Sono parecchi anni che trovasi in Napoli (1781-82) impiegato in uno di que’ Teatri, facendosi onore e procurando a sè stesso una mediocre fortuna. »
Il 1821 era nella Compagnia Mascherpa e Velli, e le Varietà teatrali di Venezia così ne scrivono : « Datosi alle parti di tiranno, tanto seppe accoppiare il buon volere a que' naturali doni che in sè riunisce, che giunse a rendersi ben accetto anche nell’odioso carattere d’ordinario da lui sostenuto.
Ad altri, Compartendo i suoi doni, eletta tempra Conformabil concesse a finger tutte Nell’aspetto e nel suon de la favella Le sembianze de l’alma ; e a lor commise Crescer, non che mostrar, l’alta virtude Di que’ famosi, ed in onor tornarli, Se non mertato li coprisse oblio. […] Di premio degni Fur que’ valenti ; e premio a l’ un fu assai Vita d’agi beata e regia tomba ;12 De l’altro al merto guiderdon ben amplo Del Cesare novel13 fu l’amistade. […] E fortunate, Se a que’ cantori desiati tanto Tutta la possa del valor canoro Piacque sempre spiegar !
Non di meno v’ha chi sostiene loro in sul viso esser meglio calcar le tracce di Aristotile, di Plutarco, di Tullio, di Quintiliano, e mentovar dove stia bene que’ graziosi sagaci attori, i quali seppero sulle più culte scene ritrarre al vivo i ridicoli del loro tempo, che accreditarsi nelle società come originali di que’ medesimi ridicoli mascherati da uomini di alto affare, come filosofi senza logica, come pedanti pieni di stomachevole orgoglio e voti di ogni valore e dottrina, e come pigmei in somma, la cui pelle distesa a forza di puro vento per via di replicati argomenti si gonfia e gli fa per qualche istante parer gigantoni. […] Non v’ha nemico più temuto dagl’impostori letterarj, politici e morali, quanto un buon teatro; per la qual cosa essi adopreranno sempre gli ultimi loro sforzi per avvilirne l’occupazione, temendo di esser su di esso scherniti, suo principal oggetto essendo il separar l’oro dall’alchimia, la maschera dalla realità, i veri utili scrittori da que’ larghi promettitori eterni di opere che non si producono, i quali sono gl’insetti divoratori della messe che dovrebbe alimentar la povertà meritevole, la modesta filosofia, la virtù infelice che dà riputazione fin anco a’ paesi corrotti, la quale mentre riscuote un apparente rispetto, vien lasciata languire nell’indigenza.
Passò poi col Pianizza a Napoli, « e i uno di que' teatri – dice Fr.
Ma non mostrando egli nella vita alcuna traccia d’ingegno, e non essendo al Domeniconi riuscito di fargli cambiare un finale d’atto, molti ne inferirono che non foss’egli autore di que' drammi, ma sì un suo defunto compagno di catena.
A far conoscer meglio lo stato in cui si trovava allora la musica, e per conseguenza le fatiche e i meriti di que’ valentuomini italiani che intrapresero di correggerla, fa di mestieri ripigliar da più alto la trattazione. […] Ciò si vede eziandio dal costume introdotto in que’ tempi assai frequente nelle carte musicali che ne rimangono, di nominar solamente il musico senza far menzion del poeta, come s’egli neppur fosse stato al mondo. […] La sua lira di tempra affatto originale avea bisogno delle dita del proprio artefice per vibrar que’ suoni celesti. Però i musici, quantunque gareggiassero insieme per illustrarlo, non poterono mai, affastellati com’erano sotto l’imbarazzo d’un sistema complicatissimo, afferrar la dilicatezza di que’ sentimenti semplici insieme e sublimi. […] Soprattutto la strada battuta da que’ maestri per esprimer bene il recitativo è la sola che dovrebbero battere i compositori d’ogni secolo.
