Il Riccoboni però ci assicura che Moliere nel Dispetto imitò anche un’altra commedia italiana detta Gli sdegni amorosi, e questo titolo ben può indicare che da tal commedia egli trasse probabilmente quella scena. […] È ben noto che in una di queste un vecchio rapito dal piacere gridò dalla platea, coraggio, Moliere, questa questa è la buona commedia , voce della natura onde siamo avvertiti, che il pubblico polito, se la pedanteria non lo corrompe, sa giudicar dritto de’ componimenti teatrali. […] Coltivò i suoi talenti colle lettere studiando per cinque anni nel Collegio di Clermont, ed ascoltò le lezioni filosofiche di Pietro Gassendo, onde trasse l’abito di ben ragionare ed analizzare, che si vede trionfar nella maggior parte delle sue opere. […] Non era uscito nel 1664 il Misantropo; ma le Preziose ridicole, la Scuola delle donne, la Critica di questa, e l’Improvisata di Versailles, ed assai più i tre primi atti del Tartuffo preceduti alla Mère coquette, aveano già ben degnamente enunciato Moliere e la buona commedia. […] Riusciva principalmente nel dipingere le donne intriganti e i cavalieri d’industria, caratteri copiosi nelle nazioni numerose ed opulente, i quali sanno così ben coprirsi di politezza e di onestà, che merita ogni applauso il delicato comico che sappia smascherarli e denunciarli graziosamente al pubblico.
Ma il genere tragico sino all’olimpiade LX o LXI non si vide ben distinto dal comico. […] Questa patetica tragedia rappresentata con sommo applauso ben trentadue volte, fe decorare l’autore colla prefettura di Samo (Nota IX). […] Tutto in tal favola è grande e sino al fine sostenuto da un interesse ben condotto, tutto tende con energia al suo scopo. […] E che importa che una situazione ben dipinta si collochi più in uno che in altro atto, purchè sia ben preparata, e se ne comprenda tutta l’arte e la vaghezza? […] Il ragionamento di Jone a Suto nell’atto secondo è ben vago e naturale, e da Racine è stato imitato nell’Atalia e da Metastasio nel Gioas.
Il Signorelli adunque adotta le ben ponderate opinioni del Signor Lampillas, ed al cenno di sì instruita scorta, è pronto a tenere per un tessuto di pregiudizj tutta la Storia Civile, e Letteraria universale. […] Si giustificò in faccia a’ contemporanei coll’esempio degli altri Poeti che ne scriveano ugualmente spropositate, piene di apparenze, piene di mostruosità, senza altre eccettuarne se non le basse Commedie del Rueda, e fu ascoltato pazientemente, e non riprovato da quel Corpo Erudito, il quale ben poteva urbanamente riconvenirlo, ch’egli occultasse il merito de’ loro buoni Drammatici. […] Forse citando le proprie Commedie come ben ricevute? Ma ben ricevute furono eziandio quelle di Lope, e ciò prova solo il plauso tributato dallo stesso volgo alle une e alle altre, non già la perfezione, della quale nè Voi nè altri potrà mai esser giudice, poichè non esistono.
Ebbe dunque torto Nasarre a gloriarsi di siffatte commedie come delle migliori della sua nazione, ed é interessa della gioventù di ben conoscerle per non prenderle per esemplari. […] L’autore le chiamò «prime tragedie spagnuole», e non era vano il vanto, ben meritando il titolo di prime per essere originali, dove che quelle di Perez erano traduzioni. […] III pag. 1317), cioé che Antonio di Nebrixa, nato nell’Andalusia al 1444, dopo aver fatto per poco tempo i suoi studi in Salamanca, non ben soddisfatto passasse nell’Italia, e fermatosi lungamente nell’università di Bologna, dopo essersi renduto ben istruito non men nelle lingue che nelle scienze, ritornasse alla sua patria, richiamato, come vogliono, dall’arcivescovo di Siviglia Guglielmo Fonseca (Istor. della Chiesa tom.
La figura di quello del Principe si scosta meno dall’ellittica; dell’altro è mistilinea, congiungendovisi ad un arco di cerchio due linee che pajono rette, perchè s’incurvano ben poco, onde avviene che da una buona parte de’ palchetti vi si gode poco comodamente la rappresentazione. […] Verso l’epoca indicata las cortinas cedettero il luogo a diverse vedute ben dipinte convenienti alle azioni rappresentate; ed alla chitarra sparita dalla scena succedette una competente orchestra di musici sonatori collocata, come in ogni altro teatro moderno, nel piano della platea. […] Aggiugne che anche i meno affezionati alle commedie saben (sanno) ciò che ignora il Signorelli; e questo saben si ripete ben sei volte. […] Certo è che dopo di tal raccolta manca ancora a sì culta nazione una scelta di componimenti teatrali ragionata, campo ben glorioso da coltivarsi da un letterato filosofo nazionale fornito di gusto, di buona fede, d’imparzialità, di lettura e di senno, il quale sappia sceglier bene, e vagliar meglio non tanto i difetti, quanto le bellezze de i drammi.
Per rappresentare adunque (secondo il mio senso) questo così gratioso personaggio direi che quello il qual si dispone di portarlo in iscena, si formasse ben prima nell’ idea un tal huomo il quale voglia esser moderno al dispetto dell’antichitá, & che a tempo isguainasse fuori sentenze propositate quanto alla materia ; ma sgangherate quanto all’espressura, il condimento delle quali fosse vna lingua Bolognese in quella forma, ch’ella viene essercitata da chi si crede, che non si possa dir meglio, & poi di quando in quando lasciarsi (con qualche sobrietà) vscir di bocca di quelle parole secondo loro più scielte ; ma secondo il vero le più ridicole, che si ascoltino ; come sarebbe a dire. […] Bisognarebbe anche tal volta dar di piglio a qualche materia sciocca, treuiale, & molto ben conosciuta, & quiui mostrare, o finger di credere, ch’ella sia la più curiosa, la più noua, & la più incognita cosa del mondo ; onde senza dar punto segno di ridere darsi a credere di hauer fatto stupire. […] A un dato punto il Dottore dice : Però essend tra un alligad e culigad la grazia, l’affabilità, la benignità, l’allegrezza, la zuvialità, l’amicizia, la carità, la furtezza, la gajardisia, la diligenzia, l’industria, la duttrina, le litter, la liberalità, la magnanimità, la mansuetuden, l’humiltà, la pase, la piasevolezza, la temperanza, la subrietà, l’hunestà, la cuntinenza, el valor, l’ardir, la virtù, la sapienza, l’humanità, la giustizia, l’equità, la libertà, la nobilità, l’hubidienza, la quiet, la prudenza, la pruvidenza, l’eloquenza, la facondia, la secretezza, la fideltà, la lealtà, la sincerità, la gratitudin, la clemenza, la magnificenza, la gloria, la fermezza, la custanza e l’esser hom da ben, chi serà quel razza de boja impastà, inzenerà e compost de maledicenza, murmurazion, accidia, busia, falsità, sfazzadazin, pigrizia, aruganza, detrazion, vanità, ambizion, negligenza, ingratitudin, lasivia, fraude, tradiment, adulazion, ipocrisia, rapina, seleragin, infelicità d corn ; per far che al sipa un hom maledich murmurador, accidios, busard, fals, sfazzà, pigr, arugant, detrador, van, ambizios, neglizent, ingrat, lassiv, fradulent, traditor, adulador, hipocrit, rapinador, scelerad, infelis e cornud, che voja dir el cuntrari ? […] Così la maschera bolognese, il dottore, sarebbe ben più antica di quel che si crede e logicamente da riferirsi ai tempi più floridi dello Studio, quando Bologna forniva di dottori tutto il mondo civile.
[4] Degnate non per tanto onorare dell’autorevol vostro suffragio codesto tenue saggio del mio zelo per gli studi voi, che siete solito d’accogliere con tanta benignità tutto ciò, che spetta l’avanzamento delle arti, e delle lettere; voi, che in una città maestra della religione e della politica sostenete con tanto decoro i diritti di un monarca cognito all’universo non meno per la sua pietà nella prima che per la sua prudenza nella seconda; voi, che collocato ih carica sì luminosa rarissimo esempio avete dato a’ vostri pari di sensibilità spargendo lagrime, e fiori sulla tomba d’un amico illustre; voi, finalmente, che nelle vostre sensate, profonde e per’ogni verso filosofiche riflessioni intorno alle opere di Mengs avete fatto vedere che il talento di regolare gli affari non è incompatibile con quello di conoscere le più intime sorgenti del bello, e che il più’gran genio del nostro secolo nella pittura era ben degno d’avere per illustratore de’ suoi pensieri, e confidente uno degli spiriti più elevati della Spagna nella penetrazione e sagacità dell’ingegno come nella squisitezza del gusto.
Così su i cor Tu imperi, e al riso e al pianto ci volgi a tuo piacer : e in van procura ragione opporsi al ben tessuto incanto.
E ben, decido come m’inspira il ciel.
Nel citato libro su La Compagnia Reale Sarda e il Teatro italiano dal 1821 al 1855 (Milano, 1893), così parla il Costetti della egregia artista, dopo di avere accennato al ritirarsi dalle scene della Romagnoli : Le succede Daria Cutini-Mancini, giovane, avvenente e bellissima attrice, ben degna insomma di succedere nella Reale a quella celebrità del grembiule.
È ben veduto in sulle scene, ed applaudito ; e da particolari nobili Personaggi favorito e protetto.
Vantavasi di ben pronunziare il toscano, e convertiva la C in S, e diceva giogia per gioja, senz' accorgersi di fallare, cossa per cosa, Regasse per ragazze.
Sappiate, Signor mio (che io ben mi avveggo, che i vostri gravi studj vi avranno tenuto lontano da molte cose, che sono fuori di voi), che los Chisperos, los Arrieros, e simile gentame, trovandosi al coperto in quelle tenebre, specialmente prima d’incominciare la rappresentazione, per la loro naturale rozzezza, e non curanza per la decenza, soleano bere del vino, fumare, mangiar degli agrumi, delle frutta, delle nocciuole, e gettarne via le bucce sull’altra gente. […] E con tali sagge provvidenze inspirò lo spirito di decenza in un Teatro, dove interviene il fiore della Grandezza Spagnuola di ambo i sessi, la Uffizialità più distinta, e la gente seria ben nata, che ama in qualche ora di godere tranquillamente dello spettacolo senza essere disturbata dalla plebaglia.
Or perchè questa spinta industriosa è comune a tutti gli uomini, e la natura da per tutto risponde a colui che ben l’interroga, è chiaro a chi dritto mira, che pochissime sono le arti che da un primo popolo inventore passarono ad altri, ed al l’incontro moltissime quelle che la sola natura, madre e maestra universale, va communicando a’ varii abitatori della terra. […] Scorrendo per diversi climi ben si vedrà che dove la terra non si smuove co’ vomeri di ferro, si lavora co’ legni adusti: dove non si cuce cogli aghi, si adoperano le spine: dove non si taglia col l’acciajo, si usano le selci.
Or perchè quella spinta industriosa è comune a tutti gli uomini e la natura da per tutto risponde a colui che ben l’interroga, è chiaro a chi dritto mira, che pochissime sono le arti che da un primo popolo inventore passarono ad altri, ed all’incontro moltissime quelle che la sola natura madre e maestra universale va comunicando a’ varj abitatori dell a terra. […] Scorrendo per diversi climi ben si vedrà che dove la terra non si smuove co’ vomeri di ferro si lavora co’ legni adusti, dove non si cuce cogli aghi si adoperano le spine, dove non si taglia coll’ acciajo si usano le selci; ma la coltivazione per obbligar la terra ad alimentarci, e le arti di accozzare e tagliar lane e cuoja per coprirci, si sono trovate in paesi lontanissimi colla scorta del solo bisogno.
Lui morto, mi capitò sott’occhi un volume di Edmondo De Amicis « Costantinopoli, » nel quale è la seguente dedica autografa, colla data di Torino 1 settembre ’77, che sotto la celia gentile ben compendia, nella infinita modestia del geniale poeta, le grandi qualità dell’artista : Al Pascià dai mille amori, Al Muftì dei commedianti, Al Sultano dei brillanti Il Rajà degli Scrittori. […] Il Bellotto recitò molti anni sempre ben visto ed applaudito ; ma poi, alienatosi dalla professione, passò ad abitare in Trevigi, dove, fatto già vecchio, terminò felicemente i suoi giorni intorno all’anno 1766. »
È ben poco ciò che lasciò scritto Fr. […] Il 25 febbraio dell’ '87 manda al Duca i suoi devoti mirallegri per la favorevole impressione da lui lasciata alla Corte e in tutta Napoli, e il primo di marzo il ben tornato a Modena, raccomandandoglisi vivamente per ottenere a un congiunto dottore la provvista d’un governo, per la quale ebbe a scrivere parecchie lettere.
E se i Vettori, i Barlacchi, e i Visini di là son iti a veder ballar l’orso, altri poeti, altri strion più fini non mancheranno per l’usato corso ; non è morto ne’petti fiorentini lo scenico valor, ma ben trascorso ; io so quel ch’io mi dico, e fia dimostro alla tornata del principe nostro.
Sappiamo dal Bartoli essere stato un uomo de'più capricciosi ; giuocatore arrabbiato del Lotto, dilettante alchimista, era riuscito a comporre un metallo somigliante all’argento, di ben poco valore ; ma, soprattutto, uomo probo, e come tale amato, e stimato da tutta l’arte.
Il teatro francese ci guadagnerebbe qualche lavoro di Marivaux, ben recitato dai nostri artisti, e massacrato oggi da codesti buffoni d’ italiani.
E Aliprandi aggiuge che ben considerata l’indole di lui, non si penerà a credere com’ egli recitasse a meraviglia Il Burbero benefico, L'Abate de L'Épée, I due fratelli alla prova, La restituzione del portafogli, e altro di simil genere.
Essendo quasi impossibile agli esteri l’imbattersi in tal fanfaluca, e ben difficile a’ nazionali che se ne curino, diamone qualche contezza. […] Che cessando la peste la gente riprenda il vigore, ben s’intende; ma le navi sono anch’esse soggette al contagio? […] La figura di quello del Principe si scosta meno dall’ellittica: dell’ altro è mistilinea, congiungendovisi ad un arco di cerchio due linee che pajono rette perchè s’incurvano ben poco, onde avviene che da una buona parte de’ palchetti vi si gode poco commodamente la rappresentazione. […] Oggi las cortinas hanno ceduto il luogo a varie vedute ben dipinte e convenienti alle azioni rappresentate, ed alla chitarra sparita dalla scena è succeduta una competente orchestra di buoni professori posta, come negli altri teatri moderni, nel piano della platea. […] Aggiugne che anche i meno affezzionati alle commedie saben (sanno) ciò che ignora il Signorelli, e questo saben si ripete ben sei volte; contro i quali sei saben io avea preparati sessantasei no saben verificati in ogni sorta di Huertisti, ma la di lui morte mi reca il vantaggio di risparmiar la spesa d’imprimerli.
