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10. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo primo »

Onde accusar il dramma musicale perché introduce i personaggi che cantano, è lo stesso che condannarlo perché si prevale nella imitazione de’ mezzi suoi invece di prevalersi degli altrui: è un non voler, che si trovino nella natura cose atte ad imitarsi col suono, e col canto: è in una parola accusar la musica perché è musica. […] In contraccambio la musica è più espressiva della poesia, perché imita i segni inarticolati che sono il linguaggio naturale, e per conseguenza il più energico, egli imita col mezzo de’ suoni, i quali, perché agiscono fisicamente sopra di noi, sono più atti a conseguire l’effetto loro che non sono i versi, i quali dipendendo dalla parola, che è un segno di convenzione, e parlando unicamente alle facoltà interne dell’uomo, hanno per esser gustati bisogno di più squisito, e dilicato sentimento. […] [23] Ecco il perché gli apotegmi amorosi riescono così insipidi sul teatro. […] Se riguardasi la musica, poca unità d’espressione vi può mettere il compositore, perché essa non si trova nell’argomento, poco interesse nella melodia, perché poco v’ha nell’azione, e perché la poesia non è che un tessuto di madrigali interrotti da stravaganze, la modulazione non è che un aggregato di motivi lavorati senza disegno. […] Perché tutto è anima, tutto immagine, tutto dilicatezza nel poeta mantovano. perché sa parlare alla fantasia idoleggiando ogni cosa, al cuore scegliendo i quadri più interessanti, all’orecchio lavorando i suoi versi con una varietà e dolcezza d’armonia, che incanta.

11. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo terzo »

Ora in niuno di cotai luoghi potea impararsi dai primi cristiani la musica, perché l’uno, e l’altro erano a loro religiosamente vietati, siccome domicili di gentilesca superstizione, e di disonestà. […] Non sarebbe inverosimile che gl’Italiani l’avesser trovata, sì perché non sembra probabile che avesser musica da tanto tempo senza conoscer quelle cose, che sono indispensabili a ben regolarla, come perché le invenzioni di Guido a quelle altre agevolmente conducono. […] Perché tal oscurità circa il tempo delle invenzioni, e degli inventori? […] Ed ecco il perché le rappresentazioni sacre ebbero in Grecia sì lunga durata, e di tal importanza furono considerate. […] Incomprensibile ne’ suoi misteri, perché le operazioni dell’Esser infinito oltrepassano la debole potenza della finita ragione, esso ricava maggior motivo di venerazione della sua medesima oscurità.

12. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Capitolo decimosettimo, ed ultimo »

Ma basta egli che piaccia una cosa, perché debba essere accolta ed applaudita? […] Del resto, perché la poesia italiana è dotata d’un’arditezza maggiore, perché ha più di spirito e di brio che non la nostra, perché abbonda di tuoni più felici fa d’uopo perciò avvilire la poesia francese? […] Essi ci rendono consapevoli all’opposto che l’opere di Empedocle, di Parmenide, di Nicandro, e di Teognide, comecché fossero scritte in versi, pure non furono giammai comprese nel numero de’ poemi, non perché loro mancava l’entusiasmo, ma perché era da loro sbandita la finzione. […] In primo luogo perché qui non si tratta di creare un componimento misto, che partecipi dell’oda e del poema epico, ma di conservare qual’è un’azione musicale tutta drammatica. […] In secondo luogo, perché gli inconvenienti, a’ quali il Brown vorrebbe ovviare, rimangono gli stessi nel piano proposto.

13. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Delle scene »

[5.2] Perché i vestiti fossero costumati insieme e bizzarri, ci vorrebbono i Giuli Romani e i Triboli, che diedero prova anche in tal genere del loro valore; o almeno faria mestieri che i nostri uomini che presiedono al vestiario fossero inspirati dal genio di quegli eruditi artefici. E molto più saria mestieri che dagli odierni pittori seguite fossero le tracce di un San Gallo e di un Peruzzi, perché ne’ nostri teatri il tempio di Giove o di Marte non avesse sembianza della chiesa del Gesù, una piazza di Cartagine non si vedesse architettata alla gotica, perché in somma nelle scene si trovasse col pittoresco unito insieme il decoro e il costume. […] Né altrimenti esser poteva; perché essendo sì innalzati in quella medesima età per dare ricetto all’opera tanti nuovi teatri, è necessariamente avvenuto che abbia posto lo studio nel dipinger le scene un assai maggior numero d’ingegni che fatto non avea per lo addietro. […] Veggonsi assai volte i personaggi venir dal fondo del teatro, perché di là solamente ci è l’uscita nella scena; ed ognuno può avere avvertito con quanta disconvenienza ed offensione dell’occhio. […] E generalmente parlando, nel mescolare il vero col falso sono necessarie le più grandi cautele, perché l’uno non ismentisca l’altro, e il tutto paia di un pezzo.

14. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo sesto »

Le credette, perché un sistema, che spiegava materialmente i fenomeni della natura, era più adattato a quegli uomini grossolani, su i quali aveano i sensi cotanto imperio. Sen compiacque perché l’amor proprio, quel mobile supremo dell’uman cuore, vi trovava per entro il suo conto. […] S’Enea abbandona Didone è perché un nume gliel comanda, e se i Tiri dopo sette mesi di resistenza s’arrendono ad Alessandro, non è per mancanza di coraggio, gli è perché Ercole è comparso in sogno al celebre conquistatore offerendogli le chiavi della città. […] O perché l’essenza del nostro spirito è riposta nell’azione continua, o perché, essendo di capacità indefinita, non trova alcun oggetto individuale che a pieno il soddisfaccia, onde nasce il desiderio di percorrere tutti gli oggetti possibili, o perché l’ingenita tendenza al piacere lo spinge a variare le sue modificazioni per discoprire tutte le relazioni, che hanno le cose con esso lui, o per qualche altra causa a noi sconosciuta, certo è che l’uomo è naturalmente curioso. […] Ed ecco il perché fin dal principio di rado o non mai venne sola la musica, ma quasi sempre accompagnossi colla pompa, colla decorazione e collo spettacolo ne’ canti carnascialeschi, nelle pubbliche feste e ne’ tornei: benché tristo compenso dovea riputarsi questo nella mancanza d’espressione e di vera melodia.

15. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Enea in Troia »

Enea si accosta a lei, perché almeno si esplori se dentro al cavallo vi fosse qualche agguato dei Greci. […] L’Atto terzo incomincia da Enea, il quale in sulle prime vigilie della notte destato dalla terribile visione che ha avuto di Ettore, viene alla tomba di lui, vi reca doni ed offerte, commisera il destino della patria, attesta gli dei di aver fatto quanto era in lui perché non venisse condotto dentro di Troia il cavallo fatale, e domanda agli medesimi dei la forza di cui era dotato Ettore, quando arse le navi dei Greci, perché la Patria, se ha da cadere, non cada invendicata.

16. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo undecimo »

Notisi ancora la mirabile sua strettezza e precisione nel dialogizzare quando lo richiede il bisogno, dote la quale contribuisce moltissimo alla bellezza di quelle scene non solo perché tende a schivare le lunghe dicerie dei tragici del Cinquecento, e gli ambiziosi ornamenti di moderni Francesi, ma perché risveglia maggiormente l’attenzione degli uditori, perché ravviva il loro interesse mettendo più di rapidità nelle circostanze, perché rende la musica più unita, e conseguentemente più energica, e perché la scena diventa più viva frammettendovisi molt’azione. […] Sì, perché molti. […] Gli uomini perché vi ritrovano la vera copia dell’originale che hanno dentro di sé. Le donne perché niun altro scrittore fa loro conoscer meglio la possanza sorprendente della bellezza e l’ascendente del loro sesso. […] A me non giova            Perché non l’amo.

17. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo secondo »

[3] Dal primo semplicissimo riflesso intorno alla formazione delle vocali, e delle consonanti risulta che la lingua più a proposito per il canto sarà quella: primo, che conti maggior numero di vocali, perché facendosi in esse le permanenze della voce, sarà maggiore il numero delle intonazioni, e per conseguenza degli elementi del canto: secondo, che impieghi maggior numero d’inflessioni diverse nel proferirle, perché ogni inflessione diversa nella pronunzia apporta seco un nuovo tratto di espressione nella melodia: terzo, dove la pronunzia di essi suoni sia più decisiva, e marcata, perché ivi avrà più forza l’accento, e più sensibile renderassi il valor musicale delle note: quarto, che non usi nelle parole di troppo rincontro di lettere consonanti senza l’interruzione delle vocali, perché tardandosi troppo nel proferirle, la misura si renderebbe lesta ancor essa, ed imbarazzata, e perché costretto il compositore a escludere molte parole, come disadatte alla espressione, s’impoverirebbe di molto il linguaggio musicale: quinto, dove il passaggio di parola in parola sia più spedito, e corrente, perché ciò contribuisce non meno alla dolcezza della lingua, che all’agevole collocazione delle note. […] Non debbe avere pronunzia gutturale nelle vocali, perché nascendo cotal difetto da troppo aspra percussione nell’apertura della glottide, siffatto percuotimento nuoce alla nettezza e leggiadria del suono, il quale non esce assottigliato nella guisa che si richiede. Non dee averla nasale, perché facendosi una risuonanza troppo confusa nella cavità della bocca, e delle narici, il suono s’offusca, e l’accento perde molto della sua chiarezza. Debbe altresì esser priva di sillabe, o vocali mute, sulle quali, non potendo la voce far le sue poggiature a cagione, che non si pronunziano, i passaggi s’intorbidano, e la misura musicale s’imbroglia, perché bisogna notarle quantunque scommettano nel discorso, dalche nasce che le note di rado o non mai vadano d’accordo coll’intonazione, come spesso adiviene nella musica francese. Non ha d’avere dittonghi di suono indeterminato, e confuso, perché non avendo essi un valore determinato nella pronunzia, non possono né meno riceverlo dalle note, le quali non hanno in tal caso che una espressione insignificante.

18. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro I. — Capo VIII. Vuoto della Storia Teatrale. » pp. 172-179

Ma non ostante il numero e la magnificenza de’ teatri, e le ricchezze e ’l favore degl’istrioni, noi cominciamo di qui a trovar il vuoto della storia teatrale, perché la poesia drammatica in tal periodo non acquistò veruno scrittore greco o latino che meritaste di passare a’ posteri. […] Gli stessi capi d’opera dell’antichità si lessero pressoché in tutti i tempi e in tutti i luoghi; or perché non riprodussero sempre gli’ stessi effetti? […] Costui nelle Origini della Poesia Castigliana asserisce primamente, che i romani portarono in Ispagna i giuochi scenici, di che gli saremmo tenuti, se ne avesse addotta qualche prova; ma egli non appoggia la sua assertiva con veruna ragione o autorità113, e solo prorompe in invettive contra Filostrato, perché nella vita di Apollonio affermò, che la Betica in tempo di Nerone neppur conosceva gli spettacoli scenici. […] Non si é fatta menzione finora di teatro ebreo, perché effettivamente non ve ne fu prima che nella Palestina dominassero i greci e i romani.

19. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro II. — Capo VI. Spettacoli Scenici Spagnuoli nel medesimo Secolo XVI. » pp. 252-267

Mentre tali cose avvenivano nel pubblico teatro, non mancò chi s’ingegnasse di far qualche traduzione e qualche commedia che non si trova mentovata da Cervantes, probabilmente, perché non si rappresentò, né influì agli avanzamenti dell’arte. […] Or perché poi cotesto scempiato eremita, il quale, senza sapersi perché, si rende complice d’un attentato sì atroce, aspetta fino a quel punto a fare una richiesta sì importante e necessaria per impedir l’uccisione d’Orfea poco meno che eseguita? E’ chiaro: quando domanda il servo, la commedia incominciava, e per farla continuare, Floristan dovea risponder di sì; e l’eremita domanda verso la fine, e se gli risponde di no, perché la commedia dovea terminare. […] Non si può sapere, perché gli spagnuoli convengono in dire che questo «Tanco adolecìa de presumido» e vanaglorioso; e ’l dotto don Nicolàs Antonio afferma che i titoli degli accennati opuscoli inediti pieni di novità e di gonfiezza dimostrano la di lui vanità174. […] Né ciò si dice perché importi gran fatto l’esser primo; ché io amerei piuttosto esser ultimo come Euripide, che anteriore come Cherilo, o Senocle.

20. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo IV. Teatro Italiano nel Secolo XVIII » pp. 316-354

Se Euripide precedette a tutti in trattarlo, perché non si ha da dire che appartiene alla grecia? S’é di tutti i paesi, perché ne attribuisce la proprietà alla Francia, e taccia di furto tutti i paesi che volessero farne uso? […] Molti critici hanno asserito che la maggior parte delle favole metastasiane viene dalle francesi, perché non seppero che la maggior parte delle francesi si trasse dalle italiane. […] A ragione adunque un’opera di tal natura é stata ricevuta con applauso universale, aspettandosene con ansia il proseguimento, perché scriva di supplimento alla storia civile del regno di Napoli del nostro Giannone. […] Egli é dolce e gentile, perché abbonda di parole che cominciano e finiscono in vocali, il che spesseggia l’elisioni e fa più fluida la pronunzia: é sonoro e maestoso perché le sue vocali sono per lo più aperte e vigorose, cosa che rende il suono delle voci chiaro e pieno: é armonioso, musico, e poetico, perché é dotato di una profonda vie più sensibile di quella degli altri linguaggi; onde riesce molto più favorevole alla musica e alla varietà de’ suoni: é ricco e abbondevole, perché più d’ogni altro ha tratto dall’erario de’ greci e de’ latini, più d’ogni altro é figurato, e più d’ogni altro possiede diminutivi e aumentativi, e l’indole sagace della madre e della nutrice, prerogative che lo rendono più atto e più capace alla diversità de’ movimenti, alla vaghezza e vivacità dei vari colori e delle mezze tinte, e all’aggiustatezza delle modulazioni: finalmente é pieghevole e accomodantesi, perché può, a giudizio dell’orecchio e dell’intendimento, trasporre, impiegando con piena libertà l’iperbato e sue differenti maniere; cosa che gli somministra maggior nobiltà ed energia, chiarezza e melodia, e gli fa evitare il duro e l’unisono».

21. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro I. — Capo V. Teatro greco. » pp. 26-81

Chiamar Clitennestra nella propria casa, perché voglia assisterla nel finto parto imminente. […] Or perché si darà ad Ippolito per tal ragione, quando egli porta la corona effettivamente nel dramma? […] Ah perché non poss’io spegner la sete     Ne l’onda pura di solingo rio?     Perché sul verde prato al rezzo assisa     I miei mali ingannar non m’é concesso? […] Perché non dir tu stessa Ciò che forza é scoprir?

22. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — [Epigrafo] »

[Epigrafo] «Non per questo perché a noi manca quella squisitezza, e quella vivezza d’ingegno, la quale ebbero Tucidide, e gli altri scrittori insigni, saremo egualmente privi della facoltà che essi ebbero nel giudicare.

23. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Capitolo decimosesto »

Se nella serie accennata si trovano dei muovimenti che m’imbarazzano, o perché nulla significano, o perché hanno una significazione ideale, arbitraria, non fissata dall’uso e dalla convenzione, o perché non sono abbastanza connessi cogli antecedenti e coi posteriori, o perché distornano la mia attenzione dalla idea principale, o perché si distruggono a vicenda e si contraddicono; il linguaggio della pantomima è non solo cattivo, ma al fine delle arti imitative perfettamente contrario. […] L’ultima circostanza è più d’ogni altra legge necessaria alla pantomima, perché non avendo verun altro compenso, qualora non esprima una qualche situazione viva dell’anima, essa non significa niente. La ragione si è perché nessuna operazione dell’uomo porta seco un gesto animato e imitabile fuorché la passione. […] Tale appunto è il ballo, il quale per essere meno naturale all’uomo che non è l’uso de’ vocaboli, ha un significato men chiaro e meno intelligibile perché men fissato dalla convenzione, e meno atto a rappresentare l’idee complicate e riflesse dello spirito. […] Così, dic’egli, i soldati diverrebbero più intrepidi e più virtuosi, perché la virtù cresce in proporzione del maggior piacere che le s’offre in premio, e perché i maggiori anzi i soli piaceri della vita sono quelli dei sensi.

