Il ' 56 diventò capocomico egli stesso, e continuò a esserlo fino alla fine della sua vita artistica che si chiuse il '69 ; anno in cui si recò definitivamente a Firenze (vi si era già recato nel '64 col fermo proposito di lasciar l’ arte, alla quale tornò poco di poi, sollecitato da Riccardo Castelvecchio ad assumere la direzione della sua Compagnia Dante Alighieri), affine – dice un suo biografo, Cesare Calvi – « di proseguire alcuni studj sull’arte e sul teatro che durante il suo artistico peregrinaggio non poteva condurre a fine, » ma in realtà – dice un annotatore – per darsi a non so che lucroso commercio. […] Monti, che io stesso gli sentii fare, quand’egli era fuor dell’ arte a Firenze, di cui serbo ancora il ricordo di un insieme ampolloso di esposizione. – Vittorio Cavalieri (Trieste, 1864) e Cesare Calvi (Firenze, 1872) dettarono di lui alcuni cenni biografici ; ma a quelli del Calvi non troppo, secondo il solito annotatore (Brunone Lanata) sarebbe da prestar fede, essendo essi una iperbolica apologia dell’artista e dell’uomo. […] Attore generico di molto pregio, fattosi celebre con la parte di Rodin, in cui per la interpretazione e la truccatura meravigliosa non ebbe rivali, nacque a Cassola di Bassano il 22 maggio del 1822. […] Il ' 59 si fece conduttore di una Compagnia che intitolò Alessandro Manzoni, composta di una buona accolta di artisti, fra cui la Raspini, la Chiari, la Bianchi, la Miani, Venturoli, Giardini, Sobrio, Mazzocca. […] Gli vietavano i confini del Regno Lombardo-Veneto il coraggio civile e la bella fiamma d’affetto ed intelligenza con cui egli alzava la sua voce a far più bello il grido della libertà e della indipendenza nazionali che usciva dai nostri Poeti, e che il di 8 dello scorso febbrajo metteva all’ ordine del giorno.
Non ancora spirato il secondo anno di studj, s’era nel 1833, il futuro avvocato, appassionatissimo dell’arte, in cui ebbe lezioni, dicono, dalla celebre Pellandi, e in cui fece prova eccellente nella filodrammatica della sua patria, si scritturò primo attore nella Compagnia di Marco Fiorio, di cui era prima attrice Carlotta Polvaro, vedova del brillante Angiolini, la quale egli sposò dopo alcun tempo. […] Costetti ne' Dimenticati vivi ci fa sapere che nel palazzo del Conte di Montecristo (il Pezzana ricorreva, costretto, alla risorsa della famosa quadrilogia), tutto il lusso orientale di lui consisteva in due moretti di stucco, che reggevano ciascuno un candelabro, e in un braciere di coccio dorato da cui usciva un fumo, poco voluttuoso, di mirra e di incenso, tal quale nelle chiese al momento della benedizione del Santissimo.
Figlio di un suggeritore, lo vediamo per la prima volta nel 1820 generico della Compagnia Andolfatti ; generico nel 1827 della Compagnia di Romualdo Mascherpa, di cui era primo attore Luigi Domeniconi ; servitore giocoso (sic) nel 1836 della Compagnia di Luigi Taddei ; poi caratterista e promiscuo, e capocomico in società colla Sadowski nel 1853-54. […] La famiglia Astolfi ha dato oltre alla Carolina di cui discorriamo più sotto, una Maria, la figlia, che trovavasi nel ’20 col padre in Compagnia Andolfatti, scritturata per le parti ingenue, la quale, a detta del Giornaletto ragionato teatrale di Venezia, dava già belle speranze di sè ; e varj altri artisti di poco o niun conto, di cui, sfogliando gli antichi elenchi e gli antichi diarj non ci fu dato trovar cenni di sorta.
Passò poi generico primario, amoroso e brillante, a vicenda con Nicola Della Guardia, nella Compagnia di un certo Calìa napolitano, in cui recitava anche gli amorosi nelle farse col pulcinella (non mai il pulcinella, come altri affermò) ; poi, secondo amoroso, in quella di Lambertini e Majeroni, in cui stette anche l’anno dopo come secondo brillante sotto Leopoldo Vestri. […] Entrò l’'81 primo attor giovine con Dondini-Dominici, e l’'82, ahimè, tentò il capocomicato (sfogando – come si dice in gergo – tutte le sue passionacce, fra cui quella del Figlio delle Selve di Halm), che lasciò subito l’anno di poi, per andar primo attore in Compagnia Palamidessi che (altro ahimè) si sciolse a metà d’anno. […] Fu l '85 primo attore con Verardini, e il carnovale dello stesso anno con Emanuel, con cui stette oltre un biennio, e da cui passò primo attore e direttore con Casilini per un solo anno ; dopo il quale, eccotelo un triennio primo attore con Cesare Rossi, e uno con Virginia Marini, fino al 1894 ; anno in cui si associa con Libero Pilotto, per condur finalmente compagnia da solo dopo la morte di questo ; compagnia che va innanzi trionfalmente da sette anni. […] Egli stesso era inconsapevole del raro tesoro che possedeva : se ne avvide una sera, in cui dovè ripiegar la parte lì per lì, di Cesare Amici nella Legge del Cuore di E. […] Di quel famoso monologo, per un esempio, di Lorenzaccio, in cui egli medita e determina e assapora con voluttà bestiale l’uccisione di Alessandro !
Creò, trascorso qualche anno, il Giacometto, giovialone veneziano, che egli incarnò stupendamente facendo smascellar dalle risa il pubblico, di cui egli era ormai il beniamino. […] A questa tenner dietro Gli Esposti, ovvero Sior Giacometto va con uno, torna con dò, e resta con tre, il Medico e la Morte e poche altre con cui egli finì la stagione di Carnevale fortunatissima. […] Ma quei dialoghi a sipario calato, semplicioni, bonaccioni, senza una scurrilità, in cui è tanta affettuosa corrispondenza tra pubblico e attore ! […] Ma la morte lo colse anzi tempo, e quel povero teatro, in cui il Duse aveva militato decorosamente e trionfalmente ventotto anni, sul cui frontone si leggeva : Al popolo Padovano consacrava Luigi Duse riconoscente, oggi, (perchè ?) […] Egli lasciò quattro figliuoli : Eugenio, Giorgio, Alessandro, Enrico, che furon tutti artisti drammatici, e di cui verrò ora parlando.
Mi sovviene, che rappresentandosi il mio Bellisario (in cui sosteneva egli un tal personaggio), nella scena tenera e dolente, in cui comparisce senz'occhi, con un bastone alla mano, moralizzando sulle vicende umane, diede un colpo di bastone a una guardia per far ridere l’uditorio. […] Dal '25 si passa a una lettera del '35, in cui dopo di avere accennato a un nuovo sputo di sangue avuto il '29 a Padova, racconta come la passata quaresima (1734) tornando da Roma fosse caduto con tutto il calesse in mezzo a un fiume, e avesse dovuto restar due giorni in una casa di contadini per asciugarsi, dalla quale partì a cavallo, essendo il calesse infranto, con vento e neve così terribili, che credette morirsi per via. […] Fra le produzioni, in cui più specialmente emerse, lo stesso Bartoli cita Il Vagabondo, L' Amante fra le due obbligazioni e il Don Giovanni Tenorio nel Convitato di Pietra, per le quali ogni spettatore bisognava che confessasse esser egli un comico perfetto, a cui nulla mancava per dirlo un Roscio de' suoi tempi.
Fu con Goldoni gran tempo al San Luca, ma dopo la recita della Sposa persiana (del 1755), in cui il pubblico s’interessò maggiormente al personaggio della giovane schiava che a quello della prima donna, la moglie di lui, sommamente irritato contro il pubblico e contro Goldoni, disse che gli era stata fatta un’ azione da forca, protestò col Vendramini, andò in iscandescenze, mandò in pezzi il suo orologio contro la vetrata di un paravento di cui frantumò i vetri, e piantò tutti in asso scritturandosi con la moglie per la Compagnia del Re di Polonia a Dresda. […] Tale notizia ci vien data dallo stesso Goldoni, a cui nulla aggiunge di nuovo il Bartoli. Chi erano i Gandini a cui accennano i dizionari e almanacchi teatrali di Parigi ?
Nato a Napoli in Via Santa Brigida il 13 marzo 1854 da Domenico Scarpetta, ufficiale di prima classe agli affari ecclesiastici al ministero, e da Giulia Rendina, è il principe degli attori napoletani viventi, sotto il nome di Don Felice Sciosciamocca di cui ha creato il tipo, erede dell’alta fama di Antonio Petito, a niuno secondo degli artisti sì dialettali, sì italiani per la fecondità dell’ingegno, per l’abbondanza e spontaneità della vis comica. Fanciullo, non ebbe alcun amore agli studj, ma n’ebbe uno grandissimo al teatro, ch'egli si fabbricava da sè, e in cui faceva agire i pupi con commedie da lui stesso improvvisate. […] Ma rieccolo a Napoli alla Partenope, ove recitò una sera, davanti all’impresario Luzi e all’attore Di Napoli del San Carlino, la vecchia farsa napoletana Feliciello Sciosciamocca, mariuolo de na pizza, ed eccolo il dì dopo scritturato al teatro famoso, in cui mostra subito le sue doti chiarissime a fianco di celebri artisti quali Petito e De Angelis. […] Non v'era novità comica di importanza che non facesse dopo brevissimo tempo la sua apparizione, foggiata alla napoletana, nel leggendario teatrino, in cui, di conseguenza, alle sghignazzate della popolaglia era subito succeduta la risata schietta e misurata del fiore dell’aristocrazia.
Ricorda il lettore la gran scena di Dita d’oro d’una fata, vecchia commedia di Scribe, in cui il povero Riccardo di Kerbriand, discorre con Elena del suo amore per Berta e della sua balbuzie ? E l’altra, non men forte per novità e comicità irresistibile, in cui in uno scatto violento, lasciandosi andare a parole e imprecazioni volgari, improvvisa, libero e diritto fin in fondo, una meravigliosa difesa di Elena accusata, oltraggiata da tutti ? […] Angelo Zoppetti appartenne come brillante al periodo, non so dir bene se fortunato o sciagurato, in cui i primi attori spremevan lagrime dagli occhi degli uditori, e i brillanti facevano smascellar dalle risa. […] Ebbe anche una sorella, Adelaide, moglie dell’attore Cristiani, attrice di non molta importanza, che recita ancora in compagnie veneziane, e di cui l’unica figlia Giuseppina si trova ora in Compagnia Di Lorenzo-Andò, moglie di Ferruccio Bianchini.
Fra le opere, in cui la Gherardi si palesò artista delle più pregiate, son da notarsi gl’Innamorati, le Zelinde e la Pamela di Goldoni, la Sposa senza saperlo di Genuino, la Malvina di Scribe, l’Oreste (Elettra) di Alfieri, la Zaira di Voltaire, e i Due Sergenti di Roti. Ghirlanda Giovanni, nato a Verona il 1790, fu attore di molto grido, specialmente per la forza con cui gridava tragedie e drammi da arena. […] Pochi, dinanzi al pubblico, gli si accostarono nella declamazione di Polinice, di Egisto nell’Agamennone, di Pilade nell’Oreste, e sopr’ a tutto del protagonista nel Saccente, commedia tedesca, in cui egli, di prodigiosa memoria, citava di continuo in otto o dieci lingue tramorte e vive e con corretta pronunzia, nomi e fatti di storia, di letteratura, di mitologia, di arti, di scienze, di lettere.
Intanto per chi ne volesse un saggio recheremo quì un passo della scena quarta del I atto in cui l’autore rileva i terrori notturni della Regina, calcando le tracce di Alvida nel Torrismondo del gran Torquato. […] Nella prima giornata trattasi dell’incontro di Nino con Semiramide moglie di Mennone, cui il re propone di cedergliela; egli ricusa; il re gliela toglie per forza; e Mennone s’impicca. […] Corrono altri sei anni dalla seconda alla terza giornata, in cui si tratta della dichiarazione che fa Semiramide di esser donna, della cessione dello scettro a Ninia dichiarandosene innamorata, e della morte che ne riceve. […] Compete questa osservazione ad una favola, di cui tre atti almeno sono inutili, e dove Didone, senza apparire la necessità che l’astringe a promettersi a Jarba, è posta nel caso di darsi la morte per non isposarlo? […] Si dirà perfetta una tragedia, in cui Seleuco, Carchedonio, Pirro e Ismeria, personaggi totalmente oziosi, la colmano sino alla noja di declamazioni e di racconti gratuiti e seccanti?
Dopo di essere stata seconda donna, prima attrice giovane e prima attrice, in compagnia del marito, cui tutta è legata la sua vita artistica, e con cui sempre divise ansie e dolori, privazioni e soddisfazioni, andò quest’ anno a far parte della Compagnia Vitaliani, quale seconda donna e prima dopo la scelta di lei.
Sebastian y Latre si pubblicò anche una di lui riforma del Parecido en la corte, in cui procurò di conservare le unità, ma poche volte ritenne le grazie dell’originale. […] Questo Eugenio poi non dovrebbe continuare nè a moralizzare nè a correggere Pepita promessa ad un altro a cui il padre ha già contati diecimila scudi per le gioje. […] Si conchiude l’inegualissimo matrimonio, e dopo due o tre settimane arriva l’amante e trova Isabella sposata a don Rocco suo corrispondente, in casa di cui viene ad albergare. […] Egli adula, lusinga e spoglia con grandi promesse una vedova d’Illesca a cui dà a credere che ama la di lei figlia. […] trionfato, come scrive nel Prologo del suo Teatro) ultimamente ha composta una Loa che si rappresenta nel Teatro del Principe, di cui a’ miei dì non penso di veden cosa peggiore.»
Piron di cui si è parlato fra gli scrittori tragici, forse dovrà alla Metromania, commedia ingegnosa, piacevole, spiritosa e regolare, la sua riputazione maggiore. […] Vi si dipinge un malvagio pieno di spirito di cui veggonsi nelle società culte molti originali, che sotto di un esteriore polito nascondono il cuore più nero e l’empietà più raffinata. […] Di questo genere sono le seguenti: l’Oracolo impressa nel 1740, in cui intervengono tre personaggi, cioè una Fata, Alcindoro di lei figlio e Lucinda il cui carattere è un leggiadro tessuto di vezzi: le Grazie rappresentata nel 1744 ed impressa l’anno che seguì, il cui soggetto si trasse dall’ode III di Anacreonte di amore immollato dalla pioggia, e dalla XXX dell’istesso amore annodato con una catena di fiori dalle Muse secondo Anacreonte, o dalle Grazie secondo la vaga cantata del Metastasio recitata in Vienna nel 1735: gli Uomini vivace azione drammatica allegorica rappresentata nel 1753, in cui intervengono Mercurio, Prometeo, la Follia e le Statue animate dal fuoco celeste, le quali formano alcuni pantomimi allusivi a i caratteri e alle passioni degli uomini. […] Riuscì un poco più col Regolo nel 1773, in cui imitò l’Attilio Regolo del Metastasio, e in ricompensa il censurò; al qual travaglio volendo noi mostrarci grati abbiamo fatto menzione della sua tragedia per conservarne almeno il titolo. […] Nella satira le Russe à Paris Voltaire lancia alcuni motteggi amari su tal commedia, in cui s’ introduce insipidamente Rousseau che camina come le bestie carpone mangiando dell’erbe.
Comico reputatissimo per la maschera del Dottore, fiorito nella seconda metà del secolo xvii, di cui scrive Luigi Riccoboni (op. cit. […] Battista Paghetti, che recitava la parte di Dottore, e Galeazzo Savorini che gli successe nella maschera, non potrei citarne uno che avesse compiuto un corso di studi. » Lo vediamo il 1686 nella Compagnia del Duca di Modena, di cui si è dato l’elenco al nome di Marzia Fiali.
La troviamo il '24 in Compagnia di Luigi Fini, di cui ci ha lasciato un curioso notiziario un attore della compagnia : forse Vincenzo Bellagambi (V. […] Firenze, Bemporad, 1898), il quale ci fa anche sapere che la Parrini era divisa dal marito e conviveva con Ercole Gallina, il primo attore, da cui ebbe il 3 gennaio del '26 una bambina che le morì il 7 successivo.
Vi si dipinge un Malvagio pieno di spirito, di cui veggonsi nelle società culte molti originali, che sotto di un esteriore polito nascondono un cuore il più nero e la più raffinata empietà. […] Di questo genere sono le seguenti: l’Oracolo impressa nel 1740, in cui intervengono tre personaggi, cioè una Fata, Alcindoro di lei figlio e Lucinda, il cui carattere è un tessuto leggiadro di vezzi: le Grazie rappresentata nel 1744, ed impressa nel seguente anno, il cui soggetto si trasse dall’ode III di Anacreonte di Amore immollato dalla pioggia, e dalla XXX dell’istesso. […] Boully introduce nella sua favola un muto e sordo cui l’abate pone il nome di Teodoro, di cui si dice che otto anni prima era stato da un perfido suo zio e tutore trasportato in quella gran città da Tolosa, e colà vestito di rustici panni abbandonato, con far correre voce di esser morto, onde potè usurpare col braccio della magistratura i beni appartenenti al Conte di Haraucourt. […] Egli disse di Averlo presente; e fatto con l’Abate il giro delle sbarre di Parigi, s’imbattè in quella, in cui vennero, a visitare la vettura nella quale egli sedeva con due persone che l’accompagnavano, delle quali perfettamente si ricordava. […] L’Abate ricorre al migliore avvocato di Tolosa, per cui mezzo vien confuso l’usurpatore, e costretto da più testimoni, e dal medesimo suo figlio, a cui Giulio avea salvata la vita.
Attrice rinomata, ma più rinomata capocomica, nacque a Venezia il 1760 da un impiegato alla Quarantìa Criminale, di cui non giunse il nome sino a noi. […] Scioltosi poi il Colleoni dalla Compagnia Zanerini, ne formò una per proprio conto, in cui la Marta sostenne le parti di prima donna assoluta ; e pel merito di entrambi e degli artisti tutti che la componevano, fu quella compagnia giudicata delle migliori che scorresser l’Italia. Morto dopo quattordici anni il marito in Mantova, la Marta continuò a condur compagnia, di cui fu il principale ornamento fino al 1810, nel quale anno cessò di vivere in Venezia.
Dopo alquante peripezie or con una Compagnia Stecchi, di cui la prima donna era guercia, or con la Pochini, e di nuovo col Rizzotto in Sicilia, poi coll’Arcelli in Calabria, poi soldato nell’8° granatieri, finì coll’entrare il 1872 primo attore nella Compagnia di Federigo Boldrini, diretta dalla Pezzana, colla quale fu in Ispagna e nell’America del Sud. Scioltasi la Pezzana dalla compagnia, egli continuò trionfalmente al soldo del Boldrini, facendo il giro del Brasile : ma perdutivi di febbre gialla il capocomico e la moglie signora Cappella, e il primo attor giovine Ernesto Colonnello, tornò in Italia, dove, il’ 75, fece società con Alessandro Salvini, per passare poi primo attore scritturato con la Paladini, con cui fu a Lisbona, applauditissimo. […] Stette un anno con Ermete Zacconi qual generico primario, per rifar poi compagnia che condusse ora in Egitto, ora in Grecia, ora in Turchia, e con cui gira anch’oggi applaudito ne’teatri secondarj d’Italia.
