Pure da quale classico scrittore ciò si ricava? Non da Livio, non da Strabone, non da Valerio Massimo che ne favellano. […] Vuoi tu che io sia conosciuto da altri che da chi mi dà da mangiare? […] Contiene una beffe fatta a quel vanaglorioso da un fervo per torgli di mano una fanciulla amata da un giovane Ateniese. […] Oltre a ciò che rilevasi da Polibio, da Livio, da Virgilio, da Strabone, vedi il lib.
Fratello del precedente, Arlecchino anch' egli, era nel 1572 capocomico in Inghilterra, secondo il Collier, citato da Adolfo Bartoli (op. cit., CXXIX), e in Ispagna l’ '88 col fratello Tristano, come abbiam da una sua lettera alla madre del 18 agosto, di cui lo stesso Bartoli (ivi, CXXX) riferisce le parole : staremo tutto quest’anno qui in Spagna. […] Ma se notizie non ci son pervenute di lui come attore, a bastanza ne abbiamo come uomo e come marito, in due lettere sue da Milano del 27 ottobre '91 e da Caravaggio del 9 novembre al capitano Alessandro Catrani, che il D'Ancona riferisce per intero (op. cit. […] A. da più testimonie degni di fede. […] E anche Tristano era siffattamente intricato nelle faccende del fratello, che da lui stesso sappiamo in una lettera del 2 maggio '98 al Duca, come entrambi fosser perseguitati e minacciati di morte ; onde chiedeva protezione al Duca, non volendo ricercar nè vendetta, nè giustizia, ma desiderando solo di viver da cristiani e giustamente.
La tabernaria frammischiava l’eccellenza alla bassezza, e prendeva il nome da taberna, luogo frequentato da persone di ogni ceto. […] Laberio per suo esercizio e diletto compose moltissimi mimi che si rappresentavano, e forse da lui stesso ancora privatamente. […] Mazio da Gellio appellato dottissimo; e Lucio Crassizio di famiglia Tarantino. […] Batillo favorito da Mecenate giunse a far bandire da Roma e dall’Italia il suo emulo Pilade, benchè Suetonio ci dica esser costui stato esiliato, per avere dalla scena mostrato a dito uno degli spettatori che lo beffeggiava. […] Quì però è da avvertirsi che il culto della dea Flora è più antico della cortigiana Flora, e fu istituito da Tazio re de’ Sabini in Roma; e i giuochi Florali cominciarono l’anno di Roma 513; di che è da vedersi Isacco Vossio de Origine Idolatr.
Sembra che non interrottamente abbia in essi dominato lo spirito religioso primitivo, da che sino a questi tempi la commedia si considera da alcuni Cinesi come antico rito del patrio culto. […] Il re rappresenta da re, i suoi nipori o figliuoli da principi, da capitani o consiglieri i veri consiglieri o capitani, da servi i servi. […] Quanto alla musica trovasi da tempo remotissimo nella China introdotta, essendo stata inventata da Hoang-ty, e coltivata dallo stesso Fo-hi inventore del Kin dolcissimo stromento di trentasei corde o secondo altri di ventisette. […] Oltre alle rappresentazioni riferite hanno gli Orientali coltivati da gran tempo i balli pantomimici. […] Alquante etimologie ricavate da qualche parola Cinese e infilzate in certi libercoli mi diedero speranza per un momento.
Artista celebre nella maschera dello Stenterello, ch’egli creò, nacque a Firenze (fuori di Porta a Prato a San Stefano in Pane) il 13 agosto del 1751 da Filippo Del Buono, possidente. […] Il Landini, ultimo degli Stenterelli celebri, raccontava di avere udito (e le parole sue furon riferite nella Nazione del 31 marzo ’91 da Giulio Piccini (Jarro), a cui debbo gran parte di queste notizie, e di cui uscirà presto, editore Bemporad, una particolareggiata e documentata vita del nostro artista) che il nome venisse da un faceto garzone di parrucchiere, o da un gaissimo mendicante, il quale se ne stava sugli scalini d’un portone, chiedendo l’elemosina, e attirando la gente co’suoi lazzi, destando la pietà pel suo vestito, tutto toppe e brandelli, per la sua persona, scarna, allampanata, stentata : da ciò il nome di stento o stenterello, che si dà tuttora a un mingherlino e sparuto. […] Un po’alla volta, pur troppo, la maschera perdè la sua prima fisionomia, terminando col trasformarsi in un semplice personaggio da pochade e magari da operetta, oggi Stenterello in mare, domani organista nella Santarellina, e via discorrendo. […] Il Giornaletto dei teatri di Venezia del 1821 cita un Vincenzo Fracanzani il quale partito da Firenze sua patria, immaginò in Lombardia un nuovo ridicolo personaggio, cui diede il nome di Stenterello, che quantunque in lui non male accolto dal pubblico, tuttavia non fu da altri poi ricopiato. C’è qui dell’inesattezza, avendo nel ’21 il Del Buono già da quarant’anni creato la sua maschera ?