Usciti que’ conquistatori da paesi, ove regnava l’ indipendenza, ove i primori riconoscendo un capo della nazione conservavano una gran parte de’ loro diritti, stabilirono fra noi un governo fatto per dividere in vece di unire. […] Cavalier Tiraboschi, cioè che siffatti misteri, ed i versi cantati su’ teatri dagl’ istrioni e giocolieri a que’ tempi, non meritino rigorosamente nome di vere azioni teatrali. […] Lampillas per mostrare che gl’ Italiani erano a que’ tempi ignoranti e barbari nella lingua latina, adduce uno squarcio di una lettera di Adriano I pieno di solecismi stampato dal Mabillon. […] Lampillas che in altro senso che in questo vengano dal vescovo di Orleans esaltati gli Spagnuoli di que’ tempi come dottissimi ed eloquentissimi? […] Malgrado della coltura che già illuminava la Francia, quest’altra festa di que’ secoli rozzi sussisteva anche nel secolo XVII in qualche provincia.
Si trovava il 1687 tra que’ comici che Francesco Calderoni (V.) condusse da Venezia a Monaco al servizio dell’Elettor di Baviera (Trautmann, op. cit.
Coteste sacre rappresentazioni, quasi tutte per l’addietro incondite, indecenti e sconnesse, risvegliando nuovamente ad alcuni dotti e ingegnosi italiani l’idea dell’antica drammatica da moltissimi secoli già estinta, dieder loro probabilmente la prima spinta a trattar anche sulla scena argomenti profani e in latino e nella natìa favella con più eleganza e sfoggio e con qualche regolarità e principio di buon gusto, secondo che que’ tempi lo potevano in tal genere di composizione permettere, nella stessa guisa che i rozzi cori pastorali ed i semplici inni dionisiaci della primitiva tragedia greca mossero l’ingegno di Epigene, di Tespide, e di Frinico a darle nuova forma e nuovo lustro. […] Verso la metà del secolo Secco Polentone, o Sia da Polenta, il quale dagli scrittori di que’ tempi vien comunemente chiamato Sico, o Xicus Polentonus, e a cui i padovani aggiungono il cognome di Ricci, compose pure latinamente una commedia in prosa, che ha per titulo Lusus ebriorum, e che serbasi manoscritta fra’ codici di Giacomo Soranzo. […] In Alemagna erano a que’ tempi in assai voga i giuochi di carnevale, ne’ quali la gioventù mascherata si portava per le case, e vi recitava alcuni dialoghi convenienti alla maschera presa da ciascheduno. […] I primi che in questo secolo, e probabilmente verso il 1480, cominciarono a fare rappresentare in Roma le commedie di Terenzio e di Plauto, ed anche altre composizioni drammatiche di poeti moderni, e a istruire la gioventù a ben recitarle e declamarle, furono due illustri grammatici e filologi di que’ tempi, Giulio Pomponio Leto dell’Amendolia di Calabria, institutor dell’Accademia Romana, e Giovanni Sulpizio da Veroli dello Stato Pontificio, per opera de’ quali i due cardinali Pietro e Rafaello Riari fecero vedere a Roma moderna per la prima volta spettacoli teatrali fatti con gran magnificenza. […] III cap. 3, il quale anche pruova con un epigramma di Lancino Corti, poeta di que’ tempi, che Lodovico Sforza fra le altre cose da lui oprate a pro delle lettere fece aprire in Milano, un magnifico teatro.
Senza dubbio i drammi degli spagnuoli e inglesi contengono un’arte men delicata, ma pel gusto di que’ popoli hanno un merito locale; i drammi poi degli antichi greci e romani, e de’ moderni italiani e francesi, come hanno acquistato dritto di cittadinanza nella maggior parte delle nazioni culte, non temono gl’insulti degli anni, e posseggono una bellezza che si avvicina all’assoluta. […] Qui l’autore intende di que’ dotti che hanno, ingegno penetrante, gusto raffinato, giudizio sottile, antasia vivace, cuor sensibile, orecchio purgato, pratica del mondo e de’ più famosi poeti, e scelta dottrina per poter ben comprendere e guidare tutto il bello di un dramma.
Di figura alquanto tozza, gestiva pochissimo ; pronunziava esattamente ; alle volte pareva un po' freddo, ma nel fuoco delle passioni, nell’ardore degli affetti si riscaldava, giovandogli molto in que' momenti la potenza straordinaria della sua voce.