Nato a Firenze il 1° agosto del 1857, ed educato al Collegio Cicognini di Prato, cominciò a recitar tra i dilettanti nell’ Accademia Filodrammatica Fiorentina che aveva sede al Palazzo Rinuccini e contava recitanti egregi, tra cui primo per verità e spontaneità e finezza il porta-lettere Fantoni. […] Fu l’ '86 con Novelli, e l’ '87-'89 con Pietriboni, per diventar poi capocomico assieme a Paladini, colla moglie Ida Carloni (V.) prima attrice ; nel qual tempo fe'conoscere agl’ italiani i lavori del Becque, di cui primo La Parigina. […] Stette poscia con Teresa Mariani un anno, e un triennio con Di Lorenzo-Andò ; dopo il quale formò società con Irma Gramatica e Oreste Calabresi ; società che dura da quattro anni, e in cui s’andò egli acquistando la fama di direttore forte e intelligente : accresciuta oggi (1904) coll’allestimento della tragedia La figlia di Jorio di Gabriele D'Annunzio, che va scorrendo trionfalmente i teatri d’Italia.
Ma se tu prendi a paragonarle cogli originali Greci, da cui furono tratte, e ogni cosa di seguito e diligentemente tra lor confronti, cominciano le Latine pur troppo a cader di pregio e a svanire al paragone, così sono esse oscurate dalle commedie Greche cui in vano cercano di emulare“. […] Ma lo svantaggio de’ Comici Latini a fronte de’ Greci deesi più che ad altro attribuire al poco onore, in cui dagli antichi bellicosi Romani per lungo tempo (secondochè ci attesta Cicerone Quæst. […] Ma nelle materie letterarie è sempre miglior consiglio l’attenersi al sentimento de’ giudici saggi e di buon gusto, i quali son pochi, e la cui maniera di pensare trae seco finalmente quella del pubblico. […] Ritrovandomi io un giorno in un luogo, in cui erano parecchi giovani alterosi di quella solita superficiale tintura di lettere, che basta in Francia a farsi ammirare dall’immensa turba degl’ infarinati, gl’ intesi discorrer sul merito degli antichi e moderni comici. […] Lo stile in cui si scrivevano questi Mimi, si accostava al nostro Bernesco, secondochè pretende il dotto Ab.
Lasciò varie opere manoscritte, fra cui la Medea in Corinto, una parodia dell’Amleto con le maschere, e Una le paga tutte, commedia di carattere di cui ha copia la Biblioteca comunale di Verona.
Entrò il ’35 assieme alla famiglia nella Compagnia di Romualdo Mascherpa in cui stette sino al ’45, per poi scritturarsi in quella Reale Sarda che abbandonò il ’53 per passare dalla parte di attore pagato a quella di capocomico ; e formò una compagnia di cui fu splendido ornamento Clementina Cazzola, (alla quale successer poi e la Pezzana e la Pedretti e Tommaso Salvini), e in cui egli assunse per la prima volta il ruolo di caratterista e promiscuo, cedendo quel di brillante al fratello Achille. […] Nel Michele Perrin, Dondini superò il Buffet : e gli fu facile ; poichè la figura del Dondini pareva tagliata a bella posta per rappresentare quel bonaccione di prete di campagna, vero servo di Dio, cui stava più a cuore l’anima che il corpo.
Passò da quella del Rossi nella Compagnia di Onofrio Paganini, in cui progredì rapidamente, facendosi molto applaudire e come attrice e come cantante. […] Delle parti ch'ella sostenne, vanno citate più specialmente quelle di Cleri nel Disertor francese, e della protagonista nella Gabbriella di Vergy, in cui la Manzoni raggiunse il sommo dell’arte. […] E tuttavia nel vigore degli anni, al colmo della gloria, più che circondata, assediata dal favore del pubblico, abbandonò l’arte, dopo il carnovale del 1774, fermandosi in Venezia, in cui viveva floridamente ancora dell’ '81, tutta intenta all’austera educazione dei due suoi figliuoletti. […] II), il quale, accennando al fatto che la Manzoni, da lui scritturata pel Sacchi, si sciolse poi dall’impegno, vinta dalle supplicazioni e dalle lagrime de' suoi compagni e delle sue compagne, che vedeansi alla rovina, abbandonati da lei, conchiude : Ella ha abbandonata in età giovanile la comica professione in cui si distingueva dalle altre attrici, per abilità, e per educazione, pochi anni dopo l’accennato accidente, e s’è ben meritata la fortuna che la pose in istato di poter fare un tal passo, per dedicarsi, com’ella fa con tutto lo spirito, a istillare in due suoi figliuoletti, le massime più austere della virtù sociale e spirituale.
.), di cui sposò la figliuola (V. Sacco-Vitalba Angela), e recitò ammirato nelle favole di Carlo Gozzi, dalle cui Memorie inutili riferisco il brano che riguarda la parte ch' ebbe Vitalba nello scandalo Gratarol, riproducendolo al vivo in Le Droghe d’amore, dal quale si ha un chiaro cenno delle sue qualità fisiche e morali. […] Al presentarsi di quel personaggio, la parte di cui era stata appoggiata al comico Vitalba col baratto sopraddetto, m’avvidi tosto della serpe che mi s’era tenuta occulta con una malizia impenetrabile, e ch' io non averei mai potuto nè sospettare, nè immaginare. Ecco il fondamento d’un diabolico manupolio concertato, di cui non posso accusare che la comica abborribile venalità favorita ; manupolio che legato alle anteriori disseminazioni, e con un’illusione anticipatamente fissata da' passi sconsigliati del Gratarol, ha dato corpo solido a ciò che non era nemmeno un’ombra.
Sposò una giovine di Fivizzano, da cui si divise dopo un solo anno di matrimonio, e di cui verremo ora discorrendo.
Pedretti Carlo, veneziano, e perlaro, si sentì attratto alla scena per modo, che, abbandonata un bel giorno l’arte sua per quella drammatica, si scritturò in una modesta compagnia, in cui riuscì egregio Tartaglia, maschera ormai abbandonata dopo la morte di Agostino Fiorilli. Avea sposata Marianna Leonardi, giovine veronese, che seguì l’arte del marito, ottenendovi buon successo nel ruolo di madre nobile e seconda donna ; ed entrambi fecer parte sempre di compagnie primarie, tra cui quelle di Dorati e di Raftopulo.
Figlio del precedente, alla cui cortesia son dovute in gran parte le notizie de’Suoi, nacque a Vercelli il 18 settembre 1858. […] Fu con Bellotti e Marini di nuovo secondo amoroso, poi generico d’importanza nelle Compagnie Nazionale, Marini, e Garzes, morto il quale, fu scritturato dal Ferrati, cui si era associato Cesare Rossi.
Fu poi, nello stesso ruolo, un anno con Eleonora Duse (da cui si tolse per non avere voluto seguirla all’estero), e tre anni con Francesco Pasta ; compiuti i quali fu scritturata prima donna assoluta da Ermete Novelli, con cui si trova tuttavia.
La commedia recitata cotesta sera, e di cui non fu conservato che il titolo, era : La maggior gloria d’un grande è il vincer sè stesso, ossia : L’invidia alla Corte. […] Le coppie Franceschini e Bertoldi, il capo, due ciascuno ; gli altri, fra cui un nuovo venuto dottore Nicoletto Articchio una per ciascuno ; e una camera vi fu per due servitori e per la guardaroba. Quel « nuovo venuto dottore » entrò nell’epoca in cui oltre al rinforzo de’nuovi elementi scritturati dal Bertoldi, la Compagnia si accrebbe di una importante artista, la Rosa Grassi, Colombina.
Goldoni, in cui fu accolta generica giovine, e restò dodici anni, assurgendo, mercè gl’insegnamenti di Gaetana Goldoni, al grado di prima donna, dopo la scelta di lei, e di prima attrice giovine assoluta. […] Ella rivaleggiò con le maggiori artiste del suo tempo : a niuna seconda in nessun genere di parte, le superò tutte nella commedia, in cui, dice il Regli, era una potenza ; e aggiunge che : « Pamela nubile, Zelinda e Lindoro non ebbero più mai un’interpetre così fedele e così perfetta. » Ritiratasi dall’arte, andò a recitar co' filodrammatici a Vicenza, dove, a soli cinquantun’ anni trovò la più tragica fine. « Afflitta da molte sventure di famiglia, angosciata di cuore e alterata di mente, uscì di casa una mattina senza dire ove andasse, nè mai più fu veduta…. […] Iacopo Crescini le dedicò nella Galleria dé più rinomati attori drammatici italiani questo SONETTO Ti udiva, o Donna, e si pendeva attento, e mi stemprava di dolcezza tanto, de' tuoi labri amorosi al caro accento nell’arte di cui tieni il primo vanto, che ancor rapita in estasi mi sento l’alma non sazia del gradito incanto, ancor dagli occhi, se'l tuo duol rammento, involontario mi discorre il pianto.
La mente del greco scrittore appare anco dall’esempio di Tieste, cui mette insieme con Edippo. […] Io non saprei almeno ben difenderne alcune, in cui s’attribuiscono a persone ideali quegli avvenimenti straordinari per cui si son resi celebri fino a’ nostri giorni gli uomini più sepolti nelle tenebre dell’antichità. […] Peccano ancora molte digressioni per la ristrettezza del tempo a cui si riducono. […] Certo l’azione di Coreso che si scuopre nel terzo è distinta dalla prima da cui essa deriva. […] Finalmente sopra tutto è lodevole la dottrina con cui tratta dello stile convenevole alla tragedia.
Sposò nel carnovale del 1806 a Lugo la lughese Giuseppina Stanghellini, sarta, da cui ebbe i due figliuoli Gaetano ed Angelo, prima di darsi al teatro. […] Acquistatasi fama di egregio artista per le parti di primo uomo, fu in tal ruolo e per un triennio scritturato da Luigi Vestri ; ma impinguatosi alquanto coll’ avanzar degli anni, quel ruolo abbandonò per abbracciar l’altro di caratterista e promiscuo, con cui fu scritturato da Solmi e Pisenti, e in cui riuscì ottimo, avendo saputo togliere tutto il buono che potè da Francesco Taddei e Luigi Vestri, e adattarlo a’suoi mezzi. […] In fine di un cenno necrologico, dettato dal collega Giovan Maria Borghi (V.), è la seguente nota manoscritta del figliuolo Angelo : È qui dimenticato il più bell’ elogio di mio padre come uomo. — Iddio, a cui ricorse in pensiero senz’ira, gli concesse alcune ore di mente serena, prima della sua agonia. […] Un raggio dell’implorato vostro patrocinio mi conforti nel dolore da cui sono amareggiato per la perdita d’un vecchio, leale amico, d’un caratterista intelligente, studioso, fortunato imitatore del vero………… ………………………. […] Della intelligenza e dello studio di Luigi Gattinelli fanno fede alcune sue lettere, in cui si discorre largamente di commedie originali e tradotte, del ’28 da Firenze ad Antonio Benci, in Livorno, autore della Bottega del libraio, del Salvator Rosa, e di altro, e del ’44 da Trieste al figliuolo Angelo in Vicenza.
S’unì poi in società collo stesso Verniano e con Luigi Domeniconi, col quale restò fino al 1850 colla moglie Fanny ; anno in cui, lasciate per sempre le scene, si restituì alla natìa Cortona, ove morì il 16 agosto del 1883. – Fu Gaetano Coltellini artista valentissimo, specialmente per la recitazione dell’Odio ereditario, della Figlia dell’avaro, del Curioso accidente, del Far male per far bene, e di tante altre commedie di cui è parte principale il caratterista.
Passò il '32 prima donna giovine con Romualdo Mascherpa, tornando poi subito servetta in Compagnia di Luigia Petrelli in cui stette sei anni dal '33 al '38, e in cui sposò l’attore Paladini, col quale si fece poi capocomica, dovunque ammiratissima.
Moglie del precedente, nata Trabalza a Roma il 1836, apparve sulle pubbliche scene come una meteora, dopo di avere appartenuto, acclamatissima, alle più chiare e signorili filodrammatiche della città, fra cui quella presieduta dal Duca Grazioli, nella quale si meritò l’onore dell’effigie, e busti e poesie. In arte non recitò che un anno, dopo il quale, benchè favorevolmente accolta, si restituì a Roma, abbandonata dal marito, dove continuò a recitare in Società private, alternando le sceniche rappresentazioni con declamazioni dantesche a cui dedicò studi speciali, e dov'è anche oggi, maestra di recitazione.
Assai più notabile fu una scena, in cui Mere-Sotte manifesta i suoi disegni di voler comandare nel temporale e nello spirituale. […] Allora regnava in Roma Giulio II, la cui ambizione volle pungersi. […] Vero è che il parlamento consentì alle istanze de’ medesimi Confratelli che vollero comprar le ruine del palazzo del duca di Borgogna per fabbricarvi un altro teatro; ma nel decreto stesso del 1548, con cui si permisero le loro rappresentazioni nel nuovo teatro, si prescrisse che esser dovessero puramente profane, e che non mai più vi si mescolassero le sacre cose. […] È costui un abate che unisce in matrimonio certo Guglielmo di picciola levatura ad una giovane da lui stesso amata, cui dà il nome di sua cugina, e finalmente gli scopre il secreto: J’aime ta femme, et avec elle Je me couche le plus souvent; Or je veux que doresnavant J’y puisse sans souci coucher; alla qual cosa il buon Guglielmo risponde: Je ne vous y veux empecher. […] Separatisi poi da questa Compagnia de’ Gelosi alcuni attori, presero il nome di Confidenti, e vi recitarono varie favole italiane, e tra queste la Fiammella pastorale, in cui si adoprò il mescolamento de’ dialetti veneziano, bolognese, bergamasco ecc., il cui autore fu Bartolommeo de Rossi veronesea.
L’Italia ne’ primi lustri del secolo rappresentava Sofonisba e Rosmunda, ed in Parigi nel carnevale del 1511 sotto Luigi XII si vedeva sulle scene il Giuoco del Principe degli Sciocchi e della Madre Sciocca 1, componimento di Pietro Gringore detto Vaudemont, in cui con amaro sale si motteggiavano i monaci e i prelati, e la corte papale rappresentata allegoricamente da un personaggio chiamato la Mére-Sotte. […] Assai più notabile fu una scena, in cui Mére-Sotte manifesta i suoi disegni di voler comandare nel temporale e nello spirituale. […] Allora regnava in Roma Giulio II, la cui ambizione volle pungersi. […] Vero è che il Parlamento consentì alle istanze de’ medesimi Confratelli che vollero comprar le ruine del palazzo del Duca di Borgogna per fabbricarvi un altro teatro; ma nel decreto stesso del 1548, con cui si permisero le loro rappresentazioni nel nuovo teatro, si prescrisse ch’esser dovessero puramente profane, e che mai più non vi si mescolassero le sacre cose. […] Separatisi poi da questa compagnia de’ Gelosi alcuni attori, presero il nome di Confidenti, e vi recitarono varie favole italiane, e tra queste la Fiammella pastorale, in cui si adoperò il mescolamento di dialetti Veneziano, Bolognese, Bergamasco ecc, il cui autore fu Bartolommeo de’ Rossi Veronese10.
Delo presenta a’ nostri giorni ancora nel pendio di una collina a cui si appoggia, e intorno a trecento passi lontano dal mare, che riguarda la punta del gran Rematiari, qualche reliquia di un bel teatro di marmo, il cui diametro preso con tutta la profondità degli scaglioni, è di 250 piedi, e la periferia di 500b. Oggi pure si osserva in Samo lo spazio che occupava il suo teatro, i cui marmi si trasportarono per edificarne Coraa. […] Sparta medesima, l’austera Sparta, ebbe un teatro assai magnifico, della cui bellezza favellano Pausania e Plutarco nella Vita di Agesilao. […] L’attore Cefisonte che recitava nelle di lui tragedie, era rispettato in Atene e sommamente caro allo stesso tragico, nei cui drammi correva romore di avere anche lavorato alcun poco come scrittore. […] Secondarono così la naturale espansione del suono, il quale, non come l’acqua percossa forma de’ circoli concentrici in una superficie piana, ma bensì gli forma nel mezzo dell’aria in tutti i sensi come in una superficie di una sfera, il cui centro è il corpo sonoro.
Fu in compagnie di poco o niun conto sino all’ ’84, in cui fu scritturato secondo brillante con Emanuel, col quale stette sino all’ ’86, per passar poi altri due anni con Maggi. […] Egli fu ed è noto più specialmente nelle parti di mammo e nelle così dette macchiette, in cui appare le più volte di una comicità irresistibile.
Esordì in non so qual compagnia come amoroso, per diventar poi nel ’56 il primo attor giovine di quella dei fratelli Bosio, diretta da Francesco Chiari, di cui era prima attrice la Giuseppina Biagini : e leggo ne’ giornali del tempo ch’ egli si faceva molto applaudire, specialmente nel mulatto della Suonatrice d’arpa. […] Moltiplicatesi le compagnie congeneri, e non trovando più il Bergonzoni in Italia quei vantaggi che avea ragione di ripromettersi, risolse di recarsi nell’America meridionale, ove le sorti furono assai prospere ; per modo che nell’ 89 tornò in Italia all’intento di rifare, migliorandola in ogni sua parte, la compagnia, in cui scritturò tutto il buono che già componeva quella del Tomba, col quale doveva poi tornare in America. Ma colpito da febbri malariche, morì in quell’anno a Bologna, proprio il giorno, in cui la compagnia da lui organizzata salpava pel nuovo mondo.
Bartoli lo dice « Uomo di molto ingegno, che non solo in Teatro, ma al Tavolino ancora mostrar sapeva uno spiritoso talento. » Non ebbe alcuno mai in società, e cumulò denari quanti volle : ma proprio al momento, in cui credè la sua sorte assicurata per sempre cominciò a esser da essa perseguitato, e con siffatta costanza, che in capo a pochi anni fu ridotto in miseria. Aveva sposato la vedova Brigida Sgarri, da cui ebbe una femmina, monaca a Fano, e un maschio, Giovanni, marito della famosa Regina Cicuzzi (V.). […] Metto qui la patente accordatagli dal Duca di Modena, che tolgo da quell’Archivio di Stato, a testimonianza de' suoi meriti, e del conto in cui egli era tenuto : Antonio Marchesini dichiarato attuale Servitore di Sua Altezza Ser.
Non andò lungo tempo ch' egli al fianco di Pia Marchi, fu proclamato il più grande de'nostri amorosi : chè se, forse, a lui mancarono gli slanci potenti della passione, di cui tanto ricco era il Lavaggi, nessuno mai potè agguagliarlo nè accostarglisi per la delicatezza del sentimento, la soavità della dizione, l’aristocrazia de'modi. […] Ferrari, in cui si mostrò fino agli ultimi anni protagonista insuperato. […] Si unì poi in società col Meneghino Preda ; poi, abbandonato questi le scene, si fece capocomico solo, conducendo una compagnia, non primaria, ma che salì in grande rinomanza, per l’armonia artistica, l’allestimento scenico, la cura minuziosa con cui eran presentati certi drammi popolari, fra i quali Il gobbo misterioso, che procacciò al Monti guadagni non isperati.
Bartoli — d’una figura assai gentile, di sembianze geniali, e gli occhi suoi sono due vivi specchi in cui sulla scena conosconsi chiaramente gli affetti interni dell’animo, spiegando con essi valorosamente a meraviglia e il duolo e il gaudio e l’amore e lo sdegno. […] Pisano, fu attore assai reputato nei primi del secolo, per le parti della tragedia alfieriana, tra cui va particolarmente citata quella del Filippo, nella quale fu ottimo. […] Ebbe il '25 compagnia in società con Filippo Zinelli, padre nobile, la di cui moglie Sofia Eloisa n’ era la prima attrice, e certo Pietro Simoni il primo attore.
