […] Tommaso della Vittoria nativo d’Avila illustrò anch’egli moltissimo la musica italiana non solo con opere assai pregiate a’ suoi tempi, le quali furono stampate in Roma l’anno 1585, ma con belle composizioni di pratica, per cui divenne rivale e socio del celebre Palestrina nel riformare e migliorare la musica ecclesiastica. […] [37] Oltre la festa descritta pur ora altri abbozzi appariscono dell’opera in musica nel dramma intitolato la Conversion di San Paolo messo, non sò il perché, dal Cavalier Planelli tra i componimenti profani53, rappresentato in Roma verso l’anno 1480 d’ordine del Cardinal Riario, e nella farsa che Alfonso Duca di Calabria fece recitare in Castel Capoano nel 1492, opera di Jacopo Sanazzaro.
Questa preghiera lacera il cuore di Bruto: oh Roma , egli esclama, oh patria! […] Più Romano di me mostrati a Roma. Roma di te si vendichi, e ti ammiri. […] Quest’ultimo scrittore col Triumvirato, coll’Elettra, coll’Atreo apprestò ancora la materia alla di lui Roma salvata recitata nel 1752, all’Oreste, ed a’ Pelopidi. […] Questo cardinale nel tempo della tremenda esecuzione si trovava in Roma, e Chenier, per un abuso della storia simile a quelli ne’ quali incorse il Belloy, lo mostra presente alla strage.
Nato a Roma nel 1784, si diede all’arte giovanissimo, ed esordì in Compagnia Zuccato, nella quale, in poco tempo, divenne l’attor principale. […] A lui dedicò Iacopo Ferretti il seguente sonetto : Non io perchè de’tuoi sublimi accenti il regolato suon, che non sa d’arte, e giugne al cuor come dal cuor si parte, interrompono ognor plausi frementi ; non perchè ne’tuoi muti atti eloquenti i pensier leggo come scritti in carte, nè perchè in vario mar sciogli le sarte, stupor perenne alle addensate genti ; ma perchè di natura alcuno hai vanto con brevi cenni, e semplici parole trar da ciglio Roman stille di pianto, dirò, che Roma al tuo partir si duole, e quelle stille su i tuoi lauri intanto saran gemme del Gange ai rai del sole.
Quel che però non ammette dubbio veruno, è che in Roma nel 1264 fu istituita la Compagnia del Gonfalone, che per oggetto principale si prefisse il rappresentare i Misteri della Passione di Gesù Cristo, siccome per lungo tempo continuò ad eseguire nella settimana santab. […] I Cori Dionisiaci in Grecia non erano vere azioni teatrali, nè tal fu la ludrica degli Etruschi introdotta in Roma; ma di quelli e di questa si conservano le memorie da quanti imprendono a favellare dell’origine e del progresso della poesia teatrale greca e latina; essendo come le povere scaturgini de’ gran fiumi, che con ogni diligenza e con diletto curiosamente si ritraccianoa. […] La pubblicazione poi degli Statuti di essa seguì nel 1584 nella stessa Roma, cioè trecentoventi anni dopo dell’istituzione.