24. (1772) Dell’opera in musica 1772

Non m’inoltro a dichiarare altre spezie di ragioni, tra perché le già esposte bastano al mio intendimento, e perché da esse derivano le più piacevoli simmetrie. […] ARISTEA: Perché così mi dici, Anima mia perché? […] L’alta non può entrare in questo numero, perché inetta al movimento delle passioni. […] Perché egli ottenga sì fatto intento, la sua prima cura consisterà nella scelta nel dramma. […] Aristea: Perché così mi dici, / anima mia perché?

25. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo nono »

[1] Lo spettacolo dell’opera tutto insieme piaceva nondimeno agli Italiani ad onta de’ suoi difetti sì per la novità, sì perché non ne avevano un altro migliore. […] La natura ha questo di proprio, che basta che ci si mostri nel suo vero aspetto, perché tosto faccia nascer vaghezza di sé. […] La forza degli argomenti, la convinzione dello spirito, l’eccitamento delle passioni, farte insomma di persuadere sebbene non possano ottenersi senza osservar la sintassi, non è perciò che dalla sintassi in tal modo dipendano, che basti l’averla osservato perché altri divenga oratore. […] Giacopo Carissimi, illustre compositore romano dopo la metà dello scorso secolo, cominciò a modular i recitativi con più di grazia e di semplicità, avvegnaché non vi si facesse allora particolar riflessione sì perché il gusto del pubblico rivolto intieramente alle macchine e alle decorazioni badava poco alla dilicatezza della composizione, come perché la poesia dei drammi così poco interessante faceva perdere il suo pregio, anche al lavoro delle note. […] Il suo stile composto di volatine, di gruppetti, di passaggi ricercati, di trilli, e di mille altri abbellimenti, se bene piacesse in lui perché proprio e tutto suo, era nullameno esposto a degenerare in abuso, qualora venisse imitato da cantori inesperti.

26. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo quarto »

Dico più a lungo e non sempre, perché appena prese voga il contrappunto, la musica provenzale restò anch’essa infettata dalle solite stravaganze39. […] In contraccambio il clero sovente li perseguitò fino a proibire con frequenti scomuniche i loro congressi, o perché temeva che portando gli uomini al dissipamento servissero ad alienarli dall’utile e salutare tristezza che esige la religione, o perchè vedeva colar in mani profane quei doni, che potevano più utilmente convertirsi in limosine a servigio dell’Altare, o perché mescolandosi poscia cogl’istrioni, e coi mimi, erano divenuti infami al paro di loro per pubblica scostumatezza. […] Perché ciò? Perché una general corruttela avea tarpate le ali dell’entusiasmo, come quelle della virtù; perché la poesia fu riguardata soltanto come ministra di divertimento e di piacere, non mai come strumento di morale o di legislazione; perché essendo disgiunta dalla musica aver non poteva un vigore che non fosse effimero, né una energia che non fosse fattizia; perché trar non si seppe alla unione di quelle due arti il vantaggio che sarebbe stato facile il ricavare in favore della religione, mal potendosi eccitar l’entusiasmo religioso nelle cerimonie ecclesiastiche colla musica semibarbara, che allora regnava, applicata ad una lingua, cui il popolo non intendeva, onde mancò la poesia innale, e con essa uno dei fonti più copiosi del sublime poetico; perché i governi non pensarono a dar all’impiego di poeta e di musico l’importanza che gli davano i Greci, giacché invece degli Stesicori e dei Terpandri, che in altri tempi erano i legislatori e i generali delle nazioni, si sostituirono ne’ secoli barbari i monaci e i frati che convocavano a grado loro il popolo, intimavano la guerra e la pace, si mettevano alla testa delle armate, ed erano non poche fiate l’anima de’ pubblici affari; perché finalmente, non potendo la lirica eroica giugnere alla perfezione, di cui è suscettibile, se non quando vien considerata come un oggetto d’interesse, e di generai entusiasmo, i poeti italiani d’allora non potevano eccitar né l’uno né l’altro per l’indole della loro lingua troppo fiacca per inalzarsi alla sublimità de’ Greci e degli orientali, e per le circostanze altresì della loro nazione troppo divisa perché lo spirito di patriotismo vi si potesse vivamente accendere, e troppo agitata da intestine discordie, e dalla inquieta politica di certe corti, perché vi si potesse sviluppare quell’interesse generale, che fu mai sempre il motore delle grandi azioni. […] La ragione si è, perché sebbene gli arabi adottassero ne’ loro versi la misura e quantità delle sillabe, avevano anche la corda grave e la corda leggiera, il palo congiunto e il disgiunto, che davano qualche accento alle sillabe, e alternando le brevi e le lunghe rendevano il verso più armonico.