Bartoli a Verona, e lo Jal forse a Firenze), cominciò coll’essere nelle Compagnie italiane primo amoroso, e tale lo ritrova Carlo Goldoni a Feltre, attore e direttore della Compagnia, di cui faceva parte Florindo de' Maccheroni. […] Scrisse molte commedie pel teatro italiano, fra cui alcune diventate di moda, come Coraline magicienne in 5 atti, Le Prince de Salerne in 5 atti, Les folies de Coraline in 5 atti, Les Deux sœurs rivales in 5 atti, etc., etc…. […] Bartoli – che accrebbe, andando in Francia, le di lui fortune, senza pagare – aggiunge il Loehner – i suoi debiti di Venezia, ebbe dal suo matrimonio con Lucia Pierina Sperotti cinque figliuoli, di cui tre, Pier Antonio, Cammilla e Anna seguiron l’arte del padre ; e morì a Parigi il 26 gennajo 1762 Officier du Roy et bourgeois de Paris, sostituito alla Comedia nel suo ruolo di Pantalone già dal 1760 da Antonio Matteucci detto Collalto (V.).
Fu coi parenti nella Compagnia Sacco, e recatasi poi con essa a Lisbona assieme ai fratelli e ad altri fanciulli, recitò con gran maestria le parti di prima attrice, protetta e remunerata da quei Sovrani sino al dì del famoso terremoto del 1755, in cui fu costretta a tornarsene con la Compagnia in Italia. Progredendo in età, in perizia, in bellezza, potè assumere il ruolo di prima attrice assoluta, in cui fu acclamata a Venezia e altrove come una delle più chiareartiste del suo tempo.
Tornato in quella Diligenti, di cui era parte Tommaso Salvini, vi assunse il ruolo di caratterista, nel quale fu con Serafini e Buzzi, con Angeloni e con Tina di Lorenzo e Paladini. La quaresima del 1892, fu nominato Direttore scenotecnico dell’Accademia filodrommatica italiana al Teatro Nazionale di Genova, in cui trovasi tuttavia.
Erano dunque già comuni in Italia i divertimenti teatrali nel 1300, cioé prima del 1304 quando nella Toscana, e propriamente nel borgo San Priano si fece la rappresentazione sacra teatrale, di cui parlano Giovanni Villani e l’Ammirato nelle loro storie, il Vasari nella vita di Buffalmacco, il Cionacci nelle osservazioni sopra le rime sacre di Lorenzo de’ Medici, e ’l Crescimbeni nella storia della poesia, il quale però stimola d’argomento profano124. […] Troviamo ancora nell’opere del Petrarca fatta onorata menzione di un celebre attore de’ suoi giorni, sommante erudito, nominato Tommaso Bambasio da Ferrara, della cui amistà si gloriava questo principe de’ nostri lirici, come il principe degli oratori latini di quella di Roscio, a cui lo comparava per la dottrina e per l’eccellenza nel rappresentare127. […] Parmi nondimeno, che questo dottissimo uomo non sempre abbia ragione quando é portato a credere, che le rappresentazioni de’ sacri misteri ed altre pie farse, fatte nel XIII e XIV secolo, fossero state quasi tutte mute, cioé che in quelle gli attori si componessero negli atteggiamenti propri de’ personaggi, cui rappresentavano, ma non venissero tra loro a dialogo. […] Finalmente Giovanni Manzini dalla Motta, natio di Lunigiana, di cui l’abate Lazzeri (Miscell.
Alle rappresentazioni del Riccardo D’ Arlington, il pubblico accorreva al solo terzo atto, in cui ella aveva la maggior parte. […] » E la esclamazione calda e spontanea mi dichiarò poi enumerando col maggior entusiasmo tutte le affettuose cure morali e materiali di cui egli soleva senza tregua colmarla. […] A titolo di curiosità, metto qui l’invito al pubblico modenese per la sera di martedì 25 aprile 1843, in cui ebbe luogo la beneficiata della illustre artista. Se il solo merito dovesse essere premiato, l’umile e rispettosa Attrice conoscendosi spoglia di questo, non potrebbe sperare di ottenere i favori di un Pubblico tanto intelligente ; ma incoraggiata dai molteplici tratti di cortesia, con cui si vede seralmente onorata, essa osa invitare questa rispettabile Popolazione, ed inclita Guarnigione alla sua Beneficiata, che avrà luogo in detta sera. […] Questo capo lavoro venne rappresentato per 20 sere in Parigi per la prima volta l’anno scorso, e venne bene accolto nei principali Teatri di Torino, Milano e Roma ; il cui titolo è MARCELLINO GIOVINE TAPPEZZIERE personaggi attori Marcellino Sigg.
.), di cui non potè sì facilmente cancellar la memoria, a cagione, in ispecie, della voce aspra e nasale. […] Egli allora non fingeva più ; ma per uno sforzo di fantasia, di cui solo conosceva il segreto, s’immedesimava, si trasfigurava nel personaggio, che aveva preso a ritrarre, illudeva in somma sè stesso prima d’illudere gli altri ; e quindi, piangendo, tremando, rallegrandosi davvero, senza obliar mai quel bello ideale, che la mano stessa del Bello eterno gli aveva stampato nell’anima, costringeva gli spettatori a piangere, a tremare, ad allegrarsi con lui. – Era tanta la potenza del Monti nel trasfondere, dirò così, in sè stesso il soggetto da lui rappresentato, che spessissime volte, calato il sipario, egli rimaneva come stupito e fuori di sè, e visibile era il suo sforzo per passar da quella esistenza creatasi con la fantasia, nell’esistenza sua propria. A queste parole vanno unite alcune sestine pur del Cuciniello, di cui riferisco le due ultime : Addio, bell’alma, addio, prodigio, a cui Volle il ciel rivelare e donar tutto Quell’ incanto e quell’ arte, che in altrui Sol di vigilie e di sudor son frutto ; Dono fatal però, che consumava Come fiamma quel petto, che animava : La farfalla così, l’ala agitando, Spezza l’invoglio, in cui prigion giacea ; Così affilato adamantino brando Logora la guaina, che il chiudea ; E la perla, che al genio s’assomiglia, Rode così la povera conchiglia.
Lo troviamo poi nella Compagnia di Pedrolino, Giovanni Pelesini, dalla quale, com’egli scrive a un famigliare del Duca da Cremona, il 4 dicembre '95, si partì per mali trattamenti e più per insofferenza di giogo, passando in quella de'Desiosi o della Diana, in cui lo troviamo ancora l’anno successivo a Mantova e a Bologna, il '97 a Piacenza, onde scrive gajamente a Ferdinando de'Medici, chiamandolo nell’ intestatura misericordioso tutore, e nella sopra- scritta « suo come fratello minore Messer Ferdinando Medici, ma non de quei che toccano il polso », e il '99 a Verona, anno appunto, in cui, con decreto del 29 aprile, fu fatto dal Duca Vincenzo soprastante ai Comici mercenarj, ciarlatani, ecc., di Mantova e distretto ; carica che gli suscitò contro l’invidia de' malevoli, com’ egli ebbe a dolersi col Duca in una lettera del 7 di agosto, riferita intera dal D'Ancona. Enrico IV, entrato il maggio 1599 in trattative di matrimonio colla principessa di Toscana, Maria de' Medici, e divenuto ufficialmente suo promesso sposo nell’ inverno del '600, avendo stabilito di andarla ad incontrare a Marsiglia o a Lione, pensò per la fine del '99 di accaparrarsi in Francia la Compagnia del Duca di Mantova, di cui era ornamento principale il Martinelli. […] A questo tempo il Martinelli, che, avido com’ era, non lasciava nulla d’intentato pel mantenimento sollecito d’ogni promessa che gli veniva fatta, pubblicò un libro per ottenere dal Re e dalla Regina la promessa collana con medaglia d’oro, del quale il Baschet, alla cui opera magistrale più volte citata vo queste notizie attingendo, ha fatto un largo cenno, ma il quale per la sua curiosità e rarità, riporto qui per intero. […] Contro il Tesoriere dalla mezza collana, al quale accenna, s’era già scagliato Arlecchino in un poscritto di altra lettera con data di Mantova, 3 dicembre 1611, in cui lo chiama cane cornuto, e gli prepara un purgante per renderlo uomo dabbene. […] Quando il Re annunciò la sua partenza nel mezzogiorno della Francia per andarvi a raggiungere la sua armata, confermò i comici a Parigi, per trovarveli al suo ritorno ; ma Arlecchino, allegando in iscusa l’età avanzata e il bisogno di riposo, domandò umilmente congedo, il quale poi, non essendogli stato accordato, si prese da sè dopo una serie non breve di accuse e di difese di tutta la Compagnia, dinanzi a cui Messer Arlecchino non era più il conduttore, ma il tiranno.
Molti eletti ingegni dettarono poesie ed epigrafi di alta ammirazione, di cui metto un piccol saggio alla fine. […] Ma giudizi abbiamo di attori, i quali, nelle condizioni in cui furon dettati, paiono a me assai meno sospetti. […] La sera del debutto erano tutti in teatro, per cui la produzione fu molto applaudita, ma la signora Pelzet non persuase la maggioranza degli appaltati. […] Non entrate in altri gineprai con costui, il quale è troppo amico di questa genia, che egli si è affezionata a forza d’ipocrisia e da cui è contento di farsi mangiare il suo. Io ho fatto il contrario, e mio marito non ha potuto secondare i vizi dei comici e le loro abitudini, ed ecco il motivo per cui non abbiamo amici in quest’arte.
Fratello minore di Giuseppe e di Carlo (di cui non ho trovato notizie, ma già comico, e al tempo del’ Bartoli (1781) maestro di ballo in una città della Lombardia), nacque a Bologna ; e dopo di avere fatto qualche studio, si diede all’arte dell’intagliare in legno, nella quale riuscì un fine lavoratore. […] Fu infatti lo Zanarini capocomico dal 1782, cioè dall’uscita dalla Compagnia Sacco, del cui tempo il Gozzi ci ha lasciato la seguente notizia, nell’Amore assottiglia il cervello, al 1790. […] Egli non bilanciò nè la sproporzione dell’età sua con quella del personaggio, il giovane scimunito Don Berto, « nè la immagine, che il pubblico s’era formata del suo carattere, da cui attendeva soltanto un comico serio naturale, o un tragico maestoso declamatore di sentenziosa armonica gravità, nè la dissuasione del Gozzi stesso ». L'autore insistè su l’opinione che la parte del protagonista non conveniva al comico Zanarini, mostrando ogni timore sulla buona riuscita dell’opera, anche per la mancanza d’intreccio, e la lunghezza soverchia ; ma, per questo, i comici a cui premeva di fare un bel teatro, rispondevano col dargli del modesto e dell’umile affettato. […] Cessato di essere capocomico, si scritturò con Antonio Goldoni, primo attore con scelta di parti e direttore ; e con lui stette fino al '95, anno in cui passò con Luigi Perelli, col quale lo vediamo quell’ autunno al San Luca di Venezia sostenere per la prima volta le parti di padre.
C’è un altro dettaglio della recensione su cui bisogna tuttavia soffermarsi. […] Viene poi toccata la questione dei confidenti che molti, tra cui Alfieri, volevano bandire dalle scene. […] Esso esprime più particolarmente la relazione ad un termine, a cui la voce vuole e dee corrispondere. […] Essi descrivono e quasi dipingono l’oggetto di cui si parla. […] Il volto è quello in cui, come in un quadro, tutta l’anima si dipinge.
Sposò la valorosa attrice Carolina Astolfi che gli morì del ’38 a Trento a soli ventisei anni, e da cui ebbe un figliuolo : Luigi. Rimasto vedovo, continuò nell’ arte sua, specialmente in Compagnia di Pisenti e Solmi, con cui stette più anni, ammiratissimo.
L’Oreste da lui dipinto nell’Andromaca, la cui rappresentazione costò la vita al commediante Montfleury, rimane inferiore alla dipintura fattane dagli antichi. […] Dacier, fralle altre critiche fatte alle tragedie nazionali, diceva: «Noi abbiamo tragedie, la cui costituzione è sì comica, che per farne una vera commedia basterebbe cangiarne i nomi.» […] Non v’ha scena in cui non s’incontri tempesta per avversità, abisso per oppressione, fulmine per castigo, sacrificio per sofferenza ecc. […] Le più note sono quelle del celebre Dionigi Petavio, di cui s’impresse in Parigi nel 1620 il Sisara, e quattro anni dopo l’Usthazane, ovvero i Martiri Persiani con altre. […] Ma essi con noi converranno che vi si scorge principalmente un tuono continuato di fredda elegia e di galanteria, per cui spariscono i tratti importanti di libertà che tutta ingombra l’anima di Solone.
Ma essi debbono con noi convenire che vi si scorge principalmente un tuono continuato di fredda elegia e di galanteria, per cui spariscono i tratti importanti di libertà che tutta ingombra l’anima di Solone. […] Essa fu molto bene accolta in teatro, e vi rimase a cagione di varie situazioni interessanti, e singolarmente per l’atto III in cui si maneggiano con energia le contese di Pilade ed Oreste, e pel IV in cui segue la riconoscenza di Oreste ed Ifigenia. […] Scriste poi altre due commedie inedite perdute, o dall’autore stesso soppresse, cioè il Secreto della commedia da lui letta a’ suoi amici, ed il Mondo com’ é, di cui solo si conosce il titolo. […] E’ un edificio isolato che rappresenta un parallelogrammo circondato da portici, la cui facciata di 200 piedi consiste in un maestoso colonnato d’ordine corintio con peristilo, le cui colonne hanno tre piedi di diametro, e su di esso corre una balaustrata con piedistalli con figure analoghe alla destinazione del luogo. […] Havvi oltreaciò tre scalinate in anfiteatro, cioè una in fondo che guarda il teatro, e le altre due da’ due lati della sala, il cui fondo è di marmo bianco venato.
Scritta in volgare fu la rappresentazione di Gesù Cristo, a cui lavorarono il Fiorentino Giuliano Dati vescovo di S. […] Cantare dicesi pur da’ latini e da noi il recitar versi, per quella specie di canto con cui si declamano; ed ogni poeta dice de’ suoi versi, io canto. […] Nel quinto atto Orfeo vaneggiando per lo dolore risolve di non mai più innamorarsi d’ alcuna donna; ed era questo un natural sentimento nella disperazione in cui si trovava. […] In Milano il duca Ludovico Sforza fe aprire in questo secolo un magnifico teatro, di cui si parla in un epigramma di Lancino Corti61. […] Ireneo Affò, da cui mi fu in Parma cortesemente comunicato.
Avanzando negli anni, abbandonò la Compagnia, ch'era allora al Sant’ Angelo, e messa la maschera del Brighella, si andò scritturando in Compagnie di giro, ultima delle quali fu quella di Onofrio Paganini, in cui morì a Bologna nel carnevale del '78. Carlo Goldoni fa cenno, nel XIV volume dell’edizione del Pasquali, della moglie di lui, bolognese, punto inclinata al teatro per la estrema sua freddezza, e per la incorreggibile pronunzia dialettale, a cui volle affidar la parte di Graziosa nella Bancarotta, chè a cagione appunto della sua melensaggine, riuscì, egli dice, uno de' più dilettevoli personaggi della commedia.
Figlia o moglie di un Giovanni Negrini, di cui non so altro che era capocomico nel 1803. […] Ma l’arte, che su i cuor ti dà l’impero, e quei modi, con cui tratti animosa il Socco umile, ed il Coturno altero, mano incider non puole, oppur non osa.
Carlino i cartelloni delle commedie in cui aveva parte principale suo padre. […] Essi ricordano i di in cui v’eran denari molti e pochi pensieri. […] La morte di Vincenzo Cammarano fu cantata in uno scherzo poetico da Giulio Genoino che il Di Giacomo reputandolo inedito, pubblica per intero : L’invidia piena il cor di rabbia muove reclami a Giove contro il Cammarano che non era un uomo semplice ma un Demonio in forma umana (che giammai non fu possibile arte tanto singolare cui la forza dell’ Invidia non è giunta a denigrare !)
Si trovava nel 1853 in Compagnia Feoli, già sposa all’attore Ludovico Mancini ; e ad Alessandria della Paglia, in quell’anno, uditala il Righetti, la scritturò per la Compagnia Reale Sarda, pagando la penale alla Società Arnoud e Carrani con cui la Cutini era scritturata. […] Al proposito di una sua beneficiata a Torino colla Cameriera astuta di Riccardo Castelvecchio, fu pubblicato in una gazzetta locale che ad onta delle mende di cui si potrebbe appuntare, la commedia non cadrà mai ove sia eseguita ottimamente, come lo fu in questa occasione, per merito principalmente della signora Cutini-Mancini, delizia di ogni pubblico per quel brio e naturalezza onde sa improntare le parti di servetta, nella quale è veramente l’erede dell’esimia Romagnoli. […] Si pendeva intenti dal tutto di quel frullino, dinanzi a cui non si osava lasciarsi andare a una matta risata, per paura di perdere una mossa, un’occhiata, una sillaba.
La sua vita è tutta legata a quella della Diana di cui prese il nome. « Procurava – dice il Bartoli – di provvedere il teatro di nuove cose, quindi è che applicò sovente l’ingegno nell’invenzione d’alcune commedie a soggetto delle quali anch’ oggi sulla scena se ne suol far uso. » Morì in Romagna nel 1747. […] Già nelle prime scene egli aveva conquistato il suo pubblico, di cui l’ammirazione andava ognor crescendo, fino a diventare stupefazione. E tanta arte e tanta verità mise poi nel punto in cui a Nerone si affiochisce la voce, che l’Autore e gli amici che gli facevan corona su la scena, temetter per un istante che il Diligenti non potesse per afonia improvvisa continuar la rappresentazione.
Nato da civili parenti, e rimasto, giovanetto, orfano del padre, si diede alla scena, in cui sognava di diventare egregio artista sotto la maschera di Truffaldino, per la quale avea potuto ispirarsi all’arte di Felice Sacchi (Sacchetto) prima, poi di Ferdinando Colombo, in Compagnia di Pietro Rossi. […] In questo frattempo, il capocomico Pietro Rossi offrì la propria figliuola in moglie al Perelli, che andò a sposarla a Gorizia sul finir del carnovale '77, restando poi col suocero tutto il '78, e assumendo l’impresa e la direzione della Compagnia l’anno successivo, in cui il Rossi avea abbandonato l’arte. […] Firmò alla fine dell’ '81 un contratto con cui gli si accordava di poter occupare con la sua Comica Compagnia un Teatro della Dominante per dieci anni di seguito e nelle stagioni di autunno e carnovale.
Mortole il marito, rimase fuor del teatro un anno in segno di lutto, poi formò con Luigi Fossi e per un triennio, una società, in cui ella passò al ruolo di madre nobile, lasciando quello di prima attrice a Maddalena Pelzet. […] Ma il furfante non diè più segno di vita, e la povera artista col poco rimastole comprò una villetta con podere tra Roma e Frascati, la quale intestò al nome di una amica fedele, e in cui viveva con essa tranquillamente. […] Nell’album della Internari, che è nella Biblioteca Nazionale di Firenze, si trova una sua lettera a questa, in cui la ring razia di certe medaglie e reliquie mandatele….