Si faccia parimente grazia a codesto preteso matematico del non aver conosc iuta la storia letteraria Italiana, com’è dimostra proponendo per cosa tutta nuova all’Italia lo studio de’ Greci: a quell’Italia, dove anche nella tenebrosa barbarie de’ tempi bassi fiorirono intere provincie, come la Magna Grecia, la Japigia e parte della Sicilia, le quali altro linguaggio non avevano che il greco, e mandarono a spiegar la pompa del loro sapere a Costantinopoli i Metodii, i Crisolai, i Barlaami: a quell’Italia, che dopo la distruzione del Greco Impero tutta si diede alle greche lettere, e fu la prima a communicarle al rimanente dell’Europa, cioè alla Spagna per mezzo del Poliziano ammaestrando Arias Barbosa ed Antonio di Nebrixa, ed all’Inghilterra per opera di Sulpizio, di Pomponio Leto e del Guarini, maestri de’ due Cuglielmi Lilio e Gray: a quell’Italia, dove, per valermi delle parole di un elegante Spagnuolo) la lingua greca diventò sì comune dopo la presa di Constantinopoli, che, come dice Costantino Lascari nel proemio ad una sua gramatica, l’ignorare le cose greche recava vergogna agl’Italiani, e la lingua greca più fioriva nell’Italia che nella stessa Grecia a: a quella Italia in fine che oggi ancor vanta così gran copia di opere, nelle quali ad evidenza si manifesta quanto si coltivi il greco idioma in Roma, in Napoli, in Firenze, in Parma, in Pisa, in Padova, in Verona, in Venezia, in Mantova, in Modena, in Bologna, in Milano, che vince di gran lunga l’istesso gregge numeroso de’ viaggiatori transalpini stravolti, leggeri, vani, imperiti e maligni, tuttocchè tanti sieno i Sherlock e gli Archenheltz b. […] Dennis si offende, dice Johnson (e Dennis, signor Sherlock, era anche nato in Inghilterra) perchè Menenio senator di Roma faccia il buffone; e Voltaire crede che sia violar la decenza il dipingere che fa nell’Hamlet l’usurpatore Danese ubbriaco, Ma Shakespear sacrifica tutto alla natura, e alla verità. […] Avea egli bisogno di un buffone, ed il prese dal Senato di Roma, dove se ne sarebbe come altrove trovato più d’uno.
E il 28 ottobre dello stesso anno allo stesso Fiacchi, da Roma : L’ammalata – che pazientemente avete visitata ogni sera – è guarita – ma quando si ha sofferto non si dimentica – e io non dimentico che ho passato delle ore buone con voi. […] Tra le poesie ch’ella inspirò, non dispiacerà al lettore che io metta qui i quattro sonetti che la Contessa Lara pubblicò nel Corriere di Roma del 26 dicembre ’85, tutto in onore di lei, a illustrazione della Moglie di Claudio, degl ’Innamorati, della Teodora, della Fedora.
Il messinese Scipione Errico compose una pastorale graziosa l’Armonia d’Amore impressa due volte in Messina e la terza in Roma nel 1655.
Il Messinese Scipione Errico compose una graziosa pastorale l’Armonia d’amore impressa due volte in Messina e la terza volta in Roma nel 1655.
Fu in Sicilia con Piddo, Colombo, il celebre Pasquino, e Francesco Lombardi ; poi, il ’41 a Roma in società col Canova, e colla Vergano prima attrice.
Una sua conferenza tenuta al nostro Circolo filologico e ripetuta costi a Roma, fece rumore : un suo trattatello sull’arte del leggere, meritò gli elogi credibili del Carducci.
La disputa divenne sì viva che lo stesso Imperador Carlo Magno dimorante allora in Roma, comecché poco s’intendesse di tali affari, ebbe bisogno d’interporre la sua autorità per placargli, sentenziando poscia a favor de’ Romani contro ai propri sudditi, anzi mettendo questi sotto l’insegnamento dei primi. Pochi esempi ci somministra la storia di simili decisioni date da un principe vittorioso nello stesso paese conquistato da lui, né può attribuirsi la condotta di Carlo in tal circostanza che a somma venerazione per le cose di Roma, e forse anche al bisogno che aveva di amicarsi i Romani per assicurar maggiormente in Italia la sua possanza. L’uso dell’organo introdotto in Roma assai prima, obbliato per qualche secolo, e poi rinovato verso la fine del secol nono accrebbe gran lustro alla musica ecclesiastica.
Non il primo Cintio, di cui s’ ignora il nome, e che si fece conoscere a Roma nel 1550 (V. […] Roma, 1893).
Il presente lavoro nasce dalla rielaborazione delle ricerche svolte dall’autrice per la tesi di Laurea magistrale in Filologia moderna presso l’Università La Sapienza di Roma, in codiploma con l’Université Paris-Sorbonne, sostenuta nel settembre 2017, sotto la direzione della Prof.ssa Beatrice Alfonzetti e del Prof. […] A questo proposito, non bisogna trascurare l’esperienza maturata da Salfi tramite la rappresentazione presso il Teatro de’ Fiorentini di Napoli dell’Idomeneo (1792), scène lyrique alla maniera del Pygmalion di Rousseau, e del pantomimo Il general Colli a Roma (1797) presso La Scala di Milano. […] Per quanto concerne invece Il general Colli a Roma, il manoscritto del pantomimo consiste in una descrizione interamente didascalica di quello che avviene sulla scena, con particolare attenzione al decoro e alla disposizione spaziale di oggetti e personaggi. […] Salfi accenna dunque alla grande stagione della tragedia classica e espone brevemente l’evoluzione che la declamazione ebbe nella Roma antica, dove si presenta legata in maniera inscindibile alle figure di Cicerone e Quintiliano. […] [Intro.9] La stessa arte e lo stesso gusto passarono a Roma e i romani se non superarono i greci in questo genere gli emularono certamente come in tanti altri.