Il piano ed i versi del prologo, dell’atto I, e delle due scene prime del II e del III sono di Moliere; il rimanente si verseggiò da Pietro Cornelio, ad eccezione delle parole italiane, e de’ versi francesi da cantarsi scritti da Quinault e posti in musica da Lulli. […] Or questa filosofia da quanti filosofi e matematici d’ostentazione è conosciuta? […] Allo studio dell’uomo e della propria nazione Moliere accoppiò quello degli scrittori teatrali, e seppe approfittarsi delle loro invenzioni, non da plagiario meschino, ma da artefice sagace che abbellisce imitando. […] Egli convisse con Palaprat per alcun tempo con molta intimità, e da lui fu ajutato nella nominata commedia. […] Uno se ne ballò nel 1582 ch’egli compose per le nozze del duca di Joyeuse e di madamigella di Vaudemont, ajutato nella musica da Salmon e da Beaulieu, e ne’ versi da Chesnaye, a cui Giacomo Patin pittore del re fece le decorazioni, di che vedasi il trattato del P.
Gattinelli Luigi, nacque a Meldola il 1786 da Niccolò, orefice, e da Teresa Fanelli, e vi fu battezzato, nella chiesa arcipretale di S. […] Sposò nel carnovale del 1806 a Lugo la lughese Giuseppina Stanghellini, sarta, da cui ebbe i due figliuoli Gaetano ed Angelo, prima di darsi al teatro. […] Acquistatasi fama di egregio artista per le parti di primo uomo, fu in tal ruolo e per un triennio scritturato da Luigi Vestri ; ma impinguatosi alquanto coll’ avanzar degli anni, quel ruolo abbandonò per abbracciar l’altro di caratterista e promiscuo, con cui fu scritturato da Solmi e Pisenti, e in cui riuscì ottimo, avendo saputo togliere tutto il buono che potè da Francesco Taddei e Luigi Vestri, e adattarlo a’suoi mezzi. […] D’altronde il partito che trassi da un tale cambiamento non si può immaginare, se non leggendone il manoscritto. […] Avevo 200 scudi, sono iti ; ne ho presto ripiegati altri, e da questa parte non tremo per ora.
Arrighi Carlo, nacque a Livorno il 13 agosto 1859 da Pilade Arrighi, cassiere alle stanze dei pubblici pagamenti, e da Antonietta Bonamici, sorella del Dottor Diomede, il noto bibliofilo. Fin da giovinetto accudì al prosperoso commercio delle pelli, legatogli da un suo stretto parente. […] Accademia dei Nascenti, come filodrammatico, e in breve diede promessa di ottima riuscita per quell’arte, alla quale fu trascinato da passione irresistibile, e la quale doveva poi condurlo al sepolcro. […] Maggi, della quale fu primo attor giovine corretto ed elegante sino al’91, e la quale abbandonò in America per tornarsene a Livorno, affetto da una di quelle malattie che consumano lentamente e spietatamente il cervello e l’anima.
Un de' più forti capocomici e direttori del nostro tempo, nacque a Venezia il 21 dicembre del 1846 dal ragioniere Domenico e da Angela Demartini. […] E quali effetti di commozione o di comicità non sapeva trarre da situazioni o da intonazioni nuove, imprevedute !!! […] Egli ebbe aperto da lui un nuovo orizzonte…. il metodo suo seguì, si assimilò ; grande interprete del concetto, non lo era meno della parola. […] … Mostrava egli le scene, recitava da donna, da vecchio, da giovine ! […] Sette anni più tardi la sua Silvia gli morì dopo un anno e mezzo di malattia da lei ignorata, e che fu per lui la più atroce agonìa….
