In quali secoli quasi del tutto mancarono gli scrittori scenici. […] Uno squarcio di essa però merita riflessione, e pare che la faccia ascendere sino alla fine del I secolo, mentovandovisi i Gaulesi della Loira, i quali scrivevano su gli ossi le sentenze di morte pronunziate sotto le querce: Habeo (vi si dice) quod exoptas; vade, ad Ligerim vivito. […] Soggiugne poi che i Goti non permisero che la poesia drammatica allignasse in Ispagna, e conchiude, che gli Arabi (i quali, come si è dimostrato, no l’aveano) ve la portarono, adottando senza esame l’opinione del Nasarre, la cui solidità si è già osservata. Da quanto abbiamo in questo capo ragionato, si deduce che il principio del vuoto della storia teatrale si trova a’ tenpi de’ Tiberii, de’ Caligoli e degli altri imperiosi despoti, i quali fecero ammutolire i poeti, spaventandoli con diffidenze e crudeltà, e furono cagione che i teatri risonassero unicamente di buffonerie e laidezze, per le quali ci bisogna più impudenza che ingegno. […] Così ci avvezzammo a detestare indistintamente i teatri, e per fuggirne gli abusi ci privammo ancor de’ vantaggi: a somiglianza di quegl’impazienti matti coltivatori, i quali in vece di potare e recidere i rami lussureggianti, che fanno ombra inutile e perniciosa, danno al tronco e alle radici degli alberi, e privansi per sempre de’ loro frutti.
Sposò l’attrice Carolina Spelta in Cammarano, ed ebbe undici figli, tutti comici, dei quali Colomba, Michele, Guglielmo, Edoardo, Ernesto, Matilde, Elena e Pia, morti. I tre superstiti. sono : Amelia, egregia attrice al principio della sua vita artistica in compagnie napoletane, e di Napoli più specialmente, poi bella e brava seconda donna in Compagnie nostre di maggior conto, quali di Marchi-Ciotti-Lavaggi, di Tommaso Salvini, di Sterni, di Alessandro Salvini, ecc., sposatasi a Corrado Di Lorenzo, n’ ebbe tre figliuoli, di cui seconda la Tina (V.) che ha saputo coll’ arte, accoppiata alla leggiadria, salire in gran rinomanza ; Adolfo, egregio artista per le parti di primo attor giovine e di primo attore, appartenne sempre a compagnie di buon nome, e sposò l’attrice Pia Pezzini ; Pia, si ritirò per malattia dall’ arte, e si recò in Roma col marito Icilio Brunetti (V.).
Bollini Antonio, nato a Bologna da una modesta famiglia di operai, esordì il 1861 in Compagnia Fabbri e Codignola, come generico giovane e segretario, errando poi sino a tutto il ’63 in Compagnie di 3° ordine quali di Napoleone Berzacola, Saverio Petracchi ed Enrico Verardini. […] Fu il ’91, ’92, ’93 con Pasta, Garzes e Reinach, e il ’94, ’95, ’96 con Pasta e Tina Di Lorenzo, coi quali trovasi tuttora, scritturato pel triennio ’97, ’98, ’99 colla nuova Compagnia di Claudio Leigheb e Virginia Reiter.
Ebbe tre mariti, uno dei quali, il secondo, a noi sconosciuto. […] Toltosi il Rossi dall’arte, ella recitò alcun tempo col genero di lui, Luigi Perelli ; si fermò a Bologna assieme al marito e alla figlia con l’intenzione di lasciar per sempre le scene ; alle quali poi pare tornasse dopo un solo anno, scritturata nella Compagnia di Francesco Paganini.
Fu l’ '89 al Teatro Rossini di Napoli, poi, ammalatasi la Duse, fu la prima donna de' suoi comici, coi quali fece il giro della Sicilia. […] Rappresentò la prima al Valle di Roma e al Manzoni di Milano la Fedora, e n’ebbe assai lodi dai critici maggiori quali D'Arcais e Ferrigni (Yorick).
In contraccambio la musica è più espressiva della poesia, perché imita i segni inarticolati che sono il linguaggio naturale, e per conseguenza il più energico, egli imita col mezzo de’ suoni, i quali, perché agiscono fisicamente sopra di noi, sono più atti a conseguire l’effetto loro che non sono i versi, i quali dipendendo dalla parola, che è un segno di convenzione, e parlando unicamente alle facoltà interne dell’uomo, hanno per esser gustati bisogno di più squisito, e dilicato sentimento. […] Dal che si vede che troppo nemici de’ nostri piaceri si sono mostrati quegli autori per altro stimabili, i quali hanno voluto tutte le parti dello spettacolo drammatico al solo genere appassionato ridurre. [19] È però d’avvertirsi, che sebbene il principio da noi stabilito sia generalmente vero, si modifica tuttavia diversamente secondo i diversi generi di poemi, ai quali si applica. […] Ciò sarebbe lo stesso, che render affatto inverosimili tali componimenti, i quali hanno bisogno di tutta la magia della musica per esser probabili. […] Anche in quelle occasioni, nelle quali gli si comanda, o gii si permette di piegarsi all’uopo della musica, non debbe portare il comando o la licenza fino all’eccesso, ma fin là soltanto dove il richiede il fine propostosi.
Le tragedie erano o palliate che imitavano i costumi de’ Greci, a’ quali appartenevasi il pallio, o pretestate che dipingevano il costume de’ Romani che usavano la pretesta. […] Le favole Italiche, delle quali parla Donato nella prefazione alle commedie di Terenzio, erano azioni giocose di personaggi pretestati, le quali doveano rassomigliare alle greche Ilarodie. […] Altre figure ridicole introducevano i poeti Atellanarii nelle persone del Macco e del Buccone, delle quali favellasi in un passo di L. […] In fatti la disistima ch’ ebbesi poscia per le persone di teatro in Roma, non pare che cadesse su i tragedi e i comedi, ma su gli attori mimici de’ quali parleremo appresso. […] Non così nelle mimiche rappresentazioni, nelle quali, per condire di oscenità la buffoneria, s’introdussero le donne.
Soprattutto si dilettava della storia, e singolarmente di quella di Augusto e degli altri Cesari e di Alessandro e di Costantino e di Teodosio, i quali aveano regnato ne’ paesi a lui soggetti, e ne fece fare le traduzioni in lingua turca a. […] L’olandese Golio ne’ suoi viaggi in Aleppo, nell’Arabia, nella Mesopotamia ed in Costantinopoli, trovò molti Turchi cortesi e illuminati, i quali gli permisero di osservare i codici delle loro libreriea In tutte le moschee considerabili si trovano collegii, dove s’ensegna a leggere e scrivere e spiegar l’Alcorano, ed anche l’aritmetica e l’astronomia e la poesia, la quale conserva l’indole orientale ripiena d’immagini forti e di metafore ardite. […] Per un uditorio di uomini vi sono compagnie di uomini senza veruna donna, nelle quali scelgono giovanetti di vago aspetto che rappresentono le parti di donne; e per una adunanza femminile vi sono compagnie di sole donne, alcune delle quali rappresentano da uomini. […] Si compiacciono parimente i Turchi e i Persiani de’ pantomimi, ne’ quali riescono eccellentemente i Costantinopolitani.
Bartoli – alcune cose appartenenti al suo Mestiere, le quali poi con molta cura, ritornato in Italia pose in esecuzione. Le quali cose consistevano in bizzarre novità di allestimento scenico, adoperate specialmente ne’balli, che a lui fruttarono danaro e applausi.
Si diede per due anni agli studi musicali in Mantova colla famosa Lotti, sotto la direzione del maestro Antoldi ; studi, i quali ella dovette abbandonare quando più le arrideva l’avvenire, per la decisa avversione che i parenti avevano al teatro ; ma i quali furono a lei di non poca utilità nell’arte comica, giacchè trovo ne’giornali del tempo, come essendo l’autunno del ’54 serva nella Compagnia diretta da Luigi Robotti, in società con Gaetano Vestri, a vicenda con Carlotta Diligenti, ella cantando al Gerbino di Torino in una commediola di Federigo Robotti figlio della celebre Antonietta, riportasse un compiuto trionfo.
Dal '95 cominciò le sue fortunate società, con Compagnie essenzialmente comiche, e con artisti egregi nel genere, quali : Talli, Tovagliari, Zoppetti, Guasti, Falconi, Ciarli. […] Colpita da grave anemia, dovè per alcun tempo allontanarsi dalle scene, alle quali è tornata l’autunno del '903.
Ma perché premetterlo a tante arie piene d’affetto, le quali hanno stretta relazione col senso anteriore? […] Niente in oggi di più comune che il mischiare degli strumenti, l’azione dei quali si distrugge a vicenda. […] , le quali esprimono un sentimento risoluto, cioè quello di non condannare il padre? […] Poche sono le arie musicali moderne, alle quali (restando la composizione qual era) non possono adattarsi parole di sentimento perfettamente contrario. […] Simili agli amanti presso a’ quali le donne amate sono sicure di ottener il perdono di qualunque loro arditezza, gli uditori sono indulgentissimi con chi è lo stromento de’ loro piaceri.
Si segnalarono in tal carriera in Atene Platina, due Carcini, un altro Euripide cui Snida attribuisce dieci favole, con due delle quali riportò la tragica corona. […] Acheo Siracusano anche poeta tragico compose dieci tragedie, tralle quali l’Etone dramma satirico, dal quale si vuole che Euripide tirasse il concetto del proprio verso, Saturis Venus adest, non iis quos premit fames. […] Secondo Efestione la Plejade Tragica si componeva di Omero il giovane figlio di Mira poetessa Bizantina, di Sositeo, di Alessandro, Anantiade, Sosifane, Filisco e Licofrone. quest’ultimo è il più noto per l’erudito quanto oscuro poema di Cassandra, e per le varie tragedie, delle quali se ne trovano venti rammentate da Suida. […] Per la qual cosa fu mestieri per istruire la gioventù in difetto de’ mentovati e di altri sostituire i poemi di san Gregorio Nazianzeno, i quali comechè utilissimi fossero per infiammare i cristiani ad un più fervoroso culto della religione, erano però ben lontani dal l’ispirar l’atticismo e l’eleganza ed il gusto della Greca favella.
[15] Perciò il Caccini sollecitò per ogni dove gli autori a lavorar a bella posta poesie pel canto, tra i quali D. […] Infatti scarseggia di note, il senso non vi si comprende abbastanza, abbonda poco di varietà, e il tempo non è a sufficienza distinto a motivo, che i compositori erano soliti a non udir altra musica che la ecclesiastica e la madrigalesca, nelle quali spiccavano simili difetti. […] Le riflessioni sulla propria lingua fecer loro avvertire, che nel parlar comune alcune voci s’intuonano in guisa che vi si può far armonia, o ciò che è lo stesso, distinguerle per intervalli armonici, alcune non s’intuonano punto, per le quali leggiermente si scorre finché si giugne ad altre capaci d’intonazione o d’armonico movimento. […] i quali sono un’aria perfetta non meno in musica che in poesia. […] Che l’unità in quelle cose che si gustano successivamente come, per esempio, nella musica, è più difficile a comprendersi, che nelle cose, le quali si veggono in un colpo d’occhio come, per esempio, i lavori dell’archittetura o della pittura.
Non si curino gl’Italiani di segnalarsi in queste ridevoli picciole guerre di lettere posposte, le quali sprezzate risolvonsi in nulla. […] Fece il commercio stabilir le fiere, nelle quali ad oggetto di chiamarvi e trattenervi il concorso s’introdussero le danze e i divertimenti ludrici. […] Restovvi tuttavia la musica, e l’uso di celebrarvi con una specie di rappresentazione certe feste bizzarre, le quali oltramonti ebbero più il carattere di follia che di giuoco. […] Si parla eziandio di alcune pastorali de’ Provenzali che erano piccioli dialoghi ne’ quali confabulava il poeta e qualche pastorella. […] De’ quali verseggiatori famosi favellarono egregiamente lo Scozzese sig.
Altri se ne possono nominare, i quali o di poco prevennero Aristofane, o vissero contemporaneamente, o non molto dopo di lui. […] Lasciò questo comico dieci favole, una delle quali s’intitolava Pasifae, e con essa, secondo l’interprete di Aristofane nell’argomento del Pluto, contese con questo comico riputato nel quarto anno dell’olimpiade XCVII. […] Di là uscirono quelle maravigliose dipinture allegoriche le quali incantavano la Grecia. […] I frammenti che ci rimangono de’ primi comici non basterebbero a darne compiuta idea, se il tempo non avesse rispettate undici delle commedie di Aristofane, le quali a sufficienza ce ne istruiscono. […] Altr’aria, altre mire, altri comici ordigni vi campeggiano, i quali non appariscono agevolmente senza la fiaccola de’ principii surriferiti, senza la cognizione della polizia e de’ costumi Ateniesi, e senza la pratica necessaria delle Vite di Plutarco e della guerra del Peloponneso che durò ventisette anni e che fu stringatamente e con tanto politico sapere descritta da Tucidide.
O generoso popolo d’Antenòr, tu sol tu puoi la tua speme avverar : se tutti i frutti, quali ei si sian, dell’arte mia son opra del tuo favor, se un tal favore è figlio d’ una felice illusïon cortese del tuo bel cor, tu me la serba, e forse tal ti parrò qual mi fingesti. […] Ritirati dall’arte i Fiorilli e il vecchio Pellandi, ai quali subentrò nell’impresa il marito di lei, si recò al Teatro Nuovo di Firenze nel 1803, ov’ebbe il massimo de’trionfi, recitando per la prima volta la Mirra di Vittorio Alfieri alla presenza dell’Autore. […] In una raccolta di omaggi poetici (Firenze, Carli, 1813) alla Fiorilli e a Belli-Blanes, e dai quali tolgo la medaglia qui retro, son versi di Tommaso Sgricci, una iscrizione latina del Bernardini, la quale ci apprende come nel 1813 trascinasse per tre mesi all’entusiasmo il pubblico di ogni specie nel Teatro Nuovo di Firenze, e una anacreontica di Ligauro Megarense, pastore arcade, in cui abbiamo accennate alcune parti nelle quali essa primeggiò, quali Medea, Zaira, Vitellia, Cleonice, Mirra, Pamela, Lindane, Mirandolina. […] Internari) ; ma più ancora in un libretto di poesie a Carolina Internari, impresso in Roma il 2 di maggio del 1818, la prima delle quali è del Ferretti, e diretta Ad Anna Fiorilli Pellandi Se ancor sovra le cento ali leggera Dalle bionde del Tebro acque sonanti Remigando ver te Fama non giunse Da che il socco ridevole calzato Nel giovinetto piede, e il sanguinoso Coturno Sofocléo, novella apparve Carolina la tua figlia d’ amore Orme a stampar su le Romulee scene, Arduo certame, che dal verde Eliso Tornando a ber con vivi occhi la luee Temerebbero ancor Roscio ed Esopo, Mentre su questi candidi papiri Della tua figlia a delibar le sacre Non vendevoli laudi impazïente Si sbramerà la vivida pupilla ; Certo di vena in vena a poco a poco Scender ti sentirai soavemente Il tuo core a tentar gioia materna.
E tralle commedie dette di Capa y Espada, nelle quali osserva più regolarità, e lo stile é più conveniente alla commedia, ve ne sono alcune bene avviluppate, Casa con dos Puertas, Los Empeños de un a caso, Dicha y desdicha del nombre, Primero soy yò e altre. […] Ma invano alzarono la voce Villegas, Antonio Lopez, Cascales, e nel secolo seguente Luzàn, Mayàns, Nasarre, e Montiano contra più di dodicimila componimenti drammatici, lavorati sul medesimo conio, i quali ogni dì compariscono sulle scene spagnuole. […] Egli fu con debolezza fecondato da alcuni scrittori, i quali, perduta di mira la natura, correvano dietro a una luce efimera che faceva loro smarrire il buon sentiero. […] Egli compose cinque tragedie, Epicari, e Agrippina, pubblicate nel 1665, Ibraim nel 1673, e Sofonisba, e Cleopatra nel l682, le quali, benché piene di mostruosità, presentano di quando in quando alcuni lampi d’ingegno non dispregevoli. […] E queste sono le colpe leggieri degli auti, per le quali mi é piaciuto di darli in parte a conoscere più che per gli gravi inconvenienti che risultano dall’analizzare certe materie dilicatissime ed esporle con interpetrazioni e raziocini arbitrari e sofistici.
Probabilmente essa fu figlia dell’arte, e nacque a Venezia, ove sua madre, incinta, era a recitare : questo il parere del D’Ancona, il quale cita al proposito i vari comici D’Armano, dei quali si parla più oltre. […] Bartoli prende tutto dal Valerini stesso ; se non che, la fa esordire a Modena, mentre il Valerini non ce ne dice nulla, ed esclude perfino Modena dalle città annoverate, nelle quali essa colse tanta messe di lodi. […] ra Flaminia, quali hanno recitato benissimo, ma tanto ben vestite che non poterìa esser più. […] Che dirò delle pastorali da lei prima introdotte in scena, le quali di cosi vaghi avvenimenti intesseva, che di troppa meraviglia e dolcezza ingombrava gli ascoltanti ? […] Nasceva il profilato naso dai confini delle ciglia, scendendo per mezzo il volto con debita convenienza, fiammeggiavano gli occhi a guisa di Zaffiri, nei quali irraggi il sole…..