Per rimuovere dalla sua nazione un rimprovero così umiliante fatto da uno scrittore il più capace di giudicare di quanti fossero allor tra i viventi, s’ingegnò Angelini Buontempi, perugino, nella sua Storia della musica 81 di far vedere che i musici e i compositori italiani che fiorivano in Roma allorché si pubblicò ivi la Musurgia, niuna mano aveano avuta in quell’opera, cosicché gli errori giustamente ripresi nel Kirchero a lui doveano imputarsi, non già all’Italia. […] Allora l’utilissimo talento di gorgheggiar un arietta divenne una strada sicura per giugnere alle ricchezze ed agli onori, e ne fu dal popolo riguardato collo entusiasmo medesimo, con cui avea ricevuta in altri tempi Vetturia, allorché liberò Roma dal giogo di Coriolano, ovver Pompeo conquistatore dell’Asia e di Mitridate 84.
Nel Sertorio si prefisse di mostrare un modello di politica e di perizia militare, e vi si nota più di un tratto nobile, come questo, Rome n’est plus dans Rome, elle est toute où je suis, che forse ebbe presente il Metastasio nel far dire a Catone, Son Roma i fidi miei, Roma son io.
Tanti sono stati gli Apollodori, che l’erudito Scipione Tetti (infelice letterato napoletano condannato al remo come reo d’impietà per avere della divinità parlato con troppa imprudenza) ne compose un dotto trattato impresso in Roma nel 1555 insieme colla Biblioteca di Apollodoro tradotta in latino da Benedetto Egioa.
Io hò fabricato Bologna di mia mano, e molto prima, che impregnando Rea dessi cagione all’origine di Roma.
La musica costante amica de’ versi146 ancor fra selvaggi, la quale in oriente si frammischia nelle rappresentazioni senza norma fissa, ed in Atene e in Roma avea accompagnata la poesia rappresentativa ora più canoramente come ne’ cori, ora meno come negli episodj, nelle grandi rivoluzioni dell’Europa se ne trovò disgiunta.
A Roma, al Costanzi, a iniziativa e profitto della Società di Previdenza degli artisti drammatici, fu data una grande rappresentazione, in cui preser parte la Ristori, Salvini, la Marini, la Marchi : Enrico Panzacchi vi tenne la conferenza commemorativa.
Dopo di aver passato gli anni della fanciullezza col padre (il 1865 era con lui, il quale faceva il primo attore a vicenda col Germani, nella Compagnia del Teatro Valletto di Roma, capitanata dal brillante Cristofari), fu con Tommaso Massa, un attore brillante, ricco d’intelligenza, dicitore vero ed efficace, poco fortunato in arte, a cagione specialmente della sua meschina figura, con cui cominciò a recitar particine di generico, secondo brillante e amoroso.
La Roma d’oggidì è “una cosa evidente”, la Roma dei tempi di Traiano non si “vede”, dunque non può paragonarsi Roma antica con la moderna? […] La prima introduzione degli spettacoli scenici in Roma fa vedere che anche in Italia erano allora considerati come riti, e cerimonie religiose. […] Nella prima il lodevole desiderio di veder trasferita in Roma e in Napoli l’antica Atene lo sollecita a cercar nelle tragedie di Eschilo, di Sofocle e d’Euripide le arie, i duetti, i terzetti, i quartetti e i finali qualmente si trovano nell’opera italiana.