E. servitore et a lui compagno li auguro da N. […] Dallo spoglio degli Archivi di Modena risulta che al Gabbrielli e compagni venuti da Venezia furon dati il 27 maggio 1620 da S. […] Suo marito ha fatto un tempo da secondo inamorato, ma per odiar il studio si è messo a fare da Capitano Italiano, qual non gli riesce. […] Fritellino è buono da farsi odiare non solo da comici, ma da tutto il popolo, e lo vediamo con isperienza poichè se volle compagni bisogna vadi per forza de prencipi, o che li pagi ; lasso il voler tirare più parte degli altri. […] A. e significargli ch’io non parlo da Scapino, ma da Francesco, il quale si rimette a tutto quello che vuole S.
Battista da Treviso lasciò dunque la Francia il 10 maggio del ’79 per recarsi in Italia e precisamente a Padova. Lo troviamo il 1584 nella Compagnia degli Uniti, come si rileva dalla seguente lettera da Ferrara al Principe Vincenzo in data del 3 aprile, sottoscritta da tutti i Comici Pedrolino, Magnifico, Gratiano, Lutio, Capitan Cardone, Flaminio, Batt.ª da Treviso Franceschina, Giulia Brolo, Isabella, Gio. […] Nel 1587 pare che Messer Battista si fosse fatto capocomico, come può rilevarsi da quest’altra lettera, tolta pure dal D’Ancona (II, 492), dalla quale anche si apprende come egli fosse già da tempo in que’ rapporti relativamente intimi che solean correre fra S. […] mo servitor Battista degli Amorevoli da Treviso detto la Franc.
Aveva sposato Laura Tessero, sorella minore di Adelaide, prima attrice giovane di qualche pregio, e morì, giovanissimo, compianto da tutta l’arte. […] Festeggiato da per tutto, applaudito, incoraggiato, camminava a fronte alta, e con passo spedito verso un avvenire che non pareva troppo lontano. […] Trascrivo da Francesco Bartoli : Fece egli in sua gioventù il Ballerino da corda in una Compagnia di saltatori diretta da Gaspare Raffi Romano, di cui sposò la Maddalena di lui sorella ; e vedesi ancora andare attorno una stampa in Rame con espressevi tutte le forze, ch'egli faceva, e con sotto questa iscrizione : Giuseppe Marliani Ballerino da corda. […] Passò vecchio, con la moglie, da quella del Medebach nella Compagnia della Battaglia, nella quale viveva ancora al 1781. Sappiamo dal Bartoli essere stato un uomo de'più capricciosi ; giuocatore arrabbiato del Lotto, dilettante alchimista, era riuscito a comporre un metallo somigliante all’argento, di ben poco valore ; ma, soprattutto, uomo probo, e come tale amato, e stimato da tutta l’arte.
Pure da quale classico scrittore ciò si ricava? Non da Livio, non da Strabone, non da Valerio Massimo che ne favellano. […] Certo che no (Saturione); vuoi tu che io sia conosciuto da altri che da chi mi dà da mangiare? […] Contiene una beffa fatta a quel vanaglorioso da un servo per torgli di mano una fanciulla amata da un giovane Ateniese. […] Oltre a ciò che rilevasi da Polibio, da Livio, da Virgilio, da Strabone, vedi il libro I c. 33 della Geografia Sacra in Canaan di Samuele Bocarto.
mo patrone, nella lettera da Roma delli 22 febbraio 1647. […] r Cupis me disse io ui comando da parte del S. […] ra donna olimpia il quale uene con ordine da lasarme andare et a otto hore di notte uene a casa non esendo più a hora di andare da la S. […] A. si pò informare non solo da Comici ma da tutta Roma, come ho detto, perche il negocio fu troppo publico ; e ben che li broi fatti da l’Angela et il dottore siano stati grandi non dubito pero che la uerità non si sapia quando S. […] S. delli quali come n’apare da mie lettere V.