A sei anni, trovandosi la madre in Napoli colla Compagnia di Salvatore Fabbrichesi, fu messa in uno de’ primi educandati francesi, dal quale, morto il padre, uscì a tredici anni, per entrare a sostener le parti di amorosa nella Compagnia Reale di Napoli diretta dal Fabbrichesi stesso, di cui facevan parte Giuseppe De Marini e Luigi Vestri, attori massimi del lor tempo, che, affezionatisi alla fanciulla ben promettente di sè, l’avviarono, e l’addestrarono a quell’arte in cui non ebber rivali, e in cui ella, recitando a Padova colla Compagnia, provocò il seguente articolo che traggo dalle Varietà teatrali del ’24 (Venezia, Rizzi) : Bettini figlia…. giovinetta di 15 anni, di leggiadra figura, di volto avvenente, di bei modi, non iscarsa di grazie, e solo da un anno al drammatico esercizio educata, ella supera sè medesima, e porge altissime speranze di pareggiare ben presto le decantate prime attrici, che l’han preceduta. […] Compagnia Sarda, nella quale, dopo due anni, ebbe le stesse accoglienze festose, gli stessi onori prodigati alla grande attrice che la precedette, e che per ben diciassette anni fu l’idolo di quel pubblico ; e dalla quale uscì per isposare in Bologna il dott. […] » E soggiunge : Sono ben semplici i comici di qualche fama, di legarsi a de’ speculatori senza fondi i quali ci pagano se fanno denari e falliscono all’occorrenza, e senza nulla arrischiare fanno commercio della vostra capacità e del vostro sapere ! […] Quasi tutte le opere drammatiche da lei interpretate potean dirsi suoi cavalli di battaglia ; chè ben poche eran quelle che, mercè sua, passavan senza una replica ; moltissime quelle che ne avean cinque, sei, otto, fin dieci.
Nato in tal città il celebre avvocato Carlo Goldoni l’anno 1707, sembra che ben per tempo egli fosse tratto alla poesia, teatrale. […] L’oggetto di ben vedersi ed udirsi è pienamente adempiuto in questo edificio. […] Ciò è ben duro ed inverisimile. […] Duettino fra i due di espressioni generali che ben remoto attaccamento hanno col soggetto della scena. […] Il signor Martino di Valenza ben presto uscì dalle Spagne e compose alcune musiche in Napoli ed altrove.
Noi non ci addosseremo mai la fatiga per noi singolarmente ardua troppo di presentar partitamente analisi compinte de i drammi di Shakespear; ben persuasi della difficoltà che incontrano, non che altri, non pochi suoi nazionali in afferrare lo spirito, l’energia dell’espressione e la grandezza de’ suoi concetti. […] Viene Polonio, che prende gravemente a favellare sulla di lui follia, dicendo: Vostro figlio è pazzo, e tale lo chiamo, perchè (a ben riflettere) altra cosa non è la pazzia, se non che uno è interamente matto. […] I nemici mi hanno trattato con moderazione come ladri compassionevoli, ed io gli ho ben compensati. […] L’uno dice che ciò stà ben disposto dal giudice; l’altro che stà mal giudicato, perchè ella si è ammazzata da se coll’affogarsi; scena comica bassa. […] Mi vieta il mio argomento l’andar ricercando dietro ad ogni particolarità della scrittura di costui, nella quale trovansi sparse senza che vengano citate moltissime cose che leggonsi altrove, ed altre non poche a lui da questo e da quello Italiano sugeritegli, le quali ha egli registrate senza esame, e senza ben ricucirle col rimanente del suo libretto.
Essa allora ben lontana dal servire alla buffoneria, accoppiò al modo di trasformar l’attore una diligente imitazione de’ volti, de’ vestimenti e delle divise usate da’ personaggi tratti dalla storia, dalle poesie Omeriche, e dalla teologia. […] Quindi vi furono maschere naturali di vecchi di più di un carattere, cioè del curioso, del burbero, del barbuto, e fin anche di un padre che aveva un ciglio eccessivamente inarcato, ed un altro naturale e compostoa; di giovani diversi, del bruno, del ricciuto, dell’appassionato, del gioviale, del rustico, del minaccevole, del ben costumato; di donne diverse, di matrone, di più di una ruffiana, di due false vergini, della meretrice magnifica, della nobile, della coronata, di quella che portava l’acconciatura de’ capelli che terminava in una punta; in fine di varii servi, soldati, mercatanti, eroi, numi, e di altre mentovate nell’Onomastico di Giulio Polluce nel libro IV, capo 20.
Essa allora ben lontana dal servire alla buffoneria, accoppiò al modo di trasformar l’ attore una diligente imitazione de’ volti, de’ vestimenti, e delle divise usate da’ personaggi tratti dalla storia, dalle poesie Omeriche e dalla teologia. […] Quindi vi furono maschere naturali di vecchi di più di un carattere, cioè del curioso, del burbero, del barbuto, e fin anche di un padre che avea un ciglio eccessivamente innarcato, ed un altro naturale e composto147; di giovani diversi, del bruno, del ricciuto, dell’appassionato, del gioviale, del rustico, del minaccevole, del ben costumato; di donne diverse, di matrona, di più di una ruffiana, di due false vergini, della meretrice magnifica, della nobile, della coronata, di quella che portava l’acconciatura de’ capelli che terminava in una punta; in fine di varj servi, soldati, mercatanti, eroi, numi, e di altre mentovate nell’Onomastico di Giulio Polluce148.
» Gli dedicò il comico Bartoli per la sua tragica rappresentazione Le glorie della Religione di Malta il seguente sonetto : Se de’ Maltesi Eroi su finte scene le gesta vittoriose esprimi e mostri, or ben vegg’io che ne’ tuoi dotti inchiostri evvi quanta in piacer arte conviene. […] E pur ora frà Voi ben cento e cento Saran, cui forse la Cittade appare Unica sede dell’ uman contento.
Lo stile è nobile e grave e rare volte ammollito da qualche ornamento lirico, i costumi vi sono ben coloriti, e i discorsi vivacemente appassionati. […] Io però in diciotto anni che dimorai in quella corte ben posso attestare di averne vedute diverse. […] Nè ciò si dice perchè importi gran fatto l’esser primo, essendo i saggi ben persuasi che vale più di esser ultimo come Euripide o Racine o Metastasio che anteriore come Senocle o Hardy o Hann Sachs. […] Linguet avrebbe ben potuto ravvisare almeno nella prima (fosse copia o originale) una tragedia Spagnuola, e la sorgente della Inès di M. […] Ma la nazione imparziale ben sa che io non asserisco una cosa immaginaria.
Il pubblico plauso e le belle lagrime del gran Condè rendettero ben memorabili i versi dell’ultima scena del Cinna:a: Je suis maitre de moi comme de l’univers, Je le suis, je veux l’ètre. […] Tomiri che nella Morte di Ciro del Quinault va cercando sul teatro les tablettes perdute, fu ben meritevole della derisione del Boileau. […] Io già non parlo dell’amore energico, furioso, terribile che ben conviene alla vera tragedia; parlo… degli amori proprii dell’idilio e della commedia anzichè della tragedia.» […] Noi al contrario possiamo più ragionevolmente assicurare, che se Calderòn non ebbe contezza della Marianna italiana composta cento anni prima, è ben più verisimile che l’autore spagnuolo tolto avesse questo argomento da’ Francesi, approfittandosi o della Marianne di Hardy rappresentata in Parigi nel 1610, o di quella di Tristano che fece recitare e stampò la sua prima che non comparisse il Tetrarca del Calderòn. […] Faceva versi ben torniti, ma non mostrò di esser nato per la poesia tragica.
Della qual disposizione dovuta forse più alle cause accidentali, che a positivo disegno di migliorar il melodramma approfittandosi i begl’ingegni d’Italia, ben presto porsero mano alla riforma della poesia. […] Carlo Maggi e Francesco Lemene scrissero parecchi drammi ne’ quali se ben l’uno e l’altro partecipano del cattivo gusto nei vezzi soverchi, e ne’ caratteri manierati pur qualche regolarità e qualche gusto ne aggiunsero. […] Eustachio Manfredi nell’Aci e nel Dafni a lui attribuiti si mostra ben lontano dalla maravigliosa cultura d’ingegno che risplende nelle sue liriche poesie, e principalmente nella canzone Donna negli occhi vostri, la quale è al mio avviso il più ricco gioiello del moderno parnaso italiano. […] Tu nol sai; ma il so ben io, Nè a te, perfido il dirò.
.), e che si cavino dalla Storia, dalla Mitologia antica, e da’ Poemi Epici moderni ancora, di maniera che quasi più difficoltoso pare che sia il rinvenire un fatto Eroico proprio della Tragedia, che il tesserne la favola e il ben verseggiarla: il Signor Lampillas ardisce in faccia all’odierna Europa riprovar questo appunto che s’inculca, e attribuire a difetto d’invenzione nel Trissino l’aver tratta da Livio l’avventura di Sofonisba! […] se ne aveano due ben distinte del Maestro Perez. Questo prima del 1533. è ben diverso dal 1516. affermato positivamente dal Signor Lampillas; nè poi a verun patto dice il Montiano che si componessero in Italia. […] Queste metafore, quando anche fossero ben concepite, continuate con troppa cura e corrispondenza ricercata, sono il veleno del patetico, disdicevoli al genere Drammatico.
Il Carlo Goldoni fra’comici potrebbe, credo, ben rappresentato, reggere anch’oggi al lume della ribalta.
La madre tornò per alcun tempo nella Compagnia Milone Vazer ; ma ben tosto ancora al lavoro dell’ago.
Il tipo di Miseria e Nobiltà non è certo il medesimo di Tetillo ; quello di mettiteve a fa l’ammore co me è ben diverso dall’altro di Duje marite imbrugliune, e così di seguito.
Di essa pare che avesse gettati i fondamenti il medesimo Aristofane col Pluto, dove abbiamo, sì, trovato un Coro, ma ben lontano dall’antica baldanza e mordacità. […] E ben gli stà; Chè infermo oltre ogni creder per natura, Oltre ogni creder temerarie imprese Tentar non cessa, e vi s’involve, e tutti I beni suoi precipitando perde. […] Saverio Mattei nel lodato Nuovo sistema d’interpretare i Greci disse alcuna cosa dell’antica e della nuova commedia ben diversa da quanto di esse si è narrato da tanti autori antichi e moderni, di che conviene prevenire la gioventù vaga di erudirsi.
Ond’è che la regione de’ metafisici è per lo più la regione degli errori, e che per ogni spirito ben fatto l’annunziargli un nuovo sistema in quella scienza non è diverso dal proporgli una nuova modificazion di falsità. […] In tal caso le arti e le belle lettere sono come i vaghissimi colori dell’iride allorché si riguardano a traverso d’un prisma non ben dirozzato. […] Ed è ben ragione che il loro destino non sia punto migliore della loro capacità. […] Egli è vero che codesti finali rassomigliano per lo più ad una sinagoga di ebrei anzi che ad un canto ben eseguito, ma nelle cose di gusto non bisogna essere cotanto sofistico. […] [NdA] Gli autori, che avendo abbracciato un qualche genere di letteratura non sono stati ben accolti dal pubblico, si convertono per lo più in altrettanti detrattori di esso genere.
In alcuni drammi di Diderot, di Beaumarchais e di qualche altro dee riconoscersi una specle di rappresentazione men lamentevole e perciò men difettosa della pretta lagrimante, ma però ben lontana dal pregio della nobile commedia tenera. […] É ben vago questo pronome elle posto prima di nominar Sofia ad imitazione di Terenzio.
Ecco come Carlo Goldoni ci descrive il primo colloquio avuto col D’Arbes a Pisa ; colloquio che ci dà un’idea ben chiara di questo bel tipo di comico. […] Bartoli – potè farvi qualche fortuna, e ritornò in Italia ben provvisto e fornito d’abiti e di denaro.
A Padova, non è ben precisato nè in quale anno, nè con qual compagnia (secondo il Mazzoni nel ’90 con quella del Menichelli, ma forse più tardi col Pellandi), preluse a un corso di rappresentazioni, recitando i seguenti versi dettati per lei da Melchior Cesarotti. […] Dell’inesperte forze a far cimento altrove andai, ma sull’ Euganea scena ben tosto apparvi palpitante, incerta sul mio destin.
Bartoli – i suoi modi graziosi e la di lei teatrale abilità forse non del tutto al teatro saranno tolti, essendo sparse alcune voci, che ci fanno sperare di rivederla ben presto sulle scene d’Italia. » Ma dal 1781 in poi non mi fu dato rivederne il nome in alcun elenco. […] Esordì a Torino e subito fu riconosciuto attore di rari pregi ; talchè, addentratosi ognor più nello studio, riuscì in breve il più valoroso artista del suo tempo a giudizio d’uomini competenti, quali Francesco Gritti, che afferma « nelle parti dignitose e gravi, e ne' caratteri spiranti grandezza e pieni di fuoco, lui rendersi certamente impareggiabile » e Carlo Gozzi che lo chiama « il miglior comico che abbia oggi l’Italia, » e Francesco Bartoli che gli dedica nelle sue Notizie più pagine dell’usata iperbolica magniloquenza. « Una magistrale intelligenza – dice – una bella voce sonora, un personale nobile e grandioso, un’ anima sensibile ed una espressiva naturale ma sostenuta, formano in lui que'tratti armonici e varj, co'quali sa egli così ben piacere e dilettare a segno di strappare dalle mani e dalle labbra degli uditori i più sonori applausi. » Nel Padre di famiglia di Diderot, nel Gustavo Wasa di Piron, nella Principessa filosofa e nel Moro dal corpo bianco di Carlo Gozzi, nel Radamisto di Crebillon, nel Filottete (di De la Harpe ?)
I versi son molto vaghi, sublime la locuzione, e ben poche le antitesi, e le sentenze assettate che sogliono riprendersi in Seneca. […] La strage de’ nipoti atrocemente eseguita da Atreo, é ben narrata in quelli versi, …………… O nullo scelus Credibile aevo, quodque posteritas neget! […] A taluno parrà soverchio lunga; ma se in qualche parte é permesso al poeta drammatico di adornare ed esser pomposo, egli é in simil congiuntura, in cui l’orror del luogo ben dipinto contribuisce a preparare all’orror del fatto. […] Non pertanto in quello lunghissimo componimento di circa duemila versi fra tanti concetti assettati e strani, trovansene alcuni giusti, ben espressi, e spogliati d’ogni gonfiezza. […] Caio Lucilio, nativo di Sessa nella Campania, non solo visse molto tempo, ma ben anche morir volle tra’ napolitani, siccome ci attesta Quintiliano lib.