Cosa vogliono significare que’ tanti storcimenti di collo, quel girare cogli omeri, quel non aver mai il torace in riposo non altrimenti che facciano gli avvelenati o i punti dal morso della tarantola nel tempo che si espone la sua ragione ad un principe, o mentre Regolo parla gravemente col senato di Roma? […] E volgo è ancora l’aggregato degli uditori maggiore assai di quello che comunemente si crede, i quali indifferenti per natia rigidezza d’orecchio al piacere della musica, e disposti a pesar sulla stessa bilancia Gluck e Mazzoni, Pugnani e un dozzinale suonator di festino, potrebbero interrogati sul merito degli attori rispondere come fece quel bolognese che, trovandosi in Roma in una veglia presso ad un tavolino dove giuocavano certi abbati di condizione sconosciuti a lui e insorto fra i giuocatori un litigio intorno ad una giuocata cui egli non aveva potuto badare per aver dormito fino a quel punto, richiesto all’improviso da un abbate: «Che ne dice ella, signore? […] In Atene, avvegnaché non fossero così grandi come in Roma, pure erano vastissimi paragonati coi nostri. […] A quest’argomento rispondono il Signor Mattei nelle citate lettere, e dopo lui l’abbate Eximeno nell’opera altre volte citata dell’origine, progressi, e decadenza della Musica, che oltre i teatri grandi e scoperti v’erano in Roma nel tempo del suo gran lusso altri più piccoli, i quali erano coperti, dove il popolo poteva godere, e infatti godeva, di musica più delicata e gentile simile alla nostra.
Ma di ciò a me non s’appartiene il parlare; basterà dire soltanto che la disputa su tali oggetti fra il Vicentini e Vincenzo Lusitanio scrittore di musica anch’egli, che fioriva verso la metà del secolo decimosesto, divenne così interessante che divise la maggior parte dei letterati italiani, e si sostenne dai due campioni una spezie di pubblica tesi nella cappella del papa alla presenza del Cardinale di Ferrara, e di tutti gli intelligenti nelle scienze armoniche che allora si trovavano in Roma. […] [18] Dopo la dipartenza per Roma del Conte di Vernio, ove poi divenne maestro di Camera a’ servigi del papa Clemente Ottavo, la letteraria adunanza si trasferì alla casa di Jacopo Corsi altro gentiluomo fiorentino, non meno fautore delle belle arti, né meno intelligente nella musica massimamente teorica.
Pietro Trapasso, il cui cognome dal celebre Calabrese Gian Vincenzo Gravina, che l’educò nelle lettere per lo spazio di dieci anni, cangiato in greco suono divenne Metastasio e riempì l’Europa, nacque in Roma nel 1698, passò parte della gioventù in Napoli esercitandosi nel foro, succedette ad Apostolo Zeno nel 1729 nell’onorevol carica di Poeta Cesareo, e caro agl’ impp. […] Tito è l’odio di Roma.
Il nome di sofista fu prima dato da’ greci per titolo d’onore a’ veri filosofi, e significava sapiente, o professor di sapienza; ma dopo i tempi di Péricle essendosi i sofisti a dismisura moltiplicati in Atene, e mostrandosi (come coloro che poscia coll’istesso titolo sotto il regno degli antonini comparvero anche a nuvoli in Roma) prosontuosi, pieni di alterigia ed albagia, bizzarri, cavillosi e vani raziocinatori, frappatori, ciurmadori, avidi di guadagno, amanti di novità, di paradossi, di singularità, e quasi tutti sforniti d’ingegno, di buon gusto, e di soda dottrina, mossero contra di te la gentile ironia di Socrate, l’acra bile di Timone il sillografo, e in appresso il mordace riso di Luciano, e la denominazione di sofista cadde allora nel disprezzo e divenne ingiuriosa e odiosa.
La musica costante amica de’ versi a ancor fra selvaggi, la quale in oriente si frammischia nelle rappresentazioni senza norma fissa, ed in Atene ed in Roma avea accompagnata la poesia rappresentativa ora più canoramente come ne’ cori, ora meno come negli episodii, nelle grandi rivoluzioni dell’Europa se ne trovò disgiunta.
… « Ha recitato in Roma, in Fiorenza, in Siena, in Lucca, in Milano, in Brescia, in Verona, in Vicenza, in Padova, in Venezia, in Ferrara, in Mantova, in Parma, in Piacenza, in Pavia, in Cremona e in altre città, nelle quali tutte è rimaso il nome delle sue virtù impresso nelle umane menti, e i dolci accenti della sua voce risuonano ancora nell’orecchie di ciascuno….