Rossi Pietro, veneziano, nato il 1719, cominciò a poco men che trent’anni a farsi conoscere nelle parti d’Innamorato in Compagnia di Francesco Berti, con cui stette alcun tempo, e di cui tolse in moglie la cognata Maddalena. […] Sorte t’arrise ; ed oggi brami in pace finir tuoi dì sotto Destin più certo, lasciando un’arte, il di cui frutto incerto potrìa fortuna a te render fugace.
Il conte, nelle cui mani è rimasta la pistola nega che Bianca abbia tentato quell’eccesso. […] A cui? […] A cui? […] A cui? […] Intende Ottaviano la strettezza in cui vive Marianna, e risolve di andar di notte a vederla.
» Chi fosse questo Arlichino, a cui succedè nel servigio del predetto Monarca – continua il Quadrio – Ganassa, non ho potuto sapere. Il Ganassa pare fosse a Parigi sino alla morte di Carlo IX, 1574, anno in cui si recò in Ispagna con la compagnia, della quale era parte anche la maschera dell’Arlecchino, sebbene il Sand si contraddica, affermando che l’Arlecchino apparì in Francia la prima volta sotto Enrico III (I, 73) ; e raccontando poi come in un ballo di Corte sotto Carlo IX nel 1572, tutti i cortigiani vestissero il costume di una maschera italiana, e quello d’arlecchino fosse indossato dal Duca d’Anjou (Enrico III) (I, 43).
Si sposò ad un parrucchiere della città, Brangis, che da lei stimolato, abbandonò il suo negozio per darsi al teatro, in cui riuscì mediocremente, e per formare poi una Compagnia discreta, in cui potesse la moglie mostrare tutte le sue attitudini a quell’arte alla quale fu chiamata fin da giovinetta.
Duse ; salendo finalmente il '94-'95 con Pasta-Di Lorenzo al ruolo diprimo attore, che non abbandonò più ; e in cui, dopo alcuni anni di traversie in compagnie sfortunate, fu scritturato (1900) dal Novelli per la Compagnia della Casa di Goldoni. E mercè la direzione di tanto maestro e la volontà e l’intelligenza sua, egli salirà certo in maggior fama, avendo già dato prova di un prospero avvenire con le felici rappresentazioni di alcuni personaggi, tra cui primo quello del protagonista in La satira e Parini di Paolo Ferrari.
Serbo una vaga, pallida idea di quegli artisti, tranne più quà, più là, di Cesare Rossi, grandissimo nella parte di Cesare ; ma una assai chiara ne serbo di Luigi Bellotti-Bon, del quale una intera scena mi si confisse nel cervello, e colla scena l’impressione profonda che n’ebbe il pubblico : ….. la scena VIII dell’ atto I, in cui il Conte Carlo insegna al figlio Paolo il modo di salutar da cavallo una signora. […] E questa del vero blasone era una delle innumerevoli parti, in cui fu sommo davvero. […] Le prime attrici giovani saliron senza processo artistico al grado di prime attrici assolute ; i generici primari a quello di caratteristi, e via di seguito : così le salite già audaci doventaron pazze addirittura, e trascinaron l’arte a vertiginoso e rovinoso andare, di cui non si conosce nè il quando nè il dove della fine. […] Fu anche il Bellotti scrittor di commedie, tra le quali Spensicratezza e buon cuore non compiutamente bandita dal nostro teatro, in virtù dell’interesse che ne desta l’intreccio e della vena di comicità di cui abbonda. […] Finalmente, non potendo più resistere all’ inclinazione ch’egli aveva per il teatro, s’insinuò nell’ amicizia d’alcuni comici, i quali seco lo tolsero a recitare, e bravamente riuscì sostenendo con molto spirito il personaggio di Pantalone, a cui era tanto inclinato.
Balzò di punto in bianco dai silenzi del chiostro alle lusinghe della scena, in cui passò di compagnia in compagnia sostenendo parti or di paggetto, or di amorosa, or di seconda donna, sinchè il 1811 fu scritturata prima attrice dal capocomico Lorenzo Pani, sino al '14 ; nel quale anno appunto, essendo a spasso in Firenze gli artisti Antonio Belloni, Ferdinando Meraviglia, Carlo Calamai e Luigi Domeniconi, formarono con Elisabetta Marchionni una società, di cui fu prima donna assoluta la diciassettenne Carlotta, la quale esordì al piccolo teatro della Piazza Vecchia nella Pamela nubile del Goldoni. – Narra il Colomberti che la società iniziò il corso delle sue recite, non solamente senza alcun corredo di scena, ma senza fin anco il libro della commedia che fu per buona ventura trovato sur un banchetto. […] E qui fa un’analisi minuziosa e interessante dell’interpretazione, in cui la Carlotta si mostrò più che in altre artista di genio ; alla quale fa seguir quella della Mirra, che ne fu la creazione più maravigliosa, approdando alle stesse conclusioni, e terminando poi con queste parole : « la nostra Marchionni ha dei difetti : e chi non ne ha ? […] Terminati i quali la Carlotta passò (la quaresima del '23) nella Compagnia Reale Sarda, in cui portò coll’arte e co' costumi l’amore del pubblico verso di lei al grado d’idolatria, e da cui si staccò nel '39, per ridursi a vita privata, e non tornar più sulle scene, fuorchè tal volta a scopo di beneficenza. […] La madre morì d’anni 65 il dì 24 marzo 1835 ; ed ebbe sulla sua tomba questa iscrizione : Ad Elisabetta Marchionni Sanese | dalla figlia Carlotta | cui raddoppiò gli affanni nel mancar della madre | amata sopra tutte le cose umane com’era degna.
Suida mentova una Medea ed un Tereo argomenti tragici come favole di un tal Cantaro cui dà il nome di poeta comico. […] Corsero intorno a mille anni dal tempo in cui resse Minos lo scettro di Creta, alla venuta di Tespi; ed in tal periodo moltissimi poeti coltivarono in Atene la tragedia spiegando tutto il patrio veleno contro di quel re che dipinsero come ingiusto e crudele, pel tributo da lui imposto agli Ateniesi delle donzelle e de’ giovani da esporsi al Minotauro in vendetta del l’ucciso Androgeo di lui figliuoloa. […] Cherilo l’ateniese che fiorì nel l’olimpiade LXIV, avea trovata la maschera ed abolita la feccia, di cui prima tingevansi gli attoria, e Frinico accomodò quest’invenzione anche alle parti di donne. […] L’Espugnazione di Mileto, di cui parla Eliano stessoa, appartiene a un altro Frinico figliuolo di Melanta, il quale per tal tragedia fu punito dagli Ateniesi con una multa di mille dramme. […] L’Ateniese quì nominato fu poeta tragico, a cui, fra molte altre tragedie, per le quali fu varie volte coronato, se ne attribuisce una intitolata Alope.
Poi in Italia ancora scritturata, o capocomica, fino al '98, anno in cui fa parte come prima attrice tragica e prima attrice madre della Compagnia del Teatro d’Arte. […] se tutti volessimo enumerare i lavori, in cui la Pezzana esercitò il suo fascino di grande artista ci bisognerebbe scrivere un libro. […] Giacinta Pezzana – alla cui gloria è mancata quella continuità di fulgore la quale non si può ottenere senza che al valore immenso sia accoppiata l’ agilità degli espedienti che mantiene viva la comunione col pubblico irrequieto e variabile – resta, comunque, nella drammatica italiana un sole inoffuscato. […] Eleonora Duse, ricordando le sue primissime armi fatte accanto a Giacinta Pezzana – l’ unica attrice da cui traesse qualche alimento la meravigliosa genialità dusiana, – mi raccontava come in una scena dolorosa d’ un dramma del quale le sfuggiva il titolo, Giacinta Pezzana, una sera, all’ improvviso, prendesse a ripetere una parola camminando concitatamente e mettendo in ogni ripetizione un suono di voce strano, intenso, irresistibile. […] Un chiaro e gentile esempio di gratitudine ci diede colla pubblicazione di un libricciuolo in memoria di Carolina Malfatti, di cui fu la principale allieva, non solo per attitudine di arte, ma per affezione e devozione profonde alla modesta maestra.
, il giovedì 25 settembre 1572, a cui fu posto il nome di Massimiliano. […] Ed ebbe un figlio che recitasse : quello che vediamo il 1659 con una compagnia a Vienna, in cui era il famoso Dominique ? […] Tutte domande a cui non si potrebbe, credo, con sicurezza rispondere. […] Andò al Vescovado, allora, chiese il registro su cui era iscritta la partita e ne stracciò la pagina. […] Il colore di tutto il vestito era bianco, di tela greggia ; come si rileva da una delle tante fantasie tabarinesche, in cui gli si rimprovera di aver voluto rubare la tela per vestirsi all’ala di un mulino a vento del sobborgo di Sant’Antonio.
Appartenente a famiglia aristocratica napoletana, al tempo della dominazione borbonica, dovè per vicende politiche abbracciar l’arte comica in cui visse onoratamente. […] I tre superstiti. sono : Amelia, egregia attrice al principio della sua vita artistica in compagnie napoletane, e di Napoli più specialmente, poi bella e brava seconda donna in Compagnie nostre di maggior conto, quali di Marchi-Ciotti-Lavaggi, di Tommaso Salvini, di Sterni, di Alessandro Salvini, ecc., sposatasi a Corrado Di Lorenzo, n’ ebbe tre figliuoli, di cui seconda la Tina (V.) che ha saputo coll’ arte, accoppiata alla leggiadria, salire in gran rinomanza ; Adolfo, egregio artista per le parti di primo attor giovine e di primo attore, appartenne sempre a compagnie di buon nome, e sposò l’attrice Pia Pezzini ; Pia, si ritirò per malattia dall’ arte, e si recò in Roma col marito Icilio Brunetti (V.).
Entrambi lasciaron la Compagnia Andolfati subito dopo la stagion di quaresima, stabilito avendo piuttosto – scrive il Giornale de’ teatri pel 1820 – di vivere in seno della loro patria, che avventurarsi a nuove disastrose vicende, cui andò soggetta la compagnia stessa nella scorsa quaresima, e che ora partì per Trieste. […] Ma quel che tiene ancor vivo il nome suo fra gli scrittori di cose di teatro è un’opera pressochè introvabile, stampata a Milano dal Visai il 1859, e intitolata : Biblioteca drammatica italiana antica e moderna, di cui possiede pochi volumi, non so se tutto il pubblicato, la Braidense di Milano.
Il ’47 si recò a Siena a far la quaresima, nella stessa compagnia e collo stesso ruolo, al fianco della Ristori, prima attrice, e di Tommaso Salvini, amoroso ; il quale mi raccontò com’ella fosse veramente grande nelle amorosine goldoniane in genere ; e grandissima poi nella Contessa d’ Altenberg, in quella scena famosa in cui le sorge il dubbio che la madre le sia rivale, e per cui Salvini, spettatore tra le quinte, si commoveva alle lagrime.
Artista singolarissimo per le parti di brillante, che cominciò a sostenere con plauso il 1837 in Compagnia Nardelli, in cui sposò l’attrice Carolina Fabbretti (V.), e ove stette sino al’ 40. […] E all’essere non pur sopportato, ma bene accolto dal pubblico, dovè certo contribuir non poco la diligenza ch’egli metteva nello studio delle singole parti, in cui nè aggiungeva, nè toglieva mai sillaba.
Determinare con esattezza cronologica il suo stato di servizio non è certo agevol cosa, tante sono le compagnie di vario genere, in cui militò, e per tanti anni si trovò a essere conduttor di compagnie egli stesso ! […] E come il sangue non è acqua, così egli potè in breve, a motivo di una dizione purissima, che ha tuttavia serbato il primo nitore, salire ai maggiori gradi di primo attor giovine e di primo attore, diventando poi con la intelligenza non comune e la non comune gagliardia di fibra, un de'più pregiati direttori di compagnie, fra cui quella di Teresa Mariani-Zampieri, nella quale stette assai gran tempo, ammiratissimo. — Fu il 1900 in quella di Bianca Iggius, scritturandosi poi pel '901 con Clara Della Guardia, con la quale si recherà nell’ America meridionale.
Il Bartoli, al cui tempo (1781) ella fioriva, dice che « un nobile aspetto, un volto ornato di grazie, ed una rara biondissima chioma erano i pregevoli naturali suoi doni. Uno spirito lodevole, un’espressiva aggiustata, ed una sufficientissima intelligenza formavano i suoi meriti nell’arte del recitare. » Applaudita dovunque, fu più volte lodata con poesie, tra cui il Bartoli riferisce il seguente sonetto : Al merito impareggiabile della signora Elisabetta Ughi, prima donna, che nel Teatro delle Vigne si distingue nelle commedie e tragedie mirabilmente il carnovale 1781.
Verso il 1754 sposò in Venezia Lucia Rosalia, figlia di Vincenzo Cinigoto, da cui ebbe una figlia, battezzata a Santa-Marina. […] E intorno ai tre gemelli veneziani, di cui il Collalto era l’autore (Mem. […] Si hanno di lui diciassette comedie, di cui la maggior parte rappresentate con successo : tra queste i tre gemelli veneziani. Sosteneva con molta anima e con molta intelligenza il ruolo di Pantalone, ed era specialmente ammirato nelle scene appassionate, in cui l’anima sua ardente poteva mostrarsi tutta intera.
Tutt’erano d’ugual valore in quanto alla durata, né ricevevano a questo riguardo altra diversità che quella delle sillabe lunghe o brevi del linguaggio a cui s’applicavano. […] In altro luogo facendo menzione di Guglielmo Mascardio cantore di grido a’ suoi tempi, ma le cui opere e le cui opinioni sono state avvolte insiem con tanti altri depositi delle umane cognizioni nella irreparabile dimenticanza dei secoli, attribuisce a lui l’usanza di lasciar ne canto imperfette le brevi. […] Egli nella copia altre volte citata discorre alla lunga dello stato, in cui si trovava a’ suoi tempi questa principalissima parte della musica. […] Unicamente occupato nel procurar all’uomo la felicità eterna, per cui la vita temporale non è che un breve e fuggitivo passaggio, raccomanda la pratica delle virtù, che a tal fine conducono. […] Nel giorno in cui si presentava in pubblico per la prima volta, il suo elemosiniere conferiva agli ascoltanti le indulgenze a nome del padrone pronunziando in tuono grave e serioso certi versi, il cui senso era il seguente: «Da parte di Monsignor Arcivescovo che Domenedio mandi a tutti voi un malanno al fegato con un paniere colmo di perdoni, e due dita di rogna sotto il mento».
Di poi egli fece una risposta in cui perdè di vista l’oggetto vero della tragedia che è di commuovere col terrore e colla compassione. […] Un’ altra Virginia compose la signora Brooke, di cui favellò nel Giornale straniero la Place nel 1757. […] L’Andromaca di Racine fu tradotta da Philipps di cui Pope motteggiò nella Dunciade. […] È ravvisata da Hidallàn seguace di Fingal, il cui amore ella avea disprezzato. […] Una di esse è il Re ed il Mugnajo di Mansfield di cui si fe parola nel tomo precedente.
Vestri in Compagnia Nazionale, andò il Calabresi a sostituirlo con Vitaliani ; morto il Vestri, lo sostituì con la Marini, con cui restò cinque anni, e con cui si recò in compagnia di Francesco Garzes, dopo la tragica fine del quale andò socio e scritturato con Paladini e Zampieri, che abbandonerà la quaresima del ’97, scritturato pel nuovo triennio in Compagnia di Claudio Leigheb e Virginia Reiter.
Il Palamidessi non fu artista di grande levatura, ma attore castigatissimo, anche nelle bizzarrie comico-musicali, e in quella stessa farsa in cui rappresentava mirabilmente una marionetta, un cantastorie e un poeta, e che replicava sino a venti sere di fila ; e però fu sempre desideratissimo da' capocomici, tra' quali il Morelli. […] Si fece allora conduttor di compagnia, ma con niuna fortuna ; e in breve, consumato ogni suo avere, si trovò costretto a ramingar con piccole compagnie in piccole città, fino a'dì d’oggi, in cui ha la triste ventura di sollazzar la gente con qualche buffonata dalla minuscola scena di un caffè concerto.
Vengono da più periti antiquarj con particolar lode rammentati e tenuti per Etruschi, Admone cui si attribuisce l’Ercole bibace una delle più pregiate gemme Etrusche, ed Apollodoto, di cui si ammira una gemma con una testa di Minerva incisa a punta di diamante, ed un’ altra rappresentante Otriade del Museo Cortonese. […] Quindi sono esse state piuttosto credute portici, ne’ quali introducevansi le mercanzie in città dall’antico porto che ora è in secco, e di cui sussistono le ruine del molo ora chiamat omuraccio o il torrazzo dell’Ausa fiume che bagna la città dalla parte di Oriente.
A sedici anni era a Milano con Tommaso Zocchi, ingenua applauditissima ; a soli venti anni applauditissima prima attrice assoluta con Pisenti e Solmi. « Maravigliò – scrive il Regli – per la stupenda esecuzione da lei data a quelle parti, in cui più le violenti passioni campeggiano, come nel Ricco e Povero, nel Testamento d’una povera donna, nell’ Eulalia Granget, Era io » della signorina R. Wan-Duersen, ch’ella stessa volgarizzò, e in cui riportò un successo clamoroso. […] Secondo il Loehner, questo Antonio non è che il Lorenzo Bonaldi, marito di Colombina, di cui il Goldoni tenne a battesimo una figliuola (a Rimini il 16 luglio 1743). « Patrini fuere Dominus Carolus Goldoni ac Domina Angela Zanotti.
.), e del '72, poco più che ventenne, era a' Fiorentini di Napoli, amoroso, in Compagnia Alberti, di cui eran parti principali la Pezzana e l’ Aliprandi, Bozzo e Serafini. […] Giacosa, di cui fu, si può dire, interprete unico. […] Al momento in cui scrivo, egli si trova in Società con l’attore Della Guardia al Teatro Valle di Roma ove ha creato in italiano la parte di De Cyrano Bergerac con tal successo, che Adelaide Ristori ha dichiarato essere a suo avviso la interpretazione di Andrea Maggi la più bella e completa interpretazione di attore ch'ella abbia sentito dacchè ha abbandonato il teatro.
Altre ne scrisse anche in volgare Feo Belcari, di cui l’Isacco composta in ottava rima fu la prima volta recitata in Firenze nel 1449b. […] Cantare dicesi pur da’ Latini e da noi il recitar versi, per quella specie di canto con cui si declamano; ed ogni poeta dice de’ suoi versi, io canto. […] Aggiungasi che dicendo Sulpizio di aver dopo molti secoli fatta rappresentare in Roma una tragedia, ci fa retrocedere col pensiero almeno sino a’ Latini, nè possiamo altrimenti concepir la tragedia di cui fa motto, se non come quella degli antichi. […] Nel V atto Orfeo vaneggiando per lo dolore risolve di non mai più innammorarsi di donna veruna; ed era questo un sentimento naturale per la disperazione in cui si trovava. […] Ireneo Affò, da cui mi fu in Parma cortesemente comunicato nel 1779.
Delo presenta a’ nostri giorni ancora nel pendio di una collina a cui si appoggia, e intorno a trecento passi lontano dal mare, che riguarda la punta del gran Rematiari, qualche reliquia di un bel teatro di marmo, il cui diametro preso con tutta la profondità degli scaglioni è di 250 piedi e la periferia di 500154. Oggi pure si osserva in Samo lo spazio che occupava il suo teatro, i cui marmi furono trasportati per edificarne Cora155. […] Sparta medesima, l’austera Sparta, ebbe un teatro assai magnifico, della cui bellezza favellano Pausania e Plutarco nella Vita di Agesilao. […] L’attore Cefisonte che recitava nelle di lui tragedie, era rispettato in Atene, e sommamente caro allo stesso gran tragico, ne’ cui drammi correva romore di avere anche lavorato alcun poco come scrittore. […] Dietro della scena era il βροντειον, il luogo, in cui con otri ripieni di selci che si agitavano, imitavasi lo strepito de’ tuoni.