Essa è l’unica parte della musica che cagioni degli effetti morali nel cuor dell’uomo, i quali oltrepassano la limitata sfera dei sensi, e che trasmette a’ suoni quella energia dominatrice che ne’ componimenti s’ammira de’ gran maestri. […] Gli sforzi fatti adunque per superarli, o per distinguersi dovettero necessariamente portare ciascun’arte alla rispettiva lor perfezione, fra le quali la musica ebbe non mediocre fortuna. […] Il primo compositore disuguale e fecondo presenta agli amatori del bello musicale eccellenti esemplari d’imitazione nei maestosi e patetici gravi lavorati in gran parte sull’esempio degli adagi del suo maestro, nelle sue brillanti variazioni e soprattutto nelle suonate a solo, le quali sono la più pregievol raccolta che ci resta della scuola corelliana. […] Con tali massime generali ordinarono gl’Italiani l’orchestra, e fra gli altri i maestri napoletani, alla particolar avvedutezza de’ quali ne è debitrice l’Italia della sua superiorità in cotal genere. […] [NdA] «Ragion vuole che si ricordi al lettore un pregio, che suole accompagnare il regno di quei monarchi, a’ quali si dà il titolo di grandi, cioè, che a suoi tempi mirabilmente fiorirono le lettere e i letterati non men fra i cristiani che fra i pagani».
.) ; e vi era ancora l’ 8 di settembre, sotto la qual data riferisce a un famigliare del Duca, come non essendosi negoziata a dovere l’andata a Venezia, probabilmente la compagnia non avendo l’autunno, dovrà sciogliersi, per riunirsi poi nel carnovale ; annunzia che Colombina (la Franchini) vuol andarsene a Bologna, e ch'egli è costretto, secondo l’ordinazione de' medici, a condur l’ Angiola sua moglie a Venezia per una tosse di cattiva conseguenza ; e conchiude con l’annuncio di due lettere (non potute trovare), le quali avrebber fatto conoscere le doplicate malignità de' comici parmiggiani, capo de' quali è Brighella(V.
Napoleone Tassani rappresentava di preferenza i drammoni da popolino, ai quali faceva seguire la declamazione dei libretti di opera Trovatore, Norma, Ernani, ecc., con cori e orchestra. Dio sa quali !
Per altro non mancavan tra loro quei macchiavellisti in amore, i quali noi credevamo non potersi trovare fuorché nei secoli della corruzione. […] Molti codici, dove si contengono le poesie loro, vengono citati dagli eruditi, i quali, benché siano antichi, non salgono però ad un’epoca cotanto rimota, che conceda ad essi il diritto di primeggiare sugli altri popoli. […] Niuna favola arabica posta in versi dai provenzali, niuna question filosofica, delle quali in singoiar modo si compiacevano i saraceni poeti , trattata da questi, niuna allusione a’ loro scritti, alla lor religione, a’ loro costumi. […] Se l’illustre storico della letteratura Italiana, che tant’onore ha recato alla sua nazione, ignorò il gran numero e il valore dei mentovati stranieri, i quali si portarono in Italia ad illustrar sì distintamente e sì gloriosamente la musica, noi non sapremmo se non istupire di tal negligenza meno scusabile trattandosi d’un’arte onde gl’Italiani vanno a ragione così superbi di quello che sarebbe stata in tanti altri punti poco interessanti, ne’ quali però ha egli avuta la compiacenza di fermarsi a lungo. […] Ma contenti di dirlo, niuno ha voluto prendersi la briga di spiegarci partitamente le circostanze, dalle quali però, siccome dipende sovente la formazion delle cose così non si può senza risaperle formar intorno ad esse cose un diritto giudizio.
Ma quali sono queste modificazioni? […] In Bantàm che è la capitale dell’isola di Giava, ed è divisa in due grandi parti, delle quali una è abitata da’ Cinesi che le danno il nome, qualunque sacrificio si faccia nelle pubbliche calamità o allegrezze, è costantemente accompagnato da un dramma, il quale si riguarda come rito insieme e festa pubblica. […] Donne tali schiave, abjette ed infami si prostituiscono ai nobili Giapponesi, i quali le sprezzano é le incensano, le arricchiscono vive, e soffrono che appena morte vengano strascinate per le vie con una fune al collo, e lasciate insepolte in preda ai cania. […] L’erudito cavalier Catanti cognato del marchese Bernardo Tanucci possedeva tre commedie originali cinesi impresse nella China, le quali nel 1779 si compiacque d’inviarmi da Pisa a Napoli colla speranza che potessero colla mia assistenza quivi tradursi e pubblicarsi. […] Ma invano mi adoperai presso i preti regolari della Sacra Famiglia (fra’ quali trovansi non pochi alunni cinesi) per farne tradurre almeno una.
Il solo Hann Sachs, ossia Giovanni Sax calzolajo di Norimberga dal 1518 sino al 1553 compose 55 giuochi di carnevale, 76 commedie e 59 tragedie, le quali cose racchiudonsi in cinque volumi in foglio. […] Egli è da notarsi ancora che tal calzolajo si valse di molti argomenti tratti da’ Greci e Latini, i quali scrittori legger non poteva originali, e che a suo tempo non erano stati tradotti nell’idioma tedesco. […] Egli sino al secolo XVII, oltre a trentasei giuochi di carnevale, compose molti drammi chiamati cantanti, de’ quali se ne sono conservati nove. […] Tali sono il Protoplaste e la Nomothesia tragedie, ed il Sacrificio d’Isacco, commedia, le quali appartengono a Girolamo Zieglero professor di poetica in Ingolstad; la Giuditta, e la Sapienza di Salomone comicotragedia, e la commedia detta Zorobabel di Sisto Betulejo; le commedie di Giobbe dell’Adimario, di Rut del Drisearo, di Giuseppe del Ditero. […] Ne compose altre sei originali intitolate Rebecca, Susanna, Ildegarde, Giulio resuscitato, Prisciano battuto, gli Elvezii Germani, alle quali aggiunse due tragedie Venere e Didone.
Giuseppe Rocco Volpi, e del teatro di Brescia mentovato nelle Memorie Bresciane del Rossi, de’ quali tutti ha fatta menzione il chiar. […] Si sa per quali infami vie ottenne il favore di questo medesimo imperadore un altro famoso attore tragico chiamato Apelle, che giunse ad essere noverato tra’ suoi consiglieri. […] Secoli, ne’ quali mancarono gli scrittori scenici. […] Da quanto abbiamo in questo capo osservato, si deduce che il principio del vuoto della storia teatrale si trova a’ tempi de’ Tiberii, de’ Caligoli e degli altri imperiosi despoti, i quali fecero ammutolire i poeti, spaventandoli colle diffidenze e crudeltà, e furono cagione che i teatri risonassero unicamente di buffonerie e laidezze, per le quali ci vuole più impudenza che ingegno. […] Eccone intanto i principali lineamenti raccolti in un sol quadro, quali vengono somministrati dalla storia verace che nulla vela con maligne reticenze.
del Porta, del Guarini, del Bonarelli, del Malavolti, di Brignole Sale, del Castelletti &c., le quali non cedono alle altre Erudite del Cinquecento. Vi furono alcune Pastorali pregevoli, tra le quali spiccano quelle del Chiabrera, del Bracciolini, e del Bonarelli. […] E di quali tempi credete di parlare? […] E ditemi, nell’archivio apologetico quali sono i tempi più luminosi? […] Non v’ha che de’ Terenzj, Signor Abate, i quali sanno scrivere solo sei Commedie da non perire giammai.
Incoraggiare e perfezionare i poeti, i quali sono l’anima di tutto lo spettacolo, ed essi inspireranno il proprio entusiasmo agli attori, i quali rappresenteranno con tanta energia e sensibilità animati da questo spirito, con quanta freddezza e durezza rappresenteranno copiando unicamente gli attori stranieri. […] Sette od otto anni sono, ne era il regolatore e maestro il veneto Buranelli, a cui é succeduto il nostro Traetta, ciascun de’ quali vi ha avuto 3500 rubli di paga.
Esordì nella Compagnia di Pietro Rossi con parti di poca importanza, nelle quali però die' subito a vedere a qual grado sarebbe salita col volere e lo studio. […] Delle qualità della donna egli discorre così nella lettera dedicatoria : Quando dirò che una donna voi siete che fece onore al Teatro coll’abilità sua e col suo contegno ; che del medesimo nulla serbate, nell’ozio grato della vostra vita presente ; che alla vivezza dello spirito accoppiate la docilità del core, e alla finezza del discernimento l’indole di compatire ; che ne' divertimenti co' quali il secolo invita la freschezza della età vostra, mantenere sempre sapete la decenza muliebre, la eguaglianza de' modi, il tratto affabile, le maniere cortesi ; quando, ripeto, dirò tutto questo di Voi, non avrò dato che un saggio del vostro carattere, ma robusto di verità, mallevadori delle quali potranno farsi tutti quelli, che vi conoscono e trattano.
Datosi all’arte drammatica, riuscì prima un ottimo generico primario, scritturato nelle migliori compagnie, quali di Luigi Domeniconi e Romualdo Mascherpa ; poi un buon caratterista ; nel qual ruolo recitò parecchi anni, sinchè eletto direttore della Società Filodrammatica di Terni, abbandonò per sempre le scene. […] S’ebbe da varj poetiche lodi, tra le quali il seguente iperbolico sonetto del Dott.
Passò da quella del Manni in altre compagnie vaganti, colle quali ebbe campo di farsi ammirare anche a Napoli, sapendo unire a sufficienza l’arte del canto a quella della commedia. […] Nato a Roma il 4 febbraio 1859 da parenti non comici, e datosi, giovanetto, al recitare in società filodrammatiche, si scritturò l’ '83 con Bellotti-Bon, per la cui morte non ebbe luogo il contratto, esordendo invece quello stesso anno come generico con Alessandro Salvini ed Ettore Paladini, e passando subito l’ '84 al ruolo di secondo e primo caratterista sotto il Salvini : ruolo che non abbandonò mai più, e che sostenne lodevolmente in compagnie egregie, quali dell’Emanuel, del Morelli, Maggi, Rossi, De Sanctis, Teatro d’Arte, Rasi, Della Guardia, Pieri-Severi, nella quale ultima si trova oggi (1904).
Aristodemo ambasciadore al re Filippo, e Neottolemo tanto da questo principe favorito, erano poeti ed attori sommamente stimati in Atene, i quali mirabilmente influivano nelle politiche deliberazioni, e attraversarono le mire di Demostene. […] Veniva questa interrotta da tre piccioli piani formati da scaglioni più spaziosi degli altri, i quali facevano la figura di fasce, e da Vitruvio chiamaronsi Precinzioni 166 e da’ Greci διαξωματα. […] Formavano ancora una parte del teatro alcuni gran portici edificati dopo la scena, i quali servivano al popolo per ricoverarvisi quando le piogge dirotte interrompevano la rappresentazione. Adjacenti al teatro facevansi pure spaziosi passeggi, ne’ quali il popolo trattenevasi attendendo l’ora prefissa allo spettacolo. […] Qual magnificenza, qual concorso, qual lusso, quali profusioni per un semplice divertimento di una repubblica sì picciola in confronto di tanti poderosi stati moderni arricchiti dalle miniere Americane, ne’ quali son pure così meschini e spregevoli i teatri!
Il coro la consola celebrando insieme con Priamo la fuga de’ Greci; dell’onta de’ quali sarà un perpetuo monumento il cavallo consecrato a Minerva. […] Verso la fine del coro incomincia un combattimento nel fondo del teatro tra le guardie della rocca e alcuni Greci usciti fuor del cavallo, i quali vorrebbono impadronirsi di essa rocca. […] La scena dell’Atto quarto è nel cortile del palagio di Priamo: Aedibus in mediis nudoque sub aetheris axe Ingens ara fuit, iuxtaque veterrima laurus Incumbens arae atque umbra complexa Penates Quivi trovasi Ecuba con alcune Troiane, le quali tutte paurose e supplichevoli abbracciano le statue degli dei. […] Coro di Troiani che deplorano le calamità loro, e di Greci che nella marcia gl’insultano; dei quali il corifeo è Calcante.
Mairet compose ancora altre due tragedie non molto inferiori alla Sofonisba, le quali si rappresentarono nel 1630, la Cleopatra favola ben condotta, ed il Grande ultimo Solimano regolare ed interessante, in cui l’autore afferma di essersi prefisso di vestire alla francese il Solimano del conte Prospero Bonarelli. […] Le favole si rappresentavano all’aria aperta e senza lumi, i quali s’introdussero più tardi. La scena si adornava di tapezzerie, per le aperture delle quali entravano ed uscivano gli attori; appunto come avveniva per las cortinas del teatro di Madrid. L’illuminazione fecesi poscia con placche di latta appiccate alle tapezzerie; e perchè la luce percoteva di fianco ed alle spalle i personaggi e gli mostrava adombrati e neri, sostituirono a tali placche alcune lumiere o lampadari ciascuna di quattro candele poste davanti al teatro, le quali con corde visibili si abbassavano allorchè un uomo per ismoccolarle saltava fuori a bella posta.
Ogni riconoscenza ed applauso esigono dalla grata posterità le utili fatìche del Muratori, del Maffei, del Gori, del Guarnacci, del Passeri, dell’ Accademia di Cortona ed anche del Dempstero, i quali sparsero da non gran tempo non picciola luce nelle antichità Etrusche. […] Nel luogo selvoso, ov’era Populonia una delle dodici principali città dell’Etruria, appajono molte vestigia di sì famosa città, e specialmente una porzione di un grande anfiteatro, che si congettura essere stato tutto di marmi: tralla Torre di San Vincenzo ed il promontorio dove era la nomata Populonia, veggonsi le reliquie di un altro anfiteatro, presso al quale giaceva un gran pezzo di marmo con lettere Etrusche: di un altro osservansi i rottami fralle antichità della città di Volterra5, Del magistero degli Etruschi nel dipingere, oltre ai vasi coloriti, de’ quali favella il Maffei6 e ad altri posteriormente scoperti, ci accerta il lodato Plinio7, affermando che quando in Grecia cominciava la pittura a dirozzarsi, cioè a’ tempi di Romolo, non avendo il Greco pittore Butarco dipinto prima dell’ olimpiade XVIII, in Italia già quest’arte incantatrice era perfetta, e le pitture di Ardea, di Lanuvio e di Cere erano più antiche di Roma fondata, secondo la cronologia del Petavio, nella VI olimpiade8. […] Mostrasi in Volterra una statua marmorea di Marte e molte urne di alabastro con grande artificio istoriate, nelle quali veggonsi incisi caratteri Etruschi, come ancora una statua di donna vestita con un fanciullino fasciato nelle braccia. […] In pruova poi di essersi nell’Etruria coltivata la poesia, il tempo ci ha conservate alcune tavole di bronzo, nelle quali leggonsi incisi alcuni inni sacri.
E tanto riuscì come attore nella riproduzione ammodernata del Senex latino, che fu poi il Pantalone, o del Pedante, che fu poi il Dottore [se ci facciamo a ricordar le lettere sue, nelle quali è sparso in larga copia l’elemento di quella lingua a travestimenti che fu poi nella Commedia dell’arte detta Graziana (V. […] Io sento fin qui il rumore dello applauso che vi danno le genti : le quali montando le mura del loco dove sete, rompendo porte e passando canali et d’alto smontando, si pongono a periglio di mille morti per poter solamente godere una sol hora la dolcezza delle vostre parole.’ […] Nelle Commedie nelle quali andò allargando il concetto, non so dire se più proficuo che dannoso, de’ vari dialetti, egli restò di gran lunga inferiore al Ruzzante, di cui non aveva la maschia vigoria nel gettare i caratteri : forse qua e là migliori, nella semplicità della lor veste pastorale, le Egloghe. Quanto alle rime, pescatorie e non pescatorie, a pena qualche sprazzo di luce, in mezzo al fosco di una poesia punto originale, sbrodolata, il più delle volte a travestimenti burleschi, ne’ quali non campeggia mai la efficacia della parodia.
Tutto ciò con un candor d’animo, e con una tal gentilezza inesprimibile, che avranno meco divisa quanti uomini di lettere hanno la buona sorte d’avvicinarglisi, e che non suol vedersi troppo comunemente negli avari posseditori d’erudite ricchezze, i quali somiglianti al drago custode degli orti Esperidi, vietano che altri accosti la mano a quegli aurei frutti, ch’essi pur guardano da lontano senza mai toccarli1. […] [9] Avendo bevuto a tali sorgenti, non mi dò il menomo vanto della esattezza e novità delle notizie sulle quali è appoggiato quanto qui si scrive. […] Qualunque sia stata la mia premura nel rintracciar la verità delle notizie, mio principal assunto non è d’offrire una sterile compilazione di reminiscenze, ma di ragionare sui fatti, di far conoscere le relazioni che gli legano insieme, e d’abbracciare gli oggetti analoghi, i quali, entrando comodamente nel mio argomento, potevano servire a maggiormente illustrarlo. […] Senza incolpar i lettori di malivolenza né d’ingiustizia (frase inventata dagli autori infelici per vendicarsi dal giusto disprezzo con cui sono stati ricevuti dal pubblico ) io veggo quante accuse mi si possono fare parte provenienti dalla ragione, parte dal pregiudizio di coloro che il proprio gusto vorrebbero a tutti far passare per legge, e parte ancora da quegli uomini incomodi, i quali veggendo le altrui fatiche esser un tacito rimprovero della loro dappocaggine, si sforzano di consolar il loro amor proprio dispregiandole essi stessi, e cercando che vengano dispregiate dagli altri: somiglianti appunto a que’ satiri che ci descrive Claudiano, i quali esclusi per la loro petulanza e schifezza dal soggiorno delle grazie, si fermavano dietro alle siepi sogghignando maliziosamente a quei felici mortali che venivano per man d’Amore introdotti ne’ dilettosi giardini. […] Se le riflessioni in gran parte nuove che ho procurato spargere su tali materie, come su parecchie altre contenute in questo libro, non bastassero a formar un sistema completo (lo che non è stato mai il mio oggetto) e se i maestri dell’arte non le trovassero degne di loro, potranno, esse almeno divenir opportune ai giovani, pei quali furono scritte principalmente.