Una conferenza di Adriano Palombi (Roma, '99).
Qui questi giovani non soffrirono di stare colle mani in mano mentre altrove si levavano ancora le armi ; un gruppo si recò in Ancona a pettinare gli Austriaci, ed un altro andò a Roma ove Garibaldi e Rosselli suonavano a martello.
[2] Roma, che in ogni tempo si dichiarò protettrice delle arti e delle lettere, sì perché le une e le altre servono ad abbellire il maestoso edifizio della religione, come perché questa nuova maniera di signoreggiare negli animi si confà molto alle mire di quella Capitale del mondo cristiano, e perché gli avanzi non anco spenti della sua grandezza la richiamano ogni giorno allo studio dell’antichità il quale tosto o tardi conduce al buon gusto, doveva parimenti promuovere la musica e la poesia.
E da Ferrara a tal uopo avevan chiamato Tommaso Bambasio, del quale voglio che tu sappia, e se la mia voce può giungere creduta ai posteri, sappiano anch’essi che in tutto lo Stato veneto egli è riguardato come un tempo Roscio fu in Roma, ed è a me caro ed amico, quanto fu questi a Cicerone.
Il Valeri (Un Palcoscenico del seicento, Roma, 1893) dall’errore del Quadrio e dall’essere stato il Cecchini valentissimo allievo dello Scala, trae la probabile ipotesi che la Cecchini fosse una figlia del maestro maritata allo scolare.
Il Triumvirato, Atreo, e Semiramide di Crébillon e l’Astrate di Quinault, fornirono la materia de’ Pelopidi, di Roma salvata, e della Semiramide di Voltaire. […] uscito in Roma nel 1774, che «nonostante la riforma del teatro francese, vi é rimasto da tempi antichi l’atteggiamento, il quale, quantunque a’ nazionali non paia strano, a’ forestieri sembra stravagante e ridicolo.
Transferita dipoi in Venezia, in Roma, in Bologna ed in Napoli come nel nativo suo paese, vi fece nelle due trascorse età tali e tanti progressi, che nelle nostre scuole pur dovettero i forestieri venire ad apprenderla.
Le cose sacre principalmente furono da lui maneggiate con maestria, e decenza sconosciuta fino a suoi tempi, poiché gli oratori spirituali, genere di componimento inventato in Roma da San Filippo Neri e da Francesco Balducci illustrato, giacevano allora nell’avvilimento abbandonati alle penne triviali.
Di Sirena di ciel, d’Hadria l’ arene vantàr superbe il glorïoso accento mentre rese Lavinia in tutto spento di Roma il pregio e lo splendor d’Athene.
Capo IV Teatro Italiano nel Secolo XVIII Que’ pochi eruditi che con sommo cordoglio e indignazione verso la fine del passato secolo vedevano la depravazione dell’eloquenza poetica e oratoria nel seno della madre delle arti, ebbero finalmente la buona ventura di far tanti proseliti e allievi del vero gusto, che nel 1690 poterono instituire in Roma un’accademia sotto il semplice nome d’Arcadia, e seminarne di mano in mano per l’altre città d’Italia varie colonie. […] Tito é l’odio di Roma.
Nel rimanente della Repubblica e sotto i primi Imperadori applicaronsi alla poesia rappresentativa, non che i liberti e gli stranieri eruditi, i più cospicui personaggi di Roma. […] Se di tragedie intenda di favellare quest’ultimo nell’ode che a lui indirizza116, Pollione ebbe anche il merito di uscire da’ soliti argomenti tratti da Omero e dalle favole Greche, ed esporre con nobile intrepidezza sul teatro di Roma la civile querela di Cesare, e Pompeo, ed il giogo imposto dal vincitore a tutta la terra, fuorchè al gran cuore di Catone, Et cuncta terrarum subacta Præter atrocem animum Catonis 117.
Oltre alla corrispondenza del Latouche, abbiamo anche varie commedie : Arlecchino e il Papa, commedia recitata nel 1831 all’Ambigu, e Carlino a Roma, o Gli amici di collegio, memoria storica in un atto di Rochefort e Lemoine recitata lo stesso anno alle Varietà.