Il 1675 aveva stampata a Napoli con la data di Venezia una commedia tradotta dallo spagnuolo da altro comico : Amare e fingere, che fu poi ristampata davvero a Venezia, e più tardi a Bologna. […] Il 1675 arrivò a Mantova da Napoli, comico del Duca di Modena, come abbiamo da una lettera di Alfonso d’Este, il quale chiamandolo principal parte della Compagnia e che si è strecto con promesse di Regalarlo bene, propone a quel Duca non gli si dien meno di 25 dopie, essendo questo un huomo che à testa. […] Il 7 giugno '77 da Genova scrive distesamente al Duca di una aggressione a mano armata per opera di certo Filippo Castellano di Napoli, che n’ebbe mandato da cotal feudatario di Monferrato, il quale a sua volta avrebbe agito d’ordine del Duca di Mantova in persona, indignato contro Florindo che ricusò di servilo, allegando in iscusa il suo prossimo ritorno in patria, e passando invece al servizio del Duca di Modena. […] Due fanciulle mie Nipoti da marito, se ne stanno in Casa de miei Padregni, con poca pace, et è facile, ch' un giorno ne siano scacciate per la mia absenza. […] Il giugno dell’ '80 partì da Modena, e giunse dopo ventidue giorni a Napoli, d’onde scrisse al Duca mandandogli una descrizione in versi del suo viaggio, non rinvenuta nel carteggio.
Nacque a Venezia il 19 marzo 1852 da Giuseppe Zago e da Maria Vianello, e mostrò fin da giovanetto inclinazioni e attitudini al teatro. […] Gli applausi della folla, le lodi della critica gli fecero lasciare di punto in bianco l’impiego ch'egli aveva di commesso nella Casa Commerciale del Senatore Reali, e lo fecero partire a insaputa de'suoi per Loreo, dove era ad attenderlo la Compagnia di Francesco Zocchi, che recitava all’aperto, e da cui, dopo alcun tempo, felice di potersi liberare da quell’ambiente di guitti, passò a Voltri in Liguria, in quella Ilardi-Cardin, la quale, purtroppo, era più guitta dell’altra. Finalmente, dopo cinque anni d’incredibili peripezie, in cui la fame aveva pur sempre la più gran parte, a traverso plaghe inospitali, in barroccio, in carretta, a piedi, or cogli Stenterelli Serrandrei e Miniati, or con Benini e Gelich e De Carbonin e altri, recitando da vecchio e da giovine, da promiscuo e da mamo, e fin sotto le spoglie della maschera Faccanapa, contrapposto vivente e poco fortunato del Faccanapa di legno inventato dal Reccardini, che formava le delizie del popolo triestino, mentr' egli, Zago, era con Gelich, Tollo e Papadopoli al Teatro Mauroner, pur di Trieste, eccotelo – dico – finalmente di sbalzo (agosto '76) a Napoli con 5 lire al giorno, generico della Compagnia Veneziana di Angelo Moro-Lin, salutato da un fragoroso, unanime applauso al suo primo apparir sulla scena, dopo appena tre sere dal suo debutto. […] « L'avvenire del teatro veneziano – egli disse una sera dell’ottobre '98 al Rossini di Venezia in una intervista con Renato Simoni – sarebbe splendido, ove, tolti di mezzo gli ostacoli, non creati da me, che dividono la nostra Compagnia da quella di Gallina, ci trovassimo uniti tra i migliori : Gallina, Benini, Privato, la Zanon, io, e i più buoni elementi delle due Compagnie. […] Chi vorrebbe adoperar la brutta parola per I Recini da festa, La Casa nova, Sior Todero brontolon, I Rusteghi, Oci del cor, e quel Fator galantomo, in cui egli, incredibile dictu, muore in iscena, e commuove il pubblico, tanto da sclamar la prima sera a Trieste (gennajo '96) a recita finita : « In malorsega che li go fati pianzer ?