Figlio del precedente, nato il 1824, cominciò a recitar giovinetto, come ogni figlio d’arte, insieme al padre e alla madre, coi quali trovavasi ancora, amoroso il 1848 in Compagnia Lipparini. […] Fra le molte sue opere vanno annoverate come le migliori, l’Amore, e Lord Byron a Venezia, le quali, ricche di tutto il convenzionalismo teatrale, e di reminiscenze delle più belle opere altrui, brillarono come fuochi d’artificio, di luce effimera e smagliante.
Enrichetta Zerri-Grassi, attrice di molta intelligenza, se non di molti mezzi, fiancheggiò sempre col maggior decoro le prime attrici, che per la lor giovinezza e la loro figura (chè un tempo si badava anche a questo) non poteau abbracciare tutto i repertorio, quali : Pia Marchi e Annetta Campi. […] Passò col tempo, se bene ancore giovine, alle parti di seconda donna e di madre, colle quali trovò in ogni pubblico le stesse simpatie di quando era Prima Attrice.
Vi si veggono varie combriccole di demoni, i quali ne sembrano i buffoni166. […] Gli attori non erano pubblici commedianti, ma sì bene persone di nome, tra’ quali due poeti Belleau e La-Peruse. […] A Garnier succedettero Montchrétien, Baron, e Hardy, i quali vendevano, dice M. de Voltaire, a i commedianti che andavano girando per la Francia, le loro composizioni a dieci scudi l’una. […] Il solo Hanns Sachs, o Giovanni Sax, calzolaio di Norimberga, compose sessantacinque giuochi di carnevale dal 1518 fino al 1553, settantasei comedie, e cinquantanove tragedie, quali cose si racchiudono in cinque grossi volumi in foglio. […] Oltracciò compose moltissimi drammi chiamati cantanti, de’ quali se ne sono conservati nove.
Egli stesso in tal caso parrà in certo modo conquistato dal popolo vinto; la qual cosa avvenne in fatti agli ultimi Tartari conquistatori della China, i quali ritenendo la polizia, la legislazione e i costumi del paese, diventarono i primi Cinesi. […] La lingua latina non solo degenerò negli scrittori imbarbariti, ma pugnando con cento idiomi oltramontani si cangiò in certi nuovi parlari gergoni, i quali presero un carattere nazionale e distinto in Italia, in Francia e nelle Spagne. […] Non si curino gl’ Italiani di segnalarsi in queste ridevoli picciole guerre di lettere posposte, le quali sprezzate risolvonsi in nulla. […] Fece il commercio stabilir le fiere, nelle quali ad oggetto di chiamarvi e trattenervi il concorso s’ introdussero le danze e i divertimenti ludrici. […] Restovvi tuttavia la musica e l’uso di celebrarvi con una specie di rappresentazione certe feste bizzarre, le quali oltramonti ebbero più il carattere di follia che di giuoco.
Bisogna altresì non pensare ai rapporti intrinseci che hanno i suoni fra loro, rapporti che formano, a così dire, la metafisica e l’algebra della musica, ma la cognizione de’ quali non è altrimenti necessaria al cantore. […] E questa è la cagione per cui la semplice declamazione poetica scompagnata dal canto è naturalmente meno espressiva che non è la musica; cioè perché non trovasi in lei una moltitudine si grande di tuoni, i quali imitino fisicamente i muovimenti dell’anima. […] Perché un inveterato costume vuole che in ogni opera devano comparir sul teatro due donne e talvolta anche tré, della metà delle quali non sapendo che farsi il poeta perché inutili affatto all’intreccio, né qual occupazione dar loro, bisogna pure che pensi a trovar un paio d’amanti coi quali si vezzeggino a vicenda insipidamente. […] In primo luogo il suo stile benché assai poetico ed elegante manca di quella mollezza e di quella facilità senza le quali non è possibile adattar acconciamente le parole alla musica. […] Ma coteste sono sottigliezze dell’arte, nelle quali non me ne intrico.
E quali sono mai le sue parti nella commedia ? Le più facili in apparenza, quali reputansi comunemente quelle in cui il ridicolo è una conseguenza d’inflessione, di stordimento, di goffaggine, di spensieratezza, d’imprudenza, di affettazione, di smorfiosa galanteria, di pusillanime irresoluzione, di avventata spavalderia, etc. etc. ; quelle in somma che ritraggono i tanto diversi sconcerti e difetti naturali od abituali di testa, coi quali possono considerarsi o no congiunte le buone e fin le grandi qualità di cuore.
In quali cose si rassomigli ogni teatro. […] Pieni adunque i popoli di tali idee religioso, le trasportano molto naturalmente eziandio ne’ loro piaceri, i quali in tal guisa quasi consacrati si cangiano in una spezie di rito; ond’é, che per primo fatto generale osserviamo, che in tanti paesi tutte le prime rappresentazioni furono sacre. […] I messicani ne insegnavano alcune a’ fanciulli, le quali conteneano l’imprese de’ loro eroi, e servivano d’istorie. […] Ed é questo il quarto fatto rimarchevole che troveremo avverato in tutti i teatri europei; e dall’analogia delle idee siamo portati a conchiudere, che troveremmo l’istesso parimente presto gli orientali e presso il peruviano, se gli storici e i viaggiatori, da’ quali soltanto possiamo instruirci della legislazione e poesia di tali regioni, si fossero avvisati di riguardarli nell’istesso punto di vista che qui presentiamo.
Que’ pochi cittadini, tra’ quali tutta si concentrò la pubblica autorità, posero freno alla licenza di tal dramma, e più non soffrirono di essere impunitamente sulla scena nominati e motteggiati. […] Compose intorno a trenta commedie, delle quali a noi sono soltanto pervenuti pochi frammenti. […] Ciò rilevasi da’ frammenti che se ne sono conservati, de’ quali alcuni ne riferii con mia traduzione nel tomo I delle Vicende della Coltura delle Sicilie. […] Si trovano citate dagli antichi venti delle favole di Anassandride, benchè ne avesse composte intorno a sessantacinque, per le quali dieci volte soltanto riportò la corona teatrale.
L’ Olandese Golio ne’ suoi viaggi in Aleppo, nell’Arabia, nella Mesopotamia e in Costantinopoli, trovò molti Turchi cortesi e illuminati, i quali gli permisero di osservare i codici delle loro librerie77. […] Per un uditorio di uomini vi sono compagnie di uomini senza veruna donna nelle quali scelgono giovanetti di vago aspetto che rappresentino le parti di donne; e per un’ adunanza femminile vi sono compagnie composte di sole donne, alcune delle quali rappresentano da uomini. […] Si compiacciono parimente i Turchi e i Persiani de’ pantomimi, ne’ quali riescono eccellentemente i Costantinopolitani.
In quali cose si rassomigli ogni Teatro. […] Pieni adunque i popoli di tali idee religiose molto naturalmente le trasportanò eziandio ne’ loro passatempi, i quali in tal guisa quasi consacrati si cangiano in una specie di rito; ond’è che per primo fatto generale osserviamo che in tanti paesi tutte le prime rappresentazioni furono sacre. […] I Messicani ne insegnavano alcune a’ fanciulli, le quali contenevano le imprese de’ loro eroi e servivano d’istorie. […] Oltre a ciò gli scrittori primitivi ambivano di scostarsi dal favellar volgare, e non essendo ancor destri abbastanza per conseguirlo nella sciolta orazione che aveano comune contutti, adoperarono la meccanica de’ versi, i quali subito, e a poco costo allontanansi dal linguaggio naturale. […] Ed è questo il quarto fatto da notarsi, che noi troveremo avverato in tutti i teatri Europei, e dal l’analogia delle idee ci sentiamo inclinati a conchiudere, che troveremmo eziandio ne’ teatri orientali, e in quello del Perù, se gli storici e i viaggiatori, da’ quali soltanto noi possiamo instruirci sulla legislazione e la poesia di tali regioni, si fossero avvisati di riguardarli nel punto di vista che quì presentiamo.
Non potendo sfogare in altro modo il suo fervore pe 'l teatro, si diede il Marchetti a declamar nelle società napoletane le poesie del Giusti e del Berchet, per le quali s’ebbe non so quanti giorni di carcere. Tutto intento nel pensiero del teatro, conobbe a Napoli varj comici, tra' quali Rafaele Negri, padre di Adelaide Falconi, del quale sposò più tardi l’altra figliuola Ergilda.
.): “I Poeti, i quali nulla curando che le loro Commedie, o Tragedie occupino con plauso i pubblici Teatri...” […] Forse certi solinghi, coltivatori delle Scienze più recondite, i quali di rado scendono dalla loro contemplazione a partecipare del commercio sociale, formando quasi una razza inaccessibile separata dal rimanente? […] Sicuro del voto del Volgo, e de’ Commedianti (a’ quali oggi si unisce quello del Sign. […] E quanti altri Drammi hanno veduta la luce, i quali sono giudiziosi, regolati, e vicini alla perfezione? […] Si prende dal modo di comporre de’ migliori e più famigerati Drammatici, Signor Lampillas mio, i quali formano Scuola, e non da qualche meschino dozzinal Commediografo, che accozzi un numero di scene malcucite.
Fa seguito e imitato da Eupoli, poeta più grazioso, il quale compose diciassette commedie, sette delle quali riportarono la corona Olimpica. […] I frammenti che ci restano de’ primi comici, non basterebbero a darcene una giusta idea, se il tempo non avesse rispettate undici delle commedie di Aristofane, le quali a sufficienza ce ne instruiscono. […] Alcuni tirano da un lato, altri dall’opposto, e si ritarda l’esecuzione; il che ingegnosamente allude alle città greche, le quali non convenendo nel medesimo progetto, fanno sussistere la guerra. […] E Ateneo rapporta, che gli spartani aveano alcune commedie ridicole, ma semplici, quali a tale nazione convenivano, e vi s’introducevano o ladroni che rubavano delle frutta, o medici stranieri. […] II delle Nuvole dà la baia alle minuzie e a i piccioli dettagli di fisica, de’ quali i filosofi del suo tempo si occupavano troppo seriamente.
Aristodemo ambasciadore al re Filippo, e Neottolemo tanto da questo principe favorito erano poeti ed attori sommamente stimati in Atene, î quali mirabilmente influivano nelle politiche deliberazioni, e attraversarono le mire di Demostene. […] Veniva questa interrotta da tre piccioli piani formati da scaglioni più spaziosi degli altri, i quali facevano la figura di fasce, e da Vitruvio chiamaronsi Precinzioni a, e da’ Greci διαζωματα. […] Formavano ancora una parte del teatro alcuni grandi portici edificati dopo la scena, i quali servivano al popolo per ricoverarsi quando le piogge dirotte interrompevano la rappresentazione. Adjacenti al teatro facevansi pure spaziosi passeggi, ne’ quali il popolo trattenevasi attendendo l’ora prefissa allo spettacolo. […] Qual magnificenza qual concorso qual lusso quali profusioni per un semplice divertimento di una repubblica sì picciola in confronto di tanti poderosi stati moderni arricchiti dalle miniere Americane, ne’ quali sono pure cosi meschini e spregevoli i teatri!
Di là uscirono quelle maravigliose dipinture allegoriche le quali incantavano la Grecia. […] A quali? […] A quali! […] Ottiene quelle di Telefo, colle quali si abbiglia per rassembrare un povero. […] Egli compose intorno a trenta commedie, delle quali a noi non son pervenuti che pochi frammenti.
I quali vestiti, come anche quelli de’ musici, hanno da accostarsi, il più che sia possibile, alle usanze dei tempi e delle nazioni che sono rappresentate sulla scena. […] Racconta Vitruvio come, avendo un pittore di quadratura dipinto a Tralli una scena, e avendovi figurato non so quali cose là dove per la verisimiglianza figurarle non si conveniva, erano i cittadini per approvare quell’opera eseguita per altro con intelligenza e gran bravura di mano. […] I giardinieri della Cina sono come altrettanti pittori, i quali non piantano mica un giardino con quella regolarità ch’è propria dell’arte dell’edificar le case; ma, presa la natura come esemplare, fanno quanto sanno d’imitarla nella irregolarità e varietà sua. […] Che non istudiano i campi di architettura che adornano molti quadri di Paolo, co’ quali ben si può dire ch’egli ha reso teatrali gli avvenimenti della storia? […] Grandissimo fu il colpo ch’ella fece in virtù dell’imperio che sugli animi del pubblico ha il vero; e il Menagio ebbe a dire esser venuto il tempo di abbatter quegl’idoli dinanzi a’ quali avevano i Francesi sino allora abbruciato l’incenso.
Ne’primi anni della sua scrittura, la Compagnia seguiva d’inverno la Corte a Varsavia, e v’era il signor di Breitenbauch incaricato dell’alloggio dei comici, i quali in codesto andare e venire tra Dresda e Varsavia eran diventati artisti nomadi come quelli d’oggidì. […] Da un giornale di viaggi del 1740 si vede come fosser gli artisti alloggiati in Varsavia : Bernardo, Isabella e il ballerino Alessandro Vulcani aveano tre camere, fra le quali una grande per le prove.
Da Bettola richiamato a casa si rimise agli studi, i quali abbandonò di bel nuovo, appena uscito di tutela. […] Artista garbato e colto egli scrisse anche poesie delle quali alcune furon pubblicate a Piacenza in un volume col titolo di Ore solitarie.
Poi si unirono, e corser la provincia insieme ; e da certi prologhi di Bruscambillo pubblicati, quali a Bergerau, quali a Bordeaux e a Rouen, pare che Gian Farina fosse una specie di direttore delle commedie che si solean recitare in banco, prima della dispensa degli specifici.
A soli quindici anni si trovò con Gustavo Modena, poi con Augusto Bon in Compagnia Lombarda, poi brillante ai Fiorentini di Napoli al fianco di Alberti, Taddei, Majeroni, Salvini, la Sadowski, la Cazzola, in mezzo ai quali cominciò ad acquistarsi la più bella rinomanza artistica : e si noti che Angelo Vestri, entrato in quella Compagnia il '47, obbligandosi « di agirvi in carattere di generico e in tutte quelle parti di primo e secondo carattere, brillante, amoroso che gli verranno dal direttore della Impresa assegnate, con l’annuo compenso di lire austriache duemilaseicento, pari a ducati del Regno cinquecentoventi, e di una mezza serata in appalto come d’uso in Napoli, » arrivò a pena, dopo quattordici anni, nei quali era diventato il beniamino del pubblico, a ricevere uno stipendio di settanta ducati al mese, che è oggi a un dipresso quello di un generico.
L'artista più generico del nostro tempo, che fa pensare nella spontaneità maravigliosa, e nella prodigiosa multiformità, a' più grandi attori della Commedia dell’arte, i quali, recitando e le buffonate e la tragedia, eran capaci di rendere le idee più alte de' poeti drammatici, e d’imitar le più straordinariamente ridicole della natura (V. […] Poi una infinità di monologhi drammatici, comici, grotteschi, coi quali egli può far valere tutte le sue qualità di trasformista, dirò così, naturale, poichè la mobilità di fisionomia di Ermete Novelli è un miracolo vivente. […] E codesta fusione e confusione, a volte, gli permette famigliarità col pubblico, le quali niun altro artista si permetterebbe…. […] Col mezzo di quali profondi studj è salito a tanta altezza ? A quali torture del cervello ha dovuto soggiacere per ottener certe maraviglie di bulino ?
S. di alcuni Cavalieri, i quali nella sera delli 11 gennajo del 1710 avendo recitato, e sperando di avere la Corte, questa invece andò al Teatro ove recitava il Lelio. […] Altezze erano stimatissime, e massime più quando erano conferite con preferenza, alludendo alla venuta delle Serenissime piuttosto da lui che dai Cavalieri, i quali adontati, ottennero che il Marchese Lodovico Rangoni lo consigliasse a costituirsi in prigione, al che aderendo il Lelio, venne nella sera stessa per mezzo delle Serenissime fatto porre in libertà all’ora della recita. […] A. il Riccoboni, che aveva già cominciato a far tanto parlar di sè pe' suoi tentativi di Riforma del Teatro Italiano, sostituendo alla Comedia dell’ arte, buone opere scritte, tolte dall’ antico repertorio, quali Sofonisba del Trissino, Semiramide di Muzio Manfredi, Edipo di Sofocle, Torrismondo del Tasso, e altre, e altre, che troppo sarebbe voler qui enumerare, le quali allestì al pubblico con molto decoro, e recitò con molto valore. — A proposito della recitazione tragica, è opportuno riferire quel che dice Pier Jacopo Martello nel volume I delle sue opere (Bologna, Lelio dalla Volpe, MDCCXXXV) : ..… ti vo'dar gusto con sentenziare, che l’ Italiano va a piacere con più ragione degli altri, se più commozione dagli Franzesi, e più gravità dagli Spagnuoli prenderà in prestito nelle Scene. […] R. il Signor Duca d’Orléans, Reggente ; e sappiamo che Riccoboni, prima di partir dall’Italia e di stringere il patto, aveva indirizzato al Duca di Parma il seguente memoriale : 1° La Compagnia tutta supplica umilmente Vostra Altezza Serenissima di farle accordar la grazia di cui godettero i suoi predecessori, che niuna Compagnia italiana sia ricevuta a Parigi sotto alcun pretesto, quand’ anche tutti i Comici parlassero francese ; e sia generalmente vietato a qualsiasi altro di servirsi de' costumi delle Maschere del Teatro Italiano, quali dell’Arlecchino, dello Scaramuccia, del Pantalone, del Dottore e dello Scapino ; et anche del Pierrot, che, se ben francese, è nato dal teatro italiano. […] Tale opera comprende anche un catalogo di tragedie e commedie pubblicate per le stampe dal 1500 al 1600 ; e per comporla egli dovè far capo sempre al famoso raccoglitore e amico dei comici Gueullette, come si rileva dalle sue lettere, nelle quali ora domanda, per dar l’ultima mano al suo lavoro, Le livre sans nom, ora l’Arliquiniana, ora la Bibliothèque des théatres.