Parmi di averle altra volta scritto, che io prendo per quello che sono le scaramuccie letterarie, e segnatamente queste nostre, che (confessiamcelo a quattr’occhi) sono veri litigj di lana caprina: sono semplici scherzi non ad altro buoni, che a farci passare gajamente que’ momenti che spendiamo a respingere, come ci diamo a credere, con bravura l’avversario. […] Strano bensì sarebbe il chiamar Drammi, e spettacoli teatrali, o que’ Poemi, o que’ Dialoghi, o delle Ecloghe.
La quale non altronde deriva se non se dal prendersi le inflessioni musicali come altrettanti segni delle nostre affezioni e delle nostre idee: dal che nasce che risovvenendoci degli oggetti, che vengono per mezzo di esse rappresentate, ci sentiamo parimenti agitare da que’ movimenti medesimi che avrebbe in noi eccitati la presenza loro. […] S’aggiunse a questa più giusta cadenza secondo il gusto lulliano, furono risecati i soverchi artifizi, si fecer camminare con maggior precisione e calore il movimento e la misura, e le aperture di molte opere italiane si lavorarono alla francese, il qual costume durò per più di vent’anni di qua dai monti fino al principio del secolo presente, checché ne dicano in contrario gli Italiani facili ad essere smentiti colla pruova delle carte musicali di que’ tempi. […] [13] Il gran Giuseppe Tartini si rese benemerito dell’arte per tutti que’ mezzi che contribuiscono all’avanzamento di essa. […] Carlo Carlani e Pio Fabri, tenori eccellenti, Bartolino faentino, e il Minelli uno di que’ cantori che hanno a’ tempi nostri posseduto con eminenza l’accento musicale, erano pure della stessa scuola. […] Ma non ci dobbiamo punto maravigliare di questo, ripensando che nelle vie che percorre l’umano spirito per istruirsi, l’errore è quell’istimo fatale posto dalla natura tra la verità e l’ignoranza, che non lice ad alcun nocchiero schivare se annoverato non viene fra que’ pochissimi, cui propizio sorrise Giove dall’Olimpo.
Essi non resistono a quell’impulso; si muovono al suono di que’ primitivi strumenti e al canto di quella nascente poesia; e que’ loro movimenti dan nascita alla danza. […] Quante volte que’ capolavori della drammatica hanno svegliata la compassione nel più intimo degli animi nostri! […] Essi acquistarono così più largo campo da far mostra della flessibilità della lor gorga coll’imitare que’ mordenti, que’ trilli, quelle volate, que’ gruppi, quegli arpeggi, che fanno sì ben sentire su d’alcuni stromenti. […] Forse che que’ meschini prendessero un po’ di respiro? E il balletto vorrebbe invitar forse que’ fuggitivi a una danza?
V’ha però chi sostiene loro in sul viso esser meglio calcar le tracce di Aristotile e dì Quintiliano, e mentovar dove bene stia que’ sagaci e graziosi attori, i quali seppero sulle scene delle più colte nazioni ritrarre al vivo i ridicoli del loro tempo, che rappresentar nella società gli originali di que’ medesimi oggetti rìdevoli mascherati da uomini d’alto affare e da filosofi e metafisici senza logica, e da poeti che non intendono nè rima nè ragione, e da pedanti pieni di stomachevole orgoglio e voti di ogni valore.
A. e la prieghi ad ordinare a que' suoi ministri che vogliano troncate tutte le dilazioni spedirgliela per giustizia.
Laonde siamo noi inclinati a prestar tutta la fede a que’ Latini che ebbero sotto gli occhi le tragedie romane da essi esaltate, e che sapevano quel che si dicessero, ed assai poco crederemo al sig. […] ERRORI CORREZIONI pag. 66, lin. 7 Tu fra que’ dieci Te fra que’ dieci pag. 84, linea penultima ed ultima con felicità la secondano, sono copiate al naturale da lo pre con felicità la secondano, sono copiate al naturale dalle procedure pag. 113, lin. 19 sempre io t’ami sempre io ti amai pag. 190, lin. 1 Tum verò pavidâ sonipes Tum verò pavidâ sonipedes pag. 236, lin. 20 a un cenno del popolo doveano snudarsi a un cenno del popolo, nel tempo de’ Giuochi Florali, doveaao snudarsi *.