Il conte, nelle cui mani è rimasta la pistola, nega che Bianca abbia tentato quell’eccesso. […] A lui appartiene la commedia delle imprese de’ Pizarri in cui corre dalle Spagne al Perù con somma leggerezza. […] Intende Ottaviano la strettezza in cui vive Marianna, e risolve di andar di notte a vederla. […] Questo marchese è un ridicoloso vantatore pieno di una sognata nobiltà di cui pretende tirar l’origine da Noè. […] Qual differenza da queste parole a quelle della scena di Diana con Cintia in cui nasce il di lei impegno!
Fece l’ ’86 società con Adelaide Tessero ; passò l’ ’87 al Teatro Manzoni di Roma con Dominici, Rosa e Della Guardia ; fu l’ ’88 con Marazzi e Morelli, l’ ’89 con Francesco Pasta, col quale andò per la prima volta in America, e il ’90 formò con Ettore Paladini una Compagnia Sociale, di cui egli era l’amministratore, e di cui fece parte, scritturata, la Tina Di Lorenzo.
Scritturata da Gaetano Nardelli, vi si perfezionò a segno da divenir nel ’39, quand’egli smesse di condur compagnia, e già sposa da due anni dell’attore brillante Antonio Giardini, la prima attrice assoluta di una società che il marito aveva formata con Voller e Bellati, e in cui fu scritturato come poeta Paolo Giacometti. Scioltasi quella, dopo nove anni di buona fortuna, la coppia Giardini continuò da sè a condur compagnia, e sempre con crescente favore del pubblico ; ma venuta la Carolina in quella età in cui mal si addicon a un’attrice le parti di prima donna, e non volendo a niun patto scender di grado, risolse di abbandonar la scena e separarsi dal marito, per assumer il posto di direttrice nella Filodrammatica del Falcone in Genova, dove il 5 dicembre del 1877 morì di polmonite.
Figlio del precedente, nato a Roma il 17 novembre del 1825, cominciò a recitar particine a soli quattr’anni, scritturandosi a otto in Roma con certo signor Lustrini, direttor delle poste, che aveva formato una compagnia di ragazzi, figli di comici, di cui era prima attrice la dodicenne Carlotta Mander. […] Rimasto orfano del padre, si scritturò primo attore con Antonio Almirante, di cui, l’anno dopo divenne socio e sposò la sorella Giuseppina, prima attrice, che gli morì a soli trentanove anni in Cotrone di Calabria il dicembre del 1865.
Pavoni Ginevra, romana, figlia di un medico, nata, si può dire, con la passione per la scena, che fu divisa dalle sue sorelle, esordì a quattordici anni nella Compagnia di Bellotti-Bon, rivelandosi attrice di assai liete promesse con la parte di Margherita nelle Due Dame di Ferrari, di cui era protagonista Virginia Marini. […] Fu col Monti, col Maggi, col Pietriboni ; e finalmente, nel '92, volle essere prima attrice assoluta, e conduttrice di una compagnia, alla cui direzione fu preposto il Belli-Blanes.
Avendo perduta intieramente l’idea del teatro antico, e non vedendo sul moderno, se non se tragedie e commedie piene di mille assurdità, era ben naturale che s’appigliassero al melodramma, in cui trovano un ampio compenso. […] In ogni cosa, che prese a perfezionare, ha saputo imprimere lo spirito d’invenzione e la natura riflessiva e sagace, cui portavalo il proprio temperamento. […] Infatti come sarebbe possibile, anzi a che gioverebbe la perfezione delle altre parti costitutive della musica, se quella, cui tutte debbono riferirsi, e dalla quale ogniuna principalmente dipende, restasse abbandonata alla ignoranza e al pessimo gusto? […] [22] A queste due mi si permetta aggiungere una terza, di cui farò in particolar modo menzione meno pel merito del suo canto che per un altro più insigne e più rispettabile agli occhi del filosofo. […] Che se alcuno stentasse a credermi, faranno invece mia sicura testimonianza due chiarissimi autori, cui niuno potrà rimproverare di aver voluto adombrar il vero, o recar onta alle glorie della loro patria.
Trovo un’ altra imputazione a cui vo’ ancora soddisfare. […] Or chi non crederebbe che l’Apologista parlasse secondo che pensa, a quella gravità e serietà con cui afferma simil cosa? […] Ma sì, che il Signor Lampillas mette fuori le tre Lettere del Cueba, in cui si registra una filza di nomi, e si dice che furono Comici eccellenti. […] Ma dove sono mai, ripeto, questi semi dolci, preziosi, di cui si pasce solo l’Apologista tra tutti i nazionali e gli stranieri? […] Riguardo al Cervantes, di cui dite, che nel Prologo avesse smentito il discorso di Lope, io veramente non trovo in tal Prologo simil cosa.
Cinque scene compongono l’atto I, in cui deliberata la restituzione di Crisia, Agamennone comanda che si tolga Briseida ad Achille, il quale irato si allontana dal campo greco. […] Si conchiude l’atto con un’ aria, in cui Calcante profetizza che il sole irritato convertirà en temor nuestras alegrias : ma di grazia quali allegrie sono nel campo greco, di cui Achille ha descritta la mortalità onde l’ha coperto la peste ? […] La Nitteti del Cesareo poeta Romano, in cui il viluppo interessante, e le patetiche situazioni vengono arricchite da maravigliose decorazioni tutte ricavate dalla natura, su espressamente composta pel teatro ispano a richiesta del suo amico Farinelli. Ma questo spettacolo veramente reale, cui si ammettevano gli spettatori senza pagarne l’entrata, terminò colla vita della regina Barbara e di Ferdinando VI. […] Qualche concerto ed opera buffa vi si eseguì di passaggio l’anno stesso, in cui si sospesero le rappresentazioni de’ siti reali.
Morto il Garzes, diventò socia dello stesso Pasta, con cui stette sei anni ; dopo di che, ritiratosi il Pasta dalle scene, si unì in società con Flavio Andò (’97) col quale si trova tuttavia. […] E però più forte appariva la Di Lorenzo, a chi la giudicasse con mente riposata, in quelle opere in cui dominava soavità di sentimenti. […] Tra mezzo agl’inni iperbolici che si levaron d’ogni parte intorno a lei, si udì la voce di Edoardo Boutet, che la gentile artista studiò amorosamente, e notomizzò, e chiaramente e giustamente pregi e difetti mostrò al pubblico in quattro elaborati articoli pubblicati sul morto e rimpianto Carro di Tespi, di cui riferisco alcun brano (7, 14, 21, 28 settembre ’93). […] Quando il giovane artista non è costretto a strappare la sua foglia d’alloro, ma se la trova caduta sul capo, senza spiegarsi il come ed il perchè, non toccherà mai la mèta cui era destinato : l’ingegno sortito da natura nella facilità del possesso si andrà affievolendo fino al torpore. […] Allora, tra la sensazione emanante dal personaggio rappresentato, e quella puramente estetica prodotta dalla vista della interprete, esiste una compenetrazione armoniosa, e non si rompe il fascino, per cui Tina Di Lorenzo, sin dal suo primo apparire, si conquistò i pubblici di tutti i teatri di Italia, perchè cioè dava piacere a vederla.
Ma la magnificenza, la vastità, l’artificio onde è costrutto, per cui, mal grado di tante centinature, colonne isolate, agetti e risalti, parlando ancor sottovoce da una parte si sente distintamente dall’altra tutto ciò farà sempre ammirar questo teatro come uno de’ più gloriosi monumenti dell’amor del grande e della protezione delle arti che mostrarono i principi Farnesi. […] Non pertanto per la medesima vastità (per cui ha potuto un tempo servire per una specie di naumachia, come dimostrano le antlie e i sifoni, per li quali ascendeva l’acqua per inondare l’orchestra) esso non è più in uso, e solo rimane esposto alla curiosità de’ viaggiatori ed incresce il vedere che sin dal 1779 quando io lo vidi, mostrava talmente i danni del tempo e dell’abbandono che non senza qualche ritegno si montava sulla scena per osservarsi minutamente. […] Sono dunque da riferirsi a quel tempo il teatro di Urbino, in cui si ammirarono le invenzioni del Genga esaltate dal Serlio degli alberi fatti di finissima seta, prima che la prospettiva avesse insegnato in qualunque occorrenza a mostrare i rilievi a forza di ombre e di punti ben presi. […] Alterando al fine il sistema drammatico degli antichi si prese a tradurre ed imitar con furore il teatro spagnuolo, di cui si corressero alcuni difetti, si adottarono le stravaganze, e si perderono non poche bellezze. Nel Rosa, nel Bernini, nel Viviani, nell’Agli, nel Ridolfi, nel Dati si ebbero egregii attori accademici si mandò a Parigi il Fracanzano ed il Fiorillo o Scaramuccia da cui apprese Moliere, si costruì il gran teatro di Parma, e si sostituirono alle antiche scalinate i palchetti negli altri teatri di Fano, di Bologna, di Modena, di Roma, di Venezia.
Alle sue insistenti premure deve Livorno il sorgere e il fiorire del Politeama di cui fu col fratello Salvatore dirigente attivo e appassionato. […] Fu poi il primo attore della Compagnia di Giovanni Internari, figlio della celebre Carolina, e ricordo di aver sentito da lui la prima volta I nostri buoni villici di Sardou, in cui con molta perizia sosteneva il personaggio del Conte.
Colto, dopo un anno, dall’ardente febbre dell’arte, si diede alle scene, nonostante il formale divieto de’parenti, recitando di punto in bianco parti di primo attor giovine in una compagnia, in cui si trovò spesso a lottar colla fame, e da cui uscì pien di debiti e col solo abito che aveva in dosso per chiedere un rifugio alla famiglia.
Dopo una infinità di peripezie dolorose, il piccolo Alfredo riuscì a tornare nella città nativa, in cui, col soccorso di uno zio materno, si dedicò se ben disordinatamente agli studj, balzando dalle tecniche al ginnasio, dalla medicina alle lettere, e abbandonando poi scartafacci di formule e ricette e poesie per l’arte drammatica, la quale cominciò a esercitare per affettuosa devozione verso il padre capocomico, cui eran mancati di punto in bianco e suggeritore e attori ; e alla quale diede poi, avuti i primi successi, tutta l’anima sua.
Con questa data, a un dipresso, concorderebbe la Ippolita, prima donna, rimasta fin qui sconosciuta, di cui è parola nella lettera del Buffetto Cantù (V.) e del Dottore Nelli (V.) e in altra di Giovanni Parenti del 1655 da Venezia al Duca, in cui dà notizie de’teatri di Venezia, e ne promette sulla Ippolita, richiesta, pare, dal Duca, per aggregarsi a’ suoi comici.
Figlia di Giacomo Glech, attore modesto e pregiato nelle parti di padre e tiranno, e di generico primario che sostenne in compagnie principali come di Astolfi (1851), di Robotti e Vestri (’53), e della Ristori (’55), con cui stette venticinque anni. […] La Graziosa cominciò a calcar le scene da bimba, e la vediamo il’ 69 al Comunale di Modena, a fianco di Adelaide Ristori, rappresentare una parte difanciullo nella Giuditta, col babbo Oloferne, e quella di Delfino nella Maria Antonietta col babbo Luigi XVI, sotto le cui spoglie egli s’andò acquistando meritato grido di artista egregio.
Maritatasi ad Antonio Goldoni, e divenuta la prima attrice della compagnia, riempì del suo nome tutta l’Italia, sebbene avesse molto a lottar colle grandi stelle che tramontavano e le grandi sorgenti, fra cui l’Anna Fiorilli, non moglie ancora al Pellandi. La Gaetana non ebbe mai chi la superasse nella Gabbriella di Vergy, e fu grandissima nella Merope del Maffei e in quella dell’ Alfieri, di cui recitò poi col maggiore dei successi la Sofonisba, l’ Ottavia e l’Antigone.
Altre due lettere (entrambe dell’archivio Rasi) si hanno di lui : una da Venezia del 2 dicembre 1673, non sappiam bene a chi diretta, nella quale sono i ringraziamenti per l’avuta parte intera, e le assicurazioni della concordia completa della compagnia ; e l’altra da Bologna del 4 aprile 1679 appena decifrabile, nella quale domanda una lettera di raccomandazione pel Cavaliere Bartolomeo Longhi a Genova, a favore di sua moglie, comare della persona sconosciuta, a cui è indirizzata la lettera. Molto probabilmente la moglie è quella tal Marchetta, citata al nome di Girolamo Chiesa, la quale appunto, nel 1664, s’era fatta autrice d’una Compagnia, in cui s’erano impegnati il Dottor Violone e Bagolino : impegno che, a detta dello scrivente Ludovico Bevilacqua, era più atto di perfidia, e liuorc contro la signora Marzia (la Fiali) che sincero, et anteriore à quello, che haueuano con questa signora….
Dopo di aver fatto parte di molte Compagnie di giro, si fermò il 1774 con quella di Lapy al Sant’Angelo di Venezia, ove recitò La pazza per amore, sua particolar fatica, in cui oltre al rappresentar vari personaggi, cantava ariette musicali non senza grazia. Pare, a detta del Bartoli, ch'ella non fosse artisticamente grande ; ma un cotal grado di altezza raggiungesse con sufficiente valore, a cui s’univano tal prestanza della persona e leggiadria del volto, e tal gaiezza e vivacità di espressione e saettar d’occhi neri, che la reser, se non attrice perfetta, attrice, per fermo, ammiratissima ; aggiunge il Bartoli che vestita da uomo mostravasi di membra tondeggianti e formose.
Salito al grado di generico primario, si mantenne in quel posto, ammirato e acclamato, al fianco de' migliori artisti del suo tempo, e scritturato da' migliori capocomici, quali Vergnano, Bon, Mascherpa, Bazzi, Presciani, Alberti, Monti, Domeniconi, Coltellini, Dondini, Salvini, sino al 1879, anno in cui si ritirò dalle scene, poverissimo, soccorso da' suoi concittadini, e da qualche compagno d’ arte. […] Come uomo, di una onestà e di una probità veramente esemplare, per cui mai gli mancò la stretta di mano e l’ amicizia vera di quanti lo conobbero.
Dopo un triennio passò nella Compagnia di Adelaide Tessero, in cui stette cinque anni, poi in quelle di Anna Pedretti e di Alamanno Morelli. […] Al punto in cui scrivo, egli è additato come uno de' più forti sostenitori, se non il più forte dopo la Duse, della nuova tragedia d’annunziana Francesca da Rimini, nella quale incarna con molta efficacia e molta sobrietà il carattere di Gianciotto.
Cominciò a recitar giovinetto, e abbandonata la famiglia, percorse l’Italia in compagnie secondarie ora scritturato, ora socio, cominciando la sua vita artistica propriamente detta, nella Reale Compagnia Sarda, in cui apparve il 1836 in qualità di tiranno tragico e famigliare, e in cui restò fino al disciogliersi di essa.
Non si sa quando egli esordisse veramente a la Comedia italiana, in cui assunse come suo padre e suo nonno il nome di Thomassin. Si sa ch' egli recitò il caratterista a vicenda col Larouette, e talvolta l’arlecchino, specie l’ '84, nei Due gemelli bergamaschi di Florian, in cui apparve l’ultima volta il celebre Carlino (V.
Fu attore e capocomico di assai pregio, e uno de' primi a rappresentare Francesca da Rimini di Silvio Pellico, da cui s’ebbe moltissime lodi. […] « L'eroico slancio (diceva il manifesto) di quei Prodi, che versando il loro sangue mirano alla libertà e grandezza della Patria Terra, ben merita essere assecondato da ogni uomo cui batte nel petto cuore Italiano. » E protrattosi di quattro recite il corso stabilito, metà dell’introito, dedotte le spese serali, fu per tutte quattro le sere a profitto de' Siciliani.
Inimitabili sono le due scene di Bruto con Cesare, cioè la quinta dell’atto II, in cui Cesare gli palesa di essere di lui padre, e la quarta del III, in cui Bruto supplica il padre a lasciar di regnare. […] L’Olimpia in cui trovansi scene molto interessanti, venne dalla Cassandra del sig. […] Fu molto bene accolta in teatro, e vi rimase per varie situazioni interessanti, e singolarmente per l’atto III in cui si maneggia con energia la contesa di Pilade ed Oreste, e pel IV in cui segue la riconoscenza di Oreste ed Ifigenia. […] Essi attendono l’esito di una mina, di cui si parla sin dall’atto I, da scoppiare nel V. […] Bianca non è moglie ma figlia nubile di Contarini, di cui egli frequenta la casa senza verun delitto.
Il 25 dicembre 1775, fu richiamato con ordine de’primi gentiluomini della Camera alla Comedia italiana, dove, per altro, non riappare che il 18 febbraio 1777 in Arlequin esprit folet di cui egli era l’autore. […] Alle quali osservazioni il Bigottini rispose con lettera del 22 febbraio 1777, in cui pur accettando l’osservazione del giuoco della bandiera ch’egli poi soppresse, rigettava, discutendole, quelle concernenti la maschera. […] Nulla uguaglia la prontezza con cui egli cambia di costume e di maschera ; la sua perizia a questo proposito ha del prodigioso ; ma è tal pregio che finisce collo stancare….
Samuele, ove il poeta fu ospitato per più d’un anno, pare la stessa, in cui troviamo il capocomico nel catastico del 1740, a pochi passi dal teatro, e precisamente nella così detta Corte del Duca, appresso il palazzo Malipiero…. […] , I). » La qual cosa concorderebbe con quanto ci fa sapere il Casanova sulla minor figliuola dell’Imer, Teresa, « figlia d’un comico che abitava in una casa presso il palazzo del senator Malipiero, e le cui finestre davan sulla sua camera da letto. Codesta figlia, diciassettenne allora, vezzosa, capricciosa, galante, che studiava la musica per esercitarla poi pubblicamente in teatro, stando tutto il giorno alla finestra, aveva ubbriacato il povero vecchio a cui si mostrava crudele.
Figlio del precedente, nacque a Milano il 25 dicembre 1825, nella Locanda della Commenda, la sera in cui la Compagnia Fabbrichesi recitava al Carcano L'Ajo nell’ imbarazzo, di cui era protagonista il padre Luigi. […] Acquistatosi una bella rinomanza, si unì in società con Luigi e Antonietta Robotti, di cui sposò nel 1851 la figlia Luigia, prima attrice giovine.