Bisogna saper versare delle lagrime per tenerezza, come avvenne a Metastasio componendo la sua Olimpiade, e rendersi capace di quell’astrazione imperiosa che rapiva il Parmigianino a se stesso, il quale nel sacco dato a Roma a’ tempi di Clemente Settimo non sene accorse dei soldati ch’erano entrati a depredar la sua casa, mentre stava egli pacificamente dipingendo nel suo gabinetto. […] Non si sà, per addurne un qualche esempio, capire come Amilcare ambasciatore di Cartago in mezzo alle cure di una importantissima commissione fra le due repubbliche, abbia l’agio di sospirare tranquillamente per una schiava sugli occhi degli emoli ed austeri Romani; come Fulvio inviato da Roma per decider sul destino del mondo fra Cesare e Catone possa, senz’abbassar il proprio carattere, amoreggiar sul teatro la vedova del gran Pompeo; come Cesare, che tutt’altra cosa dovea rivolgere allor nel pensiero fuorché il badare ad una galanteria inutile, pur s’intertenga anch’egli a far il cascante, esprimendosi colla bella non altrimenti che far potesse un Celadone od un Aminta. […] Ho già fatto vedere quanto sconvenga all’impiego e dignità di Fulvio legato di Roma il perdersi in vani amoreggiamenti con Emilia, ma non è sconvenenza minore nel suo carattere quella del piccolo ripiego con cui non solo dissimula, ma positivamente finge con essa lei affine di scoprire i suoi disegni intorno a Cesare; finzione poco verosimile in un amante sugli occhi dell’amata, e poco dicevole all’integrità d’un romano.
Nel Sertorio si prefisse di mostrare un modello di politica e di perizia militare, e vi si nota più di un tratto nobile, come questo, Rome n’est plus dans Rome, elle est toute où je suis, che forse ebbe presente Metastasio facendo dire a Catone Son Roma i fidi miei, Roma son io.
Cristofero Suarez de Figueroa giureconsulto si distinse colla traduzione del Pastor fido impressa in Valenza nel 1609; ed il sivigliano Giovanni Jauregui buon pittore e poeta emulo del Quevedo e del Gongora che produsse in Roma la bella sua versione dell’Aminta nel 1607, ed in Siviglia con nuova cura nel 1618. […] Aspirare a divenire imperadore di Roma. È una ipotesi troppo inverisimile e ridevole per accreditar le situazioni che seguono, che un Idumeo signore di una parte della Palestina nel tempo che contendevano Ottaviano e Marcantonio dell’impero del mondo, concepisca il disegno di farsi padrone di Roma.
Cristoforo Suarez de Figueroa giureconsulto si distinse colla traduzione del Pastor fido impressa in Valenza nel 1609; ed il Sivigliano Giovanni Jauregui buon pittore e poeta emulo di Quevedo e di Gongora impresse in Roma la bella sua versione dell’ Aminta nel 1607, ed in Siviglia con nuova cura nel 1618. […] Aspirare a divenire imperadore di Roma. È una ipotesi troppo inverisimile per accreditar le situazioni che seguono, che un Idumeo signore di una parte della Palestina nel tempo che contendevano Ottaviano e Marcantonio, concepisca il disegno di farsi padrone di Roma.
Antonio Valeri (Carletta) nel suo pregevole studio (Un palcoscenico del seicento, Roma 1893) fu il primo, col soccorso del ritratto che è innanzi alla Florinda, a stabilire erronea la data di nascita dell’Andreini (1579) accettata sin quì da i più.