Lo scopo del canto drammatico è quello di rappresentar le passioni, le quali non si manifestano nell’uomo col suono dell’oboè, né del violino. […] Sarà vero talvolta questo difetto ne’ compositori, ma ciò non basta a scolparne i cantanti, che quasi sempre lo cantano male oltre l’inciampar che fanno in mille altri vizi, i quali nulla hanno di comune col movimento del basso. […] Come crederle in una union di persone, le quali per lunghissima e non mai smentita esperienza veggonsi applaudir sempre al cattivo e trascurar il buono? […] Dalle quali parole si scorge che ci dovevano esser gli eunuchi avanti al tempo in cui visse quel legislatore. […] Mi muovono a farlo due argomenti, i quali al mio parere convincono che la melopea degli antichi fosse diversa da quella che usiamo in oggi nell’opera.
Il solo Hann Sachs o Giovanni Säx calzolajo di Norimberga dal 1518 sino al 1553 compose sessantacinque giuochi di carnevale, settantasei commedie e cinquantanove tragedie, le quali cose racchiudonsi in cinque volumi in foglio. […] Egli sino al secolo XVII, oltre a trentasei giuochi di carnevale, compose molti drammi chiamati cantanti, de’ quali se ne sono conservati nove. […] Tali sono il Protoplaste, e la Nomothesia tragedie ed il Sacrificio d’Isacco commedia, le quali appartengono a Girolamo Zieglero professor di Poetica in Ingolstad; la Giuditta e la Sapienza di Salomone comicotragedia e la commedia detta Zorobabel di Sisto Betulejo; le commedie di Giobbe dell’Adimario, di Rut del Drisearo, di Giuseppe del Ditero. […] Ne compose altre sei originali intitolate Rebecca, Susanna, Ildegarde, Giulio resuscitato, Prisciano battuto, gli Elvezi Germani, alle quali aggiunse due tragedie Venere e Didone.
Egli morì in Evora prima del 1557; e dopo la di lui morte se ne pubblicarono le opere in cinque volumi, de’ quali il secondo contiene le commedie, il terzo le tragicommedie, il quarto le farse. […] Nelle opere che ci lasciò, s’incontrano dodici componimenti col titolo di tragicommedie, le quali punto non differiscono da quelle che chiamò commedie. […] Quattro commedie Italiane furono da lui tradotte nel medesimo linguaggio, le quali dopo la di lui morte si pubblicarono da Antonio di lui fratello nel 1574 in Toledo. […] E quali furono queste prime commedie Spagnuole anteriori a tutte le altre? […] mostrò anzi di saper queste cose quali esse siensi prima che io le dicessi?
Vincenzo, sposatosi con Angela Giribaldi, comica, fu amoroso con Massa e Romani ; primo attor giovine con Lambertini e Ferrante ; amoroso con Luigi Monti, Alamanno Morelli e Vittorio Pieri ; generico primario con Adelaide Tessero, Ernesto Rossi, Lombardi-Pavoni, Andrea Maggi, e Micheletti Pezzaglia, coi quali si trova attualmente quale amministratore. Egli fu, come il maggior fratello Giovanni, attore di non pochi pregi, tra’ quali primo : la spontaneità.
.) ; e l’appassionato Braccio Bracci pubblicava in Livorno la primavera del ’50 un inno in versi sciolti, tra’ quali i seguenti : …………. […] Artista spontanea, esuberante di passione, nel dramma e nella tragedia, ebbe una vena irresistibile di comicità nelle parti comiche, tra le quali i vecchi artisti ricordan quella del Birichino di Parigi, in cui non ebbe rivali.
L'esempio dei maestri, sotto i quali militò, e sui quali si modellò, la sua attitudine e il suo buon volere fanno sperare assai bene del suo artistico avvenire.
Golio famoso olandese del secolo XVI ne’ suoi viaggi in Aleppo, Arabia, Mesopotamia, e Costantinopoli, trovò molti turchi cortesi e illuminati, i quali gli permisero di andar scartabellando i codici delle loro librerie261. […] Per un’udienza d’uomini vi son compagnie d’uomini senza veruna donna, nelle quali giovani di vago aspetto rappresentano le parti di donne; e per un’udienza femminile vi son compagnie composte di sole femmine, tralle quali alcune rappresentano da uomini.
Ornavano la scena trecentosessanta colonne divise in tre ordini, nel primo de’ quali esse erano di marmo di trentotto piedi di altezza, nel secondo di cristallo, nel terzo di legno dorato. […] In oltre il pulpito Romano non dovea passare l’altezza di cinque piedi, perchè collocato più alto avrebbe incomodato i più ragguardevoli spettatori, i quali sedevano nell’orchestra che ad esso pulpito era immediata. […] Tutta adunque la scalinata dividevasi in tre spartimenti, basso, mezzano e superiore, detti da’ Latini ima, media e summa cavea, delle quali parti l’ima occupavasi da’ senatori e cavalieri, e la media e la summa dal rimanente del popolo.
Ornavano la scena trecento sessanta colonne divise in tre ordini, nel primo de’ quali esse erano di marmo di trentotto piedi di altezza, nel secondo di cristallo e nel terzo di legno dorato. […] In oltre il pulpito Romano non dovea passare l’altezza di cinque piedi, perchè posto più alto avrebbe incomodato i più ragguardevoli spettatori, i quali sedevano nell’orchestra che era ad esso pulpito immediata. […] Tutta adunque la scalinata dividevasi in tre spartimenti, basso, mezzano e superiore, detti da’ Latini ima, media e summa cavea, delle quali parti l’ima occupavasi da’ senatori e cavalieri, e la media e la summa dal rimanente del popolo.
Humili inchinan voi tutti coloro, nei quali spirto di ragion si vede ; et chi più v'alza al Ciel, chi più vi cede, più di ciò che far dee serua il decoro. […] Gran parte vi ha l’Eco, il quale comincia a farsi sentire in un lungo monologo di Pantalone al primo atto, tutto a bisticci : La sorte s’urta, e fa che morte m’urta se vago vuogo, e se sto fermo formo affanni, e fanno che me liga e laga la fina funa, che me strinze e stronza e moro, e miro se con passi posso far scherno e scorno, a chi mi tira in tara le parche porche se le fila il filo della mia vita, vota d’ogni degni contenti……… e via di seguito per trentacinque versi, dopo i quali comincia una comica lotta di parole con l’Eco, che torna poi in scena, per dir così, con Titiro al secondo atto, e con Montano, poi con Graziano e Bergamino, e con Fiammella e Ardelia, al quarto. […] Dopo che Fiammella ha promesso a Titïro, se cessi dalla sua crudeltà, un vaso per attinger acqua, fatto d’un teschio d’un uccello, ch'in aria si nutrisce di rapina, ………… e n’è intagliato con sottil lavoro tutt’all’intorno d’ogni sorte uccelli, ………… Ardelia dice : E tu, Titiro mio, se mi compiaci, ti vo' donar una bella ghirlanda da verginelle mani ben contesta di Rose, di Ligustri, e d’Amaranti, con molte foglie d’Ellera e d’alloro, nelle quali son scritte le mie pene, e come fui per te d’amor trafitta, con fregi che circondano le foglie ch'in esse si comprendono il trionfo del faretrato Dio, e di sua madre.
I Latini, avendo perdute per un concorso di circostanze, delle quali a me non s’appartiene il parlare, molte parti della musica greca, aveano parimenti perduti molti segni musicali, ovvero siano note, che usavano i Greci. […] L’antico scrittore che racconta il dissidio tra Francesi e Romani, dice che Adriano Pontefice mandò in Francia maestri i quali fra le altre cose gli istruissero nell’organare in arte organandi. […] La gran fama acquistatasi, e la scarsezza dei monumenti hanno fatto sì che attribuite gli vengano tutte le scoperte delle quali s’ignora l’autore, come già fecero gli Egiziani coi loro Teutes, e col loro Mercurio. […] Quindi è che la esercitavano persone scelte, le quali congiugnevano con un sommo ingegno una perfetta cognizione degli affari politici, e delle opinioni che conveniva istillare negli animi del popolo. […] Da ciò ne risultava altresì che il popolo da una banda, e i migliori spiriti dall’altra disgustati dal misero strazio che si faceva della poesia, della musica, e del buon senso, preferivano all’armonia destinata al culto dell’Altissimo le voluttose cantilene del secolo, le quali a poco a poco ebbero in chiesa la preferenza.
Allo scoprirsi che fece il regio salone con grandissimo strepito di stromenti comparvero in cielo tutti gl’iddi propizi agli uomini, ciascun de’ quali cantò un breve recitatativo, cui rispondeva il coro. […] Il dio del mare invitò i sovrani, le dame, e i cavalieri a entrar in codesto vascello ove furono serviti a suntuosa cena dai Tritoni i quali portavano le vivande sul dosso de’ mostri marini. […] Perciò si trovano alcune degne di miglior secolo, e quali a stento si vedrebbono nel nostro. […] Allora sdegnando il volgar nome di cantatrici e di cantori prederà quello di virtuose e di virtuosi per distinguersi anche dagl’istrioni, coi quali non vollero più accomunarsi. […] Dal qual morbo sono particolarmente attaccati gl’Italiani, i quali, credendo se stessi i Virimagni della facoltà, stimano il restante degli uomini altrettante pecore o tronchi.
Ebbe poi un’attitudine singolare a’dialetti, de’ quali mescolava alcune farse, come p. es. Scarpa grossa e Cervello sottile, riproducendo nel volger di mezz’ ora vari tipi disparatissimi : e non minore attitudine ebbe alla pronunzia correttissima della lingua francese, di cui molto si valse, facendo smascellar dalle risa lo spettatore più contegnoso col Grelufont e col Graffigny ; due parti, nelle quali egli fu artista incomparabile.
Passò poi tre anni, trascinata di compagnia in compagnia, applaudita e non pagata, dopo i quali risolse di abbandonar le scene. Ma vi ritornò l’ ’88 con la Marini, e vi stette sei anni, dopo i quali abbandonò il teatro per non tornarvi mai più.
R. di significargliene il motivo, considerando che non potrei da parte mia differir di partecipar con Lei le sue angustie, et invero hauendo io da tanti anni inuincibil notitia delle infinite prerogative con le quali V. S. veniva così strettamente conjunta col caro nostro difonto, ho campo di penetrare assai più che molti altri ne’sviscerati sui affani, supplico però la divina manc che Le ha fatta la piaga che si degni di sanarla con gratie, e consolationi proportionnate alla sua Virtù e che mi porga il Cielo la desiderata occasione di effettuare i caldissimi affetti con quali mi offerisco.
Accanto a queste vocali strascicate, altre ne proferiva scivolate, guizzate, salterellate…. nè questo accadeva per la volata incettatrice di applauso, come, ad esempio, nella Orfanella di Lowood, se ben ricordo, in cui colla frase « ed anche i cani delle reggïe muteee van rispetttati (alzata massima di tono, con immediato ruzzolamento delle parole che seguono) perchè portano sul collare una corona reale, » strappava i più calorosi applausi ; ma per le scene piane, nelle quali poi il difetto era più palese. […] E alla poesia del Girella potrei aggiungere la parte del Cavaliere di spirito, e altre siffatte, nelle quali fu artista egregio nel più largo senso della parola.
Quivi avea pubblicato nel 1839 alcune lettere sopra l’arte d’imitazione dirette alla prima attrice italiana Anna Fiorilli-Pelandi, alle quali va innanzi una bella lettera di Iacopo Feretti al discreto Lettore sul merito dell’opera. […] Vengon dopo : una lettera di Angelo Maria Ricci e una di Vincenzo Folcari, all’incitamento dei quali è dovuta la pubblicazione dell’interessante operetta.
Entrò poi l’ ’82 con Pasta e Campi, e l’ ’83 con Pietriboni, e il ’91 con Pasta e Reinach, coi quali fu poi sostituito, nel secondo anno del triennio, e a cagion di malattia, dal fratello Arturo. […] Gli amici sui quali confidò nell’inizio dell’impresa, non ebber per lui, allo sfasciarsi rapido e fatale di essa, che soccorsi di motteggi.
Partendo dai Nostri Stati per portarsi altrove Antonio Marchesini Capo della Compagnia de' Comici, che ha esercitata per più mesi tal professione ne' Teatri di Modena, e di Sassuolo con piena nostra sodisfazione, e della nostra Corte, ed’auendo percio motivo d’accordargli la nostra prottezione, con ascriverlo nel numero de nostri attuali Sruitori, l’accompagniamo colle presenti nostre lettere patenti, in vigore delle quali preghiamo i Signori Principi per i Stati de quali gli occorrerà transitare, e rispettivamente ricerchiamo i loro Ministri a far godere allo stesso Marchesini i suoi cortesi riguardi, lasciandolo passare liberamente col suo seguito, e Bagaglio, e tanto poi comandiamo espressamente aj Ministri, Officiali, e Sudditi Nostri per quanto stimano la gratia.
Ma quali sono codesti cancelli? […] I Greci, dai quali gl’Italiani si vantano d’aver tratto il loro spettacolo, cosiffatto abuso mai non conobbero. […] La poesia consisteva in qualche piccola canzonetta, a ciascuna scena delle quali si ballava in diversa foggia. […] All’aprirsi la scena apparve un coro de’ falsi romori e de’ sospetti, i quali givano avanti all’Apparenza e alla Menzogna. […] Questi personaggi fecero per ordine le loro sortite, dopo le quali comparve il tempo, che mandò via l’Apparenza.
Or quanto più ciò conviene a’ privati, i quali altro capitale non posseggono, che l’onestà? […] gli studj severi riformati sulle novelle scoperte, esperienze, e osservazioni fatte sotto altro Cielo più puro, alle quali si attraversavano sul cammino tuttavia le vestigia delle Arabe Scuole? […] Ecco che già se ne veggono nobili frutti in tanti ragionatori rischiarati, de’ quali oggi trovasi così gran numero in sì famosa Corte. […] E tante furono e sì illustri le Colonie, che dalla Grecia vennero ad abitare i nostri paesi, che Strabone mentova moltissime Città Greche Italiane, così nel continente, come nella Sicilia, le quali erano a’ suoi tempi tutte perite, rimanendone solo le reliquie materiali, e poche Città, come Napoli, Regio, Taranto, le quali per qualche altro secolo continuarono a conservarsi Greche. […] Ma dopo di questi bei passi le Nazioni procedono oltre e coltivano le Lettere, e le Scienze, delle quali ora discorriamo.
Egli solea in essa trattenere il re e la real famiglia con magnifiche feste singolarmente teatrali ricche di macchine e decorazioni, nelle quali accoppiavasi alla recita nuda di tutta la favola il canto di certe canzonette frapposte che diremmo arie. […] Si conchiude con un’ aria in cui Calcante profetizza che il sole irritato convertirà en temor nuestras alegrias; ma di grazia quali allegrie, se Achille ha descritto la mortalità del campo desolato dalla peste? […] Nel teatro detto de los Caños del Peràl sin dal 1730 si rappresentarono opere buffe, ma dopo alquanti anni vi si recitarono commedie spagnuole, le quali pure erano cessate nel 1765 quando io giunsi in Madrid. […] In Aranjuez, nell’Escurial, in San Ildefonso e nel Pardo in tempo che vi dimorava la Corte dal 1767 s’introdussero le opere buffe con balli, le quali alternavano colle rappresentazioni francesi tradotte in castigliano eseguite da una compagnia di commedianti Andaluzzi. […] Non è che una semplice reimpressione di circa 35 favole buone, mediocri e cattive, le quali e nel male e nel bene si rassomigliano a molte altre che se ne tralasciano.
Di grazia può qualunque siesi fregiarsi dell’augusto alloro de’ principi della letteratura, i quali per altro ripetendo per lo più sino all’ultima noja i più divulgati rancidumi producono libri bipalmari di superficie e digitali di profondità? […] Vero è altresì che nelle storie teatrali si suole di quando in quando favellar di comedi antichi e moderni, cioè de’ Satiri, de’ Roscj, de’ Baron, de’ Garrick, degli Scaramucci e de’ Don-Fastidj, bassi oggetti da’ quali difficile e schifiltoso rifugge chiunque presume di tener gran posto contando se stesso tra’ personaggi stragrandi che danno lustro e nome al secolo XVIII. Non di meno v’ha chi sostiene loro in sul viso esser meglio calcar le tracce di Aristotile, di Plutarco, di Tullio, di Quintiliano, e mentovar dove stia bene que’ graziosi sagaci attori, i quali seppero sulle più culte scene ritrarre al vivo i ridicoli del loro tempo, che accreditarsi nelle società come originali di que’ medesimi ridicoli mascherati da uomini di alto affare, come filosofi senza logica, come pedanti pieni di stomachevole orgoglio e voti di ogni valore e dottrina, e come pigmei in somma, la cui pelle distesa a forza di puro vento per via di replicati argomenti si gonfia e gli fa per qualche istante parer gigantoni. […] Non v’ha nemico più temuto dagl’impostori letterarj, politici e morali, quanto un buon teatro; per la qual cosa essi adopreranno sempre gli ultimi loro sforzi per avvilirne l’occupazione, temendo di esser su di esso scherniti, suo principal oggetto essendo il separar l’oro dall’alchimia, la maschera dalla realità, i veri utili scrittori da que’ larghi promettitori eterni di opere che non si producono, i quali sono gl’insetti divoratori della messe che dovrebbe alimentar la povertà meritevole, la modesta filosofia, la virtù infelice che dà riputazione fin anco a’ paesi corrotti, la quale mentre riscuote un apparente rispetto, vien lasciata languire nell’indigenza.