Dove ho seguito Racine mi san servito, per quanto ho potuto, delle sue parole medesime; e dove Euripide, della traduzione del Brumoy; ben sicuro che il poeta greco non si poteva meglio esprimere in francese.
Ma il patetico non fu il suo forte : e se ben dalle beccate del suo esordire al teatro di Cremona, passasse poi alla tolleranza de’pubblici i più severi, si diede alle parti di brillante che sostenne varj anni, sinchè, venutagli ad aumentar la pinguedine, risolse il ’70, per consiglio di artisti sommi, fra’quali il Bellotti-Bon, di metter la parrucca e abbracciar definitivamente il ruolo di caratterista, ch’egli anch’oggi sostiene.
In questi due anni di assenza da Parigi, fu sostituito sulla scena da un nuovo comico italiano, valorosissimo, che fece di ben poco rimpiangere il celebre suo predecessore, come abbiamo da una lettera in versi del 21 aprile 1668 di Robinet.
» sclamava poi ; « voi tutti ben conoscete i miei rimedj, poichè son gli stessi che spaccia nella piazza vicina il mio rivale, di cui io sono il figliuolo. » E qui si diede ad architettare una storiella verosimile, secondo la quale, per certe sue ragazzate, sarebbe stato maledetto e scacciato dal padre.
Il Vitalba, andando o ritornando di notte dal teatro si era incontrato in un sicario, il quale gli aveva scagliato con una forza da atleta un ben grosso bottiglione pieno d’inchiostro per difformargli la faccia.
Non furono certamente commedie scritte unicamente per dilettar la plebaglia quelle degl’Intronati di Siena, i quali dopo che nel principio del secolo ebbero dal governo la permissione di tornare agli antichi esercizii, nel 1611 ne pubblicarono una collezione, dove si veggono caratteri ben condotti, costumi bellamente dipinti, economia regolata, il ridicolo destramente rilevato, ed una dizione propria del genere comico. […] Ma gli accidenti o le combinazioni del verisimile ben modificato producono in teatro la sempre bella e sospirata varietà. […] Una sola è la molla ma attivissima e ben collocata dà moto a tutta la macchina.
Sebbene abbiate trascritta in parte l’osservazione del Signorelli, pare tuttavia che non l’abbiate ben letta. […] E la Musica che sappia ben copiarle, sarà perciò Disconforme dal vero? […] Se dunque il Canto entrerà nell’Opera con simile artificio, rapirà certamente soprammodo i cuori, e non parrà a chi ben ragiona alieno, o, secondo il termine apologetico, Disconforme dal vero. […] Ora di tutte queste cose, a lui ben chiare, perchè lo spettatore benignamente perdona a’ rappresentatori? […] Oh voi, Signor Napoli, la prendete ben da lontano.
E quello é quello che da’ greci ne imitarono i nostri italiani, i quali sono ben anche dal Mattei assai oltraggiati col soggiungere: Essi vollero lavorare le loro tragedie all’uso de’ greci senza saper che fossero le greche tragedie. […] Quella bruttezza naturale ben pennelleggiata si cangia in bellezza poetica, per quello che bene osservò Aristotile. […] Intorno a cinquanta altri letterati scrissero in questo secolo un gran numero di ben regolare commedie. […] Perché divenisse tale, bisognava che le macchine per appagar l’occhio, l’armonia per addolcir l’udito, il ballo per fare spiccar l’agilità e la leggiadria, e la poesia e la rappresentazione per parlar al cuore, cospirassero concordemente a formar un tutto e un’azione ben ordinata; e ciò non avvenne prima della fine del secolo XVI. […] Millet, se ben mi ricorda, e stampata in Parigi presso Fetil.
Egli avviene ben di rado che ne’ nostri ballerini si trovi congiunta con la grazia la forza della persona, la mollezza delle braccia con l’agilità de’ piedi, ed apparisca quella facilità nei movimenti senza la quale il ballo è di fatica a quelli ancora che stanno a vedere.
… » E felice è stata l’ispirazione del poeta di chiuder l’evocazione de’personaggi ne’ quali il Ceresa nitidamente rifulse, con quello di Armando, ch’egli soavissimamente incarnò, e in cui ben pochi ebbe che gli si accostassero.
Egli è ben vero che alla epidemica malignità della critica rispondeva il pubblico applaudendo, ma nel cuore sensibile del Dominici gli applausi dell’uno eran soffocati dalle fischiate dell’altra.
Io le ho trovate si ben dirette, che nulla mi resta da suggerire.
Se ne contano sei così intitolati: 1 Giuoco di carnovale, 2 i Sette Padroni, 3 il Turco, nel quale il Soldano viene a Norimberga per pacificare i Cristiani, a cui un legato del Pontefice partecipa di aver commissione di caricarlo ben bene di villanie, 4 il Villano ed il Capro, il 5 tratta di tre persone che si sono salvate in una casa, ed il 6 contiene una dipintura della vita di due persone maritate. […] Tre femmine nude erano le tre Dive: una ben robusta, pingue e di statura gigantesca figurava Giunone; Venere era dì una magrezza straordinaria; e Pallade si rappresentava da una nana, gobba e panciutaa.
Se ne contano sei così intitolati: I Giuoco di Carnovale, II i sette Padroni, III il Turco, nel quale il Soldano viene a Norimberga per pacificare i Cristiani, a cui un Legato del pontefice partecipa di aver commissione di caricarlo ben bene di villanie, IV il Villano ed il Capro, il V tratta di tre persone che si son salvate in una casa, ed il VI contiene una dipintura della vita di due persone maritate. […] Tre femmine nude erano le tre dive: una ben robusta, pingue e di statura gigantesca figurava Giunone, Venere era di una magrezza straordinaria, e Pallade si rappresentava da una nana, gobba e panciuta73.
Or perchè non dobbiamo impropriamente stendere il nome di opera sino a que’ drammi, ne’ quali soltanto i cori e qualche altro squarcio si cantavano, e molto meno a quelle poesie cantate che non erano drammatiche, ma unicamente attribuire il titolo di Opera que’ componimenti scenici, ne’ quali sarebbe un delitto contro il genere se la musica si fermasse talvolta dando luogo al nudo recitare: egli è manifesto che l’opera s’inventò nella fine del secolo XVI, e che si dee riconoscere come inventore dell’opera buffa l’autore dell’Anfiparnaso, e come primo poeta dell’opera seria o eroica il Rinuccini, e Giacomo Peri come primo maestro di musica che, secondochè ben disse sin dal 1762 l’Algarotti, con giusta ragione è da dirsi l’inventore del Recitativo . […] Ma egli forse non volle vedere che Aquilio si vale di questa immagine come di un paragone conveniente ad un cortigiano guerriere, il quale risveglia anzi idee marziali, e manifesta un contrasto di calore e di brio che Aquilio ben comprende che gli fa uopo contenere, ed il maestro di musica che ragiona dritto, saprebbe coll’armonia animar questo pensiero marziale, imitar l’impeto raffrenato della prudenza, e conchiudere col poeta con fare scoppiare il colpo ben regolato e mostrarne la conseguenza che è il trionfo che tutto riempie il cuor d’Aquilio.
L'autore si limitò solo a dire : « Un poeta, che voglia ajutare una Truppa Comica sola, la quale sia in credito per un genere, e in discredito per un altro nell’universale, non farà certamente grand’onore a sè stesso, nè darà grand’utile alla Truppa soccorsa, se la vorrà occupata in quel genere, di cui non è creduta dall’universale capace. » E dietro lo smacco dell’insuccesso, il Sacco pensò di andar migliorando la Compagnia, facendo scrivere allo stesso Gozzi nel 1772 (prefazione alla traduzione del Fajel di D'Arnaud [Venezia, Colombani]) : Egli tiene la Compagnia esercitata nella Commedia improvvisa, e ben provveduta de'più atti personaggi a una tale rappresentazione ; ma ben fornita la tiene ancora di abilissimi personaggi a recitare qualunque buona Tragedia, Tragicommedia, o Commedia, composta o tradotta che gli venisse da qualche leggiadro spirito recata. […] Li commedianti d’altra nazione sanno anzi rigentilire la comica professione con modi li più costumati e sulle scene e nelle case ; ma tu, più ch'ogni altro, ben sai renderla infame con un’intollerabile licenza di continui atteggi e sali, o repugnanti alla decenza, o temerari nella censura.
Questo abbominevole scellerato, il cui carattere così ben espresso avrebbe dovuto far fremere sopra loro stessi tutti quelli, che hanno la disgrazia di rassomigliargli, parve un carattere affatto mancato; e le sue nere perfidie passarono per galanterie, imperciocchè tale che tenevasi per molto onesto uomo, vi si ritrovava tratto per tratto.
Passato di Francia in Ispagna alla Corte di Filippo II, riferisce il Bartoli che non essendovi troppo bene inteso, mescolò, impratichitosi di quella lingua, alcune parole spagnuole al proprio dialetto bergamasco ; e molti ne inferirono ch’egli fosse di Bergamo, tanto più che nelle lettere facete di Cesare Rao, si trova un Lamento di Giovanni Ganassa, di lingua bergamasca ridotto nell’italiana toscana ; ma non è ben chiaro se si tratti della lingua materna di lui, o di quella, come a me par più probabile, della maschera ch’ei rappresentava.
Dunque (quarta conseguenza) se i drammi fossero rappresentati dal poeta e dal maestro che li mette in musica, allora sarebbero ben eseguiti. […] Ora un “si dice” in un luogo, ed un dubbio così decisivo in un’altro fanno chiaramente vedere ch’io sono ben lontano dal voler pigliare partito in così fatta questione. […] Quando si vuol sostenere un opinione bisogna ben provarla, e non contraddirsi, come fa talvolta il N. […] [83] «Non ci sembra neppur ben provato ciò che asserisce il Sig. […] Se i drammi di Metastasio fossero ben accompagnati dalla musica e ben eseguiti dai cantanti, senza dubbio ci moverebbono di più che se fossero semplicemente recitati, ma appunto perché non c’è codesto accompagnamento ben adattato né cotesta acconcia esecuzione, essi ci lasciano sul teatro freddi quanto un ghiaccio.
Informatevi adunque ben bene delle Storie, e allora o vi dissingannerete, o farete apologie robuste, e vivaci. […] Saverio, quelle Commedie andarono in disuso, perchè n’era manifesta la irregolarità, e perchè que’ caratteri di Duellisti, e Matasiete, che in Ispagna un secolo primo non parvero alieni dalla verisimiglianza, parvero ben tali in Italia dopo un secolo, e il popolo più non se ne dilettava. […] Quando poi si vuol dare al Popolo per favola ben condotta e artificiosa la più spropositata fanfaluca, allora, invece di ridere, volta le spalle al Teatro. […] Il Signor Abate Lampillas pel suo tenor di vita, per l’istituto, e per gli studj severi che avrà coltivati, si sarà ben poco mirato in questo specchio, in cui la sua gentil Dama non fa la migliore, nè la più decente figura. Ed invero havvi Commedia tale fra’ migliori Autori, che fa stupire i ben costumati.
Trasilla e Pirindra gemelle Capuane con promessa di matrimonio ingannate da Annibale: Calavio padre, che per ben corteggiare il suo ospite le spinge a trattenerlo con ogni libertà: il generale Cartaginese che le schernisce abusando della loro credulità o facilità; mi sembrano tutti caratteri mediocri, privati, e proprii piuttosto per la scena cotuica. […] Ella le dice: Il padre mio ben sai che a maritarmi Pensa assai poco… È poichè il padre mio non mi marita, Maritar me per me mi son disposta. […] Esse meritarono lodi dagli eruditi per la regolarità e perchè ben sostengono il decoro tragico, benchè possa notarvisi molta languidezza nell’azione ed il dialogo soverchio prolisso. […] Questa tragedia dovrebbe collocarsi tralle più eccellenti italiane e straniere, se all’arte che si osserva nella condotta dell’azione, alla sobria eleganza e aggiustatezza delle sentenze, e alla ben sostenuta grandezza del carattere dell’Egizia Regina, si accoppiasse più energia e calore negli affetti, espressioni meno studiate in certi incontri, e più vivacità nella favola. […] Egli seppe rendere teatrale e interessante la violenta morte su di un palco data al legittimo padrone del reame di Napoli e di Sicilia, con fare, che l’Angioino Carlo I tra Federigo duca di Austria, e Corradino duca di Svevia e re di Napoli suoi prigionieri, ignorasse, Chi Corradino siasi, e chi il Cugino, È ben rancida la gara generosa di due amici di morir l’un per l’altro, e il cambiamento del nome per ingannare le ricerche del tiranno.
Due ben differenti aspetti all’apparenza contraddittorii presentano agli osservatori quelle Nazioni che si renderono chiare per le cose operate o patite nella pace e nella guerra. […] Ma simili dubbii e timori, giusti nelle distruttrici inondazioni de’ barbari, ben di rado si avverano nelle guerre de’ popoli culti, nelle quali la nazione che soffre, fida nel sovrano che vigila pel tutto, e conta ne’ casi avversi sulla moderazione del vincitore; ond’è che gli artisti e i letterati non intermettono i proprii lavori. […] La scena dell’atto I dovea rappresentare una campagna a piè di un monte con una fonte, presso di cui era Aristeo: … appresso a questa fonte Non son venuti in questa mane armenti, Ma ben sentii mugghiar là dietro al monte. […] Adunque la scena nell’Orfeo fuor di dubbio cangiossi, servendo anche allo spirito di magnificenza del secolo XV, in cui amavansi all’estremo (e ben l’accenna l’erudito annotatore) le maravigliose rappresentazioni, e le macchine sorprendenti .
Due ben differenti aspetti, all’apparenza contradittorj, presentano agli osservatori quelle nazioni che si renderono chiare per le cose operate o patite nella pace e nella guerra. […] Ma simili dubbj e timori giusti nelle distruttrici inondazioni de’ barbari, ben di rado si avverano nelle guerre de’ popoli culti, nelle quali la nazione che soffre, fida nel sovrano che vigila pel tutto, e conta ne’ casi avversi sulla moderazione del vincitore; ond’è che gli artisti e i letterati non intermettono i loro lavori. […] appresso a questa fonte Non son venuti in questa mane armenti, Ma ben sentii mugghiar là dietro al monte; ed in tale scena potevano passare anche il II e III atto parlandovisi del medesimo monte. […] Adunque la scena nell’Orfeo fuor di dubbio cangiossi, servendo anche allo spirito di magnificenza del secolo XV, in cui amavansi all’estremo (e ben l’accenna l’erudito annotatore) le maravigliose rappresentazioni e le macchine sorprendenti.
