Questi timori ricalcano da vicino quelli espressi da Pierre Nicole, all’interno del Traité de la comédie, proprio in margine alle tragedie corneilliane, e in particolare alla Théodore. […] J’ai traité en trois préfaces les principales questions de l’art poétique sur mes trois volumes de comédies. […] A spuntarla è in questo caso Timante, il quale, convinto che la tragedia non debba comprendere la rappresentazione dell’amore, sembra in sostanza riprendere in maniera moderata le argomentazioni di Pierre Nicole e, più propriamente, del principe di Conti (Armand de Bourbon, prince de Conti, Traité de la comédie et des spectacles, selon la tradition de l’Eglise, tirée des Conciles et des Saints Peres, Paris, Billaine, 1667), rivolgendo contro Racine le stesse accuse che erano state mosse al predecessore.
Introduzione 1. Quando, nella primavera del 1708, Martello giunse a Roma, aveva da poco compiuto i 45 anni; si lasciava alle spalle un’intensa stagione di sperimentazione melodrammatica nel circolo del marchese Giovan Gioseffo Orsi1, una discreta attività di poeta arcade e una vivace vita accademica tra le file degli Accesi e dei Gelati2. L’incontro con la Roma di Gravina e Crescimbeni, in un contesto culturale quanto mai teso che sfocerà nello scisma del 1711, proietta la propensione didascalica del periodo bolognese sullo schermo tiberino, inducendo Martello a esporsi pubblicamente in qualità di tragediografo3 e critico. Tra il 1709 e il 1710 escono infatti il Teatro (che comprende cinque tragedie premesse dal trattato Del verso tragico), Comentario e canzoniere, e Versi e prose che raccolgono il poemetto Degli occhi di Gesù (in ottave), il dialogo Del volo e la Poetica in terzine. Timoroso dell’accoglienza che le sue tragedie in martelliani avrebbero avuto, Martello meditò a lungo sulla diffusione del Teatro; nel maggio del 1710, infatti, rispondeva a Muratori che ne aveva accusato la ricezione: V’accorgerete dalla prosa il gran studio che mi costano queste apparenti negligenze delle tragedie.