27. (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Della musica »

Quella cantilena che ne facea levare in ammirazione pochi anni addietro e ne dava tal diletto, ne riesce di noia presentemente e di fastidio; non perché sia men buona, ma perché divenuta vecchia, perché andata fuori di usanza. […] Perché non far lavorare maggiormente i bassi, e accrescere piuttosto il numero de’ violini, che sono gli scuri della musica? Perché non rimettere i liuti e le arpe, che col loro pizzicato danno a’ ripieni non so che del frizzante? Perché non restituire il loro luogo alle violette instituite già per fare la parte media tra i violini e i bassi, onde risultava l’armonia?

28. (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo I. Teatro Italiano nel Secolo XVII. » pp. 268-275

Avvegnaché la prima Accademia scientifica dei segreti della natura fosse stata formata in Napoli nel secolo XVI (come afferma il dotto abate Gimma nella sua Italia letterata pag. 479) dal chiarissimo Giambatista la Porta, fertile ed elevato Ingegno, pregio della scienze, e dell’arti liberali, onore d’Italia, non che del regno, pure fassene qui menzione, perché parecchi membri di essa col lor capo vissero nel XVII, e furono aggregati nell’Accademia de’ Lincei istituita in Roma l’anno 1603 dallo scienziato principe Federigo Cesi Duca d’Acquasparta, il quale «con raro immortale esempio», secondo che ci dice il signor abate Amaduzzi nel Discorso filosofico sul fine ed utilità dell’Accademie, «la sua casa e le sue sostanze per essa consecrò, e di museo, di biblioteca, e d’orto botanico generosamente la arricchì». […] Si dee anche considerare, che l’intelletto dell’uomo non avendo se non se una misura fissa e molto stretta di quello che si può sapere, perde da una parte quanto acquistai dall’altra; e perciò dice assai bene il dottissimo conte Lorenzo Magalotti «che il capitale del sapere sia stato appresso a poco sempre l’istesso in tutti i tempi, e che la differenza sia consista nell’essersi in un secolo saputo più di una cosa in uno più di un’altra, come quel magazzino che oggi é pieno di spezierie, domani di tele, quell’altro di lana, e va discorrendo; ma di tutte quelle mercanzie non ve n’é mai più di quello che importano i corpi e il credito di quella casa di negozio, che lo tiene in affitto… Bisogna poi ricordarsi, che quello che noi sappiamo adesso, si sapeva tremil’anni fa, e ch’é della Filosofia, come delle mode, che non sono mode, perché comincino a usare adesso, ma perché é un pezzo che non erano usate».

29. (1878) Della declamazione [posth.]

Il perché non è tutto metaforico quel che i poeti fan dire alle piante ed ai bruti. […] perché tal ti fero Natura e il cielo? […] Alcune affezioni dell’animo sono più belle, perché più nobili e generose. […] Ed ecco perché certe espressioni appajono più belle di alcune altre dello stesso genere, perché la specie delle une è più interessante della specie delle altre, per la differenza del loro significato, ch’è più interessante nelle prime che nelle seconde. […] Il perché bisogna esporsi all’azione delle grandi passioni, se si vuole maneggiarle ed imitarle opportunamente.

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