Se io scrissi, che il Velazquez in vece di prorompere in invettive inutili [quali reputo ora le due pagine e mezza del Saggio] contro Filostrato, avrebbe dovuto convincerlo di errore con pruove chiare, e non voci, ciò forse significa che io sia persuaso della verità del Romanzo di Filostrato? […] Chiede poi perdono all’Apologista, se omise l’importante notizia da scriversi per tutto l’Orbe delle quattro colonne di onice possedute da quell’onorato Spagnuolo, colle quali ornò il suo Teatro. […] Così abbacinato da tali magnificenze di un privato che diveniva Edile, le quali saranno povertà per altri di maggior cuore, non pensò a quel tesoro inarrivabile di quattro colonne di onice, le quali tutto, e con molta ragione, riempierono il vasto cuore dell’Apologista Spagnuolo.
Entro malvolentieri in certe quistioni, nelle quali veggo l’avversario traviato, non per debolezza d’intendimento, ma per difetto di volontà. […] Non trova l’Apologista nella storia Scenica Italiana di quel tempo altra cosa eccetto che alcune rappresentazioni, nelle quali il giudizioso Tiraboschi riconosce soltanto un popolare spettacolo e una muta rappresentazione. […] Da ciò quali conseguenze volete che si deducano, Signor D. […] Il Signor Lampillas, cui incresceva di ciò vedere, volle dare ad intendere, che io poteva sì bene spacciare queste cose co’ poco instrutti, ma non con gl’illuminati, e bene informati della nostra Letteratura, tra’ quali conta forse sestesso.
Appassionato dell’arte, entrò a venti anni in una compagnia d’infimo ordine, e dopo aver passato peripezie di ogni specie in altre compagnie mediocri, nelle quali però era già divenuto un buon artista, riuscì a entrar socio il 1811 con Elisabetta Marchionni, recitando al fianco della celebre Carlotta le parti di primo amoroso. […] Nonostante una figura tozza, una fisionomia volgare, un collo sepolto nelle spalle, riuscì coll’occhio vivo e lampeggiante, colla voce forte e armoniosa, coll’intelligenza naturale accentatissima, a ottenere il plauso de’ pubblici i più varj, e nelle parti di ogni specie ; poichè egli mirabilmente passava dalla rappresentazione de’ più atroci personaggi, quali il Montalban nella Chiara di Rosemberg, e il Walter nell’ Orfanella della Svizzera, a quella de’ più gai, quali il Geraldino della Lusinghiera e il Cuoco del Cuoco e Segretario. […] E dopo di avergli dato ragguaglio sull’esito delle due Pupille, della Bottega del libraio, dell’ Avaro, della Turca, commedie tutte dello stesso Benci, delle quali ebber le prime due le migliori accoglienze dovunque, dice : ….
Egli soleva in essa trattenere il re e la famiglia con magnifiche feste singolarmente teatrali ricche di macchine e decorazioni, nelle quali accoppiavasi alla recita nuda di tutta la favola il canto di certe canzonette frapposte che diremmo arie. […] La Cruz dà braccia ad una pecora , dalle quali il lupo strappa gli agnelli. […] Si conchiude l’atto con un’ aria, in cui Calcante profetizza che il sole irritato convertirà en temor nuestras alegrias : ma di grazia quali allegrie sono nel campo greco, di cui Achille ha descritta la mortalità onde l’ha coperto la peste ? […] Termina l’atto con un terzetto di Achille, Briseida, ed Agamennone (restando per muti testimoni Patroclo e gli altri) i quali tutti e tre cantano questi versi : Dioses que veis la injuria, vengadme del traidor. […] Nel teatro detto de los Caños del Peràl di Madrid fin dal 1730 si rappresentarono opere comiche, ma dopo alquanti anni vi si recitarono commedie spagnuole, le quali erano pur cessate nel 1765 quando io giunsi in Madrid.
Ma cotest’anonimo che ignorò queste e tante altre, volle criticare e l’originale e la copia, produzioni di due ingegni grandi, i quali dovea egli solo ammirare. […] Granelli hanno avuto una gloria efimera, mal grado di tutti gli encomi, de’ quali le ha caricate il signor abate Bettinelli. […] Ringhieri, le quali hanno fatta la fortuna di parecchie compagnie d’istrioni. […] Uno spagnuolo pretendeva che ne avesse prese alcune invenzioni; ma quali? […] Quest’Ambigu non é altro, che un componimento capriccioso, uscito nel 1671, composto di tre atti, ciascuno de’ quali contiene un argomento differente maneggiato in diverso stile.
Ebbe ancora l’accortezza di scerre argomenti adattati al talento e alla disposizione de’ suoi attori, giacchè egli per mancanza di voce non potè rappresentare, come facevano gli altri poeti, i quali per lo più recitavano nelle proprie favole. […] Scrisse centodiciassette o centotrenta ed anche più tragedie, delle quali venti furono coronate; ma non ne sono a noi pervenute che sette, cioè Ajace, le Trachinie, Antigone, Elettra, Edipo re, Filottete, Edipo Coloneo, le quali dovunque fioriscono gli ottimi studii, divengono esemplari de’ più peregrini ingegni. […] Ognuno può osservare nelle aringhe de’ Greci oratori con quali forti ingiurie l’uno contro l’altro essi si scagliassero nel Pritaneo a’ tempi di Filippo, di Alessandro ed anche di Cassandro. […] Il coro del quarto è accoppiato ai lamenti di Filottete, i quali pajono una spezie di recitativo moderno obbligato, o vogliam dire accompagnato dagli stromenti. […] Conviene però avvertire che classe non par che debba qui dinotare soltanto la moltitudine, ma l’ordine o la qualità degli attori, i quali, secondo la fama o il merito nel rappresentare dividevansi in primi, secondi e terzi.
Fu anche direttore della Compagnia Nazionale, e socio di Ermete Zacconi, ma il suo nome più che all’arte del recitare egli legò all’opere sue drammatiche, nelle quali è sempre un sapore italianissimo di sana commedia, e delle quali alcuna vive tuttora ne' repertorj delle compagnie sì dialettali che italiane, come l’Amoreto de Goldoni a Feltre, il Tiranno di San Giusto, l’Onorevole Campodarsego, Dall’ombra al Sole. […] Nacquer dalla loro unione tre figliuole, educate all’arte del canto, due delle quali riuscirono egregie, e una, la terza, perdè la voce e divenne poi moglie del rinomato La Blache.
Ennio con certa invida rivalità ne’ suoi Annali volle motteggiar Nevio come poco elegante ne’ libri della prima guerra Punica, ne’ quali fece uso de’ versi Saturnii. […] Per tali cose la favola del Pseudolo fu da Gellio chiamata festivissima, e ammirata da’ moderni più sagaci interpreti, tra’ quali si distinse Federico Taumanno. […] Questa consiste nella costanza dimostrata da due matrone in amare i loro mariti bisognosi, i quali da tre anni partirono dalla patria cercando di migliorar col commercio il proprio stato. […] Di siffatte commedie, nelle quali i buoni diventano migli ori, se ne inventano ben poche dai poeti di oggidì”. […] Certo Plauzio, secondo lui, antico poeta comico scrisse diverse commedie, le quali dal di lui nome doveano chiamarsi Plauziane, e talvolta passarono per Plautine attribuendosi a Marco Accio Plauto.
Epigene, Tespi e Frinico I furono tre uomini di talento particolare, ognuno de’ quali sorpassò il predecessore e diede nuovo lustro alla tragedia. […] Settanta, o, come altri vuole, novanta o cento tragedie egli compose, delle quali sette appena ce ne rimangeno, e riportò la corona teatrale intorno a trenta volte. […] Un coro di Ninfe del l’Oceano viene a consolarlo, colle quali Prometeo parlando disacerba il suo dolore, e narra l’innocente ed utile suo delitto. […] Favella poi col coro dei diversi ritrovati e di tante arti insegnate agli uomini, i quali prima, poco differenti da’ tronchi, viveano come le belve rintanati negli antri. […] Sì bene pei piccioli e maniera i talenti, come furono i La-Mothe, i Perrault e i Cartaud de la Vilade, de’ quali per altro abbonda ogni nazione.
Fu colla famiglia e con quella donna in varie città d’Italia, fra le quali Modena, ov’ era già il 1668 con l’ Ippolita e la Cintia, e ove tornò poi il ’75, comico del Serenissimo Signor Duca, con la Flaminia e la Vittoria. […] Non così agevole è l’identificare le due attrici del ’68, le quali potrebbero essere la Ippolita Gabbrielli e l’ Anna Maria Millita detta Cintia.
Ma oh quanto oggidì si scarseggia di gran pennelli, i quali sappiano mettere in opera i bei colori della natura, agli antichi sì famigliari! […] e quali Nell’avvenir saranno? […] Pur quali ostacoli non vince l’attività, l’ingegno, e lo studio? […] Nell’atto I vi é un brieve dialogo di Elena e d’Elettra, le quali si motteggiano in una maniera forse poco conveniente alla tragedia. […] Vi entra maggior numero di passioni, delle quali alcune tutt’altro sono che tragiche.
e quali Ne l’avvenir saranno? […] Pure quali ostacoli non vince l’attività, l’ingegno e lo studio? […] Si legge nell’atto primo un breve dialogo di Elena e di Elettra sua nipote, le quali si motteggiano in una maniera poco conveniente al tragico decoro. […] Ma egli rappresenta un’ armata divisa in due partiti pronti ad assaltarsi, uno de’ quali è retto dall’iracondo Achille. […] Vi entra maggior numero di passioni, alcune delle quali punto non sono tragiche.
Lo stesso dico della maggior parte delle chiamantisi Anacreontiche, le quali sono tanto lavorate sul gusto di quell’autore quanto sono conformi alla natura i ridevoli sistemi dei filosofi. […] Ne’ pubblici costumi esso era una spezie di adorazione che si tributava alle donne considerate come oggetti pregievolissimi, i quali acquistar si dovessero a forza di eroismo. […] Ma io non avrei che per metà eseguito il disegno di quest’opera se dopo averne additate ai giovani le virtù che possono imitare nel nostro amabil poeta, non avesse anche il coraggio d’indicar loro i difetti, dai quali debbono tenersi lontani. […] [40] Molto più mi rincrescerebbe il non poterlo scolpare da altri difetti, i quali imitati incautamente dai giovani potrebbero condurli alla rovina del buon gusto. […] Essa è come il governo dei tiranni, i quali o regnano dispoticamente fra la strage e il sangue, o perdono il trono e la vita.
Piacevole è l’intrigo di questa commedia, che su di un semplice fondamento aggirandosi produce varj ridicoli colpi di teatro, i quali con tutta naturalezza apportano lo scioglimento. […] Le parole colle quali si conchiude l’argomento che vi è apposto dopo il prologo, indicano che la rappresentazione non si faceva in Roma, ma in un’ altra città. […] Timoteo indirizzate agli spettatori, le quali a parer mio distruggono l’illusione teatrale sino a questo punto mirabilmente sostenuta. […] Regolari e piene di sali e motteggi sono le cinque commedie di Lodovico Dolce, colle quali contribuì all’avanzamento della scena comica. […] Or quali di queste ha lette il sempre lodato maestro di Poetica Francese?
Esordì come amoroso nella Compagnia Tassani ; poi passò in quella di Gustavo Modena che lo iniziò nelle parti comiche, per le quali salì in poco tempo e meritamente in gran fama. […] La Compagnia unica ch’egli condusse e diresse, grande in ogni sua parte, sbocconcellò, o meglio sfasciò, dividendola in tre Compagnie, delle quali diventaron prime parti assolute non grandi, quelli stessi artisti che nella Compagnia unica furon parti non assolute grandissime. […] Fu anche il Bellotti scrittor di commedie, tra le quali Spensicratezza e buon cuore non compiutamente bandita dal nostro teatro, in virtù dell’interesse che ne desta l’intreccio e della vena di comicità di cui abbonda. […] Finalmente, non potendo più resistere all’ inclinazione ch’egli aveva per il teatro, s’insinuò nell’ amicizia d’alcuni comici, i quali seco lo tolsero a recitare, e bravamente riuscì sostenendo con molto spirito il personaggio di Pantalone, a cui era tanto inclinato.
Cinquanta e più commedie compose Aristofane, delle quali per la maggior parte, è perita ancor la memoria. […] E tanti altri giovani i quali sono autori di più di diecimila tragedie, e sono più loquaci di Euripide? […] A quali? […] A quali! […] Ottiene quelle di Telefo, colle quali si abbiglia per rassembrare un povero.
Camargo fiorendo nella danza alta al pari degli uomini, e la bella Sallè acclamata per eccellente nella danza seria, le quali sono state celebrate nelle opere del Voltaire. […] L’Ariodante, e Montano e Stefania, sono due opere tratte dall’episodio di Ginevra dell’Ariosto, le quali riscossero molti applausi. […] Dopo simili mostruosità furonvi dall’epoca della Repubblica sino a questi dì alcune composizioni comiche in musica, le quali benchè colme di difetti non parvero stravaganti, e talora ebbero buon successo. […] Un tempo l’Opera Comica ed il Vaudeville furono due generi uniti, de’ quali il Vaudeville vien considerato come il produttore dell’Opera comica in Francia. […] Barrè, Radet, Desfontaine formano un triumvirato appellato de’ Tre autori, a’ quali suole unirsi per quarto Bourgueil.
Evanzio, grammatico, riferisce il principio della tragedia alle cose divine, alle quali applicavansi gli antichi ringraziando gli dei dopo la raccolta dei frutti. […] E con quali ragioni s’oppone il giornalista ad una opinione così verificata e così generalmente stabilita? […] Gli esempi che ho recato in mezzo (e de’ quali secondo il costume non fa parola l’estrattista, quantunque gli aprissero un bel campo di farsi onore difendendoli) non sono cavati dalla ciurma, ma dalle opere di compositori stimabili. […] ma con quali argomenti si prova che l’aria qui esposta sia un duetto? […] I versi sono giambici, come tutti gli altri di puro recitativo, non anapestici o lirici d’altra natura, quali essere dovrebbono se formassero un duetto. 4.
Bracci, de’ quali leggesi un bell’ estratto nel Nuovo Giornale Modanese de’ Letterati d’Italia tom. […] Quindi sono esse state piuttosto credute portici, ne’ quali introducevansi le mercanzie in città dall’antico porto che ora è in secco, e di cui sussistono le ruine del molo ora chiamat omuraccio o il torrazzo dell’Ausa fiume che bagna la città dalla parte di Oriente.
Ultimamente il fine morale dell’autore di mostrar le funeste conseguenze delle sfrenatezze, viene interamente distrutto colle dipinture e situazioni laide e lascive, per le quali ne fu meritamente proibita la lettura. […] E dopo la di lui morte se ne pubblicarono le opere in cinque volumi, de’ quali il secondo contiene le commedie, il terzo le tragicommedie, il quarto le farse. […] Tosto dunque uscirono i comici dalle commediole e dagli amori della figliuola del fabbro, i quali posti in circostanze pericolose o tragiche trassero seco loro la confusione de’ generi. […] Quattro commedie Italiane furono da lui tradotte nel medesimo idioma, le quali dopo la di lui morte si pubblicarono da Antonio di lui fratello nel 1574 in Toledo. […] E quali furono queste prime commedie spagnuole anteriori a tutte le altre?
In tale stato potevano essi conoscere altri spettacoli scenici, che quelle prime rozze, ed informi rappresentazioni chiamate sacre, nelle quali si accoppiavano sconciamente la farsa, e la religione? […] I Russi, ad esempio dell’Alemagna, cominciarono a far contribuire al proprio diletto le nazioni più ingegnose, l’Italiana e la francese, le quali da gran tempo si disputano la preferenza nell’arte di piacere. […] Incoraggir bisogna innanzi altro i poeti che sono l’anima degli spettacoli teatrali; cercare ogni via perchè si sollevino dalla turba de’ versificatori; instruirli della ragion poetica stella polare delle rappresentazioni; essi così formati sapranno l’arte di dipingere i caratteri e le passioni, e guidati da un soprio discernimento inspireranno il proprio entusiasmo agli attori, i quali pieni di questo spirito rappresenteranno con energia, naturalezza e sensibilità quanto la natura umana loro presenta; là dove copiando unicamente gli attori stranieri confonderanno gli eccessi e le bellezze per mancanza di vero lume e rappresenteranno sempre con istento e durezza.
Samuele, che a 19 anni aveva abbandonato la casa paterna per amor d’un’attrice nota col nome di Fragoletta, e s’era dato al teatro come violinista, ballerino e comico, la tolse in moglie il 27 febbraio del 1724, dopo di averla rapita ai parenti, i quali poi perdonarono, a patto che la figliuola, più nota col nomignolo di Zanetta, non calcasse le scene. […] Alle quali parole il barone ö Byrn (op. cit. […] Dice il Bartoli che come artista egli fu irreprensibile, ma che, come uomo, corse troppo a sciolta briglia dietro gli amori, pe’ quali ebbe più volte a far naufragio fra burrascose procelle a segno di rompere contro a’scogli la nave, e di smarrirvi per fino interamente il timone….