S. le nostre Miserie, sicuri, che rimirate dalla medema con gl’ Ochi del suo benignissimo Compatimento, non ci lascierà senza sollieuo, senza di cui non sarà possibile, che di quà parta la Compagnia se non ui lascia le Robbe ; Che però prostrati i Comici Ser. […] me Piante Vmilmente la suplicano ad esercitar seco in si urgente Ocasione gl’ atti di quella Generosità con cui assistè sempre a’ suoi Servi, accertandola, chè l’A. […] Ma senza dubbio esse dovean ricercarsi nella soverchia dimestichezza che il Coralli aveva con Teodora Ricci, moglie del Bartoli ; dimestichezza che fece montare su tutte le furie il Sacco, vecchio ottuagenario, che della giovane artista era bestialmente invaghito, e che assalì con mortificazioni e sgarbi di ogni specie il Coralli, il quale dovè ricorrere alla protezione del Gozzi : e sarebbe rimasto senza dubbio in compagnia, nonostante l’ invelenimento del Sacco, se, pel timore di essere definitivamente scacciato, non avesse ricorso a uno strattagemma volgare di cui fu vittima un bravo e onesto comico della compagnia. […] Il Coralli non ha voluto riveder l’ Italia, ma avendo sposata una figlia del Ruggeri, fabbricatore di fuochi artificiali, è rimasto a Parigi, impiegato colla Truppa francese allo stesso Teatro, e un tal impiego gli fa onore e giovagli altresì per il congruo, e necessario suo decoroso mantenimento. » Una delle migliori creazioni del Coralli fu quella del fratello minore nei Gemelli Bergamaschi di Florian, dati la prima volta il 6 agosto 1782, in cui si fece molto applaudire al fianco del Bertinazzi che rappresentava il fratello maggiore : e una delle peggiori pare fosse quella nel Venceslao, dramma francese, come appare dalla prefazione del traduttore Francesco Gritti.
Certamente nel saggio della poesia araba del signor Casiri inserito nella Biblioteca Arabico-Ispana, da cui Nasarre si prometteva tali monumenti, si dice nettamente, che gli arabi non conobbero gli spettacoli teatrali112. E sebbene il Casiri aggiugne, che a suo luogo avrebbe parlato di una o due commedie arabe, scartabellando la di lui biblioteca non trovai pure un solo componimento drammatico, non dico de’ secoli di cui ora parliamo, ma né anco de’ seguenti fino all’intera espulsione de’ mori dalle Spagne. […] Soggiugne poi, che i goti non permisero alla poesia drammatica di allignare in Ispagna; e conconchiude, che gli arabi (che non l’aveano) ve la portarono, adottando senza esame l’opinione di Nasarre, di cui abbiamo veduta la solidità. […] L’antichissima festa de’ tabernacoli, in cui gli ebrei divisi in Cori cantavano Inni al Creatore, tenendo in mano folti rami di palma, di cedro o di altro, conteneva alcuna parte di que’ semi che altrove diedero l’origine alla poesia drammatica; ma pur non si vede che tra gli ebrei la producessero. […] Avrebbe egli almeno potuto far menzione del Teatro Saguntino, le cui ruine tuttavia si osservano in Murviedro, città edificata sulle ceneri dell’antica Sagunto.
Coltivarono l’antica commedia varii altri comici non molto dai nominati lontani, come Cratete, Archesila, Cherilo, Eviso, Apollofane, Ipparco, Timocle, di cui Ateneo ci ha conservato un frammento in lode della tragedia, nel quale afferma essere agli uomini utilissima, e Timocreonte, il quale ebbe nimistà con Simonide Melico e con Temistocle Ateniese, contro di cui scrisse una commedia. […] Tali sono Ermippo, Antifane, Eubolo, di cui Grozio rapporta qualche picciolo frammento della commedia intitolata Antiope; ed Esippo che scrisse una commedia detta Saffo; e Frinico comico più volte motteggiato da Aristofane, e che fiorì verso l’olimpiade LXXXVI. […] Con ciò fa perdere di vista alla gioventù la vera fisonomia del teatro greco, ed occulta specialmente i lineamenti del periodo in cui fiorì la Commedia Antica, quando poeti e spettatori erano egualmente animati dello spirito geloso che dettava sì spesso l’ostracismo contro il merito e la virtù. Con più ragione adunque il teatro Ateniese potrebbe chiamarsi il gabinetto della Repubblica, il consiglio di stato, in cui, benchè di passaggio, soleva commendarsi la morale. Il di lui catechismo veniva sacrificato alminimo cenno della politica gelosia, il cui oggetto primario e nell’ozio e negli affari era la conservazione della libertà.
Il figlio del direttore della Posta del Friuli, quel figlio che si credeva perduto, di cui s’erano fatte tante ricerche, e che si era così amaramente pianto ? […] Non crediate, o signore, che per vanagloria io vi abbia esagerato i vantaggi di cui godo nella mia professione : ma son comico, mi fo conoscere ad un autore, ed ho bisogno di lui. […] Questa, sì, questa sarà la lancia e lo scudo, di cui armato andrò a sfidare i teatri tutti del mondo. […] La lettera con cui fu inviato il sonetto, ed il sonetto medesimo, li trascrivo da Francesco Bartoli. […] », aggiunge : dopo lui non è rimasto all’arte comica un Pantalone, per cui da altri possa nutrirsi la speranza di vederlo in questi tempi uguagliato giammai.
Il Landini, ultimo degli Stenterelli celebri, raccontava di avere udito (e le parole sue furon riferite nella Nazione del 31 marzo ’91 da Giulio Piccini (Jarro), a cui debbo gran parte di queste notizie, e di cui uscirà presto, editore Bemporad, una particolareggiata e documentata vita del nostro artista) che il nome venisse da un faceto garzone di parrucchiere, o da un gaissimo mendicante, il quale se ne stava sugli scalini d’un portone, chiedendo l’elemosina, e attirando la gente co’suoi lazzi, destando la pietà pel suo vestito, tutto toppe e brandelli, per la sua persona, scarna, allampanata, stentata : da ciò il nome di stento o stenterello, che si dà tuttora a un mingherlino e sparuto. […] Toltosi dal teatro, a continuar l’opera sua scelse Lorenzo Cannelli, del quale fu maestro appassionato, ma che poi dovette abbandonare per la troppa scurrilità di cui si piaceva rivestire ogni sua frase ; giacchè il Del Buono, che il Morrocchesi dice Angelo umanato, volle ritrarre il popolo fiorentino in genere, nella vivezza del linguaggio, purgato da ogni parola men che conveniente. […] Fu anche Luigi Del Buono, come dice la lapide commemorativa, egregio scrittore di commedie e di operette, tra le quali, una delle più note e più lodevoli, la Villana di Lamporecchio, la cui protagonista fu studiata sul vero nella persona di Virginia Venturini di Lamporecchio, che viveva al servizio di lui, e lo pettinava ogni mattina, acconciandogli il codino stenterellesco che egli non abbandonò mai. […] Il Giornaletto dei teatri di Venezia del 1821 cita un Vincenzo Fracanzani il quale partito da Firenze sua patria, immaginò in Lombardia un nuovo ridicolo personaggio, cui diede il nome di Stenterello, che quantunque in lui non male accolto dal pubblico, tuttavia non fu da altri poi ricopiato. […] Ma la lucerna specialmente di questa forma, è anche anteriore al tempo in cui il Del Buono vestì la sua maschera, come anche anteriore mi sembra la giubba a vita abbottonata e fermata da cintura.
La Fiorillina, così la chiamarono i comici dalla sua infanzia, cominciò a percorrer la via della gloria a nove anni, in cui diè prova di gran valore artistico sì nelle parti scritte come nelle improvvise. […] Nol so, ma pur con tacita dolcezza ripenso ognor che accompagnar vi piacque con pietosi sospir di Nina amante i soavi delirj, 9e sorrideste all’ ingenua Lucinda,10 a cui natura parlava al cor con più efficace lingua che non facea con le dottrine ingrate e coi prestigi suoi la maga accorta. […] A voi dunque mi volgo, abitatori eletti di questo suol diletto al ciel : tu pria, schiatta d’incliti padri, ordine illustre che hai per dritto di costume e sangue titolo di gentile ; e tu pietoso sesso leggiadro, a cui fan doppio omaggio i cori e l’arti che dal bello han nome. […] Ma alla metà dell’anno 1816 fu colpita da tale malattia che la toglieva per sempre alle scene, relegandola collo sposo nella sua villa di Avesa, presso Verona, che dovette pur troppo abbandonare, pei continui dissesti finanziari di cui fu causa il marito di sua figlia. […] » Molte son le testimonianze che abbiamo del valore di lei ; fra cui quella del Sografi, che nella prefazione alle sue Inconvenienze teatrali (Padova, Bettoni, 1816) scriveva : Si distinsero nella esecuzione di questo non facile a rappresentarsi componimento moltissime attrici ed attori.
Si recò a quindici anni a Verona, per impararvi il mestiere di sartore ; ma innamoratosi del teatro, entrò in una piccola compagnia, in cui dalle ultime parti potè salir ben presto a quelle di prima importanza, quali di padre e di tiranno ; e con tal successo, che in capo a pochi anni lo vediam già nello stesso ruolo in Compagnia del vecchio Zanerini, di cui potè seguire, senza servilità, la vecchia scuola, e di Maddalena Battaglia (1795-96), destando a Venezia, al San Gio. […] Apertosi il 1820, quel teatro, restaurato, colla Fedra dell’Orlando, di cui eran parti principali la celebre Grassini, la Pasta e Debegnis basso, egli fu dopo reciproche provocazioni generate dal divieto agli studenti di partecipare alle prove degli spettacoli, ferito a un braccio la notte del 25 giugno così gravemente, che i dottori Fabris e Ruggeri nel lor rapporto lo dichiararono in pericolo di vita. […] Comparve allora sulle scene del Teatro Carcano di Milano sotto le spoglie del divino Alighieri, declamandone, sviscerandone alcuni canti, fra cui di Ugolino e di Francesca, che suscitaron l’entusiasmo. […] Grande e bella figura questa del Modena, di cui non sappiam bene se più e meglio valesse la modestia sincera, l’arte potente, o il patriottismo caldissimo. […] No – non è l’oro l’idolo, a cui sacra gl’incensi, e innalza un’ara la mia terra materna all’arte cara.
Duranson è Don Geronimo della commedia, Mèlidor è il marito ingannato e guasto dall’usurajo trasformato in amico, ed Acelie è la savia consorte; e le convenzioni maneggiate con accorgimento, e la donna di piacere persuasa prudentemente la quale dà le armi per iscoprire vie più il nero carattere di Don Geronimo; e lo scioglimento, e la carica tolta al traviato e passata dal provvido Ministro ad un di lui tenero figliuolo, tutto appartiene al Francese, di cui per altro non si sono trasfuse nella commedia le grazie e le morali vedute. […] Anche la Fanatica per ambizione del medesimo autore, di cui si parla nella pagina 277, prende l’argomento e lo scioglimento di un finto fallimento di altra novella del medesimo Francese, l’Ecole des Peres; l’innamorato però che finge disprezzarla e riprenderne i difetti, mostrando un’apparente estrema freddezza, è tolto dal Desden con el Desden di Agostin Moreto.
Alle compagnie primarie che lo accolser fidenti al suo esordire successer subito quelle secondarie, in cui si mantenne ora socio, or pagato, e or capo egli stesso, percorrendo le varie città di provincia, alle quali ammanniva, entusiasticamente applaudito, i più forti e ardui lavori del gran repertorio. […] Ebbe due figli, Icilio e Tullo, datisi entrambi all’arte, in cui riusciron sufficientemente : il primo, in ispecial modo, per le parti di brillante.
Carlo Dondini, recatosi co’ suoi a Bologna, si arruolò nell’esercito francese, in cui salì ben presto al grado di capitano. […] Il carnevale del 1817, egli era, (dopo di essere stato alcun tempo capocomico con la moglie prima attrice) al Tordinona di Roma in Compagnia Benferreri, di cui era parte principale la maschera del Pulcinella, con la moglie e il figliuolo Cesare allora decenne.
Fu ai Filodrammatici e all’ Armonia di Trieste, al Re Vecchio di Milano, al Corso di Bologna e ne’teatri principali di Padova, Brescia, Venezia, Verona, Trento e Ferrara, in cui si recò sempre nelle stagioni migliori. I suoi comici, atti a recitare così in dialetto come in italiano, viventi in fraterno accordo molti anni, costituivano per l’armonia dell’insieme un modello di compagnia, che aveva la maggior larghezza di repertorio, dacchè recitava tragedie e drammi lacrimosi e commedie goldoniane e farse e operette, come ad esempio, la Figlia del reggimento, in cui la moglie di Giorgio specialmente, l’Alceste Maggi, s’acquistò fama di attrice insuperata.
Fratello minore del precedente, nato a Caltanissetta in Sicilia, il 29 febbraio del 1856, non si staccò mai dalla Compagnia del padre sino al ’78, nel quale anno fu scritturato secondo brillante, insieme alla moglie, con Luigi Bellotti-Bon con cui stette quattro anni. […] Nel ’91 volle provare le gioie del capocomicato ; gioie fugaci ; chè, nel ’92 entrò a sostituire il fratello Francesco in Compagnia di Francesco Pasta, con cui stette fino al ’97.
Di lui, il più celebre degli stenterelli moderni, nato a Firenze nel 1823, discorre diffusamente Jarro nella sua opera Origine della maschera di stenterello, da cui riferisco in ristretto. Da compositore nella stamperia Cellai in via de' Martelli passò allo studio della maschera, esordendo in un teatrino popolare di via delle Ruote con la Compagnia di Vincenzo Da Caprile, di cui sposò nel '50 la figliuola Anna.
Recitava di rado ; ma nelle sere in cui recitava, era un avvenimento artistico. […] Come trovai sublime Prepiani nel Catone di Metastasio in cui sosteneva la parte del protagonista.
La loro musica appartiene al riputato Mèhul, cui si deve anche la Stratonica che riuscì ancor meglio. […] Fu posta in musica da Berton uno de’ migliori allievi francesi del nostro egregio maestro Sacchini, di cui con gran ragione pregiasi la Francia. […] Le Tableau des Sabines operetta piacevole di Jouy, alla cui musica lavorarono i due maestri La-Foi e Long-champs. […] E un edificio isolato che rappresenta un parallelogrammo circondato da portici, la cui facciata di 200 piedi consiste in un maestoso colonnato d’ordine corintio con peristilo, le cui colonne hanno tre piedi di diametro, e su di esse corre una balaustrata con piedistalli ornati di figure analoghe alla destinazione del luogo. […] Vi sono altresì tre scalinate in anfiteatro, cioè una in fondo che guarda il teatro, e l’altre due da’ due lati della sala, il cui fondo è di marmo bianco venato.
L’Oreste da lui dipinto nell’Andromaca, la cui rappresentanza costò la vita al commediante Montfleury, rimane inferiore alla dipintura fattane dagli antichi. […] Dacier fralle altre critiche fatte alle tragedie nazionali, diceva: “Noi abbiamo tragedie, la cui costituzione è sì comica, che, per farne una vera commedia, basterebbe cangiarne i tomi”. […] Nell’inverno in cui si rappresentò il Cid, comparve la Marianna di Tristano, nella quale declamò con tal vigore il commediante Mondori che vi perdè la vita. […] Sotto di Pietro (pronunziò Voltaire) Tommaso al suo tempo era il solo degno di essere il primo, eccettuandone Racine cui niuno de’ contemporanei fu comparabile. […] Le più note sono quelle del celebre Dionigi Petavio, di cui s’impresse in Parigi nel 1620 il Sisara, e quattro anni dopo l’Usthazane, ovvero i Martiri Persiani con altre.
Di poi l’enciclopedista fece una risposta, in cui perdè di vista l’oggetto vero della tragedia, il commuovere col terrore, e la compassione. […] Un’ altra Virginia compose la signora Brooke, di cui favellò nel Giornale straniero di Parigi La Place nel 1757. […] È ravvisata da Hidallan seguace di Fingal, il cui amore avea ella disprezzato. […] Appartiene al solo Garrick il Servo bugiardo, la cui traduzione intera si trova inserita nel Giornale straniero di m. […] Una di esse è il Re ed il Mugnajo di Mansfield, di cui si fe parola nel tomo precedente.
Da piú periti antiquarj vengono con particolarità rammentati e tenuti per Etruschi Admone, cui si attribuisce l’Ercole hibace, una delle più preziose gemme Etrusche, ed Apollodoto, di cui si ammira una gemma colla testa di Minerva incisa a punta di diamante, ed un’ altra rappresentante Otriade del museo Cortonese. […] Pur ne piace rammemorare un tondo medaglione di marmo posseduto da Tommaso Manso nostro antiquario morto nel 1650, di cui favella il suo contemporaneo Niccolò Toppi nella Biblioteca Napoletana. […] Quindi esse sono state piuttosto credute portici, ne’ quali introducevansi le mercanzie in città dall’antico porto, che ora è in secco, del cui molo sussistono le ruine ora chiamate Muraccio o il Terrazzo dell’Ausa fiume che bagna la città dalla parte di oriente. […] Variamente congetturarono i letterati sull’epoca in cui si scrisse. […] Questo costume satireggiato nel dramma, ci mena al tempo, in cui i Gaudesi aveano il diritto di vita e di morte, e la giustizia si amministrava da’ paesani rustici senza appellazione.
… Le profondità degli studj sono il più spesso, rispetto agli artisti di teatro, nella immaginazione dello spettatore ; e gli attori, in genere, che ne senton solleticata la propria vanità, a coltivarla, e ad afforzar quella immaginazione, discuton volentieri di malattie e di ospedali che non han mai visto, di notti vegliate su libri, di cui non sanno nè meno il frontespizio, di pensieri riposti dell’autore in una parola della lingua originale, di cui non conoscono l’alfabeto. […] E però, imitando alcuni de' suoi grandi predecessori, fra cui primo il Coltellini famoso, egli ha aperto nella sua casa di Venezia un ricchissimo negozio di oggetti antichi, ai quali è già tanto affezionato, che tra' più gustosi aneddoti della sua vita è questo, che, venduto un orologio antico a un forestiero, tanto se ne accorò, che non potè riacquistar l’antica pace, se non quando con perdita non lieve ebbe recuperato l’oggetto. […] I successi clamorosi avuti nel vecchio e nuovo mondo, attenuaron la crudeltà del giudizio de'suoi connazionali ; ma il grande, unico premio, a cui egli ambisse, di veder le platee tra noi riboccanti di popolo sì all’Otello, come alle Tre mogli per un marito, gli fu lungo tempo conteso. […] L'assenza dal teatro gli sembrò la più giusta delle lezioni all’audace…. diciamo la sua parola, allo sfacciato invasore, di cui la comicità fisica si congiungeva alla comicità del personaggio, di maniera che niuno, per quanto amico di buona volontà, voleva o sapeva vedere in lui un eroe da tragedia. […] Oggi Novelli è tutto vòlto alla erezione in Roma della Casa di Goldoni, di cui mise la prima pietra al Teatro Valle il 1° novembre del 1900 con pompa solenne e con accoglienze entusiastiche ; pensiero alto e generoso di cui gli deve saper grado ogni italiano.
Non era la solita sovrapposizione dell’artista sul personaggio ; era un vero e proprio lavoro di transustanziazione, da cui l’attore usciva trasformato. […] Ma le cure della Scuola, cui egli si è consacrato con grande abnegazione, non lo hanno nè fisicamente nè moralmente abbattuto. […] La lettura ad alta voce, di cui egli è un apostolo convinto, diventa così un mezzo d’istruzione e di educazione, facile e aperto a tutti : esso dovrebbe sostituirsi anche nelle scuole a quel tedioso e forzato esercizio della memoria, che avvezza i ragazzi a non capire quello che recitano, e che riesce, certamente, a renderlo a tutti noioso, anche a chi è costretto ad ascoltarli. […] A te un abbraccio e un bacio in cui geme il desìo delle dolcezze antiche della meridiana. […] Ottimo professore e carissimo amico, Non tardo un minuto a ringraziarla del volume « I Monologhi » che, domani comincierò a leggere, e della notizia che mi dà del superbo lavoro, a cui ha già posto mano.