Allor questa s’ascolta con un profondo silenzio, poi con istrepitose e fanatiche esclamazioni di “bravo evviva” accompagnate di battimenti di mano replicate cento volte; indi si torna all’antico dissipamento che ti par quasi di sentire come si lagnava Orazio dei teatri di Roma, il vento che rimuggia per entro alle boscaglie del Gargano o i fremiti del mar di Toscana109, Gian Jacopo Rousseau nella sua celebre lettera sulla musica francese vorrebbe far l’onore agl’Italiani di non credere che così avvenga ne’ loro teatri, ed attribuisce simili effetti che si veggono costantemente in Parigi, all’indole soporifera e monotona della musica francese. […] Ho udito persone intelligentissime raccontarmi che trovandosi in Roma, ed ascoltando ivi il famoso Miserere del Palestrina eseguito dai cantori della cappella pontifìcia senz’altro ornamento che quello d’una voce fermata e sostenuta a dovere, si sentivano esse rapire in estasi di divozione e di dolcezza interna, lo che non era loro avvenuto di esperimentare sentendo lo stesso salmo cantato in altre città con tutto lo sfoggio delle moderne scuole.
.), che si facciano viaggiare i personaggi da Madrid a Roma, e poi ritornare.
E il dotto Giacomo Vernet anche così scrivea fanno 1729 da Roma agli autori del bel giornale intitolato, la Bibliotheque italique tom.
[20] Un’altra ragione potrebbe addursi per ultimo, ed è che essendosi vedute di buon ora in Italia signorie grandi, e possenti, come quella di Genova, Pisa, Firenze, Vinegia, Roma, Milano e Napoli, dove la magnificenza, il lusso, le arti, e il commercio contribuivano non meno ad ingentilir l’ozio che a fomentarlo, la tendenza al piacere, che da tai radici germoglia, e della quale la storia italiana ci somministra esempi sorprendenti, s’introdusse per entro a tutte le facoltà del gusto, che hanno per immediato strumento la parola.
Ho udito ancor annoiarsi i nazionali per un patriotismo soverchio affettato e per le frequenti declamazioni contra di Roma, cose che a tempo e parcamente usate converrebbero ai Numantini, ma con tanta frequenza e trasporto, manifestano troppo l’autore.
E come potevano un Muratori, un Maffei, un Crescimbeni, un Martelli, un Gravina, uomini forniti della più riposta erudizione antica, dichiararsi contro il canto teatrale, sapendo che Atene e Roma, le maestre dell’Universo colto, l’aveano usato costantemente, producendo con esso su’ cuori quegli effetti, che non ci fanno sperare i moderni?
Ma ch’egli ha il Coliseo di Roma per Pallone, & la torre de gl’Asineli da Bologna per bracciale, & che se ne vadi trastulando per solazzo, ò questo non si può udire senza tenerlo per pazzo, & s’ è tale perchè poi darli tua figlia, ò tua sorella per moglie ?
Mai abbastanza a costoro non si ripete che il tuono decisivo e inconsiderato è quello della fatuità, e che debbono apprendere e ritenere, per sovvenirsene nelle loro decisioni, che questo Aristofane era un Ateniese, e che fioriva sul principio del quarto secolo di Roma nell’olimpiade LXXXV, pochi anni meno di quattro secoli e mezzo prima dell’Era Cristiana. […] Tanti sono stati gli Apollodori, che l’erudito Scipione Tetti (infelice letterato Napoletano condannato al remo come reo d’impietà per avere della divinità parlato con troppa imprudenza) ne compose un dotto trattato impresso in Roma nel 1555 insieme colla Biblioteca di Apollodoro tradotta in latino da Benedetto Egio120.
Questo è benissimo inteso. hor ditene di gratia se la scena si fingerà, per cosi dire, esser Roma, et che la comedia [poniam caso] si reciti in firenze, questo prologo, con chi ha da parlare, et in che loco hà da mostrar di trouarsi ?
Cette date est constatée par la Préface des Statuts de la compagnie et par Ottavio Panciroli, Tesori nascosti di Roma , p. 488. […] Il Ritratto di Roma moderna, en 1645, in 8°, p. 435, Roma ricercata, imprimée en 1699, in 8°, p. 73; Guido Panciroli in Roma sacra e moderna, en 1725, p. 37; Crescimbeni nei Commentarii de la volgar poesia, p. 242 3.
Dico che furono i primi, poiché sebbene trovinsi fra i Greci surriferiti alcuni gesti esprimenti un qualche fatto, ciò nonostante l’idea d’una intiera commedia o tragedia rappresentata da capo a fine senza il soccorso delle parole e col solo aiuto dell’azione non fu conosciuto per la prima volta fuorché in Roma sotto il comando di Augusto.