E qui il signor Des Boulmiers aggiunge : Questa eccellente commedia è del signor Goldoni, ed è stata messa in iscena dal signor Zanuzzi con molta intelligenza ; si può ben metterla assieme alle migliori commedie d’intrigo antiche e moderne : il celebre Autore, cui dobbiamo esserne grati, è senza dubbio quello che ha seguito più da vicino le orme di Plauto e degli antichi autori comici. […] Questo illustre autore parve averci ricondotto per alcun tempo gli spettatori, con molte opere che i conoscitori hanno a buon diritto avuto in conto di capolavori ; ma il pubblico, guastato da certe frivolezze, le abbandonò ben presto ; il che non scema certo il merito del signor Goldoni, come non scema quello dei capolavori di Molière e di Corneille, non meno abbandonati. […] Dopo il successo entusiastico di questa, è ben naturale che si ascoltasse con rispetto un nuovo lavoro e magari con buon volere si applaudisse più qua più là nelle parti buone, tanto da fare scrivere dal Goldoni al Paradisi che la commedia fortunatamente era riuscita bene ; e far mettere nella prefazione di essa (Ediz. Pasquali, Venezia,mdcclxi, Tomo V), che la fortuna avea voluto fargli del bene, che la commedia era stata ben ricevuta, e che il pubblico lo aveva incoraggito.
Innamoratosi dell’arte del padre, lo seguì, giovinetto, per alcun tempo : ma fu messo ben presto in un collegio della città natale, ove stette fino agli studi universitari, che non volle compiere ; perchè, recatosi a Bologna a tal uopo, così forte risorse in lui l’amor della scena, che pensò bene di raggiungere il padre a Venezia, e con preghiere di ogni specie indurlo a concedergli di lasciar per essa i codici e le pandette.
Il celebre Goldoni, inimitabile a ben vestire anche i corpi più malfitti, si valse di quella rozza, per la sua Carcuma nella Sposa Persiana , e per [illisible chars] negli Innamorati.
Or s’adunque un Contrario a l’altra è accolto In Lei con stupor d’Arte di Natura Nel Nero Manto e nel Splendor del Volto, Ben dir si può d’Amor alta fattura, Se nel ben di Costei in bruno accolto Sembra più Creator che Creatura.
Fu il Taddei, come il padre, di volto piacente, di occhio sfavillante, di persona ben proporzionata.
Giovanni Toselli, colla sua invenzion fortunata della commedia in dialetto giandujesco, può dirsi abbia rinnovata per noi la classica tradizione greca dell’antichissimo Carro di Tespi ; perchè, quando cominciò a far le sue prime prove, la modestissima compagnia, di cui s’era messo in testa, compagnia composta di elementi affatto primitivi, formava nella sua piccola compagine un quadretto così caratteristico e pittoresco da far proprio ricordare il genial Carro di Tespi, che sentimmo descriver nelle scuole, e che Teofilo Gauthier ha così ben modernamente illustrato nel suo immortale Capitan Fracassa.
E nel Capitolo III : Madamigella Camilla era un’ eccellente cameriera, ben accompagnata all’arlecchino del quale ho parlato (Bertinazzi), piena di spirito e di sentimento, che sosteneva il comico con una vezzosa vivacità, e che rappresentava le situazioni commoventi con anima e con intelligenza.
A’ più di loro non è mai caduto in pensiero quanto sarebbe prima di ogni altra cosa necessario che imparassero a ben pronunziare la propria lingua, a bene articolare, a farsi intendere e a non iscambiare, come è lor vezzo, un vocabolo con l’altro. […] Disordini che si verrebbono in gran parte a tor via, quando quello che è il fondamento primo della musica non fosse l’ultimo de’ pensieri così del maestro, come de’ cantori, quando il recitativo, parte essenzialissima del dramma, non fosse e nella composizione e nella esecuzione così disformato e negletto come egli è presentemente, quando le arie medesime fossero ben recitate.
In alcuni drammi del Diderot e del Beaumarchais e di qualche altro dee riconoscersi una specie di rappresentazione men lamentevole e perciò men difettosa della pretta lagrimante, benchè ben lontana dal pregio della nobile commedia tenera. […] È ben vago questo pronome elle posto prima di nominar Sofia ad imitazione di Terenzio.
Melpomene e Talìa sol men giulive, niun fra i Toschi in veder di lor ben degno, quasi invidia sentian dell’altre Dive. […] Dopo di avere aiutato la madre nella sua professione, entrò nella Compagnia di Giuseppe Lapy, in cui divenne in poco tempo attore egregio per le parti d’Innamorato ; e seppe con l’arte e con la bontà così ben meritare dell’affetto e della stima del suo Capocomico, che ne ottenne una figliuola in moglie per nome Luigia.
R. il Signor Duca d’Orléans, Reggente ; e sappiamo che Riccoboni, prima di partir dall’Italia e di stringere il patto, aveva indirizzato al Duca di Parma il seguente memoriale : 1° La Compagnia tutta supplica umilmente Vostra Altezza Serenissima di farle accordar la grazia di cui godettero i suoi predecessori, che niuna Compagnia italiana sia ricevuta a Parigi sotto alcun pretesto, quand’ anche tutti i Comici parlassero francese ; e sia generalmente vietato a qualsiasi altro di servirsi de' costumi delle Maschere del Teatro Italiano, quali dell’Arlecchino, dello Scaramuccia, del Pantalone, del Dottore e dello Scapino ; et anche del Pierrot, che, se ben francese, è nato dal teatro italiano. […] Vivono invece quelle sul teatro, consultate da chiunque si dia a tal genere di studj, e specialmente La storia del Teatro italiano, opera più che altro di polemica, per quella benedetta quistione della derivazione della commedia dell’arte dall’antica Atellana, e dello Zanni arlecchino dall’antico Sannio, che aveva sotto certo rispetto le stesse caratteristiche del costume : quistione non ben risolta tuttavia.
Coloro che dimorano fra di essi, e che leggono con sano criterio i libri che ne parlano, si disingannano ben presto.
Ella era assoluta Padrona del Teatro, e quando parlava, sapeva ben in qual modo incominciare e finire il discorso con intero compiacimento di chi l’ascoltava.
E dopo di aver pubblicato le due ottave per l’ Indigente (4 ottobre 1773) e per Le Trentatre disgrazie (6 gennaio 1774), continua : Iacopo Corsini, che sino ad una età avanzata non mai da Firenze partissi, nell’anno 1780 ha cominciato colla Compagnia del suddetto Roffi a farsi conoscere anche in altre città, come Milano, Torino, Genova e simili ; e per tutto ha riscossi de’sinceri applausi, ben dovuti alla sua abilità di Recitante e alla sua Musa naturalmente piacevole.
A. che egli cessi la sua…… di Masaniello, p che continouamente tiene in moto tutti, e questo lo sa cosi ben fare, che imposibile a dirlo. egli sie licenziato dalla Compagnia fuori dogni ragione, e se dice p la uicenda, V.
Potei ascoltare le prime scene dell’ atto, e confesso che per l’ esecuzione, ammesso che l’ artista potesse fare più personaggi senza travestimenti, la protasi fu abbastanza ben descritta.
Dopo che Fiammella ha promesso a Titïro, se cessi dalla sua crudeltà, un vaso per attinger acqua, fatto d’un teschio d’un uccello, ch'in aria si nutrisce di rapina, ………… e n’è intagliato con sottil lavoro tutt’all’intorno d’ogni sorte uccelli, ………… Ardelia dice : E tu, Titiro mio, se mi compiaci, ti vo' donar una bella ghirlanda da verginelle mani ben contesta di Rose, di Ligustri, e d’Amaranti, con molte foglie d’Ellera e d’alloro, nelle quali son scritte le mie pene, e come fui per te d’amor trafitta, con fregi che circondano le foglie ch'in esse si comprendono il trionfo del faretrato Dio, e di sua madre.
Vitalba che aveva così ben sostenuta la parte di Belisario, in quella di Gualtiero (della Griselda) si sorpassò (Mem.
Marino il presente madrigale : « Bronzin, mentre ritraggi questo fior di beltà, beltà gentile, che co’ detti, e co’ raggi degli occhi vaghi, e del facondo stile spetra i duri pensier, doma i selvaggi, se non ardi d’ Amore, hai ben di bronzo il core. » Le gelosie di mestiere erano allora com’ adesso all’ ordine del giorno. […] È possibile, dico, che questo amante della Cecchini, annunciato dalla Andreini col semplice nome di Cintio e però ben noto al Cardinal Gonzaga, e agli altri, sia poi giunto affatto sconosciuto a noi ? […] Io lo voglio dire, se ben aveva pensato di tacerlo. […] S., ho voluto parteciparla a tutta la compagnia ; et per trovarli tutti uniti gli parlai dietro il Palco doppo la Comedia, et mi ritirai in una camera dove si spogliamo et vestemo, ma Lelio marito di Florinda non volse venire, et ben che io supplicassi et gli mandassi doi volte un servitore publico a dirli che io volevo parlar de ordine di S.
Il pubblico procura Più che il tuo ben. […] Se si disamina con giusta critica niente v’ha di più stravagante a sentirsi, come ben riflette il marchese di San Lamberto nella sua bella lettera francese intorno al dramma intitolato l’Onfale, che due o tre personaggi, che parlano alla volta, e si confondono, dicendo le medesime parole, senza curarsi l’uno di quanto risponde quell’altro: ciò è contrario egualmente alla urbanità di chi parla, che alla sofferenza di chi ascolta, e però si sbandiscono a ragione dalla tragedia, dove hassi tanto riguardo al decoro. […] Tutte le quali cose producono l’illusione, non solo come supplemento della musica, e della poesia, ma come un rinforzo eziandio dell’una e dell’altra, poiché assai chiaro egli è, che né l’azione più ben descritta dal poeta, né la composizione più bella del musico sortiranno perfettamente il loro effetto, se il luogo della scena non è preparato qual si conviene a’ personaggi che agiscono, e se il decoratore non mette tal corrispondenza fra gli occhi, e gli orecchi, che gli spettatori credano di essersi successivamente portati, e di veder in fatti que’ luogi ove sentono la melodia. […] Se riguardiamo la poesia, niun’artifiziale orditura si può aspettar dal poeta, quando i prodigi vengono a frastornare l’ordine degli avvenimenti, niun carattere, ben sostenuto, quando i personaggi sono chimerici, niuna passione ben maneggiata, quando chi si rallegra, o si rattrista sono le fate, i silfi, i geni ed altri esseri immaginari, de’ quali ignoro le proprietà e la natura, né la sorte loro sarà in alcun tempo la mia. […] La veduta di una scena ben decorata, la vivacità e la forza degli oggetti espressi da lui riscalderanno maggiormente il genio del compositore.
Non furono certamente commedie scritte unicamente per dilettar la plebaglia quelle degl’ Intronati di Siena, i quali, dopo che nel principio del secolo ebbero la permissione dal governo di tornare agli antichi loro esercizj, nel 1611 ne pubblicarono una collezione, dove si veggono caratteri ben condotti, costumi ben dipinti, economia regolata, il ridicolo destramente rilevato e una dizione propria del genere comico. […] Ma gli accidenti o le combinazioni del verisimile ben modificato producono in teatro la sempre bella e sospirata varietà. […] Una sola è la molla, ma attivissima e ben collocata dà moto a tutta la machina. […] La bella poesia che sola può somministrare alla musica il vero linguaggio delle passioni, cominciò ben presto ad occupare l’ultimo luogo. […] Alcuni declamatori traspiantati in Italia sono venuti ad inveire contro di essa per tale usanza; ma con filosofica saviezza si sono ben guardati di accennare neppure a mezza bocca che la Spagna ugualmente partecipi di questa vergogna.
Faccio alle nube spesso oltraggio & onte, e con vn sguardo fo sparire il sole, e con vn calcio getto in aria un monte : il mondo trema al suon di mie parole ; ben mille volte ho a Cerber rotto il fronte, e posto in fuga le tartaree scuole. […] Tanto potere e tanta forza tengo, ch’auanti a me non è nessun, che possa resistere ; e ben spesso a pugna vengo con Orsi e Draghi ; e fo la terra rossa del sangue loro, e a mensa mi trattengo con basilischi e Tigri, e in una scossa getto a terra le torri, e vo sì a dentro, che fo tremar l’abisso e tutto il centro. […] Zanni Io so ben che n’hai mazzati de’pedocchi in quantitati, se ben fai il Mandricardo, non è il ver, che sei un bugiardo. […] Chillo che frange li monti e spacca lo monno – per lo mezzo & insomma l’arci – bravura, terrore e tremore della Tier – ra e dell’ Inferno – Con la capricciosa e ben compita Livrea del detto – Smedola vosi. […] Apri la bocca, che se ben vorresti il Pitale di Giove fatto di Stelle, e l’orinale d’un pezzo di luce te lo porterò ; e con un passo disteso, ascendo al cielo, pongo sossopra il firmamento, e fo saltare a calci in culo gli Arieti, i Tori, i Leoni, gli Scorpioni, i Gemini, le Orse, gli Asini, e tutte le Bestialitadi delle stelle.
Dal che ben pare che l’esperienza ne insegni qualmente, per l’interior del teatro, a prescegliere si abbia il legno; quella materia cioè di che fannosi appunto gli strumenti da musica, siccome quella che è più atta di ogni altra, quando percossa dal suono, a concepir quella maniera di vibrazioni che meglio si confanno cogli organi dell’udito. […] E non meno sarà egli lodevole, se nello interior del teatro saprà ristrignersi a una gentile e ben intesa intagliatura di legname, quanto se ne saprà arricchire l’esterno con di bei loggiati di pietra, con iscalinate e con nicchie, con quanto ha di più sontuoso e magnifico l’architettura.
Pisandro uomo di bella statura, e che andava adorno e armato galantemente per darsi un’ aria di Eroe, avendo in un combattimento gittato le armi, venne nella Lisistrata da Aristofane così ben deriso, ch’egli passò in proverbio presso i Greci, più codardo di Pisandro. […] Si dee sapere, che fra gli altri ciarlatani, empirici ed istrioni, che a’ nostri giorni han fatto e fanno grandissima fortuna in Parigi, vi sono con carrozza ed equipaggio un certo Nicole, e un certo Nicolet, de’ quali il primo a forza di far correre avvisi stampati per guarire il mal francese, e ’l secondo a forza di rappresentar farse e buffonerie sopra i Baluardi e alle Fiere di San Germano, e di San Lorenzo, seppero così ben fare i fatti loro, che da molti anni sono padroni di varie terre, le quali hanno titolo di Signorie.
Il Bartoli, contemporaneo del Coralli, dice : « Nella maschera dell’ arlecchino non piacque pel troppo disuguale paragone del tanto ben veduto ed accreditato Bertinazzi.
Che sa mo far ol spos Che ’fa conza i laccez Stagniati, e candeler Da valent e bon chiaper El conza ben le lum Fica ol vel in dol patum E la sposa a nom Gnigniocola El sposo Zan Frogniocola Gnigniocola Frogniocola Toca la man alla sposa Che ’l sa allegrezza tutta Val pelosa.
Ricorse allora il Medebach all’ opera dell’ Abate Pietro Chiari, il quale, se ben per nulla comparabile al Goldoni, ne fu tuttavia un formidabile antagonista.