Ma non monta in superbia per ciò : tornata in Italia, memore di quel che fu il maestro per lei, si unisce ancora a Toselli, interpretando' sta volta i capolavori del Teatro piemontese, quali Sablin a bala, Gigin a bala nen, Margritin dle violette, e suscitando nel pubblico accalcato nel piccolo teatro Rossini il più schietto e più vivo degli entusiasmi. […] Unitasi in matrimonio con Giovanni Guidone, si allontanò per due anni dalle scene, alle quali tornò più entusiasta che mai, scritturata da Bellotti-Bon (Compagnia n.° 1, 1873), dopo il clamoroso successo avuto nella Marcellina di Marenco al D'Angennes di Torino, in unione a Giacinta Pezzana, quella che raccolse degnamente la sua eredità artistica in Compagnia Toselli. […] Ne fui talmente spaventato per quelli che diceva di odiare, e ai quali voleva fare tanto male, che non compresi null’altro, se non il dovere di difendere da quella jena quei disgraziati !
Altre farse di quel tempo chiamaronsi Momerie o Mascherate, nelle quali eccedeva la satira e la buffoneria. […] Sotto Errico III asceso al trono nel 1574 uscirono le otto tragedie di Roberto Garnier, le quali secondo lo stesso Ronsardo, superano di molto quelle di Jodelle. […] Meritano anche attenzione varii versi dell’Ippolito, e più quelli del racconto della di lui morte, de’ quali Racine non isdegnò di approfittarsi ed inserirli nella Fedra. […] Scrissero poi favole drammatiche Moncretien, Baro, ed Hardy, i quali, secondo il Voltaire, vendevano a’ commedianti che giravano per la Francia, le loro composizioni a dieci scudi l’una.
Altre farse di quel tempo chiamaronsi Momerie o Mascherate, nelle quali eccedeva la satira e la buffoneria. […] Sotto Errico III asceso al trono nel 1574 uscirono le otto tragedie di Roberto Garnier, le quali, secondo lo stesso Ronsardo, superano di molto quelle di Jodelle. […] Meritano anche attenzione varj versi dell’Ippolito, e più quelli del racconto della di lui morte, de’ quali Racine non isdegnò di approfittarsi e d’inserirli nella Fedra. […] Scrissero poi favole drammatiche Monchretien, Baro ed Hardy, i quali, secondo M.
Tali i due Tempj, de’ quali il primo semplice, grave, e solido contiene sei colonne in facciata, ed altrettante dalla parte opposta, e si allontana dalla maniera dorica greca, e dall’ordine toscano de’ tempi posteriori, ed il secondo tempio più picciolo, che dinota di essere stato da’ Toscani eretto posteriormente, quando già essi sapevano congiungere colla solidità il gusto di ornare. […] Bracci, de’ quali leggesi un buono estratto nel Nuovo Giornale Modanese de’ Letterati d’Italia. […] Veggonsi in Rimini alcuni rottami di mattoni, ne’ quali altri riconosce un teatro, altri un anfiteatro. […] Quindi esse sono state piuttosto credute portici, ne’ quali introducevansi le mercanzie in città dall’antico porto, che ora è in secco, del cui molo sussistono le ruine ora chiamate Muraccio o il Terrazzo dell’Ausa fiume che bagna la città dalla parte di oriente. […] Uno squarcio però di esso merita riflessione, e par che lo faccia ascendere sino alla fine del primo secolo, mentovandovisi i Gaulesi della Loira, i quali scrivevano su gli ossi le sentenze di morte pronunziate sotto le quercie: Habeo (vi si dice) quod exoptas; vade, ad Ligerim vivito.
Giuseppe Rocco Volpi, e del teatro di Brescia mentovato nelle Memorie Bresciane del Rossi, de’ quali tutti fece menzione il chiarissimo Girolamo Tiraboschia: havvene non pochi altri che in parte ancora esistono e frequentavansi sotto gl’imperadori de’ primi secoli. […] Veggonsi in Rimini alcuni rottami di mattoni, ne’ quali altri riconosce un teatro, altri un anfiteatro. […] Nè conseguì per questo di scemarne il numero, anzi a tal segno esso crebbe, che di sole ballerine forestiere, secondo Ammiano Marcellinob, contaronsi in Roma più di tremila, le quali coi loro cori e con altrettanti maestri furono privilegiate ed eccettuate da un bando di sgombero dalla città intimato per timore di carestia a tutti i filosofi, retori ed altri letterati stranieri. […] Si sa per quali infami vie ottenne il favore di questo medesimo imperadore un altro famoso attore tragico chiamato Apelle, che giunse ad essere noverato tra’ suoi consiglieri. […] Ma i Mimi e i Pantomimi trionfano del socco e del coturno sotto gl’imperadori, i quali, non che flagellare i togatarii e gli atellanarii, solevano punir coll’ultimo supplicio i tragici che non rispettavano la memoria de’ re della stessa mitologia o della più remota antichità, come Agamennone.
, quali momenti volessero «movimento», quali «gravità», quali «posatezza». […] Ma io non ho saputo chiarirmi se egli ponesse mai sotto le note altro che intermedi, de’ quali parecchi ne compose. […] I quali effetti né della pittura, né della scultura, né si narraron mai di qualunque altra delle belle arti. […] Posto che il ballerino abbia i talenti necessari per discernere quando convenga far comparire Arcade, quando fargli abbandonare la scena affinché non raffreddi lo spettacolo, quali azioni, quali disegni sieno propri della danza, quali sieno da rigettare, come incapaci d’essere ben espressi dal pantomimo. […] Miglior consiglio è mettere l’amministrazione di quelle rendite tra le mani di persone di sperimentata probità, dalle quali può sperare il publico più soddisfazione che da uno stremo e tenace impresario, e le quali in fine di ciascun anno saran tenute a render conto di loro amministrazione.
Dante Alighieri, che col sumministrare all’ Italica favella per mezzo delle sue dotte e ingegnose produzioni non poca robustezza, vivacità ed energia, e coll’ arricchirla di molte e varie immagini, e di molti e varj colori poetici, mostrò con effetto, siccome disse il Boccaccio nella di lui Vita, con essa ogni alta materia potersi trattare, e glorioso sopra ogni altro fece il volgar nostro; Dante che perciò fu dal Petrarca chiamato ille eloquii nostri dux, da Paolo Giovio il fondatore del Toscano linguaggio, e da altri il Poeta de’ Pittori; Dante afferma nel capitolo X del suo Convivio, che per l’Italico idioma altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente, e acconciamente si poteano manifestare, quasi come per l’istesso Latino; e loda in esso l’ agevolezza delle sillabe, la proprietà delle sue condizioni, e le soavi orazioni che già fin d’allora se ne faceano, le quali chi ben guarderà, vedrà esser piene di dolcissima e amabilissima bellezza. […] Pel popolo vi erano pozzi di vino; alle tavole piatti e vasi tutti d’oro e di argento; prodigiosa quantità di strumenti musicali, e di mimi, a’ quali dedit ingens Dux prœmiæ maxima. […] I Poeti Provenzali, che per quanto chiaramente ricavasi da due passi del Petrarca l’uno del Trionfo d’Amore cap. 4, e l’altro della Prefazione alle sue Epistole Famigliari, vennero dopo i nostri Siciliani a verseggiare e a far uso della rima nelle moderne lingue volgari, si distinguevano con varj nomi secondo i loro varj mestieri, in Troubadores, cioè trovatori, così detti dal trovar prontamente le rime, e dall’inventar favole verseggiando, in Canterres, o cantori, i quali cantavano i versi composti dai Trobadori, e in Giullares, o siano Giucolari, o Giullari, che vale lo stesso che giocolieri, o buffoni, i quali nelle pubbliche piazze, o nelle fiere intertenevano il popolo con varie buffonerie, sonando qualche stromento, o sollazzavano i conviti de’ Principi e gran Signori con canti, suoni e balli, celebrando le gesta de’ Paladini, e le bellezze delle donne. Tutti costoro venivano compresi sotto il nome generico di Mnestrels, i quali in Italiano, secondo che ha osservato il Redi in una lettera a Carlo Dati, furono da Giovanni Villani chiamati Ministrieri, e da Matteo Villani Minestrieri, e da qualche altro scrittore Ministelli dal latino barbaro Ministellus. […] Gli Scaldi accompagnavano i loro Re ancora ne’ combattimenti, e nelle corti, e per incitarli a marziali ed onorate imprese cantavano i loro versi chiamati runici, e i loro cantici appellati wises, de’ quali serbasi una gran quantità nel settentrione, scritti nell’antica lingua Scandinava, o Gotica, o Teutonica, ch’era una eademque, e comune a tutti i popoli del Nort, e ch’è stata la madre delle lingue moderne della Svezia e della Danimarca, e che ancora parlasi colla maggior purezza nell’Islanda.
Nato da civil famiglia padovana, e datosi all’arte comica, entrò nella Compagnia di Andrea Patriarchi, poi in quella di Luigi Perelli, nelle quali percorse la Sardegna e la Sicilia e le varie città d’Italia, facendosi non poco applaudire nelle parti serie e gravi.
Dones Francesco, milanese, nacque verso il 1785, e tenne dal 1810 al 1830 il posto di caratterista con grandissima lode nelle primarie Compagnie, quali di Consoli, Zuccato, Goldoni e Perotti, e in quella poi ch’egli formò al finire della sua carriera.
Osservò quali voci nel nostro parlare s’intuonano, e quali no; che viene a dire quali sono capaci di consonanza, e quali non sono. Si pose a notare con ogni minutezza di quali modi ci serviamo ed accenti nel dolore, nell’allegria e negli altri affetti da cui siam presi: e ciò per far muovere il basso al tempo di quelli, ora più ed ora meno. […] Non picciola è la mutazione che da quel maestro è seguita a’ tempi nostri, nei quali si è oltrepassato ogni segno, e le arie si rimangono oppresse e quasi sfigurate sotto agli ornamenti con che studiano sempre più di abbellirle. […] Le parole non si vogliono replicare, se non con quell’ordine che detta la passione e dopo finito il senso intero dell’aria, e il più delle volte non si dovrebbe neppure dir da capo la prima parte; che è uno de’ trovati moderni, e contrario al naturale andamento del discorso e della passione, i quali non si ripiegano altrimenti in se stessi e dal più non tornano al meno. […] La bella modulazione trionferebbe del continuo nei recitativi, nelle arie, nei cori medesimamente di che vanno corredate le nostre opere, ne’ quali cori saprebbono metterci di contrappunto quel tanto che bastasse e nulla più.
Di questa precisione e aggiustatezza abbiamo pochi esempli tra’ moderni, i quali per lo più fanno rispondere a’ personaggi quel che comanda la rima o L’armonia de’ versi. […] Vedremo appresso che gli Arabi aveano dialoghi, ne’ quali satireggiavano gl’impostori medici, maghi ed astrologhia. […] Lasciando a parte la riferita ambizione di tanti diversi rappresentatori, ciascuno de’ quali cercò di distinguersi da se, vuolsi riflettere all’osservazione che soggiugniamo. […] La Scinnide conviene propriamente ai Satiri, i quali ne furono indi chiamati Scinnidi; e se ne crede autore Sicinnone barbaro o Cretese, benchè altri l’attribuisca a Tersippo. […] Di tali cose possono consultarsi le opere di Giulio Polluce, Dionisio Alicarnasseo, Ateneo e Suida, i quali alla distesa ne favellano.
Fu in varie compagnie e scrisse alcune commedie, fra le quali L’amor coniugale come seguito del Fabbricatore inglese di Falbaire.
Si parla eziandio di alcune pastorali de’ Provenzali, che altro pure non furono se non che piccioli dialoghi, ne’ quali confabulava il poeta e qualche pastorella. Tale fu quella di Paulet e della sua pastorella, i quali entrano a parlare de gli affari politici, e delle vedute de’ gabinetti dell’Europa, e la pastorella specialmente favella dell’infante don Pietro d’Aragona e di Odoardo d’Inghilterra.
Nelle farse istrioniche dette dell’arte gli attori caratterizzati nella guisa già descritta, si coprivano di maschere, le quali s’inventarono successivamente parte nel XVI secolo, e parte nel XVII. […] Quanto alla forma gli antichi nelle maschere rappresentavano i volti umani quali sono, per valersene nelle tragedie e nelle commedie.
Nelle farse istrioniche dette dell’ arte gli attori caratterizzati nella guisa già descritta, si coprivano di maschere, le quali s’inventarono a poco a poco parte nel decimosesto e parte nel seguente secolo; e fu un errore del Nisieli e del P. […] Quanto alla forma gli antichi nelle maschere rappresentavano i volti umani quali sono, per valersene nelle tragedie, e commedie.
In quei giorni, la famiglia Mariani, più per sfogo che per guadagno, andava coi dilettanti alla Venaria Reale, dove la giovine attrice interpretava i caratteri più disparati e più strani, quali la Linda di Chamounix o il Maino della spinetta. […] Dopo gli anni, che chiameremo di noviziato, ma che furono anni di vita artisticamente vissuta, nei quali la prima attrice giovane colla intelligenza svegliata, colla voce insinuante, colla dizione limpida e piana, era diventata l’idolo del pubblico, passò prima attrice assoluta nella Compagnia di Cesare Rossi, osteggiata dai più, che vedevano in lei nelle grazie del viso, la eterna ingenua, ma accompagnata dall’incoraggiamento dei pochi, che vedevan nella gagliardìa della sua mente, e della sua volontà, nello sviluppo ognor crescente delle sue attitudini, una giovane forza che sarebbe arrivata in breve agli alti gradi dell’arte.
Destinato dai parenti alla musica, un bel giorno gettò in un fosso i documenti coi quali avrebbe dovuto presentarsi al Conservatorio di San Pietro a Majella, e confessò a' parenti il suo singolare trasporto per l’arte drammatica. […] Ma rieccolo a Napoli alla Partenope, ove recitò una sera, davanti all’impresario Luzi e all’attore Di Napoli del San Carlino, la vecchia farsa napoletana Feliciello Sciosciamocca, mariuolo de na pizza, ed eccolo il dì dopo scritturato al teatro famoso, in cui mostra subito le sue doti chiarissime a fianco di celebri artisti quali Petito e De Angelis.
Abbandonati allora gli studj sì di medicina, sì legali, Gaetano, padrone omai di sè, vinto dal fascino che avevan sempre esercitato su di lui le glorie teatrali del padre, si fece comico, esordendo con Luigi Domeniconi al Teatro Rossini di Livorno, e mostrando subito le più chiare attitudini alla scena, le quali poi sviluppò con gran successo al fianco di Gustavo Modena, che gli fu capocomico e maestro affezionato. […] Sin dall’infanzia gli amici di Luigi solevano dire che suo figlio sarebbe divenuto o un grande ingegno, o un grande zuccone : frase ch'egli andava poi spesso ripetendo, ma pare che da giovine Gaetano desse molto filo da torcere al povero padre che non sapeva come porre un rimedio alle scelleratezze di lui (vedi al nome di Luigi la lettera autografa), nelle quali forse era il germe dell’esquilibrio mentale.
Ma già viene il Signor Lampillas colla mano armata di acute folgori, cioè de’ passi di alquanti eruditissimi Italiani, i quali, a suo credere, riprendono ancora il canto nell’Opera. […] Egli è uno de’ più saggi Critici, a’ quali increscono gli abusi del Canto. […] Venne il Poeta Cicognini, e usò con frequenza le strofe di versi corti chiamate Ariette, delle quali accennai l’abuso nella mia Storia. […] Fede ne facciano non pochi Recitativi cogli stromenti obbligati, ne’ quali si ammira un bellissimo canto senza esser manifesto, assai più naturale della declamazione Francese, non che della Spagnuola. […] Bisogna adunque che l’osservatore non fermi il pensiero su gli anacronismi manifesti, i quali tacitamente conviene di tollerare, e ritragga tutto il diletto da quel cumolo di pittoriche bellezze.
Il volume ha una specie di autobiografia dei primi anni del Bruni, in cui è narrato per disteso il suo ingresso nell’arte, e in cui si discorre largamente e chiaramente di vari comici, quali Isabella Andreini, Gio. Battista Andreini, Pietro Maria Cecchini, Adriano Valerini, Orazio Nobili, Giovan Paulo Fabbri, Cintio Fidenzi (V.), al nome de’ quali si troveran riportate le parole di lui. […] Ma quel che dà importanza e valore a questi dialoghi è l’idea ch’essi ci danno del recitar d’allora ; e forse di que’tali scartafacci o soggetti, ne’quali i comici serbavan le frasi di entrata e di uscita, i pensieri amorosi, le nuove arguzie, le nuove spiritosaggini, il patrimonio insomma dell’artista che dovea recitar la commedia all’improvviso ; poichè questi dialoghi del Bruni molto probabilmente eran incastrati volta per volta nelle varie commedie improvvise, le quali, a lungo andare, avevan poi nelle repliche la parola stereotipata per modo che si poteva col solo soccorso della memoria, trascriverle distesamente, senza nè toglier, nè aggiunger sillaba. […] Se volessi raccontare le sventure nelle quali incorsi, ed i pericoli che passai in quei tre giorni e mezzo che mettessimo da Bologna a Firenze, forsi parrebbe favola, e pure è vero, poichè in Savena ci avessimo ad annegare, a Scarica l’Asino il vento mi gettò da cavallo, o giù del Mulo. […] Il Bruni fe’dunque le prime armi ne’Gelosi, sciolti i quali dopo la morte d’Isabella, entrò nella formazione de’ Confidenti.
Fu ottimo generico e buon caratterista in Compagnie di prim’ordine quali di Tommaso Salvini e di Giovanni Emanuel.