La famosa legge di continuità cui il famoso Boscovich applicò sì felicemente alla fisica, è non meno riferibile alle produzioni dell’arte che a quelle della natura. […] Soprattutto non posso a meno di non isdegnarmi colle moderne orchestre qualora vi veggo sbandita l’arpa, quello strumento delizioso le cui lunghe corde dolcemente vibrate, il cui suono tenero, armonioso e flebile m’ha cento volte strappate dagli occhi le lagrime e gettato il mio spirito in una maniconia più soave di qualunque allegrezza. […] L’uomo prudente ma freddo gli metterà posatamente avanti agli occhi le avversità cui va soggetta l’umana vita, e la necessità di rassegnarvisi. […] Ebbene: vengasi alla esperienza ch’è il divino scudo di Pallade inanzi a cui impietriscono il fanatismo, la prevenzione e la pedanteria. […] [50] La vanità, di cui è proprio il rinunziar ad una folla di piaceri per meglio assaporare il maggiore di tutti ch’è quello di farci credere superiori agli altri, è il motivo altresì per cui molti si compiacciono d’uno stile ricercato e difficile.
Mi fur pene amorose Continue al cor finchè Imeneo legommi Avinto ne’ cui lacci or vivo, e stommi Venduta libertà senz’alcun prezzo ; E ’l pentirsi non vale in ciò da sezzo. Padre mi fe’ natura in cinque giri Pieni del sol di quattro figli à cui Posi tanto devuto amor paterno, Ch’altr’uom non è (cred’io) ch’egual sospiri. […] Nella Essagerazione fatta in riva al Serchio, abbiamo più distesamente che qui il vivo desiderio di monacar le due figliuole, alle quali mostra a color fosco le pene del matrimonio, a esempio di sè forse, alla cui poca felicità maritale accenna in quei versi della Canzone : Imeneo legommi, avvinto ne’ cui lacci or vivo, e stommi venduta libertà senz’alcun prezzo ; e ’l pentirsi non vale in ciò da sezzo. […] Il 26 ottobre 1612, Tristano Martinelli scriveva da Firenze al Cardinal Ferdinando Gonzaga, mandando una lettera di Maria de’ Medici, nella quale era il desiderio di mettere assieme una compagnia di comici tra cui figurava il nostro Fabbri. […] Passò quindi nel ’51 madre e caratteristica in Compagnia di Cesare Dondini ; poi in quella del fratello Ettore sino al ’73, in cui, pervenuta all’età di settantasei anni, si ritirò dalle scene, cessando di vivere due anni dopo.
Scrisse molte opere teatrali, in cui la sciattezza della forma era compensata da una cotal vivacità di dialogo e fecondità d’intreccio. […] Ma eccolo dal '56 al '60, i quattro anni che accrebbero e cementarono la sua riputazione di artista, con Cesare Dondini, di cui diventa socio più tardi, a fianco di Clementina Cazzola, che doveva poi essere la donna del suo cuore e la madre dei suoi figli. […] Il '60 è scritturato primo attore e direttore della Compagnia Reale de'Fiorentini in Napoli ; il '61 è capo di una Compagnia elettissima, di cui son parti principali la Cazzola e la Piamonti, Alessandro Salvini suo fratello, Privato, Woller, Coltellini, Biagi ; si unisce il '62 ad Antonio Stacchini, e il '65 ritorna ai Fiorentini di Napoli, e questa volta insieme alla Cazzola ; e prende parte a Firenze alle feste dantesche, recitando al Pagliano alcuni canti del poema divino, al Niccolini per la prima volta la parte di Lanciotto nella Francesca di Pellico. […] Nel carnovale '90-'91 interpreta per la prima volta la parte di Jago al Niccolini di Firenze con Andrea Maggi, Otello : poi torna in Russia, acclamatissimo come a' primi tempi, poi si aggrega a questa o a quella Compagnia per dar di quando in quando alcuna rappresentazione in pro della Cassa di previdenza per gli artisti drammatici, di cui egli è Presidente ; poi, finalmente, nell’anno di grazia in cui scrivo (1903), egli crede di dare un addio alle scene a fianco di suo figlio Gustavo, recitando l’Otello, la Morte Civile, e l’Oreste (Pilade), e mostrando ancora, (tranne forse ne'rari momenti, in cui ricordavano i suoi ammiratori di altri tempi il cannoneggiar d’una frase), tutta la freschezza e la musicalità della recitazione, tutto l’impeto della passione, tutta la profondità dell’interpretazione. […] Nè si creda ch'egli sia stato artista colossale soltanto per quelle parti in cui specialmente occorrevano la colossale persona e la voce poderosa ; chè accanto alle frasi in cui si richiedevan quella persona e quella voce, altre ve ne avean di sommesse consacrate dal pubblico e dalla critica.
Abbandonò dopo qualche anno il ruolo di prima attrice per darsi a quello di madre e caratteristica ; e tale fu scritturata da Giorgio Duse, da Gaspare Pieri, da Tommaso Salvini, ammiratissima, in ogni tempo, e nelle parti comiche, fra cui la goldoniana Cate, e nelle tragiche, fra cui l’ alfieriana Clitennestra.
Cominciò a recitare il caratterista, in cui riuscì egregiamente, cogli accademici della città, poi collo stesso ruolo in Compagnia di Nicodemo Manni, festeggiatissimo da ogni pubblico d’Italia. […] Nato a Roma il 4 febbraio 1859 da parenti non comici, e datosi, giovanetto, al recitare in società filodrammatiche, si scritturò l’ '83 con Bellotti-Bon, per la cui morte non ebbe luogo il contratto, esordendo invece quello stesso anno come generico con Alessandro Salvini ed Ettore Paladini, e passando subito l’ '84 al ruolo di secondo e primo caratterista sotto il Salvini : ruolo che non abbandonò mai più, e che sostenne lodevolmente in compagnie egregie, quali dell’Emanuel, del Morelli, Maggi, Rossi, De Sanctis, Teatro d’Arte, Rasi, Della Guardia, Pieri-Severi, nella quale ultima si trova oggi (1904).
L'auge della sua vita artistica fu quand’egli ebbe Compagnia in società con Gaspare Lavaggi, nella quale potè mostrar liberamente tutte le sue qualità di artista, interpretrando con molta intelligenza e con molto successo Luigi XI, La Gerla di Papà Martin, Don Marzio, e specialmente L'Aulularia di Plauto, in cui fu riconosciuto, anche dai più severi, artista sommo. A proposito dell’interpretazione di Luigi XI, Parmenio Bettòli dettò un lungo articolo, da cui traggo il brano seguente : …… Nella grande scena del quarto atto col Solitario, ebbe moti, accenti e una espressione della maschera del volto da far correre brividi tra gli spettatori.
Viene Prosperino, cui Lucrezina risponde sempre dispettosamente per disgustarlo. […] Che cosa fu quest’ Ambigu di cui si cibava il Badini ? […] Quartetto finale, in cui Elfrida prega tutti l’un dopo l’altro e nulla ottiene. […] Resta Elfrida, e viene il re, cui ella dice che seguirà lo sposo. […] Ricimero nell’Elvira si sostenne da una giovanetta di cui poco era nota l’abilita.
Nell’opere Tra due litiganti il terzo gode del 1766, in cui pose in opera il sacco di Bertoldo e di Scapino, nella Luna abitata più artifiziosa e teatrale del Mondo della Luna del Goldoni, nell’Idolo Cinese, in cui un buffone Napoletano è creduto un idolo nel la China, nella Corsala del 1771, il sig. […] Carlo VI, Francesco I e Giuseppe II, e alle imperatrici Elisabetta e Maria Teresa fiorì in Vienna sino all’anno 1782, in cui mancò con lutto universale della virtù, del sapere e della poesia. […] Che cosa fu quest’obbliato Ambigu, di cui si cibava il Badini? […] Per riuscire nel primo lavoro, si vale il buon poeta di un’ azione importante ma semplice per dar campo al dialogo in cui spicca l’ entusiasmo tragico. […] Pagliuca, ed i Tirreni melodramma inedito tuttavia dell’ingegnoso giovane don Matteo Galdi de’ cui ben coltivati talenti già si gustano i precoci frutti.
Di assai cattivo gusto furono in seguito il balletto delle Fate del 1625, in cui, come si è detto, ballò Luigi XIII, e la festa della Finta Pazza mentovata da Renaudot fatta rappresentare nel Picciolo-Borbone nel 1645 dal cardinal Mazzarini. […] Non fu che una mascherata in forma di balletto la Cassandra di Benserade eseguita nel 1651 in cui ballò Luigi XIV. […] L’anno seguente si rappresentò Alceste, ovvero il Trionfo di Alcide, in cui le scene di Lica e Stratone si appressano non poco al burlesco. […] Serva prima di esempio la bella scena sesta dell’atto primo di Sangaride ed Ati, di cui diamo la traduzione, pregando i leggitori a compiacersi di consultare l’ originale: Ati. […] Ripetendosi a San Germano nel 1681 le Bourgeois Gentilhomme, di cui Lulli avea composta la musica, rappresentò egli stesso a maraviglia il personaggio del Muftì, di che il re lo lodò grandemente.
La quale scioltasi, dopo due mesi, entrò generico nella Compagnia Domeniconi, con cui andò a Genova e a Torino. Passò da questa in quella di Alamanno Morelli, allora sconosciuto al teatro italiano, come generico dignitoso, poi in quella di Gustavo Modena, in cui sostenne e con buona fortuna le parti di Lusignano nella Zaira, di Lowendeghen nel Cittadino di Gand, di Maresciallo nei Due sergenti. […] (V. anche Job Anna, al cui nome è pubblicata per intero un’ epistola di lui sulla Recitazione). […] Dapprima fecero loro dannosa concorrenza gli spettacolacci, rimasuglio delle fiabe del Gozzi contro cui ebbe tanto a combattere il Goldoni ; e a Venezia il pubblico lasciò recitare alle banche una compagnia in cui a Demarini e Vestri si aggiungeva Gustavo Modena per amoroso per andare a sentire al teatro di S. […] Nel 1854 io vidi a Pisa gli avanzi del naufragio di una compagnia in cui recitava Tommaso Salvini, e circa a quel medesimo tempo udii dire a Padova che poc’ anzi Ernesto Rossi aveva troncato le recite della sua compagnia al teatro della Concordia, e io stesso vidi a Firenze la Ristori rappresentare a teatro vuoto la Maria Stuarda di Schiller.
Mi farò in oltre a svegliare la loro emulazione mostrando il grado di perfezione a cui essi potrebbero inalzare la nostra lingua. […] Ogni soggetto avea il suo modo, da cui era disdetto l’allontanarsi. […] [8] Io applico alla melodia quel riposo di cui son tanto gelosi i pittori e gli architetti. […] Questa si rappresenta alla mia mente come il principio universale di tutte le belle arti, la cui natura, e le cui proprietà non potrebbero alterarsi per quanto fossero differenti fra loro i mezzi, e lo strumento, e le vie prese da ciascuna delle arti per riuscirvi. […] Naque ella dalla natura in un tempo in cui le azioni rappresentate erano dal genere più semplice.
Sposò in quel torno Maria vedova Buccinieri, già servetta di buon nome, e formò la quaresima del 1818 una buona società col primo attore Luigi Velli, di cui facevan parte comici egregi, quali : il Vismara, il Dones, lo Zuanetti, il Baraldo, la celebre Polvaro, ecc. […] Non si occupò mai di direzione, ch' egli affidava a uno de' suoi artisti ; e v'eran mesi in cui non compariva sul palcoscenico, se non per recitarvi. […] Dopo due anni, andò per un triennio nella Società Meschini e Casilini ; poi con Marini, dal quale si tolse, non terminato il contratto e pagata una rilevante penale, per andar a sostituire Claudio Leigheb nella Compagnia di Cesare Rossi, col quale stette dall’ '82 al '94, tranne l’ '87, in cui, avendo voluto il Rossi riposare, passò brillante con Eleonora Duse. […] Sostituì il Talli nel '96 con Sichel e Tovagliari, e fu il '97-'98 con Paladini e la Mariani, da cui si tolse, per entrarvi poi il '900, dopo di essere stato un anno in società con Sichel e Zoppetti.
Ma basti affermare ch'Ella per sue doti fisiche e intellettuali è noverata oggi fra le rare attrici di pregio intrinseco della nostra scena di prosa ; e di esse prima senza dubbio per la spontaneità doviziosa, direi quasi per la improvvisazione, specie negli scatti della passione caldissima, in cui forse la moltitudine non avverte alcune scorrettezze di forma lamentate dall’acume della critica. […] Nel suo riso squillante è una giocondità viva e sincera, nel suo pianto sono solchi profondi di dolore, strazi di anime, a cui si avvince la folla dominata. […] Così : la tale attrice, che è un gran temperamento artistico, 'sta sera è stata fredda, perchè non ne aveva voglia ; ier sera fu arruffata, perchè era nervosa, e via di questo passo ; e beati coloro cui tocca ventura di assistere a una di quelle rappresentazioni, il cui temperamento artistico si esplichi in tutta la sua pienezza.
Veggo che il capo della divisione è Gravina e nel poetico ha fra gli altri l’abate Rolli di cui ho lette cose buone. […] — [1.94ED] — E qual fu questa conversazione — io diceva — in cui la prima volta mi ravvisasti? […] Gravina il cui classicismo greco è uno dei bersagli polemici di M. […] Salomon, cui forse allude M.; meno probabile un’allusione all’omonima opera di Thomas Corneille/M. […] , L, 168-238, in cui discute del numerus della prosa oratoria.
Alberti, e con Giuseppe Astolfi, nella cui compagnia sposò il Pieri. […] Attore intelligente e di modi elettissimi, potè in breve assumere il ruolo di primo brillante assoluto in Compagnia di Alessandro Monti : ruolo che mantenne poi sempre con molto decoro nelle varie Compagnie in cui fu scritturato, e in quella specialmente di Ciotti, Lavaggi e Marchi, coi quali divideva ogni sera le simpatie del pubblico.
di tornarsene, di Ferrara e Reggio, ove si trovavano, a Mantova. » Dall’ambasciator ducale a Milano, Ludovico Felletti, si sa, come per conto della Comunità di Milano, e per onorare le Nozze del Conte di Haro, si desse una Comedia dagli Uniti il 13 ottobre del 1594, e si sa dal Pagani come si costruisse in tale occasione un teatro, la cui direzione scenica fu affidata all’attore Leandro. Il Salveraglio pubblicò per le nozze Pupilli-Kruch (Milano, Bortolotti, 1890) la descrizione contemporanea dello spettacolo ; in cui, oltre alla nota particolareggiata e interessantissima delle spese per l’allestimento scenico e il vestiario degli attori, è anche l’elenco di essi e de' personaggi che figuravano nell’Intermedio del precipizio di Fetonte.
Recitò la prima volta a Chioggia, nel '49, in una brevissima parte, a beneficio di una compagnia d’infimo grado, ed esordì, comico, lo stesso anno a Mestre nella Compagnia di Giovanni Battista Zoppetti, in cui stette due mesi per passare in quella di certo Bosello. […] Morto il Vestri in Compagnia Nazionale, e uscitone il Novelli, furon sostituiti dal Privato, che vi restò sino all’anno '88, in cui si unì con Emilio Zago, il celebre comico veneziano, col quale trovasi tuttavia assieme alla sua seconda moglie Elettra Brunini.
Vestri-Michelli Annetta, moglie del precedente, nata nel villaggio di Ajello presso Palmanova l’8 marzo 1840 da Nicolò Michelli e Anna Lamerz, e cresciuta, si può dire, in un ambiente drammatico (il patrigno nobile Carlo del Torso udinese era presidente del Teatro di Palmanova), ebbe fin da giovinetta il più grande trasporto alla scena, in cui fece non dubbie prove di buona riuscita coi dilettanti del paese. Recatasi col patrigno a Milano, all’insaputa della madre, che pei soliti vecchi pregiudizj era avversa alle inclinazioni della figlia, entrò nell’Accademia de' Filodrammatici, diretta allora dal Morelli, ed esordì il '55-'56 nella Compagnia di Adelaide Ristori, in cui stette oltre due anni, come generica, amorosa, seconda donna, servetta, e talvolta anche, nonostante la tenera età, madre o nutrice.
Di bella persona, di volto piacente, di voce magnifica, d’ingegno non comune, riuscì in breve un egregio primo attor giovine ; e dopo di essere stato alcun tempo nelle Compagnie Dorati e Righetti passò in quella di Fabbrichesi, allo stipendio della Corte di Napoli, diventandone il 1824 primo attore assoluto e capocomico in società con Prepiani e Tessari, fino al 1838, in cui, condotta nella novena di settembre la moglie a Macerata, sua patria, fuor dal clima di Napoli, e da una vita ordinata, fu colpito prima da febbre, poi da paralisi nervosa, che lo impedì nella parola. […] Possedeva una voce armonica e robusta, per cui nelle parti di forza affascinava il pubblico, e si faceva strepitosamente applaudire, ma egli studiava poco, non sapeva le parti, e però mancava al suo còmpito.
Mercè la sua cultura e la sua intelligenzanoncomuni fu chiamato dall’ Italia artistica di Torino, iniziatrice, a dirigere alcune rappresentazioni di commedie classiche italiane, tra cui era La Mandragola di Macchiavelli. All’ arte sua di attore e direttore egli accoppiò quella di scrittore a cui legò favorevolmente e per alcun tempo il suo nome.
Traeva le sue commedie dalla cronaca giornaliera, attorno alla quale egli ricamava favole intricatissime, chiassone, quasi direi acrobatiche, a cui faceva il pubblico le più matte risate. […] » Ma notevole è la schietta semplicità del monologo con cui egli apre la Moschetta, e in cui si lamenta con sè stesso, per essersi innamorato come mai non avrebbe dovuto della comare : « Putana mo del viver, mo a son pur desgratiò, a crego ch’a foesse inzenderò, quando Satanasso se pettenava la coa : a dir ch’ a n’ habbi me arposo, ne quieto, pi tromento, pi rabiore, pi rosegore, pi cancari, c’haesse me Christian del roesso mondo ; mo l’è pur an vera, Menato, cancar’ è ch’ a l’ è vera, ma a dire an la verité, a no m’ he gnian da lumentare lome de mè, perquè a no me diea mè inamorare in tuna mia comare con hè fatto, ne cercar de far becco un me compare : che maletto sea l’amore, e chi l’ ha impolò, e so pare, e so mare, e la puttana on l’ è vegnù ancuò.
Entrò a diciotto anni in Compagnia di Giacomo Modena, di cui faceva parte anche il figliuolo Gustavo, facendosi notar subito per la recitazione spontanea di alcune particine in commedie di Goldoni, Zelinda e Lindoro, Il Medico olandese, I quattro Rusteghi, della quale specialmente il personaggio di Sior Filipetto s’ebbe in lui uno de' più ingegnosi e brillanti interpreti, e per la quale la prima attrice Carlotta Polvaro gli preconizzò splendido avvenire. […] Fu il primo attore della Compagnia di Giacinto Battaglia, che andò in iscena il 7 marzo '46 a Padova, e in cui egli dovette lottare coi successi della Sadowski e di Bellotti-Bon ; ma dopo la Clotilde Valery e il Chatterton, il trionfatore fu lui. […] Chiamato il '54 a diriger l’Accademia de'filodrammatici di Milano, vi recitò fino al '58, tornando in arte il '59, direttore della Compagnia Cazzola-Dominici, e rifondando il '60 la Lombarda che visse quindici anni di vita gloriosa, e in cui militaron gli artisti di maggior fama, quali Pia Marchi, Luigi Monti, Guglielmo Privato, Virginia Marini, Francesco Ciotti, Giulio Rasi, Sante Pietrotti, Anna Job.