Nato a Cuneo il 6 gennajo del 1819 da Giacomo e da Anna Clara Pignetta, fu avviato dal padre agli studi forensi, ed esercitò giovanissimo la professione di sostituto procuratore ; ma, artista per manìa, come scrive Milone, si recò a Milano sperando di trovar colà una scrittura di tenore, che non ebbe mai. Non volendo tornare in patria si aggregò a una compagnia di niun conto, e da questa passò in altre della stessa specie, recitando ogni parte dall’amoroso al brillante, e terminando poi con quelle di generico. Scritturato da Napoleone Colombino prima (1854) al Teatro Cittadella, e da Napoleone Tassoni poi, capocomico di buon nome al Circo Sales, potè realizzare un vecchio sogno di recitare in dialetto piemontese, e si diede a mostrarsi sotto le spoglie del Gianduja, specialmente negl’inviti ch'egli faceva ogni sera in fin di spettacolo alla rappresentazione dell’indomani. […] A lui dovetter la lor gloria artistica Bersezio, Pietracqua, Garelli : da lui furon guidati i primi passi di due artiste possenti : la Tessero e la Pezzana. […] Formò poscia a Torino il Teatro di famiglia con animo di rappresentar le vecchie commedie morali del Teatro dialettale ai Teatri d’Angennes e Scribe ; ma l’ '80 ritornò nella Compagnia piemontese diretta da' suoi due allievi Gemelli e Milone, e dopo il carnovale dell’ '82 abbandonò il teatro seguendo le sue figliuole Clara e Carlotta, attrici della Compagnia Pedretti (aveva preso in moglie da giovine una Anna Dogliotti), e vivendo di una piccola pensione che gli accordava il Consiglio dell’ordine dei Cavalieri dei SS.
La tabernaria frammischiava l’eccellenza alla bassezza, e prendeva il nome da taberna, luogo frequentato da persone di ogni ceto. […] Apulejo da Giusto Lipsio interpretato scrivendo a Niccolò Briardo133. […] Mazio da Gellio appellato dottissimo, e Lucio Crassizio di famiglia Tarantino. Costui ebbe il cognome di Paside che poi trasformò in Panza ed attese da prima agli studii teatrali e compose alcuni mimi. […] Batillo favorito da Mecenate giunse a far bandire da Roma e dall’Italia il suo emulo Pilade, benchè Suetonio ci dica essere costui stato esiliato, per avere dalla scena mostrato a dito uno degli spettatori che lo beffeggiava.
Nel che è necessario avvertire che il legname da mettersi in opera sia bene stagionato, e lo sia tutto egualmente. […] Con che, ponendo gli attori quasi nel bel mezzo dell’udienza, non è pericolo non sieno a maraviglia uditi da ognuno. […] Gli attori hanno necessariamente da starsi al di là della imboccatura del teatro, dentro alle scene, lungi dall’occhio dello spettatore; e hanno da far parte anch’essi del dolce inganno a cui nelle sceniche rappresentazioni ordinato è ogni cosa. […] E di fatto, se in niuna fabbrica poco ci ha da avere del massiccio e del solido, se l’architettura all’incontro ha da esser quasi tutta permeabile, quella dello interno del teatro è pur dessa. Niente vi ha da impedire la veduta; niun luogo, per picciolo ch’e’ sia, ci ha da rimanere perduto; e gli spettatori debbono far parte anch’essi dello spettacolo ed essere in vista, come i libri negli scaffali di una biblioteca, come le gemme ne’ castoni del gioiello.
Il piano ed i versi del prologo, dell’atto I e delle due scene prime del II e del III, sono di Moliere; il rimanente si verseggiò da Pietro Cornelio, ad eccezione delle parole italiane e dei versi francesi da cantarsi che si scrissero da Quinault, e si posero in musica da Lulli. […] Or questa filosofia da quanti filosofi e matematici di ostentazione è conosciuta? […] Intorno a’ caratteri diversi delle sue favole, è da avvertirsi che egli da prima accomodò i suoi lavori al gusto dominante per le commedie d’intrigo; ma poichè ebbe acquistato maggior credito, si rivolse da buon senno a rinvenire il ridicolo ne’ costumi correnti. […] Allo studio dell’uomo e della propria nazione Moliere accoppiò quello degli scrittori teatrali, e seppe approfittarsi delle loro invenzioni, non da plagiario meschino, ma da artefice sagace che abbellisce imitando. […] I Menecmi tratta da Plauto viene pregiata dagl’intelligenti; ed è da notarsi che l’autore la dedicò a Boileau Desprèaux contro di cui poi acrisse una satira, parendogli di non essergli stata dall’Orazio della Francia renduta tutta la giustizia.