Nato a Feltre il 27 marzo del 1854 da Giovanni e Rosa Milliacci, non comici, dopo di aver recitato fra i dilettanti, con buona riuscita, fu mandato alla scuola di declamazione di Firenze, d’onde uscì dopo due anni, per entrar poi nell’arte, per modo di dire, in una modesta compagnia, condotta, se ben ricordo, da un cotal Silvano.
« Alto e ben fatto, – dice il Dizionario dei teatri, – egli aveva la voce un po' sorda, e sembrava patir gran pena, allorchè aveva da dire un brano un po' lungo.
Ma ben tosto, come porta il pendio naturale dell’umano ingegno e per l’ignoranza dei tempi, la cosa degenerò in abusi grandissimi. […] La bella Donna mia Già sì cortese e pia, Non so perché, So ben che mai Non volge a me Quei dolci reti: Ed io pur vivo e spiro! […] [20] Non è men bella la scena dove Orfeo prega Plutone che gli restituisca la perduta sposa, della quale per esser troppo lunga non riferirò se non le stanze che canta Orfeo prima d’arrivar innanzi al re dell’Inferno: «Funeste piaggie, ombrosi, orridi campi, Che di stelle o di Sole Non vedeste già mai scintille o lampi, Rimbombate dolenti Al suon delle angosciose mie parole, Mentre con mesti accenti Il perduto mio ben con voi sospir: E voi, deh per pietà del mio martiro, Che nel misero cor dimora eterno, Rimbombate al mio pianto, ombre d’Inferno. […] Amor non sò, ma voi ben mi vincesti, Quando vi fei Signore Di questa vita, di questo core. […] Sù prest: avrì sù: prest: Da hom da ben, che tragh zo l’us.
Presso i Francesi ed i Germani era ben rara cosa il sapere scrivere sino al XIII e XIV secolo; gli atti si attestavano con testimoni, ed appena sotto Carlo VII in Francia nel 1454, si raccolsero in iscritto le costumanze francesi. […] L’apologista catalano Saverio Lampillas abbracciò la medesima comune opinione dietro la scorta del lodato Denina, facendo uso al solito di commode asserzioni gratuite in vece di monumenti storici per distruggere le verità sì ben sostenute dal Tiraboschi. […] Debellato poi Desiderio, Carlo Magno nell’anno 801, e i di lui successori sino a Corrado il Salico, fecero varie aggiunte alle leggi Longobarde, e so ne venne a formare un Codice, che, secondochè ben dice un nostro dotto scrittore, non ostante il ritrovamento delle Pandette, ebbe il suo corso nell’Italia trasteverina per sino al 1183, delle quali cose vedasi il Conrigio, Lindebrogio, Montesquieu. […] Pongasi poi da parte che quando pur fossero veramente goffe alcune delle leggi di que’ tempi, per ben giudicarne, se ne dovrebbe rintracciare lo spirito più che le parole, ed aver riguardo alle circostanze. […] L’hanno ben dimostrato i Maurini nella Storia della Linguadocca tom.
Si osserva per altro in questa tragedia più di una scena di gran forza, e specialmente la quarta dell’atto II, in cui vedesi ben colorito il contrasto di una passione sfrenata colla tenerezza di madre. […] So che a tale spedizione accorsero molte migliaja di fedeli dalla Francia, dalla Baviera, dalla Turingia, e spezialmente dall’Inghilterra, donde, secondo il medesimo Abate Uspergense, ne vennero ben sessantamila. […] Sofocle si era ben guardato dall’avventurare in faccia all’uditorio Clitennestra moribonda; ed Huerta nemico delle improprietà ve la spinge senza perchè, ed a solo oggetto di declamar tutta sola venti versi, e poi senza perchè ancora se ne torna dentro. […] Andres ben poco curato di leggere gli scrittori nazionali, de’ quali volle prendere la difesa. […] Per lo stile lascia rare volte di esser grave, ed il patetico n’è ben sostenuto, e con passi armoniosi e robusti compensa certe espressioni che parranno intralciate, più prosaiche, e meno precise e vibrate.
Trasilla e Pirindra gemelle Capuane colla promessa di matrimonio ingannate da Annibale: Calavio padre che per ben corteggiare il suo ospite le spinge a trattenerlo con ogni libertà: il generale Cartaginese che le schernisce abusando della loro credulità o facilità, mi sembrano tutti caratteri mediocri, privati e proprj piuttosto per la commedia. […] Ella le dice: Il Padre mio ben sai che a maritarmi Pensa assai poco . . . . […] Questa tragedia dovrebbe collocarsi tralle più eccellenti Italiane e straniere, se all’arte che si osserva nella condotta dell’azione, alla sobria eleganza e maestà dello stile, all’ abbondanza e aggiustatezza delle sentenze, e alla ben sostenuta grandezza del carattere dell’Egizia regina, si accoppiasse più energia e calore negli affetti, espressioni meno studiate in certi incontri, e più vivacità nella favola. […] E’ ben rancida la gara generosa di due amici di morir l’un per l’altro, e il cambiamento del nome per ingannare le ricerche del tiranno.
Egli batte il padre, e colla solita sfrontatezza vuol dimostrare che sia ben fatto. […] Se è cosa abominevole e scellerata fra gli uomini il battere il padre, appresso gli uccelli è cosa utile e ben fatta. […] A tale attore e a tal reo ben conveniva un giudice mentecatto. […] Voi me confondete colla miseria; ma dovete sapere che noi siamo due cose ben distinte. […] Forse sarà così; ma gli avremmo saputo grado, se di un fatto così degno di sapersi avesse addotte autorità o almeno congetture ben fondate.
Egli è vero che il Fiorentino Vespucci si approfittò del l’opportunità avuta risedendo in Siviglia col l’impiego di Piloto magiore per segnar le strade da tenersi, e col dare nelle carte a que’ nuovi paesi il proprio nome pervenne col tempo à farli da naviganti chiamare America, e tolse con fortunata impostura, come ben dice il giudizioso Robertson, al vero discopritore la gloria di dare il nome al Nuovo Mondo. […] Voglio anche accordare al l’apologista Lampillas, tutto intento a mettere a profitto un ipocrito zelo, che il veneziano Cabotto non diede immensi tesori alla Spagna, la quale l’invitò dal l’Inghilterra per impiegarlo nelle scoperte, e che egli rimase per ben quindici anni senza essere impiegato.
Egli è vero che il Fiorentino Vespucci si approfittò dell’opportunità avuta risedendo in Siviglia coll’ impiego di Piloto maggiore per segnar le strade da tenersi, e col dare nelle Carte a que’ nuovi paesi il proprio nome pervenne col tempo a fargli da’ naviganti chiamare America, e tolse con fortunata impostura, come ben dice il giudizioso Robertson, al vero discopritore la gloria di dare il nome al Nuovo Mondo. […] Voglio anche accordare all’Apologista tutto intento a mettere a profitto un ipocrito zelo, che il Veneziano Cabotto non diede immensi tesori alla Spagna, la quale l’invitò dall’Inghilterra per impiegarlo nelle scoperte, e che egli rimase per ben quindici anni senza essere impiegato.
Oltre al noto epitaffio di Francesco Loredano, Giace sepolto in questa tomba oscura, Scappin, che fu buffon tra i commedianti, Or par che morto ancor egli si vanti Di far ridere i vermi in sepoltura, abbiamo i due seguenti sonetti, senza nome di autore, inediti, nel manoscritto Morbio, descritto al nome di Andreini-Ramponi Virginia : PER LA MORTE DI SCAPPINO COMICO Proteo costui ben fù, che ’n mille forme Su le scene variò voce, e sembiante, Hor seruo scaltro, ed or lasciuo amante, Edippo, hor Dauo, et hor Mostro difforme. […] È ben vero che l’innamorato non sono ne Cintio, ne il morto Aurelio, ma troverebbe bene dei giovani studiosi, quali in Fiorenza dove è la scuola della lingua Toscana sono stati sommamente graditi, con speranza ch’habbino da riuscire mercè el studio al paro di qualunque altro metti il piede sopra la scena, e quel che importa senza prettensione, nè giunta alcuna.
Quando gli accadde di dover recitare con Ernesto Rossi, altro colosso di ben altra specie, che il pubblico riguardava assai più come suo antagonista, che come suo emulo, lasciava a lui con generosa sommessione la scelta della parte. […] Quando un artista a quasi sessant’anni affronta per la prima volta il personaggio di Coriolano, e a oltre sessanta quello di Jago, e a settanta infonde lo spirito a nuovi personaggi con la sua bocca forte, e a settantacinque pensa attraversar l’oceano per sostener le fatiche dell’artista in ben trenta rappresentazioni e nelle più importanti opere del suo repertorio, noi siamo certi di poter chiedere alla sua fibra titanica una nuova e gagliarda manifestazione del genio nel giorno primo di gennajo del 1909 : solennissimo giorno, nel quale il vecchio e il nuovo mondo si uniranno in un amplesso fraterno di arte a dargli gloria.
Erano in tal tempo cresciuti gli attori di mestiere, benchè tante accademie insieme colla poesia teatrale coltivassero ancora il talento difficilissimo di ben recitare.
Mairet compose ancora altre due tragedie non molto inferiori alla Sofonisba, le quali si rappresentarono nel 1630, la Cleopatra favola ben condotta, ed il Grande ultimo Solimano regolare ed interessante, in cui l’autore afferma di essersi prefisso di vestire alla francese il Solimano del conte Prospero Bonarelli.
Il Gollinetti confessò il suo torto, riacquistò il suo credito di buon attore, senza usurparsi quello di Autore…… Nel 1748-49 passò in Varsavia colla Compagnia italiana, e nello schizzo apparso a Stuttgart, nel 1750, è detto di lui che era un uomo alto e ben tagliato.
E ben alato n’andrò, mentre risiede nella mia mente Cupido.
L’Accademia si recò ad inchinar l’artista ; una folla enorme e plaudente l’accompagnò a casa con le torce, e la Pia, fu replicata in mezzo al crescente entusiasmo per ben diciassette sere.
Non vi ha chi non possa imparare a memoria e recitar da la scena, ciò ch’egli ha imparato a memoria : ma dal comico italiano si richiede ben altro.
Così principiò quella Compagnia, che poi si è resa famosa, e che trovai ben formata, ed in credito quattr'anni dopo a Livorno.
Ciò che pensa ciascun, ciò che domani O da quì a un mese ha da pensar, ben sanno. […] Oggidì per iscreditarsi un uomo in una conversazione di persone ben nate, basterebbe che profferisse alcuna di queste inezie, che i Francesi chiamano turlupinades. […] Tossilo gl’ insinua di udirla un poco prima di parlar del contratto, per ben conoscerne le maniere e il pensare. […] Se cittadini avrà ben costumati, A meraviglia fia munita e forte. […] Di siffatte commedie, nelle quali i buoni diventano migli ori, se ne inventano ben poche dai poeti di oggidì”.
Ciò che pensa ciascun, ciò che domani O da quì a un mese ha da pensar, ben sanno. […] Oggidi per iscreditarsi un uomo tra persone ben nate, basterebbe che proferisse alcuna di queste inezie che i Francesi chiamano turlupinades. […] Tossilo gl’insinua di udirla un poco prima di parlar del contratto, per ben conoscerne le maniere ed il pensare. […] Se cittadini avrà ben constumati, A meraviglia fia munita e forte. […] Di siffatte commedie, nelle quali i buoni diventano migliori, se ne inventano ben poche da i poeti di oggidì.
Per la stessa ragione meritano ben poco di rammemorarsi alcuni componimenti del principio del secolo descritti dal Quadrio nel tomo I. […] La regolarità di questa tragedia è manifesta; gli affetti sono ben maneggiati; i caratteri dipinti con uguaglianza, verità e decenza; il fine tragico di commuovere colla compassione e col timore egregiamente conseguito. […] Quanto alla passione di Celia da per tutto ben colorita presenta spesso espressioni giuste, patetiche e naturali. […] Ma bisogna confessare che nell’atto IV l’Italiano rimane ben al di sotto del Latino. […] Sussiste ancora a’ nostri dì questo teatro ben conservato per diletto de’ viaggiatori, e per gloria de’ Vicentini.
I Pisandri pullulano in ogni terra e in ogni tempo; sbucciano bensì ben di rado gli Aristofani vindici delle pubbliche lagrime. […] Egli batte il padre e colla solita sfrontatezza vuol dimostrare che ciò sia ben fatto. […] Se è cosa abominevole e scellerata fra gli uomini il battere il padre, appresso gli uccelli è cosa utile e ben fatta. […] A tale attore ed a tal reo ben conveniva un giudice mentecatto. […] Voi me confondete colla Miseria; ma dovete sapere che noi siamo due cose ben distinte.
Chi sapesse ben il vero Del mestiero Di chi va cercando i mali Manderebbe alla mal’ora Tutti i medici, e speziali Per goder la sanità. […] A loro altresì ricorre la verità, ma, come può ben credersi, ambedui la sfuggono. […] L’armonia era ben concertata, e spiccava la pienezza degli accordi, ma niuno, o pochissimo studio si metteva nell’osservar la relazione tra la parola e il canto, e nel perfezionare la melodia. […] Che se in questa guisa s’anderà avanti nello studio delle lettere e dell’antichità, ben tosto, cangiato l’ordine delle cose, vedrem la barbarie sortita dalla coltissima regione d’Italia diffondersi per tutta l’Europa» 80.
Un curioso prologo è questo, composto, al dire di esso Bartoli, in occasione di dover recitare a Bologna nel carnevale del 1611…. e che qui io pubblico intero, assieme alla riproduzione del frontespizio, per dare una idea ben chiara di questa variazione (sudiciotta, se vogliamo) della maschera del Dottore, di cui, per quanto io mi sappia, non è traccia fuorchè nel nostro Aniello. […] Non Saturno, non Gioue, non Apollo, non Marte, non Venere, non Pallade, non Mercurio, è stato da sè solo il fondator di Bologna ; ma tutti insieme d’accordo come pifferi fuste i muratori di fabrica così stupenda ; e molto ben ve ne ricordate, se non hauete perduto il cervello ; Saturno fece i fondamenti con la Giustitia delle leggi, Gioue tirò sù le belle prospettiue con la benignità de’costumi ; Apollo vi fece miniature all’arabesca con il pregio della Poesia, Marte vi pose i baluardi con la fortezza de gl’huomini, Venere l’adornò di pitture con la beltà delle donne, Pallade dotò la Città tutta co’tesori delle scienze, e Mercurio la vesti d’vn bellissimo drappo di grata, e natural facondia.
r contradir vuole, se ben dicesse hauer ueduto il giorno splender le stelle e a mezzanotte il sole, con tutto ciò, non per contradire, ma per non simulare, dirò che la vostra incostanza conosciuta per difetto dalla Sig.ª Lauinia, si opponerà all’acquisto che bramate ; onde infine il tempo perduto seruirà di penitenza delle contentezze che Celia ui offerisce nel suo matrimonio : questa risolutione offende Celia, Celia ha il nome dal Cielo, e chi offende il Cielo, all’inferno è dannato ; guardate che il disprezzo di questa meschina non vi condanni all’inferno della disgratia di quest’altra. […] Vi scuso, o Lucio, poichè hauendoui detto che tanto assomigliate a Celia ; è ben di dovere che difendiate la causa di chi tiene la vostra sembianza.