Passò a seconde nozze con una pulita giovine – dice il Bartoli – e seco visse non pochi anni, sul finir de’ quali alienossi dalla Professione, avendo ottenuta una carica onorevole.
Rinomatissimo capocomico e artista egregio per le parti d’innamorato nelle commedie scritte e improvvise. « Fu uomo di molta intraprendenza – scrive il Bartoli – ed ebbe in sua Compagnia degli abili Personaggi, a’ quali però all’ occorrenza non mancava di dar loro delle buone instruzioni intorno al mestiere. » Mortagli la moglie, abbandonò per sempre il teatro, aprendo in Venezia nel Campo di Santa Margherita una scuola per fanciulli che gli procacciò una decorosa esistenza.
Fu con Nicola Petrioli e con Alessandro Gnochis (1760) insieme alla sorella Barbara, e al cognato Gaetano Romagnoli : morti i quali, s’unì alla Compagnia della Faustina Tesi, recitandovi da Brighella.
Giacinta Pezzana Gualtieri (sposò Luigi Gualtieri, scrittore di romanzi e di drammi assai noti quali L'Innominato e La voce della coscienza, mentr' era in Compagnia Rossi e Dondini) formò con Virginia Marini e Adelaide Tessero quella gloriosa trinità, che per circa un trentennio tenne lo scettro dell’arte in Italia. […] Basti che intanto se ne citino alcuni, i quali, nella lor varietà dànno un’ idea ben chiara della morbidezza e vigorìa del suo talento : Stuarda di Schiller – Medea di Legouvé – Norma di D' Ormeville – Messalina di Cossa – Amleto di Shakspeare – Maria Antonietta di Giacometti – Suor Teresa di Camoletti – Teresa Raquin di Zola – La Signora dalle Camelie di Dumas figlio – Fernanda di Sardou – Adriana Lecouvreur di Scribe – Il Signor Alfonso di Dumas figlio – Le Gelosie di Lindoro di Goldoni – La Casa Nuova di Sardou – La Donna e lo Scettico di Ferrari – La Giorgina di Sardou – Il Casino di Campagna di Kotzebue – Antony di Dumas – La Vecchia e la Nuova Società di Feuillet – Il Codicillo dello Zio Venanzio di Ferrari – Giuditta di Giacometti…. ecc., ecc., ecc. […] A complemento delle quali parole, dirò che Giacinta Pezzana Gualtieri prestò l’opera sua sovente all’altrui beneficio.
Ma tali riflessioni che possono esser giuste nelle inondazioni de’ barbari, nelle quali tutto é orrore e distruzione, ben di rado si avverano nelle guerre apportate da’ popoli colti. […] Egli é vero che quelle voci potrebbero far sospettare alquanto, che la tragedia fosse stata tutta, come ora l’opera drammatica, dal principio fino al fine posta in musica; ma potriano con interpretazione forse più fondata aver due altri significati, in ciascun de’ quali sparisce ogn’idea di opera. […] Non parleremo qui delle rappresentazioni de’ misteri, le quali, essendosi ne’ secoli precedenti usate in Italia, furono pure in questo continuate a Roma e in altri luoghi con maggior sontuosità ed arte, e per lo più in volgare idioma142. […] In Alemagna erano a que’ tempi in assai voga i giuochi di carnevale, ne’ quali la gioventù mascherata si portava per le case, e vi recitava alcuni dialoghi convenienti alla maschera presa da ciascheduno. […] Tre nostri famosi letterati viaggiarono in Grecia a tal’uopo, Guarino da Verona, Giovanni Aurispa, e Francesco Filelfo, il secondo de’ quali, più che gli altri, ci arrecò ricchissima suppellettile di codici greci.
Entrò il ’29 nella Reale Compagnia Sarda, in cui rimase sino al suo ultimo disfacimento, scritturato per le parti di sciocco o mamo, nelle quali acquistò tanta rinomanza da poter mantenere con successo quel ruolo giovanile anche quando la canizie e la obesità ebber dileguata ogni illusione.
Datosi poi al ruolo di primo attor giovine, fu in Compagnia di Bellotti-Bon con Virginia Marini negli anni ’79-’80-’81, durante i quali s’era acquistato buon nome specialmente per la parte di Morto da Feltre nella Cecilia di Pietro Cossa ch’egli recitò di tal modo da non aver mai chi lo superasse.
In una delle quali fu conosciuta e sposata dal Fabbrichesi, con cui stette sino alla morte di lui, preclara madre nobile, e ottima caratteristica.
Il suo nome è tra quelli più ricordati de' comici del San Carlino, i quali ancora vivono (V.
Se Castilhon avesse avuta più pratica della storia letteraria, avrebbe evitato questo ed altri simili propositi, i quali per se stessi leggeri diventano poi spropositi notabili in chi presume filosofare sulle nazioni, perchè da’ falsi dati non si deducono se non false conseguenze, le quali non mai daranno risultati veri e principii sicuri. […] Piacevole è l’intrigo di questa commedia, che su di un semplice fondamento aggirandosi produce varii ridicoli colpi di teatro, i quali con tutta naturalezza apportano lo scioglimento. […] Le parole con le quali si conchiuse l’argomento che vi e apposto dopo il prologo, indicano che la rappresentazione non si faceva in Roma, ma in un’altra città. […] Tutte queste cose delle quali niuna se ne scorge nelle commedie dell’Ariosto, rendono a’ miei sguardi il gran poeta Ferrarese di gran lunga superiore al cardinal di Bibbiena nella poesia comica. […] Or quali di queste ha lette il prelodato maestro di Poetica Francese?
Terenzio imitatore e pressochè copista di Menandro, e perciò chiamato da Giulio Cesare dimidiate Menander, non si studiò tanto di piacere come Plauto al popolo quasi tutto, quanto agli Scipioni, a i Lelj, a i Furj, e ad altri nobili uomini di buon gusto, da’ quali, per quello che fin dal suo tempo si credeva, veniva ajutato a scrivere, o come è più verisimile, a ripulire le sue commedie (leggasi il prologo degli Adelfi e Donato). […] Orazio, giudiciosissimo poeta e precettore (scrive Anton Maria Salvini) rende ragione, perchè i Comici Latini non abbiano aggiunto all’ eccellenza de’ Greci, zoppicando in questa parte la commedia Latina, per usare in questo proposito la frase di Quintiliano, uomo di squisito giudicio, seguito in ciò dal Poliziano nell’erudita Selva de’ poeti, dice, che di questa infericrità n’è cagione, che i Latini non hanno amata la fatica della lima, e stati sono impazienti d’indugio, mandando fuori troppo frettolosamente i lor parti, ne’ quali più ingegno che studio si scorge. […] Ma nelle materie letterarie è sempre miglior consiglio l’attenersi al sentimento de’ giudici saggi e di buon gusto, i quali son pochi, e la cui maniera di pensare trae seco finalmente quella del pubblico. […] Bianchi) che sebbene appresso i Romani il nome di strione fu reso ancora comune agli attori delle commedie e delle tragedie, contuttociò costoro furono esenti da quella macchia d’infamia, di cui erano notati i veri strioni, i quali senz’ordine de’ magistrati, e fuora de’ Ludi sagri, facevano i loro giuochi. […] Presso i Romani chiamavansi Pantomimi coloro i quali accompagnati da’ suoni appropriati esprimevano senza parlare ed animavano co’ gesti, segni, passi, salti, movimenti, e colle attitudini non pur le figure, o i personaggi ch’essi imitavano, ma le passioni, i caratteri, e gli avvenimenti ancora.
Egli si unì dapprima con alcuni artisti, rimasti a spasso a fin d’anno, tra’quali la vedova del vecchio Fabbrichesi ; e andò a Foggia, ove la Compagnia si trattenne un intiero anno, invece dei quattro mesi pei quali era stata scritturata. […] Restò con quella impresa due anni, terminata la quale, subentrarono Pietro Monti, Adamo Alberti, e lo stesso Prepiani, coi quali rimase, sempre applaudito, fino al’51.
Sposatosi all’attrice Luigia Miani, n’ ebbe due figliuole, dalle quali fu mantenuto in Brescia sino alla sua morte che accadde nel 1825, quand’egli aveva 67 anni. […] serà questa una prova per vedere se in conseguenza di tanti ciarlatani che sonno riusciti, vi potessero ancor capir questi, quali stano tra il comico et lo ciarlatano. » Del resto al Cecchini poco premeva che il Duca accettasse la proposta dei comici.
Alle quali vivissime lodi l’incontentabile e forte Grimm contrapponeva come una stonatura sguajata parole del più acre disprezzo, non riconoscendo nella grande artista una sola delle doti dagli altri decantate. […] Nelle commedie del Marivaux, come nel Jeu de l’amour et du hasard, essa è padrona e cameriera ; in altre commedie è semplicemente cameriera, o talvolta semplice contadina ingenua, o innocente pastorella, come in Arlequin poli par l’amour, la prima commedia che Marivaux diede agl’ Italiani. » A mostrare in che concetto fosse tenuta la Balletti, basti dare uno sguardo ai vari quadri di Watteau, Lancret, Pater, ispirati dalla Commedia Italiana, nei quali la Silvia è quasi sempre una delle eroine.
Bartoli, un de' quali, di P.
Sia poi che il nobile Fiorentino Ottavio Rinuccini (il quale fu gentiluomo di Camera di Errico IV re di Francia, e non commediante, come disse ne’ suoi Giudizj il Baillet ripresone a ragione da Pietro Baile) s’inducesse per l’ esempio del Vecchi a formar del dramma e della musica un tutto inseparabile in un componimento eroico e meglio ragionato, ovvero sia che le medesime idee del Vecchi a lui ed a’ suoi dotti amici sopravvenissero, senza che essi nulla sapessero del Modanese: egli è certo che il Rinuccini, col consiglio del signor Giacomo Corsi intelligente di musica, mostrò all’Italia i primi veri melodrammi eroici nella Dafne, nell’Euridice e nell’Arianna, i quali per l’ eleganza dello stile, per la felice novità musicale e per la magnificenza dello scenico apparato, riscossero un plauso universale. […] Or perchè non dobbiamo impropriamente stendere il nome di opera fino a que’ drammi ne’ quali soltanto i cori e qualche altro squarcio si cantavano, e molto meno a quelle poesie cantate che non erano drammatiche, ma unicamente attribuire il titolo di opera a que’ componimenti scenici, ne’ quali sarebbe un delitto contro al genere, che la musica si fermasse talvolta dando luogo al nudo recitare: egli è manifesto che l’opera s’inventò nella fine del secolo XVI, e che si dee riconoscere come inventore dell’opera buffa l’autore dell’Anfiparnaso, come primo poeta dell’opera seria o eroica il Rinuccini, e Giacomo Peri come primo maestro di musica, che, secondochè ben disse sin dal 1762 l’Algarotti, con giusta ragione è da dirsi l’inventore del Recitativo. […] Ma bisognerebbe prima d’ogni altra cosa far loro intendere che cosa fosse fra gli antichi orchestra, timele, melopea, tibie uguali, disuguali, destre, sinistre, serrane, e modo Frigio, Ipofrigio, Lidio, delle quali cose è forza che non abbiano veruna idea. […] Questo è quello che non hanno glammai saputo osservare tanti critici periodici e autori di dizionarj oltramontani, i quali inveiscono contro l’opera Italiana. […] Ma se non dee cantarsi quest’immagine piena di affetti attivi, tuttochè sappiasi che i Greci animarono colla musica tutta una tragedia, ci dica il signor Sulzer, quali cose sono da cantarsi senza offendere il buon senno, non dico in teatro, ma fuori ancora?
E finalmente : Ella reciterebbe solo cinque volte alla settimana, in una sola produzione per sera in principio della serata con diritto di rifiutare quelle parti immorali sulle quali molte revisioni passano sopra, come Il Fallo, Dopo sedici anni, Dieci anni di vita di una donna, Stifelius, Clarissa Harlowe, ecc. : quelle parti insomma con le quali, per quanto sieno eseguite con dignità, è d’uopo sostenere una posizione imbarazzante verso il pubblico, e le quali il signor Righetti potrebbe far eseguire da chi meglio credesse. Rimarrebber pure escluse tutte quelle parti nelle quali fosse obbligata a vestirsi da uomo ; le beneficiate farebbe a sua scelta in principio, o fine delle Piazze, come credesse meglio pel suo interesse : dovrebbe conoscer l’elenco degli attori che componessero la Compagnia, prima di sottoscrivere il contratto ; e prima della riconferma, non dovrebber in esso farsi innovazioni, a sua insaputa. […] Ma la Ristori tenne fronte gagliardamente, e vinse, con nuovi e più forti argomenti, primo dei quali la divisione con lui, nel caso di perdita, della sua parte di utili toccata in Italia. […] E il Marchese Giuliano, di fatti, si recò a Parigi prima della Compagnia ; e di là mandò al Righetti una nota dei personaggi, che avrebber preso il palco, primi dei quali l’Imperatore e l’Imperatrice, S.
Dai diarj del Sanuto, riferiti dal Rossi nella citata prefazione alle lettere del Calmo, rileviamo come il 7 febbraio del 1527 in casa Trevisan, dopo un bellissimo banchetto fosser recitate tre bellissime commedie una delle quali dal Cimador, figlio di Zan Polo, buffone.
Fu poi, nello stesso ruolo, un anno con Eleonora Duse (da cui si tolse per non avere voluto seguirla all’estero), e tre anni con Francesco Pasta ; compiuti i quali fu scritturata prima donna assoluta da Ermete Novelli, con cui si trova tuttavia.
Francesco Augusto Bon scrisse per lei non pochi lavori, tra' quali : La donna e i romanzi, L'importuno e l’astratto, La lotteria di Vienna, Ludro e la sua gran giornata, ecc.
Ebbe dal suo matrimonio due maschi e due femmine, le quali si sposaron, la prima, per nome Angelica Caterina, nata a Parigi il 26 giugno 1692, a Pietro Paghetti, Dottore (V.), e la seconda per nome Maria Angelica, nata a Parigi il 18 agosto 1696, a Pier Francesco Biancolelli (V.), figlio del celebre Dominique, di cui serbava il nome.
Ennio con certa invida rivalità ne suor Annali volle motteggiar Nevio come poco elegante ne’ libri della prima guerra Punica, ne’ quali fece usò de versi Saturnii. […] Ma non ardirei per questo di asserire con soverchia franchezza (come seguendo Bayle fassi da alcuni i quali sogliono mirar gli oggetti da un lato solo) che in ciò il Francese superò il suo modello. […] Per tali cose la favola Pseudolo fu da Gellio chiamata festivissima ed ammirata dai moderni più sagaci interpreti, tra’ quali si distinse Federigo Taumanno. […] Questa consiste nella costanza dimostrata da due matrone in amare i loro mariti bisognosi, i quali da tre anni partirono dalla patria cercando di migliorar col commercio il proprio stato. […] Di siffatte commedie, nelle quali i buoni diventano migliori, se ne inventano ben poche da i poeti di oggidì.
Il terzo fu artista di buon nome, e autore di notissimi drammi popolari quali l’Antonietta Camicia e la Figlia del Fabbro.
Artista egregio per le parti di Pantalone, nato a Venezia da famiglia civile, si diede all’arte « con dispiacere — dice il Bartoli — del Vescovo di Parenzo suo zio materno, oggi passato a miglior vita. » Fu nelle Compagnie di Nicola Petrioli, Onofrio Paganini, e Pietro Rossi, nelle quali s’era venuto acquistando un bellissimo nome non solamente nelle parti comiche, ma anche nelle serie.
Era il '24 col fratello Luigi in Compagnia Fini, che lasciò dopo un anno per quella della Toffoloni, nella quale tanto piacque al Teatro Nuovo di Firenze come cantante, che l’impresario Feroci le offrì di abbandonar l’arte comica per la lirica, scritturandola per quattro anni ; compiuti i quali, ella passò stipendiata dal celebre Lanari per altri quattro.
Secondo che scrive il Piazza nel Teatro, egli era ancora quarant’anni dopo la sua morte nella memoria de'comici, come valentissimo arlecchino, sotto il nome di Truffaldino, e autore di scenarj, pei quali esso Piazza lo qualifica autore di commediacce.
Lasciò scritto un enorme volume di ricordi, dei quali Jarro pubblicò in appendici della gazzetta fiorentina La Nazione, poi in volume (Firenze, Bemporad, 1896) i punti più salienti ; e di lui dettò una breve memoria il noto scrittore Melchior Missirini. […] che, feritosi gravemente, cadde alienato di sensi, e quando rinvenne, si trovò nel suo letto, circondato dagli amici, tra i quali si potè contar da quel punto il grande astigiano. […] nacque ai xv maggio mdcclxviii mancò ai xxvi novembre mdcccxxxviii Fu amico de'più ragguardevoli italiani del suo tempo, fra' quali, oltre all’Alfieri, i Pindemonte, i Perticari, Pellico, Albergati, Vannetti, Caluso.