In fatti in questo ruolo esordì il '47 colla Fusarini, passando poi socio con Lottini il '48 e '49, a fianco della Nardi prima attrice e della Cazzola amorosa, con cui si trovò, sciolta la società, nella Compagnia di Antonio Giardini. […] Alle severità della critica odierna, Antonio Cervi, dal cui opuscolo (Bologna '96) ho tratto in parte questi cenni, contrapponeva queste parole di Alamanno Morelli : « Io che ho saputo contraffare le varie interpretazioni di tutti i più grandi artisti, non sono riuscito mai a contraffare quelle del Papadopoli, tanto esse erano naturali e semplici, e di una meravigliosa efficacia. » Come uomo, egli si formò una travagliosa vecchiaja, confortata a pena da qualche sussidio strappato ai colleghi doviziosi, o che gli eran stati compagni, o che sentivan pietà della miseria sua. […] Di lui si ha un libretto, e qui anche torna a mente il Camerani, intitolato Gastronomia Sperimentale (Zara, 1886), in cui sono le norme particolareggiate per allestire una buona serie di piatti dolci e di piatti di famiglia.
Secondo i Fratelli Parfait, seguiti poi dagli altri, la richiesta del Re fu causata forse dal fatto che poco piacque a Parigi il Pantalone (di cui s’ignora il nome), il quale andò a sostituir Turi, egregio artista (V.), morto il 1670…. […] Avanti di esser Comico al Servizio del Duca di Modena (ma non sappiam quando), Riccoboni era a Napoli ; e ciò sappiam da una supplica del '74 al Duca, in cui egli espone : che certo Bartolomeo Pavia modenese, suo servo, partitosi con lui da Napoli, per recarsi a Modena al servizio di quell’Altezza Serenissima, a Gaeta se ne fuggì con danaro parte prestatogli, e parte affidatogli. […] Fra le carte di Don Alfonso furon rinvenute parecchie cambiali di comici fra cui di Riccoboni, in data del 28 aprile 1677, che riferisco testualmente : Ricevo Io Antonio Rico Bon per puro imprestido dal E.
Il suo ingegno e la sua bellezza inspirarono anche una lunga poesia al Marmontel, in cui è la seguente descrizione appetitosa delle sue doti fisiche. […] Le grazie di Corallina le acquistarono un numero considerevole di adoratori, tra cui Carlo Bertinazzi il celebre arlecchino, il Principe di Monaco, che le assegnò come semplice donativo, prima 1200 lire, poi altre 3000 all’anno, Létorière e Di Saint-Crix, ufficiali al Reggimento delle Guardie, e il Conte di La Marche, più tardi Principe di Conti. Questi, che donò all’attrice il marchesato di Silly, di cui dicesi ch'ella portasse talvolta il titolo, s’ebbe da lei un figliuolo diventato cavaliere di Malta, e noto sotto il nome di Vauréal.
Che se Florinda tua su ricche piume innalzi al Cielo, insieme anch’ io v’ ascendo, cui porge la sua morte aura vivace. […] A questa fa riscontro l’ altra del marito in data del 14, nella quale abbiamo ancor più particolareggiate notizie delle condizioni in cui trovavasi la Compagnia della Flaminia, e in cui si trovò poi coll’ arrivo dei Coniugi Andreini. […] qualcosellina più, della Signora Cecchini : questo dev’ essere stato il pernio su cui s’ aggiravan di conseguenza tutte le altre cagioni della reciproca animosità. […] Non il primo Cintio, di cui s’ ignora il nome, e che si fece conoscere a Roma nel 1550 (V. […] Occhi, che di sua mano amor compose, non occhi no : ma strali al morir mio ; occhi stelle del ciel, belle e ritrose, fontane di dolcezza e di desìo, a cui cede la gloria, a cui s’inchina meraviglia celeste, opra divina.
LXXXI, quando cominciò a fiorir Cratino, poeta di stile austero, mordace, e assai forte ne’ motteggi, da cui si riconosce quel genere di Commedia caustica e insolente, chiamata satirica e antica. […] Il coro é fatto dalle rane, una di cui scena molto corta ha dato il titolo alla commedia. […] Potino con esse rappresentò (benché con indignazione de’ buoni, cioé de’ pochi) alcune burlette in Atene e in quella medesima orchestra, in cui Euripide declamava le sue tragedie immortali. […] Sparta medesima, l’austera Sparta, avea un assai magnifico teatro, della cui eccellenza e bellezza favellano lo storico Pausania, e Plutarco nella vita di Agesilao. […] Il di lei catechismo veniva tolto sacrificato al minimo cenno della politica gelosia, il cui principale oggetto, e nell’ozio e negli affari, era la conservazione della libertà.
Con che si venne a guastare una composizione, la cui bellezza dovea risultare da un giusto temperamento di tutte, l’una insieme con l’altra. […] Poiché, così adoperando, si andrebbe contro a un fine principalissimo a cui nel porre il teatro si dee aver l’occhio dall’architetto; e ciò è ch’esso riesca sonoro e tale, che le voci de’ cantanti vi spicchino il più che è possibile, e sieno a un tempo melodiose e grate a chi ode. […] Il palco scenario, sopra cui stanno gli attori, fanno ch’ei sporga per molti piedi all’infuori nella platea. […] Gli attori hanno necessariamente da starsi al di là della imboccatura del teatro, dentro alle scene, lungi dall’occhio dello spettatore; e hanno da far parte anch’essi del dolce inganno a cui nelle sceniche rappresentazioni ordinato è ogni cosa. […] Basta cangiare il semicerchio in una semielissi, che ne ha appresso a poco tutti i vantaggi, il cui asse minore serva per la luce del palco e il maggiore per la lunghezza della platea.
Le cronache non ci dicono quale essa si fosse, ma non è dubbio che la prova riuscisse eccellente, se l’anno dopo lo vediam generico della rinomata Compagnia Consoli e Zuccato, di cui era primo attore Gio. […] Anche dell’arte sua incomparabile abbiam testimonianze grandissime, di cui metterò qui alcune delle più chiare e men sospette di poca sincerità. […] Da quel punto ch'egli entrava sulla scena fino a che non ne fosse uscito, era tutto immedesimato nel personaggio che prendeva a rappresentare : nè v' era imprevista circostanza che mai potesse farlo uscire dalla qualità ch' ei vestiva : non lo vedevi dardeggiare gli sguardi nei palchi o nella platea, mentre l’altro attore ch'era in scena con lui favellava ; non ammiccare al suggeritore ; non mendicar le parole ; non distrarsi insomma in quelle cose, da cui anche gl’ infimi tra' nostri comici sarebbe ormai tempo cessassero, perchè non addimandano sublimità d’ingegno, ma solo diligenza nei proprj doveri, amore dell’ arte che professano, rispetto verso quel tremendissimo giudice innanzi a cui stanno. […] A cotesto difetto, per altro, dello strafare accenna anche Francesco Righetti (op. cit.), proprio al tempo in cui il Vestri era nella Compagnia Reale Sarda, accusandone piuttosto il pubblico che l’artista ; ma poi, dopo di aver detto che Vestri sa commovere il cuore quando la circostanza d'una scena patetica lo esige, conclude : nessun altro attore in Italia, al pari di lui ha saputo destare tanto diletto nelle parti ridicole, e cattivarsi l’aura popolare. […] Delle sue tante lettere riferisco in fac-simile, ma un po' rimpicciolita, questa, indirizzata all’impresario Pietro Somigli, in cui è accennato al come si trovasse male nella Real Compagnia di Torino : alla quale si riferisce un’altra a Domenico Righetti da Torino, senza data, in cui risponde negativamente alla domanda di lui di voler conoscere il motivo della sua partenza dalla Compagnia, e conclude : « Ciò che ora mi ha determinato si è di tal peso che niuna cosa potrebbe rimuovermi, ed il maggior dispiacere lo forma il non potertene ora manifestare il motivo. » Recitando egli nel R.
Annunziò la recita a suo beneficio, il 2 giugno 1832, al Teatro del Giglio di Lucca, nella quale si rappresentò Il Gran Los-Rios Assassino delle Alpi, con Pasquale spaventato dai Masnadieri (Pasquale era Giuseppe Guagni) e nella quale egli sosteneva la parte del protagonista, con un programma reboante (degno dell’attore capocomico), di cui ecco una parte : Per le anime d’altissimo sentire non riescirà stravagante il fatto che si espone di quest’uomo, il quale profugo dalle terre native per un fallo d’amore, dalla malvagità attribuito ad altissimo delitto, a rifugiarsi costretto si vide nelle Alpi, ed a condurre una riprovevole vita in odio di tutta la terra e fulminato dalla celeste maledizione. […] Un sospetto di tradimento a lui imputato, lo trascinò di colpa in colpa, per cui si abbandonò nel vortice della perdizione.
La tavola per la cena era a ferro di cavallo in una vasta sala, ov’ era innalzato nell’una estremità un piccolo teatro, in cui i comici italiani recitarono una commedia alla loro maniera. […] Concordando il ruolo e l’epoca dei due Bellotti, è molto probabile ch’essi non fosser che una sola persona ; benchè paia strano che il Bartoli quasi contemporaneo, il quale tanto disse dell’andata a Dresda della Bastona, del D’Arbes e di altri, non abbia accennato nemmen di volo, a’viaggi di questo, che pur chiama famoso, di cui parla fuggevolmente come di sconosciuto….
Il giornale del Dipartimento del Reno (Bologna, martedì, 14 aprile 1812) rendendo conto delle recite che là si tenevano dalla Compagnia Reale, così parla del Bettini : Bettini è un giovane dotato di molti pregi, e ce li ha fatti conoscere nelle rappresentazioni dei Baccanali e del Maometto in cui sostenne con molto valore le parti di Eburio e di Leid, e ne riscosse i più vivi e reiterati applausi ; nè potrà a meno di ottenere lo stesso incontro ovunque, se con pari ardore vorrà farsi valere in ogni rappresentazione. Fra le parti, in cui fu da’contemporanei proclamato insuperabile, vanno annoverate quelle di Giuseppe Ebreo (il De Marini sosteneva quella di Abramo) e di David nel Saul.
E tornati in Italia, il Fracanzani s’unì ad altro ciarlatano Daniele del Puppo, con cui formò una vera e propria compagnia comica, traendo la vita con maggior decoro, e di cui Camillo sposò la figliuola Orsola.
Passò poi qual primo attor giovine in Compagnia di Gaetano Goldoni-Riva, in cui stette fino al '21, per entrar poi a Napoli in quella di Salvador Fabbrichesi, superando la più difficile prova, dacchè andava ad affrontar quello stesso pubblico, che sino a poche sere innanzi, aveva avuto incredibili entusiasmi pel fratello Francesco. […] Giunto a Trieste nella primavera del '24, si riaffacciarono i sintomi del terribile male, a cui dovette soggiacere in Venezia dopo pochi mesi, non ancor compiuto il ventinovesimo anno.
Figlio di un ciabattino di Udine, dove nacque verso il 1780, fu allevato nel mestiere del padre, morto il quale, vagando di paese in paese, or questo or quello frecciando, s’ imbattè in una piccola compagnia di comici che lo accolsero in qualità di socio, e da cui fu licenziato, dopo la prima sua comparsa in pubblico. […] Percorse dal '45 al '50 il napoletano e la Sicilia con una società, di cui egli era capo.
Robotti Antonietta, nata a Como il 1817 dai conjugi Rocchi, fu raccolta, educata e amata qual figlia dalla famiglia comica Torandelli, che l’ebbe sostegno prodigioso delle sue travagliate peregrinazioni, in cui si mescolava la recitazione alle farse in musica e ai balletti giocosi. […] Staccatisi questi dopo alcuni anni, scritturati da Bellotti-Bon, i coniugi Robotti formaron nuova compagnia ('59), che intitolaron Nazionale subalpina, e di cui eran parte la magnifica Ferroni, Enrico Capelli e Salvator Rosa.
Egli, non sapendo se Ninia viva, machina la rovina della propria sorella, cui, mancando il di lei figliuolo, apparterrebbe il trono. […] L’altro insigne tragico di cui può vantarsi la Francia nel nostro secolo, è il celebre Francesco Maria Arouet di Voltaire, la cui gloria niuno de’ suoi contemporanei sinora ha pareggiata, non che adombrata. […] Inimitabili sono le due scene di Bruto con Cesare cioè la quinta dell’atto II, in cui Cesare gli palesa di esser di lui padre, e la quarta del III, in cui Bruto supplica il padre a lasciar di regnare. […] L’Olimpia in cui trovansi scene interessanti, venne dalla Cassandra di M. […] Essi attendono l’esito di una mina, di cui si parla sin dall’atto I, da scoppiare nel V.
Ed e perciò ch’io mi pento di amare costei, cui non si può aspettare veruna ricompensa.» […] In moltissime loro canzoni si trova alla fine il primo versetto o la prima parola dell’inno latino sulla cui composizione furono esse modellate. […] Ciò si vede dai nomi che diedero i primi Italiani alle stanze di siffate canzoni somiglianti a quelle de’ provenzali, e dalla poca filosofia con cui le accomodavano ai rispettivi argomenti. […] Moltissime altre Canzoni norvegesi, islandesi, e danesi si trovano nel Saggio citato scritte tutte nell’antica lingua scandinava, la quale, torno a dire, era l’idioma universale del settentrione, di cui facevano parte i due popoli in questione. […] [NdA] Un moderno scrittore, cui non nomino, mi fa a questo luogo parecchie accuse, tutte concludenti ad un modo.
Chè tal è il porgere di Adamo Alberti, quale gl’Italiani (non parlo di quelli che si tagliano i pensieri alla francese) han sempre voluto che sia : quale la benigna natura glie lo ha largito, dotandolo di una voce scorrevolissima e sonora, d’un volto grazioso ed espressivo, d’un gesto pronto e vivace, d’un movimento libero e securo ; quale glie lo han raccomandato a prova nel suo tirocinio teatrale i due suoi maestri, cioè il proprio genitore, comico distinto a que’tempi, ed il celebre Francesco Augusto Bon, autore ed attore reputatissimo ; e quale finalmente più conveniva allo stile di Goldoni, su le cui commedie si è per dir così modellato sin dalla età sua prima. […] Le più facili in apparenza, quali reputansi comunemente quelle in cui il ridicolo è una conseguenza d’inflessione, di stordimento, di goffaggine, di spensieratezza, d’imprudenza, di affettazione, di smorfiosa galanteria, di pusillanime irresoluzione, di avventata spavalderia, etc. etc. ; quelle in somma che ritraggono i tanto diversi sconcerti e difetti naturali od abituali di testa, coi quali possono considerarsi o no congiunte le buone e fin le grandi qualità di cuore. […] Bon, potè coltivar con amore la sua passione dello scrivere ; e abbiamo di lui commedie e drammi, di cui mettiamo qui i titoli : Il matrimonio occulto, La fidanzata dell’ottimista, La famiglia degli usurai, Fra gli amanti il più scaltro, Rubare ai ladri, Studio dal vero, L’esecuzione militare, Paola Desinof.
Dopo di essere stato nel collegio de’ Gesuiti, determinò di darsi all’arte, esordendo in provincia, prima del 700, in una Compagnia diretta da Giuseppe Tortoriti, Pascariello, di cui sposò più tardi una delle figlie, Maria Angelica, nata a Parigi il 18 agosto 1696. […] Dal ruolo di Pierrot passò poi a quello di Trivellino, in cui fu eccellente. […] Frequentò balli e feste d’ogni specie ; e trovò modo, in questa operosità continuata, di scrivere in sedici anni cinquantasette opere teatrali, di cui dodici senza l’ajuto di collaboratori, e di darci una traduzione intera delle liriche di Orazio.
Nel gennaio del ’70 vediamo il Ganassa prender parte alle nozze di Lucrezia d’Este in Ferrara, come è detto in questo brano di lettera riferito dal Solerti : con le confetture vi comparve Zanni Ganassa, e con un cinto in mano assai piacevolmente rintuzzò e fece cagliare un certo Ernandicco Spagnuolo…… Si recò la prima volta a Parigi nel 1571 colla sua compagnia, secondo un documento del 15 settembre pubblicato dal Baschet, ma pare non vi recitasse, per un divieto del Parlamento, non ostante le Lettere Patenti del Re di cui egli era munito. […] Edoardo Fournier nell’opera L’ Espagne et ses Comédiens en France au dix-septième siècle, dice che il baron de Guenesche fu un tipo grottesco assai popolare per gran tempo, che il Ganassa creò, e a cui diè il suo nome un po’ alterato. […] Muet, lieutenant du petit criminel — pubblicato dal Fournier il 1865 nelle sue Variétés historiques et littéraires, è detto in nota che il tipo del Guenesche fu creato in dispetto e a derisione degli Spagnuoli, di cui, come Pulcinella, egli esagerava il naso prominente e la mascella avanzata di Ganassa, che è appunto la parola mascella in ispagnuolo.
Seila è una sacra Ifigenia, il cui magnanimo carattere non si smentisce mai sino al fine. […] Buona è la scena 7, in cui Bibli apre il suo cuore ad Eurinoe. […] Guai a quel poeta, il cui dramma non si vitupera nè si loda! […] Sembra il trionfo dell’iniquità questa favola in cui invano si cercherà un oggetto morale. […] Bianchi, di cui ha favellato il Mazzucchelli sulla scorta del P.
Meursio raccolse delle favole di Alesside intorno a centotredici titoli, che però ne scrisse dugentoquarantacinque, i cui frammenti leggonsi sparsi nelle opere di Ateneo, Polluce, Stobeo, Laerzio ed Aulo Gellio, e raccolti nelle compilazioni dello Stefano, del Morello, dell’Ertelio e del Grozio. […] Nelle Cene di Ateneo leggesi un bel passo di Alesside, in cui si esprime il lusso de’ Sibariti, de’ Siciliani e de’ Tarentini. […] Appartiene a questa commedia ancora Antifane che fiorì al tempo di Filippo il Macedone, e tralle sue commedie tutle perdute si mentova particolarmente L’Auleto, ovvero il Flautista, in cui per ischerno introdusse Beralo sonatore di flauto inesperto nel suo mestiere, di che vedi Plutarco nella Vita di Demostene. […] Suida ci dice che questo comico portò la prima volta sulle scene le avventure amorose e le vergini deflorate, le qu ali cose si rappresentarono con frequenza nella commedia nuova da cui passarono alla latinaa.
Sposò il 2 aprile ’63 Orsola Cortesi (Eularia), da cui ebbe otto figliuoli, tre de’quali, due femmine e un maschio, seguiron l’arte de’parenti. […] La Comedia italiana restò chiusa poco men d’un mese in segno di lutto ; e il giorno in cui si riaprì, fu affisso ai muri di Parigi un manifesto, ov’era espresso tutto il cordoglio per la grave perdita, e tutto il rammarico per non saper come colmare la immensa lacuna. […] … — Nè a queste intimità si fermò la degnazione sovrana, chè Luigi stesso volle essere il padrino del primo figliuolo di Dominique cui fu messo il nome di Luigi, e che, entrato giovanissimo nella milizia, morì nel 1729 a sessant’anni circa, in Tolone, direttore delle fortificazioni nel dipartimento di Provenza, e cavaliere dell’ordine militare di S. […] E per farsi un’idea della stima in cui era tenuto Domenico Biancolelli a Parigi, e della specie de’suoi ammiratori, protettori e amici, basti vedere nello Jal (op. cit.