L’ora fatal sopravverrà ben tosto, E tavvedrai che, del mangiare e bere Tranne il diletto, nulla al fin rimane.
A. resti ben seruito come merita.
Ma verrà un giorno ch'io tornando a queste scene avrò nuove genti intorno di bel spirito ripiene, che le cose altrui ben chiare sapran meglio recitare.
Basti che intanto se ne citino alcuni, i quali, nella lor varietà dànno un’ idea ben chiara della morbidezza e vigorìa del suo talento : Stuarda di Schiller – Medea di Legouvé – Norma di D' Ormeville – Messalina di Cossa – Amleto di Shakspeare – Maria Antonietta di Giacometti – Suor Teresa di Camoletti – Teresa Raquin di Zola – La Signora dalle Camelie di Dumas figlio – Fernanda di Sardou – Adriana Lecouvreur di Scribe – Il Signor Alfonso di Dumas figlio – Le Gelosie di Lindoro di Goldoni – La Casa Nuova di Sardou – La Donna e lo Scettico di Ferrari – La Giorgina di Sardou – Il Casino di Campagna di Kotzebue – Antony di Dumas – La Vecchia e la Nuova Società di Feuillet – Il Codicillo dello Zio Venanzio di Ferrari – Giuditta di Giacometti…. ecc., ecc., ecc.
Quanto al costume ho riprodotto la maschera del Sand, che non è che una variante dei tanti Zanni di Callot, e non ha che vedere nè con quella della stampa attribuita ad Abraham Bosse, contemporaneo di Mondor, fatta nella prima giovinezza, poco dopo la sua andata da Tours a Parigi, nè con quella della stampa che sta in fronte all’ Inventaire universel des œuvres de Tabarin (Parigi, 1623), molto somigliante del resto, se ben più piccola, all’altra : se non che Tabarino là è senza barba e coll’ enorme tesa del cappello, base del costume tabarinesco, calata sull’occhio manco (pagina 556), mentre qui ha la lunga barba a punta e la tesa rilevata ai due lati, come in questa riproduzione ammodernata che precede le opere tabarinesche nell’edizione del 1858.
Mairet compose altre due tragedie non molto inferiori alla Sofonisba, le quali si rappresentarono nel 1630, cioè la Cleopatra favola ben condotta, ed il Grande ed ultimo Solimano regolare, ed interessante, in cui l’autore afferma di essersi prefisso di vestire alla francese il Solimano del conte Prospero Bonarelli 1. […] Il Riccoboni però ci assicura che Moliere nel Dispetto imitò anche un’ altra commedia italiana intitolata gli Sdegni amorosi, e questo titolo ben può indicare che da tal commedia trasse probabilmente la riferita scena. […] L’Aaglomano ritratto ben espresso si ricevè con plauso.
Ma il mal costume invecchiato nè anche, al dir di Orazio, colla forca giugne a sterminarsi; ed ossserviamo che da per tutto quasi sempre i costumi col tempo sogliono diventar leggi, e ben di rado le leggi si convertono in costumi. […] Dal l’altra parte Saverio Bettinelli gentile sempre e sempre puro scrittore italiano si diede ben poca cura di schivare diversi gallicismib, e talvolta a qualche voce toscana diede il significato francesea, o ne diede uno tutto nuovob, e si valse di voci ch’egli chiama inusitate e strane c.
Or perchè non dobbiamo impropriamente stendere il nome di opera fino a que’ drammi ne’ quali soltanto i cori e qualche altro squarcio si cantavano, e molto meno a quelle poesie cantate che non erano drammatiche, ma unicamente attribuire il titolo di opera a que’ componimenti scenici, ne’ quali sarebbe un delitto contro al genere, che la musica si fermasse talvolta dando luogo al nudo recitare: egli è manifesto che l’opera s’inventò nella fine del secolo XVI, e che si dee riconoscere come inventore dell’opera buffa l’autore dell’Anfiparnaso, come primo poeta dell’opera seria o eroica il Rinuccini, e Giacomo Peri come primo maestro di musica, che, secondochè ben disse sin dal 1762 l’Algarotti, con giusta ragione è da dirsi l’inventore del Recitativo. […] Ma egli forse non volle vedere che Aquilio si vale di questa immagine come di un paragone conveniente ad un cortigiano guerriere, il quale risveglia anzi idee marziali, e manifesta un contrasto di calore e di brio che Aquilio comprende che dee contenere; e un Piccini, un Sacchini, un Gluck, saprebbero coll’ armonia animar questo pensiero vivace, imitar l’impeto guerriero raffrenato dalla prudenza, e conchiudere col poeta con fare scoppiare il colpo ben regolato e mostrarne la conseguenza ch’è il trionfo che tutto riempie il cuor d’Aquilio.
Questa saggia e colta popolazione lucchese tanto conoscitrice dei vantaggi che dalle sceniche Produzioni ne derivano, quanto magnanima per incoraggiare nei loro tentativi gli attori che si accingono ad eseguirle, anima l’umile Compagnia, condotta e diretta da Luigi Rosa e Pasquale Tranquilli, ad intraprendere un corso ben regolato di Recite nel corrente Carnevale. […] Bisogna leggere i giornali dell’epoca, per rendersi ben conto di codesto delirio, e di cotesto fanatismo.
Ed è facile capire come con questo studio del personaggio non soltanto nei fatti che si svolgono, ma ben anco nelle parole con le quali si esprime, il colorito e l’efficacia della dizione sieno una conseguenza legittima dello studio complessivo e non uno studio a parte ». […] E però il pubblico che ben ricorda l’arte magistrale e novatrice dell’Emanuel, chiama questo volentieri maestro dello Zacconi, tanto più che, come accade il più spesso per ogni attor subalterno, egli, vivendo al fianco del grande artista, ne ritrasse, certo inconsapevolmente, alcune maniere e inflessioni.
Sono dunque da riferirsi a quel tempo il teatro di Urbino, in cui si ammirarono le invenzioni del Genga esaltate dal Serlio degli alberi fatti di finissima seta, prima che la prospettiva avesse insegnato in qualunque occorrenza a mostrare i rilievi a forza di ombre e di punti ben presi.
Vi si trovano introdotti i cori, e vi è osservata scrupolosamente la quantità delle sillabe ne’ differenti metri usati in ciascuna scena; e per lo sceneggiamento si vuole sopra tutti quelli de’ contemporanei ben connesso.
Quanto all’Italia, lasciando a parte que’ melici allori colti dal Zeno ed a piena mano dal figlio dell’armonia e delle grazie Metastasio emulo illustre de’ Rasini e de’ Cornelj, essa ha ben dati nella tragedia e nella commedia e lieti frutti e speranze più liete ancora.
E al macellaro pure che ben le sarò grato (?)
Quivi, invogliato agli studi, si diede a leggere quanti più libri potè, coll’esempio anche del padre suo, al quale, sebben macellaio, erano sconosciuti ben pochi de’nostri poemi italiani.
Gli era troppo a cuore presentarsi con un completo drappello di attori alla diletta sua Roma, città delle sue più nobili e tenere memorie, città che saluta quasi per seconda sua patria ; ma nel meglio di utili trattative, quasi concluse, accaddero inattese vicende che fallir fecero le sue ben concepite speranze.
Di premio degni Fur que’ valenti ; e premio a l’ un fu assai Vita d’agi beata e regia tomba ;12 De l’altro al merto guiderdon ben amplo Del Cesare novel13 fu l’amistade.
Nessuno potrà contrastare al nostro Morrocchesi esser egli stato il primo fra' comici a penetrare ben addentro ne' reconditi pensieri di quel gran tragico, a colpirne i caratteri, a regolare la declamazione de' suoi versi meno pomposi, che ricchi di pensieri, ed indigesti alla più gran parte de' comici d’allora.
ma ha fato scriuer a petrollino et ben che come sua humil serua mi douessi aquetare à quanto conosco esser di sua sodisfacione non dimeno astreta da quella pietà che ogniuno hà di sè stesso uedendomi una tanta ruina cosi uicina et credendo pur che Vostra Altezza perseueri perche non conosca tanto mio danno et dissonore però di nouo la suplico per le Vissere di Gesu Christo a non esser causa de la ruina mia et creda che se cosi non fosse uorei prima perdere la uita che restar di obedirla la mi faccia gratia di farsi dar informacione da chi ha cognicion di questo fato senza che io sapia da chi et non siano persone interessate che la conosserà ch'io dico il uero et da quelli la intenderà quello che per non infastidir taccio chiedendoli perdono de la molestia et mia sforzata importunità, con che gli resto humilissima serua suplicandola di nouo concedermi con pedrolino la Vita del mio honore et del Corpo che nel restar di pedrollino consiste però gratia Ser.
Nel cinquecento imitammo i greci, e fu ben fatto: imitiamo oggi i francesi, e si fa senno: aspettiamo però il tempo, in cui avremo acquistata la destrezza di saper da noi stessi imitar la natura, e allora sorgeranno tra noi gl’ingegni creatori, e si perfezionerà al sommo la drammatica. […] Il signor Diderot non solo compose in prosa il Padre di Famiglia e ’l Figlio Naturale «Dans le grand goût du larmoyant comique» come dice scherzando il signor di Voltaire; ma ben anche volle dettar regole in questo genere più strambo e bizzarro dell’opera buffa.
Dante Alighieri, che col sumministrare all’ Italica favella per mezzo delle sue dotte e ingegnose produzioni non poca robustezza, vivacità ed energia, e coll’ arricchirla di molte e varie immagini, e di molti e varj colori poetici, mostrò con effetto, siccome disse il Boccaccio nella di lui Vita, con essa ogni alta materia potersi trattare, e glorioso sopra ogni altro fece il volgar nostro; Dante che perciò fu dal Petrarca chiamato ille eloquii nostri dux, da Paolo Giovio il fondatore del Toscano linguaggio, e da altri il Poeta de’ Pittori; Dante afferma nel capitolo X del suo Convivio, che per l’Italico idioma altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente, e acconciamente si poteano manifestare, quasi come per l’istesso Latino; e loda in esso l’ agevolezza delle sillabe, la proprietà delle sue condizioni, e le soavi orazioni che già fin d’allora se ne faceano, le quali chi ben guarderà, vedrà esser piene di dolcissima e amabilissima bellezza. […] Queste imprese, secondo che io mi avviso, cantavansi da’ ciarlatani così denominati, siccome ben osserva il Muratori, dal cantare che per lo più facevano, le gesta di Carlo Magno.
Si recò a quindici anni a Verona, per impararvi il mestiere di sartore ; ma innamoratosi del teatro, entrò in una piccola compagnia, in cui dalle ultime parti potè salir ben presto a quelle di prima importanza, quali di padre e di tiranno ; e con tal successo, che in capo a pochi anni lo vediam già nello stesso ruolo in Compagnia del vecchio Zanerini, di cui potè seguire, senza servilità, la vecchia scuola, e di Maddalena Battaglia (1795-96), destando a Venezia, al San Gio. […] Sazio d’encomi, e ben fornito di danaro, pensò di lasciar le scene per darsi alla vita tranquilla della famiglia.
Tomiri che nella Morte di Ciro di Quinault va cercando sul teatro ses tablettes perdute, fu ben meritevole della derisione di Desprèaux. […] Io già non parlo dell’amore energico, furioso, terribile che ben conviene alla vera tragedia; parlo . . . degli amori proprj dell’idilio e della commedia anzichè della tragedia”. […] Faceva versi ben torniti, ma non mostrò di esser nato per la poesia tragica.
Ed io ben credo che così avvenisse; ma per soddisfazione degli Stranieri non si dovea avvalorare questa semplice asserzione con qualche pruova, col nominare almeno le Città dove tali rovine esistono?
Ebbe pure gli haravec (vocabolo che corrisponde a inventore, trovatore, poeta), i quali fecero versi, in cui si scorgono alcuni lampi di buona poesia; e l’inca Garcilasso ci ha conservato un componimento, nel quale veggonsi le meteore bellamente personificate ed arricchite d’immagini ben aggiustate e vivaci12.
Vi si trovano introdotti i cori, e vi si osserva scrupolosamente la quantità delle sillabe ne’ differenti metri usati in ciascuna scena; e per lo sceneggiamento si vuole sopra tutti quelli de’ contemporanei ben connesso.
Nel Bartoli vide una larva di appoggio, e, lontano, lontano, nell’orizzonte, ben chiaro, un futuro di assoluta libertà.
L’illusione si diminuisce nello spettatore, se vede nell’attore troppi preparativi : per questa sovrabbondanza si dimentica talvolta delle convenzioni sociali e del tacito patto fra l’attore ed il pubblico sul limite stabilito a quella massima, che l’attore, tranne i personaggi co’quali trovasi in scena, deve credere non esservi altra persona che lo guardi e l’ascolti ; precetto che ha bisogno d’essere ben spiegato, perchè non del tutto vero, ed a cui contrasta il fatto.
E di questo commento sapeva così ben convincere con larghezza di parole e con evidenza di ragioni i suoi scritturati, che, se atti ad accoglierne l’intendimento artistico, non potevan che riuscir di onore alto al maestro.
È di robusto corpo e ben formato ; d’altezza avanza il Briareo gigante.
Perchè…. egli è piccolo, molto piccolo, inverosimilmente piccolo, tanto che la sua statura fu nell’inizio della sua vita artistica un grande ostacolo a farlo entrare in una Compagnia rispettabile come quella di Moro-Lin, che fu la sua prima e grande e ben giustificata aspirazione.
Ma gli Francesi, se ben m’avviso, sono lontani da tale avvertenza e se hanno delle tragedie libere dalla macchia pare che ciò sia piuttosto effetto casuale dell’argomento che opera dell’arte. […] Benché si dica ch’egli andò al più vicino ha ben fatto il poeta a provvederlo d’ali con far dire ad Arbace: «Lidus y vole». […] Per ben discernere il merito che hanno in tal parte que’ drammatici scrittori e quindi pareggiarlo con quello degli Italiani, noi distingueremo in vari punti il discorso. […] Certamente egli in ciò scuopre una finezza di gusto a cui non era giunto alcuno altro de’ tragici francesi: ancorché per vero dire le sue tragedie non ben corrispondono al ragionamento. […] Ma qual ricreazione può mai compararsi a quella di una Commedia, e Tragedia ben fatta?