Bartoli – intorno al 1715, lasciando di sè pei meriti suoi, una rinomanza la più ricordevole ed onorata. » I quali meriti suoi non si limitarono a quei dell’attore, ma altresì dello scrittore, chè molte opere in verso e in prosa egli pubblicò non senza alcun pregio scenico e letterario di cui ecco l’elenco : Il Trionfo del merito. […] Recitava come sempre nel dialetto napoletano, e alla scena XVI del primo atto, in cui tutti i Comici fanno « un paragone della Comedia ad altra cosa » egli, dopo il discorso del primo innamorato Ottavio, e del Pantalone Girolamo, dice : Platone nel settimo della sua Repubblica, obliga i Capitani d’eserciti ad essere buoni aritmetici, però io che rappresento la parte del Capitano, sosterrò che la Comedia costa di questa scienza matematica, e che sia il uero : l’aritmetica si diuide in prattica, e speculatiua ; la Comedia e composta di numero semplice non douendo uscire da i termini assegnati da Aristotile, di ventiquattr' hore ; e di numero diuerso, partito in tre parti che sono gl’Atti, ne quali si racchiude. […] Seguendo il Callot, Maurizio Sand ci ha rappresentato il tipo in atteggiamento di danzatore e suonatore di mandolino ; ma a me pare non si debba con troppa sicurezza attenersi pel costume a coteste incomparabili figurine, nelle quali, a osservar bene, dominan solamente due tipi : del Capitano e dello Zanni ; e talvolta l’uno invade il campo dell’altro, come, a esempio, il Fracassa che ha l’abito zannesco di Pulcinella, o di Scapino, o di Frittellino (V.
Imperocché è pur lecito il dar giudizio di quelle professioni, in cui furono eccellenti Apelle, Zeusi e Protogene, anche a coloro i quali ad essi non possono in verun patto agguagliarsi: né fu interdetto agli altri artefici il dire il parer loro sopra le opere di Fidia, di Policleto e di Mirone, tuttoché ad essi di gran lunga fossero addietro.
Passò poi a’ Fiorentini di Napoli colla società di Tessari, Visetti, Prepiani, con cui stette cinque anni, terminati i quali, sdegnando il posto di prima attrice assoluta che le fu offerto da Luigi Domeniconi, si diede all’ arte del canto, riuscendo una egregia artista.
[4.2] Chiunque, in ciò che si spetta alla danza, se ne sta alle valentìe di cotesta nostra e non va col pensiero più là, ha da tenere senz’altro per fole di romanzi molte cose che pur sono fondate in sul vero: quei racconti, per esempio, che si leggono appresso gli scrittori, degli tragicissimi effetti che operò in Atene il ballo delle Eumenidi, di ciò che operava l’arte di Pilade e di Batillo, l’uno de’ quali moveva col ballo a misericordia e a terrore, l’altro a giocondità e a riso, e che a’ tempi di Augusto divisero in parti una Roma. […] L’arte della coregrafia nacque già tra loro alla fine del Cinquecento, e tra loro apparirono in questi ultimi tempi i balletti della Rosa, di Arianna, di Pigmalione e parecchi altri, i quali si avvicinano di molto all’arte di Pilade e dei più nobili antichi pantomimi.
Carlino, nella quale Michele Tomeo, con parole garbate, tirava i gonzi i quali stavano annusando i manifesti del S. […] Al proposito delle due Compagnie che recitavano alla Cantina e al Giardiniello, il Croce riferisce un brano dell’ Uditor dell’esercito (19 agosto 1740), dal quale sappiamo che quelle erano in estremo miserabili, e facevano tal vile professione solamente per vivere, non lucrandosi se non poche grane per ciascheduno il giorno, li quali, qualora li mancavano, si riducevano in una strettezza, che faceva compassione.
Condusse sempre compagnie, delle quali era egli il principale ornamento, e nelle quali fecer le prime armi artisti di grido, come il Raimondi, il Verzura e altri.
Ecco mostrato in poche parole l’artista e l’uomo ; a complemento delle quali dirò che nacque in Milano il 1824 da Eduardo, ufficiale del primo impero, che lasciò poi la milizia per darsi all’arte, esordendo nella Compagnia Romagnoli, Bon e Berlaffa, e da Antonia Musich, nobile ungherese. […] Ebbe un fratello, Odoardo, artista di qualche pregio, che si diede ai primi attori del gran repertorio, nei quali riuscì talvolta sufficientemente.
Chiamato il '54 a diriger l’Accademia de'filodrammatici di Milano, vi recitò fino al '58, tornando in arte il '59, direttore della Compagnia Cazzola-Dominici, e rifondando il '60 la Lombarda che visse quindici anni di vita gloriosa, e in cui militaron gli artisti di maggior fama, quali Pia Marchi, Luigi Monti, Guglielmo Privato, Virginia Marini, Francesco Ciotti, Giulio Rasi, Sante Pietrotti, Anna Job. […] Dalle quali si può capire a che grado di pieghevolezza egli era pervenuto collo studio, colla riflessione, coll’ arte, nonostante l’aspetto non bello, e la voce asprissima.
Per quanto, la supplica dell’Arcieri dicesse in proposito : « le quali per li loro moderati costumi e per non essere state causa di scandalo veruno abitano presentemente in città, ed hanno più volte recitato nel sudetto teatro, » l’Uditore rispondeva che « le quattro donne erano delle peggiori.
I) disse di lei : Bettini Matilde, seconda donna : potrebbe migliorare di molto e nel gesto non sempre adattato e nella maniera di pronunciare, posto che qualche sincera ed intelligente persona la persuadesse a trarre miglior partito, mediante lo studio, da quelle doti, delle quali avara non le fu natura.
Ercole di Ferrara, rispondendo con lettera del 5 febbrajo 1496 al Marchese di Mantova Francesco Gonzaga, che gli aveva domandato le commedie volgari già rappresentate a quella Corte, dice che non può favorirlo, per essersi fatte soltanto le parti de'singoli attori, le quali, recitate le commedie, non furono serbate nè messe insieme, e per essere alcuni degli attori in Francia, a Napoli, a Modena, a Reggio.
Impiegato effettivo dopo un triennio, restò ancor due anni nella nativa Chioggia, dopo i quali si trasferì a Padova per assumere a quel Monte di Pietà l’ufficio di Cassiere. […] Nelle sere di riposo della Fenice, la più alta nobiltà accorreva in folla a rifarsi il sangue dal buon Giacometto ; e tanta fu la simpatia del pubblico di Venezia ch’egli vi fece quattordici stagioni di seguito, alcuna delle quali comprendeva autunno, carnevale e quaresima, con grave danno delle maggiori compagnie sulla Piazza, quali di Mascherpa con l’Adelaide Ristori, di Robotti, e la Reale Sarda. […] Nè si limitò il Duse alla Recitazione del repertorio goldoniano ; chè in molti de’ drammi lacrimosi e degli scherzi comici del tempo, alcuni dei quali scritti a posta dallo Zanchi, dal Calderon, dalla Barluron, egli riusciva artista preclaro.
Cappella; ma fra’ Sacerdoti che vi offiziano, allorchè noi dimoravamo in Madrid, se ne trovavano alcuni che non erano uomini interi, per li quali solea piacevoleggiarsi su di essi mentovandosi degli uovi.
Cagione della morte furon due colpi di pugnale ch’ebbe, quattro dita più su del cuore, da mano sconosciuta, dai quali non si riebbe più mai compiutamente.
Entrò amorosa il ’90 con Davide Mazzanti, il ’91 con Carlo Cola, il’91-’92 con Michele Fantechi ; metà del ’92 prima attrice giovine con Angelo Pezzaglia, il ’92-’93 con Paladini e Talli, il ’93-’94 con Cesare Rossi, il ’94-’95 con Paladini Zampieri, coi quali stette due anni per passar poi, scritturata per un triennio, con la nuova Compagnia di Claudio Leigheb e Virginia Reiter, ove è ammirata come promessa gentile di un lieto avvenire artistico, per tutte quelle doti, onde natura l’adornò : leggiadria del volto, eleganza della persona, soavità della voce, svegliatezza della mente.
Il Campardon riferisce una querela, sottoscritta appunto De Frécansal, contro il capocomico Cristoforo Selle e sua moglie, i quali, a conferma di molti testimoni, tra cui un Cristiano Briot, saltatore di corda, avevano deliberato e ad essi proposto di assassinare il Fracanzani, che assalito una sera da tre sconosciuti, e riuscito a ricoverarsi a casa, n’ebbe tal febbre e vomito da metterlo molto in pensiero per la sua salute.
Fu il '61 amorosa e prima attrice giovine con Ernesto Rossi, e il '62-'63 con Amilcare Bellotti e Calloud, coi quali stette più anni al fianco di Anna Pedretti.
Ebbe figliuoli che « allevò – dice il Bartoli – con amore, ed ai quali diede un’ onesta educazione, essendo ella molto religiosa e buonissima cristiana. » Fu, come artista, egregia nel ruolo della serva, e specialmente nelle comedie all’improvviso, in cui recitava con molto spirito e molta prontezza.
Fu in più compagnie, quali di Antonio Sacco, Nicola Petrioli, Pietro Rossi, Onofrio e Francesco Paganini e Faustina Tesi, in cui trovavasi il 1781.
Fu il '66 a Napoli con la Sadowski e Majeroni, e il '68 con Zoppetti e Vitaliani, dai quali si sciolse per passare a seconde nozze col dottor Icilio Polese-Santarnecchi, direttore del giornale L'Arte Drammatica di Milano.
Occhi, fisionomia, mani, piedi, tutto parla nella sua persona. » Pare fosse qualcosa più di un semplice attore, dacchè aveva a Varsavia, per lui la moglie e il ballerino Vulcani, tre camere, fra le quali una grande per le prove.
Sia poi che il nobile fiorentino Ottavio Rinuccini (il quale fu gentiluomo di camera di Errico IV re di Francia, e non commediante, come disse ne’ suoi Giudizii il Baillet ripresone a ragione da Pietro Baile) s’inducesse per l’esempio del Vecchi a formar del dramma e della musica un tutto inseparabile in un componimento eroico e meglio ragionato, ovvero sia che le medesime idee del Vecchi a lui ed a’ suoi dotti amici sopravvenissero, senza che essi nulla sapessero del Modanese: egli è certo che il Rinuccini, col consiglio del signor Giacomo Corsi intelligente di musica, mostrò all’Italia i primi veri melodrammi eroici nella Dafne, nell’Euridice e nell’Arianna, i quali per l’eleganza dello stile, per la felice novità musicale e per la magnificenza dello scenico apparato, riscossero un plauso universale. […] Or perchè non dobbiamo impropriamente stendere il nome di opera sino a que’ drammi, ne’ quali soltanto i cori e qualche altro squarcio si cantavano, e molto meno a quelle poesie cantate che non erano drammatiche, ma unicamente attribuire il titolo di Opera que’ componimenti scenici, ne’ quali sarebbe un delitto contro il genere se la musica si fermasse talvolta dando luogo al nudo recitare: egli è manifesto che l’opera s’inventò nella fine del secolo XVI, e che si dee riconoscere come inventore dell’opera buffa l’autore dell’Anfiparnaso, e come primo poeta dell’opera seria o eroica il Rinuccini, e Giacomo Peri come primo maestro di musica che, secondochè ben disse sin dal 1762 l’Algarotti, con giusta ragione è da dirsi l’inventore del Recitativo . […] Ma bisognerebbe prima di ogni altra cosa far loro intendere che cosa importasse appo gli antichi orchestra, timele, melopen, tibie uguali, disuguali, destre, sinistre, serrane, e modo Frigio, Ipofrigio, Lidio, delle quali cose è forza che essi non abbiano mai avuta veruna idea. […] Questo è quello che giammai non seppero osservare tanti critici periodici, e autori di dizionarii oltramontani, i quali inveiscono contro l’opera Italiana. […] Ma se non dee cantarsi quest’immagine piena di affetti attivi, tuttochè sappiasi che i Greci animarono colla musica tutta una tragedia, potrebbe dirci il signor Sulzer, quali cose sono da cantarsi senza offendere il buon senso, non dico in teatro, ma fuori ancora.
Questo celebre poeta tanto criticato nel suo secolo quanto lodato nel nostro, avea avuta la disgrazia di comporre alcune cattive tragedie, per le quali era talmente incorso nella disgrazia di Boeleau, che il satirico non perdeva occasione di motteggiarlo ovunque gli cadeva in acconcio. […] Quindi s’accorciarono di molto i componimenti, il numero degli atti si ridusse a tre di cinque che solevano essere, si tolsero via gli inutili prologhi, i quali facevano altrettante azioni preliminari separate dalla principale, si abbreviarono i recitativi, e si cacciarono infine delle scene le arie, ove prima si frammettevano contra ogni retto pensare. […] Invece non per tanto di questo fu introdotto il costume di finire gli atti con un’aria o con un duetto, onde si colse il doppio vantaggio e di togliere una inverosimiglianza che saltava agli occhi e di approfittarsi vieppiù delle squisitezze della musica, le quali spiccano molto più nella monodia e nel duetto che nelle partizioni d’un coro. […] Carlo Maggi e Francesco Lemene scrissero parecchi drammi ne’ quali se ben l’uno e l’altro partecipano del cattivo gusto nei vezzi soverchi, e ne’ caratteri manierati pur qualche regolarità e qualche gusto ne aggiunsero. […] Le commedie musicali eziandio, ovvero siano le opere buffe, ricevettero maggior lume dalla sua penna, tra le quali merita particolar menzione il Don Chisciotte benché i caratteri vi si dipingano con troppo languidi colori a paragone dell’immortale spagnuolo autore di quel romanzo.
Sileno vecchio si trattiene seco stesso delle giovanili sue imprese e de’ travagli che sta soffrendo in vecchiaja, per aver voluto per affetto verso Bacco seguir le tracce de’ pirati Tirreni, i quali favoriti da Giunone aveano rapito questo nume a lui caro. […] Di questa precisione e aggiustatezza abbiamo pochi esempj tra’ moderni, i quali per lo più fanno rispondere a’ personaggi quel che comanda la rima o l’armonia de’ versi. […] Vedremo appresso che gli Arabi aveano dialoghi, ne’ quali satireggiavano gl’ impostori medici, maghi ed astrologi128. […] Lasciando a parte la riferita ambizione di tanti diversi rappresentatori, ciascuno de’ quali cercò di distinguersi da se, vuolsi riflettere all’osservazione che soggiugniamo. […] La Scinnide conviene propriamente a i Satiri, i quali ne furono indi chiamati Scinnisti, e se ne crede autore Sicinnone barbaro o Cretese, benchè altri l’attribuisca a Tersippo.
Poi, sposatasi al Buccellati, lo seguì nelle varie compagnie or prima attrice giovine, or prima attrice assoluta, traendo tutto il giovamento che potè dalle sue valorose maestre, Anna Pedretti e Adelaide Tessero, la quale, con Luigi Monti, ebbe sempre parole di calda ammirazione e di schietta affezione per la gentile artista, che in pochi anni, dopo di avere esordito l’ ’86 a Torino colla parte di Bérangère nell’Odette, si trovò a interpretare in Italia e fuori, e con plauso dovunque, le più forti opere del teatro moderno, quali Francillon, Moglie ideale, Casa di bambola, Trilogia di Dorina, Rozeno e altre assai.
Nel 1831 ebbe Compagnia in società con Giovanni Falchetti, nella quale figuravan elementi assai più che mediocri, quali la Falchetti prima donna, la Buzzi madre, il Carrani primo attore, il Tessero tiranno, il Pellizza caratterista, Luigi Robotti, Cesare Fabbri, ecc. ecc.
Prese parte il 1562 alle feste fatte a Bozzolo da Vespasiano Gonzaga, nelle quali fu anche data una commedia piena di molte cose ridiculose, con scena miracolosa etc. etc. e prospettiva grande.
Passò dopo un triennio e nello stesso ruolo con Leigheb e Novelli, coi quali stette due anni.
L' '80 era nello stesso ruolo con Morelli e la Tessero, coi quali passò primo assoluto l’ '83 colla moglie (V.
Di bella persona e di bella voce, d’ingegno svegliato, e perseverante nello studio, fu attore ammiratissimo nel tragico e nel comico, nelle parti di giovine e in quelle di vecchio, nelle quali – scrive Fr.
Egli produsse ancora alcuni piacevolissimi tramezzi, tra’ quali si distinse la sua cantatrice Dirindina. […] Il grazioso Giambatista Fagiuoli compose in Firenze molte commedie in prosa ingegnose e dilettevoli, nelle quali egli stesso solea rappresentare felicemente il piacevole carattere di Crapo contadino Fiorentino. […] , dalle quali i comici Lombardi hanno colto tanto frutto che dovea guarirli da’ loro invecchiati pregiudizj; e l’Italia prende da esse nuova speranza di vedere ristabilito e condotto a perfezzione il sistema del sig Goldoni. […] La sua figura è ovale, contiene sei ordini di palchetti, nel secondo de’ quali è il palco di S. […] Nuoce intanto all’ illusione la giunta fatta dal Fuga ne’ lati della bocca della scena di alcuni palchettini, da’ quali comincia a rubarsi una parte delle voci prima di spandersi pel teatro.
A quali Rodomontate allude il Cataldo nella prefazione alla sua commedia Gli amorosi inganni, edita il 1609 a Parigi, là dove dice : T’auiso Candido Lettore, che molti mesi sono, son uenute in luce alcune rodomontate Spagnuole, non solo qui, ma quasi per tutta la Francia vendute poco accortamente da colui (perdonami Sua Signoria) che le diceua e recitaua sopra la scena, le quali hanno forse auuilite quelle che ’l vostro Cataldo vi fa leggere…… ?
., ai quali per sussistenza furono assegnate due doppie il mese. […] Altro non mi fu possibile rinvenire, specialmente per quanto potesse concernere un suo grado di parentela con Fichetto e col Dottor Baloardo, dei quali era contemporaneo.
Antonio Stacchini non ebbe, in arte, fama di buon direttore ; piuttosto di buon artista per le grandi parti di primo attore padre, e tiranno, fra le quali primeggiava sempre quella di Aristodemo di V. […] Fu accolto nelle migliori Compagnie, e moltissimi elogi gli tributarono il pubblico e la stampa per le lodevoli interpretazioni di opere di vario genere quali Kean, Conte Hermann, Edipo Re, Avvocato Veneziano, Tasso, ecc. ecc.