Di più, questo metodo condurrebbe ben tosto la musica teatrale ad una sgradevole monotonia, poiché, avendosi a rendere la passione che domina per tutto il dramma, l’uditore sarebbe costretto a sentire fin da principio quel gener medesimo d’armonia, che gli toccherà poi in sorte d’ascoltare sì lungo tempo, e che dee per conseguenza essere dal compositore sobriamente dispensato affine di non cadere nel vizio distruggitore d’ogni più squisito piacere qual è la sazietà. […] [30] Io son ben lontano dal volere che l’ordin metodico delle parole serva esattamente di regola al compositore, voglio anzi ch’ei raggiri il suo pensiero, e a così dir, l’analizzi per entro alle differenti modulazioni che le somministra il suo tono dominante senza la quale licenza non è facile, che l’espressione musicale ottenga il suo intento siccome quella, la quale non apportando in ciascun suono individuale se non se una sensazione troppo rapida e fugace, non può avere il suo effetto in un solo istante; perlochè volendo imprimer nella memoria traccie distinte e durevoli della sua possanza, ha bisogno d’esser condotta per più modulazioni differenti. […] [43] Astaritta, compositore stimabile ed accreditato, ha lavorata un’aria137 su quelle parole dell’Adriano in Siria «Già presso al termine De’ suoi martiri, Fugge quest’anima Sciolta in sospiri Sul volto amabile Del caro ben.» […] Ella preferisce lo straordinario e il bizzarro, ciò che suppone un qualche sforzo di mente per ben comprendersi, perché ciò fa onore alla penetrazione e alla dottrina dell’uomo vano, mostrandolo coll’una e l’altra superiore di molto alla intelligenza comune. […] Cotal licenza può giovare di molto all’avanzamento delle arti allorché queste essendo nella loro fanciullezza, e confidate alle mani di saggi regolatori hanno bisogno di pigliar incremento, di spiar tutte le uscite e veicoli che guidano al bello non per anco ben conosciuto, e di rintracciar nel vasto campo della sensibilità e della immaginazione il maggior numero possibile di quelle sorgenti onde scaturisce il diletto.
Con qualche passo di più forse l’ultimo di essi l’avrebbe condotta a quel grado di prefezione, in cui le arti, come ben dice Aristotile, si posano ed hanno la loro natura. […] La condotta n’è così giudiziosa che il leggitore dal principio alla fine vi prende parte al pari di chi nacque in Grecia; tale essendo l’arte incantatrice degli antichi posseduta da ben pochi moderni, che la più semplice azione viene animata dalle più importanti circostanze con tanta destrezza, che il movimento e l’interesse va crescendo a misura che l’azione si appressa al fine.
Per lo che, volendo ben trattare della declamazione in particolare, non possiamo negligere ciò che alla pronunciazione in generale appartiene. […] Or nessuno di questi elementi e de’ loro modi si dee trascurare o alterare sia parlando, o leggendo; e ciò l’arte costituisce di ben vocalizzare ed articolare pronunciando. […] E così avvezzandoci a contemplar la natura negli originali trascelti e nelle copie più esatte, non pure apprenderemo a ben conoscerla, ma ci disporremo altresì a ben imitarla. […] Il perché non può ben determinarsi il tipo ideale di ciascuna arte, se prima non si determini qual fine l’arte propongasi in particolare, ossia qual’effetto e per quai mezzi essa voglia e deggia produrlo. […] Più che altra cosa la poetica di Aristotele, ben intesa, prova abbastanza quanto io qui non posso che semplicemente accennare.
Or perché quella spinta industrioso é comune a tutti gli uomini e la natura da per tutto risponde a colui che ben l’interroga, é chiaro a chi diritto mira, che pochissime sono le arti che se un primo popolo inventore passarono ad altri, ed all’incontro moltissime quelle che la sola natura, madre e maestra universale va comunicando a’ vari abitatori della terra.
Ma secondochè ben riflette il Maffei nel Ragionamento degl’Itali primitivi, a quei, che vennero con Demarato si riferisce altresì in parte la pittura, e pure, per quel che osserva lo stesso Plinio, era essa già perfezionata in Italia molto prima.
Plutarco nel libro contra Colote afferma con asseveranza che possano ben trovarsi nel mondo città senza mura, senza lettere, senza re, senza case, senza facoltà, senza moneta, senza teatri, senza ginnasii, ma senza tempi, senza numi, senza oracoli ουδεις εϛιν ουδέ εϛαι γεγονως ϑεατης, nè alcuno la vide nè la vedrà mai.
., scelgo il principio e la fine del sermone di Giuseppe Barbieri, Il Teatro, a lei dedicato, che è men facile a trovarsi : …………… Pochi nel genial comico ludo surgono ad alta meta insigni attori ; e Tu forse nel tragico lamento unica sei, che l’anime distempri d’ineffabil dolcezza ; e ben Tu fosti a miracol mostrar, di Ciel venuta, soavissima Venere del pianto.
Così rovinò il sistema poetico, e musico degli antichi invece del quale nuova poesia successe barbara, e rozza, che tutta la sua vaghezza traeva dal definito numero delle sillabe in ogni verso, e dall’accoppiamento delle desinenze simili da loro chiamate rime, e nuova musica parimenti, la quale fu ben tosto una serie noiosa, e lenta di passaggi spogliati d’ogni dolcezza, senz’altra melodia, che quella che poteva nascere dalla forza, e dalla durazione de’ suoni. […] A chiunque sia versato nella teoria musicale è ben noto che il modo suppone il valor delle note, poiché quella parola riguarda la massima e la lunga. […] Non sarebbe inverosimile che gl’Italiani l’avesser trovata, sì perché non sembra probabile che avesser musica da tanto tempo senza conoscer quelle cose, che sono indispensabili a ben regolarla, come perché le invenzioni di Guido a quelle altre agevolmente conducono. […] Ove le passioni avevano in cielo la loro difesa, e le arti il loro modello, ben si vede qual entusiasmo dovea accendersi in terra per coltivar queste, e ingentilir quelle favoreggiato poi dagli usi politici, e ravvivato dalla possente influenza della bellezza, principio comune delle une e delle altre.
Lotta in essa l’autore coll’ invincibile difficoltà di ben riuscire in siffatto argomento: vi frammischia certi amori subalterni riprovati dal gusto: e lo stile non si eleva abbastanza per giugnere alla sublimità tragica1. […] Per altro vi si osserva più di una scena di molta forza specialmente la quarta dell’atto II, in cui vedesi ben colorito il contrasto di una passione sfrenata colla tenerezza di madre. […] So che a tale spedizione accorsero molte migliaja di fedeli dalla Francia, dalla Baviera, dalla Turingia, e spezialmente dall’Inghilterra, donde, secondo il medesimo abate Uspergense, ne vennero ben sessantamila. […] Garcia si presenta al re, e gli dimostra che coloro che chiedono la morte di Rachele sono i più leali vassalli, quelli che l’accompagnarono in Palestina, che lo coronarono re di Gerusalemme (Alfonso ben poteva dargli una solenne mentita), che insieme con lui in Alarcos furono terrore degl’ immensi squadroni Affricani. […] Per lo stile lascia rare volte di esser grave, ed il patetico n’è ben sostenuto, e con passi armoniosi e robusti compensa certe espressioni che parranno intralciate, più prosaiche e meno precise e vibrate.
Plutarco nel libro contra Colote afferma con asseveranza che possono ben trovarsi nel mondo città senza mura, senza lettere, senza re, senza case, senza facoltà, senza moneta, senza teatri, senza ginnasii; ma senza templi, senza numi, senza oracoli ουδεις εστίν ουδέ εσται γεγονως θεατης, nè alcuno la vide nè la vedrà mai .
I Moderni sono avvezzi a vedere Drammi di uno, di due, di tre, di quattro, e di cinque Atti; e sono ben rari coloro che riprendono la Sofonisba del Carretto per la divisione degli Atti. […] Essa principalmente si appoggia in alcuni versi Oraziani, che non parlano già o di numero di Atti, o di quello delle persone da ammettersi in una scena, ma bensì di quelle eterne ragioni dettate dalla Natura bene osservata, la quale, perchè sia ben ritratta esige certe condizioni, senza di cui ricusa di comparire in Teatro. […] Montiano, il quale, a differenza di altri, intendeva che le unità non sono le sole regole Drammatiche, che trasgredite deturpano un componimento, dice di tal Marcella, ch’egli la chiamerebbe, piuttosto una Novella compassionevole ridotta in buoni versi, che una ben regolata Tragedia.
Quì l’apologista Lampillas abbraccia con alacrità di cuore la medesima comune opinione dietro la scorta del Denina, facendo uso al solito di commode asserzioni gratuite in vece di monumenti storici per distruggere le verità sì ben sostenute dal Tiraboschi. […] Debellato poi Desiderio, Carlo Magno nell’anno 801, e i di lui successori sino a Corrado il Salico, fecero varie aggiunte alle leggi Longobarde, e se ne venne a formare un codice, che secondochè ben dice un nostro dotto scrittore, non ostante il ritrovamento delle Pandette, ebbe il suo corso nell’Italia trasteverina per sino al 1183, delle quali cose vedasi il Conrigio, il Lindebrogio, il Montesquieu. […] Pongasi poi da parte che quando pur fossero veramente goffe alcune delle leggi di que’ tempi, per ben giudicarne se ne dovrebbe rintracciare lo spirito più che le parole, ed aver riguardo alle circostanze.
Non solo la cognizione richiedesi, e il possesso di quelle leggi ricavate dal consenso comune, e dalla esperienza, onde l’autore possa dettare intorno alle cose un ben fondato giudizio: non sol gli è d’uopo investigare il legame segreto, che corre tra il genio della nazione e la natura dello spettacolo, tra il genere di letteratura, che è il principal argomento dell’opera, e gli altri che gli tengono mano, ma indispensabile diviene per lui eziandio l’erudizione, quell’erudizione medesima, della quale l’uomo di genio fa così poco conto, e senza cui niuno storico edifizio può alzarsi. […] [10] Ad ogni modo però son ben lontano dal lusingarmi d’avere sfuggito ogni motivo di riprensione.
Ora il leggitor saggio sa ben distinguere un ornamento, che può essere straniero forse alla poesia scenica, da un concettuzzo falso e proprio della corruzione del secolo XVII.
Vedasi intorno a questo teatro la lettera VIII del tomo IV del meritamente ben accolto Viage d’España del signor D.
Mancano adunque i Cinesi d’arte e di gusto nel dramma che pur seppero inventare sì di buon’ ora; e con tanto agio non mai appresero a scerre dalla serie degli eventi un’ azione verisimile e grande atta a produrre l’illusione che sola può trasportare gli ascoltatori in un mondo apparente per insegnar loro a ben condursi nel vero30.
Nel ’64 dunque il Calderoni non avea ancor preso moglie ; e data la famigliarità della sua lettera, doveva, se ben giovanissimo, essersi già acquistata ottima fama di artista.
Ma finalmente, dopo un carteggio ben nudrito da ambe le parti, la Compagnia si mise in viaggio in piena estate del 1613 per alla volta di Parigi, fermandosi a dar qualche rappresentazione dal 26 agosto a Lione, e arrivando ai primi di settembre a Parigi, ove recitarono il 10 al Louvre : di questa e di altre rappresentazioni riferisce il Baschet le parole di Malherbe, che non son le più tenere pei componenti la Compagnia in genere e per Messer Arlecchino in ispecie.
La prima delle accennate osservazioni è diretta a far vedere di qual perfezione sarebber capaci fra noi le arti pantomimiche avendo mezzi più efficaci che non avevano essi per ben riuscirvi. […] La terza fu un carro di Nettuno tirato da due mezzi cavalli, con le pinne, e squame da pesce, ma benissimo fatti; in cima il Nettuno col tridente ecc. dietro otto mostri, cioè quattro innanti, e quattro dappoi tanto ben fatti, ch’io non l’oso a dire, ballando un brando; ed il carro tutto pieno di fuoco. […] Innanti due aquile e due struzzi; dietro due uccelli marini e due gran papagalli di quelli tanto macchiati di diverso colore, e tutti questi erano tanto ben fatti, Monsignor mio, che certo non credo che mai più si sia finto cosa simile al vero; e tutti questi uccelli ballavano ancor loro un brando, con tanta grazia quanto sia possibile a dire né immaginare. […] Per fortuna dell’arte Lulli non badò punto alle loro declamazioni, e seguitò l’intrapresa riforma contentandosi di segnar talvolta le figure e i passi a’ maestri di ballo, che pon ben sapevano tener dietro al suo violino. […] Da ciò ne conseguita che la mimica ha tutti i vantaggi della pittura e della scultura nella varietà, nella scelta, e nella forza delle attitudini avendo di più l’impareggiabile prerogativa di poter mettere ne’ suoi quadri una successione, un muovimento che mettervi non ponno i pittori o gli scultori condannati a non esprimere fuorché un solo atteggiamento nelle figure, né tampoco negherò che veduto non si sia un qualche ballo pantomimo in Italia, il quale ben composto, ben eseguito, accompagnato da una musica espressiva, e afferrando nella sua imitazione i tratti più caratteristici e più terribili d’un argomento, abbia prodotto sugli spettatori un effetto eguale e forse maggiore di quello ch’è solita a produrre la tragedia recitata.
Io sento essere la mia macchina ben lontana dallo sconcertarsi per lo riscaldamento dell’atrabile, che altra volta trasportava gli argomentanti ne’ circoli delle Scuole.
Lo sceneggiamento n’é sopra tutti quelli di quel tempo ben connesso, e vi si osserva scrupulosamente le quantità delle sillabe in tutti i differenti metri che l’autore volle adoperare in ciascuna scena.
ia accettare la parte, a ben che i compagni abino corisposto con poco termine, poichè sapendo che questi mi stimolano a pigliar questo impiego, dissero che se io havessi recitato in questa comedia m’ havrebero mandato fori di compagnia, ma essendomi risentita si sono disdeti, e così non vi è stato altro….
Costretto quegli ad abbandonare il Regno di Napoli per sottrarsi ai rigori della giustizia, e trovandosi in Paese forastiero senza danaro e col peso di due figliuoletti, dovè, se ben gentiluomo, darsi al mestiere del Ciarlatano, e vendere specifici. » Tiberio crebbe siffattamente ghiottone, che, non contento di quel che gli assegnava il padre, talvolta a soddisfar la sua gola, rubavagli le scatole d’orvietano, e rivendevale a prezzo vile agli osti e fornai. […] Maria Roberta Duval, giovane miserissima di circa ventitrè anni, visse i primi due anni in pace col vecchio amoroso : ma, sia che l’indole di lei la portasse col pensiero ad altri affetti, sia che Scaramuccia la tormentasse oltre il bisogno con la gelosia, accettate le proteste d’amore di un giovanotto, se ne fuggì in Inghilterra ; di dove poi, ben presto abbandonata, fe’ ritorno a Parigi e nella casa di Fiorilli, che preso di lei pazzamente le perdonò. […] Si compia intanto ch’ io la ringratii de’ suo’ consigli dei quali saprò valermene quando la deboleza homana mi farà perdere il cervelo ; di presente, gracia a Dio, me ne trovo ben provisto e tanto più perchè mi confermo con afetovoso rispeto Di V.
Mancano dunque i Cinesi di arte e di gusto nel dramma che pur seppero inventare sì di buon’ ora; e con tanto agio non mai appresero a scerre dalla serie degli eventi un’ azione verisimile e grande, atta a produrre l’illusione che sola può trasportare gli ascoltatori in un mondo apparente per insegnar loro a ben condursi nel veroa L’ultima opera del riputato Guglielmo Robertson sulla Conoscenza che gli antichi ebbero del l’India, ci presenta nel l’Appendice la notizia di un altro dramma orientale scritto intoruo a cento anni prima del l’era Cristiana.
Trovasi in Bologna in potere della celebre letterata Clotilde Tambroni mia pregevole collega nell’Università di Bologna Professora di lingua e letteratura Greca, un modello di questo teatro mirabilmente combinato con tutte le misure, e colle parti di esso ben allocate e supplite dove il tempo le ha distrutte.
Il Novelli d’allora era ben altro dal Novelli d’adesso.
Il poeta, com’ Ella ben sa, v' intende l’ammollirsi del collo riposato.
Del resto io son ben lontano dall’escludere tutte le prolazioni. […] E questo ci rende ragione della quantità prodigiosa de’ loro strumenti, e in un ci scopre come essi giunsero a formarsi delle proprietà e de’ modi un’idea così ben fondata che giammai li confusero insieme. […] Supponendo adunque che l’azione sia semplice e non appassionata, il poema, la musica, e l’esecuzione, se sono ben condotte, saranno accompagnate da un tal grado di naturalezza, e di probabilità, che daranno all’unione della musica, e della poesia la maggior forza e pathos.
Havvi nel tomo V altre due commedie di questo illustre autore, il Bel Circolo ossia l’Amico di sua moglie, ed il Progettista, nelle quali ben presto ci auguriamo di potere ammirare, come nelle precedenti, la vivacità, il salso motteggiare, e l’arte di ben rilevare il ridicolo de’ caratteri.
[11] Ritornando ai menestrieri, quei che si sparsero per l’Italia venivano conosciuti dal volgo sotto il nome ora d’“uomini di corte”, ora di “ciarlatani”, denominazione che presero non dalla parola “circulus” né da “carola”, ma, come ben osserva il Muratori, dalla parola “ciarle”, maniera italiana di pronunziare il vocabolo “charles” francese, a motivo che i trovatori cantavano spesso le azioni di Carlo Magno. […] Abbiamo l’esempio sul principio del secolo decimoterzo nel celebre Imperadore Federigo Secondo gran protettore dei poeti , e de’ musici richiamati da tutte le parti per ornare, e illeggiadrir la sua Corte, il quale non si sdegnò di poetare in lingua non ancor ben purgata dalle siciliane maniere, e di far cantare dagli altri, e cantar egli stesso i suoi componimenti. […] [24] Nè soltanto Fiaminghi e Francesi furono avidamente cercati dalle corti italiane, ma gli Spagnuoli eziandio, e gran riputazione acquistarono questi in Roma presso ai papi, e grande autorità presero nella Cappella Pontificia, i soprani della quale fino a’ tempi di Girolamo Rosini, perugino, erano stati tutti spagnuoli, secondo che rapporta l’italiano Andrea Bolsena nelle osservazioni per ben regolar il canto nella Cappella Pontificia45. […] «La fretta, che l’autore si è preso d’aggiugnere alla sua opera già cominciata a stamparsi una gentile impugnazione di questa mia proposizione non gli ha lasciato tempo di leggere attentamente le ragioni di probabilità da me addotte, e di ben esaminare questa materia.» […] Peggio per noi se il facile contentamento del Signor Abbate ci ha privati delle altre ricerche ben più concludenti ch’egli avrebbe potuto e dovuto fare relative alla natura della gamma degli arabi paragonata colla nostra, alla disposizione dei loro intervalli musicali, al numero delle consonanze, alla varietà de’ modi, alla differenza e divisione de’ tuoni, alle regole del loro canto, al genere della loro melodia, s’eglino conoscessero, o no, il nostro contrappunto, s’usassero per segni delle nostre note, e non piuttosto delle lettere dell’alfabeto con più altri punti importanti, dalla cognizione de’ quali dipende la forza, o la debolezza del sistema da lui adottato.
La regolarità di questa tragedia è manifesta; gli affetti sono ben maneggiati; i caratteri dipinti con uguaglianza, verità e decenza; il fine tragico di commuovere colla compassione e col timore egregiamente conseguito. […] Quanto alla passione di Celia da per tutto ben colorita presenta spesso espressioni giuste, patetiche e naturali. […] Vedesi veramente negli Orazii più artifizio nella condotta, e più forza e delicatezza e vivacità ne’ caratteri e nelle passioni; ma ben si scorge ancora nell’Orazia più giudizio nel tener sempre l’occhio allo scopo principale della tragedia di commuovere sino al fine pel timore e per la compassione; e si comprende che se il Corneille l’avesse anche in ciò imitato, avrebbe fatto corrispondere agli ultimi atti della sua tragedia che riescono freddi ed inutili, a i primi pieni di calore, d’interesse e di passionea. […] Non parliamo ora del Trissino, nella cui tragedia si scerne subito il torto manifesto di quel gesuita, ed appuntino l’opposto di ciò che egli afferma, cioè in vece di una testa guasta da’ romanzi, un genio pieno di giudizio e di sobrietà, e un amore forse anche troppo eccessivo per la greca semplicità, e ben lontano da una intemperanza romanzesca. […] Ma bisogna confessare che nel l’atto IV l’Italiano rimane ben al di sotto del Latino.
Ma quando si presenta ai lumi della ribalta, forte di quegli studj, sicuro di sè, vissuto ben lungo tempo nel suo personaggio, fattolo spirito del suo spirito e carne della sua carne, il pubblico si trova sempre dinnanzi a un’opera di novazione, discutibile certo, ma certo opera d’arte, e della grande arte.
Che non istudiano i campi di architettura che adornano molti quadri di Paolo, co’ quali ben si può dire ch’egli ha reso teatrali gli avvenimenti della storia?
Quanto al di lui Cristo, ben possiamo con sicurezza e compiacenza affermare che per sì maestosa e grave tragedia debbe in tal Cosentino raffigurarsi un Sofocle Cristiano, sì savio egli si dimostra nell’economia dell’azione, e sì grande insieme, patetico e naturale nelle dipinture de’ caratteri e degli affetti, e nello stile sì sublime.
… Poi c’è un fervorino per la città di Livorno detto da esso Fineschi il quale anche ci apprende essere lui stato quivi ben quattro volte, onorato e festeggiato.
«Si vuol sapere s’un regno è ben governato e se i costumi di coloro che l’abitano sono buoni o cattivi? […] [25] In secondo luogo, nella parte che veramente ci resta siamo ben lontani dal poter venire in paragone con esso loro. […] 129 Il secondo è il famoso Marcello, che nella prefazione alla sua Parafrasi musicale sopra i primi venticinque salmi, parlando di tutte quelle cose che nella musica greca concorrevano ad eccitar le passioni, si spiega in tal guisa: «Ma quanto poi siano queste in oggi tolte a noi da nuovo costume, o trascuratone l’uso di esse, egli è ben facile da comprendersi dal non udirsi che appena o di rado da canti nostri, benché da vari consonante copiosi, e di vari movimenti e leggiadri produrre nell’animo nostro qualche menoma parte di quelli antichi tanto ammirabili effetti, i quali a chiunque odali raccontare sembrar convengono piuttosto favole che veri»130. […] [NdA] È singolare fra le altre la storiella che si racconta di Pitagora, la quale per altro sono ben lontano dal volere che passi per vera.
E ben. […] Il suo genio riscalderà il tuo; tu sarai creatore al di lui esempio, e gli occhi altrui ti renderanno ben tosto quei pianti ch’egli ti avrà costretto a versare.» […] «Già presso al termine De’ suoi martiri Fugge quest’anima Sciolta in sospiri Sul volto amabile Del caro ben. […] [47] Non incorse in questo difetto l’inimitabil Teocrito, il quale, introducendo lo stesso personaggio a spiegar il suo amore verso Galatea, il fa parlare in guisa ben diversa: «O bianca Galatea, bianca all’aspetto Più che giuncata, e più che agnello tenera. […] Un’aria tenera, un recitativo patetico può dilettare per un momento bensì, ma la mancanza d’accordo fra le parti, l’inverosimiglianza che traspira nel tutto farà ben tosto rattiepidire quel calore effimero che non trova materia onde alimentarsi.
Ma ricorsa all’allestimento di un nuovo lavoro spettacoloso : Vita, delitti e morte del celebre assassino Giuseppe Mastrilli, vinse la curiosità del pubblico, il quale fu tanto colpito dalla novità dell’opera, e sopr'a tutto dal valore artistico del Gallina, che ne sosteneva il protagonista, che per ben venti sere affollò il teatro, lasciando deserto il San Benedetto.
Così fecero Petrarca, e Bocaccio, prime sorgenti della mollezza della loro lingua come Dante fu il primo ad aggiugner la robustezza purgando la dizione dai Gotici e Latini avanzi che vi rimanevano nelle ruvide desinenze, nella sintassi poco ben istabilita, nelle articolazioni disagevoli, ne’ passaggi troppo confusi, e in altre cose. […] Un intiero volume potrebbe scriversi contro a sì leggiera asserzione, nel quale si proverebbe ad evidenza: Che la pronunzia gutturale della nostra lingua si riduce a tre sole lettere delle ventiquattro, che compongono l’alfabeto, cioè “x”, “g” e “iota”; che il loro suono, quando vien proferito da bocca castigliana la sola depositaria fra noi del bello e colto parlare, è meno aspro, e men rozzo di quello, che sia la pronunzia del popolo più colto d’Italia cioè del fiorentino nel pronunziare in “ca”, dov’essi fanno assai più sentire la gorgia; che la frequenza di esse lettere non è tale, che non possa agevolmente schivarsi, ove si voglia comporre per il canto; che appena la terza parte delle parole spagnuole finisce in consonante, e per ben due terzi in vocale; che esse consonanti finali sono le più dolci, e soavi dell’alfabeto, per esempio “s, d, l, n, r”, ove la pronunzia niuno trova, o pochissimo intoppo; che le consonanti più ruvide, e meno musicali tanto adoperate dai Latini, dai Francesi e dai popoli settentrionali, come sarebbero “f, p, t, c, b, k, g, m, ll, rr” sono affatto sbandite in fine delle nostre parole; che niun vocabolo termina con due consonanti in seguito, come avviene agl’Inglesi, Tedeschi, Francesi e Latini; che però siffatte terminazioni rendono la notra lingua maestosa, e sonora senza renderla per questo men bella, come le frequenti desinenze in “-as, -es, -os” non toglievano alla lingua greca l’esser dolce, e soavissima; che quasi tutti i vantaggi insomma, che sono stati da me osservati nella lingua italiana circa la netezza de’ suoni, gli accenti, e la prosodia si trovano appuntino nella spagnuola, come si dovrebbe da un filosofico, e imparziale confronto, se l’opportunità il richiedesse.
Lulli operava colle sue note i medesimi prodigi ancor quando non componeva sulle parole di Quinault; e ciò ben si vide nel mettere in musica tanto il Bellerofonte del minor Cornelio nel 1669, quanto l’Aci e Galatea del Campistron applaudita sommamente nel 1687 dopo la stessa Armida.
Tutti gli spartimenti erano di modo divisi, che gli apici degli angoli de’ gradini sarebbero stati toccati da una retta tirata dal primo dell’ima all’ultimo gradino della summa cavea; cosa secondo l’anzilodato architetto Latino ben necessaria in un edifizio teatrale, affinchè la voce possa diffondersi senza impedimento.
Lulli operava colle sue note i medesimi prodigj ancor quando non componeva sulle parole di Quinault, il che ben si vide nel mettere in musica tanto il Bellerofonte del Cornelio nel 1679, quanto l’Aci e Galatea del Campistron applaudita sommamente nel 1687 dopo la stessa Armida.
Al Capo III, Teatri Orientali, pag. 25, lin. 20, dopo le parole, a ben condursi nel vero (1), si aggiunga quanto segue, che non si trova nell’edizion veneta.
E’ ben vergognosa cosa far da Censore senza intendere i libri scritti in idioma italiano.
Ma il mal costume invecchiato nè anche, al dir di Orazio, colla forca giugne a sterminarsi; ed osserviamo che da per tutto quasi sempre i costumi col tempo sogliono diventar leggi, e ben di rado le leggi si convertono in costumi.
Quel genio, che la determinò a incoronar il Petrarca in Campidoglio e a preparare per Torquato Tasso il medesimo onore, che la mosse ad inalzar il primo teatro conosciuto in Italia a tempi di Sisto IV e a far rappresentare a’ tempi di Leon X la prima tragedia che la sollecitava a voler fregiare colla porpora di cardinale gli omeri di Raffaello d’Urbino e a profonder tesori a pro de’ begli ingegni, quel genio medesimo fecesì che ben presto allignò per entro alle sue mura codesto nuovo genere di musica teatrale.
Tutti gli spartimenti erano di modo separati, che gli apici degli angoli de’ gradini sarebbero stati toccati da una retta tirata dal primo dell’ima all’ultimo scalino della summa cavea; cosa secondo l’anzilodato architetto latino ben necessaria in un edifizio teatrale, affinchè la voce possa diffondersi senza impedimento.
La bella poesia che sola può somministrare alla musica il vero linguaggio delle passioni, cominciò ben presto ad occupare l’ultimo luogo.
[8] Nel nostro presente sistema drammatico tre cose concorrono principalmente a produr l’espressione, cioè l’accento patetico della lingua, l’armonia, e la melodia, ciascuna delle quali suddividendosi in vari altri rami formano quell’aggregato dal quale ben congegnato e unito ai prestigi della prospettiva risulta poi l’illusione e l’interesse dello spettacolo. […] Né meno in quella spezie di affetti che ricavano il pregio loro maggiore dalla semplicità con cui si sentono, e dal candore con cui si esprimono; tali sono gli amori boscherecci e le ingenue tenerezze di due giovani amanti ben educati. […] Le cadenze si devono eseguire con una ben graduata messa di voce, e con sobrietà d’inflessioni scorrendole con un sol fiato e con quel numero di note soltanto che basti a far gustare il pensiero e a riconoscervi l’indole della passione.
Si vede dalla storia, che in Francia dall’origine degli spettacoli scenici fino alla metà del secolo XVII, cioé per quattro o cinque secoli, tal libertà non ha prodotto altro in teatro se non bassezze e oscenità ben poco variate.